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CORRIERE DELLA SERA VENERDÌ 6 APRILE 2007
ELZEVIRO II «romanzo» di Cuoco

E PLATONE CREÒ IL RISORGIMENTO

di GIUSEPPE GALASSO

Vico pubblicò L'antichissima sapienza degli italici nei 1710. La «sapienza» era allora già da tempo un concetto umanistico fondamentale. Implicava dottrina, audizione, disciplina formale ed estetica, educazione retorica e acume filologico e critico, ampi orizzonti storici e letterari.

Era l'arco vasto, ma organico della grande cultura europea, da Petrarca a Erasmo e allo stesso Vico. Né bastava. Sapientia voleva dire, anche di più, senso della tradizione e dei valori: valore assoluto del vero e del bello, e certezza di un loro basilare rapporto con la vita morale, con la dignità dell'uomo e del suo vivere. Vico presumeva di riportarla a una filosofia propria di una remota civiltà italica.

Derivato, ma diverso è, invece, il disegno di Vincenzo Cuoco nel suo Platone in Italia (ripubblicato da Laterza. pagine CLVIII-688, € 45, a cura di Antonino De Francesco e di Annalisa Andreoni), apparso a Milano fra il 1804 e il 1806, quando sull'orizzonte europeo la «sapienza» già tramontava.

La trama è esile. Cuoco dice di aver tradotto un antico testo greco, integrandone le lacune. Platone viene in Italia col suo amico Cleobulo e viaggia nel Sud per la Magna Grecia e la Campania prima che Roma vi imponesse il suo dominio, documentandosi sulla vita pubblica e sulla cultura dei locali Greci e dì popoli vicini o scomparsi. I modelli non mancavano sia per il viaggio immaginario nell'antichità, sia per la tesi di un'antica civiltà italica maestra agli stessi Greci e della rovina procuratane da Roma, Cuoco riuscì, tuttavia, originale per il rapporto del suo lavoro con la realtà politica del proprio tempo.

De Francesco privilegia appunto questo rapporto, e mostra come si delinei, mentre si fa strada la soluzione bonapartista della rivoluzione francese, una contrapposizione politico-culturale della molteplice ricchezza culturale e civile del mondo preromano all'uniformità imperiale romana.

Cuoco non vuole, però, isolare sul piano politico il motivo del pluralismo culturale, come accadeva in Francia reagendo al centralismo parigino. Egli postula un'originaria grandezza italica («ellenica», urbana e marinara, e «sannita», rurale e montanara) rispetto alle rivendicazioni «celtiche» che alludevano a un primato francese, e rimodella, con ciò, la tradizione politica meridionale, con un'indicazione, più o meno, di liberale moderatismo borghese. Perciò, con un vero e proprio ribaltamento logico-storico, assume il modello culturale policentrico a base non di un ordine politico federativo (che non eviterebbe di essere assoggettati a qualche impero), bensì di una «unità politico-amministrativa quale solo bastione di ogni possibile libertà».

Allo stesso tempo, però, il modello preromano offriva (per la via sannita preferita da Cuoco) «una soluzione al problema della feudalità» (problema-principe del Mezzogiorno) e una possibile più larga «base sociale della statualità», mercé la formazione di un forte ceto di proprietari-coltivatori diretti. Di qui «una più ampia partecipazione politica al nuovo ordine» postrìvoluzionario, promotore e garante di «una proprietà diffusa» e, con essa, di «nuove forme di cittadinanza e di consenso».

II Platone si trasforma così da «romanzo filosofico» in documento importante di una svolta storica, acquista un senso che ne vitalizza le pagine e scopre, dietro la sua ingenua fictìon, la trama delle esperienze e delle lotte sui cui biliari si avviò, all'ombra di Napoleone, il Risorgi mento italiano.

II guadagno storico-critico è notevole. II Piatone viene staccato dal nazionalismo delle letture posteriori (da Gioberti a Gentile) e immesso nei dibattito politi co-culturale del suo tempo come un elemento della riflessione europea agli ini zi della civiltà politica con temporanea. Questi meriti aveva già, e ancor più, il Saggio — (a ragione) famoso del Cuoco—sulla rivoluzione napoletana del 1799. Il Plafone segna per De Francesco un passo ulteriore, accettando Napoleone contro un ritorno al vecchio ordine o una deriva giacobina per salvare l'essenziale della rivoluzione.

Restano non poche questioni. Napoleone e il Codice Civile risolvevano i problemi postì da Cuoco? Bastava, a liquidare definitivamente il giacobinismo, il ridurlo tutto a Terrore e privarlo di ogni implicazione democratica? Il problema italiano richiamava a un primato (Gioberti) o a un'iniziativa (Mazzini)? Qual era il confine ultimo tra moderatismo sociale e liberalismo politico?

lì senso di tali (e altri problemi è un non piccolo merito di questa nuova e acuta lettura del Platone che qualcuno definì come uno dei «due immortali romanzi italiani» di quell'epoca (l'altro erano I promessi sposi]). E, dopo tutto, è anche una lettura attuale: quante cose di oggi non si legano ancora alle alternative discusse e Cuoco?

A tanti motivi interesse se ne può aggiungere un altro, di non minore rilievo sul piano generale della cultura europea. Come si è detto, per Cuoco il referente non era la declinante «sapienza di tradizione umanista. Erano idee, passioni, problemi, interessi politici e sociali urgenti e attuali.

Anch'egli percorreva, dunque, a suo modo, una delle traiettorie di quel tratto della «sapienza» e di quella elaborazione del «moderno», sul cui senso riflette ancora, in tono talora drammatici (quando non si balocca), la «coscienza infelice» del mondo di due secoli dopo che non sa vedere nella storia la medicina dei mali della storia,









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