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Tratto:
Il DOVERE - giornale politico settimanale per la democrazia
sabato 19 agosto 1865 (Pag 197-199)

LA DEMOCRAZIA SOCCORRA LA STAMPA

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L'errore genera disinganni: il disinganno, utili ammaestramenti. Nel 1859 e 60, le moltitudini erano fatte cieche. Una stampa largamente soccorsa, diretta dal defunto Giuseppe Lafarina, propagata dall'Associazione nazionale, spedita per vie occulte dal governo del conte di Cavour, aveva per anni predicato la Monarchia come leva di salvezza, unità e rigenerazione dell' Italia.

Nelle reti di questa semiofficiale Associazione fu avviluppato per alcun tempo anche Garibaldi, e non se ne liberò che nel gennaio del 1860, quando già si conoscevano i segreti di Plombières, e il mercato infame di Savoia e Nizza. E fu allora che da Torino mandò la sua laconica e brusca rinuncia a quel conciliabolo in cui il sig. Giorgio Pallavicino presiedeva, o per il quale fece non lievi sacrifici della sua borsa.

Garibaldi imponeva silenzio alle sue antiche e mai sconfessate opinioni repubblicane: credeva che la monarchia avesse l’ambizione di farsi grande giuocando la sorte per unire l'Italia, e si fece soldato della sua causa.

Il prestigio di Garibaldi, per le sue antiche virtù, per le cose grandi della vita passata, per la guerra di America e per la difesa di Roma, era gigante; e più tardi, con la spedizione dei mille, acquistò tale rinomanza, che non si ha esempio di alcun altro uomo in tutte l'età negli annali storici del mondo.

L' adesione di Garibaldi alla monarchia disordinò e scompose il partito repubblicano, già assottigliato dalle apostasie e dalla fallace speranza che aveva lusingato gli affaticati dai patimenti e dal lungo esilio, e indotto facilmente i moderali di buona fede a sperare nel ravvedimento del principato, e nel novello suo indirizzo liberale.

La stampa salariata dai fondi segreti, e le persecuzioni del fisco e della pulizia contro qualunque foglio di colore repubblicano cospirarono potentemente a soffocare e discreditare le dottrine di vera libertà. Così giungemmo sino ad Aspromonte.

Sino al 29 del 1862, durarono quindi gli equivoci, né a dissiparli giovarono le ormai notorie denunce telegrafiche al governo borbonico della partenza da Quarto;

l'invio di Lafarina a disturbare in Palermo la dittatura, gli sforzi fatti per impedire che il Liberatore coi suoi volontari passasse lo stretto; le rivelazioni officiali del Touvenel sul colloquio avuto da Farini e Cialdini in Clumbery per invadere le Marche e correre alle pianure di Capua con animo deliberato di dare una battaglia campale alla rivoluzione. L'equivoco durò e resisté al plebiscito trasformato in annessione incondizionata, allo scioglimento del Corpo dei Volontari, allo sperpero e alla persecuzione dei più fidi a Garibaldi, all'odio inestinguibile e scandaloso contro cose e persone che ricordavano la miracolosa impresa che aveva riunito al regno antico un regno nuovo di circa dieci milioni di anime.

La grandine di palle scaricata sui volontari che seguivano la bandiera inalberala alla Ficuzza col motto che mai si cancellerà — Roma o Morte — il martirio di Aspromonte che le istorie narreranno ai posteri come esempio orribile delle ingratitudini inumani dei potenti, fecero un po' di luce. L'equivoco principiò a sparire, e man mano che il tempo illumina le menti, la pubblica opinione torna ravveduta al sentiero della verità.

Garibaldi nelle sue lettere, nei suoi indirizzi, nelle sue risposte non ha più parlato di forme e di galantuomini: ha detto e ripetuto agli operai: lavorate; emancipatevi dalle catene del prete, a di chi vi opprime o studia di corrompervi; e a tutti inculca di pensare alla patria, di pensare alla libertà. Eccitando sempre all'azione, ai propimenti audaci, alla risoluzione dell'animo, dichiarò che egli non desidera altro, né intende altro, che portare una spada ed una bandiera alla gloriosa impresa. Rispondendo alle felicitazioni del Popolo d'Italia si espresse cosi: io sono con voi e di voi sino alla morte.

Noi non ci arrogheremo il diritto di sapere le sue intime convinzioni, interpretare quel che si nasconde sotto il velame di questa riserva: Garibaldi solo è padrone di spiegarsi quando e nel modo che stimerà conveniente.

Ci sembra però che sia stata per Io meno una improntitudine l'affermazione di alcuni giornali di Palermo, e l'enunciazione assoluta del Crispi nel suo malaugurato opuscolo Monarchia e Repubblica, che il Generale Garibaldi sia sempre fedele al programma di Talamone.

Poi son venule la legge Pica, le misure militari che tormentarono con la fame e la sete, cogli arresti arbitrari e inqualificabili di padri, madri, mogli, sorelle e persone care dei renitenti, nelle città e nei villaggi della Sicilia, dove le fucilazioni d'Infantina ebbero complemento coll’incendio e con la morte di una povera famiglia crudelmente asfissiala entro la propria abitazione in Petralia Soprana.

Indi seguirono le stragi di Pietrarsa., e finalmente le Convenzioni del 15 Settembre autenticata dai suoi famosi autori col sangue del popolo generoso barbaramente trucidalo per le vie di Torino.

Man mano son venuti fuori i documenti della ormai incontrastabile rinuncia del governo a Roma, e finalmente la rivelazione di Giuseppe Mazzini sulla pattuita eventuale cessione del Piemonte alla Francia.

Ai fatti sanguinosi si aggiunsero le ladronerie, le immoralità, e le corruzioni. La politica dei moderati si è chiarita nella libidine del potere per arricchire e impinguarsi delle sostanze del popolo. Gli Italiani hanno avuto materia da meditare nelle turpitudini delle ferrovie meridionali, nel caos della marina dove neppure una commissione parlamentare ha osato portarvi un raggio di luce: nelle migliaia di mandali irregolari respinti dalla Corte dei Conti; nei centoventun milioni consumati non si sa come e nel più impenetrabile mistero nel 1860; nei cinquantadue milioni spesi dal Minghetti, e tutti legalizzati dalla Camera parata peccantibus con Voti sanatorii.

Gli Italiani hanno avuta una scuola di delusione nel fallimento imminente, nelle ingiurie fatte alla scienza economica con l'aumento del prezzo dei sali e dei tabacchi, forniti di contrabbando e di deminuzioni d'entrata, quando era più urgente il bisogno di aumentarla col senno: e finalmente coll’improvvidissimo dazio di consumo, e con l’anticipazione della fondiaria.

Ora finalmente si è cominciato a intendere dalle flagellate e disingannate popolazioni, che ben altri benefici avrebbero avuto dal nazionale risorgimento se l’opera dell'unità si fosse iniziata e si compisse con la libertà.

Quattro anni addietro erano chiamati Anarchici e Rompicolli i giornali che ammonivano il popolo italiano nelle sue aberrazioni; ì moderati imperavano collegati in camorra che pareva indissolubile; all'interno e all'esterno avevano lodi dalla Stampa comprata. E come no? Il Sig. Minghetti non diede forse ad un' giornale NOVEMIL.V lire per riprodurre un suo discorso?

A poco a poco si palesò la necessità di ripigliare il corso delle idee puramente democratiche, e l’Unità Italiana non restò più sola al cimento in cui tanto è maggiore il suo merito e la sua gloria,

quanto è duro e lungo il travaglio delle persecuzioni alle quali fece fronte con animo gigante, sfidante le ire del fisco che agiva per istinto proprio e per obbedienza ai comandi d'oltre-Alpe, e resistendo alle maledizioni degli stessi frenetici che si.as6ociavr.no a lanciare sassate e ferire la mano che, non badando -ai pericoli; preparava lo elleboro per guarirli dalla follia.

Nacque in Napoli II Popolo d'Italia, e fu un altro valoroso sostenitore del principio democratico nelle provincie meridionali.

Le ire fiscali furono grandi e continue: c'è voluta l'abnegazione, il sacrifizio e la forza d'animo che ispira la fede in un principio, l'amore ardente e perseverante della verità, per non soccombere. Finora i democratici d'Italia, e particolarmente quelli delle provincie meridionali di qua e di là dello stretto, non hanno abbastanza apprezzata l'influenza di questo rigido censore di tutti gli abusi. Se cessasse le sue pubblicazioni per qualunque motivo, si accorgerebbero del danno che non tarderebbe a farsi sentire grande quasi irreparabile. Noi sappiamo che non versa in prospere condizioni, e che vive per la generosità del suo proprietario ed amministratore, e per l'opera disinteressata di chi lo alimenta con la potenza dell'ingegno.

Nel Marza 1863, cominciò lo sue periodicali pubblicazioni Il Dovere, e il favore con cui fu accolto in ogni parte d'Italia fu stimolo alla gelosa polizia per una guerra implacabile. Soprusi di posta, sequestri continuati, vessazioni d'ogni genere, sperimentazioni nel penoso lavoro che avevamo intrapreso.

E agli altri ostacoli che dovevamo superare sopravvenne quello che non potevamo presumere, la disonesta avarizia di molti che hanno la virtù in boccia, e il vizio nel cuore; che parlano di democrazia e di libertà, e mancano ai debiti di onestà e d'onore.

In tempi ancora più vicini abbiam visto prodursi altri organi di colore repubblicano, come II Democratico a Forlì La Rivoluzione in Reggio dell'Emilia. Rema e Venezia in Catania, Il Primo Settembre a Messina, Il Popolano di Palermo, Il Fazzello a Sciacca, altro giornale La Rivoluzione che vedrà la luce in Bari: finalmente abbiamo in Torino L'Italia, La Farfalla ossia il piccolo Paese a pie dell' Alpi, ed I Corsari.

I soccorsi, finora scarsi e insufficienti, ma in via di continuità e di aumento segnalano lo infervorarsi della pubblica opinione per l'unica via che ci può condurre alla meta, e porre un riparo definitivo ai mali della patria.

Quando nei mesi scorsi L'Unità Italiana di Milano annunziò francamente le angustie a cui le odiose e prepotenti misure del governo l'avevano ridotta: quando accennò che se la liberalità cittadina non la sosteneva con pronti e generosi sussidi, sospenderebbe le sue pubblicazioni, abbiamo osservato con grata soddisfazione la premura che i democratici si diedero a farle invio di pecunia, anche da paesi lontani. In tal guisa ha potuto continuare il suo libero apostolato.

In qualche città, a Catania prima, e poi in Pisa, si costituirono Comitati di soccorso alla libera Stampa. Persone isolale si obbligarono di corrispondere al Dovere, all'Unità e al Popolo d'Itala cinquanta centesimi per ogni sequestro.

È già una cosa: ma non è che il principio di un'assicurazione più soda della libera stampa. Bisognerà organizzarci, creare m vasta associazione, contribuire poco da molti, e fondare casse di soccorso alla libera stampa, con Comitali in ogni città che niellano capo ad un centro principale che indicherà il foglio che sarà più degno ed avrà più urgente bisogno di soccorso.

Sono queste associazioni che recidono i cervi del dispotismo, e paralizzano la prepotenza dei Governi, intenti sempre a reprimere la libera manifestazione del pensiero. Quando il Governo della Ristaurazione colpiva di gravi multe Béranger per le sue immortali canzoni che quella monarchia scalzavano, la carità cittadina abbondava sollecita nello offerte spontanee a sollievo d incoraggiamento del condannato poeta.

In Inghilterra con le associazioni e colle tenui contribuzioni dell' operaio si fanno opere grandi, si promuovono adunanze ed agitazioni che costringono governo e parlamento ad appagare i voti della pubblica opinione. Con la protezione che il popolo accordò ai giornali, la stampa in Inghilterra è diventata la più autorevole interprete della pubblica opinione, il quarto e il più rispettato potere della Gran Bretagna. La stampa inglese ha disarmato i nemici della libertà, e obbligato il potere a rinunciare per sempre alle misure di sequestro ed ai processi di stampa. La discussione vi è libera e sconfinata, e le menti possono spaziarsi nella investigazione del vero in ogni parte dell'umano sapere senza vincolo.

Tutte le altre libertà sono ormai indotte fra noi a zero dallo arti volpine del sistema che despotizza in nome di una liberti ibrida e fallace. Delle politiche associazioni si è fatto scempio; le riunioni or si tollerano or si vietano: il Parlamento è completamente mistificato dalla corruzione e dalla ingerenza governativa.

Non ci rimane altr'arma che la stampa, e la democrazia deve comprendere l'urgente necessità di salvare quell'unica ancora di speranza, e di corroborare questa leva che sarà più polente della montagna dei mali che deve sollevare e marniate in aria.

Noi avremmo desideralo che un nucleo forte di patrioti! si fosse costituito in qualcuna della nostra più popolare metropoli d'Italia: avremmo plaudito che quest'onore avesse rivendicato a sé la città di Napoli, dove si poteva fondare una cassa centrale di soccorso.

Questo che finora non si è fatto, si compia, e se Napoli continuerà nell'avara energia, saluteremo benemerita Firenze, Genova, Livorno, Torino, Bologna, qualunque città copiscua d'Italia voglia Tirsi il merito di questa civile e benemerita' iniziativa. Di Catania è partito una voce che non deve restare senza eco.

Non dimentichino i democratici che la stampa indipendente ora svelando gravi abusi, ora denunciando i ladri, ora rivendicando la virtù oltraggiata, ora palesando il vizio rimunerato, ora ricordando severamente ai cittadini i loro doveri verso la patria, non solamente atterrisce i malvagi e conforta i tuoni, ma prepara gli animi a fatti immortali, a compiere l'impresa del totale riscatto d'Italia, e fa trionfale la giustizia nella libertà che sarà proclamala urbi et orbi dal Campidoglio.

Privatevi d'un sigaro al giorno, privatevi di qualche non necessario piacere, e versate nella cassetta di soccorso alla libera stampa il vostro soldo, se volete che i giornali democratici proseguano con fiducia e coraggio la loro difficile e penosa missione. Non vorremmo che a veruno dei seguaci della vera democrazia quadrassero i versi di Giovenale.

«Non habet infelix Numitor quid donet amico:.

«Quintillae quod donet habet: nec defuit illi

«Unde umeret multa pascendum carne leonem»

Comprenda la democrazia che non basta imparare il disprezzo della morte; che conviene persuadersi, che la libertà usala in tempo giova alla causa quanto il nobilissimo sacrifizio della vita. Soccorrete la Stampa!










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