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"La nostra plebe (come già fu detto da molti) a differenza delle altre plebi d'Europa non è mutata per nulla da quel che era ai principii di questo secolo. Un contadino napoletano del 1863 ed un contadino napoletano del 1799 si assomigliano a capello. Né solo i contadini, Che quella quasi gran muraglia cinese, con cui la improvvida astuzia di Ferdinando II ebbe isolato il regno, impedì ogni miglioramento, o mutamento che voglia dirsi, nell'intera massa del popolo. Sicché dalle industrie e traffichi cresciuti, dai facili viaggi e dalla instruzione, fu resa in altri luoghi la plebe più pronta bensì ai rivolgimenti politici, ma meno corriva ed anche meno atta a mettersi del tutto fuori il consorzio umano."

Bastano queste parole a chiarire l'intento del "discorso" sul brigantaggio che proponiamo ai nostri amici: dimostrare che la guerra civile che divampa nelle provincie meridionali ha una mera origine sociale.

A fare il discorso uno dei tanti meridionali che appoggiarono - se non invocarono - la Legge Pica, una legge che divise il territorio in due parti giuridicamente distinte: in una vigeva lo statuto ed in un'altra tutte le garanzie erano sospese e si poteva imprigionare e fucilare impunemente i meridionali. Tutto in nome della patria una.

Zenone di Elea - Luglio 2010

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SUL

BRIGANTAGGIO

NELLE PROVINCIE MERIDIONALI

D'ITALIA

DISCORSO

DI

CARLO CAPOMAZZA

NAPOLI

STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI F. VITALE

Largo Regina Goeli.

1864.

Da oltre a tre anni si discute in tutta Europa sulle ragioni, per le quali alle nostre parti vennero fuori e si mantennero per lungo tempo i briganti. E molto in sul finire dell'anno scorsosi ragioné qui in Napoli del mezzo più opportuno a distruggerli.

Nei quali discorsi e ragionamenti, parendo a me che fosse molta confusione e molti errori, mi proposi di scrivere secondo la mia possibilità, quel che valesse a riportarli ordinatamente al vero.

Oggi quella pestilenza sembra vicina al suo termine: ma rimangono intere quasi tutte le ragioni che mi spinsero a questo lavoro. Mi risolvo perciò di pubblicarlo, raccorciandone solo la parte divenuta, per il nuovo stato delle cose, meno importante.

Febbraio 1864.


I.

In primo luogo convien rammentare come in tutt' i tempi, fin quasi alla metà del secolo presente tutte le rivoluzioni furono seguite da parecchi anni di brigantaggio. L'ebbe l'Inghilterra dopo l'ultima cacciata degli Stuardi; cioè nella rivoluzione meglio riuscita tra quante ne rammentino le istorie. L'ebbe la Francia, pacificata la Vandea, sotto il consolato; cioè sotto un governo, di cui per l'efficacia, il senno pratico e la gloria, non fu mai al mondo l'uguale. E per non andare all'infinito l'ebbimo ferocissimo noi medesimi sotto il governo dei Re francesi; il quale, se lasciava tutto a desiderare in fatto di libertà, è rimasto però lodato esempio di retta ed efficace amministrazione.

«La città di Londra (narra il più grande degli storici inglesi Tommaso Macauly (1) la stessa città di Londra fu mance tenuta in costante timore nell'inverno del 1692 (sette anni dopo la cacciata degli Stuardi). Una banda entrò nel palagio del Duca di Ormond in piazza San Giacomo; un' altra assali il palagio Gambeth. E quando magioni si nobili non eran sicure può argomentarsi come dovevano stare i magazzini e le botteghe.

(1) The History of England by Macauly. Vol. VII, Chap. 19 Increase of crime.

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Non ci era poi villaggio di cui qualche casa non fosse saccheggiata; mentre le strade maestre erano rese impossibili a traversare. Una compagnia giurata di ladroni si riuniva in una birreria del Soutvark. Più formidabile era una banda a cavallo, dalla quale in pieno giorno venne dopo sanguinosa resistenza derubato il procaccio di Oxford. Una carretta con 50, 000 lire sterline del tesoro fu pure fermata e saccheggiata; e come l'operazione durò qualche tempo, tutti i passaggieri che andavano giungendo nel luogo furono rattenuti, fino a che, assicurato il bottino, li lasciarono partire a piedi, ritenendo i cavalli. La valigia di Portsmouth fu in quindici giorni rubata da uomini bene armati, ed a cavallo. E taluni di Essex andando a caccia furono presi di mira da cacciatori di altra specie, ed ebbero a grazia di poter tornarsene con le sacche vuote. I fautori di Guglielmo asserivano tutte queste bande essere di Giacobiti (cioè fautori di Giacomo li) ed in verità ci era qualche buona ragione per dirli tali. Per esempio, quindici beccai andando per i mercati ad incetta di animali furono fermati da una grossa banda la quale prima gli costrinse a lasciare le borse, e poi a bere acquavite alla salute di S. M. il Re Giacomo 11. Ma nei fatti essi non facevano differenza fra le parti avverse. Taluni si gittarono su Marlborough (cosi poscia famoso nelle guerre per la successione di Spagna) e quantunque a quel tempo egli fosse in aperta ostilità col governo gli tolsero cinquanta ghinee».

II.

Questo avveniva in Inghilterra cinque anni dopo la cacciata degli Stuardi. Né meglio in Francia al 1800, sotto il Consolato di Bonaparte, sette anni dalla cacciata dei Borboni.

«I briganti (leggesi nella storia del Consolato e dell'Impero (1)) infestavano un gran numero di provincie.

(1) Histoire da Consulat et de l'Empire par A. Thiers, lib VI.

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Pacificata la Vandea quelli che nella guerra civile avevano preso gusti, cui in tempo di pace mal potevano soddisfare, si erano gittati alle strade in Brettagna, in Normandia e nei dintorni di Parigi. Questo medesimo avevano fatto nelle province del centro e del mezzogiorno parecchi che cercavano di sottrarsi alla leva, ed alcuni soldati dell'esercito della Liguria, cui la miseria aveva spinti a disertare.....(1) Sicché quelle bande erano composte di assassini che sotto colore di (perseguitare i Giacobini, uccidevano i ricchi per rubarli;di contumaci alla leva e di disertori. Fermavano le carrozze delle poste, strappavano di casa loro i ricchi trasportandoli nei boschi, come fecero tra gli altri, al senatore Clement De Ris; torturavano barbaramente le loro vittime, ad alcune delle quali giunsero a bruciar lentamente i piedi, finché conce sentissero a ricomprarsi con gran tesoro. Si rivolgevano specialmente sulle casse pubbliche, ed andavano nelle case degli Esattori ad impadronirsi dei denari delle imposte sotto il pretesto di far la guerra al Governo. Lor servivano di spia taluni vagabondi, i quali facendo nelle città il mestiere di mendicanti si informavano di tutto, e davano così notizie ai briganti dei viaggiatori a sorprendere e delle case a depredare. Quando pur si giugneva ad arrestarne alcuno, la giustizia si trovava impotente a punire, perché i testimonii si negavano a deporre, ed i giurati non si ardivano a pronunziarlo colpevole. Fu proposta una legge che instituiva tribunali straordinarii; ma venne vivamente oppugnata date gli oppositori del governo. Senonchè il primo Console non troppo scrupoloso in fatto di legalità, non dubitò di applicare re per modo di provvisione la legge marziale. Credette, che trovandosi obbligato a combattere le bande con corpi di soldati, poteva agguagliare il caso ad una guerra vera, e quinte di applicarvi le leggi proprie allo stato di guerra. Formò te corpi di esercito, che percorrevano i luoghi infestati,

(1) Lib. VII.

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ed erano accompagnati da' tribunali militari. Dei presi colle armi alla mano si faceva in 48 ore giudizio ed esecuzione.

E con tutto ciò non giunse per allora ad estirparli. Ma diceva, e con ragione, che quando avrebbe battuto i nemici esterni sarebbe facilmente venuto a capo di quei di dentro. Pazienza, rispondeva a quelli che sembravano spaventati, datemi uno o due mesi, ed io ne farò compiuta vendetta (1) - Ed infatti, quando con la pace di Louneville ritornarono in Francia gli eserciti, mandò numerose colonne, le quali accompagnate da giudici straordinarii, percorrevano la Francia in tutti i sensi, e punivano con spietato rigore quelli che l'avevano infestata. Molte centinaia ne furono passati per le armi in pochi mesi, senza che nessuno volesse alzar la voce in favor loro. Gli altri, al tutto scoraggiati, avevano deposte le armi e fatta la sommissione».

III.

E qui tra noi la gola cosa che per buona ventura può dirsi nuova in questa dolorosa replica di dolorosa tragedia è il numero incomparabilmente minore di chi vi prende parte. Sicchè messi a confronto i fatti narrati da Pietro Colletta, che qui riporto in sunto, con le cose che accadono oggi, abbiamo quasi ragione di chiamarci fortunati.

Il Re Gioacchino (2), bandite in istato di guerra le Calabrie vi ebbe a spedire con un esercito nientemeno che il Maresciallo Massena. Il quale scontrati gl'insorti innanzi Lauda, li sconfisse; e meno a castigo che per primo esempio, mise a sacco ed arse la città. Passò poi a cingere d'assedio Amantea e Cotrone; ma giunto a Palme, dovette egli Massena arrestarsi, perché in quell'ultima Calabria erano forti i luoghi e guardati da molti difensori con animo fermato ad estremo combattere.

(1) C.13.

(2) L. VII §23.

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Poscia i briganti (i) ingranditi di numero, ed ammaestrati, mutato modo di guerra, evitavano gli scontri, non entravano nella città, assaltavano per le campagne gli inermi, predavano, distruggevano e nascondevansi. Così essiccandole vene del pubblico bene, indebolivano e screditavano il nuovo governo. Non ci fu rigore che i ministri regii non adoperassero: ponevano taglie alle città che si monstravano aiutatrici o consenzienti a quegli assassini; menavano in prigione, ed anche a morte chi desse loro vitto o ricovero, conculcavano tutte le leggi (2). Ma il male cresceva. Allora il Re mutò consiglio: concedette perdono a quei che giurassero fede al governo, e si rassegnassero a vivere tranquilli. Moltissimi giurarono per godersi in pace la mate acquistata ricchezza. «Tornarono alle città turpamente ricchi e baldanzosi, facendo sfoggio infame dei furti e delle atrocità sul viso ai depredati, e dei parenti ancor vestiti a bruno degli uccisi».Ma poi consumato il bottino, tornavano alle stragi ed ai furti; indi al perdono, talché vedevansi dei perdonati cinque o sei volte. Stanchi alla fine i ministri regii, imitando gli inganni, facevano strage dei perdonati, talora con pretesti di giustizia, più spesso sfacciatamente. «Ed io (narra lo storico) nella valle di Morano vice di molti cadaveri, e seppi che il giorno innanzi uno stuolo di amnistiati (cosi li chiamavano con voce francese) vi era stato trucidato dalle guardie; ed avvegnaché si finse che avessero spezzate le catene, e tentata o cominciata la fuga, si andò uccidendoli in varii punti di quel terreno a gruppi ed alla spicciolata, di ferro o di archibugio, trafitti in vario modo, come suole in guerre; contraffacendo con istudiosa crudeltà gli accidenti delle battaglie».

Cosi durarono le cose fino al 1809: ed in in quell'anno che era il quinto dalla partenza di Re Ferdinando, peggiorarono d'assai (3).

(1) L. VI, §30.

(2) Son parole di Colletta.

(3)Lib. VII, § 15.

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I briganti scorazzavano liberi per la campagna formati in grosse bande sotto capi ferocissimi. Una entrò "in Chieri, uccidendo quanti vi trovò vecchi, inermi, fanciulli 38 di numero, tra quali nove bambini di tenerissima età. In Basilicata altra banda assediò nel palagio il barone Labriola; e dopo patto di libertà, trucidarono lui e l'intera famiglia. Nel confine tra Basilicata e Salerno, 1300 briganti, dei quali 400 a cavallo campeggiavano apertamente; e non più fuggitivi come innanzi, ma sicuri entravano in paesi grossi e popolosi. In Puglia altro capo di briganti ricordando la credulità di quei popoli si finse il principe Francesco Borbone, e con pompa regia imponeva taglie, dava castighi, ma si asteneva dal sangue per meglio accreditare con la clemenza la regale condizione. «Tra i delitti di brigantaggio e quel che dal brigantaggio derivano il censo giudiziario del regno numerò in quell'anno 23000 infrazioni alla legge».

Nell'anno seguente 1810 la cosa giunse al punto (1) che mentre il Re stava in Calabria con molta parte dell'esercito, i soldati venivano assaliti ed uccisi dai briganti fin nell'interno del campo. Gioacchino allora vedendo possibile ad essi ogni reato, constituì il generale Manhes con potere supremo in Calabria sopra ogni cosa civile e militare. Il quale pubblicate in ogni comune le liste dei banditi, impose a tutti di ucciderli, od imprigionarli. Armò tutti gli uomini, punì di morte ogni corrispondenza coi briganti, non perdonata (orribile a dirsi!) tra moglie e marito, tra madre e figlio; trasportò le greggi in certi luoghi guardati, impedì i lavori delle campagne, o gli. permise col divieto di portar cibo; stanziò soldati nei paesi non a perseguitare i briganti, ma a vigilare severamente sopra i cittadini; E data poi ad un tempo la caccia giunse a spegnerli in breve.

«E quella forse (conchiude lo storico) fu la prima volta nella vita del sempre inquieto e diviso popolo napoletano, che non briganti, non partigiani, non ladri infestassero le pubbliche strade e le campagne.

(1)L. VII, § 27.

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La polizia potè abbandonati re le pratiche severe ed arbitrarie;

la giustizia rivendicando le sue ragioni sciolse le commissioni militari, rivocò le squadre mobili, tolse ai comandanti militari ogni ingerenza su le civili amministrazioni. Le intraprese dell'industria rinvigorirono, e rianimato il commercio interno, i mercati e le fiere, innanzi deserte, ripopolarono; il regno prese l'aspetto della civiltà e ricchezza pubblica. Quindi le benefiche instituzioni dei due nuovi regni per i rigori del brigantaggio ed i rigori della polizia ignoti al popolo e dispregiate furono palesi e gradite»
.

IV.

E non furono per certo effetti di lontano e poco provvido governo, né segni di zelo per la fede, o di amore per non so quale indipendenza, quelle disperate ed incredibili audacie. Che né la fede era in pericolo, né in nulla veniva tocca quella che oggi chiamano Autonomia Napoletana, quando dal 1805 al 1810 i briganti imperversavano in quel modo. Anzi il Clero, e sopra tutti il Sommo Pontefice Pio VII dava insolite testimonianze di affetto al grande Restauratore del culto Cattolico in Francia, ed a tutti i suoi congiunti ed alleati. E Napoli era la sede di un governo splendidissimo, il quale ebbe dai tempi la buona fortuna di arrecare un maggior bene, che a qualsiasi più libera forma di governo non è dato oggimai di poter promettere: Mutar da capo a fondo tutto l'ordinamento sociale; abolire i feudi; sciogliere da tanti vincoli la proprietà; semplificare le leggi; accomunare le imposte; tutto insomma il bene senza alcuna mistura dei dolori, e dei mali della rivoluzione francese.

E contro questo governo insursero cosi numerosi, e si mantennero per oltre a sei anni i briganti. Né venivano men lodati allora in Sicilia alla corte del Re profugo, di quel che sieno oggi in Roma. Nelle opinioni (dice Pietro Colletta (1))

(1) Libro VII, cap. 15.

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nei discorsi della Corte Borbonica il brigantaggio era tenuto mezzo legittimo, e chiamato voto e fedeltà di popolo; né faceva ribrezzo ai Borboniani più onesti».

Vero è che da quel tempo in poi le cose appaiono mutate in talune parti di Europa. In Francia» a cagion d'esempio, non si è inteso a parlar di briganti nelle due grandi rivoluzioni fattevi ai nostri giorni: non alla cacciata dei Borboni al 1830; né che é più, nella Repubblica del 1849. Questa è la novità. 11 fatto solito, e diremo normale è che quando da una grande sommossa sono aperte le cateratte, da cui nei tempi tranquilli è rattenuta la piena delle passioni rapaci e crudeli; i più ardimentosi irrompono ed infuriano. I quali, se invece di subita vendetta trovano incoraggiamento ed aiuto; imbestialiscono ogni giorno più, e con P esempio dell'impunità e la speranza di facili profitti si richiamano intorno un buon numero d'imitatori; fino a che stabilito e riordinato il governo vanno tutti a finire sulle forche o nelle galere.

Vero é pure che le lodi di cotesti sciagurati non furono in nessun tempo così sparse come oggi sono; e nessun governo era giunto prima di oggi a prenderne pubblicamente le difese. Ed é questa l'altra novità.

Sicché a me sembra che invece di andare almanaccando a capriccio sulle cagioni antichissime per te quali dopo una scossa si grande sieno venuti fuori i briganti; devesi piuttosto ricercare in primo luogo come mai quelle cagioni un tempo universali non portarono al nostro vivente i soliti effetti in altri paesi, e pur seguitino a portarli tra noi. Ed in secondo donde avvenga che questo impuro portato delle discordie civili sia rimasto sempre e dovunque in esecrazione; ed oggi venga magnificato dentro Italia e fuori.

E data al problema questa nuova, e per quanto ne pare a me più vera posizione, riesce men difficile il risolverlo.

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V.

La nostra plebe (come già fu detto da molti) a differenza delle altre plebi d'Europa non è mutata per nulla da quel che era ai principii di questo secolo. Un contadino napoletano del 1863 ed un contadino napoletano del 1799 si assomigliano a capello. Né solo i contadini, Che quella quasi gran muraglia cinese, con cui la improvvida astuzia di Ferdinando II ebbe isolato il regno, impedì ogni miglioramento, o mutamento che voglia dirsi, nell'intera massa del popolo. Sicché dalle industrie e traffichi cresciuti, dai facili viaggi e dalla instruzione, fu resa in altri luoghi la plebe più pronta bensì ai rivolgimenti politici, ma meno corriva ed anche meno atta a mettersi del tutto fuori il consorzio umano. Mentre qui la vediamo senza concetti od amori politici essere contenuta facilmente dalla forza presente, ed allontanata questa, correre quasi per istinto alla rapina ed al sangue. Gittansi a torme sulle strade a far preda; mentre altrove minacciano, in modo forse più pericoloso, ma meno selvaggio, i proprietarii ed i ricchi. Non ci furono briganti in Francia nel 1848; è vero: ma gente senza nome volle imporre con la forza nuove forme di vivere sociale, ed abolire la proprietà e la famiglia. Gente di quella stessa specie,!in quelle stesse condizioni qui in Napoli si gitta alle strade per rubare, o si prepara a saccheggiar le città in nome del Re e della Santa Fede. Né io vorrò decidere quale dei due mali sia maggiore: o veder combattute in massima le proprietà e le famiglie, e doverle difendere col cannone in mezzo ad una popolosa città: od essere ciascuno in particolare esposto a vedersi devastare i beni, e violar la famiglia; e doverseli difendere in piccoli scontri su pei monti e nelle. campagne. Ma sia che vuoisi di ciò, il fatto è che nel loro primo apparire i briganti non avevano né bandiera, né grido politico. Dello scompiglio universale vollero i più audaci trar materia a lucro o a vendetta: dal cui esempio ed impunità altri

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allettati, andò crescendo di giorno in giorno quella pestilenza. Insomma non era sommossa, ma verace anarchia. Fu, se è lecito il dirlo, la favola delle rane di Esopo.

VI.

E non so come da tutti fosse o non vista o dissimulata la speciale condizione, in cui trovaronsi per più mesi queste nostre provincie. Da giugno 1860 fino ad aprile seguente esse rimasero senza forza pubblica; e quasi senza governo. Infatti nei mesi di luglio ed agosto, quando ancor regnava Francesco II, non ci era tra le incertezze e le paure, ed i continui scambii chi sapesse o volesse governare: e, se qualcuno pur ci era, non aveva come venirne a capo. Tutta 1 antica forza interna,

gendarmi,

birri e guardie nazionali o si celavano, o con la presente debolezza si studiavano di fare ammenda delle prepotenze antiche. L'esercito poi, raccolto tra Calabria e Napoli, e volto solo alla guerra, non era di aiuto nelle faccende interne. Né le cose mutarono con la Dittatura. Che anzi scosso e conquassato tutto l'ordinamento del governo, e tenuti a campo sul Volturno i volontarii, né per anco, se non nelle grandi città, armate le guardie nazionali, rimase tutto negli altri luoghi alla ventura, e proprio in braccio alla provvidenza.

E seguitò cosi dopo la venuta del Re per le cure dell'assedio di Gaeta, e più pei continui mutamenti di uomini e di leggi. Poiché, come la vita di un uomo si può distruggere in un momento, ma fanno d'uopo molti anni per giungere alla perfezione, così fu facile di andar rompendo giorno per giorno or l'uno or l'altro ordigno di governo, ma ci bisognò tempo per ricostruirli e riordinarli. E l'esercito era sproporzionatamente minore del bisogno. Né credo di errare, affermando che i soldati i quali in tanta mutazione dovettero bastare all'Italia intera non agguagliavano il numero di quelli, cui in tempi, al paragone, tranquilli, Ferdinando II teneva a guardia del solo regno di Napoli.

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Insomma, un popolo che per tanti anni era stato tenuto a freno da una polizia vigilantissima e da una forza prepotente, si trovò d'un tratto a non dover altro temere, che lo sguardo molto corto di un qualche sindaco, e la presenza di poche guardie nazionali. Né bisogna illudersi con questo nome pomposo. Nelle borgate e nei villaggi la Guardia Nazionale non è che l'accozzamento di pochi villani, con abiti rattoppati e grotteschi, ai quali non cresce punto di onorevolezza quel succido berretto alla soldata: son conosciuti uno per uno dai loro conterranei, e per lo più derisi e dispregiati, come gente da nulla.

Accadde dunque quel che doveva accadere, e che fu previsto da quanti non si danno a credere che un paese muti ad un tratto di costumi col mutare di leggi, e col sostituire l'una all'altra bandiera. Io in verità non so che alcun popolo sia giunto mai a tanta perfezione, che non ebbe bisogno di esser contenuto dalla forza pubblica. Ben so che nello stato presente di Europa è necessario, al mantenimento degli Stati, una forza pubblica superiore a tutte le forze speciali, e che dalla distruzione di issa si genera l'anarchia. Si deve rivolgere bensì la forza al mantenimento della libertà, invece di valersene come strumento di tirannia; e si può dalla compra obbedienza di stranieri passare a comporta di cittadini più o men liberamente consenzienti. Ma non è possibile sicurezza di vivere civile dove il Governo non sia tenuto da tutti, e non sia di fatti il più forte.

VII.

Coteste ragioni di anarchia vennero poi smisuratamente accresciute non dirò da uno sbaglio, ma da un fatto del governo: dall'aver cioè sciolto l'esercito borbonico, e sparsi per le campagne oltre a sessantamila uomini assuefatti alle armi, e disperati. Forse fu necessità il farlo: forse dal tenerli riuniti ed in armi sarebbe venuto un danno maggiore.

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Ma tante: un male, divenendo necessario, non cessa per questo di esser male, e di produrre i danni che per natura produce. E tra tanti uomini gittati a quel modo nelle campagne non poteva non passare per il capo a parecchi di riunirsi agli sbanditi, che già le scorrevano, per trovar di che vivere, e vendicarsi. Altro che zelo di cattolici, e fedeltà di sudditi! Fu fame e disperazione. Ma intanto cotesti soldati non solo aumentarono di numero e disciplinarono quei ladroni, ma diedero ad essi la prima volta quella veste di partigiani; sotto cui dal primo loro apparire molti si erano ingegnati mostrarli all'Europa.

Né il governo si mosse ad arrestare quel ribollimento, e lasciò le cose gridar da sé, come potevano. I particolari cittadini si chiudevano nelle case, o viaggiavano a carovane: ed assaliti talora si difendevano, più spesso fuggivano od erano uccisi. I comuni, ciascuno per la parte sua cercava di tener fermo; ed i più vi riuscirono: ma taluno dovette succumbere. E, vi si intese, tra le orgie ed il sangue, acclamare l'antico Sovrano, e profanare il nome di Dio. Solo in questi casi dai paesi vicini si mandavano soldati e guardie nazionali per riparare lo scandalo; a provvedimenti generali non si pensava. Anzi, (e tutti potranno rammentarlo) a quel tempo era segno di animo male affetto il parlar di pericoli e di briganti: ed i ministri, ed i loro sostenitori nel parlamento sé ne mostravano stanchi. Né credo che fosse errore od impreveggenza; era necessità. Noi italiani, bisogna confessarlo, spesso vogliamo gli effetti senza voler pensare se ci sieno i mezzi necessarii a produrli. Né ci fu tra noi a quel tempo chi volesse comprendere come il Re, quando con tanta audacia si stese fino a Napoli, non aveva che l'antico esercito del Piemonte, accresciuto solamente da quelli non grandissimi della Toscana e delle Romagne. Sicché, come sopra ho notato, al nuovo regno di ventidue milione doveva bastare fra tanti pericoli

V

esercito levato da una popolazione di dieci. Il fallo dunque non fu di non averci mandati in quel tempo molti soldati, fu di avere scombussolato tutto l'edifizio, quando si sapeva di non poterlo neppur puntellare con la forza.

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E non pertanto al riordinarsi del governo, tutto si sarebbe man mano sedato senza rumore, se noni era chi ebbe volontà e modo di valersene ai suoi fini.

VIII.

Ma per mala ventura ci era tra noi un altra cosa rimasta immobile più che le stesse plebi: la Corte.

Non avrò già io l'asinina audacia di trar calci al Lione caduto; né consentirei in verun caso a mescolare la discussione di fatti politici con ingiurie contro alle persone. Ma chi ha letta la storia napoletana di questi ultimi sessant'anni deve conoscere come la Corte di Napoli sola tra tutte le Corti di Europa sia rimasta tale quale era nel 1799 così negli usi e nelle cerimonie, come nelle norme e pratiche di governo: anzi vi si trasmettevano da padre in figlio, quali arcani d'impero, taluni rimedii o ripari pei casi straordinarii. A ragion d'esempio nei pericoli interni il metodo di cura era questo. Da principio ostinazione: e senza pensiero delle cause del male occuparsi solo a repellerne le manifestazioni esterne: Ad un tratto concedere molto più che altri non chiedeva o spera va;=sempre negate le più piccole riforme, concessa la più larga costituzione: = Allora ritirando l'opera moderatrice della Potestà regia, lasciar che la libertà degenerasse in licenza: E da ultimo riusciti nell'un modo e nell'altro a riprender forza, retrocedere più in là del punto d'onde si era partiti, tenendo come nemici i creduli che fidarono nella parola del loro Re.

Cosi fece Ferdinando I nel 1820, così fece Ferdinando II nel 1848, e così. tranne l'ultima parte, ha fatto Francesco II nel 1860.

E sempre in quelle occasioni ebbero ricorso per indorar la pillola all'opera di taluni Dottori e prelati ossequiosi: i quali sempre si prestarono a scioglierli dalle promesse e dai giuramenti. Forse Enrico IV non sarebbe andato a domandare né a Dottori né a prelati se il primo Gentiluomo d'Europa dovesse mantenere la sua parola! Comunque sia, nei torbidi interni quella è la cura.

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Nella perdita del trono la ricetta è il brigantaggio.

Tre volte son caduti in sessantanni, e sempre pei modi medesimi. Sempre quando il pericolo era lontano, ardimenti, bravate, e piena fiducia di essere invincibili: poi al primo rovescio, deposti i pensieri di resistenza, abbandonato il governo, e messo in sicuro la persona. A questo punto si mette mano allo specifico, cioè si ricorre ai briganti sempre han creduto facile di riprendere con alquante centinaia di assassini quello che poco tempo prima avevano giudicato impossibile di difendere con migliaia di onesti soldati.

Cosi fece Ferdinando I nel 1799, così fece Egli medesimo nel 1806, e così, per ubbidienza ed imitazione, ha fatto oggi Francesco II.

Nel 1799, quando già gli eserciti francesi vittoriosi in tutta Italia avevano mutata Roma in Repubblica, Ferdinando, contro al consiglio dei suoi più fidi, ruppe Egli guerra alla Francia: e mentre gli era già troppo di pensare alla difesa sua, entra baldanzosamente nella speranza di mettere a segno la Repubblica Francese e recuperare gli stati papali. Poi non appena il Generale Mack ebbe fatte le gloriose prove, che cinque anni più tardi ripetette nella campagna di Ulm, il Re fugge in Sicilia, ed il regno si apre dinanzi ad un esercito di 22, 000 francesi. In questa occasione i briganti compariscono la prima volta, come strumento di regno. Ma convien dire per la verità, che lor si congiunse spontanea molta parte di popolo: tanta era la distanza tra lo stato vero delle cose e le fantasie dei repubblicani. Ciò nonpertanto tutta quella massa incomposta a niente sarebbe valuta, se i rovesci nell'Italia superiore non avessero costretto i francesi a ritirarsi dal regno. Allora solamente la Santa Fede potè trionfare in Napoli. Ma chi crederà che, se fosse rimasto nelle sue posizioni il vittorioso esercito francese, le bande del cardinal Ruffo sarebbero bastate a snidamelo? E che, per contrario, partito quell'esercito, ci fosse stato bisogno di quei tristi e delle tante loro infamie per restaurare l'antico governo? Essi dunque non valsero ad ottener la vittoria, valsero a deturparla.

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Ma Re Ferdinando si fisse nella mente di aver ricuperato il regno per opera dei briganti. Nulla aveva imparato da quella sua prima sciagura: non la prudenza di non esporsi a disuguali conflitti; poiché nel 1803 da questa estrema punta d'Italia osò intimar guerra a Napoleone nel colmo della gloria e della potenza: non la costanza, per cadere almeno con onore; poiché senza neppur aspettare il mal provocato nemico, fuggì una seconda volta in Sicilia. Ma ritenne la fede nei briganti; sicché giunse alla stultizia di voler con essi combattere i vincitori di Austerlitz e di Iena. Né a farlo ricredere valse di poi la dimostrata inutilità degli sforzi loro. I quali numerosissimi, ed aiutati dagl'inglesi a nulla valsero: e cinque anni dopo la loro distruzione, quando se ne era perduta fin la memoria, Egli rientrò senza ostacoli nel regno. Austerlitz e l'impero l'avevano cacciato, Waterloo e Luigi XVIII Io restituirono.

Ma tutto fu niente; e nel ricettario dei Reali di Napoli, come specifico per recuperare il trono rimase notato- briganti.

Francesco II adunque ha seguita la prescrizione. Al cannone di Magenta e di Solferino rimase borbonicamente sordo. Seguitò i suoi placidi sonni alle annessioni delta Toscana e delle Romagne. Poi quasi a bravare Re Vittorio Emmanuele e qualcun altro ancora (l'avo avea bravato Napoleone) consenti a mettere il campo negli Abruzzi, e dar la mano al prode e sventurato Lamoricière. Ad un tratto innanzi a Garibaldi abbandona (cosi aveva fatto l'avo) Napoli e la cura del regno. A questo punto, diasi luogo al vero, Egli traligna. Avrebbe dovuto, seguendo gli esempii aviti, lasciare i suoi fedeli in faccia alla morte, ed egli correre a perdersi fra i rumori delle cacce e le lascivie; ed invece (in ciò degenere Nepote) si chiuse in Gaeta ai pericoli della guerra con i residui del suo esercito. E benché male accorti panegiristi con ridicole amplificazioni abbiano deturpato il fatto, non deve negarsi esser quello un nobile esempio, e nuovo nella storia dei Borboni di Napoli.

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Ma qui finisce la novità, e Francesco II, perduto al tutto il regno, mise risolutamente mano allo specifico, per molto denaro che dovette costargli.

Ed ecco come i briganti ebbero un' importanza, che senza questo non avrebbero avuta giammai. Se non ci fosse stata nella Corte di Napoli quella tradizione di brigantaggio, é Francesco II invece dell'avo avesse imitati i suoi cugini di Francia; i briganti, rimasti divisi tra loro, e senza aiuti, sarebbero in gran parte venuti meno al riordinarsi della forza pubblica. Ma Toro, ed il nome del re caduto giunse per alcun tempo a radunare e tener pronti intorno ad essi quella gente che corre dovunque è pagata, specialmente quando le si faccia credere che si tratti non di combattere, ma di trionfare ed aver parte al bottino.

IX.

Questo però non sarebbe bastato a sommuovere in favor loro tanta parte d'Europa, se dall'una parte la Corte di Roma, e dall'altra i fautori dei molti principi deposti, non si fossero dati a credere di poter vendicare tra i nostri boschi il potere temporale dei pontefici, ed il Diritto divino di casa Borbone.

Ma prima di andar oltre in questa materia, mi è debito di confessare che io non son di coloro, i quali credono di far opera di carità cittadina e di civiltà, insultando alla religione ed ai suoi ministri. Molto meno son di quei filosofi, i quali, tengono la religione cattolica per cosa antiquata, che già compiè la sua giornata nel mondo, e deve cedere il luogo a più atte e più civili instituzioni. Né sono tra quegli Eroi ai quali sembra bello e facilissimo di sgomberarne una volta per sempre l'Italia.

Tengo per contrario esser Essa il miglior vincolo della società umana ed il più saldo fondamento di ogni governo. E so che le religioni, anche falsissime, vivono per virtù propria e non per magnanimità della filosofia. Socrate, Platone, Aristotele, Epicuro e tutta la schiera dei filosofi Greci

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non valsero a distruggere neppure in una città sola il Politeismo, cioè il più assurdo accozzamento di favole, che mai sia uscito da menti ebre. Staremo un pò a vedere che il Cristianesimo sparirà dall'Europa per opera di M. Rénan e dei Giornali!

Conosco dall'altra parte che i Romani furo

Romani

finché rimasero morali e mantenitori scrupolosi del culto dei loro Dei. Né gli inglesi (che di tutti i popoli sono i men lungi dal darci qualche somiglianza dei romani antichi) credettero mai di fare atto di uomo libero, violando pubblicamente i precetti del cristianesimo che professano, o mostrando di vilipenderlo. E nella stessa rivoluzione, nei più pazzi furori di tante sette, nessuno fu che in Inghilterra avesse ardito di mettere in quistione la verità del cristianesimo, e la morale ed i dogmi che le danno efficacia. Anzi i Puritani, che erano la fazione estrema, i Mazziniani di quei tempi, non parlavano che con la bibbia; e, come è solito a chi fa troppo giocar la fantasia, condannavano furiosamente le più piccole cose; gli equivoci nelle parole, le vesti un pò gaie ed apparenti, e perfino l'allegria; e con gli abiti dimessi

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e col volto severo intendevano di mostrare un interno raccoglimento dell'animo. Donde poi seguì che da quella tremenda rivoluzione l'Inghilterra usci più divisa e lacera nelle credenze, ma più uniformemente morale. Ed in questo appunto a me par che stia la cagione della sua eccellenza in tante parti del vivere civile. Essa ci avvanza non, come vogliono alcuni, perché discrede parte di quanto noi crediamo, ma perché meglio di noi ne crede l'altra parte: non perché in speculazione protestante, ma perché in pratica più cristiana di noi.

Giudico poi vanissimo, per non dir altro, il disegno di mutar l'Italia da cattolica in protestante. Non è a quelle fredde e scarnate forme di culto, che la immaginosa e fervida Italia anderà mai ad abbracciarsi: e da questa parte son vani i timori, o (pur troppo) le speranze. Né già è possibile di indurre in altri una credenza, cui gli stessi predicanti deridono in cuor loro. 0 increduli, o cattolici: non ci è altro in Italia.

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E se è destinato lassù che, come altri popoli, dovessimo anche noi bere il calice fino alla feccia; i fatti d'Italia non troverebbero riscontro, che nei fatti della rivoluzione francese, dove fu cosa di grande coraggio il decretare, dopo molti anni la esistenza di Dio! ed anche bisognò velarne alla meglio il nome adorato, chiamandolo Ente Supremo. Noi Io sentiremmo invece a chiamare il Gran Tutto.

Ho voluto dir ciò, perché ormai in Italia abbiamo, e molti si travagliano a mantenere una strana confusione di giudizii; quale del resto si ha costantemente, quando le fazioni permangono lungamente a fronte riscaldate dal lungo combattere. 0 approvar ciecamente tutto, i pettegolezzi, i puntigli, i più grossolani errori di ciascuna delle parti; od essere creduto avverso a quelle verità cui ciascuna di esse si travaglia a difendere. Onde io per le cose dette dei briganti, e per quelle che son per dire di quelli del Clero, che lor diedero aiuti, potrei essere con non insolita carità cristiana giudicato avverso ad essa religione. Contro questo giudizio ho creduto mio debito di protestare.

X.

Dico ora seguitando che. in due modi il Clero ha favoriti i briganti: materiamente, dando loro negli stati pontificii sicuro ritrovo, e ritirata sicura; e moralmente, magnificandone e quasi canonizzandone le gesta. So che queste cose fatte senza mistero al cospetto dell'universo mondo, ed accertate in mille guise, son oggi talvolta negate: per un potai vezzo il quale dai nascondigli delle sette sembra venuto negli usi quotidiani della politica; il vezzo di negare imperturbabilmente tutto, negare il sole nel cielo a mezzogiorno. Qualche cosa sempre ci si guadagna; di essere creduto dai più gonzi e di trarre almeno in dubbio i più rispettosi. Ma se dei fatti umani può aversi certezza intera, credo essere a tutta l'Europa certissimo, che alcun tempo fa il territorio pontificio sia stato il quartier generale dei briganti; e taluni monasteri i loro magazzini di approvviggionamento ed i loro alloggi.

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Alcun tempo fa, io dico, e non al presente, perché delle cose, quali oggi mi par che siano, ragioneremo più sotto. Né di quella protezione, a vero, dire, ci è da far le meraviglie; perché sempre, e da tutti il nemico dei proprii nemici, quale che egli fosse, si ebbe in conto d'amico. Ogni governo nelle stesse condizioni ha fatto le stesse cose. Ed a ragion d'esempio gl'inglesi, che oggi con tanta virtuosa indignazione condannano il governo pontificio, gl'inglesi dal 1806 al 1810 aiutarono i briganti in queste stesse provincie molto più efficacemente che oggi non abbia saputo farsi da Roma. Allora rendeva conto ad essi di molestare per tutte le vie Napoleone, come oggi parve utile al governo pontificio di molestare per tutti i modi l'Italia. Se nonché Essi sapevano dove metter le mani, e profendevano il denaro senza risparmio; ed i briganti (come vedemmo) furono numerosissimi ed audacissimi. Oggi i preti ne hanno pochi da spendere, e per loro onore e nostra fortuna non s'intendono gran fatto di congiure e di guerre; ed i briganti furono al paragone pochi ed irresoluti. Il mondo è andato sempre ad un modo.

E non voglio tacere che gli stessi inglesi nelle lor guerre d'America fecero anche di peggio: suscitarono contro gli Americani i selvaggi! i selvaggi di quelle ancora incolte foreste! Tanto è vero che siamo acconci tutti ad abbominare fatte da. altri le cose medesime, che non dubitiamo di far noi, quando ce le crediamo giovevoli. Ed è famosissima la eloquente indignazione con cui Lord Ghatam si scagliò nel parlamento contro quel brutto scandalo. «Ma Milordi, egli disse, chi fu quell'uomo che per portare al colmo la misura delle sventure e delle vergogne nostre osò di unire alle armi di un popolo civile la mazza ed il coltello del selvaggio? In lega con noi chiamare i feroci selvaggi delle foreste! Commettere allo spietato indiano la difesa dei nostri dritti contrastati! Pagare gli orrori di questa barbara guerra contra i nostri fratelli! Milordi tanta nefandità merita vendetta e punizione: Se voi non correte a purgarla ne rimarrà macchiata la nazione intera.

Questo è un violare la costituzione! Milordi, io credo, che questo è contro alla legge!»

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Sublime iperbole di un inglese! il quale non trova nulla di più grave; crede quasi di dir troppo, allorché dice: questo è contro alla legge.

Noi avremmo dovuto dire per intenderci - questo è contro alle leggi del Cristianesimo e dell'umanità.

Cosi avremmo detto. Ma poi al bisogno avremmo fatto lo stesso. Il mondo è andato sempre ad un modo.

Ed il Clero ha fatto quel che tutti fanno. Né da questa parte ci è nulla da dire: salvo che la parola divinamente mansueta - chi di noi è innocente gitti la prima pietra.

XI.

Ma fu cosa veramente nuova il lodare, dirò cosi, teologicamente l'opera de' briganti; anzi unire le loro sorti a quelle della Chiesa. Sicché l'ajutarli, e lodarli fosse come a dire il contrassegno di buono cattolico; mentre per contrario il combatterli, o solo vilipenderli s'abbia da molti del Clero come un segno espresso d'incredulità, od almeno di poca fede. Non dico cose nascoste, o dubbie: e mi basterà di qui rammentare come l'illustre Ruggiero Settimo al letto di morte per avere i sagramenti dovette dichiarare in iscritto, che nel contribuire alla colletta in favore di quelli che avevano patito dai briganti od ajutati a reprimerli; Egli non avesse inteso arrecar pregiudizio alla Chiesa Cattolica, ed al suo Capo. Tanto nel concetto universale si era giunto a connettere l'una cosa coll'altra!

Ciò veramente fu conseguenza dello strano miscuglio, a cui con si cieca costanza si son travagliati, e si travagliano tuttavia taluni: il miscuglio della fede con una speciale opinione politica. Donde poi si è tratta lo spietato dilemma dentro cui si studiano di chiudere l'Italia - 0 si vuole essere Cattolico; e convien volere l'Italia nuovamente divisa, nuovamente sottoposta al paterno arbitrio dei suoi regoli, nuovamente tenuta in freno dall'Austria; o si vuoi avere un Italia indipendente, e libera; e convien rassegnarsi a vedervi calpestata la fede de' venti secoli! - Questo è il fine, a cui con immoto proposito si travaglia da più anni una parte del Clero;

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e se ne applaudono come di una profonda invenzione! E se non si tratta d'altro che di sfogar l'odio, e sol che si compii la vendetta non curarsi del danno suo proprio; bene i mezzi sono convenienti a questo fine. Ma quantunque grandissimo sia il danno, che la guerra del Clero reca all'Italia; è però ancor più grave il male, che viene alla Religione dall'averla mescolata tra le fazioni politiche, volerla difendere con le congiure, e coi briganti; e metterla sempre ostacolo permanente attraverso di questo corso concitato del genere umano verso un avvenire cui spera men tristo: Sicché beni ardentemente desiderati non sieno possibili ad ottenersi, se non conquistandoli quasi a dispetto della Chiesa, e contro di essa. Vero è che le religione, quanto a se, è cosa diversa da' mezzi adoperati a difenderla. E come molti tra noi per istabilire la libertà, e l'indipendenza si strinsero in lega coi nemici della Chiesa; benché certo per render le nazioni libere, ed indipendenti, bisogna tutt'altro che farle divenire incredule; cosi molti nel Clero si sono, a difesa, stretti in lega con tutti i nostri nemici: quantunque alla verità Cattolica sia per lo meno indifferente, che un popolo rimanga diviso, e soggetto ad altro popolo straniero; o pure unendosi si liberi dal giogo.

Però da questo miscuglio di religione, e politica; e dall'aver messo come principale puntello a verità per loro essenza immutabili fatti politici per loro essenza mutabilissimi; sembra a taluni non poter venire alla Chiesa altro che male; ed i fatti fin'oggi danno ad essi ragione: faccia Dio che non gliene dieno anche in avvenire.

XII.

Intanto, è nato da questa lega quel che naturalmente suoi nascere da tutte le leghe; cioè che i collegati si ajutino, e sì lodino l'un l'altro. E come l'Austria mezzo protestante, e mezzo incredula si pone qual difenditrice, e vindice delle dottrine Cattoliche; come i principi deposti, ed i loro fautori, e fin tra gli assassinio gli stupri i briganti, son divenuti apostoli di moralità;

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cosi per ricambio il Clero ha dovuto impiegare le dottrine Cattoliche a lodare il predominio degli Austriaci il reggimento paterno, ed i briganti.

Conviene spiegare però, che le lodi non andavano ai briganti quali essi erano; ma quali si mostrava di supporre che fossero. Non erano le opere di La Gala o Caruso, che si ardisse lodare: si lodava un essere fantastico... il fedele vassallo che corre alla vendetta del suo Signore!.. il devoto figliuolo della Chiesa, che santamente audace copre col corpo (a casa del. Padre comune da fedeli!.. A questi sognati campioni andavano le benedizioni, e le lodi: ad essi preparavansi con devota civetteria le soprainsegne a' colori della dama; e la speranza di vederla un giorno leggiadramente altera render loro, correndo su brioso destriero, grazie, e saluti. Insomma si avevano formata nella fantasia una schiera di Bajardi senza macchia, e senza paura, ed un esercito, non so quanto, numerosissimo di Crociati, i quali con l'ardor della fede avrebbero supplito al difetto di disciplina, e di armi. Né Ludovico Ariosto ha descritto con tanta minuta verità il campo di Re Àgramante, o quello di Re Carlo Imperator Romano; con quanta essi numeravano, e passavano a rassegna quelle loro squadre immaginarie. E forse nei castelli di Spagna, ed in quelli di Francia qualche dabben Prete, o Prelato se l'ebbe creduto davvero. Ma i nostri di qui che vedevano le cose quali erano, furti assassina, rovine; e niente di sacro, di nobile, di grande; non popolo mosso comunque barbaramente come nel 1799 a sostegno dei proprii diritti o delle opinioni che son diritti de' popoli; ma plebe ladra, crudele, omicida;

(1) non potevano certo credere quello che in servizio della loro causa davano ad intendere altrui. Ma facevano le viste di crederlo: lodavano per esortare: volevano dire che quella fosse opera santa, ed onoratissima, e da pregiarsene ogni più onesto, e più nobile uomo. Il fatto è che sperarono davvero di poter difendere con que' mezzi il Potere temporale. Che dico io difendere il potere temporale?

(1) Parole di Pietro Colletta sui briganti del 1806 S VII cap. 15.

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Dovevano ricostituire al Pontefice Pio IX l'antico Imperio sull'universo mondo! ridonargli la potestà suprema su tutte le cose temporali! Singolare destino di Pio IX! Lo scambiarono mi giorno per Papa Giulio, e s'attendevano da lui quel grido» che ora è condannato in Roma come bestemmia, ed uscì la prima volta dal labbro di quel focoso Vicario di Cristo:  fuori i barbari - Oggi ce lo volevano mutare in un terribile Innocenzio, che copra di nuovo col papale ammanto i troni, e le corone! Lui che si trovò sì presso a somigliare al figliuolo dell'uomo il qua! non aveva dove richinare il capo!

XIII.

Dal canto loro i leggittimisti, veduto durare l'incendio, pensarono sul serio di potere alla fine purificare la terra: ossia rivendicare, e mantenere alla Sacrata Famiglia il Diritto Divino di regnare sulla Francia, sulla Spagna, sulle Due Sicilie, e su Parma in aeternum et ultra.

I francesi specialmente, i quali per rabbellire, e mettere in voga le inezie son fatti a posta; ma nel tempo medesimo son pronti sempre ad ammendare la leggerezza con la generosità, ed il coraggio; fecero essi soli più rumori, e più fatti, che non tutti gli altri popoli insieme. In verità è impossibile non amarli quei cari Francesi: anche quando ne dicono di così grosse con quella lor brava sprezzatura; e per fin quando mettono sottosopra il mondo con tanto di buona grazia, e di noncuranza. Non so proprio come a quel tempo non avessero mutati tutti gli Europei in briganti mediante l'opera dittatoria dei lor sarti, e dei lor parrucchieri. Ma però mentre in Italia si dava niente altro che parole, e lacrime; in Francia armavansi, e preparavansi a partire; ed i più ricchi si smunsero le borse in servigio della bell'opra.

Erano, come dissi, legittimisti, ma facevansi passare per cattolici: o, per dir meglio, delle due Parti unite l'una dava i soldati ed il danaro; l'altra la bandiera, ed il nome.

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Né voglio mancar di notare una della loro contraddizioni. Essi parlano di continuo della astuzia volpina dell'Imperatore Napoleone anzi la esaggerano:e poi sperano o tenergli celato quanto tramano pubblicamente contro di lui, o scambiargli, a lor talento le carte in mano. Cominciarono a ranudàrsi in Roma sotto il prode, e sventurato Lamoricière; non per altro (dicevano) che per difendervi la fede: Io stesso Lamoricière era un convertito, che quanto a se avrebbe dato di mano al cilicio, e solo per revevenza alle Somme Chiavi, riprendeva la spada. E l'Imperatore astutissimo doveva beversela; e non comprendere neppure, che Cattolici, o non Cattolici il trionfo dei leggittimisti francesi in Italia non era mezzo opportuno a stabilire il suo trono in Francia.

Poi quando in queste parti nostre si apparecchiavano alla riscossa; monstrarono essere persuasi che dopo i fatti del 1860 Egli pensasse sul serio di poter chiudere in una lega Papa, Austria, Lorena, Borboni, e Vittorio Emmanuele! Anzi lo dissero pronto a far la guerra di conto suo per rimettere con la forza Francesco II. Egli Bonaparte rimettere un Borbone! Ma un Borbone anderebbe Egli a rimettere un Bonaparte? Mirabile, se lo credevano: più mirabile ancora, se non credendolo, speravano di far credere a Lui che lo credessero! Gli ha lasciati ben Egli raccogliere danari, e scrivere, e gridar come vollero, per trovarsi constretto a rimanere con il suo esercito Signore di Roma. E non è impossibile che un tempo abbia voluto darsi il piacere di far ricostruire un altro trono alla sua famiglia dalle mani dei Preti, e col danaro dei Borboni. Il colpo forza confessarlo) sarebbe stato bellissimo: ed un abile giocatore doveva sentirsene il prurito nelle mani. Ma Egli che batte al sodo, e con occhio sicuro discerne le conseguenze lontane dei suoi fatti; dovette ben presto comprendere le difficoltà, ed il danno dell'impresa. Né poi poteva ignorare come i consigli migliori vengono, chi sa intenderli, dal nemico. Or se l'unità d'Italia non giovasse manifestamente, anche a lui, i suoi nemici non si sarebbero collegati tutti ad attraversarla:

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e se un nuovo trono nell'Italia meridionale non dovesse metterlo in più gravi imbarazzi; non sarebbero cosi generosi da insinuarglielo.

Ma checché abbiamo sperato, 0 creduto di lui, certo è che buona porzione del Clero, e tutti i leggittimisti d'Europa scelsero per loro teatro di guerra questa parte d'Italia: Qui rannodarono l'estremo di loro posse: Qui doveva rifiorire il giglio, e l'arbore Santa rinverdire. Taluni per vero dire nobilitarono con la generosità del sacrificio quella follia; anzi vollero indarno impedire 1' opera iniquissima dei veri briganti. Ed alcuni capi, degni forse di comandare in migliori guerre, non isdegnarono di cercar (da lungi) come dar coesione, e fermezza di proposito a quelle masse incomposte, delle quali speravano di far leva ad una insurrezione generale. E già non credendo di aver più bisogno di secreto, o non confidandosi di serbarlo, s'ingegnavano invece di spaventare, e di stordire: Già tutto risuonava le minacce, ed i vanti della prossima riscossa: E (se ne giunse a noi vera notizia) nella Corte del Re profugo discutevansi gravemente le leggi, ed il governo da riportare in Napoli: taluno più benigno ci lasciava vivi, anzi ci voleva letificare con non so quale statuto; altri c'impiccavano a dirittura.

XIV.

Tutto il qual rumore giunse a far comprendere ai Ministri del Re come il tempo di dormire fosse passato, e bisognasse ad ogni costo correre alla difesa. E poiché 1' esercito non era ancor molto cresciuto, e per buone o cattive cagioni non si voleva sguernirne le altre provincie; si risolvettero con ottimo consiglio di supplire allo scarso numero dei soldati col mettere a comandarli l'un dopo l'altro i due più grandi generali d'Italia.

Le disposizioni prese da questi ed i modi, con cui operarono non sono per anco conosciuti: ma forse un giorno torneranno di più lode alla previgenza, ed arte loro, che non altri più splendidi fatti. Ed io credo che appunto per covrire il difetto di numero, e la debolezza,

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il Generale Cialdini, nel prendere il comando, desse nelle trombe con quella insolita bravata:Egli che aveva compiute tante imprese grandissime in silenzio; o con parole nobilmente modeste. E convien dire che s'apponesse; se in tutti i luoghi seguirono gli effetti, nel modo che vedemmo in Napoli e nei suoi dintorni: dove quel suono fece in parte la prova del corno d'Astoffo. Ma certo né Egli, né il suo Successore erano tali che si lasciassero sbalordire dallo strepito, e dalle esagerazioni: o volessero correre all'impazzata dietro a' pericoli, dovunque al nemico piacesse per artificio, oda senno monstrarli. Seguirono (nessun uomo ragionevole può dubitarne) in modo eccellente i precetti dell'arte loro: e però non conoscendo al giusto né il numero dei nemici esterni, né gli ajuti che questi potessero trovare al di dentro, né il luogo dove volessero fare lo sforzo maggiore; e per giunta operando essi sul principio con un numero scarso di soldati; dovettero pensare non tanto ad estinguere gl'incendii parziali, quanto ad impedire, che si estendessero, e si congiungessero; o sia che il brigantaggio si mutasse in vera guerra civile. Non potevano vendicare i danni dei singolari cittadini, quando dovevano provvedere al pericolo da cui pareva minacciato il Regno intero.

E che a questo veramente fossero intesi si argomenta ancora dalle accuse portate a quel tempo contro all'esercito: rimanere ciascun corpo chiuso in quella che chiamavano sua zona di operazione: al di là non darsi pensiero di nulla, neppure di fatti atrocissimi che avevan luogo a pochi passi da loro: non muoversi agli inviti ed alle instanze dei Sindaci, e dei Prefetti: e per fino andare incontro ai briganti senza mistero, ed a tamburo battente. - Dal che si conchiudeva in tutta buona fede non aver essi nessuna volontà di distruggerli. Ed i più acuti ne assegnavano con profonda sagacia le cagioni. Erano i Piemontesi che per dominarci piiti sicuramente ci volevano impoveriti, e dilaniati! Era il Re, lo stesso Re, che di concerto con l'Imperator Napoleone voleva rendere impossibile un regno unico in Italia! Oh sanctas gentes!

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Ma insomma quel modo di operare dimonstrava come a quel tempo il fine principale, e proprio dell'esercito non fosse di reprimere i ladronecci, e gli assassini. Ci si provavano; quando età possibile di farlo, senza deviare dal fine principale: talvolta riuscivano; più spesso giungevano troppo tardi. Ma giunsero ad impedire che le bande crescessero di numero, e si riunissero tra loro: né queste potettero per un sol momento divenir atte a vere fazioni di guerra, o ad impadronirsi di una sola città, di una sola posizione importante. Questo fece a quel tempo l'esercito; e questo doveva fare.

XV.

Ma l'arte dei Capi, il coraggio, ed il numero ognora crescente dei soldati; e sopra tutto l'indifferenza, e la tiepidezza di quelli in cui a Roma maggiormente speravano, diede non dopo molto tempo un nuovo aspetto alle cose. Le illusioni svanirono. Quelli che avevano immaginato di andare non al combattimento, ma al trionfo; e quelli che avevano creduto di voler correre al martirio; visto

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e considerato, come fischiano le palle, ebbero a trovar più prudente di tornarsene man mano ai loro abituri; e furono persuasi che buon suddito, e buon cattolico si può essere presso al proprio focolare assai più comodamente che trai boschi. Ed una diversa cagione produsse gli stessi effetti in quegli stranieri, che si aspettavano di essere venuti in una novella Vandea tutta in arme a difesa del Sovrano,

e

della Chiesa. Trovandosi invece tra ladroni senza fede, senza onore, e senza umanità ed il paese all'intorno indifferente, o nemico, ebbero a maledire, come leggiamo nel giornale dello sventurato Bòrjes, gli altrui inganni, e la loro credulità: e tornarono frettolosi sui propri passi; quando non rimasero come Esso (degno di miglior sorte!) uccisi tra via.

Cosi finì la seconda forma del brigantaggio, che potremmo chiamare di prestigio politico. E certo non mai popolo fu messo a prova più forte. E chi può dire che sarebbe avvenuto dello stesso saldissimo governo Inglese,

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se Carlo Eduardo Stuart quando tentò (benché dopo 85 anni) di riconquistare il trono alla sua famiglia; avesse potuto rimanere sicuro, ed inattaccabile in Edimburgo? mentre di Spagna, e di Francia si fossero mandati armi, uomini e danaro; e per tutta Inghilterra si fosse predicato esser necessario alla gloria di Dio il suo ritorno?

E non rimangono nei nostri boschi, e su pei monti, che ladroni, ed assassini nel puro e stretto senso della parola: gente che si è messa con le opere fuori della legge, e della umanità: che oggi assassina nel nome di Francesco II 0 e dimani, se ne venisse il destro, assassinerebbe lui medesimo in qualsiasi altro nome: che uccide i vecchi, gli enermi, ed i fanciulli nel nome di Cristo; e viola nel nome di Maria le vergini, e le spose: gente insomma, che può forse servire ai fini politici di qualcuno; ma quanto e se non ha altro fine, che seguire i suoi istinti bestiali, e prolungarsi, quante possibile, la libertà, e la vita. Le loro file sono mantenute, ed aumentate da quelle cagioni permanenti, che portano gli uomini a commettere delitti, ed a fuggirne la pena. Quelli che volendo misfare vanno in cerca di ajuto, e quelli che avendo misfatto cercano l'impunità; gittansi nelle bande, che già trovansi in guerra aperta contro l'ordine sociale. Succede come nelle malattie, che diconsi dominanti: gl'infermi quasi tutti muojono del male, che domina, e gì' altri mali o degenerano in esso, o ne prendono la forma. Per ugual modo il ladro, l'omicida, il disperato quando si trovavo presso un orda di briganti, diventano briganti. Trovano questi si fatti tuttavia rifugio non più alla scoperta nelle città, ma, come all'insaputa del governo, pei monti, e nelle caverne degli Stati Pontificali; d'onde ritornano furtivi ad infestare le vicine campagne: né credo che nell'interno del regno lor manchino del tutto più rifugio, e caritatevole ajuto; però il men che sì può, ed in tutto segreto. Solo di lodi sono loro tuttavia larghissimi pubblicamente taluni del Clero; i quali seguitano a credere di difendere con quel modo la morale, e la fede.

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XVI.

Or, essendo passati (od almeno parevano) i pericoli d'insurrezione, e di guerra civile; veniva a sentirsr più gravemente il danno della proprietà, e delle persone. Dal che ebbero principio le querimonie, occasione prossima, come dissi sopra, di questo scritto. Non era ormai alla stabilità del regno che parevano poter nuocere i briganti; i quali però infestavano le strade, ed infuriavano contro i beni, e le persone assai più che non facessero prima. Poiché da quei pochi che mescolandosi ad essi avevano voluto mutarli in partigiani, fu rattenuta ed alcuna volta punita la lor brutale ferocia: oggi rimasti soli, e padroni di se sfogavano alla libera l'appetito di sangue, e di rapine.

La repressione dunque, a quel che molti credevano, andava divenendo, od era divenuta il fine principale e solo da secondario, ed accessorio, che era stato finallora. E nel fatto l'esercito se ne occupava assai più che prima. Ma cominciò nel tempo medesimo a sentirsi vivamente il bisogno di una polizia vigile, e sicura. Poiché a quelle prime operazioni di guerra avevano potuto più o meno bastar le notizie,, che ogni mano di soldati operante in faccia al nemico é sempre nel caso, e nel costume di procurarsi da se. Ma oggi trattavasi di conoscere i luoghi speciali dove poter sorprendere le bande, ed il modo di privarli degli ajuti, e dei viveri che avevano dai loro fautori: al che i soldati non bastano soli, ed hanno necessario bisogno degli Ufficiali Civili. D'onde i lamenti dell'esercito contro costoro, e di rimbalzo i lamenti loro contro l'esercito. Né a me è dato di poter conoscere quali speciali colpe ci siano potute essere in ciascun caso speciale nell'una parte parte, o nell'altra. Il torto in universale però era propriamente dove nessuno ha voluto vederlo: in talune leggi, bellissime a tempi tranquilli, ma nelle condizioni, in cui erano, e sono le nostre provincie, inopportune, se altre ve ne furon mai: le leggi cioè sopra i Municipii, e la Guardia Nazionale.

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Queste, secondo ne pare a me, furono la cagione vera che il brigantaggio tanto s'estese, e tanto durò.

XV.

Non vorrei che altri possa frantendere il mio pensiero: e però credo necessaria una spiegazione minuta. In astratto reputo ottimo il principio su cui quelle leggi si fondano: e giudico ingiustissime le accuse che si portarono contr'esso. La concessione, o meglio la restituzione ai comuni di parte dei diritti loro lungamente appartenuti è la sola cosa atta a stabilire la libertà, e nel tempo stesso a mantener l'ordine senza che si cada nell'immobilità, e la morte. E forse la principale cagione della instabilità dei governi liberi in Francia fu appunto l'aver richiamata tutta la vita pubblica nel centro del governo. Sopra di esso dunque è forza che gravitino tutte le ambizioni; e con la soverchia pressione, e folla cagionino continui pericoli. Mentre derivando nei Comuni una parte del potere pubblico, si aprono numerosi campi all'onesta operosità, e diciamolo pure alle moleste ambizioni minori. Nel primo caso si pensa solo di divenir utile, o temibile a chi governa; nell'altro, molti si contentano di essere utili od accetti od importanti nella loro città. Può quasi dirsi che questa divisione del potere pubblico produca (col tempo) tant'utile quanto tutti riconoscono dalla divisione dei terreni. I piccoli proprietarii, coltivando da se il loro campo, vi prendono amore, e si attaccano in certa guisa al suolo, dove rinvengono occupazione, guadagni, e sollievo. Oltre a che finiscono coll'acquistare ai loro occhi medesimi maggiore dignità, ed importanza; come quelli che per il necessario alla vita sanno di non dipendere da altri, che da Dio.

Sentimenti simili ingenera la divisione del valor sociale (come Romagnosi lo chiama). Non si disprezza, né leggiermente s'abbandona il villaggio nativo; quando vi si ha un'importanza che svanirebbe altrove; e quando vi si può fare un bene più vivamente approvato, che non sarebbe in uno spazio più vasto:

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ed il trovarsi dentro certi confini quasi alla pari con i più alti personaggi dello stato aggiunge dignità; e quasi direi nobilita.

So bene come uomini gravissimi specialmente in Francia guardino tuttavia con ammirazione quella macchina potente a muovere le più minute fila dal centro dello Stato; la quale congegnata dal primo Consolo nel 1800 è conosciuta in Europa sotto il nome di Concentramento amministrativo. E per verità nel suo genere sarebbe difficile di far cosa più perfetta. Ciò è a dire che, ammesso il principio di doversi lo Stato mischiare in tutto, non può forse trovarsi a ciò macchina più acconcia: ben vi si conosce la mano di quel sommo Artefice. Anzi in alcune condizioni sol'essa può riuscire efficace: ed io intendo appunto di dire che nelle condizioni nostre fu un errore l'averla rotta sì presto. Ma nella vita sana, e normale di un popolo a me sembra dannoso, come sarebbe certamente dannoso nella vita di un individuo, il tenerlo con le pastoje, sicché non possa in nessun verso muoversi da se solo. Ed aggiungo che se gli amici della monarchia assoluta non viddero quanto stabile base al trono sia la libertà dei Comuni, può in certo modo scusarsi. È un errore, ma non è una contraddizione. Ma i sostenitori di libertà, i quali oppongono gl'inconvenienti possibili a nascere da quella dei Comuni, dovrebbero comprendere che con ciò condannano il loro stesso principio, o sia ogni specie di libertà Conviene dunque che anche pei Comuni si contentino d'impedire al possibile, o riparare i mali della libertà, e nel resto rassegnatisi per cessar mali maggiori: od altrimenti aver la sincerità di confessare che il migliore di tutti i governi sia il dispotico (quando il Despota fosse un Dio).

Insomma il principio su cui si fonda la legge è vero, ed utile; sebbene come sopra toccai sia tutt'altro che nuovo; quale par che lo suppongono cosi i lodatori, come i detrattori. Nuovo è il maledetto attraimento di tutta la vita pubblica in un punto solo, che ne rimane come allagato, mentre il resto all'intorno dissecca, ed insterilisce.

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Né fino alla rivoluzione Francese del 1789 persona al mondo aveva fatto, e neppur pensato nulla di somigliante: i comuni fino a quell'anno erano tutti liberi ugualmente.

XVI.

Nel che però, o sia nel supporre in cose disugualissime una capacità uguale, a me par che difettassero in parte le antiche leggi, ma più ed in tutto la nostra. Al più meschino villaggio, ed alla più nobile città essa concede diritti affatto uguali: Napoli con seicento mila abitanti ha la stessa quantità di diritti di un qual siasi villaggio che non giunge ai 600. O è troppo per l'uno, o è troppo poco per l'altro. A questo inconveniente han trovato rimedio gli Inglesi, constituendo come un minimum di privilegi), e di diritti: o per dir meglio distinguendo le piccole faccende, alle quali basta la comune sufficienza di un padre di famiglia» dagli affari di maggior conto e di più generale importanza. Ciascuna parrocchia (come colà le chiamano) per piccola e selvaggia che sia è reputata atta a provvedere da se a quella prima specie di faccende» che potremmo dire domestiche: mantenere le strade interne; illuminarle la notte; rifar la Chiesa, e la fontana, condurre il medico, e simili. Per tutto il di più sono costituiti il Borgo o la Contea. Sotto nome di Borgo le città di maggior conto hanno vita propria ciascuna da se, con più o meno privilegii secondo il maggiore, o minor grado d'importanza: ma tutte hanno una personalità distinta, ed indipendente. Le città minori, ed i villaggi si raggruppano in un centro comune; e cosi unite sotto il nome di Contea esercitano in diversa forma i diritti medesimi. (1)

(1) In Italia le Contee inglesi suppongonsi simili alle nostre Provincie: cioè una riunione per provvedere alle faccende comuni di più municipi!, e vigilare in certi casi sopra ciascuno. Questo supposto è falso: il Borgo e la Contea sono due cose parallele senza dependenza, anzi senza contatto tra loro. Quello che è il Borgo, quel medesimo con forme diverse è la Contea:con ciò solo che la Contea vien constituita dall'aggregato di molte città minori ed una città sola consti lui se e il Borgo. L'uno, o l'altra mandano ugualmente deputati al parlamento.

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Poiché gl'Inglesi amantissimi più che ogni altro popolo della libertà, non hanno però la dabbenaggine di credere che essa supplisca a tutto, e muti l'essenza delle cose; né che alle nazioni fatte per legge libere piova ipso facto dal Cielo la virtù, e la sapienza. Sanno ben essi che a provveder convenientemente al bene comune non basta esser liberi, convien essere fedeli, e prudenti: e di uomini cosi fatti può sperarsi tra il più, ed il meno un numero bastevole nelle grandi città; ma è impossibile, al tutto impossibile trovarne, se non dispersi pei piccoli paesi. Ciascuna dunque delle grandi città governasi separatamente da se sola, e dalle altre raggranellano gli uomini di conto che pur trovansi in ciascuna» Cosi non hanno un forzato agguagliamento di cose disugualissime, né la ridicola commedia di onesti villani occupati gravemente a decidere affari in tutto al di sopra della loro comprensione. Non dico che ad ottener questi fini non possa esserci altro mezzo. Ma certo questa nostra democrazia di municipii, la quale, quanto a se farebbe di Roma, dell'Alma Città, dell'Urbe per eccellenza un municipio simile per Dio! al municipio di Corneto, o di Peretola; è cosa assolutamente falsa, e però non possibile ad esser buona.

XVII.

Ma nonostante questo difetto, e l'altro anche gravissimo di dare l'amministrazione non ad un individuo, ma ad un assemblea, o giunta; io quanto a me tengo in astratto buone, ed utili quelle leggi: ossia giudico che qualsiasi male possa venirne in tempi ordinarii è contrappesato largamente dal gran bene che arreca il diminuire in parte la monstruosa onnipotenza dello Stajo.

Ma è tutt'altro nei grandi mutamenti, e dopo una grande rivoluzione. U nuovo governo deve prima di tutto impossessarsi, dirò cosi, del paese: farsi credere, conoscere, accettare. Ed allora solo può consentire a mettere al di fuori di sé autorità e forza, quando la sua esistenza non sia in pericolo,

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o sappia che al bisogno verrà spontaneamente difesa. Insomma conviene che le persone nelle cui mani ricade quell'autorità, e quella forza ne sappiano far uso, e non abbiano a rivolgerle contro dello Stato. Ora nessuno non vede qual senno prattico, e quale esperienza doveva potersi trovare in piccole borgate, e lontani villaggi nel primo uscire dalla paterna tutela dei nostri ultimi sovrani, e quanto le incertezze, le imprevviggenze, e gli sbagli dovessero tornar dannosi in tempi così dilaniati, e sconvolti. Dall'altra parte il nuovo governo vi è rimasto o sconosciuto del tutto, o tenuto in conto di cosa lontana, ed estranea. E come poteva essere altrimenti? In un villaggio la sola autorità, e la sola forza conosciuta, e presente è il Consiglio Municipale, e la guardia nazionale: persone, cioè non scelte, anzi ignorate dal govèrno, cui esse ignorano, ed a cui per legge non debbono dar conto dell'opera loro. E devesi notare, che comunque in diritto i municipii sieno uguali, nel fatto essi hanno tanto maggiore indipendenza quanto sono più piccoli, e lontani» In questi l'autorità, e la forza pubblica sta tutta nel Sindaco, e nelle guardie nazionali: ed il sovrano non vi è rappresentato, se non di tempo in tempo dal raccoglitore delle gabelle. Mentre nelle altre città, quanto più ciascuna è grande, tanta maggior parte vi risplende della Maestà Sovrana; e la forza dello Stato vi contrappesa, e mette nell'ombra le potestà minori.

Ma appunto i Sindaci, e le guardie nozionali delle borgate, e dei villaggi avrebbero dovuto con opera efficace e concorde ajutare l'esercito nello scovrire, e reprimere i briganti.

Or senza essere di quelli, i quali vedono dovunque nemici; non mi par poi che, chiudendosi gl'occhi all'evidenza, doveva presumersi di trovar al nome d'Italia spuntati da per ogni dove amici ferventi. Scarsissimo oltre quanto vogliono credere è il numero dei partigiani ad ogni costo del governo antico; ma non poteva d'un tratto essere grandissimo quello dei partigiani ad ogni costo del nuovo.

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Il maggior numero è di prudenti, i quali hanno per principale scopo di uscirne netti in ogni caso: non vogliono divenir martiri oggi per sostenere il passato; e non vogliono esporsi al pericolo di divenir martiri domani per aver troppo sostenuto il presente. E ce ne ha di molti, che pronti ad accostarsi con colui al quale rimarrà la vittoria, giurano intanto a voce alta fedeltà all'uno e mandano a voce bassa proteste di devozione all'altro: applaudiscono nei crocchi alle nuove sorti della Madre Italia, e vanno a deplorare nell'orecchio di qualche frate le rovine della Madre Chiesa. Son cose vecchie avvenute sempre in tutte le rivoluzioni, e certissime a dover avvenire tra noi.

Di cosi fatti adunque dovea prevedersi che tornerebbero riempiuti i municipii, e le guardie nazionali: e che quindi il governo vi avrebbe incontrato il più nojoso degli ostacoli; l'inerzia.

XX.

Ed all'inerzia s'aggiunsero le ostilità aperte, le quali è impossibile che manchino al seguito dei grandi rivolgimenti. Troppi sono dall'una parte i mali, che un nuovo governo necessariamente cagiona, le abitudini che rompe, il disinganno che ingenera: e dall'altra son troppo vive le speranze di un passato non ancor remoto dalla memoria, e tuttavia vivente nei fatti. A) che in Italia s' aggiunge, che non pochi, tra quei che han governato, par s' abbiano preso' il compito di tenere aizzati gli animi, e deste le ire. Non bisogna dissimularcelo: noi italiani siamo pur sempre i figliuoli di coloro, che sotto nome di Guelfi e Ghibellini non han saputo far altro per quattro secoli che perseguitarsi, e dilaniarsi a vicenda: svillaneggiare la parte vinta, darle il divieto dagli ufficii pubblici, sbandirla, e perfino, secondo il bel costume di allora, disfarle le case; per essere poi alla lor volta perseguitati, sbanditi e disfatti, quando la fortuna diceva contro. Questa fu la scienza politica di quattro secoli, e questa, in gran parte, seguita ad essere la nostra.

Per dodici anni qui in Napoli, i partigiani della

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monarchia assoluta presumevano di servirla, affaticandosi con studiata insistenza a trovarle dovunque nemici; e stuzzicando, e traendo alla disperazione chi non avrebbe voluto di meglio, che d'esser lasciato vivere in pace: Dipoi i perseguitati d'allora venuti essi in istato hanno puntualmente seguito i loro avversarii con meno crudeltà, ma con più insipienza. Ci furono bensì taluni, o più benigni o più sanamente intenditori delle arti di governo, i quali avrebbero voluto toglier le gare, raccomunando gli uffici le diminuire gli sdegni, ricevendo come amico chiunque si risolvesse a divenirlo Ma tra le ire clamorose dei più, e la timida benevolenza di questi pochi, si è finito col riuscire a quel che ci era di peggio: con trafitture continue non si ristette dall'annoiare ed irritare il maggior numero, e si è fatto giorno per giorno sentire quel male che, quando si dovea pur fare, era meglio averlo fatto di un colpo.

E mentre facevamo tutto ciò, mentre cacciavamo uomini probi ed esperti da ufficii innocui, dove basta la comune fedeltà di uomo onesto; noi medesimi aprivamo ai più tristi la via per entrare in quegli ufficii municipali, dove nelle condizioni nostre straordinarie era richiesto zelo risoluto e fedeltà a tutta prova! Ma, Dio mio! Incalzare il nemico, e mettergli l'armi nelle mani! Altri la chiamerà, se vuoisi, sapienza politica; Macchiavelli però non sarebbe stato si cortese Fortuna che questa in Italia sia una partita la quale si giuoca, a quanto pare, a rovescio! Noi andiamo innanzi più per la sciocchezza degli avversarii, che per nostra prudenza: ed essi in ricambio stanno avendo dai nostri errori quei maggiori vantaggi che potevano sperare Fortuna, ripeto, che non ne sappiano trar profitto; e che al far dei conti sieno assai men previggenti di noi!

XXI.

E noi, bisogna confessarlo, non abbiamo mai pensato alle conseguenze, non dico lontane, ma prime ed immediate degli atti nostri: anzi, a dir proprio la cosa com'è, pochi hanno saputo che ci si dovesse pensare.

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Un sol principio fu seguito comunemente in tutte le leggi, ed in tutto l'ordinamento d'Italia - Assimilarne le parti.- Questo fu Io scopo costante ed unico: - Assimilare -, ossia distruggere ad un tratto ogni diversità di leggi, di giurisdizioni, di amministrazioni, d'imposte, di usi, di nomi, di tutto; per sostituire le leggi, gli usi e gli ordinamenti del Piemonte.

Pure la Francia era ben veramente Una prima del 1799; ed a farla divenir tale, non erano state di ostacolo le tante diversità in tutte le parti del vivere civile, quante tutti conoscono. E se non deve negarsi, che la perfezione ultima dell'unità vi si ottenne col gittar via tutte quelle molte varietà; non è però men vero, che se noi modestamente fossimo rimasti alcun tempo al di sotto della perfezione, avremmo risparmiati molti dolori e molti disastri. O per lo meno non avremmo dato il brutto spettacolo di fare il bene cosi inopportunamente, che si scambii per male; ed invece di gratitudine acquisti odio. L'assemblea Costituente fu pregata di dare, e fu applauditissima per aver data tutto d'un tratto, in pochi giorni, alle diverse provincie di Francia quella smiglianza o pareggiamento compiuto, contro di cui si grida tanto tra noi. E tutti gli scrittori francesi annoverano, tra le principali cagioni del favore in quei primi tempi universale per la rivoluzione, l'aver essa abbattuti gli ostacoli, che dividevano l'una dal!' altra le diverse parti di uno stesso Regno. Ma tutte quelle leggi, consuetudini e giurisdizioni eran divenute veramente niente altro che ostacoli, ed erano sentiti per tali. Sole le leggi si ostinavano a distinguere le parti di quella grande nazione, rese dalla lunga unione al tutto simili: e gli imbarazzi di tante dissomiglianze, che non avevano più ragione d'esistere, attraversavano da per ogni dove la vita. Sicché, quando infine la Francia ne venne sgomberata, fu come un sollievo universale; e nella gioia della desiderata liberazione non s'intesero gl'incomodi non piccoli, i quali sempre accompagnano le novità imposte negli usi e nelle consuetudini.

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Con un poco di pazienza, e lo stesso sarebbe avvenuto tra noi: né il governo sarebbe accusato più per leggi, che in astratto potrebbero dirsi buone, che per i veri danni di cui ha dovuto essere autore.

Del rimanente è cosa molto dubbia se a tutti i paesi, e specialmente all'Italia sia utile quella uniformità perfetta di cui si loda la Francia. E rammento al proposito una sentenza gravissima di Montesquieu al cap. 18, lib. XXIX, la quale è racchiusa in parole sì pungenti che certo non vorrei usare per conto mio, anzi non voglio neppure tradurre: «Il y a de certaines idées d'uniformité, qui saisissent quelquefois le grands esprits (car elles les but touché Charlemagne) mais qui frappent infailliblement les petits. Ils y trouvent un genre de perfection qu'ils reconnaissent; parce que il est impossible de ne le pas découvrir les mêmes poids dans la police, le mêmes mesures dans le commerce; les mêmes lois dans l'état.... Mais cela est-il toujours à propos sans exception?Le mal de changer est-il toujours moins grand, que le mal de souffrir?Et la grandeur du génie ne consisterait-elle pas mieux a savoir dans quel cas il faut l'uniformité, et dans quel cas il faut des différences?... (Lorsque les citoyens suivent les lois, qu'importe que ils suivent la même.»

Debbo però aggiungere per la verità, come molti tra noi, o Repubblicani o legittimisti si opponevano malignamente ad ogni mutazione, per utile o necessaria che fosse; e cercavano e cercano di rivolgere ai privati lor fini gli umori destati dal soverchio ed importuno rimescolamento. Quelli speravano di giungere così alla loro Terra promessa: ossia ad un'Assemblea con poteri sovrani, la quale rifacendo essa tutte le leggi non resterebbe della monarchia altro (se pure) che il nome. Questi volevano ritenere tutte le divisioni antiche nelle leggi, perché speravano di ricongiungervi, quando che fosse, le antiche divisioni del territorio. Onde molti del governo credettero di salvare bravamente la Monarchia e 1 unità della Patria, calcando la pialla su tutta la superficie d'Italia.

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E per le nostre provincie si aggiunse una cagione speciale. La coesione loro tra sé parendo a parecchi ostacolo principale alla combinazione del gran Corpo novello; fece giudicare giusto ed opportuno quanto tendesse a distruggere quello che di bene, o di male lor rammenta la unione antica. Ne io voglio sofisticar sulle intenzioni. Ma le leggi, e tutte le opere umane producono gli effetti secondo la lor propria natura, non secondo la intenzione dell'operante Ora (per tornare al proposito nostro) conseguenza necessaria della legge, che sottrae alla direzione dello Stato le potestà municipali e la guardia nazionale, è appunto che nei villaggi e nelle campagne riesce impossibile di esercitare la vigilanza senza essi, e molto più conico di essi.

Né da persone, a cui allora forse per la prima volta giungeva il nome d'Italia, poteva sperarsi tra tante divisioni ed incertezze un concorso spontaneamente risoluto ed efficace.

Erano dunque giusti i lamenti dell'esercito; ma era ingiusto il rivolgerli contro i Prefetti, i quali legalmente non potevano comandare a coloro che avrebbero dovuto cooperar coll'esercito, e molto meno rimuoverli, o mutarli.

Dall'altra parte i Prefetti dolevansi a torto dei Capi dell'esercito, i quali trovatisi più volte ingannati, si negavano ragionevolmente a credere anche chi loro dicesse il vero.

XXII.

Intanto nei giornali si trattava la quistione con quelle formole generali, che valgono a nascondere il vago delle idee, ed a far passare con una parte apparente di verità il falso ed il dubbio.

È vero in senso assoluto che i mezzi buoni e sufficienti in date condizioni, possono riuscire inefficaci, od insufficienti quando quelle sieno mutate. È vero ancora (per quel che io ne sappia) che quanto i modi della Gran Guerra si diversificano dai modi della guerra, che oggi chiamiamo di partigiani; tanto i modi con cui si combatte o s'impedisce questa guerra di partigiani sono diversi dal modo

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col quale esercitasi sopra una mano di malfattori un atto di pubblica vendetta.

Rimaneva però ad accertare se veramente fosse cessato ogni pericolo di attacchi da nemici esterni, o di tentativi di sommosse dal di dentro. Nel qual caso solamente le precauzioni fin allora usate divenivano soverchie; e l'arte ed il senno maraviglioso stati fin allora di utile manifesto, divenivano al tutto inutili.0 pure conveniva mettere ad esame se diminuita, come non ci era dubbiosa gravita del pericolo presente, fosse possibile nel tempo stesso stare in guardia per la incertezza dei pericoli futuri, e provvedere con efficacia al male certo e presente di tante devastazioni, e tante stragi. E forse ridotta la quistione in questi termini, sarebbe stato possibile l'intendersi.

Ma a queste proposizioni, in parte vere in parte probabili, se ne aggiungevano parecchie, non che false, ridicole. Infatti, come mezzo da distruggere i briganti, taluni proponevano di sciogliere tutti i grandi comandi militari, ed in ispecie quello di Napoli: sicché le operazioni dei soldati non più partissero da un centro comune, ma fossero ordinate ciascuna separatamente nelle diverse provincie. E con ciò si promettevano di venirne a capo in poco tempo! Lasciando stare che ci fu, chi tra i fumi del caffè e del tabacco si confidò di far la scuola ad uno dei pili reputati Generali d'Europa, ed insegnargli il modo come s'hanno a muovere i battaglioni! Eppure non ci vuole molta metafisica per sapere che le parti staccate non possono essere più efficaci del tutto:né molta modestia per non credersi un gran Generale quando non si è mai visto un soldato se non nelle rassegne.

Altri gravemente dicevano a punire i briganti F opera dell'esercito essere inefficace, anzi dannosa: e con profonde argomentazioni dimostravano solo le arti proprie della Polizia essere da tanto.

E si erano dimenticati che, con un'amministrazione ordinarissima, e tutta nelle mani del Governo, né in Francia Fouchet, né in Napoli Saliceti si confidarono di rivolgere

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contra ai briganti quelle arti di cui erano entrambi consumatissimi Maestri. E dire oggi che ci sarebbe riuscito un qualche povero prefetto messo dalle leggi a combattere con 1 inerzia ed il mal volere di certi Sindaci e di certe Guardie Nazionali!

Il mezzo in tutti i tempi valevole, per quanto può raccogliersene dalle istorie generali, fu di unire in un dato luogo grandi masse di soldati,

le quali»occupando fortemente i punti principali come di un cerchio da cui i malfattori disperino di uscire, possano nel tempo stesso correre per le diverse corde di esso cerchio a spavento di quella gente che volesse dar loro aiuti; e giungere in tal modo a snidarli. E, come sopra ho riportato, Napoleone, quel supremo maestro di guerra, che tanto spesso accerchiò, disgiunse, e conquise eserciti al men doppii dei suoi; si negò ostinatamente, dopo una prima prova, ad attaccare i briganti se non con forze prepotentissime: e volle piuttosto lasciarli (lui imperante) far qualche tempo da padroni in Francia, anziché provarsi con loro senza la certezza di pronta riuscita. Né credo già che Egli si giudicasse inabile a vincerli con meno Ma vidde che in siffatte guerre non basta vincere, bisogna vincere prontamente e facilmente. Uno Stato non deve mostrarsi affaticato a combattere pochi assassini; ma tranquillamente risoluto a punirli. Bisogna che gli stessi soldati quasi non s'avveggano di operare come in guerra, e non ne vogliano la gloria, e neppure ne acquistino il merito. Che altrimenti saranno bensì distrutti quei tristi, ma l'esempio nella memoria del popolo ne rimarrà nobilitato, e quasi dismetterà l'infamia nativa. E certo un lampo d'immeritata gioia e di orgoglio avrà consolato quella belva in forma umana che lungo tempo infuriò nel territorio di Benevento, se potè leggere scritto dalla mano stessa che con sì splendida maestria gli aveva serrata intorno la rete: Ufficiali Sottoufliciali e Soldati Caruso è vinto

(1).

(1) Parole del generale Pallavicini nell'annunciare ai suoi soldati la prigionia di Caruso.

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Ed oltre a ciò queste dolorose guerre riescono di noia e danni grandissimi a quei medesimi nel cui favore, e per la cui difesa s'imprendono: stantechè mettono nella necessità di sospendere molti diritti, e di imporre molti obblighi straordinarii ad essi che già trovansi tra quei disastri. Convien. dunque farle durare pochissimo, perché gli uomini soffrono in pace qualsivoglia grande violenza, purché duri poco, e ne veggano il frutto; ma s'irritano dei più piccoli incomodi, se si prolunghino troppo, e riescano o paiano inutili.

XXIII.

In tutti i tempi dunque si è operato contro dei briganti con grandi masse di soldati, al cui Capo si son dati sempre tutti i poteri civili necessarii alla buona riuscita. Che altrimenti un Generale operante nel suo territorio vi si troverebbe in peggiori condizioni, che non in paese nemico, dove per diritto di guerra egli assume di fatto tutti i poteri necessarii, e costringe le autorità civili ad ubbidire.

E questo in un tal qual modo ha dovuto fluire col farsi tra noi. In un tal qual modo, io dico, essendocisi dovuto andare come per isbieco, ed in gran parte per via di fatto, e contro alle leggi. Colpa di coloro, i quali più novizii nelle istorie, che ad uomini politici non sarebbe richiesto, pensano che sia contro alla libertà il dare poteri straordinarii in tempi di straordinarii pericoli: e non s'avveggono neppure come Io stato di guerra sia per sua essenza impossibile ad unirsi con l'osservanza di talune leggi. 11 volere nel tempo stesso la guerra ed il mantenimento dell'ordinaria legalità è una contraddizione in termini: come sarebbe il volere un taglio cerusico, ed il mantenimento della continuità della pelle. Laonde tutti i popoli liberi hanno usato nei pericoli o di nominare magistrati straordinarii, o pure di dare poteri straordinarii al Capo dello Stato, ed ai Generali messi da lui. E ciò solo può rendere durevole la libertà, come notò Machiavelli.

Quelle Repubbliche, egli dice (1),

(1) Discorsi sulla I Deca 34.

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le quali negli urgenti pericoli non hanno rifugio al Dittatore o a simili autorità, sempre nei grandi accidenti ruineranno...... E quando manca un simile modo è necessario, o per servare gli ordini rovinare o per non rovinare romperli.

Ed infatti chi non voglia star sulle nuvole, deve comprendere come ogni Stato non può non essere anzi tutto amante della conservazione sua propria. Un quasi istinto Io trascina a repellere con la forza chi lo metta in pericolo; come fa per di ritto di natura ogni uomo, anzi ogni animale. Sicché aspettarsi che uno Stato si lasci distruggere piuttosto che trapassare le leggi, è come credere che un individuo non uccida o ferisca chi vuoi togliergli la vita. Ogni uomo, quando le leggi non giungono a proteggerlo, adopera la forza: Ed ogni Stato si difende con le leggi, se queste gliene danno il modo; trapassandole, se glielo negano.

Questo è il fatto, e fino ad un certo punto è anche questo il diritto.

Il difficile è assegnare i casi, e le condizioni in cui un governo debba aver ricorso ai modi straordinarii; come non si potrebbe dire al giusto quando un uomo debba credersi in pericolo, sicché gli sia lecito d'uccidere l'ingiusto aggressore. Ma questi casi ci sono: e nel doverli assegnare vai meglio errare iu larghezza che in istrettezza. Poiché l'autorità che altri prende da sé, non quella che danno le leggi può nocere alla libertà:

Si mette nel primo caso un usanza di rompere gli ordini per bene, che poi sotto quel colore si rompono per male

(1). E le soverchie restrizioni, come in morale ingenerano l'abito vizioso di operare contro coscienza, così danno in politica l'abito dannosissimo di disprezzare le leggi.

XXIV.

Ma nel Tu n modo o nell'altro, molte bande già trovansi distrutte, e par che siasi presso a distruggerle tutte.

(1) Macch. loc. cit.

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Rimangono allora qua e là dispersi quei pochi, che non morirono nelle zuffe, e non caddero nelle mani dei loro punitori. E contro di questi l'esercito davvero non potrà più nulla; sole le arti della Polizia potrebbero scovrirli nei loro nascondigli, tra i boschi e su poi monti. Forse la clemenza, dopo gravi alti di giusto rigore, li riporterà agli usi della vita comune. Ma se convien davvero sorprenderli, ho paura che si sentiranno ancor più gravi gli effetti di quelle leggi. Io almeno non veggo come nelle campagne si possa operare legalmente senza il concorso dei municipii e delle guardie nazionali: e come con le nostre leggi si possa esser certi di costoro. Salvo che l'Italia non si trovi giunta per altre vie a tanto di stabilità, e di potenza, che gli incerti ed i dubbii si mutino in fautori scoperti; ed i nemici si acquetino nella conosciuta impotenza di nuocere.

In somma questa pestilenza, di cui si è parlato e si parla sempre in confuso, deve (per quanto mi pare di aver dimostrato) considerarsi sotto quattro forme diverse.

La prima fu di vera anarchia. Dall'essersi ritirata la forza pubblica ebbero campo a venir su i più audaci, dalla cui impunità furono man mano richiamati altri: Poi i soldati improvvidamente (o provvidamente) dimessi aumentarono le bande, e lor cominciarono a dare un vessillo politico.

Le quali in seguito dalla Corte Borbonica, dai partigiani di tutti i Principi caduti, e dal Clero furono alcun tempo sostenute, ordinate, e quasi nobilitate. Che fu la seconda forma, che chiamammo di prestigio politico.

In terzo luogo, ritiratisi quei pochi che erano stati mossi più o meno da fedeltà e da zelo, rimasero solo quegli sciagurati, a cui tre anni di alternate avventure, pericoli e prepotenze, stenti ed abbondanza, dolori ed infami gioie, han fatto impossibile a sopportare qualunque altro modo di vita.

Da ultimo, quando come già avvenne di alcune, tutte le bande saranno disperse; ne rimangono gli impuri residui per i boschi e sui monti; dove cercano piuttosto rifugio contro della severità delle leggi che, mezzi da combatterle;

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pronti però ove ne venga il destro a cominciare da capo. E questo mi sembra il netto della dolorosa istoria.

XXV.

Non ho inteso dire con ciò, che non ci sieno tra noi umori, e scontento; e che secondo lo stile di taluni giornali le nostre provincie sieno tutte ardore per l'unità d'Italia, e tutte gioja per la ricuperata libertà. Son parole coteste non credute da quelli medesimi che le scrivono: e sol trovano scusa, e riscontro nell'altra asserzione contraria; che ci vuoi tutti impazienti di ritornare sotto il reggimento paterno, ed irritato dal giogo che una turpe, e piccolissima fazione ci ha posto sul capo. Nel fatto ci è pur troppo tra noi scontento, ed anche disdegno. Nè potrebbe essere altrimenti Le rivoluzioni hanno come le maree il loro riflusso.

E le illusioni che concorrono a generarle, generano con esse ad un parto lo contento, senza che ci sia modo da impedirlo. Anche quando non si facessero tutti gli sbagli che per solito si fanno, e che in verità si son fatti tra noi, anche quando non andassero a mescolarvisi tanti turpissimi effetti; la rivoluzione più necessaria, e meglio riuscita non può che distruggere, e dar così il modo di poscia edificare. Or gli incommodi della distruzione presente sono sempre maggiori che non quelli del mal'ordine antico. Come vergiamo nel riedificarsi di una casa, che quelli medesimi, i quali vollero, e comandarono l'opera, e la pagano; questi medesimi quando poi si trovanq tra le rovine, e gli ingombri, ed i puntelli, ed i pericoli, ed i rumori, son tentati di maledire il giorno in cui vi si risolvettero. Né possono esser molti coloro, i quali conservino così viva memoria dei mali, che pativano, ed abbiano così chiaro antivedimento del bene avvenire, che si rassegnino volontieri ai mali presenti. D'onde nasce quello che chiamasi disinganno, ed è un inganno di altra specie. Così è avvenuto sempre in tutte le rivoluzioni: perfino nella rivoluzione Inglese del 1688; che pur sembrò fatta piuttosto dal consentimento unanime di tutte le Parti, che dalla prevalenza, di una di esse;

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e fondò il m aravi gli oso edificio della libertà inglese che da quasi due secoli tuttavia dura. Ed è a proposito di così fatta rivoluzione, e dello scontento seguitone, che Tommaso Macauly dice queste splendidi parole Cento generazioni sono passate dalla prima grande liberazione di popolo, della quale sia giunto a noi il ricordo. E nell'antichissimo dei libri leggiamo come un popolo curvato sotto un giogo straniero, con stretto con battiture a far mattoni, privato della paglia necessaria a cuocerli, e pur obbligato a fornirne ogni giorno la quantità comandatala divenuto stanco della vita, e levava fino al Cielo le grida del suo dolore. Miracolosamente gli schiavi furono liberati, e nel primo momento di lor libertà innalzarono concordi un cantico di gratitudine, e di trionfo. Ma non erano passate molte ore, ed eccoli a rimpiangere le case del loro servaggio;eccoli a mormorare contra del condottiero, che gli allontanava dai cibi saporosi di Egitto, ed avvicinavali al deserto:a traverso del quale pur sapevano di dover giungere alce la terra fluente di latte, e di mele. Da quel tempo in poi la storia di ogni grande liberatore fu la storia di Moisè. Da quel tempo in poi grida di gioja simili a quelle che risuonarono sulle sponde dell'Eritreo furono sempre seguite da mormoni simili a quelli che si intesero sulla fontana dell'amarezza (1)».

XXVI.

Ed in fatti nel leggere i Capitoli di quella sua storia maravigliosa si vede come negli anni che seguirono il 1688 ci furono tra gli Inglesi maggiori grida di scontento che non oggi tra noi, si fecero quasi tutti gli stessi sbagli che or ci sembrano sì nuovi in Italiane vi si annodarono l'una dopo l'altra in favore degli Stuardi cosi potenti congiure, che le nostre pei Borboni sono al paragone ladroncellerie da bambini (2).

(1) The histoiry of England. Cbap. XI. ss. Reaction of public feeling.

(2) Ho pronto un saggio delle cose avvenute allora in Inghilterra estratto quasi alla lettera dalla Istoria di Macauly. E mi risolvo di pubblicarlo perché m'avveggo che quel libro, come tanti altri libri, è tanto poco letto, quanto molto è lodato.

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Ma quello scontento, e quelle congiure non restituirono gli Stuardi; e quegli sbagli veri, e gravissimi non impedirono al governo Inglese di riuscire da ultimo, e dopo molte prove il migliore tra quanti se ne conoscono.

Né solo irritazione, e disinganno produce necessariamente ogni rivoluzione, ma danni anche più gravi. Le necessità dirò così della guerra, l'ira dell'attacco, e la disperazione della difesa guastano, anzi distruggono gli abiti di moralità, e di ubbidienza alle leggi. E mancato il rispetto degli altrui difetti, e fin la compassione delle altrui sofferenze; gli animi forti s'induriscono nei pensieri di vendetta, ed ai deboli è stimolo la spietata crudeltà della paura.

Si oltrapassa così, ed anche si perde di vista il fine vero a cui s'intendeva; e molti sfiduciati delle iniquità che vedono sovrabbondare da ogni parte» imprecano alla libertà, come Bruto morente alla virtù.- Tu non sei, che un nome vano!

XXVII.

E ciò avviene tra quelli che vollero, od accettarono il mutamento. Ma ci ha necessariamente una classe di persone, che per ragioni speciali non dovevano poterlo volere, od ebbero direttamente a patirne: e costoro non possono certo lodarsi del male che soffrono, o del ben che perderono.

Ma poi accompagna tutte le rivoluzioni una cagione vorrei dir quasi fisica di scontento. Le abitudini, e gli usi, o più veramente l'inerzia hanno grande possanza sugli uomini:e debbono averla. Fanno nel mondo morale l'opera che la pesantezza, o gravita dei corpi fa nel mondo materiale. Or questi abiti, e questa inerzia normale son rotti violentemente dalla rivoluzione, che dal soverchio riposo sommuove ad un agitazione soverchia: Ma cessato il primo sgomento essi riprendono forza; e s'agitano; e mettono inciampo; e stridono. Questa è la cosa più difficile a far comprendere ai rivoluzionarii di mestiere: i quali similissimi al Re della Favola, che quando egli aveva ben mangiato presumeva tutti i suoi sudditi essere sazii; si ostinano a credere che del contento loro siano contenti tutti.

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Dimentichi affatto che ci sono altre parti contrarie alla loro; dimentichi che la massa del popolo si lascia forse trascinar più volentieri dall'una parte, che dall'altra, ma propriamente non appartiene a nessuna; non giungono a comprendere come quello che è desiderabilissimo ad essi possa essere indifferente, ed anche dispiacevole ad altri. Ed invece di arrestarsi alquanto nella via per dar tempo a quei che si trascinano dietro almeno di prender fiato; essi per contrario vi si affrettano sempre più; e par loro che le grida, ed i lamenti non siano perché si corre troppo, ma invece perché non si corra abbastanza.

XXVIII.

Su tutte le quali ragioni di scontento han sempre fatto assegnamento coloro, che vollero rimettere ai popoli il giogo. E quasi sempre venne lor fatto. O che nei regni il Sovrano volle riprendere l'autorità piena; o che nelle Repubbliche un uomo di gran seguito volle occupare la Signoria; il popolo per riacquistar la quiete consentì di essere rimesso alla catena. E su questo avevano fatto assegnamento oggi i Principi deposti, ed i loro fautori: senza avvedersi di una differenza grandissima. Quelle mutazioni vennero dall'alto; o sia furono, come dicono in Francia, Colpi di Stato. Ed all'efficacia dei Golpi che si menano dall'alto giova certamente di trovare al basso le moltitudini stanche, e spossate. Ma essi hanno bisogno di una rivoluzione nel senso vero della parola, non del Governo contra al popolo, ma del popolo contra al Governo. Ed a queste si richiedono tutt'altre disposizioni: Fidanza esaggerata nelle proprie forze; dispregio di quelle del governo; acciecamento sui pericoli più manifesti, e fermo convincimento che i mali tutti anche più naturali, ed inevitabili siano cagionati dal tale uomo, o dalla tale instituzione; e che all'apparire del nuovo sole debba piovere incontanente, e senza altro incommodo sull'universa terra lo splendore, e la contentezza. Così disposto avrebbe dovuto essere il popolo per fare una novella rivoluzione. E non sarebbe bastato.

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Conveniva che trovasse anche infiacchito il governo, e mal fidi, od incerti quelli che lo sostengono, come appunto avvenne qui fra noi nel 1860. Ma oggi le cose sono proprio al rovescio: il governo è forte, ed il popolo è stanco. Dopo avere avuto la semplicità di aspettarsi non so quale beatitudine improvvisa dall'unità d'Italia, e dalla libertà; alcuni impazienti sono pur troppo passati a pensare, che esse non valgono i danni, ed i pericoli corsi nell'acquistarle. Ma oltre gli esuli, e taluni preti non so quanti poi credano davvero che esse sieno un così gran male che per distruggerle convenga mandar se medesimi alla perdizione, e lasciare ai Nepoti una eredità di ruine impossibile a restaurare: O pure sieno persuasi sul serio, che col ritorno degli antichi principi abbiano a ritornare nel Lazio i Saturnii Regni.

E quegli stessi che per non mettersi ai rischi di tante invidiose novità avrebbero voluto che non si corresse tanto alla disperata; non si darebbero facilmente a credere oggi a cosa fatta; che convenga retrocedere ciecamente tra maggiori pericoli. E dico di proposito a cosa fatta quantunque assai incertezze ci ingombrino ancora; perché da taluni si ragiona come se nulla fosse avvenuto, e nulla dovesse patirsi per distruggere il presente. Ma un regno d'Italia per Dio! esiste; ed a distruggerlo non basta il mal volere, ci vuole la forza; ed una forza che superi quelle che disperatamente combatterà per sostenerlo. 

E pare a me che per fin molti tra quelli che ammettono il Diritto Divino con tutte le sue conseguenze, han finito col comprendere come dall'obbligo di non congiurare cantra il Sovrano legittimo, non consegue l'obligo di congiurare iti favore di Lui; e che il Diritto Divino di un uomo a regnare non importa l'obligo divino negli altri uomini di mandare in ruina se, i suoi, e la patria per restituirgli il trono.

XXIX.

Insomma dopo la rivoluzione, ed i primi fatti necessarii, o colpevoli del governo; tutti i mali così quelli impossibili ad evitare nelle grandi mutazioni,

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come quelli aggiuntivi per nostra malignità, o (più spesso) imperizia, non mi par che debbano annoverarsi tra le cause che produssero il brigandaggio, e gli diedero sì gran rumore. Forse la credenza che ogni ostacolo al riordinamento d'Italia giovi alla Chiesa ha fatto trovare ai briganti maggiori ajuti, e favore. I quali però senza quella credenza non è già che sarebbero mancati. Poiché tra noi

chiunque in qualsivoglia tempo ebbe la temerità di mettersi contro alle leggi, venne sempre in ammirazione, e quasi in amore delle plebi. E se per giunta cominciò a dar ordini, e comandi, sanzionandoli di presente con qualche buon colpo di pugnale, si trovò obbedito a dispetto di tutti, e con ammirabile costanza coverto, e difeso.

È l'impero della forza, e dell'ardimento personale sopra uomini rozzi: è l'autorità nel suo senso eroico.

Queste disposizioni fino al nostro tempo universali (le quali, per dirla di passaggio, sono il germe dell'altra peste conosciuta sotto il nome di camorra) han fatto che in tutti i tempi anche più tranquilli fossero i briganti alimentati, e nascosti. E sotto la monarchia tanto rigorosa di Ferdinando II non si potè mai venire a capo di scovrire quale dei fedelissimi sudditi desse ricovero, e vitto a quelli che di tratto in tratto infestavano specialmente le Calabrie.

Laonde anche senza cagioni speciali non sarebbe mancato (come dissi) ai Briganti il solito ajuto, e la solita fedeltà della plebe. Ma esse lor acquistarono il favore di molti cui la nobiltà della nascita, il sesso, o la santità della vita avrebbero in ogni altro rincontro tenuto lontani dai Ladroni, e degli Assassini: Io che non può negarsi che ne abbia resa più difficile, e più famosa la persecuzione. Ma non furono esse che cagionarono il brigandaggio, e che lo mantengono. Certo se i Principi deposti ed il Clero vi misero la mano, e lo magnificarono ciò non fu perché le nostre leggi erano poco opportune, e poco abili taluni di quelli che ci governano: Né coloro che si ostinano a tener la campagna, anderebbero a rinchiudersi da se nelle galere sol che avessero la consolazione di Saperci veramente liberi, e contenti.

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XXX.

Conclusione

Queste cose ho voluto scrivere perché le credo vere, non perché le spero utili. So bene che i briganti seguiranno ad essere incolpabili Eroi, i quali volevano salvare il trono, e l'altare: La religione seguirà ad essere per gli uni un ingombro inutile, e per gli altri un arma di fazione, od uno strumento di potere: E noi in Italia seguiteremo a far leggi, a disfar leggi, a rifar leggi con tutta opportunità, e previggenza. Non certo le mie parole muteranno ciò. E pure confesso che avrei ad esse desiderato almeno un frutto.

In questo diluvio di discorsi, di giornali, e di libri tanto contrarii tra loro per le dottrine, e tanto per ingegno, e per arte dissimili, una cosa si vede a tutti comune: la compiuta dimenticanza del passato. Parrebbe che venissimo nel mondo noi i primi a far oggi una rivoluzione; e che oggi per la prima volta si mettessero in esame quistioni di ordinamento sociale, e di governo. E taluni si credono pomposamente autori di nuovi, e stupendi trovati; quando non fanno che ricadere su vecchi errori, dove altri popoli, inciampando, perirono; o fatti esperti a loro spese, trovarono a stento come risorgere.

Coll'esempio dunque di una speciale quistione avrei voluto (così foss'io da tanto) richiamar le menti sulle storie di quei popoli che ci precedettero nel pericoloso cammino. Non già che in questo modo cesserebbero i pericoli, o sparirebbero gli errori. Ma il considerare i punti principali della via tenuta da altri, ed i pericoli corsi, ed il modo di averli superati; tornerebbe a noi di quell'utile medesimo che a nuovo navigatore le carte, ed i giornali di una precedente navigazione. I quali non valgono al certo ne a mutar gli elementi, né a cessar le tempeste: non infrenano i venti; né sgomberano il mare di scogli, e di sirti. E nondimeno rinvigoriscono l'animo contra ai pericoli preveduti; insegnano a star sugli avvisi nella bonaccia,

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ed a non smarrirsi al necessario, e consueto infuriare dei flutti; e danno la via a non rompere tra gli scogli.

Uguali vantaggi si trarrebbero dalla conoscenza delle cose avvenute in altre rivoluzioni. E le somiglianze trovansi più grandi, ed in maggior numero, che altri non consentirebbe a credere. Anzi può dirsi che salvo una cotal veste propria a ciascuna, ci è in tutte come un andamento, o portatura comune. - Le stesse illusioni; le stesse follie; le stesse colpe: - Foga di tutto innovare, negli uni; ostinazione di tutto mantenere, negli altri: Questi ignari del presente si confidano di far rimontare la corrente alle generazioni, e riportarle nel passato; quelli senza pensiero del passato non vogliono vedere gli inciampi accumulati dai secoli: Le poco ragionevoli speranze seguite da men ragionevole sgomento; e per seguire uh meglio fantastico messi in pericolo beni presenti, e reali: I vinti d'oggi divenuti gli Eroi del dimani credersi, ed esser creduli atti a ripigliar quello che non seppero mantenere.

I vincitori divisi, e lacerantisi anche prima che la vittoria sia compiuta:

Scambiata per libertà la licenza, e per fedeltà, e zelo l'odio di parte, e la sete di dominare.

Né solo questi errori generali, ma non ci è forse sbaglio, o danno speciale, che sotto forme alquanto diverse non si trovi in tutte le rivoluzioni. E se invece di saltellare con l'intelletto sbrigliato, ci ponessimo ad investigare dappresso il vero nei monumenti raccolti dalle istorie, forse ci risparmiaremmo molte agitazioni, e molti ritorni. So bene che il rendersi all'evidenza dei fatti, ed acconciarci alle necessità degli avvenimenti è l'ultima

fase

delle rivoluzioni. La nostra non vi è giunta ancora. Ma almeno canseremmo certi errori grossolani; od al postutto non ci riuscirebbero mirabili, e nuove le cose più consuete, e non ne prenderemmo con fanciullesca semplicità vani timori, o più vane speranze.

FINE. 














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