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Ci asteniamo da qualunque commento. Per invogliarvi alla lettura riportiamo alcuni passaggi del testo:

“Garibaldi costrusse due mila cinquecento metri di siffatti muricciuoli a Caprera! me lo disse egli stesso. “

“Questa particolare predominanza di tutta la parte superiore del capo dinota, al primo vedere e senza precedente esame, una organizzazione eccezionale: lo svolgimento del cranio nella parte superiore, sede dei sentimenti, indica la preponderanza di tutte le facoltà nobili sopra gl’istinti.”

Buona lettura!

Zenone di Elea – 3 Maggio 2009

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GARIBALDI
DI
FELICE MORNAND

PRIMA TRADUZIONE ITALIANA
DI G. P.

CON AGGIUNTA
GARIBALDI NEL 1866
DI
GABRIELE FANTONI

VENEZIA 1867
PREMIATO STABILIMENTO NAZIONALE
DI GIUSEPPE GRIMALDO

A GARIBALDI


Io non potrei meglio né altrimenti dedicare questo libro che all'uomo incomparabile che n'è soggetto. La mia mano è manchevole, ma non lo è punto il cuore. Degni egli di ricevere, colla sua grande ed universale bontà, questo attestato di amore ed ammirazione per lui.

Parigi, Luglio 1866



 

VIlI.


Esame frenologico della testa di Garibaldi.


La lettera seguente fu scritta da Caprera su questa importante materia da un frenologo distintissimo, dal dottor Riboli.


Caprera, 17 gennaio 1861.


«Lasciai Genova li 23 corrente, in compagnia di Bixio, del colonnello Deideri, del maggiore Vecchi e di più altri che si recavano come io a Caprera. Tutti avevamo preso posto sul San Giorgio.

«Avevo trascurato di chiedere al nostro amico Macchi un biglietto per introdurmi da Garibaldi. A Genova, avendo trovato Bertani ammalato, mi era stato impossibile domandargli una riga di raccomandazione. Partivo dunque senz'altro spediente che quello di farmi precedere da una carta di visita con scrittovi Riboli frenologo. Per quanto uno possa inorgoglire di questo titolo, vi confesso ch'e'mi pareva insufficiente per presentarmi a Garibaldi.

«Vecchi, che conosco da molti anni, mi apparve come un salvatore sulla tolda del San Giorgio, e da quel punto mi sentii riaffidato.


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«Il maggiore Vecchi è proprietario della villa Spinola, già abitata da Garibaldi prima che partisse per la Sicilia. Fu nella villa Spinola che fra Garibaldi, Bertani e Bixio venne concertala la spedizione dei Mille. Vedete bene che io mi trovava nel cuore della piazza.

«In breve feci conoscenza con Bixio e cogli altri, e durante il tragitto passarono per le mie mani tutte quelle teste tanto intelligenti e straordinarie.

«Ridete pure finché volete, amico; ma io feci stupire tutti colla aggiustatezza delle mie osservazioni. Quella piccola fortuna mi prometteva un ingresso trionfale in Caprera.

«L'isola della Maddalena sembra posta, per decreto della Provvidenza, ad un'ora da Caprera, onde servire di osteria ai viaggiatori febbrosi che vengono a visitare Garibaldi da tutti gli angoli del mondo: ho trovato nel piccolo porto di quell'isola due vapori inglesi che avevano condotto alcuni visitatori a Caprera, e inoltre la Emina, goletta appartenente ad A. Dumas, e da lui messa a disposizione di Garibaldi.

«Bixio, Deideri e gli altri partirono prima per preparare il mio ingresso; io profittai della mattina per esplorare l'isola.

«Sta in essa la famiglia Susini, colla quale Garibaldi tiene relazione da lungo tempo. Fu il vecchio Susini che comperò a lotti il piccolo possedimento di Garibaldi; il terreno non è caro a Caprera, avendomi quel buon uomo affermato che il lotto più ragguardevole era stato da lui pagato, in nome di Garibaldi, 50 lire.

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«A due ore arrivai a Caprera che dista un' ora sola dalla Maddalena.

«Caprera non è che una nuda roccia senza verde, senza un solo albero, arsa dai venti, dove non si possono fare dieci passi senza inciampare in innumerevoli sassi, poiché a Caprera non si conoscono strade (1).

«Entrai non senza tema in quella casetta, più commosso che se mi fossi trovalo nella sala del primo trono del mondo. E m'imbattei in una piena deputazione: erano nella camera di Garibaldi parecchi inglesi, fra gli altri il nipote di lord Derby. Ciò non tolse che il generale mi venisse incontro dicendomi:

— Ella è il dottor Riboli; la riconosco dal ritratto. Sia il benvenuto. —

«Sedetti in mezzo a quella deputazione. Un generale inglese mandava a Garibaldi una medaglia di argento ch'egli si avea guadagnato a Waterloo; un altro consegnò a Garibaldi una gran medaglia di bronzo coniata in onore della battaglia di Rosbach, sulla quale lessi queste parole: Quo nihil majus meliusve; Rosbach, 5 novembre 1757.

«Garibaldi ringraziò la deputazione, parlò a lungo del coraggio dimostrato dalla legione inglese dinanzi a Capua, e si accomiatò.

«Poi uscì dietro a quella e, dimenticando me in un canto, si pose a spezzare delle grosse pietre colle


(1)Abbiamo veduto come, grazie allo cure perseveranti di Garibaldi, sieno cambiale le cose a Caprera presentemente.


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quali costrusse egli stesso de’  muricciuoli alti un metro. Que' muricciuoli sono destinati e a sbarazzare il terreno rendendolo atto alla coltivazione, ed a preservare i vegetabili, che vengono coltivati all'ombra, dallo scirocco il quale brucia e secca tutto nell’isola.

«Garibaldi costrusse due mila cinquecento metri di siffatti muricciuoli a Caprera! me lo disse egli stesso.

«Io sarei ancora in quel canto se Teresita, la figlia di Garibaldi, con la signora Deideri non fossero venute a levarmene. Mentre Garibaldi spezzava le sue pietre, tutti stavano raccolti nella camera di Teresita, e si ballava nel vestibolo al suono del pianoforte.

«Nell’umile casa di Caprera ci sono sei camere. La camera di Garibaldi: due finestre, un letticciuolo, un canapè sul quale dorme Deideri, un monte di carte in terra, una tavolaccia, e finalmente un piccolo scrittoio nuovo di noce simulante l'acajù, che certamente vi era stato portato di fresco, essendone ancora i piedi ravvolti in carta grigia, come se si fosse trattato di un mobile prezioso di Boule.

«Dappresso a questa camera è la sala da pranzo, piccola poco su poco giù come la nostra: vi stanno dodici persone pigiate senza potersi muovere. Una tavola zoppicante, alcune seggiole; eccone tutta la mobilia. La sera vi si stendono dei materassi, e là dormono sei, otto individui, secondo il numero dei visitatori.

«Poi viene la camera di Menotti, figlio di Garibaldi, ch'è sul fare delle altre; ed egli deve farne parte con Basso e con quelli che capitano.

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Questa camera è il museo della casa; vi ho veduto dei bei trofei d'armi.

«La cucina è la stanza principale; e tutti stanno là perch'è la più grande, quella dalla quale si vede il mare: Garibaldi vi siede volentieri.

«Dopo la cucina, una cameretta piena di legna, di fascine, di bauli, di materassi; tutto alla rinfusa: luogo da disbrigo di giorno, stanza da dormire la notte.

«L'ultima stanza è la camera di Teresita, di tutte la meno male ammobigliata: la figlia di Garibaldi la occupa insieme colla signora Deideri. Là si veggono due letticciuoli di ferro, un canapè, un pianoforte, un armadiuccio pieno di biancheria, del quale ha sempre la chiave la signora Deideri.

«Devo pur dire di passaggio che, al momento che Garibaldi partì per la Sicilia, i coniugi Deideri, i quali hanno uno staterello che può importare 60,000 lire, adottarono legalmente Teresita onde lasciarle il tenue loro patrimonio, essendo eglino senza figli.

«Mi sono dilungato per descrivere la casa; torno nella camera di Teresita, dove Garibaldi entrò mentre io esaminava la testa di sua figlia: lo vidi sorridere, ma non per questo cessai di pregarlo che desse la sua testa in mano alla scienza: tutti si unirono a me per indurlo a ciò, ed io fui lieto di vederlo acconsentire.

«Potrete sorridere pel mio fanatismo, ma io posso asserirvi che il tempo da me passato nell'osservare quella notevole testa fu il più felice della mia vita: io vidi, amico mio, vidi il grand'uomo prestarsi

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come un fanciullo a tutto quello ch'io gli domandava: codesta testa che porta un mondo intero, io la tenni fra le mie mani per oltre venti minuti, senza ch'egli manifestasse un segno d'impazienza, sentendo io sporgere sotto le mie dita le ineguaglianze ed i contrasti del suo genio.

«L’esame durò più di ventotto minuti; io aveva preparato prima tutte le mie batterie, e disegnato sopra un immenso foglio di carta le ventisette facoltà fondamentali della craniologia di Gall, come pure gli organi supplementarii di Spurzheim: il maggiore Vecchi scriveva sotto la mia dettatura al cospetto di tutti.

«A voi, caro amico, non istarò a render conto del risultamento delle mie osservazioni, dacchè tante volte avete preso a scherno la dottrina di Gall: e poi sarebbe un affare troppo lungo. Ho in animo di scrivere sopra tutti quegli incredibili fenomeni che hanno ora fatto trionfare la scienza tanto luminosamente: e la mia operetta speciale verrà letta dagli uomini gravi che cercano la novità col mezzo della esperienza, e che non negano a priori, come voi fate sì spesso.

«Garibaldi ha un metro e sessantaquattro centimetri di statura, ho misurato tutte le sue proporzioni: la larghezza delle spalle, la lunghezza delle braccia e delle gambe, la grossezza della vita. In una parola, egli è un uomo ben proporzionato, forte, di temperamento nervoso-sanguigno.

«Notevole è il volume della testa: il fenomeno


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principale in essa è l'altezza del cranio misurata dall'orecchio al vertice del capo, ch'è di venti centimetri.

«Questa particolare predominanza di tutta la parte superiore del capo dinota, al primo vedere e senza precedente esame, una organizzazione eccezionale: lo svolgimento del cranio nella parte superiore, sede dei sentimenti, indica la preponderanza di tutte le facoltà nobili sopra gl’istinti.

«In breve, la craniologia della testa di Garibaldi, in seguito ad esame, presenta una delle più rare originalità di fenomeni, o anzi può dirsi, una originalità senza precedenti: perfetta è l'armonia di tutti gli organi, e la risultante matematica di essi tutti insieme presenta in primo luogo:

«L’allegazione, prima di tutto ed in tutto,

«La prudenza e la imperturbabilità,

«L’austerità naturale dei costumi,

«La meditazione quasi perpetua,

«L'eloquenza grave ed esatta,

«La lealtà dominante.

«La sua deferenza pe' suoi amici è incredibile a segno di degenerare in soffrimento.

«La sua percettività riguardo agli uomini che gli stanno intorno è soprattutto dominante. In una parola, amico, senza annoiarvi con tutti i confronti, con lutti i contrasti di causalità, di abitatività, di costruttività, di distruttività, la è una testa maravigliosa, organica, senza mancanze, testa che la scienza avrà da studiare e prendere per esemplare.

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«Ora vorrei darvi i particolari che mi avete richiesti quanto a tutto ciò che concerne Garibaldi; ma la mia lettera, già lunga, non potrà mai contenere la metà di ciò che ho veduto ed osservato.

«Non ci sono domestici in casa di Garibaldi; lutti si servono e si aiutano reciprocamente. Io non ho notato come domestico che il cuoco, il quale è un uomo losco e napoletano: quegli è il soprintendente ed il maggiordomo di Garibaldi.

«Hanno fatto testé una sorpresa al generale: uno sconosciuto piantò, al Fontanone, sito favorito di Garibaldi, un pero al quale è attaccato un cartello col titolo: Pero del soldato agricoltore.

«È qui un pittore milanese per nome Zuccoli, venute a fare il ritratto di Garibaldi, il quale gli concede appena pochi minuti di tratto in tratto: il generale, parendogli sempre che il ritratto sia bastantemente finito e rassomigliante, non vuol più stare in positura.

«Pranzammo, il primo giorno, in dodici, mi pare, ad una tavola che poteva al più portare sei posate: il generale era in un angolo della tavola con appena il posto del suo piatto.

«Amico mio, la fareste magra a Caprera: vi so dir io che la tavola non isplende certo per lusso di cristalli ed argenteria: dei bicchieretti da osteria, dei coltelli scompagnati, dei cucchiai di composizione ingialliti, dei piatti di maiolica: eccovi descritto il servizio.

«La prima sera, Garibaldi fu assalito da un forte male d'orecchi in conseguenza di un colpo d'aria:

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gli feci applicare un cataplasma sulla guancia, e passai la notte sopra un canapè alla porta della sua camera.

Il dì dopo egli si alzò alla sua solita ora colla testa fasciata, ed uscì alle cinque del mattino.

«Trattasi a Caprera di un affar grave, cioè di ingrandire la casa di Garibaldi. Il colonnello Deideri portò da Genova un piccolo disegno, che un solo muratore della Maddalena è incaricato di porre in esecuzione. Si diede subito mano al lavoro, e Garibaldi cominciò ad alzare un muro sulle rovine di un mulino a vento, del quale aveva egli stesso messe assieme le pietre alcuni anni sono.

«Io fui testimonio, caro amico, di uno spettacolo che non dimenticherò mai finché avrò vita. Quella mano che tenne tanto alto il vessillo della indipendenza a Varese, a Como, a Calatafimi, allineava una ad una le pietre del muro divisato, e metodicamente le intonacava di malta come farebbe il più modesto manovale.

«—Badate, generale, disse l’architetto-muratore-manovale-imprenditore; io me ne intendo: il vostro mestiere è quello di fare la guerra, meglio che quello di fare i muri.

«— Hai ragione, sai; vado invece a carrettare le pietre.

«E per più di un' ora mi toccò di vedere il generale tirar la carriola, e menar le pietre appiè del muro che si costruiva.

«Sapete che io non sono capace di mentire, e che non me ne va punto ad eccitare in voi un'ammirazione che mi avete le tante volte manifestata; ma codesto fatto, così grande nella sua semplicità,

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così naturale, così scevro di ostentazione, dev'essere raccontato, e fu capitale di voi perché lo sia.»


28 gennaio.

«Il vapore non è ancora arrivato, e ne profitto per iscrivervi ancora poche righe.

«Garibaldi sta meglio, e l'accesso che io temeva, non si è formato.

«Sono già medico della famiglia; ho bruciato or ora un furoncolello che Menotti aveva sul collo, e, lo credereste? ho veduto il generale tremare, a quella operazione, come un fanciullo, egli che non ha guari mandava un figlio nel fitto delle battaglie, dappertutto ov'era da combattere e morire sotto lo stendardo d'Italia.

«È arrivato testé il corriere di Genova: una quantità di lettere, e un numero discreto dl giornali. ll generale spiega il Diritto; ne è uno dei primi abbonati fondatori. Gli mostrano la Illustration di Londra, che riproduce il di lui ritratto,  il quale, fra parentesi, non gli somiglia affatto; il generale ne fa osservazione.

«Non vi ho detto verbo di politica, e certo tutte le mie chiacchiere vi sembreranno insipide. È la cosa che mi fece più senso a Caprera, dove ho passato quattro giorni. Qui non fu detta una parola di politica, non una sola parola. Il nome di Cavour non fu pronunziato. Confessate che in codesto silenzio, in codesto riserbo, nella casa di un uomo che ha tanto da dire sul passato, che ha tanto da fare nell'avvenire, è grandezza, vera grandezza!


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«Il tempo mi stringe, e vi lascio mandando la presente, qual prova della mia buona volontà, scritta a riprese. Non rimarrò che pochi giorni in Sardegna, e fo conto di stringervi la mano nei primi giorni di febbraio. Vale.

«Riboli.»

PS. All'atto di porre il piede sul vapore, mi viene consegnata da parte del generale una lettera di suo pugno, della quale vado superbo oltre ogni espressione: voglio darvene copia affinché sappiate qual delicatezza di sentimento è in quell'anima grande:


«Caprera. 28 gennaio 1861»

«Mio caro Riboli,

«Pieno di gratitudine per le cure premurose di cui mi foste prodigo durante il vostro breve soggiorno in quest'isola, vi prego di accettare una parola di affetto del vostro

«GARIBALDI.»











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