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Ci ha telefonato Nicola Zitara segnalandoci l'articolo di Giorgio Ruffolo in quanto offre interessanti spunti al dibattito in corso sui destini del paese.


Fonte:
La Repubblica 12.05.10

Federalismo e separatismo

Giorgio Ruffolo

12 maggio 2010

Rifare l’Italia era il titolo di un celebre discorso pronunciato alla Camera da Filippo Turati il 26 giugno del 1926. Le circostanze sono radicalmente altre. Ma forse quel titolo ha riacquistato tutta la sua attualità.

Per quel che sta succedendo l’unificazione italiana rischia di essere celebrata, tra qualche anno, non nel segno di una conferma ma sotto l’incubo di una minaccia. Mai come di questi tempi le sorti delle due parti di cui si compone il paese sono sembrate più lontane. Mai esso è sembrato così pericolosamente lungo.

E così insidiato dal rischio di una decomposizione territoriale: una condizione nella quale il Nord somigli, come diceva un grande storico italiano, Adolfo Omodeo, a un Belgio grasso, e il Sud a una colonia mafiosa.

Non soltanto appare incerto il futuro del Paese, tanto che ieri il presidente Napolitano ha dovuto ricordare quale sciagura, quale “salto nel vuoto” sarebbe una secessione. Ma è anche sottoposto a revisione il passato della nazione. «Si vedono emergere giudizi sommari e pregiudizi volgari - ha detto il capo dello Stato in un recente discorso - su quel che fu nell’800 il formarsi dell’Italia come Stato unitario, e bilanci approssimativi e tendenziosi di stampo liquidatorio, del lungo cammino percorso dopo il cruciale 17 marzo 1861. Bisogna reagire all’eco che suscitano, in sfere lontane da quella degli studi più seri, i rumorosi detrattori dell’Unità d’Italia».

In questo clima, il richiamo al federalismo, così insistito da parte dell’attuale maggioranza, rischia di tradursi nella rivendicazione di un separatismo regionale, ove sia limitato all’aspetto dell’autonomia fiscale. Ciò che prevale in questo federalismo separatista è la denuncia del peso che il Nord subisce per trasferimenti di risorse al Sud, ingenti e malamente gestite: il cosiddetto “sacco del Nord”. Ora, che quei trasferimenti siano molto malamente gestiti, è fuor di dubbio. Che ciò, però, giustifichi una loro drastica riduzione sarebbe un gravissimo errore storico: sarebbe l’abbandono della questione meridionale come aspetto cruciale dell’unità del paese, in nome di un nordismo provinciale, miope sia rispetto al venir meno di un impulso che giova a tutto il paese, sia rispetto alla minaccia che grava su tutto il paese, di diventare un “Mezzogiorno d’Europa”, centro nevralgico della grande rete della criminalità mondiale.

Il federalismo non può e non deve essere inteso come separatismo, ma, secondo l’originale ispirazione risorgimentale, quella dei Cattaneo dei Dorso dei Salvemini, come un patto storico tra il Nord e il Sud, che saldi finalmente l’Italia in una autentica unità nazionale.

In questo senso va intesa la proposta di una grande riforma federalista unitaria, basata su due fondamentali innovazioni: l’istituzione delle macroregioni e il patto nazionale tra di esse. Più un terzo elemento essenziale.

La prima proposta muove dalla constatazione del fallimento dell’esperienza regionalistica risoltasi in una frammentazione di governi e di burocrazie locali, fortemente esposti alla dissipazione assistenzialistica e alla pressione corruttrice. Elevare il livello dei grandi costituenti federalisti: il Nord, comprensivo delle regioni settentrionali e centrali e il Sud, di quelle meridionali e insulari. Ciò ridurrebbe drasticamente il peso degli interessi locali e promuoverebbe la formazione di una classe politica non provinciale, capace di rappresentare istanze generaliste.

La seconda individua lo scopo storico del federalismo unitario: quello di realizzare finalmente l’unità della nazione sulla base di un patto di sviluppo comune e comunemente gestito, che non pregiudica l’autonomia fiscale, ma la finalizza a un interesse superiore. Strumento essenziale di questo patto, non una Banca erogatrice, ma un Fondo di programmazione di un piano di risanamento e di sviluppo. Risanamento, soprattutto delle aree urbane del Sud, la cui degradazione sociale costituisce il vero e principale ostacolo alla vittoria sulla criminalità mafiosa e allo sviluppo civile ed economico. Sviluppo, in chiave europea, delle potenzialità economiche rappresentate dall’area mediterranea.

In questo quadro - ecco il terzo essenziale aspetto - avrebbe senso, sia la posizione mediatrice di un “distretto” centrale, costituito da Roma e dalla sua proiezione laziale; sia una riforma presidenzialistica che assegnerebbe al capo dello Stato la responsabilità suprema di garantire, di fronte alle due grandi componenti della costruzione federalista, gli scopi e gli interessi superiori della nazione.

Sono ben consapevole dei rischi e della componente “utopistica” di una proposta così sommariamente riassunta. Ma anche del rischio di gran lunga più grave: quello della decomposizione territoriale dell’unità del paese che l’attuale deriva comporta. E quanto all’utopia, penso che il fatto più grave, e qui parlo soprattutto della sinistra, sia proprio la sua totale e deprimente assenza.



Repubblica di mercoledì 12 maggio 2010 - Federalismo e separatismo di Ruffolo Giorgio

GIORGIO RUFFOLO

Laureato in giurisprudenza, economista, esperto economico presso l'ufficio studi della Banca Nazionale del Lavoro, passa poi all'OCSE. È al fianco di Enrico Mattei, all'ENI dal 1956 fino alla morte di quest'ultimo nel 1962. 

Nello stesso anno viene incaricato dal ministro del Bilancio Ugo La Malfa di riorganizzare gli uffici della programmazione presso il Ministero del Bilancio, assumendo l'incarico di segretario generale per la Programmazione economica, che svolgerà fino al 1975. 

Dal 1975 al 1979 Ruffolo ha presieduto la FIME (Finanziaria Meridionale) per lo sviluppo di nuove iniziative industriali nel Mezzogiorno.

Fonte: https://it.wikipedia.org/












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