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Una delle obiezioni che pongono alcuni sprovveduti (dal punto di vista storico, ma anche degli sprovveduti hanno diritto ad una replica) è che il brigantaggio nelle Due Sicilie fosse endemico e la rivisitazione della guerriglia contadina sia una menata da esaltati neoborbonici che non reggerebbe ad una seria analisi in una aula universitaria. A sostegno di questa bislacca tesi i nostri detrattori citano episodi di brigantaggio dei primi anni dell'ottocento.

Premesso che basterebbero le cifre a confutare queste obiezioni da sprovveduti – dopo l'avventura garibaldina gli insorti nelle provincie napolitane furono decine di migliaia tanto è vero che occorsero 120mila soldati più la guardia nazionale più un abietto sistema di delazione a pagamento per stroncare una ribellione che fu una vera e propria guerra di resistenza – il brigantaggio fu un fenomeno presente in vari paesi nei primi dell'ottocento. Non fu affatto una peculiarità del Regno delle Due Sicilie.

L'equiparazione fra quegli episodi e l'imponente sollevazione antisabauda postunitaria non regge ad una seria analisi. Mettiamo a disposizione dei nostri lettori un testo che mostra come il brigantaggio esistesse anche in altri stati preunitari.

Anche se c'entra poco con la tematica che ci spinge a pubblicare questo testo, vogliamo porre all'attenzione dei nostri lettori un passaggio che ci ha colpito, poi diremo perché:

In otto giorni di stretto assedio né commestibili, né ortaggi aumentarono di prezzo. Altri tempi, altri costumi.

Se in questi nostri anni fosse avvenuto disgraziatamente il blocco, i generi alimentari sarebbero aumentati esageratamente di valore. La moralità era in allora regola. suprema della vita pubblica, e pochi, e segnati a dito coloro che per brama di godimenti, non guardavamo a mezzi per procurarseli. In quegli anni, meno rarissime eccezioni, chi era preposto alle amministrazioni pubbliche anteponeva l’interesse del paese al proprio, erano uomini disposti al sacrificio per il bene altrui.”

Questo accadeva negli stati preunitari, vien da dire si stava meglio quando si stava peggio. Non tutta la modernità si è rivelata un affare per gli esseri umani, molti dei quali sono stati schiavizzati in nome della produzione e della mercificazione o sterminati in nome di presunte superiorità etniche.

Buona lettura.


Zenone di Elea – Settembre 2011

IL BRIGANTAGGIO

NEL DIPARTIMENTO DEL BASSO PO

1809

NOTE

DI PATRIZIO ANTOLINI

FERRARA

STAB. TIP. G. BRESCIANI SUCC.

1922

(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODT o PDF)



I.


Uomini colti, menti elevate avevano desiderato mutazioni nella speranza di liberare la Patria da ogni servitù e toglierle il triste privilegio di essere di frequente il teatro di guerre straniere; ma non si aspettavano di vedere il proprio paese trattata 'Come terra di conquista; per ciò il partito democratico, in un decennio di libertà, non aveva fatto fra noi gran numero di aderenti.

La Repubblica Cisalpina una e indivisibile era stata cambiata in Repubblica Italiana e questa in Regno d’Italia, dopoché Napoleone I Bonaparte, eletto imperatore dai Francesi, fu dai nostri rappresentanti, acclamato Re d'Italia.

Il cambiar nome o forma di governo non è tanto difficile quanto il far mutar idee, convinzioni, modo dì pensare alla gente.

Qui i ricordi del passato Governo Pontificio erano ancora vivi; l'abolizione di antichi privilegi, la soppressione degli ordini monastici, le leggi contro il clero, le limitate funzioni religiose,


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le imposizioni e le requisizioni gravosissime avevano danneggiati e offesi molti, e costoro formarono un partito avversario del Governo democratico e favorevole al governo assoluto, essendoché in ogni luogo vi sono cittadini ai quali, per interesse proprio, è più cara la patria in servitù che libera.

La plebe era indifferente o ostile; le feste civili non compensavano per lei, le feste religione, ne sì poteva pretendere che il popolo minuto, fino allora tenuto, nell’ignoranza, cambiasse ad un tratto pensiero, credenze, consuetudini.

La Santa Sede e la Corte di Vienna, avversarie del governo democratico, segretamente incitavano il popolo alla ribellione. Si era formata un'associazione segreta teocratica antinapoleonica, la quale aveva relazioni in Tirolo e a Vienna.

Dopoché Napoleone fu scomunicato ed ebbe nemica la Santa Sede i bigotti lo giudicarono ateo, e loro dovere essere a lui avversi.

Agenti segreti percorrevano il paese incitando i malcontenti a ribellarsi, promettendo aiuti dall’Austria.

Siccome i contribuenti quando sono aggravati di tasse, soverchiamente onerose, desiderano mutar


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governo credendo migliorare, per ciò il partito reazionario aumentava di numero ogni giorno.

Fu notato che gl'Italiani furono forse il primo popolo d’Europa a disilludersi delle fallacie promesse dei rivoluzionari Francesi e a non approvarne le esagerazioni. E' da osservare inoltre che gli uomini mutano volentieri Signore credendo migliorare, e questa credenza, dice Macchiavelli, «gli fa pigliar Tarme contro a chi regge: di che s'ingannano, perché vedono poi per esperienza aver peggiorato».

Il malcontento già grande, come dicemmo, per le soverchie tasse, per la leva, per le leggi che nell'intento di riformare, tutto avevano rovesciato dell’antico governo, non ebbe più limiti dopo pubblicato il decreto 10 Aprile 1809, concernente il modo di esigere nuove tasse.

Quello sulle farine aveva sì complicate operazioni che mettevano in imbarazzo chi macinava e chi faceva macinare, in particolare modo in 'campagna, dove in allora l'ignoranza era tanto estesa.

Il Prefetto nella lusinga di prevenire disordini, avvisava i suoi amministrati di guardarsi da coloro che andavano spargendo notizie allarmanti,


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tentando turbare la tranquillità pubblica, e guardarsi specialmente da que' forestieri che percorrevano il paese fomentando discordie, insinuando nell'animo dei pacifici campagnoli idee contrarie al buon ordine, all’obbedienza, alle leggi, al rispetto al Sovrano.

Invitava le Autorità tutte dì Polizia a denunciare i colpevoli, ammonire i traviati, confortare ì deboli.

«Le attuali politiche circostanze per la guerra che si è rinnovata «sul Continente, esigono che le operazioni delle Armate siano secondate da tutta la vigilanza del«la Polizia per tenere lontano dal Territorio del Regno, qualunque persona equivoca, e quest'impegno deve accrescersi in tutte le Autorità politiche di questo Dipartimento.

«Mentre io riposo sul genio pacifico di questi Abitanti, sulla loro sommissione e rispetto alle Leggi ed agli ordini governativi, «e la Polizia veglia contemporaneamente su quelli che con voci allarmanti, o con discorsi sediziosi tentassero di turbare la pubblica tranquillità, mi trovo anche in dovere di estendere le speciali mie cure sopra li Forestieri in generale, e sopra coloro che guidati da uno spirito torbido



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vanno scorrendo di paese in paese fomentando il disordine, e spargendo il timore nell'animo de’ pacifici Agricoltori, ed ispirando loro sentimenti contrari al buon ordine, all'obbedienza delle Leggi, ed alla fiducia, e rispetto che si deve al nostro Angusto Sovrano.

«Si richiamano quindi alla me«moria di ognuno le Leggi, Decreti e Regolamenti di Polizia, ed in specialità l'Avviso Prefettizio del 10 Ottobre 1805.

«La Gendarmeria Reale, ed ogni altra forza pubblica è invitata a «raddoppiare i suoi sforzi, ed il suo zelo, onde siano eseguite queste deliberazioni tendenti soltanto a mantenere il buon ordine e «la pubblica tranquillità.

«Le Autorità tutte esercenti la Polizia nel Dipartimento si fa«ranno un preciso dovere di denunziare tosto li colpevoli alla Prefettura, come pure ammoniranno li traviati, conforteranno i deboli, ed in fine non verrà dalle stesse ommesso sforzo alcuno per secondare le saggie determinazioni del Governo, e mi lusingo che in tal modo avrò la dolce soddisfazione di far conoscere al medesimo in ogni tempo l'obbedienza, il rispetto, e la tranquillità di questo Dipartimento.


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«Sono persuaso che Ciascuno sì farà Un dovere di corrispondere per quanto gli appartiene, alle mie premure tanto per l'esatta osservanza delle Leggi, Decreti e Regolamenti sopra indicati, che per astenersi da que' discorsi, che sortendo per lo più da un'orda di oziosi, producono falsi allarmi nel popolo, e tentano di allontanarlo dalla dovuta devozione, e confidenza verso il Governo. Sappiano però costoro, che la Polizia oltre il vegliare su di essi, conosce ancora li malintenzionati, e che seguendo le superiori disposizioni farà piombare sopra di essi il rigore di una severa ed impavida Giustizia». (C. Zacco, 24 Aprile).

Parole sparse al vento. I primi tumulti si manifestarono lungo la riva del Po dov'erano i molini. Taluni rifiutarono ubbidire al nuovo decreto, altri furono colpiti da contravvenzione e privati della farina che servir doveva al loro nutrimento.

I mugnai concordi non macinavano per non incorrere in grasse multe in altri maggiori danni.

Il Prefetto fece conoscere al Governo le condizioni del nostro Dipartimento e chiese provvedimenti; ma chi governa di lontano,



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non vedendo nascere i disordini, né conoscendone esattamente le cause, non vi provvede con la sollecitudine dovuta, e quando vuol rimediare, i disordini sono già grandi ed è piìj difficile ripararli.

I soldati di Finanza non cedevano, volendo la rigorosa osservanza della legge. I mugnai persistevano a non voler macinare, e i poveri operai e i contadini non avevano pane, mancando la farina.

S' incominciò gridare contro le imposte, e contro la coscrizione.

Dalle grida si passò alla sollevazione.

I primi ad insorgere furono gli abitanti dei dintorni di S. Bellino, alla sinistra del Po, ad essi seguirono quelli di Flesso e di Occhiobello.

I ribelli lungo la via percorsa, crescevano di numero, e col crescere 'di numero aumentavano di audacia.

Invadevano Municipi, asportavano denari dalle casse comunali, incendiavano archivi, liste di leva, leggi e regolamenti sulle imposte, maltrattavano le Guardie di Finanza.

Impiegati governativi salvarono la vita colla fuga. I maggiori perseguitati erano i creduti, dai ribelli,


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amici della Francia, ai quali davano il nome dì Giacobini. A questi estorcevano denari, saccheggiavano le case, incendiavano fienili, e come avviene quasi in ogni ribellione, si uccideva per vendetta. .

II Dipartimento del Basso Po, formato dei tre distretti Ferrara, Comacchio, Rovigo, era senza soldati, perché dal Comando militare chiamati ad ingrossare l’esercito combattente contro l’Austria. À provvedere alla mancanza di l'orza pubblica, erano state aggiunte alle Compagnie di Guardia Nazionale, già esistenti, due di volontari, una di Granatieri e l’altra di Cacciatori.

Si erano riordinate le Compagnie scelte, ne era stata aggiunta una di militi con la divisa, e dimoranti in caserma, chiamati supplenti, perché, pagati, facevano la guardia invece di coloro i quali consegnando all'erario una tassa stabilita, erano liberati dal servizio.

Nel Dipartimento si avevano segni manifesti di malcontento. Taluni coscritti non si presentavano alle Autorità, e vivendo nascosti, lontani dalla famiglia, talvolta si procuravano il vitto colla forza, per ciò si notavano atti di brigantaggio.



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La Guardia Nazionale arrestava i disertori dove ne trovava, perseguitava i malviventi e i facinorosi, coadiuvava i carabinieri nel mantenere la tranquillità e la sicurezza dei cittadini.

Il Prefetto indirizzava alle Autorità amministrative del Dipartimento la circolare (28 giugno 1809 N. 8331) che qui trascriviamo.

«Sono stato incaricato da S. E. il Conte Senatore Ministro dell’Interno di partecipare alle Autorità ed alli Funzionari di questo Dipartimento un fatto, che porrà in seria avvertenza coloro che non sentissero bastantemente gli stimo!; dell’onore, e non fossero a sufficienza gelosi del buon nome Italiano.

«La Guardia Nazionale di in Comune del nostro Regno, destinata in concorso della Truppa di linea a tutelare la sicurezza de’ propri concittadini minacciata da un' orda dì briganti, prese vilmente la fuga, benché fosse situata per lo spazio di una lega dietro la truppa di linea, e portò lo spavento ed il disordine in seno a quegli abitanti stessi, che aveva da incoraggire e proteggere. Questo tratto inescusabile di codardia indegno di un cittadino fu conosciuto dalla prelodata S. E. colla più alta sorpresa ed indignazione per lo che ne determinò:



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1.° Che il Governo non sarebbesi più prevalso dell’opera dei Comandanti di detta Guardia, come indegni di difendere la Patria, e l'onore italiano. 2.° Che i loro nomi fossero registrati negli atti della Prefettura, cui appartengono, acciò la memoria di una condotta così riprovevole e vigliacca sia sempre conservata a loro ignominia.

«Nel rendere palese a' miei Amministrati tale superiore determinazione non intendo già di far loro alcun rimprovero, dacché rammento con piena soddisfazione, che le Guardie Nazionali di questo Dipartimento non abbandonarono mai la strada dell’onore, e la stessa E. S. si degna ricordarmi con sensi di compiacenza, che il coraggio delle stesse Guardie Nazionali contrasta così sensibilmente colla condotta della Guardia Nazionale di cui si fece menzione.

«Non può infatti la Prefettura dimenticare l’ottimo spirito de’ suoi Amministrati ed il lodevole contegno tenuto allorché nell’anno 1805 concorsero in folla da ogni angola del Dipartimento a formar parte del Battaglione, che recossi a Bologna per l’armata di riserva, al primo invito dell’ottimo ed amatissimo Principe nostro Vice-Re.



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Si ricorda le instancabili fatiche sostenute in concorso della R. Gendarmeria da alcuni bravi individui della G. N. di Bondeno e di Godioro per rintracciare e perseguitare li facinorosi armati, che infestano le Valli di quel Cantone; ha sott occhio lo zelo, coraggio, e fermezza che replicatamente onorò le Guardie Nazionali di Comacchio, e degli altri Comuni posti in vicinanza del Litorale, che respinsero con tanta energia gli eterni nemici del riposo del Continente, che volevano funestare colla loro odiosa presenza, e li costrinsero a vergognose fughe: vede tutto giorno i segnalati servigi che presta la benemerita G. N. di questa Centrale, ed in specialità le due belle Compagnie scelte; vede in fine, che in ogni parte del Dipartimento le Guardie Nazionali fanno le requisizioni di Coscritti, perseguitano i malviventi, inseguono i disertori, traducono ogni giorno alle carceri questi quelli, secondano con ogni sforzo le interessanti': ime operazioni della R. Gendarmeria, e sussidiano in modo il di lei distinto zelo che può francamente asserirsi, che questo Dipartimento è dei pili fortunati per l’intera tranquillità che vi regna, e per la sicurezza generale di cui gioiscono i Cittadini.



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«Dopo aver date tanta indubbie prove di amore pubblico, d’interessamento per la difesa della Patria e di devota sudditanza, per cui alcuni ebbero onorevoli distinzioni ed in generale li Sigg.ri Comandanti, Ufficiali, Sott'Ufficiali, e Soldati furono onorati del Superiore aggradimento, potrò io mai credere, che sia in minima parte degenerato l’ottimo spirito, che anima i miei amministrati, e che possano, un solo momento dimenticarsi il sacro dovere del Cittadino, che è di difendere i propri focolari dalle insidie, ed attacchi dei briganti, e dei fuorusciti, quanto quello del Soldato, che sparge gloriosamente il proprio sangue contro le armate nemiche e lontane? Non dubito che i miei buoni Amministrati non abbiano scolpiti nel cuore quegli oggetti più teneri, e cari, che deggiono essere con maggior fermezza e coraggio tutelati, quanto più ponno essere in pericolo: non dubito in fine che ognuno non si ricordi per li funesti' esempi, che pur troppo altre volte si ebbero nel Dipartimento, che i mali che seco porta l’infame brigantaggio sono ancora più funesti di quelli di una guerra regolare, che la viltà od il coraggio de’ Cittadini possono soltanto perpetuarne od allontanarne gli orrori, e che finalmente il sacro deposito


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della sicurezza interna delle persone, e della proprietà è in gran parte affidato allo zelo ed al patriotismo della G. N. cui spetta il custodirle, e mostrarsene degne in faccia al migliore dei Principi, ed al più Grande dei Monarchi.

«Dopo tali riflessi potrò io esitare a credere, che tali massime non siano scolpite nell'animo di ogni mio Amministrato? Si; ne vedo persuase tutte le Autorità, sono certo che si occuperanno di diffonderle ne' Cittadini che rappresentano, e ne prevedo i più felici effetti.

L'amor patrio delle prime, la docilità e buona disposizione dei secondi me ne sono garanti, ed io mi reputo sommamente felice, dacché non avrò altra cura, che da rassegnare al Governo li più vantaggiosi rapporti.

«Ho la compiacenza di confermare alle indicate Autorità la mia più distinta stima.

C. Zacco.

Graziadei Segr. Gen.


Il numero degli insorti cresceva di giorno in giorno. Il Prefetto temendo gravi danni per Ferrara convocò il Capitano dei Carabinieri, il Colonnello


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della Guardia Nazionale, il Podestà di Ferrara, il Comandante la piazza, per discutere e deliberare quali provvedimenti da prendersi per salvare la città e reprimere il brigantaggio.

Fu deliberato di far subito una scorreria alla sinistra del Po, sino ad Occhiobello dove era, in quel giorno, il maggior numero d’insorti.

I carabinieri erano comandati dal loro capitano Croffi, i volontari della Guardia Nazionale e alcuni militi scelti fra i supplenti, dal Colonnello Avventi.

Partirono alle 14 (del 7 luglio) e passato il Po a Pontelagoscuro, si avviarono ad Occhiobello. L’avanguardia, formata di carabinieri a cavallo, a poca distanza dal paese, incontrò alcuni briganti a cavallo i quali, sparati pochi colpi, fuggirono.

I carabinieri gl'inseguirono, ma dovettero retrocedere essendo molestati dai colpi di altri ribelli nascosti tra le messi e nei fossi. I nostri, non vedendo il nemico, sparavano senza colpire e al solo intento di far cessare il fuoco avversario.

Le campane suonavano per chiamare altri insorti in aiuto.

Giunti i nostri ad Occhiobello fra 1 colpi tirati contro loro dai ribelli nascosti dietro le siepi, nelle



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case, nel campanile, il Capitano Croffi dispose i suoi soldati a cavallo nella piazza, di fronte alla chiesa, quelli a piedi con i militi della Guardia Nazionale 'Circondarono le case, arrestarono quanti trovarono armati.

Il tenente dei Granatieri Paolo Bendai giovane di grande coraggio e pronto ingegno, con atto temerario, salì sul campanile e fece prigionieri chi suonava le campano e coloro che tiravano sui nostri. I Cacciatori della Guardia Nazionale erano per la parte maggiore giovani dai 15 ai 18 anni; non curando il pericolo, essi davano la ceccia agli insorti nei campi, fra le messi.

Il Comandante ad evitare inutili perdite ordinò là ritirata. I prigionieri furono mandati per barca a Pontelagoscuro e di là a Ferrara.

Alcuni briganti si erano rifuggiati sopra un fienile, intimata loro la resa, e avendola essi negata, i nostri circondarono il fienile e Paolo Bendai, sfidando i colpi nemici, salì per primo, seguito da' suoi soldati e fece prigionieri quanti non si salvarono colla fuga. Un fuggitivo, saltando dal fienile fu mortalmente ferito di baionetta.

Un altro insorto tirò a breve distanza un colpo


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di pistola contro il Colonnello Avventi il quale rimase, fortunatamente, salvo. Le campane delle vicine ville di Btienta, Flesso, Treconta continuavano a suonare per radunare altri insorti.

Mentre avveniva la scaramuccia in Occhiobello, un' orda di oltre 300 briganti sorprendeva Rovigo, città appartenente al nostro Dipartimento.

I cittadini colti all’improvviso, presi da spavento, corsero a nascondersi, anziché difendersi.

In breve istante la città fu in balìa dei briganti i quali, occupate le torri delle chiese, suonavano per incitare alla ribellione e chiamare in aiuto altri compagni. Aprirono le carceri ai malfattori, devastarono gli uffici pubblici trasportandone e incendiandone le carte, vuotando le casse del denaro pubblico. Gl'impiegati, gli esattori, lo stesso Vice-Prefetto si salvarono nascondendosi.

Case, negozi, magazzini furono saccheggiati. Gli Ebrei furono più d'ogni altro perseguitati e danneggiati. Giunta la notte, un grande incendio di carte e di mobili illuminò tristamente la città.

Il giorno seguente continuarono le estorsioni, i saccheggi, le minacele di morte.

Il Ghetto fu quasi distrutto; famiglie doviziose rimasero punto senza denaro.


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Le campana suonavano di continuo, affine di chiamare dalle ville, altri ribelli. Una Compagnia guidata da un tale Lavezzo della Boara (Dipartimento del Brenta) avendo per insegna una bandiera austriaca eccitava la popolazione a ribellarsi gridando essere vicino l'arrivo degli Austriaci.

Non volendo più oltre soffrire che la sua città avesse ingiurie e danni dai briganti, don Benedetto Carnacina detto Belisario, incominciò ad opporsi ad alcuni di quella masnada.

Altri cittadini arditi si unirono a lui: l'esempio di pochi bastò a risvegliare il coraggio dei cittadini i qual? concordi assalirono gl'insorgenti.

Rimasti uccisi nella zuffa due capobriganti, altri della banda feriti, altri disarmati, nacque l'avvilimento, e in piena rotta uscirono dalla città. Tentarono rientrarvi, ma passata la sorpresa, i cittadini si difesero coraggiosamente.

Il Prefetto lodò l'opera dei nostri militj, e invitò, i ribelli a ritornare ai loro focolari minacciando la severità della legge a coloro che venissero sorpresi colle armi alla mano e continuassero nella ribellione.


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«Un' orda di alquanti sollevati ha osato scorrendo in alcuni Comuni di. là del Po, di traviare dal campestre lavoro il contadino pacifico ed ha trascinato forzatamente l'uomo, probo ad entromettersi spettatore del ladronéccio e del disprezzo, delle leggi.

«Nel giorno di ieri un distaccamento della forza armata già concentrata diretta dal Sig. Capitano Comandante la reale Gendarmeria e composta di Brigate di Gendarmi a piedi è a cavallo e di Guardie Nazionali condotte dal Sig. Colonnello Avventi ha piombato rapidamente sui facinorosi che infestavano la Comune di Occhiobello, una vivissima carica di poche ore, con valore ed intelligenza sostenuta, li sbandò, colpì di morte e di arresto non pochi colle armi alla mano o che suonavano l'all'arme e fece conoscere che basta stendere il braccio del Governo, perché l'infame sia schiacciato. «Sono stato soddisfatto che l’ardore della forza armata non abbia più oltre inseguito i fuggitivi e non siano stati involti nella punizione tanti disgraziati, che mal accorti si fossero frammischiatì con i facinorosi nelle vicine Comuni.

«Sono soddisfatto Che siano già riamesse



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in libertà alcune autorità strappate dal loro posto mentre con la persuasione cercavano di ricondurre i traviati, e che i sedotti mi abbiano fatto conoscere il desiderio della clemenza del governo. Ma devono rimettersi ai loro focolari, quando staccherò di nuovo la forza annata, si trovi, com'io desidero, la calma dov'era il disordine, siano i Cancellieri e le Municipalità che tranquilli al loro poeto, mi possano rappresentare i voti dei sciagurati ed allora gli ascolterò.

«Gli arrestati specialmente colle armi alla mano subirono la sorte fulminata dal R. Dee: 18 Marzo 1809 e se fra questi sfortunatamente qualche contadino vi fosse non intinto di preventivi delitti, sia d'esempio agli altri sedotti onde sia pur isolato il facinoroso, né per timori immaginari o malignosi dì sua sussistenza cui anzi il Governo è tutto intento a favorire, non porti colla sommossa un vero danno alla famiglia, né sì costituisca un esule, un fuggiasco cadendo finalmente sotto il braccio vindice del Governo. (Zacco, 8, VII).

G. A. Soriani nel suo supplemento storico sulla città di Lugo, scrive: «Ai primi di luglio (1809) un Distaccamento di Guardie Nazionali del Cantone


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di Lugo, si recò colla Gendarmeria, sotto gli ordini del Comandante Giuseppe Manzoni, dell’Aiutante Maggiore Alessandro Carnevali, e del Capitano Paolo Borsi, nel Dipartimento del Basso Po, in Portomaggiore, in Migliaro, nelle contigue ville, ove era inserto del Brigantaggio.

Dopo alcuni giorni dissipate le piccole orde di quei male intenzionati, la Nazionale tornò in Lugo con alcuni arrestati, che vennero tradotti a Bologna».

Sembrava che il Dipartimento fesse tranquillo. Le Autorità municipali dei Distretti e dei Cantoni forse nel pensiero di fare cosa gradita al Governo, o perché ignorassero quanto avveniva nelle loro Comuni, annunziavano al Prefetto che tutto era quiete. L’Autorità governativa era persuasa che la ribellione fosse domata, perché Caviiani, fatto prigioniero dai ribelli, era stato liberato, una commissione di Flesso era venuta a chieder perdono, le popolazioni delle ville insorte, si erano rimesse al lavoro, tutto apparentemente faceva credere essere ritornata la calma.

Il Prefetto attendeva a nuove requisizioni, e alla leva dei coscritti, per la guerra contro l'Austria e pensava la ribellione soffocata.


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Era quiete simulata per ingannare la vigilanza e sorprendere i difensori della città.

Quelli della Traspadana venuti a Ferrara narravano con foschi colori quant'era accaduto a Rovigo e nei paesi di quei Distretto. Aggiungevano esservi in vicinanza al Po un numero grande di briganti i quali, passato il fiume, sarebbero arrivati presso Ferrara.

I carabinieri a cui era stata affidata la vigilanza alla sinistra del Po, riferirono che gl'insorgi si radunavano a Stellata e a Gasaglia, minacciando la città. Il comandante la Guardia Nazionale formò una guardia di resistenza a Pontelagoscuro dove era la cassa di Finanza e i magazzini. In città correvano false notizie che mettevano in apprensione i timidi; dicerie sparse ad arte dai favoreggiatori, e accresciute dalla paura. Gli esploratori affermavano che più di 1500 insorgenti erano sulla strada di Pontelagoscuro e marciavano su Ferrara, facendo requisizioni di bestiame, estorcendo denari, sequestrando persone.

A tali notizie furono chiuse le porte della città e messovi a guardia il maggior numero di militi che si poté radunare, altri militi furono posti sulle mura.


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Alle Guardie di Finanza fu affidata la difesa della fortezza, perché più facile al nemico la scalata, essendo stati abbattuti, per ordine del Governo, i baluardi, giudicati inutili.

I. soldati francesi qui rimasti, perché ammalati o convalescenti, presero volontariamente le armi per battersi contro i briganti. Porta Po era custodita da volontari.

Ancora una volta si vide quanto giovi la concordia a vincere il nemico. Tutti, ricchi e poveri, giovani e vecchi si offrirono pronti a prendere le armi in difesa della città.

Temendosi qualche sorpresa dei segreti favoreggiatori dei briganti, le Autorità si erano chiuse in Castello, alzato il ponte levatoio (ora tolto) del rivellino che dà in piazzetta, si entrava solo per la porta maggiore a nord.

La città, il 9 luglio, fu circondata, . al dire di un nostro cronista, da sei mila assedianti che minacciavano, d'abbattere le porte della città, e carvi il sacco.

Verso sera fu comandata una sortita.

I carabinieri e le guardie di finanza erano agli ordini del capitano Croffi e del tenente Marchìofi un centinaio di guardie nazionali condotte


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dal Capo Battaglione Berni e dal tenente dei Granatieri Bendai, alcuni cittadini con a capo Francesco Raspi e Giovanni Lugli uscirono da Porta Po, fecero impeto contro gl'insorti i quali dopo breve combattimento si sbandarono e si nascosero nei fossi e nei campi.

Alcuni di essi rimasero prigionieri, altri feriti, altri morti. Anche in questa mischia si distinse per valore, il tenente Bendai, il quale entrò per una finestra nella casa di dove i briganti tiravano sui nostri, p ne fece cinque prigionieri.

I cittadini curiosi, disprezzando il pericolo, assistevano dalle mura, a questa scaramuccia, applaudendo ed incorando i nostri come fossero a teatro. Grandi applausi quando entrò la Guardia Nazionale coi prigionieri.

Giunti a Milano i rapporti dei fatti qui accaduti, il Governo volendo rimediare a quello che prima non aveva rimediato, dava facoltà al Prefetto di moderare la severità della legge sul macinato.

Il Prefetto scriveva il 9 luglio ai Vice-Prefetti, Podestà, Sindaci, Cancellieri del Censo e Parrochi del Dipartimento.

«Devo lodare la condotta temuta dalle Autorità


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locali in alcuni Cantoni, per dirigere con la dovuta regolarità le richieste degli Abitanti della Campagna, affine di ottenere i desiderati sollievi.

«Aveva già per espresso inoltrato al Governo le istanze promosse dalla maggior parte delle Comuni tranquille, ed una prova del mio interessamento per tutto ciò in cui mi trovo autorizzato, sia la già concessa abolizione del Dazio Macina.

«Questi motivi servir devono dì confidenza ai sudditi fedeli di S. M. per ottenere decisamente le più favorevoli provvidenze.

«Proseguono pure i SS. Parrochi e le Autorità locali a persuadere il Contadino, affinché solamente % limiti a rappresentare i suoi bisogni e le sue istanze, ma che si astenga però, e si allontani dal delitto, dal ladroneccio, dall'attruppa mento, e dal disprezzo alle Leggi, ed alle Autorità stesse. Questa è la sola maniera, per la quale io possa essere avvalorato nel confermare lo ottenute provvidenze, e nel rappresentarle al Governo. Diversamente il proprietario, l'uomo probo e tranquillo ha diritto di difendere la sua proprietà, e la sua persona,sostenuto e diretto dai mezzi delle Autorità locali.

«Insomma io desidero che la forza militare


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sopraggiungesse soltanto nel tempo che tutti fossero ritornati tranquilli alle loro case, e che non si trovasse alcun motivo, ed alcun delinquente per esercitare la punizione del Governo: e si assicuri ciascuno che con la tranquillità e rispetto alle Leggi si otterrà infallibilmente protezione, e deciso provvedimento ai bisogni reclamati.

«Le Autorità locali si affrettino di diffondere, e dì divulgare le presenti mie intenzioni, ed i SS. Parrochi siano zelanti a spiegarle colla opportuna chiarezza anche al povero Villico».

Il Podestà Sacchetti con poche parole invitava i suoi amministrati ad essere tranquilli.

«Sebbene siansi prese dalla Autorità Superiore tutte le misure possibili per assicurare nelle presenti circostanze la tranquillità pubblica, pure non lascio d'invitare tutti i buoni Cittadini in caso a prestarsi per conservarla. Io troppo conosco la loro indole docile, e so che non vi sarà alcuno, che in oggetto di tanto momento si mostri indifferente alla voce della Patria e del pubblico bisogno».

I provvedimenti del Governo, secondo il solito, giungevano tardi, e quando avevano poca efficacia.

I briganti, trovando guadagni insperati


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nei saccheggi e nelle rapine, non ascoltavano il consiglio del Prefetto che li invitava a deporre le armi e ritornare in famiglia, e siccome il far denari senza fatica alletta molti, le bande degli insorti, anziché diminuire, aumentavano.

Dopo avere incendiato le carte dell'archivio di Bondeno, e rubata la cassa comunale, i briganti ritornarono più numerosi sotto le nostre mura, derubarono il fattore della Sanmàrtina, incendiarono l'archivio del Sindaco di San Giorgio.

Nei dintorni, a Mizzana, a Quacchio suonavano le campane per chiamare contadini ed operai ad unirsi volontariamente, o forzatamente agl'insorti. Il Prefetto ad evitare falsi allarmi, ordinò che in città, per nessuna ragione, si suonassero, le campane.

TI giorno Il luglio la città era bloccata da circa quattro mila briganti e nessuno poteva più entrare, che uscire. Costoro avevano posto il loro quartier generale nel palazzo Redin e si erano fortificati nei borghi di San Giorgio e di San Luca.

Mancando soldati dell’esercito, furono invitati i cittadini a inscriversi nella milizia cittadina, affine di mantenere l'ordine e difendere la città.

Uomini di ogni classe, nobili e plebei, giovani e vecchi si presentarono volontariamente.


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A diminuire il numero dei malcontenti per la mancanza di lavoro, fu promessa la paga di soldi 30 al giorno a chi accettava fare guardia. Sopra una torre del Castello furono posti militi ad osservare le operazioni degli assedianti. Sentinelle furono collocate lungo le mura, e di notte, ad ogni breve intervallo dovevano dar segno di vigilare. Quindici pattuglie di circa 20 uomini ognuna percorrevano le vie per evitare sorprese ed impedire qualunque moto potesse favorire il nemico, essendovi in città facinorosi che desideravano i! saccheggio.

Gli Ebrei, memori dei danni 'sofferti e. del pericolo corso nel 1799, temendo di peggio, taluni di essi affidarono, a famiglie cristiane, oggetti preziosi o cari, altri si armarono, prestarono servizio militare, offrirono somme per la difesa, usarono il trattamento migliore ai soldati che facevano guardia al Ghetto.

La città, bloccata di sorpresa, mancava d’armi e di munizioni, scarsa la provvista di farina, più scarso il denaro per le spese inevitabili in un assedio. Avrebbe potuto il Prefetto, nella necessità di difesa in cui si trovava il paese, servirsi della cassa di Finanza, la quale conteneva grossa somma;


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ma egli temendo la disapprovazione del Governo di cui conosceva i bisogni urgenti per la guerra che si combatteva contro lAustria, si opponeva provvedere in tal maniera.

. Il grave danno che ne sarebbe venuto alla città, qualora non s' impedisse con ogni mezzo l’entrata ai briganti, indusse quaranta cittadini dei pili ricchi ad adunarsi sotto la presidenza del Podestà Antonio Sacchetti affine di discutere quali provvedimenti da prendersi, invitando ad assistere alle adunanze il Prefetto, con. solo voto consultivo.

Fu deliberato di" prelevare quattro mila scudi dalla cassa di Finanza, e provvedere subito a fabbricar polvere, acquistar armi per l’interna difesa, mettere in azione i mulini a cavallo dei Piastrini. Fu eletta una Commissione di difesa con ampi poteri, ne facevano parte il Prefetto, il Podestà, il Colonnello Comandante la Guardia Nazionale, il Capitano comandante i carabinieri.

Il Prefetto da prima si oppose a tale deliberazione; ma avendogli fatto conoscere che in caso dì sua resistenza, i cittadini, nelle cui mani erano la forza e il diritto di difesa, ne avrebbero usato loro malgrado, anche contro la volontà di lui, persuaso dai consigli di persone autorevoli,


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ed amiche, fra i due mali scelse il minore, cedette a condizione fossero tolte dal verbale dell'adunanza, alcune frasi che a lui non piacevano.

Il pericolo imminente fece concordi e attivi, Autorità e cittadini: tutti giovani e vecchi cooperavano alla difesa; chi a far guardia dove abbisognava, chi a far parte delle pattuglie notturne; chi attendeva a provveder vettovaglie, chi alla distribuzione della farina e dei commestibili; altri a soccorrere i poveri e sovvenire gli operai senza lavoro.

In città vi erano taluni, pochi, in vero, i quali o per avversione al Governo o per desiderio di saccheggio, per altre ragioni, desideravano l'ingresso dei briganti, essi erano sorvegliati e poco potevano nuocere.

La fabbrica di polvere fu posta nell'ex Convento della Certosa sotto la direzione dell’ing. Giuseppe Campana.

Un operaio poco esperto pestando in un mortaio di marmo, originò lo scoppio della polvere.

Vi furono quattro morti, cinque feriti gravemente dei quali due mutilati.


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I fabbricatori di nitro erano stati collocati nell'ex Convento di Sant'Andrea.

Furono raccolte armi da ogni parte. Si presero i fucili che servivano per gli esercizi militari agli alunni del nostro Liceo Convitto, e quelli dell’Orfanotrofio di San Giorgio. Gli stessi orfani dell’età dai 16 ai 20 anni furono chiamati a prestar servizio.

Considerando di quanta utilità sarebbe possedere almeno un paio di Cannoni, si raccolsero 1932 libbre di rame, 1241 di ottone, e 397 di bronzo di campane, e si tentò di fondere due cannoncini; mancando gl'istrumenti necessari, la prova non riuscì. Il valente meccanico Pier Torquato Tasso fece altre prove, invano.

Mancava la farina, non essendo stato preveduto il blocco, e si misero in azione 6 macine, come si disse, ai Piastrini, macinando coi cavalli dati per turno dai nobili.

Quaranta ricchi cittadini vestiti in divisa, armati e con cavallo proprio, giorno e notte, alternandosi,facevano volontari la pattuglia e da informatori, portando alle Autorità che stavano in Castello le notizie raccolte dai Capi posto e dai difensori delle porte della città.


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Le bande dei ribelli erano male ordinate, non vi era unità di comando, ciascuna compagnia operava per suo conto, donde la loro debolezza e le loro sconfitte.

Alquanti insorti a cavallo percorrevano la strada di circonvallazione, altri con una spingarda, dal campanile di S. Giorgio, molestavano i nostri posti di guardia, in vicinanza sulle mura.

Verso sera del 14 luglio si udirono rullare tamburi e clamorose grida verso Quacchio, indi si videro avanzare i briganti ed appostarsi dietro le fabbriche dei doganieri, presso Porta Romana, e di là tirare sui nostri.

Il Colonnello della Guardia Nazionale radunò un centinaio di militi in piazza, con ordine di recarsi dove venissero chiamati; altri cinquanta furono posti alla Porta minacciata, e un centinaio di cittadini volontari, chiamati dai colpi di fucile,erano accorsi dove credevano occorresse una maggiore difesa. Gl'insorti spinsero un carro carico di paglia e di legna contro la Porta allo scopo d'incendiarla, ma bersagliati dai nostri, dopo tre ore dì combattimento si ritirarono portando seco i loro morti e i loro feriti.


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Mentre accadeva questa scaramuccia a Porta Romagna, un altro tentativo senza riuscita, si faceva dai briganti presso Porta Reno. Tutta la notte e parte del giorno seguente, dall'una e dall'altra parte, si tiravano colpi di fucile, e la città era in continua apprensione.

I ribelli avendo arrestato un messo del Governo e appreso da lettera (Sequestratagli, che soldati bolognesi venivano in aiuto di Ferrara, chiesero di mandare tre loro parlamentari.

Accettata la proposta, i tre scelti furono Don Luca Bonetti, d'anni 80 Rettore di San Luca, Antonio Bonsi d'anni 40 fattore nella Sanmartina, uomo probo; e Alberto Bonaia di Ferrara, d'anni 53 possidente, sospettato avesse aderenze coi briganti. Si avvicinarono a Porta Reno sventolando un fazzoletto bianco.

Appena entrati, i parlamentari furono circondati da soldati a piedi, e da carabinieri a cavallo, passando nelle vie, tra molti accorsi per curiosità, furono condotti avanti al Prefetto, al Podestà, ai Comandanti militari. Chiesto loro che cosa domandavano, rispose il Bonaia con alterigia, essere incaricati di proporre di togliere il biacco a condizione di un perdono generale a tutti i ribelli,


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e loro aderenti; venti mila scudi effettivi, e tolta l'imposta sol macinato.

Rispose il Prefetto non poter in alcun modo trattare con individui ribelli alla legge: non essere in potere delle locali Autorità promettere il perdono, se prima non fosse stato sciolto ogni illegale attruppamento; che si sarebbe chiesta grazia, quando fossero state deposte le armi e ciascun ribelle ritornato in seno alla famiglia; in allora egli si sarebbe fatto mediatore per ottenere la sovrana clemenza.

Aggiunse essere per propria bontà che li rimandava liberi, considerandoli come individui che desideravano la pace, anziché quali rappresentanti degli insorti.

Mentre in Castello si trattava di pace, alcuni ribelli si appressarono alla fabbrica delle guardie daziarie incendiandola. Fu fatto notare ai parlamentari quanta poca fede meritassero coloro che essi rappresentavano, i quali mandavano a trattare di pace, mentre incendiavano la proprietà del Comune di tali modo davano a lui il diritto di usare rappresaglie sulle persone dei loro rappresentanti, se la pietà. non fosse nei cuori


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delle Autorità superiore alla perfidia dei ribelli.

Chiesto in quanti erano i loro compagni.

Bonsi rispose: Circa tre mila.

Bonaia soggiunse con voce sprezzante: Noi siamo in dodici mila.

Terminato il colloquio i parlamentari furono di nuovo circondati da. soldati e da carabinieri e condotti a Porta Reno senza che alcun altro potesse con loro parlare.

Correva voce essere imminente l'entrata dei briganti in città e la Autorità militare era per ordinare una sortita, quando gli esploratori annunziavano, la mattina del 10, vedersi in lontananza un drappello di dragoni francesi provenienti da Bologna.

Era l'avanguardia di una colonna di soldati di varie armi, e di una compagnia della Guardia Nazionale di Bologna comandata dal Generale Gabrinscki polacco, il quale dopo avere militato nell'esercito francese, messo a riposo, viveva in Bologna.

Arrivati a breve distanza dalla città spararono alcuni colpi di cannone per avvisare gli assediata.

Le Autorità uscirono da Porta Reno ad incontrarli, accompagnati da un drappello


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di volontari a cavallo.

Dopo breve colloquio, si convenne nel piano d'azione contro gli insorti. Il colonnello Avventi rientrò in città, per uscire poi da Porta Po, allo scopo di respingere i briganti che si trovavano da quella parte, contro i soldati del Generale.

Gli insorti all'arrivo della truppa si sbandarono parte verso Quacchio e parte verso Mizzana. e in quelle vicinanze. Il Colonnello Avventi co’ suoi militi della G. N. andò colà entrando al galoppo in paese.

Nella piazza vi erano pochi i qiaii, vista la truppa di lontano, fecero alcuni colpi 'di fucile per avvisare i compagni poi si diedero alla fuga.

Gl'insorti in buon numero avevano cercato rifugio nella chiesa. Messe sentinelle alle porte del tempio, alla porta della casa parrocchiale, la truppa entrò in chiesa mentre il prete era per celebrare la messa.

Quale paura ne provassero le donne e i fanciulli lo lasciamo immaginare al lettore.

Fosse per rispetto al luogo sacro, fosse per la sorpresa, non vi fu resistenza. Alcuni dei ribelli consegnarono le armi, altri le nascosero sotto i banchi, o presso gli altari, di dove furono raccolte.


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Arrestati quelli conosciutiti appartenere al brigantaggio, gli altri furono lasciati liberi. I nostri ritornarono in città coi prigionieri e colle armi radunate, accolti senza essere molestati per via.

Il gen. Gabrinscki aveva presa la via di S. Luca e di S. Giorgio, non dando quartiere a quanti gli cadevano nelle mani. Sei briganti sorpresi all'osteria dell'Incudine, mentre si preparavano a mangiare furono gettati dalla finestra (cron. Altieri).

Fu ucciso chi nel campanile di San Giorgio suonava campana all'arme.

Fuori Porta Mare eravi una casa abitata da una buona famiglia di ortolani, la quale non aveva alcuna relazione con i briganti. Costoro, entrati colla forza, facevano fuoco dalle finestre sui nostri. I soldati riusciti ad entrare, credendoli tutti briganti, tutti li uccisero eccettuato un fanciullo di 6 anni nascostosi sotto un acquaio. Trenta e più furono i ribelli morti e molti i feriti.

Il nostro Comune a mostrare la sua riconoscenza al 'Generale Gabrinscki gli regalò un cavallo da sella e ai suoi saldati 500 scudi A festeggiare la liberazione della città dal blocco, alla sera si fece illuminazione, si ammirarono per bellezza la facciata del Teatro, il Palazzo arcivescovile,


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il Castello, il Ghetto. In quella sera fu riaperto il Teatro, dopo essere stato chiuso duratine il blocco. Fu rappresentata l'opera «Ginevra di Scozia», con ballo. Il popolo ebbe libero ingresso.

Grandi onori furono fatti al Generale Gabrinscki dal Prefetto, dal Podestà e dal Comando Militare. Si ringraziarono pubblicamente soldati e cittadini che volontari aiutarono nella difesa e nella liberazione dei blocco. Un elogio fu fatto al Colon, comandante la Guardia Nazionale, al Capo Battaglione Beirni, al Tenente Bendai, al capitano dei Carabinieri: fra i volontari furono degni di Idde Francesco Raspi, Gio: Lugli, Ferdinando Gavassini.

In otto giorni di stretto assedio né commestibili, né ortaggi aumentarono di prezzo. Altri tempi, altri costumi.

Se in questi nostri anni fosse avvenuto disgraziatamente il blocco, i generi alimentari sarebbero aumentati esageratamente di valore. La moralità era in allora regola. suprema della vita pubblica, e pochi, e segnati a dito coloro che per brama di godimenti, non guardavamo a mezzi per procurarseli. In quegli anni, meno rarissime eccezioni, chi era preposto alle amministrazioni



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pubbliche anteponeva l’interesse del paese al proprio, erano uomini disposti al sacrificio per il bene altrui.

Il Prefetto pubblicò un manifesto elogiando l'opera di quanti cooperarono alla difesa della città, e alla cacciata dei briganti, raccomandando ai traviati di deporre le armi, ritornare in seno alla famiglia, e quando avessero dato provai di fedeli sudditi, egli avrebbe invocata la sovrana clemenza. Invitava i detentori di animali o oggetti derubati o saccheggiati a consegnarli.

«Nella giornata del 16 corrente si è avverato il severo esempio replicatamente enunziato della forza militare la quale ha sorpreso gli ammutinamenti che ardirono di stringere questo Capoluogo. Una colonna di cavalleria e infanteria di linea, di artiglieria e Guardia Nazionale del Remo, comandata dal Sig. Generale di Brigata Grabinscki, e «che avrà un eterno tributo della riconoscenza ferrarese, piombò innaspettatamente sopra costoro disperdendoli in poche ore; que«sta benemerita Guardia Nazionale, anzi tutti i cittadini atti alle armi sortirono per ogni lato, si aggiunsero ai prodi liberatori della Città, li precedettero ancora in alcuni punti principali


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ove i facinorosi si radunarono e furono sostenuti dai capi della Reale Gendarmeria che fu sempre instancabile e valorosa compagna della difesa indefessa dì Cittadini, in mezzo alle lodi uni«versali il Governo riconoscerà i nomi principali che per grado coraggio e direzione si distinsero.

«Prima che gli sbandati siano nuovamente raggiunti non lascierò mai di raccomandare ai traviati perché ritornino o rimangano pacifici nelle loro case né più si uniscano al delinquente abbastanza smascherato nelle perfide sue viste, diano delle dimostrazioni di pentimento e di nuova fedele sudditanza ed io non mancherò d’implorare la sovrana clemenza per loro. Saranno separati i Capi rivoltosi dai sedotti e piuttosto che La sorte cui dovranno essere soggetti i primi, sia per i traviati il sentimento di probità, di Religione, e di sovrana fiducia, di amore alle loro famiglie da cui, un istante deviarono, sia quello che ridoni la calma all’intero Dipartimento.

«Sia. questo sentimento che ani«mi coloro presso cui si trovassero degli effetti, animali, generi, e tutt'altre cose depredate, a rimetterle presso


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i rispettivi proprietari, e caso mai si sapessero ove fossero trafugati, o non si conoscesse il rispettivo padrone, se ne faccia la consegna, o se ne «informi le Municipalità i Signori Parrochi locali; e quando si credesse più opportuno si ricorra alla Municipalità e Cancellieri dei Capoluoghi de’ Gantoni, e tali articoli verranno poi rilasciati a chi si presentasse con indizi fondati di proprietà e potesse ad ogni evento garantire la restituzione in caso di equivoco, o di diversa giustificata provenienza.

«Verun altra vista privata, ma soltanto questa principale dimostrazione di onoratezza induca ciascheduno che si trovasse nel caso a non Contaminarsi con la «ritenzione o l'occultazione delle proprietà, che non già il diritto di guerra, ma il ladroneccio ha «strappato dalle languenti e danneggiate famiglie.

«Alle Autorità locali, e specialmente ai Signori Parrochi, che in quest'epoca sfortunata di traviamento mi hanno date prove di vero zelo religioso, e di attaccamento al Sovrano, raccomando fervorosamente tutta quella insinuazione che è loro propria, perché abbiano il più esatto effetto queste mie intenzioni» (19 Luglio).



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Il Podestà pubblicava: «Non ho potuto vedere 'senza la più sensibile emozione l’entusiasmo della valorosa Guardia Nazionale, e generalmente di tutti i buoni Cittadini nel correre alla difesa della Patria in pericolo, dimostrando in questo funesto incontro un carattere fermo, uniforme, e degno dei più fedeli sudditi del GRANDE, che ci governa. L’esito ha corrisposto ai comuni voti e col vigore, e coll'unione, si ha potuto resistere, anzi respingere gli assalti degli inimici d’ogni ordine sociale e dell’umanità che attentavano alla distruzione di ogni bene e delle nostre Famiglie; ma un'opera con tanto vigore intrapresa, deve condursi a fine. Lo domanda la Patria, l'onore ed il nostro istesso interesse.

La sola unione della forza e della volontà di tutti i buoni spogli di qualunque riguardo particolare potrà conseguire lo scopo cui aspiriamo.

Non mancheranno i soccorsi, ma frattanto continuino i bravi Cittadini di tutte le classi volontariamente a presitarsi alle Pattuglie notturne, all’armamento dei Posti, insomma alla pubblica difesa; e qui raccomando vivamente la restituzione


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delle amni alla pubblica Armeria ingiunta espressamente coi miei Avvisi 11 e 14 corrente tanto riguardo a quelli che tuttora le ritenessero presso di sé per prevalersene all'occasione tanto a chi compiuta la Guardia si rimette alla propria casa, mentre da questo indispensabile ordine può dipendere la sicurezza pubblica, troppo importando che il deposito delle armi sia tenuto a numero, allestito e pronto ad ogni evenienza.

«Si rendano così ubbidienti tutti i Cittadini alle discipline disposte pel pubblico bene, e le Autorità locali avranno ogni cura di umiliare ai piedi del Trono i risultati del coraggio, e del loro impegno per la salute della Patria e per la gloria del Sovrano».

Dopo la partenza del. Generale Gabrinscki si continuò la vigilane za, affine di essere preparati ad ogni sorpresa. Era terminato il blocco, ma non erano spenti i briganti.

Costoro infestavano la campagna, e gli agricoltori non potevano sorvegliare personalmente i lavori campestri, ne i ricchi potevano andare nelle loro ville. Alcuni di campagna vennero per sicurezza a soggiornare in città portando seco gli oggetti di valore e mettendo al sicuro quanto non potevano trasportare.


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Nei villaggi continuavano i briganti nei saccheggi, negli incendi, nelle rapine, nelle aggressioni, negli omicidi. Quanti ritenevano spie, li fucilavano. I Municipi venivano devastati, abbruciati gli archivi. La nostra milizia non bastava a reprimerli. Quando i soldati erano in maggior numero, i briganti nascondevano le armi, prendevano strumenti rurali e fingevano lavorare; quando i soldati erano pochi, i briganti si riparavano nei fossi, dopo le 'siepi e sugli alberi e tiravano contro i nostri. Tra i capo briganti uno dei più temuti era un tal Baschieri d’anni 32, disertore nativo in quel di Bologna.

Il 20 luglio arrivò il Generale Pevri che per ordine del Ministro della Guerra prendeva il comando militare dei tre Dipartimenti del Reno, del Basso Po, del Rubicone. Egli comandava circa 1300 soldati; 800 italiani, 500 francesi, ai quali si aggiunsero poi altri 500 soldati del 3.° Reggimento Italiano comandato dal colonnello Levie.

Furono formate varie colonne mobili e mandate in. perlustrazione nei vari distretti. Quante armi venivano trovate, e da chiunque possedute erano sequestrate e mandate a Ferrara.


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Si arrestarono quanti furono indicati quali favoreggiatori partecipi del brigantaggio. Il numero dei prigionieri fu grande: essi furono posti nel!' ex chiesa di San Romano, altri nell'ex convento di S. Paolo, altri nell’ex oratorio di S. Stefano; i maggiori delinquenti nelle prigioni del Castello.

A punire i ribelli presi colle armi alla mano o arrestati come capi, fu dal Generale di Divisione Fiorella, in adempimento dei Decreti Imperiali e Reali 17 messidoro A.

XII e 18 maggio 1809, eletta una Commissione militare composta dei signori: Cav. Levie colonnello del 3. o Regg. Italiano, Presidente.

Groffì, Capitano della Reale Gendarmeria.

Gaddi, Capitano IT. di Comandante d’arme.

Uganini, Capitano Comandante la Riserva.

Agliati, Capitano del 3.° Regg. italiano ff. di Relatore.

Marchiori, Tenente della Reale Gendarmeria.

Duplan, Tenente del 3. o Regg. italiano.

A Cancelliere fu chiamato dal Capitano Relatore Agliati, il Sig. lGabriele Manfrini.

La Corte di Giustizia giudicava i rei di delitti comuni, la Commissione Militare i ribelli.



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Il Colonnello Levie odiava i briganti, avendo, a cagion d'essi, si diceva, perduta nelle Provincie meridionali, persona a lui cara, e contro essi operava senza pietà facendo fucilare nelle campagne, quante persone cadevano in sue mani, in sospetto di brigantaggio; i suoi soldati maltrattavano coloro sui quali cadeva dubbio avessero giovato ai briganti. Egli pensava non essere colla mitezza o colla pietà che si domano i sediziosi. Il terrore sparso nelle campagne fu grande e contribuì a diminuire le numerose bande e a riunire i ribelli, non ancora caduti nelle mani della Giustizia, affine di essere forti e vender cara la vita. Buon numero di costoro si era ritirato verso Marrara, e verso le paludi bolognesi per nascondersi pili facilmente fra le piante palustri e con più difficoltà essere sorpresi dai soldati. Anche i ribelli bolognesi si erano rifuggiati da quelle parti e presto si unirono ai ribelli ferraresi.

Il Generale Pevri, lasciata Ferrara, da Bologna dirigeva il comando militare dei tre Dipartimenti affidatigli.

La poca truppa rimasta tra noi, rese ancor


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più audaci i briganti, i quali spingevano le loro incursioni sino nelle vicinanze della città.

Taluno contrario ai mezzi crudeli per reprimere la ribellione proponeva s'inducessero gl'insorti a cedere le armi, con atti di bontà, coll'essere generosi e non crudeli verso di essi.

Il Prefetto il quale cercava ogni via per dare pace a questo suo Dipartimento avrebbe tentata anche questa prova; ma le Autorità militari vi si opponevano, giudicando atto di debolezza operare in tal guisa con gii insorti, non essendovi cosa maggiormente dannosa per un Governo, quanto quella di mostrarsi debole. E' da notare che gli uomini non hanno rispetto di offendere un Governo imbelle; ma si guardano dal mancare alle leggi quando esso è forte, <poiché il timore è tenuto da paura di pena che non abbandona mai, per ciò prevale in molti la massima essere più utile un Governo temuto che solamente amato.

Il Prefetto con altro proclama del 12 agosto invitava di nuovo i ribelli a deporre le armi e a dar prova di fedeltà al sovrano, restituire gli oggetti non propri affine di ottenere perdono.




REGNO D'ITALIA

Il Prefetto del Dipartimento del Basso Po

A' suoi amministrati

«Penetrato 'profondamente dai molti mali prodotti dal Brigantaggio, che per somma sventura afflisse questo Dipartimento, che aveva date in circostanze più difficili tante prove di fedeltà e di rispettosa sudditanza, ho poi trovato un grandioso compenso nel rilevare dai rapporti pervenutimi, che fra i miei Amministrati il minor numero fu quello dei veri colpevoli, e ohe il maggiore fu dei traviati, sedotti forzati. Di gran conforto mi è pure il vedere e sentire che sia in gran parte rimesso l'ordine, e come tutti li buoni Cittadini uniti in una sola retta volontà si occupino incessantemen te per allontanare quei nuovi mali, che alcuni inveterati nel delitto, benché sbandati dalle sempre vincitrici Armi del nostro Sommo Sovrano, vorrebbero apportare in quei Comuni, che più si distinguono nell'osservanza delle Leggi.

«Non ignoro, miei buoni Amministrati, che vi sono taluni di animo vile o perverso, ohe vanno spargendo fra voi sognate menzogne per allontanarvi dal vostro vero interesse, ed immergervi in un abisso di mali; riflettete però un istante chi sia, che tenta sedurvi, ed ingannarvi,



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e dovrete meco convenire, che altro non trovate, che l'uomo coperto di delitti, che cerca di aver seguaci colla lusinga dì poter così più a lungo sottrarsi al la vindice Spada della Giustizia, che lo insegne, ovvero quegl'insensati che pascolano un riprove vole ozio, od una malnata passione di partito, traendo in luttuoso inganno il pacifico agricoltore, l'uomo debole, o l'idiota.

«Chiudete l'adito a qualunque perfida insinuazione: non ascoltate simili mostri, allontanateli da voi, fuggiteli; vogliono essi, ve lo ripeto, gettarvi in un'immensità dì mali, vi vogliono render colpevoli per ridurvi poscia nella dolorosa situazione di dover star raminghi dalle vostre case, lontani dalle vostre mogli, dai vostri figli, da quanto avete di più caro, ed abbandonati poscia ad un tanto rimorso alla più desolante disperazione. Vi sia di tristo, ma salutare esempio la popolazione Tirolese, che animata da' suoi interni, ed esterni nemici alla ribellione, è stata ora, da quegli stessi, ne' quali riponeva ogni sua speranza, abbandonata al proprio lagrimevole delirio, ed a tutte le funeste conseguenze di quoi tanti mali, che ha così insensatamente provocati.



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Date un' occhiata a quell'infelice non lontano paese, e comprendete a quali errori e terribili disgrazie, vadano sottoposti que' sudditi, che sono tanto sventurati da dimenticarsi i loro doveri verso lo Stato.

«Illuminati di sì imponente Aderita comprenderà ognuno di voi che il primo ed il più sacro dovere si è quello di una perfetta subordinazione alle leggi, di un illuminato amore e rispetto al più GRANDE DEI SOVRANI, nella di cui possanza, munificenza e clemenza dovete tutto confidare. Ciò v' impongono la Religione che professate, i doveri di Cittadino li vostri interessi; ed a ciò vi richiamo pel vostro miglior bene; così operando vi mostrerete degni dì quella fiducia, che il GRANDE recentemente disse al Senato del Regno, avere riposta negli Italiani.

«Voi non vi allontanerete, io ne sono certo, dalle vie dell’onore, che furono sempre calcate da vostri maggiori. Se un istante di traviamento vi trasse in parte dal retto sentiero, ascoltate ora la mia voce: io che mi ascrivo a somma ventura il trovarmi in mezzo a Voi, vi parlo qual Padre, mi occupo dei vostri parziali interessi non voglio vedere i vostri affanni, voglio essere presso il Governo


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il mediatore della vostra felicità, voglio implorare per la maggiorità la somma Clemenza, e sui pochi provocare un esemplare castigo.

«Il sig. Commendatore Generale Pevri Comandante li tre Dipartimenti del Basso Po, Reno, e Rubicone, si è compiaciuto comunicarmi di aver dati gli ordini li più precisi, perché la Truppa non molesti chi è ritornato pacifico ai propri focolari, e perseguiti soltanto gli Armati, li Capi, Promotori, e fautori principali del Brigandaggio, e i rei dei più gravi delitti.

«Il traviato, il sedotto, il forzato, che ora va ramingo, rientri nel seno della sua famiglia; mi faccia conoscere col mezzo della Autorità locale il suo vero pentimento, dia prove di essere. ritornato Cittadino, restituendo o alle Autorità, od ai Parrochi quanto un momento di delirio gli pose tra le mani, che non gli apparteneva, riaprendo i suoi negozi, riprendendo la coltura de’ Campi, attendendo alle Arti, ed al Commercio, ed io solennemente prometto, che mi farò presso il Governo l'interprete de’ suoi intimi sensi, umilierò le sue preci, implorerò per esso la Sovrana Clemenza.

«Una pace, frutto immortale delle immense cure e fatiche del nostro Invincibile Monarca


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viene già a coronare li vostri sforzi per bene dello Stato, li vostri voti pel comune vantaggio, i vostri sudori per la prosperità delle Arti, dell’Agricoltura, del Commercio, di ogni ramo d’industria. Acceleratene voi stessi l'epoca fortunata, e preparatevene con irreprensibile condotta li più benefici risultati.

«Le mie cure però non potranno mai impegnarsi per li Capi Promotori e Fautori principali del brigandaggio, e per coloro che si macchiarono di gravi delitti. Molti di costoro caddero già nelle Forze. Se qualche malvaggio della loro sfera rimane tuttora nascosto nel folto delle Campagne, o delle Valli, non si lusinghi di restarvi per molto tempo, sicuro ed impunito. Le decise misure all'uopo adottate, e preparate faranno ben presto cader nelle forze gli scellerati, che un Governo fermo, e giusto dee condannare alla pubblica esecrazione, e vendetta. Questo terribile, ma necessario momento di punizione è più prossimo di quello, che l'altrui malizia possa immaginare, o far credere. Voi miei buoni Amministrati, che vi abbandonate ad un'irragionevole timidità, che esitate


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a rientrare in seno alle vostre famiglie, voi chiamo, per quanto avete di più caro, sollecitare la vostra separazione da coloro che sonosi coperti d'infami delitti, giacché ora è imminente il punto della vostra salvezza, della vostra perdita. Lasciateli isolati, state sicuri, ve lo ripeto ancora una volta, in seno alle vostre Famiglie, in mezzo a' vostri travagli: rigettate le infami suggestioni dei perfidi, e siate corti, che una severa, ed impavida giustizia colpirà soltanto coloro, che attentarono ne' più esecrandi modi alla vostra tranquillità, alle vostre sostanze, alla pubblica e privata sicurezza. Per animarvi maggiormente a disprezzare le minacele degli scellerati autori delle vostre disgrazie vi citerò il Comune di Crespino che collocato in mezzo all’orda più fiera di Briganti, protetti dalle difficili situazioni locali, seppe, con lodevolissimo esempio resistere alle loro perfide insinuazioni, alle più fiere minaccie, li respinse replicatamente, e nemmeno un solo de’ suoi Abitanti violò la fede ultimamente giurata. Vi citerò le popolazioni di Comacchio, e Lago Santo, che non permisero che i loro Territori, fossero violati dall’infame brigandaggio, ed inoltre li Comacchiosi che chiesero,



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ed ottennero dall’Ottimo Principe, l'inclito Nostro VICERE l'onore di farsi difensori del littorale, da cui replicatamente respinsero gli eterni nemici del riposo continentale; molti altri esempi potrei additarvi, ma parlando io a persone che conoscono come me que' Comuni che si acquistarono un titolo alla pubblica riconoscenza, e ai superiori riguardi mi dispenso dal numerarli.

«Ognuno però sarà convinto che ove regna unità di pure intenzioni, gli scellerati non osano penetrare, e che questo è il solo mezzo di allontanare i mali, de’ quali sono apportatori.

«Le Guardie Nazionali sopratutto sono quelle, cui viene confidato il sacro deposito della pubblica quiete, e sicurezza. Diedero esse indubbie, ed anzi segnalate prove di conoscere l'importanza di un tal pegno, né vorranno al certo smentire pel tratto successivo quella confidenza, che in loro fu riposta.

«La maggiorità de’ Signori Parrochi del Dipartimento gareggiò nel distinguersi per la. pubblica quiete, e mantenimento dell'ordine: ad essi spetta, ed io lì prego istantemente a leggere dal sacro Altare per tre feste consecutive


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questo mio Proclama al loro gregge; ad essi appartiene il far gliene la letterale, e più intelligibile spiegazione, . specialmente per ciò che riguarda le liberali intenzioni del Governo d'i 'far perseguitare dalla forza non li traviati sedotti, ma coloro che sonosi coperti de’ più gravi delitti.

Questo interessante articolo, che riguarda la pubblica quiete è fra li principali doveri del loro pacifico ministero; tanto loro impone l’augusta Religione dello Stato; Ispirino essi tranquillità, obbedienza, fiducia e sopratutto non permettano, che i sacri bronzi destinati a chiamare il Popolo ad adempiere i doveri di Religione, divengano giammai gli stromenti del delitto, il segnale d'ella ribellione.

«Tutti li Cittadini costituiti in Autorità, od occupanti pubblici impieghi sono richiamati a coadiuvarmi pel miglior vantaggio di quest'interessante Dipartimento; si ristabilisca appieno l'ordine, si riassuma la regolare amministrazione dei pubblici affari, dove fossero per avventura negletti, e fermo ognuno al suo posto si mostri buon Cittadino, e meritevole della confidenza del Governo.»



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«Non può sfuggirmi un altro interessante articolo, qual è quello del ricupero degli atti e documenti pubblici, che o dalla benemerita previdenza di molti Funzionari ed Impiegati, o dalla buona disposizione di zelanti Cittadini furono in molti luoghi salvati dalla devastazione e dall’incendio.

Qualunque detentore per qualsiasi titolo di atti, o registri pubblici si affretti a consegnarli entro tre giorni all’Autorità, od Ufficio cui appartengono, e niuno osi per qualsiasi titolo o pretesto di esimersi da questo doveroso, e necessario incarico, poiché spirato ii termine fissato, oltre il perdere il titolo acquisibile alla pubblica o privata riconoscenza, dovrebbe renderne stretto conto al Governo.

«Abitanti del Basso Po, io vi dissi tutto ciò che può richiamarvi all'ordine, alla buona disciplina, alla confidenza del Governo; non esitate a seguire la mia voce, gli timidi, gl'irresoluti si fidino di chi ha tutta la cura de’ loro veri interessi; le Autorità, gl'Impiegati mi corrispondano, mi domandino le istruzioni, i consigli de’ quali abbisognano; aprirò ad essi gli Archivi Prefettizi,


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non tarderò un istante dall’occuparmi a loro vantaggio, dal somministrar loro tutti i lumi, e le cognizioni che potrò avere. Li Sigg. Parrochi mi Coadiuvino col loro zelo, e chiamino in soccorso i veri principii della Religione.

Li buoni Cittadini infine mi onorino della loro impegnata cooperazione, ed io con tali m. ezzi non so più dubitare, che questo Dipartimento non sia per offrire quanto prima il più soddisfacente quadro di pubblica tranquillità, e sicurezza, e di regolare amministrazione, e riescasi a dimenticare ben presto le immagini dolenti delle passate sciagurate vicende.

Ferrara 12 agosto 1809.

C. Zacco Il Seg. Gen.

Graziadei


Gli insorti diffidavano delle promesse, essendo avvenuto che i soldati, o per soli indizi o per false denunzie, avevano arrestati lavoratori e sottoposti ai giudizi dei Tribunali.

Gli abitanti in campagna o in luoghi percorsi dai briganti si trovavano male, e non sapevano a qual santo votarsi.



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Se davano ricovero vito ai briganti, erano puniti severamente dalle Autorità; se non ubbidivano alle ingiunzioni dei ribelli incontravano la loro vendetta, uccisioni, incendi. Siccome i rappresentanti la Legge non erano sempre presenti, ì contadini, temendo di peggio, nascostamente e spesso forzatamente favorivano il brigantaggio. Non poche famiglie di campagnoli si erano trasferite in città per salvare almeno la vita.

A Portomaggiore i briganti avevano estorto una grossa somma di denaro promettendo rispettare il paese e gli abitanti; avuto il denaro, non mantennero la promessa.

Taluni abitanti di quel Comune si armarono e condotti dal Capitano ff. di Capo Battaglione della Guardia Nazionale Sig. Carlo Imperiali, si opposero e respinsero una grossa banda che per la seconda volta tentò entrare in quel paese. Quest'atto di lodevole coraggio bastò, perché più non fossero molestati. Gli altri Comuni o ville non potendo o non volendo opporsi colla forza rimanevano indifesi alle incursioni, alle prepotenze dei briganti.

Capo della Polizia in Ferrara era in quell'anno Antonio Govoni, nativo di Cento,


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uomo di talento astuto, di grande sollecitudine nella speditezza delle indagini e degli atti del suo ufficio; per queste sue belle qualità era caro al Prefetto il quale molto ne apprezzava i consigli. Gl'insorti sempre più audaci, per mancanza di soldati, osavano fin anco mandare sfide e lettere satiriche alle Autorità. La munizioni mandate dal Prefetto a Portomaggiore, caddero nelle mani dei briganti ed essi, per ischerno, mandarono la seguente lettera:

«Gli Insordenti del Basso Po alli Siepiori Govone, Prefetto. e Capo Segretario di Polizia:

«La munizione che ultimamente ci avete fatto tenere è ormai smaltita, conviene che pensiate al modo di farcene pervenire dell’altra, la facilità e sagacia del vostro ingegno sapran bene conciliare il pronto soddisfacimento del nostro bisogno col minor nostro pericolo, vestendo d’altronde il fatto come l'altra volta colla divisa del caso.

Ci occorre altresì il vestiario giacche è impossibile trovarlo in campagna, pensate anche a questa, ma nel calcolo della quantità aggiungete anche uno zero al numero che fino ad ora vi ha regolati, 61 giacche per effetto delle vostre saggie manovre si è accresciuta la nostra forza.


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I ladronecci che andiamo commettendo, bastano appena alla nostra sussistenza e conviene quindi che per ora abbiate pazienza se non avete la vostra parte come ci chiedete. Voi avete già un compenso nella compilazione dei processi e non è impossibile che il loro provento superi la porzione ohe per diritto di società vi compete sui nostri bottini. Fino ad ora l'applicazione della legge non poteva conformarsi meglio alle nostre viste.

Era infatti di somma necessità che i nostri vedessero i Capi promotori non solo impuniti, mia dichiarati anzi innocenti ed i meno colpevoli fucilati. Questa tattica eccellente produrrà certamente e con incalcolabile nostro vantaggio, l'effetto che costantemente apporta l'ingiustizia; di disacerbare cioè li ben intenzionati e di animare i malvagi. Così le sentenze della Commissione ci servono d’ingaggio per nuove reclute.

«Sentiamo con soddisfazione che la truppa sia partita, dite però benissimo che non è ancor tempo di azzardare il nostro colpo favorito.

L’esito felice del blocco, ci ha illuminati, ed è saggio il vostro riflesso che solo la lunghezza delle notti, e lo scoppio della guerra


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possono far riescire la nostra grande operazione. Seguitate a dirigere e contate sulla fedeltà d_ei vostri naturali alleati ed indivisibili compagni.

GL’INSORGENTI

Nella prima parte della lettera si allude alla spedizione fatta dal Governo, di munizione agli abitanti di Portomaggiore, e sequestrata dagli insorti; nella seconda parte, si tenta di mostrare l'impotenza del Governo e di mettere diffidenza tra le Autorità, contro le quali altre satire furono scritte.

Il Prefetto senza truppa, argomento alle ciarle dei maligni e dei male intenzionati, non poteva prendere provvedimenti efficaci.

Egli si lusingava potere colla parola ricondurre la quiete e ripeteva l'invito di essere tranquilli, di ubbidire alle Leggi, di riordinare le Guardie Nazionali, di essere uniti per essere forti.

«Col mio Proclama delli 12 corrente feci conoscere a tutti gli Abitanti del Dipartimento' quali fossero le mie intenzioni relativamente a quelli che avevano preso parte nel brigandaggio.

«Nel confermare di nuovo pienamente ed in ogni sua parte le disposizioni ivi accennate, all'oggetto anche di togliere quei dubbi che l'altrui malignità


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potesse infondere negli animi dei deboli e dei traviati e nel dichiarare solennemente, che resta in pieno vigore quanto fu pubblicato col sopra riferito Proclama, porto ora a comune notizia quanto deve eseguirsi a norma delle Superiori istruzioni dipendenti da un piano generale, e quanto si esige dalla fedeltà degli Abitanti del Basso Po sul totale ripristinamento dell'ordine, e per la tutela della pubblica tranquillità.

«All'atto della pubblicazione del presente li Sig. ri Vice Prefetti, Cancellieri Cantonali, ed in ispecial modo li Signori Podestà, e Sindaci del Dipartimento dovranno organizzare, ed attivare la Guardia Nazionale in ogni Comune composta delli più probi Cittadini, di Possidenti, e di quegl’Individui, che non abbiano' eccezione.

La forza posta giornalmente in attività sarà proporzionata ai bisogni di ciascun Comune, e tutti quelli, che saranno chiamati dovranno personalmente prestarsi senza eccezione, non essendo ammissibili i cambi. Questa disciplina è più che mai necessaria nelle attuali circostanze, nelle quali non si vuole un apparente numero di Armati, che all’occorrenza si mostrino deboli, vili,


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e fors'anche sospetti; ma si esige invece una forza composta di onesti Cittadini, che abbiano una. sola, e pura intenzione essendo questo l'unico mezzo per allontanare, e disperdere coloro, che volessero attentare alla pubblica e privata sicurezza.

«Queste sono le precise intenzioni di S. M. I. e R. che tanto onora la Nazione Italiana colla confidenza, che si degna riporre nella medesima; quest'è ciò che prescrive ai Cittadini il loro: vero interesse.

Io non esito un istante a credere che il mio invito non sia per essere accolto con trasporto, e che ogni buon abitante del Dipartimento non conosca appieno l'importanza di questa misura, e l'onore, che gli viene impartito; che se alcuno vi fosse così debole, o vile, che ricusasse di prestarsi alle chiamate delle Autorità locali, ai bisogni della Patria, alla difesa delle proprie sostanze a scacciare gli scellerati, che volessero violare il sacro deposito della pubblica sicurezza che si affida dal Governo con tanta fiducia alle Guardie Nazionali, mi si faccia conoscere, perché possa anch'io additarlo a' suoi Concittadini, e sia di lui formata quell'opinione che merita.



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D’altronde poi le Autorità restano incaricate a designarmi que' buoni, e coraggiosi Cittadini, che più si distingueranno nel servizio, che loro si richiede, onde non restino ignote quelle belle azioni, che il Governo vuole conoscere, e che non rimarranno senza premio.

«S'imprima ognuno la massima, che la maggior forza sta nell'unione, e nella purità d’intenzioni de’ Cittadini, e che ove queste esistono è sbandito il delitto, e lo scellerato non osa presentarsi; io non mancherò certamente di prestarmi, per quanto mi sarà permesso, ai bisogni delle Comuni, e fin da questo momento prometto, che pervenute che mi siano le armi e le munizioni, che si attendono, mi farò sollecito di somministrare tali mezzi di difesa a quelle Comuni, che colla loro condotta ferma e decisa si mostreranno degne dell’onore di difendersi da se stesse.

«Più di una popolazione del Dipartimento mi diede a quest'ora col fatto prova di coraggio, di lodevole attaccamento al Governo, di devota illimitata confidenza nell'augustissimo Sovrano; altre popolazioni mi fecero troppo altamente


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condenserei il loro soverchio avvilimento, e timore: stiano ferme le prime nella lodevole intrapresa carriera, s'incoraggiscano le deboli, ne diano sopratutto il primo esempio le Autorità locali, e noi tutti arriveremo al fortunato momento di poter francamente asserire, che abbiamo trovata in Noi stessi la nostra difesa, e che non siamo indegni sudditi del più Grande Invincibile Sovrano» (21 Agosto).

Al Colonnello della Guardia Nazionale, che ne aveva fatta proposta, fu affidato il compito di liberare il paese di Marrara e dintorni dalle ultime bande d’insorti che ancora molestavano quei luoghi. A tal fine egli ottenne 250 militi scelti della G. N. , a cui altri se ne aggiunsero poi; di concedere perdono a quei ribelli che egli ne credesse degni; e pienamente libero nell'operare contro i briganti. Convenuto col Generale Negri, comandante militare in Bologna, il piano da eseguirsi, il 2 ottobre partì da Ferrara il Colonnello accompagnato da Luigi Bonafini suo aiutante, da Stefano Berni Capo Battaglione, da Giorgio Bossi capitano dei Cacciatori, da Paolo Bendai Tenente dei Granatieri, da Giovanni Lugli e da Massimiliano Trotti ufficiali della G. N.


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Più tardi si unirono alla spedizione il Capitano Camillo Boriani con un drappello di 30 uomini; il Capitano Lenta, con militi di Rovigo, il Capitano Francesco Cavriani e il Tenente Migliorini con militi di Plesso, e il Capitano Pietro Paselli con militi di Lendinara.

Il Prefetto invitava (3 Ottobre) gli abitanti dei Cantoni di Copparo e di Portomaggiore, allontanatisi dal proprio paese, per paura dei briganti, a ritornare tranquilli alle loro abitazioni.

«Egli è ormai tempo che risorgiate dal vostro soverchio abbattimento, e «che ritornando alle, vostre abbandonate case, in seno delle vostre famiglie, vi uniate alla forza armata, che percorre le Comuni, alle quali appartenete, per estirpare li pertinaci nel brigantaggio, o per meglio dire gli assassini che le vanno desolando.

«Mentre ottocento Guardia Nazionali accorse al mio primo cenno da ogni parte anche più lontana del Dipartimento vengono a darvi un luminoso esempio, di attività e zelo pel Sovrano servigio, e pei purgare il vostro territorio, mentre Corpi di R. Gendarmeria, e Truppe di linea agiscono allo stesso oggetto con indefessa attività, vorrete voi rimanervi


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oziosi fuori della vostra Comune ad attenderne le notizie, o restare muti nelle campagne senza dare alla forza armata quelle 'Cognizioni locali, e personali elle voi soli possedete, e che sole possono condurre a buon termine una si grandiosa operazione? «Abitanti dei Cantoni di Portomaggiore, e di Copparo, io non avrò a rimproverarmi di non aver tentato tutti i mezzi per ridonarvi quella tranquillità e sicurezza, che avete perduta più pel fatale vostro avvilimento, che per altri titoli: vi sia d’esempio tutto il restante del Dipartimento le di cui Guardie Nazionali, dopo avere purgato il rispettivo Territorio vengono con il più lodevole ardore in vostra difesa senza abbandonare quella delle loro Comuni: se questo non vi anima, e non vi scuote, io devo dirvi con sommo rammarico, che non avrete ad imputare che a voi stessi tutti i mali ai quali poteste andar soggetti, e che dovrò render conto al Governo di quelle Comuni, di que' funzionari, di quegl'impiegati, di que' cittadini tutti, che, o non avranno voluto ascoltare la mia voce, non avranno coadiuvato lo m zelo, e la diligenza della Forza armata', per estirpare gli scellerati.

«Li Funzionari ed Impiegati pubblici,


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li Possidenti e Cittadini di ogni classe, che hanno abbandonate le loro case vi rientrino con sicurezza: quelli che vi rimasero s'incoraggiscano: unitevi tutti contro gli assassini, che si voglio, no distrutti, e si perda con essi la memoria delle loro iniquità: mostratevi infine degni fratelli degli altri Abitanti di questo vasto Dipartimento: se resistete ancora, mi sforzerete a tener dubbia la vostra condotta. Il Governo ne sarà informato e deciderà del vostro destino».

Per effettuare il piano combinato col generale Negri, la linea segnata dal Po di Primaro fu vigilata dai soldati, allo scopo di non essere molestati alle spalle; il grosso della truppa si pose nel centro per essere pronto ad accorrere ove il bisogno lo richiedesse. Furono occupati i paesi di Fossa Nova, Gaibanella, Consandolo, Argenta. Il Colonnello con ima compagnia di militi pose quartiere a Marrara centro del brigantaggio.

Era parroco in quell'anno a Marrara don Francesco Boari da tutti stimato e amato. Il Colonnello Avventi gli disse avere pieni poteri, e che avrebbe perdonato a tutti coloro che spontaneamente avessero deposte le armi,


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volendo usare la dolcezza non la severità della Legge: lo pregava di farsi interprete di queste proposte presso i suoi parrocchiani ribelli. Il buon prete accettò la difficile missione e si mise all'opera.

Una banda d’insorti nella notte dal 4 al 5 Ottobre si aggirava nelle vicinanze di Spinazzino, il Capo Battaglione Berni ebbe ordine di andare ad incontrarla. Sul far dell'alba i nostri si trovarono di fronte ai ribelli. Questi erano comandati dal Capo brigante Baschieri e da un tal Palchetto, entrambi bolognesi.

Dopo un'ora di combattimento gl'insorti ebbero la peggio, si ritirarono al dì là del Reno, nascondendosi nelle vicine valli.

Questa sconfitta e la parola persuasiva ed autorevole del parroco Boari giovarono a far credere ai ribelli illusi, i quali non potevano avvicinarsi alle loro famiglie, senza pericolo di essere arrestati, convenir loro di cedere le armi e Sottomettersi all'Autorità.

Da prima se ne presentarono pochi, uno due per volta, e quando gli altri, insorti videro i loro compagni poter liberamente passeggiare per il paese e vivere in famiglia senza essere molestati, aumentò il numero dei ravveduti,


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e quelli stessi notoriamente appartenuti al brigantaggio, coadiuvarono le Autorità per ottenere la quiete.

Per i risultati ottenuti fu dal Prefetto concesso quanto il Colonnello di nuovo chiedeva, per assicurare ai briganti, meno pericolosi, il perdono.

Venne stabilito che il 24 ottobre nella chiesa di Marrara si farebbe la consegna delle armi dagli insorti pentiti, in cambio si sarebbe data ad essi la carta di sicurezza, firmata dal Prefetto, colla quale si assicurava loro di non venire arrestati.

Nel giorno fissato si presentò una quarantina di ribelli e alla presenza del Colonnello e del Parroco furono consegnate, sulla porta della Chiesa, le armi. Il Colonnello fece loro un breve discorso osservando a qual pericolo si erano esposti unendosi ai briganti; che il Governo generosamente perdonava loro, ed egli consigliava a persuadere i loro compagni a sottomettersi e ritornare in famiglia. Ascoltata la messa, ritirate le armi, furono distribuite Le carte di sicurezza.

Quasi ogni giorno si presentava qualcuno a consegnare le armi. Coloro che non si fidavano di chiedere perdono, erano i macchiati da gravi delitti.


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Fra costoro vi erano Francesco Nardi detto Bestemmia Madonne, Carlo Pesci detto Carletto, e Angelo Stagni. Persuasi da don Boari che assicurava loro non esservi pericolo, si presentarono dì notte, al Colonnello. Questi promise loro di occuparsi per intercedere il perdono dal Governo, quando essi prestassero un grande servizio a vantaggio della pubblica quiete.

Essi accettarono e promisero di fare quanto era in loro potere per corrispondere a desideri dell’autorità. GV invitò a ritornare fra sei giorni, intanto gli assicurava che non sarebbero stati molestati se ritornavano in famiglia.

Giunse notizia essere stato firmato il trattato di pace tra l’Imperatore dei Francesi e l’Austria. Il Prefetto ne dava avviso ai suoi amministrati. (21 Ottobre).

Colla pace sarebbe ritornato l’esercito, e qualche compagnia di soldati mandata fra noi avrebbe cooperato colla G. N. a reprimere i briganti. Questa notizia indusse altri ribelli a deporre le armi.

Ormai era del tutto spenta la ribellione nel nostro Dipartimento, rimaneva solo una banda di pochi, ma arditi malfattori capitanata da un tal Francesco Carlini detto il Pastore, abitante nei dintorni di


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S. Egidio. Egli compiva aggressioni, vendette sino presso la città. Cambiando luogo e nascondiglio aveva potuto eludere le ricerche dei soldati.

La banda sebbene di pochi, ma audaci briganti, era di molta molestia agii abitanti di quei luoghi e l’Autorità studiava il mezzo per catturarla.

Scrisse il Colonnello al Prefetto di attenergli la immunità per due delinquenti e il premio di 30 zecchini per chi avesse cooperato a far prigionieri quei terribili briganti.

Ottenuto, quanto chiedeva, il Colonnello convenne con Nardi e Pesci nel modo di sorprendere la banda Carlini. Entrambi dovevano fingere di appartenere ancora agli insorti e non avendo più compagni chiedere di essere accettati nella banda del Pastore e dippoi informare i nostri del momento opportuno per sorprenderla. Così avvenne.

Nella notte dall’1 al 2 Novembre giunse avviso al Colonnello essere il Carlini co’ suoi ricoverati in un fienile della Possessione Grande, dormire nella mangiatoia coperto di fieno.

Fu spedito in quel luogo un drappello di soldati comandati dal valoroso Bendai da Trotti.


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Trovarono il Nardi di vedetta il quale confermò l’avviso dato.

74 Fu circondato il fienile e sorpresi i malfattori i quali, non avendo potuto far uso delle armi, si diedero prigionieri. Fra gli arrestati vi erano due disertori, uno austriaco Giovanni Pedraviz, e un francese Matteo Speck, questi caduto nelle mani dei briganti, p©r salvare la vita, fece parte della banda. Tradotti tutti in città, e consegnato il disertore francese al Colonnello Melfort, gli altri furono dati nelle mani della Giustizia. Sì dirà fu tradimento e non valore a catturare la banda Carlini, ma noi sappiamo che quanti han tenuto in poco conto la fede data ai malfattori o hanno saputo con astuzia vincere, superarono quelli che fondandosi sulla lealtà furono vinti. (1).

Furono premiati dal Ooverno, per proposta del Prefetto G. Zacco, quei militi della G. N. che si

(1) Il Colonnello Avventi in una memoria scritta qualche tempo dopo gli avvenimenti narrati, 'e dalla quale memoria abbiamo tratte in parte queste note, attribuisce tutto a se il merito di avere disarmati gl'insorti rifuggiatisi nei dintorni di Marrara, e di avere fatta prigioniera la banda Carlini. Nei giornali di quell'anno, negli atti del Municipio, che per cortesia del diligente archivista Sig. Ulisse Palmer, al quale mandiamo un cordiale ringraziamento,


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erano maggiormente segnalati nella repressione dei nemici dell'ordine pubblico.

Furono date due medaglie d'argento, una a Carlo Imperiali Capitano ff. di Capo Battaglione della G. N. di Portomaggiore, il quale l'aveva meritata nella difesa di quel paese inutilmente assalito l'il settembre da numerosa banda di briganti; l'altra al sig. Antonio Lenta, capitano della G. N. di Rovigo.

A P. Bendai Tenente dei Granatieri, e a G. Rossi Capitano dei Cacciatori, fu data ad ognuno una gratificazione di L. 400 «per zelanti utilissimi servigi da essi prestati».

A Marozzi, Sindaco di Gambulaga, mortalmente ferito dai briganti, fu data una gratificazione di lire 500.

Ad altre persone benemerite il Prefetto mandò lettere d'encomio.


abbiamo potuto esaminare, non ci fu dato trovare la prova di quanto afferma il Colonnello Avventi, ma avendo conosciuta in altre opere la sincerità dell’Autore, vi abbiamo prestata fede.


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Il Ministro dell'Interno assegnò una pensione vitalizia di lire 16 mensili alla vedova di Vincenzo Mamini, uno dei Guardiani delle Valli di Comacchio, il quale perdette la vita il 20 Agosto, in una spedizione contro i sediziosi.

La Commissione Militare continuò anche nel successivo anno (1810) a pronunciare sentenze contro i ribelli.

E' con tristezza che si legge il gran numero dei caduti e la lunga lista dei condannati a morte o ai lavori forzati. Si pensa che vi furono delinquenti, è vero, ma la parte maggiore dei colpiti era vittima dell'ignoranza, mentre gl'istigatori che avevano spinte tante persone alla ribellione o al delitto, se ne stavano impuniti, e forse a godere l'oro infamemente guadagnato, in attesa di futuri onori.

Così terminò questo triste episodio di nostra storia locale.

Una ribellione nata e fomentata da ragioni politiche, provocata da insopportabili imposte, degenerò in brigantaggio. Essa non doveva, né poteva riuscire. Non doveva, perché sarebbe stata la vittoria dei nemici della libertà,




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e la Patria sarebbe ritornata in servitù, come avvenne pochi anni dopo, e tanto sangue costò per redimerla. Non poteva, perché mancò nei condottieri la mente assennata ed autorevole che avendo unità di comando, frenasse gli istinti brutali dei ribelli e facesse loro comprendere che per ottenere vittorie durature non bisogna porre nella prepotenza l'onore, nella violenza la forza. Fa d'uopo essere migliori degli avversari, aver fede nella forza del diritto e non confidare nel diritto della forza, perché dove non c'è moralità, costanza di principii giusti, altezza dì carattere, nulla si compire degno di lode.

Ferrara, Agosto 1922.

P. A.




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