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Ringraziamo l'amico FDV per aver ripescato questo pezzo della nostra storia. Le battaglie di Cronache Meridionali a favore del Sud finirono con la chiusura della rivista da parte di Togliatti.

Buona lettura e tornate a trovarci.

Webm@ster - 15 giugno 2006
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Fonte:
Cronache Meridionali N. 1 Anno I - 1° Gennaio 1954 - RECENSIONI E SEGNALAZIONI pag. 68

Carlo Scarfoglio, Il Mezzogiorno e l'Unità d'Italia
(Firenze, 1953), pp. 462, L. 1.850.

di Mario Alicata

Carlo Scarfoglio conferma in questo libro, da lui pensato «come una storia morale dei rapporti del Mezzogiorno d'Italia col resto del mondo e colle altre stirpi italiane» le sue doti eccezionali di giornalista, anzi di un «giornalista nato» il quale, come pochi altri oggi in Italia, sa in ogni occasione raccogliere intorno ad uno spunto iniziale «simpatico» e facilmente comprensibile al suo pubblico, il tessuto rapido e brillante di un ragionamento, arricchirlo di riferimenti culturali gustosi (seppure spesso approssimativi) e portarlo ad una conclusione epigrammatica, che lascia il lettore incuriosito anche quando non riesca del tutto a persuadérlo.


Naturalmente, in questo impianto e taglio giornalistici del libro è anche da ricercarsi la fonte principale dei suoi difetti come opera di storiografia o almeno come introduzione ad un'opera storiografica seria sul Mezzogiorno d'Italia.


Per lo Scarfoglio, infatti, tutto è buono ai suoi scopi, tutto è buono a servire il suo assunto polemico: il furbesco arbitrio filologico con cui, scavalcando allegramente i millenni, si interpreta, con apparente convinzione, la nota canzone quattrocentesca dedicata ai casi dolorosi di «donna Sabella» (vale a dire Isabella di Lorena, moglie dell'ultimo re angioino di Napoli, Renato) come un lamento dell'antica gente sannitica («riuscito a salvarsi anche nel passaggio da una lingua all'altra»!) quando la sua indipendenza crollava sotto i colpi degli eserciti romani; i richiami, di natura esoterica, ai culti religiosi e ai costumi popolari, per cui fra l'altro anche nella rivoluzione di Masaniello si vuoi ritrovare la traccia delle più antiche «tradizioni ctonie» delle genti meridionali, traendone argomento dal suo iniziale accendersi durante l'assalto degli «alarbi» al castello di legno costruito per celebrare la festa della «Madonna nera» di Piazza Mercato; le più meditate considerazioni sulle vicende finanziarie del Regno durante il periodo della dominazione spagnola, e in particolare sugli «arrendamenti» dei dazi e delle gabelle ; le divagazioni romanzesche sul mito della «corona di ferro» presso le classi dirigenti dell'Italia settentrionale; e così via.


Sbagliato tuttavia sarebbe, detto ciò, sbarazzarsi del libro dello Scarfoglio considerandolo una gratuita manifestazione di dilettantismo politico e ideologico, non degna di meritare altra considerazione che quella da rivolgere ad un tentativo, più o meno bene riuscito, da parte di un grande giornalista, di costruire un pamphlet mordente e acuto sì, e di piacevole lettura, ma basato sopra uno spunto buono tutt'al più a scrivere un brillante articolo di varietà storico-letteraria.


Infatti la tesi sviluppata dallo Scarfoglio nel suo libro («II Mezzogiorno non ha conosciuto storicamente la prosperità e anche la grandezza che quando ha volto risolutamente le spalle al blocco continentale europeo, e ha vissuto col viso cacciato nel Mediterraneo, nelle tre direzioni di sud, est, ovest.


Non appena, attraverso il tramite peninsulare, è stato unito al blocco continentale europeo, la sua vis economica, la sua stessa forza vitale è stata aspirata, ed esso ha vissuto una vita sempre più povera e languida, come un membro escluso dalla circolazione sanguigna, fino a giungere assai vicino alla morte vera e propria») potrà essere debole scientificamente, ma da un lato torna a ripropone, seppure arrivando ad una conclusione inaccettabile, un problema sempre aperto come è quello della posizione del Mezzogiorno nell'interno dello Stato italiano, dall'altro si articola in una serie di considerazioni storiche e politiche alcune delle quali non sono, come si vedrà, né arbitrarie né volgari.


Ma prima di tutto è interessante notare come lo Scarfoglio, nell’elaborare la sua tesi attuale, abbia largamente rimaneggiata e in gran parte rivista la tesi che, tra il 1919 e il 1925, fu sostenuta da lui e dagli altri Scarfoglio sul Mattino e che Granisci non mancò di ricordare in una delle sue note del carcere.


La tesi di quegli anni era infatti «che il Mezzogiorno è entrato a fare parte dello Stato italiano su una base contrattuale, lo Statuto albertino, ma che (implicitamente) continua a conservare una sua personalità reale, di fatto, e ha il diritto di uscire dal nesso statale unitario se la base contrattuale viene in qualsiasi modo menomata, se cioè viene mutata la Costituzione del '48».


Questa tesi — ricorda ancora Gramsci — «fu svolta nel '19-'2O contro un mutamento costituzionale in un certo senso e fu ripresa nel '24-'25 contro un mutamento in altro senso». Orbene, di questa tesi famigliare tradizionale fermo è rimasto nello Scarfoglio il punto di partenza, vale a dire che il Mezzogiorno ha una sua personalità reale, di fatto, rispetto alle altre «personalità» di cui è costituito lo Stato unitario italiano, ed anzi tutta la storia del Mezzogiorno è da lui vista come una lotta millenaria (lo Scarfoglio risale all'epoca omerica!) fra le forze «autoctone» e poi «nazionali» meridionali, e le iniziative «unificatrici» della penisola che, quando non partano dal Mezzogiorno, gli appaiono sempre intese a soffocarne l'intima ragione di vita; ma abbandonata è invece la rivendicazione «separatista», e dunque la tesi del carattere «legittimo» di tale separatismo, che allora se ne traeva.


Non si può dire tuttavia che dall'abbandono di quella posizione utopistica (nella quale non mancava l'elemento di «ricatto politico» — nei confronti dei gruppi dirigenti del Nord — che, come Gramsci osservava, è stato sempre insito in tutti i movimenti e le correnti d'opinione di tipo separatista sviluppatesi nel Mezzogiorno e in Sicilia) lo Scarfoglio sia arrivato a proporre per il problema dei rapporti tra il Mezzogiorno e lo Stato unitario una soluzione politica, reale.


La giusta sfiducia in tutte le soluzioni «dall'alto», di tipo paternallstico, ma insieme l'incapacità di vedere il problema nel quadro di un rinnovamento della struttura dello Stato unitario (come l'ha visto Gramsci, ma come l'ha visto, p. es., anche un democratico non socialista come Guido Dorso) portano invece lo Scarfoglio ad una visione fatalistica e catastrofica della «questione meridionale»: avendo perdute tutte le sue «occasioni storiche» (l'ultima, quella della mancata convocazione d'una Costituente meridionale nel '60-'61 per «patteggiare» l'unità) al Mezzogiorno non resterebbe oggi che rinchiudersi nella contemplazione dei propri morti, di tutti i testimoni e i martiri di queste «occasioni perdute».


Com'è evidente, qui lo Scarfoglio cade vittima della sua debole preparazione ideologica e politica, che lo porta a raffigurarsi in modo astratto la personalità storica del Mezzogiorno (da lui ora caratterizzata in termini geo-politici, ora in termini morali, anzi psicologici) e non gli fa vedere nelle classi moderne che si sono sviluppate all'interno della penisola — la borghesia, la classe operaia — le forze «unificatrici» protagoniste di una lotta dalla cui soluzione dipende oramai la soluzione dei problemi meridionali e del problema dello Stato unitario qual'è uscito da quell'altra lotta che nel secolo XIX si sviluppò, in tutta la penisola, fra la borghesia e i vecchi ceti dominanti raccolti intorno alle vecchie dinastie locali.


E cade vittima, forse, anche di una infatuazione intellettualistica, che lo ha indotto a sacrificare ad uno spunto letterario suggestivo perfino il frutto delle esperienze positive da lui compiute, negli ultimi anni, nelle file del Movimento della Rinascita e del Movimento dei Partigiani della Pace, alle cui battaglie pratiche lo Scarfoglio ha partecipato con un entusiasmo ed uno slancio davvero contraddittori con il suo pessimismo libresco.


Fortunatamente, però, come s'è già detto, molte considerazioni storiche e politiche particolari dello Scarfoglio appaiano meritevoli di un giudizio diverso da questo negativo complessivo, almeno ad un lettore che abbia la pazienza di scernere il grano dal loglio.


Si veda, per esempio, nonostante le già accennate fantasticherie «ctonie» la rivalutazione (in polemica con il Croce — che del resto lo Scarfoglio giustamente accusa di aver «svuotato» la storia del Mezzogiorno del suo contenuto drammatico e originale — e anche con il maggior storico moderno del Regno, lo Schipa) della rivoluzione del 1647-48, detta di Masaniello; e l'abile ricostruzione delle vicende della rivoluzione siciliana del 1848, e della crisi decisiva degli anni '60-'61.


Ma si veda soprattutto la critica alla politica militaresca ed imperialista dello Stato savoiardo-fascista (dov'è evidente il superamento autocritico delle vecchie posizioni «crispine» e colonialiste del Mattino) ; la critica al carattere paternalistico del programma di politica meridionale della Democrazia Cristiana e del suo principale strumento, la Cassa del Mezzogiorno; la critica all'opposizione meridionale di destra la quale non ha che uno scopo: «riportare il Governo di Roma all'osservanza dei patti del '60», in modo da assicurare «in maniera assoluta e completa la repressione delle istanze popolari»; la critica, partendo dagli interessi specifici del Mezzogiorno, alla politica della «guerra fredda»; infine, ed è osservazione di originale intelligenza, la denuncia dell'«irreparabile danno per l'avvenire del Mezzogiorno che racchiude la politica della cosiddetta unità europea».


Denuncia penetrante, che fa vedere sotto una luce diversa anche la tesi generale dello Scarfoglio sui rapporti tra il Mezzogiorno e il continente europeo, almeno nel senso che egli suggerisce un filone di indagine che, spogliato degli aspetti mitici e mistici insieme nei quali egli lo avvolge, e ridotto nei termini reali d'un approfondimento concreto di certi momenti della storia dello sviluppo economico delle regioni meridionali in rapporto con le altre regioni italiane e con gli altri stati europei, potrebbe essere fecondo di risultati per una compiuta storia del Regno di Napoli e delle origini della «Questione meridionale».



Cronache Meridionali N. 1 Anno I - 1° Gennaio 1954

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