Se, come ha recentemente scritto Nicola Rossi il Sud è e rimane il “malato d’Italia”, ai suoi cronici problemi ora se ne aggiunge uno del tutto inedito, e molto preoccupante, quello demografico. Ciò pone una seria ipoteca sullo sviluppo futuro. L’entrata del Sud in una spirale demografica negativa rende tutto più difficile, rischiando di far pagare domani a caro prezzo il tempo perso e le risorse sprecate di ieri e di oggi.
Denatalità
Fino a qualche anno fa, tra i record negativi del
Mezzogiorno non c’erano quelli demografici, anzi. Storicamente il Sud è stato
una riserva demografica per il nostro paese. Ancora nella prima metà degli anni
’70 nascevano in media tre figli per donna nell’Italia meridionale, e attorno a
due nel Nord. La crescita demografica del paese è stata negli ultimi decenni
alimentata in larga parte dalla fecondità del Sud. Nella prima metà degli anni
’90 l’Italia settentrionale presentava valori nettamente inferiori a qualsiasi
altro paese al mondo, mentre l’Italia meridionale era posizionata su livelli in
linea con i paesi europei a più alta fecondità.
Negli ultimi dieci anni, dopo
il minimo storico del 1995, è iniziata però una fase del tutto nuova. Per la
prima volta, dai tempi del baby boom, la fecondità ha invertito la rotta ed è
tornata (timidamente) a salire. Ma solo nell’Italia settentrionale. Inoltre, per
la prima volta, gli andamenti della fecondità tra Nord e Sud risultano opposti,
con il mezzogiorno che continua a diminuire, e l’Italia settentrionale che
invece evidenzia moderati segnali di ripresa. La conseguenza è il realizzarsi di
un processo di convergenza che progressivamente va ad erodere il tradizionale
vantaggio meridionale nella produzione di nascite in Italia.
L’ultimo dato
Istat, relativo al 2004, evidenziava livelli molto vicini tra le tre grandi
ripartizioni (1,33 figli il dato nazionale, 1,32 il valore per il Nord e 1,35
per il Sud). I dati provvisori pubblicati dall’Istat (www.demo.istat.it) e
relativi ai primi cinque mesi del 2005, preludono già ad un epocale sorpasso. Si
tratta di un "sorpasso" del tutto inatteso: le previsioni demografiche Istat
pubblicate nel 2002 (e basate sugli andamenti demografici fino al 2001), davano
per il 2005 una numero di figli per donna attorno a 1,6 nel Sud e a 1,2 nel
Nord.
L’epocale ribaltamento tra Nord e Sud è del tutto evidente anche se il
confronto viene fatto direttamente sui valori assoluti delle nascite. Si vede
infatti che ancora nel 1995 la quota maggiore era prodotta nel Sud: fatte 100 le
nascite di quell’anno, 44 erano meridionali, 17 del Centro e 39 del Nord.
Ebbene, dieci anni dopo, nel 2005 la geografia risulta completamente ribaltata.
Su 100 nascite, poco meno di 45 sono settentrionali, 19 del Centro, e poco più
di 36 nel Sud. Ma è interessante osservare che il nuovo primato del Nord vale
anche se si scorporano dalle nascite totali quelle degli stranieri (Figura
1)
Nel Sud, le conseguenze della denatalità sul declino e
sull’invecchiamento della popolazione sono inoltre accentuate, rispetto al Nord,
da una minore attrazione di immigrati stranieri e dalla rilevante ripresa negli
ultimi anni di flussi di uscita di giovani in cerca di migliori prospettive in
altre parti del paese.
Difficoltà di formazione di una propria famiglia
Un ulteriore importante elemento della crisi
demografica meridionale è l’accentuarsi della permanenza dei giovani-adulti
nella casa dei genitori. Come è noto, i giovani italiani sono quelli che escono
in assoluto più tardi dalla famiglia di origine. Si è parlato a tal proposito di
"sindrome del ritardo". La tarda età alla quale si arriva a formare una propria
famiglia ha conseguenze negative sul numero di figli che si riescono ad avere.
Tutte le più recenti indagini confermano del resto la presenza di un divario
molto ampio tra il numero di figli che le coppie desiderano avere (attorno a 2)
ed il numero di figli che riescono effettivamente ad avere (meno di 1,5 in
media). Il che significa che molte coppie rinunciano (pur desiderandolo) ad
avere un secondo figlio.
La prolungata permanenza dei giovani nella famiglia
di origine è stata storicamente un fenomeno soprattutto centro-settentrionale,
ed in prevalenza maschile. Alla base ci sono anche fattori culturali, tanto che
gli uomini ultra-trentenni del Nord che vivono ancora con i genitori, nella
maggioranza possiedono un buon lavoro e dichiarano di star bene così e godere di
tutta la libertà che desiderano. Ciò vale molto meno per le donne ed in generale
molto meno al Sud. Sulla lunga permanenza nella famiglia di origine hanno quindi
da sempre dominato più i fattori culturali al Nord e quelli connessi alle
difficoltà economiche al Sud. Negli ultimi anni il peggioramento delle
condizioni di uscita (soprattutto difficoltà di trovare un lavoro stabile e
basso salario di ingresso) ha penalizzato soprattutto il meridione, tanto che
anche qui si è assistito ad un epocale sorpasso, con attualmente i giovani del
Sud che, per la prima volta nella storia del nostro paese, rimangono più a lungo
a vivere con i genitori rispetto ai coetanei del Nord (come testimoniano i dati
Istat, Rapporto Annuale 2004).
Povertà delle famiglie con figli
Una delle priorità individuate dal Libro Bianco
sul welfare era la riduzione della povertà delle famiglie. Ebbene, la povertà
relativa non è diminuita negli ultimi anni (è ritornata vicina al’12% nel 2004).
Il che significa che le politiche sociali degli ultimi anni non sono riuscite a
migliorare le condizioni delle famiglie più disagiate (1).
La
situazione di maggiore criticità rimane quella delle famiglie con figli.
Particolarmente svantaggiate sono le famiglie con più di due bambini. Una su
quattro di tale famiglie è sotto la soglia di povertà relativa. Nel Mezzogiorno,
oltre il 40% delle famiglie con oltre due figli minori risulta sotto tale
soglia. La presenza di figli minori è inoltre fortemente associata anche al
rischio di povertà assoluta. Tale concentrazione territoriale e socio-economica
della povertà non ha eguali nel resto dei paesi occidentali (2). Molti
studi hanno messo ripetutamene in evidenza come, rispetto all’Italia, negli
altri sistemi di welfare siano previsti adeguati e consistenti trasferimenti che
in maniera mirata proteggono dal rischio di povertà le famiglie con figli.
Va
considerato inoltre che la quota di spesa sociale sul PIL
dell’Italia è inferiore alla media dell’Europa dei 15 (dati 2004, European
Commission). Ma, soprattutto, la quota per "famiglia e cura dei figli", sul
totale delle prestazioni sociali, attualmente attorno al 4%, risulta essere la
più bassa nell’UE15 (assieme alla Spagna).
Le famiglie con figli sono quindi
meno aiutate in Italia e a maggior rischio di povertà. Ed il problema è
particolarmente acuto nel Mezzogiorno, e peraltro in forte crescita negli ultimi
anni. La quota di famiglie sotto la soglia di povertà relativa è passata infatti
dal 21.6% del 2003 al 25% del 2004 (Istat, Statistiche in breve, 6 ottobre
2005).
Se quindi, come ha recentemente scritto Nicola Rossi (3) il Sud
è e rimane il "malato d’Italia", ai suoi cronici problemi ora se ne è aggiunge
uno del tutto inedito, e molto preoccupante, quello demografico. Inoltre, se il
Sud, nel suo acutizzare i problemi italiani, è sempre più malato al quadrato
(perché malato in un paese malato in Europa), ciò sta diventando sempre più vero
anche sul versante demografico. Ciò pone una seria ipoteca sullo sviluppo
futuro. L’entrata del Sud in una spirale demografica negativa rende tutto più
difficile, rischiando di far pagare domani a caro prezzo il tempo perso e le
risorse sprecate di ieri e di oggi.
NOTE
(1) A questo proposito si veda anche A. Rosina, "Per il
Libro Bianco un bilancio in rosso", lavoce, 14-11-2005.
(2) M.
Ferrera, "Politiche contro la povertà: il welfare dei paradossi",
lavoce, 23-07-2002. Inoltre: M. Baldini, "Le molte conferme sulla
povertà in Italia", lavoce, 13-10-2005
(3) N. Rossi (2005),
Mediterraneo del Nord, Laterza. Si veda anche il recente intervento di
Claudio Virno ("Mezzogiorno, prima si cambia meglio è", lavoce,
22-02-06)
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