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INTRODUZIONE

Inutile aggiungere altre parole, facciamo parlare il Ricciardi, uno dei pochi deputati meridionali che si batté nel parlamento di Torino per il suo paese. Vanamente, come dimostra l'episodio del contratto sulle ferrovie, quando in nome dell'interesse nazionale (Italia) rinuncia al suo emendamento a favore delle provincie meridionali.

[...]

Il solo mezzo, io credo, di conoscere la verità sarebbe quello d'un'inchiesta. Debbo dire, ad onore del vero, che ho dati precisi per credere che la tesoreria generale non abbia nessuna colpa in questa faccenda, poiché i pagamenti sono stati fatti regolarmente, vale a dire sopra mandati regolari; di modo che bisognerebbe piuttosto indagare il male domandando schiarimenti a quelli che hanno ricevuto il danaro. Io credo che l'inchiesta farà conoscere forse dei fatti gravi, e, fra gli altri, questo, il quale ho sentito generalmente, vale a dire che tempo fa la tesoreria, avendo avuto bisogno di realizzare una certa quantità di rendita iscritta, si sia rivolta alla casa Rothschild, e che questa abbia dato il danaro a dei patti veramente scandalosi.

[...]

Non abbiamo più i fondi segreti, perché credo che oggi più non si paghi quell'infame spionaggio che si pagava sotto i Borboni, ed era questa una spesa molto considerevole.

[...]

Se non che io dimenticava di dirvi che in questo momento si dazia a Genova, invece di daziare a Napoli, cioè la dogana è pagata a Genova e non a Napoli. Quando vi sarà un solo tesoro, questo non vorrà dir niente, ma ora naturalmente il tesoro di Napoli ne scapita, perché quello che riceve Genova non lo incassa Napoli.

[...]

Il duca di Caianello soffre di asma, ed è nelle prigioni di Santa Maria Apparente, donde ha chiesto invano di essere traslocato in un torte. Ora il governo di Vittorio Emanuele non vorrà negare al duca di Caianiello, Borbonico, ciò che il Del Carretto, ministro di Ferdinando II, concedeva a me, suo nemico, allorché nel 1834, sulla dimanda di mio padre, mi facea traslocar tosto dalla prefettura di polizia nel castello di Sant'Erasmo.

[…]

Veniamo ora alla protesta.

Nel bilancio figurano le spese segrete. Ora, nel votare il bilancio provvisorio, io voto implicitamente le spese segrete.

Ma queste debbono assolutamente sparire dal nostro bilancio, perché essenzialmente immorali. Con queste spese si mantiene lo spionaggio, con queste spese si paga una stampa, la quale non fa che assalire gli uomini più onorandi di quest'Assemblea.

[…]

Mi è stato assicurato inoltre che, tanto a Napoli, quanto a Palermo, sieno state accettate delle forniture molto svantaggiose per lo Stato, mentre altre se n'erano offerte assai vantaggiose;e come ogni minima economia può essere preziosa in questo momento, io insisto su questo fatto, e prego il signor ministro di verificarlo.

Più, gli raccomanderò caldissimamente i magnifici stabilimenti di Pietrarsa e Torre dell'Annunziata, massime quello di Pietrarsa, ch'è un vero modello e una delle poche bellissime cose fatte da Ferdinando II.

Questi due stabilimenti basterebbero soli ad esimerci dal pagare un tributo per armi all'estero, siccome facciamo in questo momento. Perché far venire dei fucili dal Belgio, dall'Inghilterra, da Saint'Etienne, mentre noi possiam fabbricarne?

Buona lettura e meditate gente, meditate!

Zenone di Elea - Gennaio 2010

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DISCORSI
PROFFERITI
NEL PARLAMENTO ITALIANO
DA
G. RICCIARDI
DEPUTATO DI FOGGIA
NEL PRIMO PERIODO
DELLA SESSIONE DEL 1861
NAPOLI
PRESSO ANGELO MIRELLI,
166, Libreria Strada Toledo

1861

Presso che tutti i giornali, non esclusi i più liberali,avendo indegnamente travisato le parole profferite in seno del parlamento italiano dal deputato Ricciardi ci è parso doverle riprodurre quali rinvengonsi nel verbale della Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia. Vedranno i conterranei dell'onorevole deputato, e in ispecie gli elettori del Collegio di Foggia,che spontaneamente gli confidarono l'altissimo onore di rappresentarli, aver egli fatto ogni sforzo a bene disimpegna»il sacro mandato di cui lo investirono, e il come non mancasse per lui, die la Camera ed il governo venissero illuminati intorno alle condizioni di questa bellissima parte della Penisola, e ciò non tanto nel!' interesse delle province napoletane, quanto a*meglio accertare il trionfo della gran causa italiana..

Napoli, ai 25 luglio 1861

L'editore.

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Tornata dei 2 marzo.

Ricciardi. Domando di parlare per una mozione d'ordine: sarò breve; bisogna far fatti e non parole.

Noi non siamo venuti qui per darci bel tempo, ma per lavorare, perché vi è molto da fare; io invoco adunqne il patriottismo de' miei colleghi a prestarsi a delle sedute serali (movimenti); potremmo riunirci alle otto e stare qui fino alle undici, anche tino a mezzanotte. Quanto più frequenti saranno le nostre sedute, tanto più presto daremo termine a questa ed alle gravissime discussioni che ci aspettano.

Chiedo la mia proposta sia messa ai voti, anche per questa sera. (Rumori)

Voci. La Camera non è in numero!

Tornata dei 5 mano.

Ricciardi. Domando la parola.

Ieri ebbi l'onore di proporre alla Camera di tener sedute serali; si è nel verbale fatto menzione della proposta da me fatta, ma non si è detto che la Camera non fu chiamata a votarla per la mancanza del numero legale. Io vorrei che questa circostanza fosse ricordata.

Prendo poi occasione da ciò per riprodurre la mia proposta, e prego la Camera di voler rispondere si o no.

Presidente. Anche la circostanza cui ella accenna è nel verbale che vi si riferisce.

Bruno, segretario «.... la qual preghiera volge il presidente alla Camera, affinché si possa questa costituire, e a tale effetto la invita a tener seduta anche domani...» ecc.

Presidente. È posto prima (leggendo il verbale):

«E benché il deputato Ricciardi faccia istanza affinché sieno pure tenute sedute straordinarie durante la sera,

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non trovandosi più la Camera in numero per deliberare, la seduta è levata.»

Ricciardi. il che non vuol dire che io abbia ritirato la mia proposta (No! no!), sulla quale anzi insisto.

Tornata dei 6 marzo.

Verifica dei poteri.

Ricciardi. Sono dolente di trovarmi in contraddizione coll'onorevole mio amico Leopardi; ma io credo che il caso dell'onorevole Settembrini sia perfettamente simile a quello del signor Marvaso. Tutta la quistione consiste in sapere se il signor Settembrini percepisca uno stipendio o no. Se percepisce uno stipendio, dev'essere escluso, siccome è stato escluso il signor Marvaso Ora io credo che percepisca stipendio; e d'altronde questo è un fatto che sarebbe facilissimo verificare, siccome ce ne siamo assicurati pel signor Marvaso.

Poiché ho la parola, me ne varrò per pregare la Camera di essere severa al possibile in ciò che spetta all'approvazione delle elezioni. Pur troppo finora si è ella mostrata larga e corriva quanto mai; ed a questo proposito debbo dichiarare che, se mi fossi trovato presente allorché si discusse l'ammissione dei consiglieri della Luogotenenza, mi sarei opposto con tutte le forze a così fatta ammissione .

Tornata dei 14 marzo.

Sulla proclamazione del re d'Italia.

Ricciardi. Dopo le eloquenti parole dell'onorevole Brofferio, difficili sarebbe il far pompa di facondia, ned io, uomo d'azione, anziché da sermone, sorgo a far lungo discorso, sì bene una breve dichiarazione.

Il Deputato Ricciardi parlò parecchie volte durante la verifica dei poteri, e in ispecie contro l'elezione dei signori Marvaso e De Cesare, a Città Nuova e ad Acerenza; ma non abbiamo creduto dover registrare, siccome ad esempio del suo parlare su tale materia, se non questo brano, ed un altro, più io lì, sull'elezione del deputato Fiutino...

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Non temerò confessarlo, la quistione, intorno alla quale siamo chiamati a deliberare, mi par prematura, il regno, di cui vuolsi acclamare il capo supremo, non essendo peranco interamente costituito, e l'Italia rassomigliando a un corpo, cui manchino il capo ed il braccio destro. Il perché avrei preferito che il ministero avesse presentato uno schema di legge inteso ad accrescer l'esercito e procacciare danari, che sono i due soli argomenti efficaci ed indispensabili a fare davvero l'Italia, ché anzi senza l'aiuto del primo il regno d'Italia correrebbe gran rischio d'esser disfatto pur prima di venir proclamato (Mormorio). Se volete che il voto sia favorevole e sinceramente favorevole, dovete lasciarmi parlare.

D'armi adunque e danari io vorrei si parlasse per ora unicamente, e il voto solenne, onde siamo richiesti, bramerei differito al gran giorno, in cui la gloriosa bandiera dai tre colori si vedrà sventolare sulle sacre mura di Roma rigenerata e sulla redenta Venezia, ma specialmente in sulle torri del quadrilatero. In quel giorno felice poi, memore del plebiscito dei 21 ottobre dell'anno scorso, al quale partecipai, acclamerei Vittorio Emanuele. Primo re d'Italia una ed indivisibile, Vittorio Emanuele,

capo d'una dinastia ricreata, per cosi dire, da noi, costituita per libera dedizione di popoli, e però fondata sul gran principio della sovranità nazionale

, e non già Vittorio Emanuele 11, capo d'una dinastia fondata sul diritto divino. Né a questa al certo, ma a quella da noi acclamata solennemente dal Po all'estrema Sicilia, io venni qui a giurar fede, e la fede serberò inviolata fintante che il patto bilaterale segnato fra popolo e monarchia veggasi inviolato.

Questa dichiarazione io doveva a me stesso, questa dichiarazione a voi tutti, onorevoli colleghi, questa dichiarazione a voi, ministri del re, non tenendo io il giuramento quale formalità vana, ma avendolo almen tanto sacro quanto una parola d'onore. E, legato dal mio giuramento, ed insieme dal memorabile voto del ventunesimo giorno d'ottobre del 1860, io spenderò con voi tutte le forze dell'esser mio a far si che il regno d'Italia esista, non solo in potenza, ma in atto; se non che, vel ripeto, vinte l'estreme battaglie nel Veneto, in Roma, sul Campidoglio, io bramerei che proclamato venisse il regno d'Italia, e quivi solo invero re Vittorio Emanuele ricever potrebbe con vera esultanza il guiderdone giustissimo di quanto ha operato finora a pro della causa italiana.

Questa è la mia franca opinione, o signori, sullo schema di

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Pure, a non guastare la bella concordia che debbe regnare fra noi sur un capo di tanta mole, quale sì è quello dell'unificazione d'Italia, io son pronto ad acclamare fino da questo momento i! regno d'Italia, ove saldo rimanga il sacro principio della sovranità nazionale, sola base logica e giusta del nuovo regno, il quale altrimenti qualificarsi potrebbe d'usurpazione su casa Borbone, su casa Lorena e sul papa. Al qual uopo io propongo l'ordine del giorno qui appresso:

«La Camera invita il ministero a presentare al più presto la «legge per l'intestazione degli atti pubblici, nella quale sia data a Vittorio Emanuele la designazione di primo re d'Italia per la volontà nazionale, e passa all'ordine del giorno.»

Dopo un discorso di Nino Bixio, ed alcune parole di altri oratori, così il

Presidente. Prima però darò lettura del voto proposto dal deputato Ricciardi, e interrogherò il Ministero se intenda accettarlo.

Presidente Del Consiglio, io non posso accettare questa proposta. Mi pare che, dopo le dichiarazioni fatte, dopo l'impegno preso di presentare nella settimana ventura questa legge, questa proposta non abbia più ragione d'esistere.

Ricciardi. lo acconsento che sia modificata.

Voci. La ritiri! la ritiri!

Ricciardi. lo voglio che sieno riservate tutte le quistioni. (Si. sì)!

Presidente Del Consiglio. Il Ministero ha dichiarato che tutte le quistioni erano riservate; esso, onde evitare ora ogni discussione, s'è astenuto dal far conoscere quali erano le sue opinioni, le quali però ha manifestate nel seno della Commissione.

Il Ministero avendo adunque fatto questa riserva, crede di avere, in certo modo, il diritto di chiedere alla Camera che non voglia accogliere un ordine del giorno che non sarebbe una riserva, ma che potrebbe sancire proposizioni che forse il Ministero sarà costretto di combattere.

Prego quindi la Camera di ritenere che le dichiarazioni fatte dal Ministero essendo consegnate nel processo verbale e nei rendiconti ufficiali, costituiscono un impegno certamente altrettanto grave, quanto possa esserlo un voto motivato.

Ricciardi. Dietro gli unanimi conforti dei miei amici politici, e per non parere testardo (Ilarità), io ritiro il mio ordine del giorno, solo facendo le mie proteste rispetto al principio della sovranità nazionale per la prossima discussione.


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Tornata dei 15 marzo

Ricciardi. Chieggo facoltà di parlare sul processo verbale.

Presidente. Ha facoltà di parlare.

Ricciardi. Nel recedere ieri dall'ordine del giorno da me proposto, io feci le più solenni proteste rispetto ai principii. Desidererei che questa mia protesta fosse registrata nel processo verbale.

Presidente. Se ne farà cenno nel verbale di domani, quantunque questa dichiarazione sia già consegnata nel verbale d'oggi, e che mi sembri bastare.

Ricciardi. Oltre a ciò io vorrei fare una proposta. Desidererei che la Camera ordinasse la stampa di una storia esatta della seduta di ieri, la quale fu in generale falsata da quasi tutti i giornali. Capisco che mi si potrebbe dire esservi il rendiconto ufficiale; ma esso è letto da pochissimi, mentre gli altri giornali, giornaletti o giornalacci sono letti universalmente.

Trattandosi di un atto così solenne, credo sarebbe utile il dargli una grande solennità, facendo stampare di questa storia diecimila copie, e diffondendole in tutta Italia, in tutti i comuni, i quali credo siano circa cinquemila cinquecento.

Vorrei poi che in essa fossero consegnati i nomi di tutti i deputati i quali concorsero al voto, lo spero che nessuno vorrà dissentire da questa mia proposta; del resto la Camera giudicherà.

Presidente. La Camera non essendo presentemente in numero, non posso consultarla sulla sua proposta; epperciò la pregherò ad attendere che essa sia in numero legale per rinnovare la sua mo/ione.

Ricciardi. Pregherò l'onorevole nostro presidente a volere egli stesso annunciare la mia proposta con quelle parole che crederà più opportune.

Dopo non lungo intervallo così il Presidente.

Poiché ora la Camera è in numero, metterò ai voti la proposta fatta dall'onorevole Ricciardi*.

Egli propone che si ordini la formazione di una storia della tornata di ieri, e che si facciano stampare diecimila copie di questa storia, da distribuirsi per tutta 1 Italia, e che vi s'inserisca il nome di tutti i deputati che ieri intervennero alla tornata, e che diedero il voto favorevole alla legge.

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Ricciardi. Lo scopo di questa proposta sarebbe quello di dare maggiore solennità a quest'atto, che è uno al certo dei più importanti della storia d'Italia.

Presidente. Metto ai voti questa proposta.

(Non è approvata.)

Tornala dei 23 mano.

Verifica dei poteri.

Ricciardi. Domando la parola.

Chiederei all'onorevole relatore se l'uffizio avesse conoscenza di due documenti, una protesta e una contro-protesta; questa è una sequela d'ingiurie, ma la prima adduce fatti abbastanza gravi, da inciurmi a darne lettura alla Camera. Essa è stampata, e viene dal, signor Bruno Rossi, sindaco di San Lorenzo, che la invia va al governatore.

Premetto che il signor Platino non entra per nulla nella quistione, né io posi mai in dubbio la sua lealtà,..

Ecco la protesta:

«Sento nella mia coscienza l'imperioso dovere di richiamarmi presso di lei degl'infmiti abusi e soperchierie dell'elezione di Melito, sfacciato mercimonio impastato d'ignoranza, di lusinghe e di minacce, a scapito delle persone oneste e della libertà della votazione.»

A questo esordio tien dietro una specie di diatriba, quindi si riferiscono i seguenti fatti.

«Ella, nel darci incarico di compilare le liste elettorali, ci ha ordinato d' attenerci strettamente alla legge, e, ciò facendo, noi credemmo di adempiere al più sacro dei nostri doveri. Onde è bastata la mancanza d' un mese d'età, o di poche grana di censo, per escludere dalle nostre liste onorati cittadini. Ma,

nel mentre noi facevamo della legge 20 novembre 1859 un uso cosi coscienzioso,

non potevamo mai presupporre che altri, sfortunatamente spacciando le orali di lei prescrizioni, si credesse autorizzato a farne cosi gran getto, affastellando nelle liste i nomi de' più vili pecorai, mulattieri e macellai, e di altri miserabili, non che indegni di figurare in una Usta elettorale, degnissimi di esser compresi in quella de' vagabondi e d'improba mendicità.

Ond'è venuto che un comune come il mio, molto più popoloso e ricco di sostanze e di persone, figura nelle liste per cinquantadue elettori,

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nel mentre Melito e Montebello ne offrono il primo 114 ed il secondo 49. E sfido chiunque voglia stare strettamente alle disposizioni di legge d'allungare, se gli riesca, il numero degli elettori di Melito al di là di dodici o quattordici.

«

Ciò premesso, è facile immaginare che cosa sia stata in Melito la votazione del 27 gennaio. Minacce d'arresto de' preti e di chi era in voce di reazionario se non veniva alla votazione; sfacciate sollecitazioni e brogli e lusinghe sopra 54 analfabeti, villani e pezzenti, che ti veniva schifo a solo guardarli.

Pubbliche confessioni di non aver letto la legge, di non essere ciò di bisognevole poiché tali erano le sue istruzioni. Né sonosi vergognati farmi sentire che ben caro avrei pagati i miei sensi e le mie libertà di fare e di parlare. Quindi nessun rispetto alle legali prescrizioni tutelatrici dell'indipendenza e della libertà della votazione. La sala piena di gente estrania agli elettori, continue distribuzioni di biglietti, nessun ordine, nessuna legalità, nessuna convenienza. E se quel convegno non è stato una ripetizione della scena di Gallina, devesi all'educazione e prudenza dei migliori elettori.»

Io domanderei all'onorevole Fiutino di chiarir questi fatti, e, se non fosse a ciò preparato, vorrei che alcuno dei suoi amici lo supplisse.

Dopo breve discorso del deputato De Peppo, così il deputato

Ricciardi. Mi tengo soddisfatto delle dilucidazioni date dall'onorevole relatore, e dichiaro non aver preso la parola che nel!' interesse della legge, e perché gravi disordini essendo avvenuti nelle elezioni di quest'anno, massime nelle province napoletane, credetti dover provocare i debiti schiarimenti sopra fatti importanti.

Tornata dei il marzo.

«Sulla quistione di Roma.

L'onorevole Petruccelli avendo già detto gran parte di quello che io voleva esporre, sarò brevissimo, anche perché non voglio abusare della pazienza della Camera.

Siamo tutti d'accordo su due capi gravissimi, vale a dire l'esautorazione del papa qual principe temporale, e la necessità di aver Roma a capitale.

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Ma come si entrerà in Roma? Questo punto, secondo me, è stato assai poco trattato.

Finché i Francesi staranno in Roma, non vi si potrà andare. Dunque tutta la quistione sta nel modo e nel quando di far partire questi Francesi.

Per me non c'è che un sol modo, quello di una potente pressione dell'opinion pubblica su coloro da cui dipende il far partire i Francesi da Roma, di quell'opinion generale che lo stesso Napoleone III chiamava regina del mondo, e alla quale dobbiamo l'aver egli ceduto sopra molte quistioni d'altrettanta importanza, quanto quella di Roma.

Napoleone III non voleva che l'Italia centrale fosse annessa al Piemonte e alla Lombardia, e dovette cedere.

Napoleone III non voleva che Sicilia e Napoli fossero parte di un regno italiano, e cedette, levando da Gaeta la sua flotta.

Napoleone III non voleva che l'Umbria e le Marche fossero Italia, e queste fan parte integrale d'Italia.

Or bene, questa stessa opinion generale farà forza all'Imperatore, e lo costringerà a cedere anche sulla quistione di Roma.

Ma questo non basterebbe, se noi alla forza morale non aggiungessimo una forza materiale, vale a dire armi e cannoni; ed io armi e cannoni dimando al Ministero, e gli perdonerò tutte le sue peccata (Ilarità generale), ov'egli accresca l'esercito, ov'egli accresca le armi e i cannoni.

Una dichiarazione nel senso del voto da me proposto mi sembra necessaria.

Ed io credo che tutti ne riconoscano la necessità; mi sia lecito rileggere il mio ordine del giorno:

«La Camera, persuasa profondamente, al pari d'Italia tutta, la sede del Parlamento e del Governo italiano dover essere in Roma, afferma innanzi al mondo questo solenne diritto, questo desiderio concorde della nazione, e passa all'ordine del giorno.» (Movimenti diversi).

Mi sia ora permesso di protestare contro gli altri ordini del giorno, por una ragion semplicissima. che io veggo, almeno in uno dei tre proposti, una specie di petizione all'Imperator dei Francesi Ora il Parlamento italiano riceve bensì petizioni, ma non ne fa a chicchessia. (Adesione a sinistra).

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Tornata dei 2 aprile.

Sulla quistione di Napoli.

Io non ho che un solo rimprovero da fare all'onorevole Massari, quello di aver detto poco (ilarità), soprattutto per ciò che spetta al governo, i cui errori in Napoli sono stati sfortunatamente tali e tanti, ch'è un vero miracolo se disordini molto più gravi di quelli di cui ci dogliamo non sieno accaduti; il quale miracolo si deve principalmente al raro buon senso, alla maravigliosa pazienza di quelle buone popolazioni, le quali, guidate da intuito generoso, vogliono ad ogni patto che l'Italia si faccia e soggiaceranno a qualunque dolore, purché l'Italia si faccia.

Non debbo dimenticare avere contribuito a questo miracolo la guardia nazionale, cui ogni lode è scarsa, tanto che con ragione il general Garibaldi, in un memorabile ordine del giorno, la dichiara* a benemerita della patria.

L'onorevole Massari ha fatto in certo modo da chirurgo, mostrando le piaghe principali del paese, ed io mi studierò di farla da medico (ilarità) indicando i rimedii. A modo di prefazione, mi sia lecito dar cognizione alla Camera di una lettera, che credo' importante,

una delle cento lettere pervenutemi dacchè sono in Torino:

Bisogna premettere che l'autore di questa lettera è un uomo di gran buon senso, un liberalone (ilarità), non liberale però in modo superlativo, ma piuttosto del genere malva (ilarità). Ecco la lettera:

«

Tutto quanto è stato operato dai nostri rettori direbbesi fatto coll'unico fine di far rimpiangere il reggimento borbonico e desiderare il murattiano. Agli antichi abusi si aggiunsero i nuovi, e, per giunta, una crescente miseria, cui pure sarebbe stato facile l'ovviare, creando lavoro ad ogni costo. Pessimo effetto hanno prodotto le leggi di costi estese a queste nostre province, che ne avevano di migliori;

ma quella in ispecie è spiaciuta assaissimo, che s'aggira intorno agli ordini giudiziarii. Quanto ai decreti relativi alle manimorte, che sì gran bene avrebbero potuto arrecare al paese, e' son guasti dal modo in cui sono eseguiti, e prevedonsi già non picciole ruberie.

Possa il senno del parlamento riparar tanti mali e porre il

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Mi sia permesso di spiegare questo verbo di nuovo conio.

Ci sono molti, i quali attribuiscono al conte di Cavour una specie di autocrazia. Io non do ragione a costoro, solamente cercherò di spiegare il fatto. Essi dicono: il conte di Cavour ha riunito nelle sue mani sino a tre portafogli; in questo momento stesso ne ha due, oltre la presidenza del Consiglio. Non si parla di nessun altro ministro che del conte di Cavour. Leggete qualunque giornale italiano, il nome che spicca è quello del conte di Cavour (si ride). Evvi di più, in tutte le conversazioni, tanto al di qua che al di là delle Alpi, cominciando dalle sale indorate sino alle più umili bettole, il nome che viene sempre pronunziato in materia politica è quello del conte di Cavour. Che volete? Persine se si tratta di vie, si dà ad esse il nome di Cavour; si tratta di battezzare un piroscafo? Gli si dà il nome di Cavour. (Ilarità. Il ministro Cavour ride forte) Anche i sigari, passatemi la citazione, si chiamano Cavour. (Ilarità prolungata, )

Ma lasciamo le celie, e parliamo sul serio, tanto più che si tratta di materia grave, anzi dolorosa.

Signori, le piaghe del paese sono molte, molti ed urgenti i bisogni Ma due in ispecie sono i bisogni più urgenti: primo, la moralità nell'amministrazione; secondo, opere pubbliche d'ogni maniera, intese a sviluppare le immense ricchezze di quella mirabile terra, che sinora, sono, per così dire, latenti.

Veniamo ora a' mezzi.

Quanto alla moralità da introdursi nell'amministrazione, io credo che se gl'impiegati notoriamente immorali fossero rimossi dar loro uffizii, e quelli rimasti in uffizio, riconosciuti colpevoli, venissero tradotti innanzi ai tribunali e severamente puniti, io credo che la moralità comincerebbe a far capolino nei dicasteri.

Vorrei inoltre veder diminuito il numero degl'impiegati, che, come tutti sanno, crebbero a dismisura. Secondo me, il governo più perfetto sapete qual è? Quello che governa meno, e ne abbiamo sott'occhio l'esempio in America, in Inghilterra, in Isvizzera. Io mi ricordo un motto profondo di un ministro filosofo, il Fos

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Veniamo ora a' lavori pubblici: e qui dirò che le due quistioni della moralità e del lavoro si legano strettamente, poiché se voi darete lavoro, e voi moralizzerete, e più darete lavoro, e più presto avrete moralizzato il paese: in questo solo modo più potrete curare la piaga gravissima di quelle province quella dell'impiegomania, piagaci cui gli onorevoli ministri sono ben conscii. (Segni generali d'approvazione).

Ma qui nasce una dolorosa obiezione, che mi mette un po' in imbarazzo: dove piglieremo noi i danari per fare questi lavori? L'obiezione è grave, lo riconosco; ma finalmente io non credo che il caso sia disperato.

L'erario, senza dubbio, si trova oggidì in pessime condizioni, poiché non d'altro è ricco se non di debiti: è a mia cognizione che si è voluto contrarre un prestito per la città di Napoli, e, se sono giuste le mie informazioni, credo che si sia fatto un solenne nasco, perché non si trovarono condizioni migliori di 70 ducati per ogni cento di obbligazione.

Si parlò altresì del prestito di 25 milioni di lire a pro dei comuni, e neppur questo io credo sia riuscito; del resto i signori ministri debbono saperlo e ci daranno i debiti schiarimenti.

Il paese non manca di risorse; per esempio, io mi ricordo che al tempo del general Garibaldi si fece un decreto d'incameramento pei beni di Casa Borbone, un secondo per quelli dei gesuiti, un terzo per quelli dell'ordine Costantiniano. Or bene, perché tutti questi beni, i quali sono di una immensa estensione e rendono pochissimo sotto ì amministrazione erariale, la quale non è fedele. io non esito a dichiararlo, perché, domando io, non si mettono all'asta tutti questi beni, a beneficio del pubblico erario?

Abbiamo altresì dei beni demaniali considerevoli, i quali anche essi rendono pochissimo, sia per la mala gestione, sia per l'incuria dell'amministrazione; ebbene, metteteli all'atta pubblica, chè frutteranno assai più all'erario.

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Poi vi sarebbe una risorsa importantissima, della quale parlai invano al general Garibaldi, cioè quella di spianare i quattro castelli, siccome fecesi un tempo di quello di Genova.

Abbiamo quattro castelli a Napoli. di cui un solo può esser utile, ch'è quello dell'Uovo, il quale è piantato nel golfo, e per conseguenza difende la città dalla parte del mare, gli altri tre sono costrutti unicamente ad offesa della città, e la storia è in mio favore.

Ebbene, perché non sì abbattono quei castelli? Perché sul suolo ove sorgono non si costruiscono case?

Ci sarebbero delle compagnie, sì nazionali che estere, le quali comprerebbero immediatamente a grosso danaro questo suolo. Oltre a ciò avete compagnie prontissime ad anticipare capitali e cominciare subito i lavori delle strade ferrate.

Citerò l'esempio della compagnia Adami e Lemmi, sul cui contratto si è tanto gridato un tempo; eppure era un contratto che si poteva benissimo accettare, poiché consentivasi a vedere ratificato il trattato dal parlamento.

Poi abbiamo le immense risorse dei beni di manomorta, ma di ciò farò soggetto specinle al discorso in cui svolgerò alla Camera i motivi del mio progetto di legge su tale materia. Abbiamo infine delle ricchezze maravigliose latenti in quasi tutto il regno.

Vi citerò, per essere breve, l'esempio della provincia di cui ho l'onore di seder deputato.

C'è il così detto

Tavoliere di Puglia

; si tratta di sterminate pianure, le quali in questo momento fruttano pochissimo, perché sono addette in generale a pascolo, oppure soggiacciono all'antico barbaro sistema delle maggesi, cioè non producono che ogni due anni; la proprietà è divisa in poche mani, e questi pochi proprietarii non possono neppur coltivare secondo le loro idee ed il loro interesse.

Ebbene, si dovrebbero affrancare queste terre, e poi, introducendovi un sistema d'irrigazione ben inteso, e piantandovi gli alberi, che vi mancano affatto, quella provincia diventerebbe una seconda Lombardia.

Se io discorressi tutte le province del regno, troverei in tutte miniere d oro; tutto sta a saperle aprire.

lo vorrei, per esempio, che le deputazioni di ogni provincia formulassero una dichiarazione de' bisogni delle loro province, e questa dichiarazione venisse tradotta in legge; e cosi, applicando il principio della division del lavoro, si potrebbe immediatamente dar mano per ogni dove ad opere importantissime.

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Io non fo che chiamar l'attenzione dei ministri su queste cose; io non posso che esprimere desiderii; i rimedii sta ad essi il metterli in atto.

Queste, secondo me, sono le nostre risorse, questi i rimedii da praticarsi. Ove il governo li adotti, troverà in essi il vero mezzo a cessare ogni agitazione, a antivenire ogni tumulto simile a quello dolorosissimo di cui Napoli è stata teatro (Bravai), e sul quale preferisco stendere un velo. E si eviterà anche qualunque intrigo di parte.

Ed a questo proposito dirò che i partiti hanno pochissima radice nel paese. Credete voi, per esempio, che i Borboni abbiano partigiani sinceri? Punto. Hawi un certo numero di famiglie, le quali vivendo degli antichi abusi, erano interessate all'esistenza dei Borboni; fate che tutti abbiano da vivere, e tutti saranno partigiani del governo (Ilarità)

Vengo ora alla quistione dell'autonomia e della luogotenenza.

lo non sono dell'avviso dell'onorevole Massari; io credo che, fino al gran giorno in cui Roma sia nostra, rispettare si debba l'autonomia di Napoli Non è già che io sia partigiano di questa autonomia. ma ne sono tenere le moltitudini. Naturalmente uno Stato, che da tanti secoli era indipendente, molto mal volentieri vedrebbesi assorbire da un altro. Venuto da Roma, ogni ordine sarà eseguito ciecamente, mentre da Torino, non bisogna dissimularcelo, non si vuol sapere di ricevere ordini.

lo non approvo, né disapprovo un tal fatto, io lo enuncio; per conseguenza io vorrei che, invece di distruggere la luogotenenza, essa venisse afforzata (Movimenti diversi), e sopra tutto che gli onorevoli ministri mandassero al principe di Carignano una specie di programma, dessero delle norme precise, fondate in parte su queste idee, che non credo sieno da disapprovarsi; vorrei che si provvedesse alla nomina dei governatori; in generale le province sono state malmenate, e questi governatori, meno poche eccezioni, non hanno soddisfatto ai bisogni di esse province. Ebbene, bisognerebbe procedere alla scelta di sedici cittadini (e non sarà poi tanto difficile il trovarli) giusti, probi ed intelligenti.

Più, mi sia lecito fare una digressione sul signor Nigra. Io non conosco questo signore, lo non ho mai bazzicato nelle anticamere dei ministri, non ho mai domandato lavori a nessuno; ma, da tutto quello che ho potuto raccogliere in Napoli, posso dire di lui quanto segue:

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Giovane, e per conseguenza di cuor generoso, è intelligentissimo, e comincia a mettersi al fatto delle cose del paese.

Ora io vorrei che, in luogo di richiamarlo, fosse conservato in quel posto, e fosse circondato da cinque o sei uomini del paese, i quali potessero ben consigliarlo.

lo vorrei pure che si stabilisse una linea di demarcazione tra il dirigere gli affari ed il consigliare; vorrei che i consiglieri deputati a dare buoni consigli al signor Nigra, il quale, per non essere Napoletano, non può conoscere bene il paese, si limitassero unicamente a consigliare (Ilarità), e ci fossero poi dei direttori pel disbrigo degli affari, i quali altro non facessero che dirigere gli affari.

Credo che questa sia un'altra idea che possa essere presa in considerazione dai signori ministri.

Ne esporrò ora un'altra.

Tutti sanno quali sieno le mie opinioni, ma debbo dire che il mio paese è essenzialmente monarchico, e quando lo dico io, dovete crederlo.

(Risa di approvazione).

Ebbene, o signori, nell'interesse della causa italiana, la quale esige che non si disgustino le province più vaste, più popolose e importami della Penisola, vorrei che i signori ministri consigliassero al Re d'andare a Napoli, di rimanervi il più lungamente possibile, di non fare come l'altra volta, che nessuno l'ha mai veduto, ma di farsi invece veder dappertutto, siccome fa in Piemonte.

Per non istancare più oltre la Camera, terminerò proponendo un ordine del giorno, poiché, se sono poeta, sono pur negli affari politici l'uomo più positivo di questo mondo, e bramo venire ad una conclusione. Se quest'ordine del giorno verrà adottato, prego i signori ministri di farlo immediatamente telegrafare a Napoli, ove produrrà un immenso effetto. (Si ride). Non c'è da ridere. Si tratta di promesse importanti, le quali basteranno ad ispirar fiducia ed a calmare l'agitazione.

L'ordine del giorno eh io propongo è il seguente: «La Camera invita il Ministero a provvedere al più presto ed energicamente alle cose del già reame di Napoli, dando norme precise di governo alla Luogotenenza, e mirando in ispecie: 1° ad introdurre la moralità nell'amministrazione; 2°' ad attivare al possibile le opere pubbliche d'ogni maniera, e passa all'ordine del giorno.»

Pensate, o signori, che l'Italia dee combattere un'ultima guerra,


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forse più fiera di tutte quelle che ha combattute finora. Badate a far sì che il reame di Napoli, che la Sicilia non sieno d'impiccio in frangenti sì gravi, ma sieno invece di aiuto, siccome debbono essere nove milioni e più d'Italiani. Questo dipende dall'attitudine e dall'opera dei ministri. Ora ch'essi conoscono la verità, qualunque cosa possa accadere di sinistro, la responsabilità ricadrà tutta sul loro capo. E, conchiudendo, mi farò lecito ricordare al conte di Cavour il terribile verbo cavoureggiare. {Rarità. Bravai)

Tornata dei 15 maggio.

Ricciardi. Chiedo di parlare.

Presidente. Ha facoltà di parlare.

Ricciardi. Io vengo da Napoli e intendo riferire alla Camera quello che ho veduto e sentito durante il mio soggiorno in quella città Io non voglio sollevare tempeste, bensì desidero di esporre fatti assai gravi, sopra alcuni dei quali vorrei alcuni schiarimenti dagli onorevoli ministri.

lo desidererei che la mia esposizione potesse aver luogo il più presto possibile. So che l'uso è di dar tempo ai signori ministri per fare le loro risposte; ma, trattandosi di cose urgenti, io pregherei la Camera di permettermi di esporre il più presto possibile i fatti su cui intendo interpellare i signori ministri, acciocchè eglino. quantunque non presenti, possano prenderne cognizione domani nel rendiconto uffiziale, e sieno in grado di dare posdomani le loro risposte.

lo vorrei dare tutto il tempo possibile ai signori ministri per rispondere alle mie domande, perché, in generale, rispondendo immediatamente, non possono dare risposte precise e positive.

Signori, io credo che in questo momento la quistione italiana si riassuma nella questione di Napoli. Ricordatevi che in tutti i tempi gli avvenimenti delle province meridionali hanno esercitato un'altissima influenza sugli avvenimenti d'Italia.

Io non citerò che due fatti dolorosi...

Presidente. (Interrompendo } Prego l'onorevole Ricciardi di consentire che s'oda, prima d'innoltrarsi nello svolgimento del merito, se il ministro intenda rispondere fin d'ora.

Minghetti, ministro per l'interno. Io proporrei di fissare la discussione a lunedì, se l'onorevole interpellante crede...

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Ricciardi. È troppo tardi lunedì!

Ministro Per L'interno. Se l'onorevole interpellante vuoi far la sua esposizione fin d'ora, io poi non mi oppongo, ma mi riserberò in questo caso di rispondere quando lo crederò opportuno. Però reputerei più consentaneo agli usi parlamentari di fissare un giorno determinato per l'interpellanza e la risposta.

Gallenga. lo non credo che il ministro possa esimersi dal rispondere, se nel discorso del signor Ricciardi occorressero cose che assolutamente obblighino il ministro a dare delle spiegazioni; se perciò il signor ministro non è preparato a dare adesso queste spiegazioni, io credo che la discussione non può in questa seduta né seguire, né incominciare; onde penso che le interpellanze del deputato Ricciardi debbano essere differite ad un altro giorno.

Ricciardi. Io me ne rimetto alla sapienza della Camera.

Ministro Per LÌ Terno, lo desidero che queste interpellanze sieno portate all'ordine del giorno di lunedì; io intanto avrò l'occasione di conversare col signor Ricciardi, e spero che non avrà difficoltà d'indicarmi in particolare i punti sommarii sui quali intende portare le sue interpellanze (1).

Presidente. Il signor Ricciardi aderisce a che sia differita la discussione a lunedì?

Ricciardi. Aderisco, perché non posso fare altrimenti (Stride).

Tornata dei 18 maggio

Sull'incameramento de' beni di mano morta.

Ricciardi. Sui nove ufficii, di cui si compone la Camera, due soli vollero consentire che si desse lettura in seduta pubblica del mio schema di legge. Questo è indizio manifesto dell'animo avverso della maggioranza della Camera, e ciò sarebbe forse dovuto bastare a farmi recedere dal sottoporlo alla sua disamina. Ma, profondamente convinto dell'alta utilità di cui l'attuazione del mio disegno sarebbe per risultare, io non rimarrommi dal propugnarlo, se non quando avrò esaurito ogni argomento a trasfondere nella vostra coscienza la persuasione ch'è nella mia.

Qualunque sieno i nostri dissentimenti politici, io credo essere noi,

(1)

Il deputato Ricciardi si dinegò in modo assoluto alla dimanda del ministro...

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maggioranza, minoranza, ministri, tutti pienamente d'accordo in due cose: la prima, nel volere davvero una ed indipendente l'Italia; la seconda, nel desiderare la massima prosperità possibile della nostra gran patria comune.

Ora, se venissi a proponi alcun aiuto efficace a farci raggiungere questo duplice altissimo intento, -potreste voi rifiutarlo?

Esaminiamo di che abbiamo d uopo principalmente in. questi gravi momenti. Noi abbiamo mestieri soprattutto di danaro. Danaro per compiere la grande impresa dell'unificazione d'Italia, aggiungendo armi e soldati a quelli che abbiamo, aggiungendo nuove navi alle antiche; danari per fare le ferrovie, le quali debbono veramente unificare l'Italia; danari per le opere pubbliche d'ogni maniera che debbono dar pane alle moltitudini; danari per promovere l'istruzione primaria, che è il pane dell'anima, tanto necessario quanto quello del corpo; infine, questa terribile parola danaro si presenta per ogni cosa.

Ora, dove piglieremo noi questo danaro? Per via degl'imprestiti forse? Ma tutti sanno in quali condizioni si trovi la pubblica rendita, vale a dire al 75 per 0|0; per conseguenza, incontrar degl'imprestiti è lo stesso che esporre il paese ad una perdita immensa. Dovremo sfortunatamente subire un imprestito di 500 milioni; ma questi 500 milioni basteranno appena ai bisogni di quest'anno; e l'anno venturo come faremo? Ricorreremo di nuovo all'imprestito? Batte remo così la via, cui corre l'Austria, quella, cioè, della bancarotta.

Abbiamo l'altra risorsa delle imposte; ma credo che delle imposte ce ne sieno già abbastanza, e che sarebbe pericoloso molto l'aggiungerne di nuove, massime nelle province novellamente annesse, alcune delle quali non sono interamente tranquille. Dunque, dove prenderemo questi danari? Se alcuno degli onorevoli colleghi ha, per avventura, trovato questa pietra filosofale così preziosa, cosi necessaria all'Italia, io lo prego di farsi innanzi, chè gli farò i miei più sinceri ringraziamenti. Or bene, non essendovi alcun mezzo più facile, perché non adottare quello che io vo a proporre? Io vi aprirò dinanzi una miniera d'oro, e ve lo dimostrerò colle cifre.

Premetterò avere pronfondamente studiato questa materia, ed essere mio antico desiderio l'attuazione della proposta che ho l'onore di sottoporvi. Questo provvedimento fu attuato colla massima facilità cinquant'anni or sono, quando l'Italia era molto più superstiziosa di quello che oggi, nel regno di Napoli, sotto il re

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principalmente per opera di mio padre, sicchè, facendomi a proporre questo schema di legge, io non fo in certo moda se non continuare la bell'opera di mio padre.

Sarà necessario premettere qualche dato statistico.

Secondo Giuseppe Pecchie, nel solo regno di Napoli, nel!835, il numero dei frati sommava a 32 mila, e quello dei preti a 60 mila. Vi lascio imaginare l'aumento operatosi in questi ultimi 27 anni. Secondo il Quattromani, nel 1845, si annoveravano 22 arcivescovi, 78 vescovi,29 vescovi senza diocesi, 3766 parocchie, 10220 chiese, 784 cappelle serotine, ed istituzioni ecclesiastiche in genere 14870! Naturalmente il numero, tanto delle chiese, quanto dei preti e frati, dovette crescere dopo il 1845, stante la ben nota pietà di casa Borbone.

Quanto alla ricchezza delle mense vescovili ed arcivescovili, vi basti quest'unico fatto, che l'arcivescovo di Capua gode una rendita di 40 mila ducati! Quanto alla ricchezza dei conventi, dirò che i conventi della sola provincia di Bari possedono in beni fondi una sostanza di 15 milioni di ducati, di cui ho qui sott'occhio uno specchio diviso per distretti e comuni.

In Basilicata vi ha un convento, il quale possiede sol esso una estensione immensa di terra, che equivale quasi a quella d'un intero distretto. È inutile il dirvi che questi beni sono così male amministrati, od affittati così svantaggiosamente, da non rendere il terzo di quel che darebbero, se fossero in altre mani.

Si può, senza timore di comparire esagerati, calcolare la media di questi beni, in ognuna delle 16 provincie dell'ex-reame di Napoli, a 10 milioni di ducati, che darebbero in complesso 160 milioni, pari a quasi 700 milioni di lire I

Bisogna che si sappia che nella sola città di Napoli il numero dei conventi è di 100 e più; conventi ricchissimi pressochè tutti, e posti nei più bei luoghi della città, -mentre il fabbricato manca affatto, tanto che vediamo delle famiglie intere stivate in camerucce orribili, prive d'aria e di luce.

Ebbene, se tutti questi conventi fossero abbattuti, questo suolo ci somministrerebbe modo da costruire delle case per la povera gente in numero grandissimo, mentre ciò non si può fare al presente senza allontanarsi molto dal centro della città.

Quanto alla Sicilia, il clero è ricchissimo, massime in terre, e non vi citerò che un solo esempio, quello dell'abate Corvaia di Catania,

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che è tanto ricco, da disgradarne il celebre abate di Clugny del Boccaccio.

L'arcivescovo di Marsala è ricchissimo, ed in generale quasi tutti i vescovi della Sicilia hanno mense assai grasse.

Quanto all'alta Italia, non posso darvi cifre precise, ma è da presumere che ivi pure sieno assai ricche le mense vescovili e le proprietà dei conventi.

Quanto all'Umbria, abbiamo dei dati precisi. Quantunque numero degli abitanti di quella provincia non raggiunga i 500 mila, le case religiose sommano, quelle dei monaci a 220, quelle delle monache a 121; in tutto 341!

I frati possidenti sono 735, i mendicanti 1452; le suore possidenti 2672, le suore mendicanti 121; e possedono in terre e case il valore censito di lire 14,546,374; ma il valore effettivo dei beni in discorse deve calcolarsi a 43 milioni, e questo, lo ripeto, in una provincia la quale non raggiunge nemmeno la cifra di 500 mila abitanti. Più, havvi un numero di vescovi sproporzionato, quello di 15, mentre, in Francia, per la stessa popolazione, non ve né che un solo'. Queste mense poi sono pressochè tutte ricchissime.

Quanto al patrimonio di San Pietro, il quale in questo momento non è nostro, ma speriamo di averlo al più presto, per Dio! (Si

ride) vi troveremo, non che una miniera, un fiume d'oro. (

Ilarità).

Quanto ai benefizii che risulterebbero dall'aver messo in circolazione cosi vistosi capitali, credo essere inutile insistere sopra siffatta quistione. Queste ricchezze, che ora fruttano così poco, frutterebbero moltissimo, quando fossero nelle mani dei cittadini.

Mi permetta la Camera ch'io legga gli articoli del disegno di legge, facendo a ciascun articolo i debiti cementi.

«Art.1. Ogni concordato conchiuso fra i varii Stati 'd' Italia e la Chiesa romana è abolito; ma, per rispetto alla libertà di coscienza, nessun ostacolo sarà opposto alle relazioni fra il clero del regno d'Italia ed il papa, salvi i casi in cui l'ingerenza di questo fosse per turbare l'ordine pubblico.»

Coll'abolire ogni concordato, voi non fareste che riconoscere quello che è stato fatto ultimamente nell'ex reame di Napoli; fareste per legge quello. che non è stato fatto che per decreto reale, incostituzionalmente, secondo me, quello che l'onorevole nostro collega Gioacchino Pepoli ha fatto nell'Umbria, con approvazione del Ministero.

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In questo primo articolo si consacrano due grandi principii: il primo è quello della libertà di coscienza, il secondo è quello della separazione fra la Chiesa e lo Stato. Purché non turbi l'ordine pubblico, la Chiesa sarà libera al tutto.

Vi citerò l'esempio di ciò che accade in America. Negli Stati Uniti, o signori? esistono circa 40 religioni diverse, le quali vivono tutte nella massima armonia; e sapete perché? Perché i credenti di ciascuna religione in quegli Stati provvedono eglino stessi al loro culto, senza che gli altri cittadini, che professano un altro culto, sieno costretti dalla legge a contribuirvi.

Questo e, secondo me, il vero e fondamentale principio che ogni paese libero debbe riconoscere e sancire solennemente, in fatto di culti; questo sarebbe da introdursi dappertutto; ma, sfortunatamente, per ora noi non potremmo applicarlo alle varie province d'Italia, e ciò per la ragion semplicissima, che, incamerando i beni del clero, dobbiamo pur dargli da vivere. Ma tale regime non potrà essere che transitorio, ed un giorno, io spero, applicare potrannosi anche fra noi i veri principii che reggere debbono questa materia.

«Art.2. Il numero delle diocesi sarà ridotto per modo, da non oltrepassare quello dei distretti o intendenze, con un solo arcivescovo in ogni provincia, da risiedere nel capoluogo; senonchè gli arcivescovi e vescovi esuberatiti saran mantenuti nelle lor sedi loro vita durante.»

In Francia, o signori, il numero dei vescovi non oltrepassa quello di 80; or nel solo ex-reame di Napoli giunge a 100, mentre l. i popolazione non giunge al quinto della francese. Se guardiamo all'ex-regno pontificio, oh! quanto il numero dei vescovi si trova sterminato! nella sola provincia dell'Umbria ci sono, siccome ho detto, non meno di 15 vescovi, mentre non ve ne dovrebbe essere che uno.

Ma noi non vogliamo scontentare nessuno; per conseguenza, secondo il mio sistema, la riduzione non si dovrebbe fare che a misura che ci fosser vacanze, cioè alla morte di ciascun vescovo, e cosi mano mano, finché in ogni distretto non rimanesse che un solo vescovo.

«Art. 3. Ogni arcivescovo riceverà dallo Stato un'annua provvisione di lire 12,000, e -10,000 ogni vescovo, oltre l'uso del palazzo ora occupato, a patto di rinunzia formale per parte loro ad ogni diritto di curia, e le mense arcivescovili e vescovili saran

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con giusti compensi mensili, da determinarsi dalle autorità dei rispettivi comuni. d'accordo col governatore della provincia, ai prelati, ai canonici, ai parroci.»

Questo articolo 3 non è che un corollario dell'articolo 2. Incamerando i beni, bisogna compensare coloro ai quali si tolgono questi beni. lo propongo lire 12,000 agli arcivescovi e lire 10,000;ii vescovi, e credo che sarebbero largamente pagati, poiché riceverebbero lo stesso onorario che ricevono gli arcivescovi ed i vescovi in Francia Essi poi dovrebbero rinunciare ad ogni diritto di curia; poiché voi sapete, o signori, che ora per ogni dispensa bisogna andare dal vescovo, il quale non le concede se non previo il pagamento di una somma; ora quest'abuso deve assolutamente cessare.

Quanto ai compensi da darsi agli abati, ai canonici e ai parochi, pel mantenimento delle parrocchie e delle chiese, lascerebbesi ciò ai municipii, i quali regolerebbero questa materia d'accordo col governatore della provincia, ed in caso di contestazione, vi sarebbe in ultima analisi il Consiglio di Stato, il quale giudicherebbe inappellabilmente.

«Art. 4. Gli ordini religiosi sono aboliti, tranne quello dei Benedettini pel monaci, e quello delle suore di carità per le monache, oltre due ritiri in ogni provincia, il primo pei frati, il secondo per le monache degli altri ordini religiosi che non vorranno rinunciare alla vita claustrale, ed ai quali saranno assegnati appositi locali dalla suprema autorità provinciale.»

Quanto all'ordine dei Benedettini, io vi dirò sinceramente che, se fossi solo a far leggi, abolirei anche quest' ordine, perché è certissimo che i laici potrebbero fare ottimamente quello che fanno i Benedettini; ma, per omaggio a quello che fecero in tempi di barbarie, li lasceremo sussistere, però i loro beni saranno egualmente incamerati, di più l'ordine a mano a mano si estinguerà, poiché non si ammetterà alcun novizio, siccome vedrassi in prosieguo.

«Art.5. Una pensione mensile vitalizia di lire sessanta è concessa ad ogni frate e ad ogni monaca, sia che tornino al secolo, sia che persistano nella vita claustrale, e quella di lire trenta ad ogni converso o conversa, ed i beni tutti appartenenti oggigiorno agli ordini religiosi sono dichiarati beni della nazione, non esclusi quelli dei Benedettini, ai quali, per altro, sarà lasciato l'uso dei chiostri e delle biblioteche

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fino all'estinzione degl'individui che annovera l'ordine.»

Secondo le disposizioni degli articoli 4 e 5 si provvede ad ogni diritto, per modo che nessuno possa lagnarsi. Si lascia piena libertà a quelli che il vogliono di perdurare nella vita claustrale, e quelle fra le monache, le quali vorranno tornare alle case loro, lo potranno, dandosi loro di che vivere convenevolmente.

«Art.6. Ogni novella ammissione di novizii o novizie è vietata. Solo potranno riceversi nei ritiri provinciali donneschi, a patto di non pronunziare alcun voto, le donne e donzelle che ne avranno ottenuto licenza dai governatori, i quali non d'altro si cureranno, se non d'aver prova che la volontà delle postulanti sia libera.»

Il monachismo, il quale ha reso qualche servizio all'umanità nei tempi di barbarie, oramai è divenuto una istituzione siffattamente antisociale, che dobbiam presto o tardi farla sparire.

Quindi la clausola, la quale vieta l'ammissione di nuovi novizii, senonchè, essendovi fra le donne e donzelle di quelle le quali, per sottrarsi alle insidie del mondo, hanno bisogno di asilo, noi offriamo lor questo asilo, facendo solo in modo che si sia persuasi della libera loro volontà, onde non succeda oggi quello che succedeva altra volta, che si cacciava in un monastero una povera ragazza, mentre invece avrebbe desiderato un marito. (Si ride).

«Art. 7. incamerati del pari saranno i beni appartenenti agli ospedali ed alberghi pe' poveri, i quali verranno amministrati in nome e per cura de' municipii, nella cui circoscrizione son posti.»

Quest'articolo di legge è importantissimo.

Saprete naturalmente che i beni appartenenti a questi stabilimenti sono di grande importanza, ma essendo malissimo amministrati, rendono pochissimo.

Quindi quasi tutti questi ospedali e questi alberghi dei poveri sono di poca risorsa per la società. Potrei citarvi l'esempio della città di Napoli, dove abbiamo degli ospedali, degli stabilimenti ricchissimi, ma dai quali i poveri grandemente rifuggono. Bisogna prenderli per forza, tenerli per forza, e, quando possono fuggire, fuggono. Ebbene, io propongo che questi beni sieno venduti, e il loro prodotto costituito in rendita pubblica; il che avrebbe il doppio vantaggio, di diminuire le spese di amministrazione, di evitare ogni specie di malversazione, ed in seguito di far aumentare la rendita pubblica, la quale in questi momenti è bassissima.

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«Art.8. Dei beni accennati negli articoli precedenti, non che di quelli dei gesuiti, dei liguorini di Sicilia e dell'ordine Costantiniano, già incamerati, si farà esatto inventario dagli uffiziali di ciascun municipio, per essere quindi, nel termine di tre mesi, venduti all'asta pubblica nel capoluogo di ogni provincia, tranne la metà delle terre, le quali verranno concesse in enfiteusi alle famiglie più povere d' ogni comune. Tanto il modo di vendita, quanto quello di concessione delle terre in discorso, verranno determinati per via di decreti, promulgata appena la presente legge».

Quest'articolo è pur esso importantissimo, e credo sia inutile dimostrarne l'altissima utilità.

Secondo i decreti emanati a Napoli il 17 febbraio, questi beni sono incamerati e sequestrati; per conseguenza dura l'amministrazione di essi beni, e tutti sanno che lo Stato non è buono amministratore.

Di più ciò può dar luogo a delle malversazioni. Dovete sapere inoltre che questi decreti hanno suscitato in Napoli un malcontento grandissimo, siccome tutte le mezze misure, perché, fra le altre cose, hanno sequestrato questi beni senza dare da vivere ai frati e alle monache. So che la gazzetta ufficiale di Napoli ha contraddetto quest'asserzione; ma io posso dire che, quando sono partito da Napoli, questi poveri frati e monache non avevano realmente di che mangiare. Secondo la mia legge poi, i beni sono incamerati e venduti, per conseguenza lo Stato ne ricava un vantaggio, che oggi non ha.

Inoltre, secondo i decreti del 17 febbraio, non si designano quali sono i conventi da sopprimersi, quali da mantenersi, e questo si lascia in certo modo all'arbitrio de' comuni.

Or vi lascio imaginare quali conseguenze ne deriveranno: cominceranno gl'intrighi di ogni maniera. Quel superiore o quella superiora si raccomanderanno in tutti i modi affinchè il loro convento resti in piedi. Ma se voi determinate per legge quali debbano sopprimersi, quali no, togliete ogni via agl'intrighi e al favoritismo.

Quanto al modo della vendita e alla concession delle terre in enfiteusi; io lascio alla potestà esecutrice il determinarlo; tuttavia potrebbesi dare qualche suggerimento a facilitare l'esecuzione della legge.

Si obietta che noi metteremo sul mercato una massa immensa di stabili, e che perciò saremo costretti a darli a prezzo vilissimo.


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Questa è un'obiezione molto seria; ma io credo vi si possa ovviare stabilendo che i pagamenti si facciano dai compratori in varii anni, per esempio in dieci o dodici; in questo modo si faciliterebbe il mezzo di acquistare ad un maggior numero di persone, e si verrebbe a costituire per varii anni allo Stato un introito molto considerevole.

Inoltre si potrebbe mettere la condizione che i pagamenti si facessero in cedole di rendita iscritta; così questa operazione contribuirebbe a fare aumentare la rendita, e, volendosi poi fare un imprestito, si troverebbero condizioni migliori, cioè, invece del 75, si potrebbe ottenere l'85 o il 90.

Quanto alla concessione di queste terre in enfiteusi, io la credo una disposizione utilissima, siccome quella che amicherebbe al nuovo ordine di cose un gran numero di famiglie.

«Art. 9. Del denaro ricavato dalla vendita dei beni di manomorta, metà sarà versata nel tesoro dello Stato, metà nell'erario dei comuni in cui trovansi i beni da vendersi.»

È inutile il dire che con questo danaro si potrebbero fare grandissime cose. D'altra parte, versando la metà di questi proventi nelle casse comunali, si metterebbero i comuni nel grado di far dei lavori, i quali altrimenti sarebbe impossibile lo intraprendere.

Voi sapete, o signori, che dalla prosperità dei comuni dipende in grandissima parte la prosperità dello Stato.

«Art.10. Il danaro ritratto dai beni degli ospedali e degl'istituti di beneficenza sarà investito in cedole di rendita iscritta, e gl'interessi di questa verranno esclusivamente applicati al mantenimento degli ospedali ed istituti sopra indicati».

Naturalmente questi beni essendo sacri, debbono essere con' Vertiti in rendite sacre, e adoperati unicamente in aiuto di questi ospedali, di queste opere di beneficenza.

«Art. 11. Sul rimanente danaro da loro incassato i comuni avranno l'obbligo di provvedere:

«1 Al mantenimento dei loro paroci e chiese, per modo che aboliti rimangano i così detti diritti di stola e le questue;

«2 All'istruzione primaria, la quale sarà gratuite, generale ed obbligatoria, ed all'istituzione di asili infantili e di biblioteche ad uso del popolo;

«3 All'estinzione della mendicità, la quale sarà operata giusta le norme da venire prescritte dai magistrati municipali.»

Quest'articolo 11 basterebbe sol esso a trasformare intera

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«Art.12. La cassa ecclesiastica, stabilita, sì in Piemonte che nelle province meridionali, è abolita, e abrogata rimane ogni disposizione legislativa o governativa contraria a quelle della presente legge.»

La cassa ecclesiastica, siccome san tutti, in Piemonte è stata d'aggravio, anziché di beneficio allo Stato, poiché il pubblico erario ha dovuto venire spesso in suo soccorso.

A Napoli all'aggravio si aggiungerà qualche malversazione, debbo dirlo francamente.

Dichiarati i motivi dei varii articoli del mio schema di legge, mi rimane, o signori, a dimostrarvene l'opportunità e la giustizia, non che la facilità dell'esecuzione.

Quanto all'opportunità, debbo rispondere al mio onorevole collega ed amico Amari, il quale un giorno disse che in Sicilia specialmente sarebbe inopportuno ed ingiusto il procedere all'incameramento dei beni di manomorta, affermando il clero siciliano essersi mai sempre dimostrato liberalissimo ed italianissimo.

lo risponderò al mio onorevole collega con un dilemma: o codesto clero siciliano è veramente italiano e liberale, e sarà il primo ad applaudire ad un provvedimento utile alla libertà ed all'Italia; o è ipocrita, e non merita alcuna considerazione. (Bene! dalla sinistra)

Risponderò anche questo, che dal giorno-in cui si è saputo avere io presentato uno schema di legge d'incameramento, mi sono piovute lettere da tutte le province d'Italia, e fra queste due sole ingiuriose ed anonime: tutte le altre, firmate, e che potrei deporre sul banco della Presidenza, sono di preti e frati, i quali mi ringraziano (Ilarità) e lodano di questo schema di legge, per modo che io credo che la maggioranza del clero siciliano, la parte, cioè, veramente liberale, applaudirà altissimamente ad una tal legge.

Ed invero di che potrebbero mai lamentarsi?

Noi assicuriamo tutti i diritti, tutti gì' interessi: noi diamo agli arcivescovi ed ai vescovi ampiamente di che vivere, di che fare anche un po' di carità; noi diamo ai frati, alle monache, ai conversi ed alle converse ciò che è necessario, e cosi pure agli a

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E qui mi sia lecito evocare di nuovo la memoria di ciò che si fece duranti il decennio in Napoli. Questo provvedimento, il quale pare trovi oggi molte difficoltà, fu praticato colla massima facilità sotto il ministero di mio padre. Ho sott'occhi cinque decreti, quattro dei quali firmati da lui.

Questo provvedimento fu applicato col massimo beneficio dello Stato, tanto che, quando il re Gioacchino partì da Napoli, nel 1815, lasciò il regno in istato tale di floridezza, che mai la maggiore, con opere pubbliche magnifiche, e quasi nessun debito; i debiti vennero coi Borboni. Eppure soggiacevamo ad un re straniero, ed uomini ed oro in gran copia profondevamo a giovar l'ambizione del gran despota che faceva tremare l'Europa!

Quanto alla facilità dell'esecuzione, credo che non ci sia da fare veruna obiezione seria. Il modo di esecuzione sarebbe questo: i municipii, assistiti da una Giunta di probi viri, scelti in ciascun comune, farebbero l'inventario di questi beni; poi gl'inventarii parziali sarebbero mandati al capoluogo della provincia, ove il governatore, assistito egli pure da una Giunta composta di membri del Consiglio provinciale e di probi viri di tutta la provincia, scelti nel Consiglio generale, presenterebbero lo specchio di tutti i beni; finalmente, in capo a tre mesi, al più tardi, i beni suddetti si venderebbero a piccole porzioni (e ciò perché tutte le piccole borse vi potessero concorrere) all'asta pubblica.

Un' ultima parola, quanto all'opportunità, poiché questa è stata la più grande obiezione che venisse elevata. Si disse che questa legge non era opportuna, che il clero è già in urto con noi, e che noi lo disgusteremo vie maggiormente. Iodico al contrario che questo è il momento, per la ragione che siamo in iscrezio con Roma. Dobbiamo profittare di questa condizione di cose per adottare questo provvedimento, perché, se domani ci rappaciassimo, sarebbe molto più difficile il tarlo, lo credo adunque che dobbiam profittare di quest'occasione preziosa; già siamo scomunicati, abbiamo già un piè nell'inferno; ebbene, mettiamocene due pel bene d'Italia (Ilarità).

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Seguiva un discorse del ministro Cassinis,

cui così replicava il deputato

Ricciardi. Io risponderò all'onorevole ministro guardasigilli anzitutto che, quanto al danaro che si potrebbe ricavare dalla vendita dei beni degli ospedali e istituiti di beneficenza, io non intendo menomamente che sia distratto dall'uso filantropico al quale è destinato; questo danaro io lo vorrei esclusivamente consacrato al sollievo degl'indigenti ed al servizio degli ospedali.

Venendo ora alle obiezioni che mi fa l'onorevole ministro, ed agl'inconvenienti, ai quali, secondo lui, darebbe luogo 1'attuazione del mio disegno, io gli dirò che gì' inconvenienti, di cui egli parla, esistono in questo momento in Piemonte, e soprattutto nel Napoletano, dove voi, abolendo questi conventi, avete messo un diavolio nel paese, cosicchè avete scontentato il clero, avete scontentato i monaci, avete scontentato le monache, senza che lo Stato ne abbia ricavato alcun utile, Gol mio sistema invece voi date a ciascuno quello a cui ha diritto; non ledete verun interesse e nello stesso tempo fate cosa proficua allo Stato

Su questo io vorrei che la Camera riflettesse e meditasse profondamente, prima di dare un voto' sul progetto di legge da me proposto.

Al discorso del deputato Emerico Amari

così replicava il deputato

Ricciardi. Il mio onorevole amico Amari ha detto che noi non abbiamo facoltà di distruggere i concordati. Ma quei concordati sono stati già distrutti dal potere esecutivo a Napoli e nell'Umbria. Il nostro onorevole collega Gioacchino Pepoli ha fatto da dittatore nell'Umbria ed il Ministero ha ratificato quello che il Pepoli ha fatto.

In secondo luogo, non volendo prendere in considerazione il mio progetto, per essere logici, sapete che cosa bisogna fare? Bisogna abrogare tutto quello che è stato fatto a Napoli, nell'Umbria, ed anche in Piemonte, nel 1855.

L'onorevole Amari diceva: ma chi regolerà le relazioni fra lo Stato e la Chiesa? Rispondo io: Saranno regolate dalla libertà,

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Che la Chiesa faccia tutto quello che le pare e piace, lo Stato non se ne curerà, purché ella non turbi l'ordine pubblico. Il papa potrà stabilire quanti vescovi e arcivescovi vorrà dappertutto; lo Stato non se ne mischierà punto; sarà questo un affar dei credenti, i quali pagheranno i loro vescovi.

Questi sono i veri principii, ch'io spero trionferanno un giorno dappertutto, e segnatamente in Italia. Il mio onorevole collega dice aver io proibite le associazioni. Ma ciò non è, poiché io lascio intera libertà ai frati e alle monache, sia di perdurare nella vita claustrale, sia d' andarsene a casa loro., Quand'essi vorranno associarsi, non avranno che ad entrare nei conventi di frati e di monache che io lascio in ciascuna provincia.

In quanto ai voti, dice l'onorevole mio amico, i voti esser cos» cui niuno è dato attentare. I voti saranno liberissimi, solamente la legge non li riconoscerà. Vale a dire, se una ragazza, dopo aver pronunziato dei voti, si presenterà innanzi all'autorità civile per essere coniugata, il sindaco avrà il diritto di procedere agli sponsali senza curarsi di questi voti.

Ecco come intendo la libertà.

Quanto alle opere di beneficenza, ripeterò all'onorevole Amari ciò che ho detto al ministro Cassinis.

!o reputo sacri i beni, i quali appartengono oggi agli ospedali e dalle opere di pubblica beneficenza. Solamente, nello stesso loro interesse, desidero che questi beni sieno venduti all'asta pubblica, e mutati in altrettante cedole di rendita iscritta, ed il ritratto di questa rendita sia esclusivamente applicato ai luoghi pii. Io non voglio adunque spogliare nessuno, ma migliorare le condizioni degl'istituti di beneficenza.

Tornata dei 20 maggio.

Interpellanze sulle cose di Napoli.

Presidente. L'ordine del giorno reca gli schiarimenti domandati dal deputato Ricciardi intorno alle cose di Napoli al ministro dell'interno.

Il deputato Ricciardi ha facoltà di parlare.

Ricciardi. Signori, la quistione italiana, siccome già ebbi l'onore ili dirvi, sta in questo momento nella quistione delle province napoletane, i cui avvenimenti esercitarono sempre un' alta influenza sui fatti d'Italia, influenza alcune volte funesta.

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E veniva citando ad esempio due epoche dolorose, quella del 1821 e quella del 1848, quella del 1821, allorché, caduta la libertà in Napoli veniva annullata per lunga pezza in Italia; quella del 1848, quando, vincitore in Napoli Ferdinando Borbone II di 15 maggio, la causa italiana in breve tempo era vinta

Ed appunto mercoldì scorso capitava per la tredicesima volta l'anniversario luttuoso di quell'infausta giornata. E dirvi io voleva, accennando a quelle sventure, quaeque ipse miserrima vidi et pars aliqua fui: Iddio faccia che Napoli non divenga una terza volta fatale all'Italia, e per colpa nostra, siccome due volte lo fu per colpa di Casa Borbone! Né vi sembrino esagerate queste parole, poiché io credo essere urgente il provvedere ai mali di quelle province, e l'applicare i rimedii, che, debbo dirlo, e lo dirò francamente e altamente, il Governo non ha punto applicati finora. Dirò, a dimostrar ciò, che ho frugato attentamente il giornale ufficiale, dal giorno 8 del mese scorso, in cui partii da Torino, sino al loglio di ieri l' altro, e non ho trovato che due soli decreti sulle province napoletane: il primo del 4 aprile, in virtù del quale si stabiliscono dei comandi militari distrettuali e provinciali; il secondo del 5 maggio, in cui, sotto pretesto di determinare meglio le attribuzioni del governo locate di Napoli, venne questo completamente esautorato.

E qui, o signori, mi permetterete una storia un pò curiosa, vale a dire quella della degradazione successiva degli uomini i quali tennero le redini del governo in Napoli dall'entrata del general Garibaldi, il giorno 7 settembre. All'entrare del dittatore i nuovi chiamati s'intitolavano ministri e si succiavano l'eccellenza

(Ilarità generale}; la quale intitolazione sembrava tanto più strana, inquantochè il dittatore non voleva neppure del vossignoria. Venuto in Napoli il Re col Farini, le eccellenze scaddero ai consiglieri; né questo è tutto, poiché, venuto in Napoli il Nigra, i consiglieri decaddero a segretarii generali. Ora in verità, non so che cosa il governo pensi di farne, a meno di mutarli in uscieri o bidelli.

(Nuova ilarità). Quello che è certo, o signori, si è che questa degradazione scccessiva ha fatto grave torto al governo di Napoli, il quale è divenuto tanto impopolare,

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In una cosa, anzi in due cose, i signori segretarii generali non sono punto scaduti: i nel percepire.400 ducati al mese; 2° nell'essere inaccessibili ed invisibili. E vi dirò che questa inaccessibilità ed invisibilità loro non ha poco contribuito al malcontento generale (Oh! oh!)

Aggiungerò che questa inaccessibilità ed invisibilità è comune anche al principe di Carignano ed al signor Nigra (Mormorto); cosa tanto più strana, che i pubblici funzionarii dal primo all'ultimo altro essere non dovrebbero che i servitori del pubblico.

Presidente Del Consiglio Dei Ministri. Ma non dei postulanti.

Ricciardi. poiché io vi parlava del malcontento generale e profondo di quel paese, dirovvi che durante un mese intero io non ho fatto che udire un lamento perenne. Io ho visto in Napoli uomini di tutti i colori. E qui bisogna che io vi dipinga un po' l'uomo che vi parla in questo momento. In me sono in certo modo due uomini: c'è l'uomo involontariamente aristocratico per grado sociale, e c'è l'uomo democratico per convincimento antico e profondo. Ebbene, o signori, questa mia duplice qualità mi mette in grado di essere in relazione con qualsiasi persona. Io vedo in Napoli gente di ogni condizione, dal principe e duca fin all'ultimo popolano, di modo che sembro l'uomo fatto a posta per conoscere e dirvi la verità. (Viva ilarità) Né vi spaventi, o signori, il sedere io all'estrema sinistra, poiché credo sappiate che io non siedo qui per vanità od ambizione, né tanto io qui siedo per un' antipatia antica, invincibile pel principio d' autorità, quanto in virtù di un'aspirazione ardente e profonda verso la perfezione, un tipo di perfezione insperabile forse in questo misero mondo, e ch'io pure vagheggerò sino all'ultimo giorno della mia vita, tenendo in mente mai sempre il bene della mia patria.

A facilitare la mia esposizione, aggiungerò un'altra circostanza.

Gli onorevoli ministri impugneranno la mia relazione, dicendo: ma le nostre relazioni sono affatto diverse da quelle che voi ci fate. Io farò loro riflettere che havvi una certa differenza fra le loro relazioni e quella che posso far io.

Essi, da chi ricevono le loro relazioni? Dai loro subordinati, dai segretarii generali, dai governatori delle province.

Ora, o signori, costoro sono uomini, i quali debbono naturalmente

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mentre in sono adatto disinteressato, io vi dico quello di cui sono sicuro per relazioni ricevute da persone degne di lede.

Se i vostri agenti vi dicessero: tutto va male, sarebbero eroi, ed io degli eroi ne ho celebrati parecchi come poeta, ma nella vita reale ne ho conosciuti pochissimi. (Bravo!)

Inviterò dunque il signor ministro ad un' escursione nelle province, avvertendolo che il viaggio sarà poco piacevole, se non altro perché c'imbatteremo spesso nei ladri.

E stamane stessa, nel metter. piede in questa Camera, ho avuto alcune nuove lettere, le quali provano la verità di quanto asserisco; per esempio, ecco una lettera del 17 maggio, vale a dire molto recente, datata da Napoli, la quale dice:

«La diligenza fu assalita dai briganti presso Cancello, a circa otto miglia da Napoli, e il corriere fu ucciso.»

Una seconda lettera è del nostro collega Gaetano De Peppo, il quale si trova a Napoli, e così scrive all'onorevole Moffa.

«Napoli,16 maggio 1861.

«Stamattina ricevo notizia dalle Puglie da persona presente al fatto, che, nel giorno 14 corrente, 700 briganti del Gargano, al grido di

Viva Francesco II, hanno assalito il paese di Matinata, e lo hanno spogliato di tutto; indi si son gettati nelle diverse masserie, appropriandosi quanto ci hanno trovato.

«Quel diligente governatore ha spedito immediatamente una forza, ma sono 700 uomini reazionarii, e chi sa quanti altri vi si possono riunire. Bisogna bene pensarci, perché i tatti si rendono gravi e le conseguenze possono essere funeste. Ho rilevato da un telegramma che l'amico conte Ricciardi faccia interpellanza al ministro lunedì...»

Potrei citare altri fatti dolorosi; per esempio, un cognato di mio fratello, il conte Dachenausen, ha subito uno di quegli attentati celebri negli annali del brigantaggio, vale a dire che, assalito in Castellammare dai malfattori, è stato costretto a sottoscrivere una cambiale di 800 ducati. Due fatti consimili sono avvenuti nella stessa città di Napoli! Nei dintorni di Napoli, suonata l'avemaria, nessuno esce di casa. Questo è uno stato di cose intollerabile, tanto più che moltissima truppa abbiamo nel Regno, massime in Napoli, ed, oltre la guardia nazionale, abbiamo i carabinieri e la polizia.

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Ora, o signori, bisogna eh' io vi dia un sunto delle cento lettere che ho ricevute dalle province e delle relazioni orali che mi vennero fatte da provinciali venuti espressamente a Napoli per riferire sullo stato delle loro province. Domando un po' di pazienza. Queste relazioni sono gravissime, ed io ne assumo tutta la responsabilità. Non ho fatto che prendere il sugo di tutte queste lettere, tralasciando i fatti di poca importanza, per attenermi a quelli di maggior gravità, ed ho piuttosto attenuato, che esagerato le cose.

«Provincia di Molise. Il governatore Giuseppe Belli è un uomo onesto e pieno di buon volere, ma debole e poco capace.

«Tribunali civili-» (Rumori. Il deputato Bixio ed altri fanno richiami).

Presidente. Prego l'onorevole Ricciardi a restringersi alla sola esposizione dei fatti, senza discendere a cose personali.

Ricciardi. Questi sono fatti!

Voci. Sono fatti personali! Sono giudizi!

Ricciardi. Di pubblici funzionarii. Io debbo fare un quadro esatto della situazione: ora l'ex-reame di Napoli si compone di province, e ciascuna provincia, che si trova mal governata, ha il diritto di far sentir la sua voce; io non tocco la riputazione di nessuno; io dico: il governatore tale è giudicato in questo o in quel modo; non tocco il

governatore che nella sua qualità di uomo politico, non dico che sia un furfante, e sebbene mi sieno stati fatti richiami ed interruzioni, non posso a meno di dire che quel tribunale civile e criminale non sia composto di uomini mediocrissimi.

Voci. E un libello! Sono personalità! (Rumori e richiami)

Musolino. Signor presidente, se non si lascia parlare, pare che non si voglia conoscere lo stato del paese.

Presidente. Avvertirò ancora una volta tutti i reclamanti che ora interrompono l'oratore, che al solo presidente spetta di chiamare gli oratori all'ordine, quando eccedano i limiti delle convenienze parlamentari, e credo di aver dato prove bastanti, come questo ufficio mi stia a cuore, per non permettere assolutamente che alcuno faccia le veci del presidente. (Bravo!) Continui l'oratore.

Ricciardi. I giudici mancano in questi tribunali da circa sei mesi, con grave danno della cosa pubblica, poco o nessun divario fra l'antico regime e il presente, miseria, ingiustizia e malversa

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La reazione mossa, più che da altro, dal desiderio di saccheggio, né da potersi vincere, se non col ridonare la prosperità al paese', col dare impulso all'agricoltura, al commercio e alle industrie.

Attesa l'impazienza della Camera, non leggerò altro sunto, oltre quello che concerne la provincia, di cui ho l'onore di seder deputato, della provincia di Capitanata «Governatore conte Bardesono, giovanissimo, ignaro affatto degli uomini e delle cose della provincia (Movimenti), da udienza in contegno reale e si rende sempre più impopolare per la sua albagia Misure arbitrarie ebbero luogo per essersi la sera del 25 marzo gridato abbasso al governatore. L'amministrazione affatto nulla.1 più gridano: si sia peggio di prima! I tribunali zoppicano. Alla guardia nazionale furono distribuiti, in tutta la Capitanata, solo 2400 fucili. Esistono in essa qua e là elementi nemici. In Foggia, fra gli uffiziali, s'annoverano sette cavalieri di Francesco II. Grande la miseria nella città, per mancanza di lavoro. Nessun opera pubblica in attività. Furti a mano armata per ogni dove. Molti elementi di reazione massime nel Gargano; guai se la guerra scoppiasse in sul Mincio!» (Mormorio).

In generale le relazioni delle altre province sono, fatte poche eccezioni, della-stessa natura.

Lo stato della capitale non è certo migliore di quello delle province. Debbo dir francamente avere, dopo 38 giorni di soggiorno in Torino, trovato un gran cambiamento. Voglio dire una verità dolorosa, ma debbo dirla, poiché, per curare una piaga, bisogna denudarla; la fede nell'ordine di cose presente è diminuita; non so, o signori, se il popolo convocato di nuovo nei comizii

Pica. Protesto contro questa asserzione con tutte le mie forze.

Massari, e molti altri deputati. Tutti, tutti protestiamo. (Rumori e segni di disapprovazione da tutte le parti della Camera.)

Presidente. Avverto il deputato Ricciardi che non posso permettere che venga a mettersi in dubbio la volontà di qualsiasi parte d'Italia di rimanere unita a tutto il Regno. Tutte le città si proclamarono, e sono italiane!

Massari. (Con impeto) Napoli è italiano.


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Voci. Noi protestiamo tutti!

Presidente. Prego la Camera di far silenzio: io credo di avere abbastanza interpretato i suoi sentimenti...

Petruccelli. Questa è quistione politica, non nazionale.

Ricciardi. Io credo che nessuno dubiti del mio italianismo, che nessuno dubiti del mio patriottismo...

Presidente. Non metto in dubbio né l'italianismo, né il patriottismo del signor Ricciardi, ma non posso permettere eh' egli venga a mettere in forse l'italianismo delle altre parti d'Italia. (Bene! Bravo!) Le lascio facoltà di parlare, mala prego di non tornare su questo terreno; altrimenti non potrò lasciarla continuare.

Ricciardi. Mi limiterò allora a dirvi, o signori, che la situazione è gravissima...

Leopardi. Domando la parola.

Ricciardi. lo credo in coscienza che, ove l'Austria fosse in grado di assalirci sul Mincio, ci troverebbe in serii imbarazzi. (Forti rumori) Avremmo il nemico a fronte e la reazione alle spalle. (Rumori)

lo credo che il pericolo d'Italia ci debba commovere.

La quistione in Napoli è duplice: morale e materiale; della morale parlerò or ora, veniamo alla quistione materiale,. ch'è quella che bisogna curare il più prontamente possibile.

Havvi un gran numero di persone, i cui mezzi di sussistenza sono distrutti o diminuii; per esempio tutti coloro i quali da 13 anni hanno sofferto per la patria, hanno logorate la loro sostanze, e speravano avere impieghi (Ahi ahi Rumori), che naturalmente non han potuto ottenere; havvi per Napoli in ispecie la mancanza di forestieri, e vi dirò che non ho riconosciuto la mia città natale, tanto l'ho trovata squallida e mesta!

V'aggiungi gli effetti della parifica delle tariffe tra Napoli e gli antichi Stati, la quale parifica ha fatto cadere molte fabbriche, ed ha messo alla strada un gran numero di operai. Infine tante cagioni riunite fanno si che vi sia mancanza di mezzi per un gran numero di persone.

Per conseguenza la quistione, secondo me, è economica soprattutto. Verremo in seguito ai rimedii; ecco per ora svelato il male. Ne segue la necessità di far cessare al più presto possibile uno stato di miseria cosi profonda.

Ogni governo nuovo la prima cosa cui debba provvedere, secondo me, è questa. Abbiamo l'esempio di Luigi Filippo e di

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Quale fu la loro cura principale salendo al trono? Ovviare alla miseria che nasce da ogni rivoluzione. Naturalmente nelle rivoluzioni i lavori, i commerci s'arrestano; quindi la miseria. Luigi Napoleone non ebbe altra cura, salendo al trono, che d'ovviare a questo gravissimo danno; ed oggi stesso qual è la sua cura principale? Quella di fare che il maggior numero non manchi mai di lavoro, e questo fa sì che la Francia sia prospera, e dimentichi quasi nella sua prosperità la libertà perduta. Ora passerò m rassegna gli altri dicasteri, e prima di tutto mi rivolgerò all'onorevole ministro dell'istruzione pubblica.

Debbo dire che non mai l'istruzione pubblica l'u in cosi misere condizioni nell'ex-reame di Napoli, quant'oggi, e nello stesso tempo, cosa assai strana, non costò mai tanto quant'oggi!

L'Università di Napoli è quasi deserta. Sono state create, oltre a ciò, molte cattedre od

honorem, e concesse a persone, onorevolissime senza dubbio, ma le quali non hanno fatto e non faranno forse mai una lezione.

Alcune cattedre sono state create per collocare Tizio, Sempronio o Caio. Ci sono poi delle facoltà dove, sopra tredici professori, non ve ne sono presenti che cinque; cosicché vi sono stati dei concorsi che si dovettero sorvegliare da cinque soli professori.

Lo stato dei licei provinciali non è punto migliore, tanto più che le povere province sono in generale neglette.

Veniamo ora all'accademia delle belle arti. Qui accade una cosa stranissima. L'accademia è chiusa da nove mesi; ciò non ostante il suo bilancio si trova presso che raddoppiato, che, invece di sette mila ducati, che prima costava, ne costa ora tredici mila, il che vuol dire che la chiusura dell'accademia è dallo Stato pagata sei mila ducati all'anno.

L'insegnamento primario è nella condizione la più infelice; basti accennare che la maggior parte delle scuole è chiusa. In Napoli n'è aperta una sola.

Si lagnano gli artisti della capitale del non essersi messa a concorso la dispensa di alcuni quadri, per cui fa stanziata una somma considerevole, mentre fu aperto un concorso pel monumento dell'unità italiana.

Domando poi all'onorevole ministro se è vero che il gabinetto delle pietre dure sia stato chiuso.

Ora debbo entrare in una materia delicatissima, quella delle finanze. Vi confesserò che ho tentennato assai prima di risolvere

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la prima è che noi dobbiamo essere guardiani gelosi del pubblico tesoro; la seconda che il danaro oggi ha tanto maggiore importanza, inquantochè abbiamo bisogno di provvedere a spese urgentissime per le strade ferrate e per l'accrescimento dell'esercito e della marineria militare; per conseguenza ogni più picciòla somma è per me sacra, perché so che con 25 franchi si può comprare un fucile e costruir forse un palmo di strada ferrata; per modo che non troverete strano che io faccia all'onorevole ministro delle finanze qualche domanda.

Io non credo interamente al detto: vox populi, vox Dei: credo che il popolo spesso s'inganni; ma non credo nemmeno che un intero popolo sia capace di calunniare. Ora la voce pubblica in Napoli, abbia torto, abbia ragione, crede che le finanze napoletane sieno state assai bistrattate, io credo che solamente un'inchiesta ordinata dall'onorevole ministro delle finanze possa chiarire i dubbii e purgare l'amministrazione di questa terribile accusa.

Intanto ecco quattro fra le domande che io vorrei lare: ho scelto le cose che mi sono parute riunire il maggior carattere di verità. Del resto, ripeto, io desidero che il ministro delle finanze possa smentire interamente quello che vo a dire..

È egli vero che somme considerevoli sieno pagate alla luogotenenza, oltre i due milioni di lire assegnati al principe di Carignano, e le 100,000 date ogni mese al commendatore Nigra?

È egli vero che sei mesi di paga sieno stati anticipati dalla cassa di sconto a parecchi impiegati, contro il voler della legge, la quale non permette alla detta cassa d'anticipare se non soli due mesi?

È egli vero che contratti d'affitto di beni demaniali considerevoli, svantaggiosissimi per lo Stato, sieno stati fatti, quello in ispecie d'un fondo sito a Chiaia?

È egli vero che sia stato segnato un contratto, rovinoso per lo Stato, di alcuni tagli di boschi?

Il solo mezzo, io credo, di conoscere la verità sarebbe quello d'un'inchiesta. Debbo dire, ad onore del vero, che ho dati precisi per credere che la tesoreria generale non abbia nessuna colpa in questa faccenda, poiché i pagamenti sono stati fatti regolarmente, vale a dire sopra mandati regolari; di modo che bisognerebbe piuttosto indagare il male domandando schiarimenti a quelli che hanno ricevuto il danaro. Io credo che l'inchiesta farà conoscere forse dei fatti gravi, e, fra gli altri,

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questo, il quale ho sentito generalmente, vale a dire che tempo fa la tesoreria, avendo avuto bisogno di realizzare una certa quantità di rendita iscritta, si sia rivolta alla casa Rothschild, e che questa abbia dato il danaro a dei patti veramente scandalosi.

Sopra un'altra cosa vorrei chiamare l'attenzione dell'onorevole ministro, vale a dire sulla penuria estrema in cui si trova l'erario de l'ex-reame di Napoli, penuria che mi sembra tanto più incredibile, in quanto che le province napoletane soggiacciono a molto minori spese di quelle cui soggiacevano sotto i Borboni.

Noi non abbiamo più, per esempio, 100 mila soldati da alimentare e pagare, surrogati appena da venticinque o trentamila soldati dell'esercito nazionale; non abbiamo più una lista ingente, incredibile, siccome quella che i Borbonì prelevavano ogni anno.

Invece di quei molti milioni di ducati, figurano solo due milioni di lire assegnati al principe di Carignano e l'assegno al signor Nigra. Non abbiamo più ministri, ma soli quattro segretarii generali, i quali non costano alla fin fine che la somma di 1000 ducati al mese.

Non abbiamo più i fondi segreti, perché credo che oggi più non si paghi quell'infame spionaggio che si pagava sotto i Borboni, ed era questa una spesa molto considerevole.

D'altra parte vediamo che non sono punto diminuite le imposte, le quali si pagano attualmente, siccome allora.

Abbiamo inoltre il prodotto dei beni dei gesuiti e dell'ordine costantiniano, e domanderò al signor ministro che cosa si taccia di queste rendite. Abbiamo i beni di casa reale, e si ricorderà l'onorevole ministro che il general Garibaldi decretò su questi beni la somma di sei milioni di ducati, il che vuol dire che sono molto considerevoli

Ora il governo che succedette a quello del general Garibaldi non ha mai osato abrogare questo decreto, ma non ha neppure mai voluto farlo eseguire, ed anche su questo chiederò qualche schiarimento.

Fra gli altri introiti vi ha quello delle dogane, nel quale si è operata una diminuzione considerevole, in parte dal contrabbando, in secondo luogo dalla parifica delle tariffe, ed in terzo luogo in virtù del decreto del signor Farini, il quale diminuì alcuni dazii. Ma anche qui bisogna riflettere che, quanto al contrabbando, quello che si fa adesso è ampiamente compensato da quello che sotto i Borboni avea luogo

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per opera dei Principi reali, cosa no

Restano dunque queste due cose che possono diminuire il reddito pubblico, vale a dire l'abbassamento delle tariffe, più il decreto del Farini.

Se non che io dimenticava di dirvi che in questo momento si dazia a Genova, invece di daziare a Napoli, cioè la dogana è pagata a Genova e non a Napoli. Quando vi sarà un solo tesoro, questo non vorrà dir niente, ma ora naturalmente il tesoro di Napoli ne scapita, perché quello che riceve Genova non lo incassa Napoli.

Pur tuttavia io credo che, tutto computato, dovrebb'esser supero anziché deficit. Ora accade appunto il centrare. Solo un'inchiesta potrà chiarire il vero La penuria del municipio di Napoli è anche maggiore di quella del tesoro. Bisogna sapere che quando io son partito, nelle casse del municipio di Napoli non si trovavano che pochi ducati, e non si sapeva come andare avanti, talchè era quistione di contrarre il debito più rovinoso che si possa imaginare, cioè di sottoscrivere delle obbligazioni per tre milioni e mezzo di ducati e non riceverne che due e mezzo, pagando gì' interessi dell'intera somma! Anche su questo desidero degli schiarimenti, perché vorrei evitare alla mia terra natale una vera rovina.

Non lascerò quest'ingratissimo tema delle finanze senza dire all'onorevole ministro che la sua ultima relazione ha fatto in Napoli un pessimo effetto, e già si prevede per l'anno venturo la tassa d'insinuazione (Movimenti diversi), la tassa mobiliare, la tassa delle patenti, da cui finora fummo esenti, più un nuovo debito, il quale si aggiungerà a quello di cento trentanove milioni di ducati che abbiamo già.

E dicono i miei conterranei: noi soggiaceremo a questi nuovi carichi, ma vorremmo godere vantaggi onde godono gli altri paesi, vale a dire le strade ferrate.

Voci. E le avranno (Rumori)!

Ricciardi. Vorremmo godere di quella prosperità materiale, di cui gode il Piemonte e dell'immenso commercio di Genova. Ma noi non abbiamo alcuno di questi vantaggi, e siamo minacciati da gravi danni.

Passerò ora al Ministero della giustizia. Ecco quello di cui si lagna il paese. Il paese dice che molti fra i vecchi magistrati borbonici sono ancora in uffizio, e che non tutti fra i nuovi sono ottimi Relata refero, non do giudizii: ma, in generale, è voce olle massime sui giudici di pace ci sia molto da dire.

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L'onorevole

Si grida anche un poco contro le nuove leggi, e a questo proposito mi sia permessa una digressione contro la decretomania. Siamo stati inondati di leggi e decreti, i quali si potevano benissimo differire a miglior tempo. Noi abbiamo due cose da fare. Per fare l'Italia ci vogliono armi, ed inoltre le strade ferrate, anche per dare da vivere alle moltitudini. Tutte le altre cose si potrebbero differire.

Noi dobbiamo unificare l'Italia, ed a questo riguardo dirò che nessuno è più unitario di me. Ma l'Italia non si deve unificare a vapore, bensì come un popolo ch'è stato diviso per secoli; dobbiamo rispettare le leggi e le abitudini locali, massime quando queste leggi non sono tristissime, chè anzi in molte cose sono superiori a quelle degli altri Stati.

Contentiamoci per ora, o signori, di veder realizzato il sogno più caro della nostra vita. Avremmo mai potuto imaginare qualche anno fa di vedere un Parlamento italiano, di vedere un esercito nazionale, una sola marineria, una sola bandiera e di essere suite via di Roma? Ebbene, non precipitiamo le cose. È curioso che vi debba io dare consigli di prudenza, io che passo per uomo superlativo e rivoluzionario (Ilarità)!

Chiamerò ora l'attenzione dell onorevole guardasigilli sopra un antico abuso, di cui fece anche parola il mio collega Massari, cioè sopra i così detti informi, abuso il quale perdura ancora, e sarebbe pur tanto facile il togliere.

Io non so se gli onorevoli miei colleghi sappiano che cosa sieno gl'informi.

Le parti vanno a visitare il magistrato, gli si raccomandano, gli espongono la causa, ecc. Lascio imaginare gli effetti di pratica cosiffatta.

11 perché io conforto l'onorevole guardasigilli a mettere fine a questa vergogna.

Ora non posso fare a meno di far parola di molti arresti e di molte detenzioni abusive; arresti di garibaldini, arresti di reazionarii.

Il giorno 27 aprile tutti sanno che vi fu uno scandaloso fatto; quello di cui fu quasi vittima il signor Silvio Spaventa.

lo fui primo a dire al signor Nigra che bisognava punire i

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Io trovo che, arrestato un individuo, debba essere interrogato dal magistrato ordinario, e non già trattenuto per misura di polizia.

Ora settanta Garibaldini furono tradotti a' Granili, e rilasciati solo dopo venti giorni per mancanza di prove.

I reazionarii si lagnino della stessa cosa. e noi non dobbiamo dar causa ai nostri nemici di dire che noi, uomini liberali, uomini amici della giustizia, siamo primi a violarla.

Il duca di Caianello fu arrestato il 6 aprile. Or consta a me che il 6. maggio non era stato ancora interrogato dal magistrato ordinario; egli sta sotto l'azione del potere giudiziario, ma non ha ancor subito alcun interrogatorio; or questo non è regolare; e me ne appello al ministro guardasigilli. affinché faccia cessar questo abuso.

Fo un appello altresi alla cortesia ed all'umanità del signor ministro dell'interno, e credo che la mia preghiera non possa essere sospetta, perché tutti sanno i miei sentimenti.

Il duca di Caianello soffre di asma, ed è nelle prigioni di San ta Maria Apparente, donde ha chiesto invano di essere traslocato in un torte. Ora il governo di Vittorio Emanuele non vorrà negare al duca di Caianiello, Borbonico, ciò che il Del Carretto, ministro di Ferdinando II, concedeva a me, suo nemico, allorché nel 1834, sulla dimanda di mio padre, mi facea traslocar tosto dalla prefettura di polizia nel castello di Sant'Erasmo.

Finirò questa mia interpellanza al signor ministro della giustizia con un complimento, per mostrargli che non sono poi un uomo tanto terribile; e gli dirò che il paese si rallegra con lui della istituzione dei giurati. Ed il Ministero dee avere un gran motivo di rallegramento in questo fatto curiosissimo, che la prima dichiarazione del giurì napoletano è stata una condanna d'un giornale nemico al Ministero, vale a dire della Pietra Infernale.

Se questo gli può far piacere, glielo annunzio pur volentieri (Si ride), e tanto più volentieri, in quanto che ho inteso da molti, i quali parlano e sparlano del mio povero paese, che Napoli è ingovernabile, ed ancorché si mandasse a Napoli il più grand'uomo, il più gran legislatore del mondo, non potrebbesi giungere a governar Napoli. Ma Napoli non è ingovernabile, poiché vi si trova un giurì (e il giurì rappresenta la parte intelligente del paese) il. quale condanna la Pietra Infernale a 400 ducati di multa ed a tre mesi di prigionia.

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Passiamo ora agli affari ecclesiastici.

Qui potrei ripetere molte delle cose dette. ieri l'altro contro i decreti del 17 febraio. ma mi limiterò a questo. Per procedere a tenore di logica, dopo aver rigettato la mia proposta, bisognerebbe abrogare i decreti del 17 febraio. Non si esce da questo dilemma, od abrogarli o convertire in legge la mia proposta. Quello che ha luogo in questo momento contro preti, frati e monache, è illegale, è incostituzionale, ed io domando giustizia anche a pro dei preti, delle monache e dei frati.

Aggiungerò che questi decreti hanno molto contribuito al malcontento di cui si parla Naturalmente questi preti e questi frati hanno le loro famiglie, i loro aderenti. Ebbene, questi decreti hanno messo un diavolio nel paese, e voi dovete assolutamente far cessare questa nuova cagione di malcontento: ricordate, o signori, il detto di Machiavelli: «i nemici bisogna accarezzarli o spegnerli;» il che non vuoi dire che io vi conforti a impiccarli (Ilarità), chè non voglio impiccare nessuno; ma vi dirò che gli avete disgustati, e non altro; li avete inaspriti senza profitto, cioè senza che lo Stato ne abbia ricavato alcun benefizio.

E qui mi cade in acconcio di fare una preghiera all'onorevole guardasigilli, ed è in nome di alcuni preti, vale a dire di quelli che sono sospesi a divinis: mi pare che quando si trova un prete veramente liberale, se ne debba tener conto, la cosa essendo assai rara (Ilarità; ma, signori, sapete voi che cosa sia-l'essere sospeso a divinis? -È lo stesso che non mangiare! (Risa) Io troverei di stretta giustizia che ogni prete sospeso a divinis fosse indennizzato sui beni della mensa del vescovo che lo ha sospeso. (Nuova ilarità)

Passiamo all'agricoltura e al commercio: io trovo nel Giornale ufficiale di Napoli dei 17 marzo una relazione dell'onorevole nostro collega Nisco, allora direttore del dicastero, in cui si promettono grandi cose: un istituto di commercio, dei comizii agrarii e delle banche agrarie, tutte, ripeto, bellissime cose; or domando all'onorevole ministro Natoli il perché tutte queste magnifiche promesse non fossero punto realizzate.

Lo stesso signor Nisco propose un banco di circolazione, con succursali nelle province per ricevere i versamenti dei percettori, con risparmio annuo all'erario di ducati 77,750 (lire 310 mila). Anche questa sarebbe stata un' utilissima cosa; or domando il perché questa proposta non sia stata adottata.

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Lo stesso signor Nisco propose un'altra cosa eccellente, vale a dire lo stabilimento in Napoli di una scala franca, la quale sarebbe di un immenso beneficio. Perché questa scala franca non è stata creata?

Nisco. Domando di parlare.

Ricciardi. Non parlo della Cassa di risparmio, decretata il giorno 19 novembre, ed il cui statuto fu pubblicato il 30 marzo, perché confesso che lo stabilire una Cassa di risparmio in un paese, dove il povero popolo ha appena da non cader morto di fame, è una burla!

Ora vengo ai lavori pubblici.

Mi duole dover dire all'onorevole ministro dei lavori pubblici che ci sono state molte belle premesse, ma nessun fatto. E qui ricorderò in brevi parole il colloquio avuto il giorno 28 aprile col commendator Nigra.

Dopo il fatto di Spaventa, di cui accennava poc'anzi, due nostri onorevoli colleghi ed io ci credemmo in dovere di andare dal commendator Nigra per esporgli la vera situazione del paese, lo presi la parola, e gli dissi tulio quello che credeva doverglisi dire. Egli fu gentilissimo; ci fece le più belle promesse, massime sulla quistione dei lavori, perché io insistetti principalmente su questo. Mi disse, fra le altre cose: la settimana entrante s'incominceranno i lavori della stazione della strada ferrata, lo risposi: ma perché non fate pubblica questa notizia per calmare il paese? Sarà pubblicato il rapporto, egli disse, del dicastero dei lavori pubblici, nel quale si parla in generale di tutti i lavori da farsi. Signori, ' né i lavori sono cominciati, né questo rapporto è stato mai pubblicato.

So che varie offerte sono state fatte dalle compagnie, ma sono, secondo me, onerose. E qui io vorrei che l'onorevole ministro aprisse tanto d'occhi. Per esempio, la compagnia Talabot, di cui siamo chiamati ora ad approvare la convenzione, osò chiedere 135 mila ducati per ogni miglio. Questa offerta è scandalosa. Calcoli esatti dimostrano come quattro e quattro fann'otto, che le compagnie fanno un guadagno bellissimo anche facendo le strade ferrate per 85 mila ducati a miglio, e come la rete delle strade ferrate di Napoli e Sicilia è di due mila miglia, si tratterebbe nientemeno che di una bagattella di 100 milioni, i quali entrerebbero nelle tasche di quei signori. Il perché, ripeto, io prego l'onorevole ministro di aprir tanto d'occhi.

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La grande obiezione che ci si fa, quando diciamo: dovete assolutamente crear lavoro, è quella della mancanza di danari; ma io potrei dirvi che vi sono compagnie, le quali son pronte ad anticipare i danari per ogni spesa di opere pubbliche, solo contentandosi di un minimo d'interesse, sia del 5, sia del 6 per 100, minimo che lo Stato può benissimo assicurare, trattandosi d'imprese d'esito sicurissimo. Per la intrapresa delle bonifiche, lavoro di grandissima utilità, c'è stata una compagnia inglese, la quale ha fatto delle bellissime offerte; ebbene, non si son volute accettare.

Presidente Del Consiglio. La nomini, la prego, quella compagnia.

Ricciardi. Io non ne conosco il nome, ma persone degne di fede me lo hanno assicurato.

Presidente Del Consiglio. lo posso assicurare il contrario.

Presidente. Prego il signor ministro di non interrompere.

Ricciardi. lo parlo di un fatto di Napoli, che il signor ministro può benissimo ignorare. Vi sono in Napoli degl'immensi fabbricati, i quali debbono tosto o tardi sparire;

se i decreti del 17 febbraio debbono avere esecuzione, molti conventi dovranno essere abbattuti

, e sul suolo di essi si potranno fabbricar delle case pei poveri; e su questa materia importantissima prego il signor ministro di portare tutta la su. i attenzione.

Ora debbo passare alle cose della guerra, e qui ho bisogno di tutta la pazienza dell onorevole general Fanti. Per altro, nel fare la guerra al ministro della guerra, non iscorderò ch'ei visse meco in esilio, e servi sul campo di battaglia quella medesima causa che ho servito e servo io colla penna e colla parola.

Il già esercito borbonico annoverava un effettivo di 97091 soldati e sotto-uffiziali, e di 3686 uffiziali. Lasciamo stare il materiale, il quale era immenso. Basti questo, che nelle sole fortezze di Capua e Gaeta s'annoveravano circa 1000 cannoni, dei quali la più parte di bronzo.

Lasciamo stare altresì l'immenso materiale accumulato nelle piazze, sì del Napoletano, che della Sicilia.

Vediamo ora che cosa sia divenuto questo immenso esercito.

Cominciamo dagli uffiziali. Vi sono due categorie d'uffiziali. Quelli che dal campo borbonico passarono nel nostro, anche prima dell'entrata del general Garibaldi in Napoli, e quelli, cosi detti fedeli, quelli, cioè, i quali rimasero sotto la bandiera borbo


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Vediamo in che modo avete trattati gli uni e gli altri.

Circa 1500 degli uffiziali borbonici, dopo la caduta di Capua e Gaeta capitarono a Napoli. Or questi disgraziati furono crudelmente umiliati. In principio ricevevano un franco al giorno, in seguito hanno ricevuto un soldo maggiore, credo anzi metà della paga. Ma come non c'è che un solo pagatore all'uffizio di piazza, sono costretti qualche volta ad andare dieci o dodici volte prima di esser pagati. Più in là, in virtù di decreti emanati nell'aprile e nel maggio, 1000 circa sono stati messi a riposo, ma senza alcuna norma, vale a dire, dei giovani, come degli uomini d'età, degli scapoli come degli ammogliati, quasi ciecamente. quasi a capriccio.

137 sono stati messi in posti sedentanei, nello stato maggiore delle piazze.

229 sono stati chiamati all'attività, ma lasciati in aspettativa.

Ora, io domando: tutti questi uffiziali borbonici umiliati, disgustati, non sono materia ottima per una cospirazione reazionaria?

Credete mo' voi che se degli agenti borbonici capitassero a Napoli con un pò d'oro, non guadagnerebbero molti di questi uffiziali? Aggiungete i soldati sbandati, che sono in grandissimo numero nell'ex-reame. Ebbene, questi soldati avrebbero gli ufficiali belli e pronti: ecco dunque delle compagnie, dei battaglioni, dei reggimenti, che si formerebbero colla massima facilità, mentre, secondo me, sarebbevi stato un mezzo semplicissimo di utilizzare a pro d Italia questi elementi preziosi: questi sott'uffiziali. questi soldati sarebbero diventati ottimi soldati italiani, se voi, invece di disgustarli e umiliarli, li aveste fatti venire nell'alta Italia, e li aveste incorporati nel nostro esercito; se il giorno della caduta di Messina, in una parola il generale Fanti avesse pubblicato un decreto così concepito:

«Il già esercito delle Due. Sicilie è incorporato nell'esercito nazionale, salvo le eccezioni che saranno determinate da una Commissione ad hoc».

Invece, che cosa si è fatto? Si accordarono ad alcuni delle pensioni, altri si posero fra i sedentanei. Avete ammesso nelle file dell'esercito italiano il generale Nunziante (bisogna pur che lo nomini) e poi avete trattato, abbiamo veduto in che modo, non solo quegli uffiziali che fino all'ultimo sono stati fedeli alla bandiera

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Fanti, ministro della guerra. Li nomini, li nomini.

San Donato. Firrao....

Voci. E un solo nome.

Presidente. Prego di non interrompere l'oratore.

Ricciardi. Appena giunsi a Napoli, i miei amici politici ed io sentimmo che il nostro precipuo dovere era quello di fare ogni sforzo, affinché l'esercito napoletano rimanesse intatto. Secondo me è stata una sventura immensa la distruzione di quel bellissimo esercito. il quale si sarebbe assai bene battuto per la causa italiana, se si fossero usati con esso altri modi.

Io feci la propaganda nelle caserme a rischio di farmi fucilare; e a quanti uffiziali vedeva, io diceva: il vostro onor militare è salvo, perché in Sicilia vi siete battuti contro il general Garibaldi; ora siete in casa vostra, e dovete imitar e l'esempio dell'esercito toscano, il quale il dì 27 aprile fece si, colla sua bella attitudine, che il granduca se n'andasse volontariamente.

Gli uffiziali, in generale, rispondevano: noi saremmo pronti, ma i nostri soldati sono talmente fanatizzati, che ci fucilerebbero; e questa è stata una delle principali ragioni per cui è stato impossibile operare una sollevazione militare, o, per meglio dire, di procacciare un pronunziamento militare prima dell'ingresso del general Garibaldi, il quale avrebbe trovato in Napoli una rivoluzione in piedi ed un esercito intero.

Ora questi uffiziali li vedo reietti; questa è ingratitudine marcia; questa è una cosa che non si dee tollerare. Ma mi pare, o signori, che senza il lavoro segreto di questi uffiziali, senza il nostro lavoro, il general Garibaldi avrebbe mai potuto entrare in Napoli, in una città di 500000 abitanti, con quattro castelli gremiti di truppe, e un presidio di 8000 soldati?

(Segni di adesione).

Egli entrò solo in Napoli, perché noi gliene aprimmo le porte, noi liberali, con gran numero d'uffiziali, i quali la divisa borbonica calpestarono, e venner con noi. Ebbene, questi uffiziali voi dovete premiarli, e non chiamarli disertori, siccome ho sentito da qualche uffiziale superiore; questa parola non dee pronunziarsi, perché non si è disertore quando da un campo infame si passa al campo della libertà e dell'onore. (Bravo! dalla sinistro),

Quanto ai soldati sotto-uffiziali ed uffiziali garibaldini, non

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lo prego quindi il ministro della guerra di amalgamare tutti questi elementi, e di comporne un magnifico esercito; n'è ancor tempo; i soldati sbandati già cominciano a ritornare; quando sono partito da Napoli, arrivavano a frotte, ed uffiziali dei bersaglieri li facevano partire per Genova. Si compia quest'opera, e si faccia cessare questa peste dei soldati sbandati. Una volta che questi soldati saranno incorporati nell'esercito, diventeranno altri uomini, poiché io so che i soldati napoletani, i quali trovansi già nel nostro esercito, meno qualche eccezione (e costoro sarebbe meglio che se ne andassero in Austria), fanno buonissima prova. Io sono certo che i soldati napoletani si trasfigureranno interamente, cambiando aria e divisa.

Ora chiamerò l'attenzione dell'onorevole general Fanti sopra un fatto che mi è stato riferito da persone autorevoli venute espressamente a Napoli qualche giorno prima della mia partenza.

Pare che nella provincia di Terra di Lavoro si vendano a vilissimo prezzo fucili bellissimi trovati in Gaeta. Come va questa cosa? Vuolsi che sieno stati trovati 40000 fucili in Gaeta. Or dove sono questi fucili?

Mi è stato assicurato inoltre che, tanto a Napoli, quanto a Palermo, sieno state accettate delle forniture molto svantaggiose per lo Stato, mentre altre se n'erano offerte assai vantaggiose;e come ogni minima economia può essere preziosa in questo momento, io insisto su questo fatto, e prego il signor ministro di verificarlo.

Più, gli raccomanderò caldissimamente i magnifici stabilimenti di Pietrarsa e Torre dell'Annunziata, massime quello di Pietrarsa, ch'è un vero modello e una delle poche bellissime cose fatte da Ferdinando II.

Questi due stabilimenti basterebbero soli ad esimerci dal pagare un tributo per armi all'estero, siccome facciamo in questo momento. Perché far venire dei fucili dal Belgio, dall'Inghilterra, da Saint'Etienne, mentre noi possiam fabbricarne?

Ora mi rivolgerò al signor ministro della marineria militare.

Domanderò all'onorevole presidente del Consiglio se è vero che gli operai del cantiere di Castellammare, in numero di circa 500, sieno stati licenziati.

Domando altresì se sono stati interamente parificati i diritti, gli onori e gli averi fra gli uffiziali della marineria napoletana e quelli dei vecchi Stati...

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Di Cavour C., ministro. Interamente.

Ricciardi. Poi attirerò la sua attenzione sui bagni...

Di Cavour C., ministro. Non ancora; al 1° luglio.

Ricciardi. Allora esprimerò un voto, pregandolo di fare sparire questa vergogna dal nostro suolo, come l'ha fatto la Francia. In Francia non vi sono più bagni...

Di Cavour C. ministro. E Caienna?

Ricciardi. lo non voglio Caienna (Rumori; movimenti diversi) Ci è Lambessa. Voi avete la Sardegna. (Ohohi Segni di disapprovazione su varii banchi; vivi rumori)

Ferbacciu. Oh! oh! È forse luogo d'ergastolo la Sardegna? Io protesto contro la proposizione dell'onorevole Ricciardi. È veramente sconfortante che un italiano venga qui a parlare della Sardegna, come di terra che non fosse d'Italia.

Ricciardi. Mi perdonino, questa è un'idea come un'altra. (Nuovi rumori e nuove proteste).

Salaris, ed altri deputati sardi. Questo non si può tollerare, si chiami all'ordine!

Presidente. Prego i signori deputati di avere tolleranza; faranno dopo le risposte che crederanno.

Ricciardi. Alcuni dei miei onorevoli colleghi non mi hanno capito; io parlava di una colonia penale.

Foci. No! no! Parla\a della Sardegna!

Ricciardi. Ma come? non si può stabilire una colonia penale?

Musolino. Gè ne sono vicino a Parigi

Presidente. Prego il deputato Musolino a non voler interrompere.

Io credo che ogni deputato debba rispettare sé stesso rispettando gli altri e quindi lasciare che ognuno manifesti in forma parlamentare le proprie idee, salvo a combatterle se si crede che queste sieno contrarie alla giustizia ed alla verità.

Il deputato Ricciardi parli.

Ricciardi. Da Napoli poi debbono i bagni tanto più presto sparire, in quanto che sono vere bolgie di Dante, tanto orribili che non si può immaginare.

Passiamo ora ai rimedi, e nello stesso tempo verremo a toccare della quistione morale, ch'è pure gravissima.

Come vi ho già detto, il primo bisogno del paese è la pubblica

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Mi diranno i signori ministri di avere mandato il generale Cosenza per riordinare la guardia nazionale. Sta benissimo; ma questo non basta. Oltre la guardia nazionale, oltre le colonne mobili, che credo sieno state mandate nelle province, bisogna curare il male nella sua fonte. Tutti sanno che la fonte sta in Roma; finché duri quella fucina, avremo reazione nell'ex reame. Capisco bene che non dipende da noi l'andare a Roma, quantunque tutti desideriamo di andarci il più presto possibile; e intanto, se te baionette francesi proteggono il papa ed il re di Napoli, noi dobbiamo protegger noi stessi. E pero Roma cingiamo di un cerchio di ferro, e impediscasi che da Roma vengano armi e briganti nel nostro Regno Questa. secondo me, è la prima misura; poi si cerchi di migliorare la polizia, la quale è proprio fanciulla fra noi.

La polizia fra noi sta in mano della guardia nazionale, cui dobbiamo immense obbligazioni, perché gli stessi carabinieri, quantunque ottima gente, non possono far la polizia in un paese, di cui non capiscono il dialetto, e dove non sono capiti.

Il secondo provvedimento necessario, secondo me, è quello che chiamerò spurgo, quanto agl'impiegati d'ogni maniera. lo non domando destituzioni in massa, come credo abbia interpretato l'onorevole ministro dell'interno nel rispondere all'onorevole Massari; ma vorrei si nominassero delle Giunte composte di probi viri, del fiore dei cittadini, le quali, dopo severa disamina, eliminassero gli uomini notoriamente tristi, notoriamente nemici dell'ordine di cose che noi propugniamo, e surrogassero a questi degli uomini onesti ed amanti di libertà; e fosse altresì interamente tolta ogni idea di consorteria, una delle cose di cui si lagna il paese, poiché si dice che gli uomini i quali appartengono al governo appai tengono tutti ad una consorteria; quanto a me, credo che non ci debba essere che una sola consorteria al mondo, quella degli uomini onesti.

Il terzo rimedio, a mio avviso, è quello di porre un argine all'impiegomania, aprendo nuove carriere, promovendo l'agricoltura, la quale è fanciulla fra noi. e potrebbe dare immensi tesori, provomendo l'industria e il commercio, e soprattutto le strade t'errate, le quali in Francia danno pane e lavoro ad ottantamila persone!

In quarto luogo è cosa indispensabile spegnere la mendicità, eh' è una delle piaghe speciali del mio paese, e specialissima delle

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È noto a tutti che il general Garibaldi con un suo decreto restituì ai comuni il prodotto del dazio di consumo, che produce una somma considerevole. Per conseguenza i comuni, quando sarà estinto interamente il contrabbando, si troveranno più ricchi di prima. Ebbene, queste nuove ricchezze dovrebbero esser rivolte ad estinguere la mendicità. Io non intendo con ciò di obbligare il governo a dar lavoro agli uomini validi; ciò il governo non ha obbligo di fare: ma esso è debitore di vitto, ricovera e vesti a chi non può procacciarsi da vivere colle proprie braccia. Questo è un obbligo sacro, ed io ripeto quel che già dissi altra volta, che un paese in cui v' ha una sola famiglia priva del necessario non merita l'epiteto di civile.

In quinto luogo ci vogliono buoni governatori, ed aggiungerò che per ora non debbono essere né piemontesi, né lombardi, né toscani, ma del paese. Nessuno più di me riconosce i vantaggi della promiscuità degl'impieghi per fare l'Italia, ma nel!' amministrazione questo provvedimento sarebbe fatale. Nell'amministrazione ci vogliono uomini che conoscano le persone e le cose.

-Infatti, vedete che cosa accade a Foggia, vedete quello che scrivono di là, ed io vi posso garentire la verità di quelle delazioni..

Si mandarono Guicciardi e De Rolland. a Cosenza e a Potenza; ma non faranno eglino miglior prova del conte di Bardesono.

La promiscuità è ottima cosa nelle magistrature, ed io invito l'onorevole guardasigilli a mandare a Napoli quanti più magistrati potrà dal Piemonte, dal Parmigiano, dal Modenese e dalla Lombardia. La legge si può applicare benissimo ad Ivrea ed a Brescia, come a Cosenza ed a Catanzaro; ma per l'amministrazione non è lo stesso; il perché io non vedo volentieri i cittadini dell'alta Italia andare a Napoli siccome governatori; oltre di che dovete sapere che a Napoli si sono messi in capo che voi volete piemontizzare il paese, epperò il mandar quivi Piemontesi non fa che aggravare questo pregiudizio, questa torta opinione, e voi dovete fare il possibile per combatterle, finché non andiamo a Roma, rispettate questa povera autonomia napoletana.

Molte voci. No! no! Vogliamo l'unità;

Ricciardi. Io dico la mia opinione.

Veniamo ora all'invio del conte Ponza di San Martino.

Credete voi che se il signor Ponza di San Martino non entra in una via affatto diversa da quella battuta finora, farà miglior prova dell'onorevole Farini...

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San Donato. Non ha avuto il tempo.

Ricciardi... e del signor Nigra? Per quanto buona opinione si possa avere dell'abilità del signor Ponza di San Martino, io non credo ch'ei sia più abile del nostro collega Farini.

Io vi diceva essere necessario che il signor Ponza di San Martino batta una nuova strada, ma questo non basta; bisogna che si circondi di uomini nuovi, e del paese; bisogna che sia accessibile e visibile a tutti;poi bisogna che vada a Napoli con un programma preciso, e non con delle idee indeterminate o preconcette, che sarebbe anche peggio. (Interruzioni).

Io credo di essere buon Italiano quanto tutti voi; ma, per Dio!

Io sono anche Napoletano, e quando sento a dire che noi siamo il popolo meno civile del mondo, vi giuro che mi si rimescola il sangue...

Voci. No! no! Ciò non si dice.

Presidente. Nel Parlamento non furono mai fatti questi rimproveri al popolo napoletano; non so perché ella voglia rispondere a censure che non hanno avuto luogo.

Ricciardi. Finché non si vada a Roma, io credo si debbano rispettare certi pregiudizii, certe suscettibilità. Mi si accerta che in questo momento viene abolito il Consiglio amministrativo, non che la Corte de' conti, e che la Corte di Cassazione sarà ridotta a nove membri; se queste cose son vere, non potranno che fare un pessimo effetto.

Non proporrò alcun ordine del giorno dopo quest'esposizione generale, per la ragion semplicissima, che l'ordine del giorno, ch'io proporrei, voi non lo accettereste; di più mi ricordo che l'ordine del giorno, il quale fu votato l'ultima volta, non ha avuto alcuna esecuzione; credo quindi che in una proposta d'ordine del giorno ci andrebbe della dignità della Camera. Proporrò invece di nuovo ciò che l'onorevole mio amico Ferrari presentò invano

Il 3 aprile, vale a dire un'inchiesta. Quest'inchiesta avrebbe un duplice scopo.

Avrebbe in primo luogo lo scopo di persuadere le popolazioni napoletane che la Camera si occupa di loro, e questo produrreb

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In secondo luogo cinque di noi, eletti a maggioranza di voti, percorrerebbero quelle province; poi, circondando il nuovo luogotenente, gli darebbero un'autorità morale, la quale aver non potrebbe altrimenti. Finché non si circondi d'uomini autorevoli del paese, egli farà un solenne fiasco.

Propongo adunque che la Camera nomini cinque fra noi. Dico cinque, anziché nove o dodici, perché siamo già così pochi, che non bisogna assottigliar troppo le nostre file.

Se voi avete decretato un'inchiesta nel 1857 pel brogli elettorali, credo che in questa circostanza, le mille volte più grave, potreste benissimo nominare una commissione d'inchiesta, e contentare quelle province. Ma vi par picciola cosa un paese di 7 milioni? Volete voi mettere in pericolo l'amore di questi 7 milioni per la causa italiana?

Quando io vi ho detto che questo amore trovasi compromesso, voi avete gridato contro di me, eppur non ho l'atto che il mio. dovere di dirvi la verità; voi farete quello che io dico, se non volete che un popolo di sette milioni rimpianga quasi i Borboni e maledica la libertà!

(Rumori, richiami e proteste da tutte le parti della Camera).

Dopo un discorso del Ministro dell'Interno Minghetti, alcune parole del Presidente della Camera, e del Deputato San Donato, così replicava il Deputato

Ricciardi, lo domando pure la parola contro la chiusura, perché bisogna che risponda all'onorevole presidente, il quale disse che là Camera avendo già rigettato una volta l'inchiesta, deve rigettarla anche adesso.

lo credo aver dimostrato che la situazione è al tutto diversa da quella dell'altra volta, e che quello che era inopportuno un mese e mezzo fa, è adesso opportuno; ecco perché domando si continui la discussione.

Presidente. Metto ai voti la chiusura della discussione.

(La discussione è chiusa.)

Metterò dunque ai voti l'ordine del giorno puro e semplice proposto dal deputato Massari.

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Di San Donato. Proporrei un ordine del giorno, che credo possa essere accettato dal Ministero dopo quanto ha proclamato. Esso sarebbe concepito cosi:

«La Camera, prendendo atto delle dichiarazioni del Ministero,. passa all'ordine del giorno».

Presidente. Il deputato Massari aderisce a questo ordine del giorno?

Massari Aderisco.

Presidente. Lo pongo ai voti.

(La Camera approva).

Tornata dei 21 maggio

Presidente. Il deputato Ricciardi ha facoltà di parlare sul processo verbale.

Ricciardi. Trovo la seguente lacuna nel processo verbale.

L'onorevole presidente disse ieri al nostro collega Ferrari, ohe insistea sull'inchiesta, essere questa stata già rigettata dalla Camera il di 4 aprile; ma io feci riflettere che ciò che parere potea inopportuno un mese e mezzo fa, poteva essere opportunissimo oggi, le circostanze essendo mutate ed i mali da curare cresciuti. Il perché insistetti contro la chiusura; e, se la discussione fosse continuata, avrei con nuove ragioni dimostrato l'utilità, la necessita dell'inchiesta.

Presidente. Prego i signori deputati a volere recarsi al loro posto, ed a fare silenzio.

Ricciardi. Colgo poi questa occasione per distruggere la cattiva impressione che ha potuto produrre quello che io dissi della Sardegna. Due onorevoli nostri colleghi di quella provincia hanno creduto forse che io avessi voluto far, e della Sardegna una seconda Botany-Bay. Io ho parlato della Sardegna, perché è il paese che mi è venuto primo al pensiero; volli dire che si potrebbe stabilire in qualunque punto del territorio italiano una colonia penale simile a quella di Lambessa.

In Sardegna havvi già uno stabilimento di tal genere, detto di San Bartolommeo; io non vedo quindi il perché di questa straordinaria suscettibilità.

Di più l'onorevole Bixio mi diede sulla voce, quando io parlai del governatore di Molise, quasichè io avessi voluto diffamarla, anziché sindacare le opere sue.

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Noi siamo qui appunto per far la giusta critica del governo; ed io credo che i signori governatori non sieno inviolabili, come non sono inviolabili i signori ministri. Io non conosco nel Regno che una sola persona inviolabile, ed è la persona del Re.

Presidente. Sarà tenuto conto nel processo verbale di queste sue dichiarazioni.

Tornata del 25 maggio

Sull'esposizione d'industria e belle arti da dovere aver luogo in Firenze.

Ricciardi; L'onorevole Varese ha detto 'in gran parte quello che io voleva dire, solo egli ha annerito un quadro già molto nero, e sul quale non bisogna più ritornare; quindi sarò brevissimo.

Io son d'avviso che tutte le spese, le quali non sieno assolutamente indispensabili a far camminare la macchina dello Statti ed. a sovvenire in ispecie ai bisogni della guerra e della marineria militare, od alla costruzione delle strade ferrate, debbansi in questo momento riputar quasi colpevoli; quindi, non solamente io non vorrei dare le lire 650,000 che si domandano, ma, se potessi, ridomanderei le lire 150,000 che si son già votate, (Si ride) perché io penso, o signori, che con 700,000 lire si può mantenere, durante un anno, un battaglione di bersaglieri, si può avere un piroscafo, si possono costruire due miglia di strada l'errata; tutte cose da cui la nazione ricaverebbe assai maggior benefizio di quello che possa ripromettersi da una esposizione nel mese-di settembre di quest'anno.

Io-credo, in coscienza, che l'Italia farebbe una trista figura in faccia all'Europa, e, ad onta di tutta la mia riverenza, di tutta la mia simpatia affettuosa per la cara Firenze, io non so concepire una prima esposizione generale italiana che a Roma. (Movimento) Vadasi adunque a Roma, si liberi la Venezia, ed io voterò, non una sola esposizione all'anno, ma due (Risa)

Il solo capo, sul quale io mi trovi d'accordo co' miei onorevoli contraddittori, è questo. Essi dicono: sarebbe di grande utilità questa esposizione fiorentina, perché porgerebbe occasione a gran numero d'Italiani di conoscersi e dì affratellarsi viemeglio. Ma signori, ci sono dei modi molto migliori, molto più facili, molto più convenienti per raggiungere questo bel fine.


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Per esempio, perché non continuare quello eh' è stato fatto ultimamente, vale a dire quello ch'io chiamerò la contradanza dei battaglioni di guardia nazionale?

Questa contradanza è riuscita oltre ogni dire proficua. Tutti sanno l'ottimo effetto prodotto a Napoli dall'arrivo dei battaglioni torinesi, bresciani e milanesi; tutti sanno l'ottimo effetto prodotto a Torino e a Milano dall'arrivo del battaglione di Napoli. Ecco uno dei bellissimi mezzi pei quali 1'. italiana gioventù si affratelli.

Ve ne proporrò ora un altro, desunto dall'esempio del popolo più anticamente libero che annoveri Europa, del popolo svizzero. In Isvizzera, ogni anno, nella bella stagione, si riunisce in un campo di manovre tutta la gioventù, durante sei settimane; ogni anno e' è il tiro federale. Ecco un bel modo di affratellare i no. siri giovani. Voi avete votato recentemente una legge sul tiro al bersaglio; ebbene, stabilite una festa' annuale del tiro al bersaglio d'Italia.

Per queste ragioni tutte io voto contro la legge, e conforto il Ministero a presentare una legge, la quale statuisca che con queste lire 700 mila si fondi una festa annuale militare, nella quale convengano i giovani tutti di una certa categoria. Finchè non sia libera al tutto, l'Italia debb'essere un campo!

Tornata dei 29 maggio.

Sur un ordine del giorno proposto dal Deputato Pisanelli in favore degli uffiziali napoletani.

Presidente Il deputato Ricciardi ha facoltà di parlare.

Ricciardi. Dirò due parole per appoggiare l'ordine del giorno proposto dall'onorevole Pisanelli, ed aggiungerò qualche circostanza, da lui dimenticata, a favore dei volontarii napoletani del 1848 e 1849.

La petizione, di cui si è fatto parola poc'anzi, è firmata da sessanta individui, i quali non solamente soffrirono il carcere, ma alcuni di essi furono anche sottoposti alle legnate, e qualcuno è mutilato dalle ferite.

Aggiungerò una circostanza. delle più commoventi.

Ad onta di tutti gli strazii patiti lungamente nelle prigioni e nelle galere dei Borboni, alcuni fra questi valorosi giunsero a nascondere a pezzettini la bandiera italiana, da essi conservata gelosamente. Giunto il Re a Napoli, il 15 novembre gli presentarono questa bandiera,

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vale a dire i pezzettini di essa ricuciti, ed il Re ne cinse il proprio braccio, e diede loro parole di conforto e promesse.

Ripeterò poi quello eh' è già stato detto dall'onorevole Pica, cioè che nulla finora è stato fatto per essi; per conseguenza io conforto l'onorevole ministro a provvedere, e al più presto.

Tornata dei 31 maggio

Ricciardi. Vorrei domandare al signor ministro dell'istruzione pubblica se sia vero essere stata sciolta in Napoli l'accademia delle scienze. Questo fatto sarebbe gravissimo, poiché le attribuzioni del governo di Napoli sono state ristrette in modo considerevole, e inoltre si potrebbe ciò appena tollerare quando fosse l'atto per legge. Trattasi infatti di una delle accademie più illustri, se non d'Europa, d'Italia.

Mi valgo poi di quest'occasione per depor nelle mani del signor ministro dell'interno un proclama recentissimo di Francesco II, il quale circola liberamente in Napoli alla barba dei carabinieri. (Si ride)

De Sanctis, ministro per l'istruzione pubblica. Non posso ancora dare una risposta precisa sul fatto indicato dall'onorevole Ricciardi. Sarei disposto a rispondere alla sua interpellanza un altro giorno, qualora la Camera volesse fissarlo.

Presidente. Possiamo metterla all'ordine del giorno dopo esauriti i progetti che sono in corso.

Minghetti, ministro per l'interno. Dirò due parole in risposta all'onorevole Ricciardi, e anzitutto lo accerto che perfettamente conosceva il proclama del quale mi ha fatto la spedizione.

Il fatto sta in questi termini: questo proclama fu trovato affisso una mattina, all'alba, in alcuni punti della città di Napoli, ma la popolazione stessa lo ha strappato; ciò che le fa molto onore. E questo è tutto. (Bene!)

Tornata dei 10 giugno.

Ricciardi. Chiedo di parlare. Presidente. Parli.

Ricciardi. Ricorderò all'onorevole ministro dell'istruzione pub Mica essermi debitore di una risposta sul fatto dell'accademia reale di Napoli, e nello stesso tempo aggiungerò alcun ragguaglia intorno alla cosa, a vie meglio chiarire la Camera.

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Il decreto, col quale fu sciolta l'accademia di Napoli, porta la data del 30 aprile, ma non fu pubblicato che nel giornale ufficiale di Napoli dei 31 maggio, vale a dire 31 giorno dopo! Un secondo decreto, colla stessa data, era pubblicato nel foglio del 1 giugno, decreto con cui si riordina l'accademia, la quale di videsi in tre sezioni, composte in totalità di 74 socii

De Sanctis, ministro per l'istruzione pubblica. Se l'onorevole deputato Ricciardi mi permette d'interromperlo, acciocchè possa utilmente succedere una discussione, io gli dirò che ho già fatto chiedere una relazione particolareggiata su questo fatto, e che ieri per dispaccio mi fu comunicato che sta venendo per posta corrente. Cosi fra due o tre giorni sarò nel caso di dare le più ampie spiegazioni.

Ricciardi. Mi riserbo adunque dì prendere la parola di nuovo, allorché la relazione annunziata sarà giunta, trattando in ispecie la quistione dal lato costituzionale!

Presidente. Tratterà allora tutte le quistioni che stimerà.

Tornata dei 14 giugno

Sui Commissarii di leva

Ricciardi. Il mio onorevole amico Pace avendo detto presso a poco tutto quello che io intendeva di esporre, dovrei tacermi, ma desidero spiegar brevemente il mio voto di rigetto della legge, colla quale mi sembra si tenda implicitamente ad introdurre i commissarii di leva nelle province napoletane.

lo non posso, siccome deputato di quelle province, accettare questo sistema, poiché il sistema adottato colà è di gran lunga migliore di quello in vigore in Piemonte; migliore, perché più paterno, migliore, perché economico; e però non vedo il perché si debbano pagare questi commissarii di leva, mentre finora da noi la leva è stata l'atta colla massima facilità, e senza verun dispendio. E, nel rigettare la legge, esprimerò il voto che il governo presenti un nuovo progetto di legge per tutta l'Italia, fondato, non già sul sistema dei commissarii di leva, bensì sul sistema della leva per cura dei municipii, siccome si pratica nelle province napoletane.

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Tornata dei 15 giugno

Sulla legge relativa a coloro che furono costretti a vendite fittizie per causa politica.

RICCIARDI. Trovandomi nel caso contemplato dalla legge e però non potendo essere giudice e parte ad un tempo, dichiara creder mia debito astenermi dal discutere e dal votare questo progetto.

Tornata dei 15 giugno

Svolgimento del progetto di legge sul Danaro d'Italia.

Presidente. L'ordine del giorno reca lo svolgimento della proposta di legge del deputato Ricciardi, intitolata: Danaro d'Italia.

Si darà lettura del disegno di legge:

Art.1. Una sottoscrizione nazionale, col titolo di Danaro d'Italia, sarà aperta, dal giorno della promulgazione della presente legge, in tutti i comuni del regno, coll'unico scopo di aiutare il governo nel compimento dell'impresa italiana.

Art.2. I nomi dei sottoscrittori saranno registrati nella Gazzetta ufficiale del Regno.

Art.3. Alla fine di ciascun mese il Danaro d'Italia raccolto nella cassa d'ogni comune, sotto la responsabilità dei magistrati municipali, sarà versato in quella della ricevitoria generale della provincia.

Art.4 Metà delle somme raccolte sarà posta a esclusiva disposizione dei Ministeri di guerra e marineria militare, coll'incarico espresso:

«1. Di ordinare una legione sacra di tremila giovani scelti, da intitolarsi dal general Garibaldi;

«2. Di far costruire in cantiere italiano un vascello di prima classe, che sarà battezzato col nome di Regno d'Italia.

Art-.5. Coll'altra metà sarà costituita una cassa o tontina a benefizio di quanti furono o saranno feriti nelle patrie battaglie e delle famiglie dei morti in guerra; cassa o tontina, il cui regolamento sarà compilato per cura della potestà esecutrice.

«Art.6. La sottoscrizione del Danaro d'Italia non sarà chiusa che un anno dopo la liberazione ed unificazione intera dell'italiana Penisola.

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Presidente. Ha facoltà di parlare il deputato Ricciardi per lo svolgimento della sua proposta.

Riguardi. Suum cuique. Non mia è la nobile idea, sopra cui poggia il mio schema, bensì d'un mio antico fratello d'esilio, Alessandro Soffietti, Italiano di Piemonte; ma io l'afferrai con amore, e la vi porgo al presente a guisa di corollario allo schema di legge sull'armamento nazionale presentatovi dal general Garibaldi. Né voi rigettarlo potreste, dopo aver preso in considerazione quello dell'eroe di Marsala.

Se il general Garibaldi desidera che la parte più viva e più vigorosa della nazione venga ordinata per guisa, da sorgere in armi al primo suono di guerra, io desidero che Italia tutta concorra: 1° ad accrescer le forze che debbono farci vincenti nella gran lotta suprema, cui dovrem sostener presto o tardi; 2° a provvedere ai feriti ed alle famiglie dei morti in battaglia.

Finora molto parlossi in questo ricinto d'andare a Roma e di liberar la Venezia, ma nessun atto, solenne ha tenuto poi dietro ai nostri discorsi, da molti chiamati accademici, e agli ordini del giorno da noi votati, che alcuni dissero arcadici.

Or ben capirete, o signori, che, per raggiungere i due altissimi intenti, che raggiunger dobbiamo a ogni patto, per fare, in una parola, che Italia esista, non solo in potenza, ma in atto, ben altro vuolsi, che voci vane, e chiaro debb'esservi che gli argomenti proposti dal general Garibaldi e da me sono assai più sbrigativi, assai più efficaci, avvegnacchè il general Garibaldi vi dice: «Se vogliamo che Italia sia veramente, fare dobbiamo degl'Italiani un popolo di soldati.» Ed io aggiungo, a modo di commentario: Coloro tutti fra gl'Italiani, che non sono in grado di maneggiare le armi, dieno l'obolo loro all'Italia, e provvedano, almeno in parte, alle spese della sacra tenzone, ma soprattutto ai gloriosi feriti, ai magnanimi mutilati delle patrie battaglie, ed alle famiglie di chi la vita spendeva o spenderà per la patria, opponendo insieme al danaro ignobile di San Pietro, che in Roma una mostruosa tirannide e la guerra fraterna alimenta nelle province napoletane, il generoso Danaro d'Italia* Al quale dovremo forse una nuova falange d'eroi, non dissimile al certo da quella che combatteva a Como e a San Fermo, a Calatafimi e a Palermo, mentre un vascello italiano, veleggiando lunghesso le coste degli altri popoli, affermerà ai costoro governi l'esistenza del Regno d'Italia, il vogliano o no riconoscere!

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E che altro, o signori, aggiunger potrei a sostegno del mio concetto? Il quale io credo si raccomandi da sè, e guai alla causa nostra, se molte parole mi fossero d'uopo a farvene chiara l'altezza! Il perché spenderò solo alcun motto in combattere alcune obiezioni fattemi a questi giorni.

Perché, mi disser taluni, tentare per via d'una legge, e coll'intervento dell'autorità governativa, quello che si può fare dai cittadini? Per dare, io risposi, importanza e solennità di gran lunga maggiori ad un grandetto patriottico, ad una sottoscrizione nazionale, alla quale concorrer vedrassi l'universale, qualor la si faccia sotto gli auspicii del Parlamento e colla garanzia del governo, dove non pochi asterrebbonsi dal parteciparvi, se l'iniziativa presa venisse da singoli cittadini, i quali poi a grandissimo stento, anzi in modo nessuno, aprire potrebber registri in ogni comune del Regno, né fare, senza considerevoli spese, ciò che i magistrati municipali e gli uffiziali della finanza farebbero colla maggiore facilità e senza lo sperpero d'un sol obolo. Ma qual somma, dirammisi forse da alcuno, speri tu ricavare dalla sottoscrizione in discorso? E pessimo effetto non produrrebbe egli forse nel mondo il vedersi male rispondere dagl'Italiani all'invito fatto loro dal Parlamento? Alla quale obiezione risponderò: impossibile riuscire che Italia mal corrisponda all'invito del suo Parlamento in ora sì grave e solenne, qual'è la presente, mas sime dopo avere si bene risposto a tant'altri inviti di foggia. non troppo diversa, da quello dei cento cannoni di Alessandria (che furono poi centodieci), a quello pel milione di fucili richiesto dal general Garibaldi. La quale ultima sottoscrizione produsse, siccome è noto, la somma di circa due milioni di lire, quantunque poca parte d'Italia partecipar vi potesse un po' largamente, anzi i maggiori danari raccolti venissero in Lombardia. Sarebbe, a parer mio, un insultar la nazione il pur dubitare che il Danaro d'Italia potesse riuscire più scarso di quello spedito a Roma, chè allora dire dovremmo, la giustizia, la verità, la ragione sottostare fra noi alla superstizione, e l'amore di libertà all'amore bestiale del dispotismo!

Ma, per nostra ventura, ma per onor dell'Italia, altrimenti procedon le cose fra noi, e da nessuno s'ignora le somme spedite a Roma l'anno scorso a pagare i mercenarii, che i nostri soldati doveano sgozzare a Castelfidardo e ad Ancona, e furono invece fugati al primo balenare dell'armi nostre, essere state raccolte fuori d'Italia, la quale,

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in ben altro modo che alla voce del papa, risponderà a quella del Parlamento, io n'ho ferma fede, e non mai tanta pecunia sarà stata adunata per fine più nobile santo.

E qui mi sia lecito entrare alquanto nel campo dell'aritmetica a fine di provarvi, anche dal lato economico, l'importanza, falla utilità del mio schema.

È noto la popolazione del nuovo regno essere di 21728452 individui, il numero dei circondarii di 193, quello dei mandamenti di 1797, e quello dei comuni di 7706. Or, valutando a due terzi il numero degli adulti, cioè a più di quattordici milioni, e riducendo la media delle offerte a una lira per ogni persona, nel corso di un anno, avremmo oltre i quattordici milioni di lire. Ne avremmo 15,970,000, ove ciascun mandamento non desse al di la-di lire 10,000, e lire 19,300,000, ove ogni circondario fornisse la somma di lire 100,000, la quale non sembrerà strania chi si ricordi città più o meno considerevoli annoverarsi in ogni circondario, dall'immensa Napoli, popolata da 500000 anime, alla picciola Fano, che ne annovera 9000, la quale, in proporzione, partecipava più delle più popolose della Penisola alla sottoscrizione promossa dal general Garibaldi. Ma pur riducendo i nostri calcoli alla più umile cifra, e restringendo le nostre speranze alla media di mille lire per ogni comune, e noi avremmo sette milioni, settecento e sei mila lire, somma non ispregevole al certo, con metà della quale sovvenire potremmo a non poche sventure, ed asciugar molte lacrime.

Mi fa egli poi d'uopo, o signori, il dimostrarvi i benefici effetti, anzi la santità della cassa da me proposta, o, per dir meglio, tontina, denominata cosi dall'illustre Italiano, per nome Tonti, inventore dell'istituzione in discorso, la quale per la prima volta applicata sarebbe fra noi al nobilissimo scopo, cui mirasì dal mio schema? Ogni giovane, il quale pigliasse le armi a pro della patria, certo sarebbe oramai di veder provveduto ai proprii bisogni, se per gloriose ferite inabile divenisse al lavoro, ed ogni famiglia di militi, nel tremar pe' suoi cari, saprebbe almeno che all'immenso dolore del perderli non si aggiungerebbe per lei quello della miseria!

Sì fatte, o signori, sono le principali ragioni che militano a pro del mio schema di legge; ma un' altra assai grave mi. sprono a presentacelo, cioè quella di porgervi l'occasione di manifestare di nuovo, e solennemente, e molto più efficacemente di quello che avete fatto finora, la vostra ferma risoluzione di andare a Roma e di liberar la Venezia.

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La quale ultima impresa segnatamente condur non potremo se non colle armi, con questo, per altro, che solo allora dovrem porvi mano, che tanto forti saremo, da essere certi di schiacciare affatto la nostra mortale inimica. - Su, dunque, onorevoli colleghi, accettate per acclamazione il mio schema, anche per dimostrare che l'iniziativa parlamentare non è mera illusione, né soli voi, ma si bene i ministri, i quali, coll'accettarlo, ci proveranno la sincerità del desiderio loro di fare davvero l'Italia.

Ai discorsi del La Farina e del Michelini così replicava il Deputato

Ricciardi. Non posso fare a meno di protestare contro l'imputazione di mancanza di dignità, che mi fu mossa dagli onorevoli preopinanti.

lo credo che nessuno in questo ricinto sia tanto tenero della dignità del Parlamento, quanto io. Io sono profondamente convinto che la dignità del Parlamento non sarebbe lesa in nulla dall'attuazione della mia proposta.

Io non dico che il Parlamento inviti la nazione italiana a contribuire a questa sottoscrizione; io dico che il Parlamento autorizzi questa sottoscrizione, la collochi in certo modo sotto i suoi auspicii, e ispiri fiducia cosi a coloro i quali vogliano parteciparvi'.

lo chiedo, oltre a ciò, la garanzia del governo, perché. moltissimi, i quali nulla darebbero, se la sottoscrizione non fosse sotto gli auspicii della Camera e del governo, molto daranno invece, quando queste due condizioni si saranno verificate; dimodochè la quistione di dignità del Parlamento credo si debba porre interamente da banda.

Passo ora alla modicità delle mie speranze, cui alludeva l'onorevole La Farina, lo mi attenni alle cifre più basse, notando che, anche nel caso in cui la sottoscrizione in discorso non producesse molto, produrrebbe abbastanza da poter adempire a quanto viene indicato nel progetto di legge.

Oltre a ciò il Parlamento troverebbe occasione di fare una gran manifestazione in favore dell'andata a Roma e della liberazione della Venezia, e porrebbe in mora il governo di rinnovare le dichiarazioni fatte a tale proposito.

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Tornata dei 18 giugno.

Intorno a una petizione di varii Comuni di Capitanata sul trasferimento dei Tribunali da Lucera a Foggia.

Ricciardi. Essendo io deputato di Foggia, la Camera mi permetterà di aggiungere qualche parola su questa petizione.

Essa si raccomanda all'attenzione vostra per quattro titoli: primo, siccome disse l'onorevole relatore, perché si trova appoggiata da 38 delle principali comunità di Capitanata, alle quali ultimamente sonosene aggiunte tre altre, cosicchè vi sono 41 comuni che la propugnano.

In secondo luogo Foggia è una città centrale, assai importante per la sua popolazione di 30 mila abitanti, mentre Lucera ne ha appena 12 mila.

In terzo luogo vi dirò che la legge organica è affatto in favore di Foggia; non vi sono nell'ex-reame di Napoli se non tre eccezioni a questa legge, cioè Trani, Santa Maria e Lucera; nelle tre province di Bari Terra, di Terra di Lavoro e di Capitanatala residenza dell'autorità giudiziaria non è la stessa di quella del governatore, il che è causa di varii gravi inconvenienti per le popolazioni.

Infine, restituendo i tribunali al capoluogo amministrativo di queste province, si farebbe un risparmio annuo di lire 200 mila, il che certamente non è da disprezzarsi.

Per tutte queste ragioni, io appoggio le conclusioni della Commissione pel rinvio della petizione agli archivii della Camera.

Tornata dei 20 giugno.

Intorno allo scioglimento dell'accademia di Napoli.

Presidente. È all'ordine del giorno la domanda di schiarimenti circa lo scioglimento dell'accademia delle scienze di Napoli, del deputato Ricciardi.

Il deputato Ricciardi ha facoltà di parlare.

Ricciardi. Comincerò dal dichiarare non aver mai appartenuto a veruna accademia, per la ragion semplicissima che ho sempre abborrito, per natura, da qualsiasi dipendenza, da qualsiasi consorteria, talchè qui stesso fo parte da me. Se difendo le accademie, le difendo: 1 perché sono società libere e democratiche, le quali scelgono nel loro seno i loro capi e nominano a maggioranza di voti i nuovi socii;

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2 perché pur nei tempi del dispotismo mantennero sempre viva in Italia la fiaccola del sapere, di quel sapere che consolò alquanto la nostra misera patria nei suoi più gravi dolori; 3 perché le scienze, le lettere, le arti belle, poggiano in cosi alte regioni, che nessun governo deve toccarle.

Venendo ora all'accademia di Napoli, dirò circondarsi ella di un lustro speciale. Fondata nel 1756, dietro i conforti del famoso ministro Tanucci, da Carlo III, unico fra i Borboni che Napoli e Sicilia non maledicessero, venne ampliata nel 1780, quando all'accademia ercolanese si aggiunse l'accademia delle scienze, e, nel 1807, coll'aggiunzione dell'accademia di belle arti.

Nel 1815 i Borboni rispettarono quest'accademia: e notate che in essa si annoveravano molti fra i nemici accaniti di casa Borbone. Citerò, fra gli altri, due ministri di re Gioacchino, vale a dire il conte Zurlo e mio padre, il quale ultimo poi presedette durante molti anni l'accademia in discorso. Si annoverava fra i sodi di questa accademia, indovinate chi? Un regicida francese, Cavaignac, padre di Eugenio e Goffredo, e il suo nome non venne cancellato dall'albo degli accademici!

È noto aver questa annoverato uomini insigni, fra i quali basterebbe citare Macedonie Melloni. Quanto ai socii corrispondenti, annoverava il celebre autore del

Cosmos, l'immortale Humboldt. Ora, ad onta de' suoi meriti, un giorno usci in Napoli un decreto luogotenenziale, il quale sciogliea l'accademia; e un secondo decreto, pubblicato trenta giorni dopo, la riordinava, sostituendo alla libera scelta dei socii il principio della nomina per parte del governo.

Ma veniamo al perché di questo strano provvedimento.

Si dice che quest'accademia era degenerata, che racchiudeva alcuni retrogradi, che bisognava assolutamente eliminare. Ma, signori, se dovessimo procedere con questo principio, bisognerebbe sciogliere quasi tutte le accademie, non che d'Italia, di Europa, cominciando da quella di Francia, che annovera uomini molto più teneri del passato, che della libertà, uomini di cui non occorre citare i nomi: pure quest'accademia fu rispettata nel 1814 e nel 1815 da Luigi XVIII, quantunque s'annoverassero in essa alcuni regicidi; e fu pur rispettata da Napoleone III. Or ciò che non osarono fare i Borboni e Napoleone, si è fatto con due decreti a Napoli.

Si aggiunga che coll'art.4 del secondo decreto s'impone all'accademia reale di vendere i beni stabili e di convertirli in rendita iscritta.


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Ora io domando se una simile prescrizione sia costituzionale o semplicemente legale. Chi può dire a me, che ho un podere, di venderlo e convenirlo in rendita iscritta? (Movimenti diversi) Questo non si potrebbe fare che per causa di utilità pubblica, ed allora ci vuole una legge, allora deve intervenire il Parlamento.

Fa d'uopo ancora sapere che, nel 1851, Ferdinando II, per decreto reale, introdusse nell'accademia delle scienze tre membri, che naturalmente erano suoi partigiani. Ma, nel momento stesso in cui commetteva quell'atto, egli riconosceva di fare cosa contraria agli statuti dell'accademia, e diceva per una volta tanto.

Ora l'autore del decreto avrebbe potuto benissimo, per vizio d'origine, mettere fuori dell'accademia questi tre partigiani del passato governo.

Ad ogni modo in credo che questi due decreti sieno altamente ed essenzialmente incostituzionali, epperò si debbano annullare.

Ma questo non basta

(Movimento); bisognerebbe che il governo centrale determinasse con precisione le attribuzioni della luogotenenza di Napoli, affinché sconci simili a quelli di cui ora ci lagniamo non si rinnovassero per l'avvenire.

A Napoli si domanda: ma a chi dobbiamo obbedire? A chi sottostiamo? Sottostiamo al governo locale, oppure dobbiamo dipendere da quello di Torino? Bisogna assolutamente che cotesta quistione sia definita.

Io spero che la Camera si accorderà meco nell'ordine del giorno, che avrò l'onore di sottoporle quando avrò finito il mio dire se non altro per infrenare l'innovomania onde sembrami invaso il governo; innovomania che, lo confesso, mi farebbe quasi quasi rinunziare al mio istinto rivoluzionario e diventare conservatore (Si ride) siccome, allorché vedo che si vuole unificare l'Italia a vapore e a casaccio, starei li li per diventare federalista, quale il mio onorevole amico Ferrari. (Ilarità)

Signori, rispettiamo le antiche istituzioni dei nostri municipii; rispettiamo le glorie municipali, le quali sono gran parte delle glorie italiane. Non v'è una città in Italia, la quale non abbia una qualche antica, una qualche bella istituzione. Ora queste istituzioni son sacre. Quello che fa il maggior pregio d'Italia o questo: non esserci una città, per picciola che sia, non una bicocca, la quale non abbia qualche gloria speciale, Ebbene, queste glorie speciali debbono essere rispettate.....

Qui debbo riparare un oblio. Non posso passare sotto silenzio un fatto assai grave.

Avevamo in Napoli una scuola militare delle più famose d'Europa,

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fondata fino ad un certo punto in sulle basi della scuola politecnica di Parigi, l'accademia. militare detta

della Nunziatella.

Presidente. Pregherei l'onorevole deputato di non prendere a trattare altri argomenti, perché sa che abbiamo molte e urgenti materie da discutere.

S'egli entra nell'argomento che ha annunziato, sarà necessario far chiamare il ministro della guerra per avere delle spiegazioni.

Lo pregherei quindi di circoscriversi a quello che forma l'oggetto dell'interpellanza.

Ricciardi., Parlavo del fatto dell'accademia militare di Napoli, aiutata in semplice collegio, a dimostrare viemeglio la necessità di ben diffinire le attribuzioni del governo di Napoli, affinché non sieno abolite le istituzioni più gloriose di quel paese.

Certo. si è che l'effetto del mutamento della Nunziatella m collegio militare è stato pessimo...

Finirò con due sole parole, confortando i signori ministri a volere, in questi momenti gravissimi in cui la concordia degli animi è così necessaria, evitare in ogni parte d'Italia, ma segnatamente nelle province meridionali, tutto che possa disgustare e alienare, e operare invece tutto che possa conciliare ed unire.

Ecco ora l'ordine del giorno che sottopongo alla Camera:

«La Camera invita il Ministero ad annullare i due decreti della luogotenenza di Napoli, in data dei 30 aprile, relativi alla Società reale, e passa all'ordine del giorno.»

Al discorso del Desanctis così replicava il deputato

Ricciardi. Risponderò brevemente al signor ministro.

In primo luogo egli parlava della data del 30 aprile; io non ho voluto che enunciare il fatto, non me ne sono servito come di argomento per dimostrare l'illegalità del provvedimento; ho ben altri argomenti da far valere.,

Farò riflettere al signor ministro che quando egli parla delle -violazioni frequenti dello statuto, operate, prima dal governo di re Giuseppe, poi dai Borboni, egli dimentica un fatto inportantissimo, vale a dire che i governi del re francese e dei Borboni cumulavano il potere legislativo ed il potere esecutivo; ora il governo costituzionale di re Vittorio Emanuele non può né dee fare ciò che facevano governi dispotici. (Bene!)

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Quanto ai motivi della dissoluzione dell'accademia, l'onorevole ministro ha detto, il decreto della luogotenenza non far motto di quelli da me' accennati; ma tutti li conoscono in Napoli, ed io pel primo convengo tristi elementi racchiudere l'accademia, e doversi però riformare, ma riformare per legge e non per decreto.

Tutta la quistione sta in questo, che al governo di Napoli non era lecito abolire la regia accademia e fondarne una nuova.

Quanto a coloro fra gli accademici i quali ricusarono il giuramento, io dico che, per questo fatto stesso di aver ricusato di prestar giuramento, potevano dichiararsi dimissionarii, siccome è accaduto ad un individuo che porta il mio nome, e lo porta onoratamente, il quale, perché borboniano, non ha voluto prestar giuramento, ed ha perduto un uffizio che gli fruttava 4000 ducati all'anno!

Ad altre parole del Desanctis così replicava il Deputato

Ricciardi. Non creda la Camera che io voglia stancarla trattenendola a lungo in questa quistione; debbo dichiarar solamente essere persuaso che il mio liberalismo non sia inferiore a quello di nessuno.

Per chiudere le mie parole, ripeto che tutta la quistione sta in questo: indagare se il governo luogotenenziale di Napoli avesse o no facoltà di far ciò che ha fatto. lo credo che no. Del resto la Camera, costituita in certo modo in giuri, valuterà le mie ragioni e quelle de! signor ministro, e risolverà.

Dopo altre parole di altri Deputati, così il Deputato

Ricciardi. Rinunzio alla parola, rimettendomi alla giustizia ed al buon senso della Camera, la quale non permetterà certo che il principio costituzionale sia apertamente violato.

Tornata dei 24 giugno.

Sulla legge di armamento proposta dal General Garibaldi.

Presidente. Il deputato Ricciardi ha facoltà di parlare sull'articolo 25.

Voci. Ai voti! ai voti!

Ricciardi. Sono dolente di dover dissentire dall'onorevole Crispi.

Nell'articolo 25 si parla di trenta milioni; ebbene, io sarei disposto a darne anche 40; ma questo non per fede che io mi abbia nel Ministero,

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non perché non veda che la legge è imperfettissima, non perché non creda che il concetto primitivo del general Garibaldi sia stato impicciolito, adulterato, ma perché questa legge da all'Italia 220 battaglioni, ma perché questa legge addestra alle armi e prepara alla guerra 132090 Italiani! (Rumori e voci: Non si può! Non si può motivare il voto!)

lo quindi deporrò una palla bianca nell'urna, siccome farò ogniqualvolta si tratti di leggi, le quali possano contribuire minimamente a rendere una e forte l'Italia!

Tornata dei 25 giugno.

Sulla stazione della ferrovia di Torino.

Ricciardi. Non posso fare a meno di manifestare l'immensa mia meraviglia nel vedere che siasi potuto pur pensare a chiedere in questi momenti 2,700,000 lire per una spesa, utile al certo, ma non indispensabile, in un momento di penuria dolorosa pel pubblico erario, in un momento in cui tutti parlano della necessità della più rigida economia, in un momento in cui il tesoro di Napoli in ispecie è in tali strettezze, che appena è dato sovvenire alle spese più urgenti....

La Farina. Chiedo di parlare.

Ricciardi. Al quale proposito debbo far noto alla Camera un fatto importante.

È noto il general Garibaldi aver decretato il pagamento della somma di sei milioni di ducati sui beni di casa reale, decreto che fu lasciato cadere in disuso. Il principe di Carignano, ad attenuare il pessimo effetto prodotto da questo fatto, emanò un secondo decreto, in virtù del quale fu assegnato un milione di ducati. da essere ripartito fra le vittime politiche di questi ultimi tempi. Ora, il credereste? Questo decreto non ha potuto aver quasi alcuna esecuzione per mancanza di pecunia! Ed è in questo momento, o signori, che si viene a proporre un disegno di legge per la stazione di Torino?

Quanto a me, sono risoluto a non votare veruna spesa, che non sia assolutamente indispensabile a far camminare la macchina dello Stato, e segnatamente a provvedere alle armi e alle ferrovie.

La Farina. Chiedo di parlare.

Ricciardi. Quando avremo fatto l'Italia, quando la penuria del tesoro pubblico sarà cessata, allora penseremo a dotare la no

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Dopo i discorsi di La Farina e De Blasiis, così il Deputato

Ricciardi. È strano veramente che io sia accusato in certo modo di municipalismo, e, che più monta, da un deputato mio conterraneo. lo lascio giudice la Camera della giustizia di tale accusa.

Se ho citato un esempio di Napoli, l'ho citato siccome avrei potuto citare un esempio di Sicilia o Sardegna; quello fu il primo che mi venisse alla mente, ed è ciò naturale, poiché, essendo di Napoli, conosco meglio gli affari di quella provincia, che non quelli di un' altra parte qualunque d'Italia.

Aggiungo che se si fosse trattato di una legge, la quale avesse concesso a Napoli quello che si vuol concedere a Torino, ed anche se si fosse trattato di una spesa minore, in questo momento avrei votato contro, perché in principio, ripeto, credo che si debba votare contro qualunque spesa non assolutamente indispensabile, e che non sia relativa in ispecie alle strade ferrate o alle armi.

Tornata dei 27 giugno.

Interpellanza al guardasigilli e al ministro dell'interno.

Ricciardi. Domando la parola.

Avrei bisogno di volgere due domande al Ministero: la prima all'onorevole guardasigilli, la seconda al ministro dell'interno.

Nel giornale ufficiale di Napoli dei 22 giugno trovo un decreto firmato dal Principe di Carignano e contrassegnato dal commendator Nigra, colla data dei 17 febbraio: in virtù di questo decreto è sciolta la Camera di disciplina.

Io domando al signor ministro il perché di un intervallo cosi straordinario fra la data dei 17 febbraio e quella della pubblicazione del decreto.

Quanto all'onorevole ministro dell'interno, lo pregherei di riferire alla Camera ciò che gli è noto sull'ultimo stolido tentativo operato in Sicilia dai Borboniani. I giornali hanno parlato di 23 persone uccise e di una banda di 120 briganti. Io desidero sapere se queste 23 persone sieno state uccise durante il conflitto, o dopo il conflitto; e in qual forma.

Altri fatti gravissimi hanno avuto luogo in molte province del

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secondo riferisce la stessa gazzetta ufficiale; io pregherei l'onorevole ministro dell'interno di riferire alla Camera quello che sa a tale proposito, e quello che pensa di fare in genere per le province napolitane.

La situazione di quelle province, debbo assicurarlo alla Camera, è affatto la stessa, oggidì 27 giugno, di quella ch'ebbi l'onore di esperire nella tornata dei 20 maggio.

Tornata dei 29 giugno

Sui bilanci provvisorii.

Ricciardi. Credo che la Camera sia stanca dei lunghi discorsi. Ned io salirò sui trampoli, od entrerò negl'interminati campi della storia e della politica.

Che cosa direbbe l'opposizione, se il Ministero volesse condannarla a sei mesi d'inedia? Per la stessa ragione è impossibile che noi non consentiamo a far camminare la macchina dello Stato. Pare non voterò la legge che sub conditione et cum protestatione. (Si ride). La condizione è questa (e credo che staranno con me tutti i miei colleghi, su qualunque banco sieno per sedere); che il ministro delle finanze prenda l'impegno solenne di presentare il bilancio nella prima tornata della nuova riunione del Parlamento.

Veniamo ora alla protesta.

Nel bilancio figurano le spese segrete. Ora, nel votare il bilancio provvisorio, io voto implicitamente le spese segrete.

Ma queste debbono assolutamente sparire dal nostro bilancio, perché essenzialmente immorali. Con queste spese si mantiene lo spionaggio, con queste spese si paga una stampa, la quale non fa che assalire gli uomini più onorandi di quest'Assemblea.

Voi mi direte essere noi uomini superiori ad ogni assalto, e che dovremmo opporre il più profondo disprezzo agli assalti di questa stampa svergognata. Ma io risponderò, o signori, che anche i moscherini danno fastidio, e che in nessun codice è detto che un galantuomo debba pagare i proprii fastidii.

Quindi, conchiudendo, vi pregherò di non prolungare questa discussione, poiché abbiamo leggi di maggiore importanza da votare.

Ed io voterò perciò questa legge; ma. lo ripeto, sub conditone et cum protestatione. (Si ride].

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Bastogi, ministro per le finanze. Ho l'onore d'annunziare alla Camera che, visti gl'inconvenienti che derivano dal ritardo della pubblicazione dei bilanci preventivi, aveva già annunziato alla Commissione pei bilanci che ho dato le istruzioni e gli ordini opportuni, perché alla riapertura del Parlamento sieno pronti i bilancj per essere al medesimo presentati.

In quanto alle spese segrete, mi compiaccio di dichiarare all'onorevole Ricciardi che, nel breve spazio di tempo nel quale ho avuto l'onore di essere ministro per le finanze, se una spesa segreta è stata fatta dal Ministero, è stata fatta non per altro oggetto che per l'interesse generale dell'Italia, e che non saprei trovare spese migliori di quelle che sono state fatte sino adesso. Altro non potrei dire, per ragioni d'alta politica.

Il Deputato Pinzi essendo venuto fuori a proporre l'estenzione del decimo di guerra, proposto per la Toscana, alle province meridionali, così, dopo il Deputato Persico, il Deputato

Ricciardi. Non posso che appoggiare l'onorevole mio amico Persico. Credo sarebbe cosa di somma imprudenza lo estendere in questo momento le imposte di guerra alle province meridionali. È giustissimo che tutte le province d'Italia soggiacciano agli stessi aggravii, ma le province meridionali si trovano in condizioni eccezionali, e sarebbe, secondo me, aggiungere esca al fuoco, se si facesse quello che si propone. In un momento in cui il brigantaggio imperversa da un capo all'altro del nostro paese, in un momento in cui si bruciano le messi, in un momento in cui si pagano con difficoltà estrema te imposte, in un momento in cui i nostri coloni con grandissimo stento ci pagano, come volete aggiungere alle nostre province l'imposta del decimo di guerra? Sono sicuro che la sola notizia d'una simile cosa aggiungerebbe esca al fuoco; per conseguenza io combatto con tutte le forze la proposta che ne vien fatta.

Tornata dei 3 luglio.

Sulla legge relativa all'occupazione delle case religiose per parte delle truppe.

Presidente. Il deputato Ricciardi ha proposto che si aggiungano all'articolo della Commissione le seguenti parole: «rispet

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Ricciardi. Nessuno, io credo, in questo recinto potrà accusarmi di soverchia simpatia pei conventi. Nel sottoporvi il mio emendamento, io non io se non cedere a un sentimento che trovasi, ne son certo, in tutti i cuori gentili, e però in quello di tutti voi.

Non profferirò quindi in favore della mia proposta se non queste sole parole: «rispettiamo le monache, non perché monache, ma perché donne.» (Bravo! Ilarità).

Ricasoli, presidente del Consiglio dei ministri. Per non trattenere la Camera, il Governo dichiara che, presentandosi la circostanza, userà quei maggiori riguardi che convengono ai casi. (Bene!).

Presidente. Pare che il deputato Ricciardi potrebbe contentarsi di questa dichiarazione.

Ricciardi. Dietro la promessa dell'onorevole presidente del Consiglio, io ritiro il mio emandamento. (Bene!).

Tornata dei 4 luglio.

Sulla concessione della ferrovia da Napoli all'Adriatico alla compagnia Talabot.

Presidente. Darò prima lettura dell'art.28, e poi degli emendamenti.

L'articolo 28 è cosi concepito:

«Pel corso di dieci anni, a partire dalla data del presente capitolato, i concessionarii potranno immettere in franchigia di dazio o di qualsivoglia altro diritto, il ferro, i regoli, le locomotive, i tenders, i vagoni, gl'istrumenti, i metalli, e generalmente tutto ciò che è necessario alla costruzione, esercizio e mantenimento delle ferrovie concesse. L'esercizio di questo diritto sarà determinato dal ministro delle finanze con apposito regolamento; intesi i concessionarii.»

Il deputato Ricciardi propone a quest'articolo il seguente emendamento. Invece delle parole:

«... il ferro, i regoli, le locomotive, i tenders, i vagoni, gl'istrumenti, i metalli, e generalmente tutto ciò che è necessario alla costruzione, esercizio e mantenimento delle ferrovie concesse,» ecc.

Si porranno le seguenti:

«... il ferro, i metalli, e generalmente tutto ciò che è necessario alla costruzione, esercizio e mantenimento delle ferrovie concesse,

e che non si trovi o non possa venir fabbricato in Italia ecc.»

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Il deputato Polsinelli propone sopprimere l'articolo 28 del capitolato, che accorda una franchigia di 10 anni all'immissione de' ferri ed altri metalli, come quella che può riuscire assai gravosa al tesoro, perché con essa si possono introdurre quantità grandi di detti metalli.

Il deputato Susani propone che si dica.

«Art.28. A tutto il 1° gennaio 1866 i concessionarii potranno immettere in franchigia di dazio, o di qualsivoglia altro diritto, i regoli, le locomotive, i tendere, gli assi, le ruote e le molle pei vagoni nelle quantità strettamente necessarie all'armamento ed all'esercizio delle ferrovie concesse. L'esercizio di questo diritto sarà determinato dal Ministero delle finanze con apposito regolamento, intesi i concessionarii.»

Quanto alla proposta del deputato Polsinelli, non mi pare sia un emendamento; egli vorrebbe la soppressione dell'articolo 28. I veri emendamenti sono quello del signor Ricciardi e quello del signor Susani.

Quello del signor Ricciardi pare che debba mettersi pel primo in discussione, perché limita semplicemente l'esenzione del dazio a quei materiali che non si possono avere in Italia. Gli do perciò la parola per isvolgerlo.

Bonghi, relatore. Dichiaro che la Commissione non accetta nessuno di questi emendamenti.

Ministro Dei Lavori Pubblici. Il Ministero neppure.

Ricciardi. Ragione di più per insistere. (Risa)

Se ieri scesi in campo a combattere a favor delle monache, difendendole, ben inteso, sol perché donne, oggi voglio rompere una lancia a. favore di un ceto ben più numeroso, ben più degno di commiserazione, siccome quello il quale vive, non già salmeggiando ed orando, ma lavorando; voglio parlare dei nostri artieri, i quali aspettano con impazienza febbrile le ferrovie, siccome occasione preziosissima di lavoro.

Bonghi, relatore. Domando la parola.

Ricciardi. Ora le loro speranze sarebbero tradite, se voi respingeste il mio emendamento. (Bisbiglio) Signor presidente, la prego di far fare un pò di silenzio.

Presidente. Prego la Camera di far silenzio

Valerio. Domando la parola.

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Bonghi,

relatore. Mi permetta di dichiarare che la Commissione non accetta nessuno dei tre emendamenti proposti; giacché, oltre al non crederli ragionevoli, nel suo parere equivalgono a un rigetto della convenzione, giacchè l'altra parte contraente non li potrebbe accettare. Fatta questa dichiarazione, si parli pure; sarà fiato perso.

Ricciardi. È incredibile il numero delle industrie che si collegano allo stabilimento delle vie ferrate.

Citerò un solo esempio, quello dei carrozzai, ai quali sarebbe commessa naturalmente la costruzione dei carri, barbaramente chiamati

vagoni. A questa industria dei carrozzai si legano altre moltissime: quelle del falegname, del fabbro, del pittore, del vetraio e del tapezziere. A Napoli quest'industria è fiorentissima, tanto che i più ricchi signori fanno costruir quivi le loro carrozze, anziché commetterle a Parigi od a Londra. Ora, se voi ammetteste qual è l'articolo del capitolato, che cosa accadrebbe? Accadrebbe questo, che i signori concessionarii, ai quali già furono concessi i più grandi vantaggi, allettati massimamente dalla franchigia dei dazii, farebbero venir tutto dall'estero, e specialmente dalla Francia, e tutto senza pagar dazio.

Quindi danno pel nostro tesoro, danno per l'industria nostra, e tutto in vantaggio dei signori Talabot e compagnia.

Io non vedo il perché non si debba fare per le province meridionale ciò che si è fatto in Piemonte, dove, per quanto mi viene affermato, si fabbrica a Savigliano pressoché tutto quanto è necessario al servizio delle strade l'errate.

Perché non si può fare lo stesso a Napoli, dove, fra gli altri, abbiamo il magnifico stabilimento di Pietrarsa? lo credo dunque si debba imporre questa condizione alla compagnia.

Nel caso poi che il mio emandamento non fosse accettato, io appoggerei la proposta dell'onorevole Polsinelli, affinché questo articolo 28 venisse soppresso, vale a dire, affinché non venisse concessa alla società la facoltà d'importare per dieci anni, senza pagar dazio, tutto quanto è necessario alla strada ferrata; ma io sono certo, o signori, che voi non vorrete far questo torto agli artieri nostri, ed aggiungere agli svantaggi del contratto anche questo.

A proposito di questo contratto, io debbo dire, per debito di coscienza, che l'accetto solo perché si tratta di quistione vitale


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Presidente. La prego a non rientrare nella discussione generale.

Ricciardi. Mi limiterò quindi ad instare di nuovo, affinché, ad onta dell'opposizione del Ministero e della Commissione, il mio emendamento venga adottato.

Sull'articolo 32 del capitolato annesso alla legge di Concessione.

Presidente. Il deputato Ricciardi ha facoltà di parlare per isvolgere il suo emendamento.

Ricciardi. Quantunque persuaso di riuscire in quest'aula avvocato infelice d'ogni più nobile causa- (Rumori), non recederò dalla risoluzione di propugnare il mio emendamento, e ciò per isciogliere una promessa solenne fatta a me stesso durante i miei ventiquattro anni di esilio e rinnovata nel mio ritorno in patria.

Io dissi a me stesso, vedendo centinaia, migliaia di esuli patire la fame: non così tosto la fortuna mi porgerà il destro di essere utile a questa povera gente, io non trascurerò di coglierlo. Ora questo destro è venuto, ed io lo colgo, e lo colgo con gioia; né credo che un'Assemblea, la quale è composta in grandissima parte d'uomini che hanno patito l'esilio od il carcere, possa rigettare la mia proposta.

Oltre queste ragioni, sonvene altre molte, e credo che il governo stesso non possa rigettare ciò che io propongo. Vi sono in gran numero militari messi a riposo, vi sono moltissimi impiegati di cui il governo non sa che fare, perché sono fuori di pianta. Or bene, perché il governo non si riserverebbe il diritto d'impiegarli in queste ferrovie, e cosi sgravare il bilancio?

In quanto ai militari congedati, io mi trovo d'accordo pienamente coll'onorevole Susani. Il governo adunque imponga alla società questi militari congedati.

Che cosa accadrebbe, o signori, se voi non ammetteste il mio emendamento? Accadrebbe questo: che i signori concessionarii si servirebbero bensì dei nostri operai, per la ragion semplicissima che li pagherebbero assai poco; ma, quanto agl'impieghi lucrosi, li darebbero tutti ai loro clienti, alle loro creature, siccome è accaduto in smaglianti occasioni. (Rumori)

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Per esempio, mi si afferma che il direttore della compagnia Vittorio Emanuele riceva la somma annuale di lire 100 mila!

Voi vedreste inondato il nostro paese d'impiegati forestieri, il che non debb'essere. È già troppo che si concedano le nostre ferrovie a società estere; dobbiamo almeno stipular qualche cosa in favore dei nostri; e, ripeto, segnatamente in favore dei nostri antichi compagni d'esilio o di carcere.

Dopo una discussione molto vivace, alla quale partecipano varii oratori, e la dimanda del voto per appello nominale, contraddetta dal ministro dei lavori pubblici, da Massari e Rorà, così il deputato

Ricciardi. Io persisto nella dimanda dell'appello nominale. La quistione è essenzialmente politica; quindi mi par conveniente che si venga alla votazione per appello nominale (Rumori a destra e al centro).

Dopo fieri diverbii, una protesta del ministro dei lavori pubblici, e nuovi e più gravi rumori, mossi principalmente da alcune parole di sfida del deputato Pinzi contro i membri della sinistra, che replicano molto vivacemente, talché il presidente è costretto a coprirsi e a sospendere la tornata, così il deputato

Ricciardi. Signori, unicamente per amor di concordia io rinunzio al mio emendamento. (Bravo!)

Debbo protestare, per altro, contro le parole dell'onorevole ministro. Egli ha detto in certo modo che bisogna accettare tutte le condizioni della compagnia, altrimenti la legge è compromessa; il che vuol dire, in sostanza, che ogni discussione è allatto inutile.

(No! no!) Io non posso accettare queste parole.

Subisco la legge, perché vitale, perché indispensabile ad assicurare le sorti del mio disgraziato paese.

lo ho creduto dover proporre qualche miglioramento, ma i miei sforzi sono riusciti infruttuosi ed io ritiro la mia proposta.

Il deputato Pica avendo creduto dover protestare contro l'epiteto adoperato dal Ricciardi, nello accennare allo stato delle province napoletane, così il

Ricciardi. Signor presidente, permetta che io rettifichi la mia idea.

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Presidente. Può rettificarla.

Ricciardi. Si è male interpretata la mia idea (Rumori)

Voci. Bene! Basta!

Ricciardi. Ho detto

disgraziato paese, alludendo alle presenti miserie del Napoletano, miserie che nessuno, io credo, potrà negare.

L'onorevole Pica ha male afferrato il mio pensamento.

Tornata degli 8 luglio.

Discussione di uno schema di legge per maggiori spese sul bilancio del 1860.

Presidente. Prima di passare allo squittinio segreto sul progetto di legge testè discusso, porrò in discussione quello per ispese maggiori e spese nuove sul bilancio del 1860.

La discussione generale è aperta.

Il deputato Ricciardi ha facoltà di parlare.

Ricciardi. Una sola parola per protestare contro l'abuso di queste spese maggiori.

Confesso alla Camera che queste spese maggiori sono per me un vero incubo, ed anzi ho dato una palla nera ad altri progetti proposti dal Ministero, precisamente perché portavano una spesa maggiore.

Questa volta la darei anche nera, se non vedessi un compenso, vale a dire, che nei motivi di domanda di queste spese maggiori si dice che sono diminuite alcune somme per altre spese.

Io prego quindi gli onorevoli ministri di usare il meno possibile di queste benedette spese maggiori.

Presidente. Mi pare che in queste occasione, siccome vi è un compenso, non è forse il caso di fare questa osservazioni...

Ricciardi. Ed io voto la legge a causa di questo compenso.

Annunzio d'interpellanza.

Ricciardi. poiché veggo l'onorevole presidente del Consiglio al suo banco, vorrei domandargli se possa udire la brevissima esposizione di alcuni gravi richiami di molti uffiziali dell'ex-esercito delle Due Sicilie.

Da che sono tornato da Napoli, ne ho ricevuto io solo trentadue, e credo che quasi tutti i miei colleghi ne abbiano ricevuto, se non altrettanti, almeno molti; io desidero fare, sia oggi, sia demanio dopodimani, appena ciò mi sia concesso dalla Camera, questa breve esposizione.

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Presidente Del Consiglio. Quando la Camera vuole, io sono pronto a udire l'esposizione dell'onorevole Ricciardi; probabilmente non concluderà a nulla, perché bisogna che questi richiami, che riguardano condizioni speciali di persone, io li rimetta alla Commissione di scrutinio onde riferisca sulla loro ragionevolezza e sulla loro giustizia.

Ricciardi. Quando vorrà, anche subito.

Presidente Del Consiglio. Questi richiami possono risolversi in due maniere: o rimetterli immediatamente al Ministero della guerra; affinché ne possa prendere cognizione e rendermene informato, ovvero comprenderli nella medesima risposta che già ebbi l'onore di dare alle interpellanze che il signor La Masa promosse in ordine a considerazioni analoghe, ma rispetto ai militi dell'esercito meridionale.

Cosicché faccia la Camera quello che desidera.

Ricciardi. Oltre la quistione di umanità, relativa a questi poveri uffiziali, i quali muoiono letteralmente di fame, evvi qui una quistione essenzialmente politica, poiché si tratta di persone languenti nell'estrema miseria, le quali perciò potrebbero divenire pericolosissime per lo Stato, lo insisto adunque sulla necessità di una pronta esposizione su ciò alla Camera ed al Ministero.

Presidente. Potrebbero aver luogo contemporaneamente alle interpellanze del deputato Romano.

Tornata dei 9 luglio.

Sopra una petizione di sessanta militi napoletani i quai combattettero le guerre italiane nel 1848 e 1849.

Ricciardi. Unisco le mie più calde istanze a quelle dei militi napoletani, i quali militarono nel 1848 e nel 1849. Fra questi si trovano alcuni vecchi e parecchi mutilati, uno, per esempio, cui fu portata via la gamba sinistra sul piazzale di Venezia, nel 1849, ed un Niccola Cacialli, ferito a Curtatone. Quasi tutti questi valorosi sventurati, nel ritornare in patria furono cacciati in galera, ed alcuni persino sottoposti alle verghe! Signori, io credo che, se noi vogliamo invogliare la nostra gioventù ad accorrere con entusiasmo a combattere le future battaglie italiane, dobbiamo mostrarci larghi e generosi verso coloro i quali pagarono largo tributo di sangue nel 1848 e 49, e nel 1859.

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Presidente. Non essendovi opposizione al che questa petizio

Sopra una petizione del professar Lucarelli.

Ricciardi. Io debbo aggiungere una parola in appoggio di questa petizione, la quale riguarda uno dei medici più insigni di Italia, protomedico della città di Napoli, i cui due figli, entrambi chirurghi, curavano i feriti in guerra, sui campi di Capua e negli ospedali della metropoli, mentre i poderi del padre erano quasi interamente rovinati.

Credo che questa circostanza debba rendere la petizione del dottor Lucarelli meritevole di speciali riguardi.

Presidente. Metto ai voti le conclusioni della Commissione pel rinvio al Ministero di questa petizione.

(LaCamera approva.)

Tornata dei 12 luglio.

Interpellanze del deputato Romano.

Presidente. La parola è al deputato Ricciardi sulla mozione d'ordine.

Ricciardi. Fra qualche giorno, o signori, noi ritorneremo nei nostri paesi; ora, con qual fronte potremo presentarci ai nostri elettori, a coloro i quali ci commisero un sacro mandato, se non avremo esaurito tutti i mezzi possibili per migliorare le condizioni delle province napoletane?

Ora io credo che noi non possiamo tornare a Napoli, se non dopo avere esposto, non solo al governo, ma alla Camera, ma all'Italia, le vere condizioni di quelle province. Io sono perfettamente d'accordo coll'onorevole mio amico Mellana, che sarebbe stato molto meglio il trattare la quistione generale, piuttosto che entrare in molti particolari; ma anche i particolari hanno la loro importanza, e spero potercelo dimostrare accennandone alcuni intorno alle cose militari di quelle province, siccome mi riservo, terminando, di trattar brevemente anche la quistione politica, a fine di provocar dalla Camera una parola di conforto da potersi riportare da noi a Napoli. Io ed i miei amici politici, ne prendiamo il più sacro impegno, predicheremo nel nostro paese l'ordine e la concordia. (Bravo! Bene!)

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Signori, l'abbiamo già predicato quest'ordine e questa concor

Massari. E le vie ferrate?

Presidente. Prego l'onorevole Massari di non interrompere.

Ricciardi. Quelle province sono, di cuore, italiane, ma, a forza di soffrire, potrebbero infine sdegnarsi, e disordini serii aver luogo.

La Camera adunque pronunzii una parola, che valga a tranquillarle completamente. Io chiedo perciò la continuazione della discussione.

Tornata dei 13 luglio.

Ricciardi. Signori, io farò in certo modo, siccome nelle cause di canonizzazione in Roma, la parte dall'avvocato del diavolo, ben sapendo essere voi risoluti a canonizzare il santo, cioè a votare il progetto di legge che ci vien presentato dal ministero. Né, per continuare la similitudine, io negherò la santità di tal legge; solo ne combatterò l'urgenza, l'opportunità, per le ragioni che verrò dichiarando brevissimamente.

Quali sono i nostri nemici? Per quanto io mi stilli il cervello, non so vederne per ora, anzi per lungo tempo, che un solo: l'Austria.

Ora, dove e come dovremo noi combattere questo nemico? Sui campi della Venezia, e per via dell'esercito regolare e dei volontarii, ma soprattutto per mezzo di numerosi cannoni rigati; imperocchè l'Austria, disfatta nelle battaglie campali, e solo dopo aver combattuto, e ostinatamente combattuto più volte in campagna rasa, dovremo espugnarla nel quadrilatero.

Quanto alla flotta, essa ci potrà essere utile, ma in modo assai meno attivo. Vi citerò l'esempio del 1848 e 1849. A quel tempo la nostra marineria si riduceva ai soli legni da guerra della picciola monarchia sarda; eppure non un solo naviglio austriaco osò uscire dai porti ed assalire i legni italiani.

Ed ora che la nostra marineria è presso che triplicata. oserebbe mai l'Austria assalirla? No certamente; ora l'Adriatico sarebbe interamente in nostra balìa, e noi potremmo servirci delle nostre navi, sia per bloccare i porti austriaci, sia per trasportar truppe là dove ne fosse mestieri.

Quindi io credo che questi numerosi milioni che si domandano per l'arsenale della Spezia, di cui io non contesto in principio

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sarebbero spesi molto più utilmente e logicamente nello accrescer l'esercito, e soprattutto l'artiglieria.

L'onorevole general Fanti ci diceva un giorno aver noi cento batterie; ora mi duole dover dire che il general Fanti inganna vasi, poiché da ottime informazioni ho attinto una cifra molto inferiore.

10 so» dunque d' avviso che questi danari debbano essere spesi in accrescere i nostri battaglioni, i nostri squadroni e le batterie d' artiglieria; quando poi avremo compito l'impresa italiana, allora penseremo ad aumentare anche le nostre forze navali.

Né solo alla Spezia io desidero un arsenale, ma voglio che ve ne sieno parecchi, uno, per esempio, a Siracusa, che è forse il primo porto del mondo, e uno a Brindisi, e voglio che si migliorino gli arsenali di Napoli e Castellammare, oltre di che un arsenale avremo più importante di tutti nella redenta Venezia/

Or bene, quello sarà il tempo di accrescere le nostre forze navali, chè anch'io desidero che l'Italia diventi uno dei gran potentati navali, ma questo non è il momento, e però chiedo che i danari chiesti per la Spezia si spendano per l'esercito.

Il bilancio della marineria è stato presso che duplicato, chè non era l'anno scorso che di L. 28,525,350, e questanno è portato già a L. 50,840,000.

Mi pare adunque che si potrebbe per quest'anno almeno soprassedere e riportare sul Ministero della guerra questa somma che si domanda dal ministero della marineria.

Dopo i discorsi del ministro Menabrea, dell'ammiraglio Persano

e del colonnello Pescetto, così il deputato

Ricciardi. Una semplice parola.

L'onorevole ammiraglio Persano mi ha in certo modo tacciato d'inesattezza.

Io ho esaminato il bilancio passivo della marineria, da cui rilevo che il numero delle navi, sì a vapore, che a vela, oltre le navi onerarie e le cannoniere, è di circa quaranta, con a bordo 890 cannoni; ho creduto quindi potere asserire che in una guerra coll'Austria, ad onta degli aumenti fatti da questa nella sua marineria, noi non dovremmo temerla.

Del resto, dopo tutto quello eh' è stato detto dal signor ministro della marineria, dall'ammiraglio Persano e dal signor Pescetto, io conchiudo dovere chiamarmi vinto, e votare a favor della legge. (Bravo! Bravo. ')

APPENDICE.

DISCORSO INTORNO ALLE CONDIZIONI DEGLI UFFIZIALI DELL'EX ESERCITO DELLE DUE SICILIE CUI IL DEPUTATO RICCIARDI DOVEA PRONUNZIARE NELLA TORNATA DEL 12 LUGLIO.

Dichiarerò in primo luogo che non tutti i clienti, di cui prendo a propugnare la causa, m'ispirano simpatia; ma sorgo lor difensore mosso da due sentimenti, l'amore della giustizia ed il desiderio di mutare in aiuto efficace della causa italiana elementi preziosi, i quai, se negletti, riuscire potrebbero di non leggiero pericolo.

Gli uffiziali dell'ex-esercito borbonico sommano a 3684, dei quali 341 di artiglieria e 215 del genio, usciti tutti dalla scuola della Nunziatella, testè mutata con un tratto di penna in semplice collegio militare. E'dividonsi in quattro categorie: 1. di quelli, che, mossi da scrupolo generoso, dettero la lor dimissione prima di gittarsi nel campo della rivoluzione; 2. di quelli che con grave loro pericolo dalle file borboniche passarono nelle nostre; 3. di quelli, i quali capitolarono a Capoa, a Gaeta e a Messina; 4. di quelli che, rifuggitisi nello Stato romano, tornarono poscia nelle province napoletane e fecero atto di adesione al governo di re Vittorio Emanuele.

Ora quai norme furono seguitate verso le varie categorie succennate? Diverse forse o una sola? Diverse, ma in questo, che i più meritevoli della causa furono i più maltrattati!

A dimostrar la quai cosa mi bastino alcuni esempii.

Due squadroni del 2. Dragoni (Regina) trovavansi a Foggia, in Capitanata, allorché Garibaldi sbarcava in Calabria. Ora, invece di aiutare il governo di Francesco II a contenere il paese, unironsi ai liberali, favorirono la rivoluzione e al tempo stesso cessarono i disordini di Bovino. Or quale fu il guiderdone concesso a cotesti bravi soldati dal governo subentrato il di 7 novembre del 1860 a

quello di Garibaldi? I due squadroni furono sciolti, e gli uffiziali posti a riposo! Il medesimo debbo dire degli squadroni di Carabinieri alloggiati in Avellino. parte dei quali partecipava alla rivoluzione. Moltissimi uffìziali di ogni arma potrei citare, i quali senza un perché al mondo furono posti al ritiro, o condannati al servizio di piazza. Mi limiterò a soli due.

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Il tenente colonnello Campanella, il quale contribuiva alla creazione del bellissimo stabilimento pirotecnico di Capoa, ch'è uno dei primi di Europa, e lo dirigeva abilissimamente alcun tempo, è stato, con non pochi altri uffiziali d'artiglieria, distintissimi al pari diluì, collocato a riposo!

Più strano è il caso del capitano Pomarici, giovane di 29 anni, del 13° Cacciatori, il quale, dopo aver fatto ogni sforzo a strascinare l'intero suo battaglione nel campo della rivoluzione, comandava il presidio della gran guardia, ai 7 settembre del 1860 (giorno in cui Garibaldi entrò in Napoli presso che solo, e mentre 8000 Borbonici occupavano ancora parte della città ed i castelli) e non solo impediva ai proprii soldati il far fuoco sul celebre generale, ma sapeva far loro eseguire il saluto militare all'eroe di Marsala, Calatafimi e Palermo! Or sapete qual'è in questo stesso momento la sorte del capitano Pomarici? E' trovasi quale uffiziale di piazza in Volterra! E perché ciò? Solo perché ha la disgrazia di essere ammogliato I

Le categorie terza e quarta furono relativamente trattate meglio, avendosi avuto, in proporzione, assai maggior numero di uffìziali posti in attività o disponibilità.

Gli uffiziali poi di tutte e quattro le categorie per me ricordate si lamentano di quanto segue:

1.° del non essersi tenuto conto del decreto dei 28 novembre del 1860, col quale s'invitavano tutti coloro, che non avevano ancor fatto adesione, e prestato giuramento, a presentarsi, colla promessa, per parte del governo, di provvedere alla loro sorte, secondo le circostanze;

2.° di non essersi rispettata, per coloro che furono pesti in attività, la legge di anzianità, talchè gli uffiziali napoletani incorporati nell'esercito nazionale si trovano a coda degli altri;

3.° di essere stati trattati allo stesso modo giovani e vecchi, ammogliati e celibi, quelli che non avevano 60 anni di età, quelli che non avevano 40 anni di servizio, quelli che non avevano due anni di grado;

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4.° di esserci stati dei capitani collocati a riposo, il cui mensile fu liquidato in ducati dieci e grana 20 (quinto del soldo netto) con questo, che venia loro fatta la ritenuta di 8 ducati, in restituzione dell'entrata in campagna.

5.° del non essere stati i pochi ammessi addetti alle loro armi rispettive. Per esempio, quasi nessun uffiziale dei bersaglieri è stato ammesso nel corpo dei bersaglieri;

6.° dell'essere gli uffiziali esteri di Gaeta stati meglio trattati dei nazionali nella liquidazione delle pensioni;

7.° del trovarsi gli ufficiali posti al ritiro privi dell'onore dell'uniforme.

Al quale proposito non tacerò annoverarsi fra i privati dell'uniforme il dottissimo generale del genio Degli Uberti, il generale Rodriguez, già colonnello del 10. ° di linea, che combattette si strenuamente a Goito, nel 1848, e fu decorato da Carlo Alberto, il valente generale d' artiglieria Locascio, e il tenente generale Gaeta, vecchio di novant'anni.

Questi i torti, di cui si lagnano tremila e più cittadini, molti fra i quali pronti a combattere per la causa italiana. Gli altri, bisogna pur dirla com'è, sono innanzi ogni cosa padri di famiglia, i quali, più che all'Italia e alla libertà, pensano al pane dei loro figli. Il perché oltremodo imprudente sarebbe lo spingerli ad un'estrema disperazione, lo conforto perciò il ministero a provvedere al più presto alla sorte degli uffiziali dell'ex-esercito delle Due Sicilie, ricordandogli i migliori argomenti ad amicarli alla gran causa italiana essere l'umanità e la giustizia!

Lettera al Direttore del Popolo d'Italia

Napoli, 2agosto 1861

Signor Direttore,

Sia tanto cortese, da concedere ospitalità nel di lei foglio ad alcuni miei pensamenti intorno al modo di cessar le miserie di queste nostre province, cui mani inesperte, per non dire assai peggio, han ridotto nelle più orribili condizioni, mentre pure sì agevole sarebbe riuscito il far loro provare issofatto i benefizii del viver libero e dell'annessione alla rimanente Penisola. Non tacerò che gran parte di ciò che son per esporre sarebbe stato da me dichiarato


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Dal dì 7 novembre dell'anno scorso a questa parte il governo di queste province passava di mano in mano, peggiorando mai sempre: il che è chiara prova, altr'uomini doversi adoperare oramai, ed altro indirizzo tenere, a volere far camminare la pubblica cosa in modo non affatto contrario, siccome è avvenuto finora: 1 agli umori ed agl'interessi del nostro paese; 2° (ch'è più increscevole assai j agl'interessi della gran causa italiana.

Donde proviene principalmente l'audacia acquistata in questi ultimi tempi dalla parte borbonica? Dallo studio posto dai nostri rettori nel tenere depressi gli elementi più vivi della parte liberale. Quindi la necessità di ridar loro animo ed importanza, il che spero sia appunto il divisa mento del generale Cialdini, il quale non posso creder capace di venir meno a' suoi proclami, non che alle solenni parole dette a' senatori ed ai deputati da lui chiamati a consulta. Ma ciò non basta, grande, profondo essendo il male di cui ci dogliamo, talchè rimedii maggiori e più radicali son necessarii a sanarlo. Due sono, al veder mio, le principali piaghe delle nostre contrade: morale la prima, economica la seconda. Facile è intendere, quanto all'una, quale ferita profonda abbia arrecata ad un popolo, che per più di otto secoli visse autonomo, comechè servo, il vedersi privato delle sue leggi, spoglio anzi tempo e senza ragione di non poche fra le sue istituzioni più antiche, retto da uomini ignari dei suoi costumi e dei suoi bisogni, infeudato, giusta la sua credenza, non all'Italia, cui erasi dato con tanto entusiasmo il giorno 21 ottobre dell'anno scorso, ma ad una provincia di essa, che non è certo la men nobile della Penisola, ma la cui indole, bisogna pur dirlo, poco s'accorda con quella delle province meridionali. Facciasi davvero l'Italia, dicono gì' Italiani del mezzogiorno, siedano in Roma il governo ed il parlamento, e noi volentieri sottosteremo a qualunque comando sia per venire di Roma; ma fino a quel giorno non sieno distrutti fra noi che gli abusi, non s'innovi a capriccio, e non si tocchi a' diritti ed agli interessi di si gran numero di cittadini, se non in quel tanto, che venga assolutamente richiesto dall'utile della nazione italiana!

Venendo alla piaga economica, mi basterà ricordare gl'inevitabili effetti di qualunque rivoluzione, cioè il rallentamento dei lavori d'ogni maniera, il ristagno dell'industria e dei traffichi, una

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la quale è ita crescendo in questi ultimi tempi, tra pel difetto di pubblica sicurezza, e perché nulla tentato fu dal governo ad attivare le opere pubbliche, a dar qualche impulso alla circolazione della moneta. Or se a curar questa piaga valere potranno in alcuna parte le strade ferrate, testè votate dal Parlamento, previa, per altro, la distruzione del brigantaggio, ben più efficace rimedio si vuole a sanar l'altra, cioè la piaga morale, inciprignita sì fattamente per colpa de' governanti, da non potere sparire, se non in virtù di argomenti straordinarii. Fra i quali primissimo, secondo me, sarebbe quello del trasferimento qui del governo e del parlamento, finchè dato non siane lo andare a Roma, bisogno nostro supreme! Da Torino mal può governarsi l'Italia, ed in ispecie 1" Italia meridionale, che anzi non mai da Torino compirassi l'impresa italiana! Vano sarebbe il dissimularlo. Colui, dal quale dipende per noi l'ottener Roma, Roma non lascerà cosi presto, appunto perché necessaria ei la scorge ad accertare l'unità nazionale, ch'ei non amò, né amerà mai e poi mai. Or non potendosi andare a Roma, chi sa per quanto altro tempo, stare potranno le cose nostre in modo indefinito nei termini in cui stanno al presente? Cioè con una metropoli al piè delle Alpi, e però un governo ed un Parlamento posti al limite estremo d'Italia, ed ai quali un terzo e più degli abitanti del nuovo regno parlare non possono. per dir così, che per mezzo del portavoce! Ma prescindendo da questa considerazione, altre assai ve ne sono in favore del trasferimento sopracennato, e prima fra tutte quella dell'urgente necessità di far riavere all'Italia l'affetto di tanta e si nobile parte dei figli suoi, che gli errori dei governanti fecero quasi avversi all'unità nazionale! La maggioranza de' miei colleghi schiamazzò contro di me il 20 maggio, allorché non temetti di esprimere questa verità dolorosa; ma, sfortunatamente pel nostro paese, le mie parole denno chiamarsi profetiche.

In appoggio della mia proposta citerò un luogo del Principe ili Niccolo Machiavelli (cap. V), là dove dice, parlando degli Stati nuovi: «a tenerli ci sono tre modi; il primo è rovinarli, I'altro andarvi ad abitare personalmente, il terzo lasciarli vivere con le sue leggi.»

Nessuno, io credo, potrà supporre esser mente del ministero, che siede in Torino, lo appigliarsi al primo partito, quantunque le apparenze, da novembre in qua, sieno state sì fatte, da accre

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Rimangono gli altri due, Tra i quali il più sicuro sembrami il primo, e insieme il più atto ad unificare davvero l'Italia, chè allor solo queste province alle antiche lor leggi vedran di buon animo sostituirsi le nuove, quando fra loro abbiano sede il governo ed i! Parlamento.1 quali poi nessun pericolo correrebber fra noi, siccome temono alcuni, nessun paese essendo del nostro più governabile, del che è stata prova più che bastante la rara pazienza data a di vedere da esso in tanti mesi di mal governo, e malgrado dell'estrema miseria del popolo. Il quale ultimo, oggi stesso, anziché propendere minimamente verso la parte borbonica, sorge in ogni occasione contr'essa, e nelle province dà di piglio alle armi contro i briganti, per poco che il brigantaggio rivesta aspetto politico.

La riverenza, l'affetto, che circondarono il Parlamento napoletano nel 1820 e 21 e nel 1848 e 49, circonderebbero in Napoli senza alcun dubbio il parlamento italiano, la cui sola presenza basterebbe ad infondere vita in queste infelici contrade, a ravvivarne la fede politica, a stimolare l'attività pubblica, a ricreare la generale prosperità, ed insieme a dare il colpo di morte alla parte nemica dell'Unità Nazionale!

Io vorrei che al gran fine per me divisato mirasse l'universale dei cittadini, con mille migliaia di petizioni, aiutato dall'opera assidua, attivissima della stampa.. Se aver non possiamo per ora la sacra Roma, se non ci è dato la nostra bandiera piantare sul Campidoglio, e noi facciamo di avvicinarci, e, direi quasi, picchiare alle porte di Roma, recando il palladio della libertà nostra nella città più vasta e più popolosa di Italia, ch'è pure la terza d'Europa, e da cui sarà assai più facile andare a Roma, che non da Torino, e più facile a un tempo l'ordinare le nostre forze al riscatto della Venezia, la quale mal liberare potremo, finchè le più importanti fra le nostre province saranno sì profondamente sconvolte, e, ch'è assai peggio, così altamente disamorate verso il governo italiano! Io dico, il so, verità dure, ma verità, e possa le voce mia, si disprezzata finora dai nostri rettori, venire ascoltata una volta, e possano soprattutto non riuscire fatidiche le parole da me profferite in Torino il di 20 maggio, allorché, dopo aver ricordato le crudeli sventure del 1821 e del 1848, sclamavo cosi: «Iddio faccia che Napoli non diventi una terza volta fatale all'Italia, e per colpa nostra, siccome due altre lo fu per opera dei Borboni.» Addio.

Il Suo G. Ricciardi.

Al Direttore del Nomade

Napoli, 11 agosto 1861.

Signor direttore,

Assai la ringrazio dell'aver riprodotto nel Nomade la lettera da me pubblicata nel Popolo d'Italia di domenica scorsa, lettera in cai mi studiai dimostrare l'urgente necessità del trasferimento in Napoli del governo e del parlamento italiano, finché non ci venga concesso lo andare a Roma, ed espressi il mio caldissimo desiderio di vedere i nostri giornali discutere seriamente la mia proposta. La qual cosa parrebbemi tanto più necessaria, in quanto che bisognerebbe combattere le goffe obiezioni dei fogli ministeriali di Torino, fra cui i più stomachevoli sono la Gazzetta di Torino e la Gazzetta del popolo. Non si perdona da questi giornalacci ad accusa veruna contro chi Napoli fassi a proporre quale metropoli temporanea d'Italia, e, fra l'altre, chi il crederebbe? evvi l'accusa di municipalismo, quasi che si trattasse di soddisfare l'amor proprio d'una città, e non già di riparare ad immensi mali.

Che dico?di cessare uno stato di cose intollerabile veramente per tanti milioni di cittadini italiani, e pericolosissimo per Italia, siccome quello che armi novelle fornisce a' nostri nemici implacabili, col diffondere sempre più il malcontento nelle province più vaste e più popolose della Penisola, il cui cuore, non temerò di affermarlo, si staccherà sempre più dal governo, ove da questo altra via non si batta da quella battuta finora. Il generale Cialdini verrà, speriamo, a capo del brigantaggio, ch'è, per così dire, la malattia acuta che ci travaglia; ma non così, ad onta, del suo buon volere, liberarci potrà dalla malattia cronica, cui solo il governo potrà curare, ma sopra luogo, e non già rimanendo in Torino, donde mal può vedere le nostre piaghe, alle quali, chi è che nol sappia? non vollero neppur prestar fede certi ministri, ad onta degli avvertimenti che sì di frequente vennero loro a tale proposito da chi nessuno interesse avere poteva ad esagerare i fatti, a velare la verità. «Il medico debbe recarsi là dove sta l'ammalato» dice il proverbio. Or l'ammalato non sta mica in

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Né vale il dire che il trasferir qui il governo ed il parlamento sarebbe lo stesso che sostituire ad uno stato provvisorio uno stato provvisorio del pari, chè fra due mali sceglier conviene il minore, e fra i due provvisorii il men comportabile è senza dubbio il presente.

Né la buona città di Torino, che si è già si nobilmente rassegnata a perdere il grado di capitale, si lagnerebbe d'un fatto, che presto o tardi debbe aver luogo a ogni modo, cioè non appena dato ci sarà andare a Roma, ed il quale affrettato verrebbe, in favore di Napoli, unicamente per ovviare ad estremi mali, che, se fossero disprezzati, porre potrebbero a repentaglio grandissimo la causa dell'unità nazionale. Ed ella però, signor direttore, batta al continuo su questo argomento, e sproni i di lei confratelli a fare altrettanto, nella certezza di servir veramente l'Italia, la cui salute dipende, secondo me, dagli eventi di queste nostre sì travagliate province!

Addio. Mi creda suo devotissimo

G. RICCIARDI.












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