Eleaml


ANNO IV.
GENOVA — Sabato 5 Ottobre 1866
NUM. 40.
 IL DOVERE
Libertà
GIORNALE POLITICO, SETTIMANALE
 Unità
 PER LA DEMOCRAZIA.

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Nelle scuole si studia la storia d'Italia come se fosse tutto normale, scontato. Se si riflettesse sui vari passaggi che questo paese ha superato e in che modo lo ha fatto, non è tanto normale.

Premesso che della rivolta del 1866 non è che se ne parli molto sui libri di storia, anche quando se ne parla non si sottolinea un fatto di una gravità inaudita: lo stato d'assedio fu deciso da un militare.

Esisteva uno statuto parlamentare, fino a prova contraria lo avrebbe dovuto decretare il potere politico o no?

Riflettete gente, riflettete!

Zenone di Elea – 22 gennaio


Pag. 313
SOMMARIO
Sequestro — Il bombardamento e lo stato d'assedio in Palermo — Un nuovo equivoco — L'Irlanda — Indirizzo. gli Elettori Messinesi — Corrispondenza di Napoli — Rivista politica.

SEQUESTRO

L’ultimo nostro numero fu sequestrato per un articolo di Mazzini, intitolato Alleanza repubblicana» nel quale il R. Fisco scoperse un atto di adesione ad altra forma di governo, e, quel che è peggio, un voto di distruzione dell’ordine monarchico costituzionale.

Noi osiamo ancora sperare che il nostro benemerito R. Fisco, per un eccesso (lodevole sempre) di zelo, si sarà questa volta ingannato, e che quei brutti reni non si troveranno nello scritto incriminato. Ciò diciamo perché non arriviamo a comprendere come Mazzini possa volere la distruzione d'un' ordine così bello di cose che già da tanti anni forma la gloria e la felicità d'Italia. Ci vorrebbe veramente un core di macigno.

Il numero sequestrato conteneva: Alleanza repubblicana — Corrispondenza di Napoli — Rivista politica — Sottoscrizione a sostegno della libera stampa.


IL BOMBARDAMENTO

E LO STATO DI ASSEDIO DI PALERMO


Della insurrezione di Palermo noi discorreremo con la nostra consueta imparzialità e giustizia dopo che avremo quella previa cognizione delle cause e dei falli, che oggi ci manca per il mistero del silenzio serbato dal governo, per i telegrammi modellali sopra gli antecedenti sulle battaglie di Custosa e Lissa, e perché Onora non abbiamo che le relazioni dell'amico del Popolo, diretto, come tutti sanno, da uomini devoti sempre a chi vince, ed al governo presente, qualunque egli sia.

Potremmo dire anticipatamente che i nomi dei cittadini firmati a pie dei proclami come componenti il governo provvisorio dei sollevati, non sono di disperali, né di renitenti, né di malandrini, né di clericali, ma di classe e di educazione elevala, ricchi, titolati, parecchi noti per spiriti democratici e per prova di patriottismo; (1) tali insomma che lo stesso Amico del Popolo


(1) Gl'individui, i cui nomi figurarono appiè dei proclami insurrezionali, dichiararono apocrifa la loro firma.

La Direzione.

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(e noi ripeteremo quel che il Guerrazzi nello Assedio di Firenze scriveva d'un giornale antico avente lo stesso nome: Dio liberi il popolo da simili amici) non osando cuoprirli di vituperii come gli altri vinti, disse forzati dal terrore delle bande ad accettare.

Noi deploriamo il molo inconsulte, intempestivo, precipitalo, ristretto ad una' zona di terra, e ad una città; ma comprendiamo pure che l'ira non discute e che la disperazione non ragiona. Palermo e la Sicilia, superba di avere inerme gittò il guanto di sfida a giorno fisso, alla tirannide borbonica, e dì averla rovesciata, non poteva, non potè, non può, non potrà mai tollerare in pace lo strazio e le ingiurie che ricevette e va ricevendo dal governo che si aveva eletto col plebiscito, e che si annunziò di riparazione e di concordia — promesse bugiarde.

Taceremo delle escursioni militari, che passarono sulle attonite popolazioni come lava dell’Etna, privandole di cibo, tormentandole con la sete, senza eccezione di sesso e di età, imprigionando, contro ogni legge naturale e positiva, i parenti, i fratelli, le sorelle, le spose, e le persone più care ai renitenti ed ai banditi; enormità incredibile, anche oggidì commessa e continuata. Taceremo delle stragi di Fantina, delle adustioni e soffocazioni di Petralia Soprana, delle roventi moxe applicate al muto Cappello, e delle pugnalazioni alle quali alzò un lembo del nero velo che le ricuopre, il Duellino di Aquavira in uno scritto documentato che stampò a Roma, e che dai preti fu subito sequestrato, ma da veruno fu smentito.

Accenneremo brevissimamente alcuni tratti del discorgo, che l’oggi non a torto, ma troppo flagellato Prefetto Torelli, leggeva nel 3 settembre all’apertura del Consiglio provinciale di Palermo: «Tosto pubblicata la legge sul corso forzoso dei biglietti della Banca, sia che realmente gli appaltatori si trovassero, come asserivano, nella impossibilità di andare avanti, sia che fosse per loro un pretesto, sta in fatto che tutti i lavori furono sospesi, e che di circa Cinquemila persone rimasero senza risorsa».

Sia dai primi di luglio — è sempre il Prefetto Torelli che parla —  «eranvi paesi ove più non si macinava. per mancanza  di acqua, e quindi le popolazioni erano obbligate ad andar lontano a far macinare. Questo stato di cose andò sempre aumentando a tal segno, da mettere in pericolo la sicurezza pubblica per tale causa; le pretese dei mugnai in alcuni luoghi crebbero al segno dà quadruplicare e perfino a quintuplicare la ordinaria retribuzione. Né solo alla difficoltà di macinare si limitavano gl'inconvenienti, ma si estesero anche alle acque potabili.

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Tommaso Natale, borgata di circa duemila abitanti a sei chilometri da Palermo, veder mancarsi l'acqua potabile sin dai primi di luglio, ed il Comune di Palermo la provvede regolarmente ogni giorno collo invio di botti; dalle vicinanze della città medesima. Se quella borgata fu la prima a risentire in modo così insolito i tristi effetti della siccità, molte altre nel progresso di tempo le tennero dietro al segno che. ve ne sono alcune che vanno a sei, ad otto, ed anche a più chilometri, a cercar l'acqua da bere.»

Il Prefetto Torelli andò innanzi nella enumerazione dei mali che crudelmente affliggevano i Palermitani.  La piena fiducia che si aveva nel Banco di Sicilia, che serviva di cassiere per tutte le famiglie agiate, non che a tutti i negozianti di qualche entità, sopratutto in Palermo, aveva fatto sì, che nessuno teneva scorta di danaro di rilevanza in casa propria facendo pagare dal Banco assegni sul medesimo anche di somme modestissime. Venuto improvviso il 2 maggio (data diremo noi immortale dell’amministrazione Scialoia salvator della Banca privilegiata) tutti furono colti sprovveduti di scorta, e quanta perturbazione ciò arrecasse è fatto sì recente, che ben ricordate».

La missione del Banco a piccoli biglietti saliva alla cifra di ventinove milioni, ottocentotremila e ottocento tredici lire — Una circostanza speciale (prosegue a dire il Torelli) aggrava le condizioni della Piazza di Palermo, ed è quella che la moneta di bronzo si fa sempre più rara, perché lo interno dell'isola rifiuta ostinatamente il biglietto, e laddove una contrattazione è in facoltà delle parti di farla, 0 non si fa 0 solo a condizione di avere danaro effettivo. Per questa ragione la sottrazione è più forte che non sarebbe se tutte fossero nelle medesime condizioni».

La corrispondenza del Roma, N. 265, diario diretto dall'onorevole Lazzaro, e quindi non sospetto di spasimi repubblicani, e neppure democratici, dalla quale trascriviamo questi brani del documento officiale, osservò opportunamente che nessun cenno fece il Prefetto di provvedimenti per una calamità cosi seria e che se fosse stato interpellato, avrebbe risposto: non ho facoltà, e il governo di Firenze non ha voglia di occuparsi di tali freddure.

Noi accuseremo il Torrelli di non avere suggerito le misure efficaci e necessarie, dismettendosi in caso di rifiuto del governo con un pubblico manifesto. Ma non dimentichiamo che il Torrelli è moderatone.

Nella corrispondenza sopraccennata è da segnalare il cenno dei commenti che fa l'acutissimo e diffidente popolo Siciliano. Il governo si, prende i nostri figli per le guerra, ed i nostri danari dal Banco; al lavoro per la povera gente non bada.

E per lutto rimedio, vuole pagate le tasse in danaro contante; le tasse e sopratasse che si moltiplicano sempre, e che non se ne può più; e per giunta minaccia volersi prendere i beni delle chiese: spogliarci di lutto in fine. E perché abbinino fatta la rivoluzione del 1860?...»

Alle indicate cose, già gravissime, aggiungasi la considerazione del plebiscito votato, come si esprime il Municipio di Messina, per fare la unità della Italia, i tradimenti e le viltà delle battaglie di Custoza, e di Lissa, della cessione e retrocessione, vergogne che gittarono la Patria nell'obbrobrio e che colmarono la misura già piena di mali pubblici.

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Palermo dopo sei giorni d'insurrezione, rientra nella obbedienza del governo, mercé le bombe, la mitraglia e le cariche valorose dei soldati e dei bersaglieri.

Chiediamo venia ai nostri lettori di fare un po' di storia. Quando al Parlamento Subalpino appena costituito nel maggio del 1848, giungeva la notizia che Ferdinando II aveva nel giorno 15 bombardato Napoli, rotta la fede d'Italia, trucidato i cittadini e soffocato nel sangue loro le libertà costituzionali, Evasio Radice, esule del 21, dopo ventotto anni di proscrizione traendo penosamente la vita in Inghilterra collo insegnamento delle matematiche, rimpatriato, eletto rappresentante di Vercelli, sedente alla estrema Sinistra, prorompeva in queste brevi e fiere parole.

La libertà italiana, battezzata nel sangue dei nostri concittadini Partenopei, sorgerà più bella dal suo dolore. Si alzi dalla Camera un grido di esecuzione che cada come spavento sull'anima del truce tiranno, dell'incendiatore delle sue città, dello scannatore del suo popolo.» E la Camera gli battè le mani. Era un vaticinio...

Parlò dopo Evasio Radice, l'autore dei Canti Italici, esule del ventuno anch'egli, che vecchio rimpatriava, ma con l'anima giovane e ancora vergine, e che esordi la sua opposizione in Parlamento contrariando nella risposta al neo discorso della Corona che grazie si rendessero al re dello elargito Statuto perché non si dovevano grazie a chi restituiva il mal torto, e Amedeo Ravina divenuto poscia Consigliere di Stato, si sfogò per l'ultima volta contro i Tartuffi Coronati, alludendo al Due Dicembre in occasione che si discuteva la prima proposta Deforesta contro la libertà della Stampa, e ventiquattr'ore dopo — in rispetto all’articolo dello Statuto che decreta non sindacabile lo impiegato che parla libero nella Camera — fu collocato a riposo con pingue pensione che lo rese muto, se non contento.

Amedeo Ravina con impeto veementissimo contro il re di Napoli parlando, conchiuse proponendo fra le altre cose: che una colonna d'infamia sia innalzata in una delle principali piazze di Torino 0 di Genova a perpetua memoria ed ignominia della mostruosa crudeltà di quel tiranno, sopra la qual colonna, insieme coll'abominato suo nome, sia scolpito ad eterno vituperio eziandio il nome di lutti gli uffìziali superiori che per prestare infame ossequio al tiranno sterminatore, furono vili e spietati esecutori de’  suoi scellerati comandamenti, affinché siffatti nomi passino alla più tarda posterità, carichi della meritata infamia e siano eternamente segnalati alla esecrazione universale, così degli italiani come di lutti gli altri popoli.

Vero è che Amedeo Ravina ritirò la proposta, dietro esortazione del signor Lorenzo Pareto, ministro degli Esteri, il quale pur affermando che il Borbone si era coperto d'infamia, accennò gl'inconvenienti che ne sarebbero potuti derivare, dei quali fece impressione maggiore il senso doloroso che avrebbe fatto ai numerosissimi soldati napoletani accorsi a combattere per la indipendenza d'Italia.

La pubblica opinione battezzò Ferdinando II Re Bomba, Re Bombardatore, nome esecrato che anderà nella storia congiunto alle opere della sua crudeltà.

Chi allora avesse concepita la possibilità di un bombardamento in casa propria, e lo avesse esternato, lo avrebbero, come demente, chiuso in un manicomio.

Eppure undici mesi non erano decorsi, che fu mandato il generale Alfonso Lamarmora ad inaugurare il regno novello surto dalla catastrofe preparala, di Novara, col bombardamento e col saccheggio, di Genova. Ciò nel regno Sardo.

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Proclamato il regno italiano, avemmo gli incendi di Castelduni e di Pontelandolfo, descritti dopo averne visitato le mine, dal filosofo e oratore valorosissimo Giuseppe Ferrari in un commemorabile suo discorso alla Camera italiana.

In nome del governo del medesimo re, ora abbiamo il bombardamento di Palermo. I cannoni e mortai che furono mal diretti dal comando supremo in Custoza e Lissa, hanno trovato la mente e la mano che abilmente li adoperasse per fulminare la città delle grandi iniziative, dove fu prima proclamato il regno d'Italia in mezzo ai cadaveri dei liberatori e degli sbirri della tirannia borbonica.

Noi non faremo commenti; giudichi il lettore, non dimenticando che Garibaldi, piuttosto che lanciare una bomba nella città, lasciò l'onore dell'espugnar Capua all'esercito mandato con promessa al Bonaparte, di dar battaglia campale alla rivoluzione.

Dopo un bombardamento, l'impero della sciabola viene di per sé, e il generale Raffaele Cadorna dichiarò la città di Palermo in stato d'assedio.,

Noi abbiamo libertà di nome, ombra, anzi neppure ombra di, libertà. Dai tempi di Anacarsi corre lo adagio che le leggi sono tele di ragno efficaci per le mosche, fragili per gli animali forti. La spada del prepotente le sfonda. Se non fosse così, in forza dello stesso Statuto elargito dalla magnanimità del suo Datore, subilo non discusso e volalo dalla Nazione, veruno potrebbe a termini dell’articolo sesto, dispensare o sospendere la osservanza delle leggi, e quando così non fosse espressamente sancito, s'intenderebbe l'assoluta necessità di esservi incluso questo cardinale principio d'ordine sociale, perché è un assurdo il dire che la legge è superiore a lutti, e ciascuno debba prestarle. obbedienza. Se il potere esecutivo può calpestarla e dispensare dalla obbedienza a lei le autorità che da lui dipendono.

In virtù di questi principii incontestabili, i migliori pubblicisti affermano e provano, che lo stato di assedio non può decretarsi se non per allo legislativo, sia che colpisca tutto il reame od una sola parte.

Può egli è vero darsi il caso che emerga un pericolo che non ammetta mora nel provvedere; ma allora il potere agisce provvisoriamente in forza di altra legge superiore che prevale anche quando non sia scritta nei codici e negli statuti—Salus reipubblicae suprema lex eslo. Deve però il potere immediatamente convocare la rappresentanza nazionale, a cui è sempre riservalo il diritto di giudicare se fu fatto bene o male.

Lo stato d'assedio è un ricorso violento alla forza, e deve durare il preciso tempo che basti a reintegrare le legittime autorità. Appena rimesso in funzione il governo legittimo deve cessare ipso jure, e ritorna il regime normale.

Nel felicissimo regno costituzionale, Sardo prima e ora Italiano, il sistema ripudiò la sana dottrina dei pubblicisti più assennati, e ritenne le tradizioni del passato.

Il primo stato dì assedio fu decretato per castigare Genova nell'aprile del 1849, rea di aver osato protestare con le armi in pugno contro la calamità di Novara, e di aver tentato di fare appello alla forza del Paese contro l'Austriaco, vincitore per arti misteriose sepolte nei nove volumi d'inchiesta.

Il bombardatore Generale Alfonso Lamarmora fu nominato Commissario regio; ma sia che non avesse lutti i poteri,. sia che il governo surto da quella catastrofe sentisse la influenza della rivoluzione, ferita, ma ancora forte in Italia e in altre parti d'Europa, non si crearono tribunali di guerra, od eccezionali, non vi fa alcuna esecuzione, e tutto si limitò alle morti ed ai saccheggi nel conflitto,

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e alle sentenze della docile e reazionaria. Magistratura che condanné sul capo in contumacia dodici cittadini antecedentemente dati in nota, ed uno dei quali si trovava all’estero nel tempo che la commozione avveniva in Genova.

Il secondo stato d'assedio fu decretalo nel febbraio e marzo del 1852, contro le città e provincie di Sassari e Tempio. In Sassari per una rissa provocata dai bersaglieri nelle taverne, e con qualche licenza al pudore delle donne; e in Gallura, per togliere le armi a chi le aveva (e le avevano fatti) e mettendole in custodia, rubarle. Il governo fece un benefizio alla fabbrica di Saint-Etienne da dove si provvidero di migliori e nuovi fucili in contrabbando i pastori galluresi, essendo che nell'abbandono in cui le lascia il governo, condizione di quelle genti in. vasto territorio. sparpagliate, sia, o di avere le armi, o di essere a discrezione degli assassini.

Proposito del governo era di sottoporre gradatamente tutta la Sardegna alla legge stataria, proposito che fa revocato dal ministro Pernati, mercé le rimostranze energiche di un deputato Sardo, ma non eletto in Sardegna. Della Sardegna si diceva allora quello che da sei anni si ripete, (se per basso ingegno o per maligno animo noi non sappiamo) della Sicilia, cioè non essere provincia governabile se non con la forza brutale arbitrariamente adoperata: essere genti barbare, popoli selvaggi.

Né in Sassari, né in Gallura vi furono giudizii statarii od esecuzioni. Numerosi furono gli arresti, ma i creduti rei furono rimessi al potere giudiziario, sebbene per rendere la condizione loro più penosa, fossero stati spediti alla Corte di Cagliari, che tutti li assolveva con soddisfazione e plauso del popolo di quella capitale dell’Isola, il quale con solenni manifestazioni pubbliche diede una lezione grave e memorabile al governo di Torino.

Commissario di quelli stati d'assedio in Sardegna, fu il generale Giovanni Durando, e alla sua prudenza è dovuto, se la reazione non fu sanguinosa e crudele. Aveva a fianco, bisogna pur dirlo a maggiore gloria sua militari, e per vergogna della Sardegna, Sardi, che lo eccitavano ad usare il rigore, a far man bassa; ma Durando con calma ai feroci consiglieri, e a chi a lui si presentava per scongiurare i pericoli dei congiunti rispondeva: ho avuto la missione di ristabilire la tranquillità, e l'adempirò: ma se si trattasse di fucilare e di decretare giudizi straordinari e subitanei, io non sarei qui; tutta la mia vita passata vi si opporrebbe. E faceva altra cosa che in Sardegna ignorano, e che noi vogliamo oggi rivelare dopo cinque lustri. Il generale Giovanni Durando scriveva lettere riservate a persona che se ne poteva segretamente valere presso il governo, dicendo che i Sardi erano ingiustamente conculcati, che erano oppressi, e che il Piemonte aveva molti e grandissimi torti da riparare. Parlò al deserto.

L'ultimo stato di assedio nelle antiche province, fu tale eccesso d'odio antico, che toccò il ridicolo. Per l'omicidio della ingegniere Camoni, delitto che restò nelle tenebre, forse perché la luce scuopriva vergogna e perversità dei calunniatori dei Sardi, fu sottoposto allo stato d'assedio Oschiri, villaggio di tremila abitanti nella provincia di Sassari. La deputazione unanime della Sardegna, presentò energica protesta contro questa misura stupida e ingiuriosa, nell'aprile del 1855, e il Ministro Cavour precipitò la prorogazione del Parlamento per evitare le interpellanze che si muovevano contro il Ministro Rattazzi che aveva reso l'alto iniquo più acerbo e insopportavole, con una ingiuriosissima relazione al Re quando portò alla firma il decreto; relazione e decreto subito inseriti nella Gazzetta officiale dei Regno per la migliore pubblicità.

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Noi abbiamo combattuto il Conte di Cavour la vita e nella sua onnipotenza, e censuriamo inesorabilmente la sua immorale) politica anche dopo morte; ma questa giustizia in vita e in morte noi gli abbiamo costantemente reso, che fu avverrò alle misure eccezionali e alli stati di assedio, al governo della sciabola.

Essendo egli la mente del gabinetto, due gravi fatti avvennero; la ribellione armata dei Valdostani, e la cospirazione di Genova per aiutare l'audacissima, infelice, e sempre maravigliosa impresa di Carlo Pisacane. Ebbene! Non usci dalle vie ordinarie, i magistrati non furono miti, e il governo vi guadagnò riputazione, e vi attinse forza.

I sedicenti continuatori della politica del Signor di Cavour hanno imparato l'arte di governare spogliando con tasse incomportevoli e corrompendo; ma Io accennato sentimento civile l'hanno ignorato, come dimenticano che nell'estrema agonia egli diceva nel delirio stesso della morte: no, non voglio stati di assedio!

I successori suoi, fiore della setta moderata, incominciarono a sbrigliare le soldatesche contro i briganti e contro i popoli, e cosi spietata fu l'azione nelle province meridionali, da offuscare le orribili pagine della storia del Manes. Fu vera strage di rei ed innocenti, e più d'un nome militare passerà maledetto alla posterità. Qualcuno di queste jene ha già reso conti a Dio. Gli eccessi del militare arbitrio furono tali da parere un rimedio la legge Pica, votata ed approvata dal Parlamento; Legge degna di Caligola, di Nerone, di Eliogabalo, di Domiziano  di altri mostri dell’antichità.

Per questa legge si stabilirono in permanenza i giudizi statuii ad horas et modum belli; si allettò al tradimento ed alla perfidia, esecrabili negli stessi scellerati, decretando là diminuzione di un grado di pena al brigante che si presentasse dopo avere assassinato il capo della banda, fosse pure il padre od il fratello. La morate fu capovolta, e i vincoli di natura furono spezzati; reato più pernicioso del brigantaggio medesimo, del quale si risentiranno i tristi effetti come si risentirono delle follie truci del Manes, dopo quarant'anni.

Le violenze della legge Pica indignarono gli stessi uomini che l’avevano approvata. Pica rimase nome abborrito, e ripudiato dagli elettori e concittadini suoi. Quella legge di sangue e di terrore fu revocata dal nuovo Parlamento.

Quali furono intanto i benefici! di questo regime della sciabola? Dissipazione del danaro pubblico, strapazzo, fatiche e irritazione dei soldati; persecuzione implacabile ai democratici; sorrisi, favori e protezioni ai borbonici che profittavano del vento propizio a calunniare, fare vendette atroci: i briganti più numerosi e finalmente il disinganno universale, e l'odio inestinguibile contro l'attuale ordine di cose.

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Se i milioni che costerà la repressione e Io stato di assedio di Palermo li avesse spesi il governo in scuole popolari, in elevazione dello spirito dei cittadini mercé una buona educazione, in opere di pubblica utilità, né la insurrezione avrebbe contristato il paese; né oggi sarebbero seme gettato con danno inestimabile dello impoverito erario nazionale, per future e più gravi sollevazioni.;

Ad onta dei consigli di chi desiderava le facoltà del generale Cadorna limitate a debellare la insurrezione, facendo succedere immediatamente l'autorità di un Commissario civile, il Cadorna appena entrato in Palermo, s'istallò coi pienissimi poteri, e governa con lo stato d'assedio, esteso a tutta la Provincia.

Qualunque sia la sua indole, e la sua intenzione, egli, militare, sarà soverchiato dal potere di cui è rivestito; farà più male che bene, e Contribuirà anche involontariamente, ad accrescere il tesoro dell’abbominazione e dell’odio contro il governo ed estenderlo a tutta li popolazione, a tutte le altre province della Sicilia. Tutte le dinastie son cadute per gli abusi della forza brutale, e debbono cadere infallibilmente quante non confidano che nella corruzione e nel sostegno delle baionette.




GENNAIO 2010 - Pubblicazioni - Articoli - Documenti














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