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Fonte:
https://www.linkiesta.it/

Per Ricolfi «ha vinto solo l’antiberlusconismo»

Con i referendum del 12-13 giugno si sa chi ha perso ma non chi ha vinto. O meglio, si sa che ha vinto l'antiberlusconismo. Ma, tra i leader dei partiti dell'opposizione, nessuno esce vincitore. Lo spiega Luca Ricolfi, che sottolinea le incoerenze del Partito Democratico e il conformismo che caratterizza il voto referendario.


Chi ha perso, su tutta la linea, è solo Berlusconi. A vincere è stato altro. «È la richiesta di voltare pagina, che ha prevalso. Del resto, dopo vent'anni il ragazzo ha un po' stufato», sorride Luca Ricolfi sociologo e professore ordinario all'Università di Torino, contattato da Linkiesta.

E chi ha vinto? Di sicuro, nessuno dei partiti può mettere il cappello sulla vittoria del referendum. Anzi, tra i leader dell'opposizione c'è stata un'inversione di ruoli «curiosa e divertente». Cioè? «Per esempio, Antonio Di Pietro, di solito populista, ha dimostrato di essere corretto, perché non ha strumentalizzato il referendum». Ma non è che teme la fine di Berlusconi e, con essa, un ridimensionamento radicale del proprio ruolo politico? «Può darsi. Ma io credo sia infuriato piuttosto con Bersani, che si è intestato il Referendum dopo, e non ha fatto nulla prima, mentre Di Pietro si è speso molto».

Tutt'altro si può dire per Pier Lugi Bersani, leader del Pd, che, secondo Ricolfi, ha mostrato di «ignorare le regole più elementari della democrazia liberale, chiedendo le dimissioni del Presidente del Consiglio democraticamente eletto». Con queste dichiarazioni, Bersani avrebbe mostrato tutto il suo «analfabetismo democratico». Tanto che, per Ricolfi, «Di Pietro al suo confronto sembra uno statista».

In ogni caso, il referendum senza vincitori, «non è stato un grande evento». Secondo il professore, si tratta di un voto di protesta, e il successo del sì non ha niente a che vedere con internet, ma molto con Berlusconi. «Un voto anonimo, nel senso che non nomina un successore. Qui prevale il gusto dello sberleffo».

Un punto importante, spiega. «Non ha implicazioni per il futuro». Nelle prossime elezioni, sottolinea, ci saranno i soliti schieramenti: le persone, insomma, si divideranno come hanno sempre fatto, seguendo i partiti, votando per loro. Non cambierà molto.

«E poi non è vero che c'è stato un risveglio degli italiani». Tutt'altro. La partecipazione massiccia «non è, in questo caso, un segno di ritorno alla politica, assolutamente no», dice. «Anzi, è una straordinaria dimostrazione di immaturità politica». E perché mai? «La percentuale del sì, rispetto al no, è schiacciante. Per il sì, la media è del 95%, per il no è il 5%. Percentuali uguali, per quesiti sono del tutto diversi». E come si spiega? «È un caso di conformismo politico», dice. E poi: «Su alcuni, era difficile non votare sì, come per il legittimo impedimento o il nucleare», continua, «su quelli dell'acqua, era più complesso. Una legge complicata, sulla quale anche gli esperti si dividono in parti quasi uguali tra favorevoli e contrari. E invece, tra gli elettori, solo uno su 19 ha detto no».

Ricolfi non crede a un voto informato, e fa a pezzi le celebrazioni dei giornali: «è un voto poco informato, conformistico, gregario. Come ho detto, ha prevalso la logica dello sberleffo. Una modalità infantile», conclude.

Se dai referendum non si può trarre previsioni per la politica, di sicuro di può vedere una conferma al no a Berlusconi: «è la dinamica più forte. L'opinione pubblica si esprime così. Lo hanno fatto nel '91, con Craxi. Nel '74, con la Dc, attraverso il referendum sul divorzio, gli italiani espressero il loro disamore per il partito egemone. Prima ancora, gli italiani voltarono le spalle di colpo a Mussolini. Ora, è toccato anche a lui». 




















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