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Memorie per la storia de' nostri tempi 

dal Congresso di Parigi nel 1856 ai primi giorni del 1863 (pag. 32-36)

di Giacomo Margotti


LE FINANZE E LE IMPOSTE DEL NUOVO REGNO D'ITALIA

(Pubblicato il 9 aprile 1860).

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In questi giorni vediamo un eloquente contrasto, n Governo clericale del Papa, spogliato di quasi tutte le sue rendite, avverte i proprii creditori che si presentino a riscuotere gli interessi delle loro cedole, giacché è pronto a pagarli. E in pari tempo in Torino, in questa capitale del regno d'Italia, alcuni nostri amici si presentano per riscuotere il trimestre delle loro pensioni maturato col primo di aprite, e sentonsi rispondere dal Governo italianissimo: Passate un'altra volta, non vi sono danari. E questa risposta si da pure in Lombardia ai pubblici uffiziali, come ci annunzio il giornate intitolato: II Regno d'Italia e che ben conosce le finanze italianissime.

Il signor Bastogi, già antico cassiere delle finanze di Mazzini e della Giovine Italia, ora è venuto a pigliare il governo delle finanze del nuovo regno d'Italia. Ha dalla rivoluzione egli ha potuto imparare bensì come disperdere le pubbliche entrate, non come riordinarle. Egli però chiamerà in aiuto l'economia politica del conte di Cavour, quell'economia che ha governato il Piemonte dal 4848 in poi, e si riduce a mettere imposte e contrarre imprestiti.

Gli imprestiti già contratti sono tali e tanti che nel 1860 si pagarono di soli interessi più di novantaquattro milioni (L. 94,045,000). E tuttavia bisogna pensare ad un nuovo imprestito. Le finanze sono una Babilonia, e nessun ne capisce nulla. Tuttavia se volete un saggio del nostro bilancio, lo ricaveremo dai calcoli dell'Opinione (N° 97,8 aprile), calcoli fatti a servizio del ministero, epperò molto al disotto del vero. Leggete adunque attentamente.

Nel 1860 noi abbiamo speso 563 milioni (lire 563,302,905). In quest'anno 1861 le spese non saranno inferiori a OTTOCENTO MILIONI, e si può dire che saranno novecento milioni, e forse un bilione. E intanto quali saranno le rendite? Risponda l'Opinione medesima:

«I proventi di tutto il regno, compreso Napoli e Sicilia, pel 1861 non possono oltrepassare 510 a 520 milioni. V'ha anzi più ragione di temere che non si raggiungerà la somma, che da sperare possa essere oltrepassata. Si avrà dunque un disavanzo di 300 milioni. Se mai scoppiasse la guerra, il disavanzo non potrebbe che aumentare così per l'accrescimento delle spese, come per la diminuzione delle entrate».

Capite? L'ex-cassiere della Giovine Italia ci darà questo italianissimo bilancio.

Primo bilancio del nuovo regno d'Italia.


Entrate       500 milioni!            Viva Cavour!

Spese         800 milioni! !          Viva Garibaldi!

Deficit        300 milioni!!!          Viva l'Italia!


Ma quanto si hanno cinquecento milioni d'entrata e se se spendono ottocento, come si fa ad andare innanzi? Queste domanda e la risposta troviamo nell'Opinione stessa dell'8 aprite. Leggete:

«Come provvedere a questa situazione, la quale desta fondate apprensioni intorno all'avvenire del nostre credito? Per quest'anno si negozierà un imprestito, ma gl'imprestiti accrescono i pesi degli anni successivi e sono sputanti che, abusali, finiscono per esaurirsi. La rendila nostra è ora a 75. Un imprestito, questo corso aggrava le finanze enormemente, e dimostri come la fiducia sia scossa. Pure sarà giocoforza di sottoporsi ai sagrifizi che la situazione del regna i lo condizioni del mercato pecuniario impongono. Ma se si vuole chiuderò la serie degli imprestiti, se si vuole dare solidità al nostro credito, conviene pensare a far concorrere i popoli secondo i bisogni, ed a ridurre le spese ne' limiti più ristretti».    .

Bisogna pensare a far concorrere i popoli secondo i bisogni! Ecco la conclusione dell'Opinione e significa bisogna pensare a mettere imposte e sovraimposte' a squattrinare di qua, a mungere di là, a tosare i Toscani, a premere i romagnuoli, a vuotare le tasche de' Modenesi, de' Parmigiani, de' Napoletani, de' Siculi. Ecco a che cosa bisogna pensare! E i popoli dovrebbero panare essi  la bella sorte che li attende e i frutti che producono le rivoluzioni!


IL PRIMO GRAN LIBRO
DELLA GRANDE STORIA DEL GRANDE REGNO
GRANDE EDIZIONE DEL GRANDISSIMO BASTOGI

(Pubblicalo il 2 maggio 1861).

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Il finanziere di Mazzini, ora ministro del gran regno d'Italia, ba pubblicate il primo Gran Libro della nuova storia del grandissimo regno, ed è intitolato: Il Gran Libro del debito pubblico del nuoto regno d'Italia. Il regno d'Italia è il regno dei debiti. Esso ha dei debiti verso l'Austria per la cessione della Lombardia; ha dei debiti verso la Francia che ci aiutò a conquistarle, ed ha già dato in acconto Nizza e Savoia, ma prima che sia saldato il debito acceso ce ne vorranno delle provincie! Ha dei debiti verso la Fruscia, e principalmente verso il sig. Winke; ha dei debiti verso la Germania, debiti che furono confessati nel discorso della Corona del 18 di febbraio 1861; ha dei debiti verso la Russia, dei debiti principalmente versò l'Inghilterra che si pagheranno forse in Sardegna o in Sicilia, e non ba guari acquistò un debito speciale di cordialissima riconoscenza vero il Marocco, il quale in nome della civiltà e del progresso, è in argomento di dolcissima simpatia e di fraterno affetto riconobbe il nuovo regno d'Italia.

Con questi debiti si vogliono sommare i debiti di un altro genere; i debiti di tetti gli antichi Stati d'Italia ; i debiti contratti da Gianduia durante i dodici anni di libertà; i debiti fatti da Farmi e da Pepoli nell'Emilia;  i debiti contratti da Ricasoli in Toscana; i debiti che si ordinarono dai dittatori e prodittatori di Napoli e di Sicilia, e i debiti proposti ultimamente al Parlamento. Donde apparisce con quanto giudico il signor Bastogi abbia intitolato il suo voluminoso Gran Libro di debiti. Oh! sì, grande davvero. Grande pei debiti fatti, pei debiti che si fanno e per quelli che si faranno ancora. Grande perché molte pagine furono scritte dal grande economista Cavour;  grande per te canee, grande per gli effetti, grande perché, come disse tempo fa un deputato, l'Italia sta per diventare la prima nazione indebitata del mondo. La Francia ebbe Cario Magno, la Russia Pietro il Grande, la Prussia Federico il Grondo,  l'Alemagna il Grande Ottone, e l'Italia avrà il Gran Libro del debito pubblico. Se molte piccolezze si fanno dagli italianissimi, come mancar di parola, rompere la guerre senza dichiararla , tirare su di Ancona che ha inalberato bandiera bianca, imprigionare Vescovi, spogliare frati e lasciar morire d'inedia le monache dell'Umbria, in compenso si fanno dei grandi debiti, e si ha il Gran Libro.

Prima però che il sig. Bastogi venisse fuori colla sua proposta che dice: «E' istituito il Gran Libre del debito pubblico d'Italia; due Doputati aveano fatto in Parlamento un'altra proposta, ed era di abbruciare questo Gran Libro, i due onorevoli si chiamano l'uno Mauro Macchi e l'altro Gregorio  Sella. Il signor Mauro, il 27 di giugno del 1860, disse che quando pur fossimo nella necessita «di gettare alle fiamme il Libro del debito pubblico, purché con ciò ci Cosse concesso il bene supremo di viver liberi, poco a noi premerebbe» (Atti uff., N° 107, pag. 416). E il signor Gregario soggiungeva ch'egli pure avea «volontà di gettare alle fiamme quel Gran Libro che si chiama il Libro del debito pubblico» (loc. cit, pag, 417). È dopo che ci hanno parlato di abbruciare il Gran Libro, il signor Bastogi vien fuori a istituirlo!

Basta, veggiamo come si compone il Gran Libro dell'editore Bastogi. «Il  Gran Libro si aprirà coll'iscrizione della rendita creata con legge di questo giorno». La rendita, a cui l'editore accenna, è il prestito di cinquecento milioni effettivi, cioè di oltre a settecento milioni. E sarà il primo grande capitolo del Grandissimo Libro. Poi «con leggi separate sarà provveduto al modo d'includere nel Libro del debito pubblico italiano i debiti pubblici esistenti». E qui il signor Bastogi ci porge il destro di enumerare le parti che avranno i diversi Governi italiani nella compilazione del Gran Libro. I debiti sono un peso per la generatone presente e per l'avvenire. La presente deve pagare gl'interessi, la futura gl'interessi ed i debiti. Veggiamo adunque in quali proporzioni i tirannici Governi italiani pesarono sul povero popolo.

In Piemonte il debito pubblico fu una conseguenza della rivoluzione francese. Dopo la ristorazione di Gasa Savoia, il nostro paese fu gravato di parecchie passività, indennità alla Francia, quota di riparto dei crediti del Monte Napoleone, pagamento delle annue rendite provenienti dal Banco di San Giorgio. Fu dunque iscritta sul Libro del debito pubblico una rendita di L. 4,805,472,62; ma poi trascorsero undici anni senza che questa partita fosse menomamene aumentata.

Nel 1831 Carlo Alberto contrasse un imprestito di 25 milioni, e nel 1834 un altro di 20. Altri piccoli debiti vennero contratti nel 1841 e nel 1844; e dal 1845 al 1847 la loro somma salì a soli 135 milioni. Che miseria, sig. Bastogi, oh che miseria! Eppure si cominciarono le strade ferrate, si ordinò l'esercito, si rifornirono gli arsenali, si avea una marina formidabile, e si conservarono nelle casse di riserva  30 milioni.

Venne la libertà, e colla libertà il 7 di settembre 1848 un prestito formato di 50 milioni; sei nuovi imprestiti furono contratti nel breve giro di tre anni dai 1849 a tutto il 1851 per un capitale di 350 milioni. Alla fine del 1851 noi avevamo già un debito totale di 550 milioni. Poi noi 1853, nel 1854, nel 1855, muovi prestiti per 130 milioni; e nel solo 1859 s'inscrisse sul debito pubblico un aumento di circa 400 milioni; sicché il nostro debito, che dal 1815 al 1847 era di 135 milioni, dal 1849 al 1859 crebbe di 910 milioni, e divenne di L. 1,045,016,209, e al 1° gennaio del 1860 si doyrà pagare un'annua rendita di L. 54,797,054 46. Questo è progresso, questa e civiltà, questa è grandezza ! Nel 1860 la cifra sarebbe ancora pel; prestito di 150 milioni, e per altri motivi ricche al cominciare del 1861 la sua somma totale era di L. 1,169,970,595 48.

Dunque il capitolo primo del Gran Libro istituito dai signor Bastogi sarà il prestito di 700 e più milioni proposto alla Camera. Il secondo il capitolo saranno i debiti contratti da Gianduia, cioè un bilione centosessanta milioni. Il capitolo terzo sarà il debito che i tiranni di Parma fecero pesare su quel povero popolo. E sapete a quanto ascendono questi debiti? Essi formano un capitale di L. 10,558,218, non un soldo di più. Che miseria! Dal 1849 al 1855 il Piemonte ba speso di più per «diritto di commissione ed altre competenze bancarie!»

Viene il capitolo quarto del Gran Libro; e lo hanno scritto i tiranni Duchi di Modena. «Il debito pubblico modenese, dice il signor Vialardi, è il più piccolo tra i debiti degli altri Ducati». E come si può chiamare italiano quel Principe che concorse così poco alta compilazione del Gran Libro del debito pubblico d'Italia?   

E i Papi anch'essi furono poco italiani per questo verso, giacché non figureranno nel capitolo quinto del Gran Libro del debito pubblico d'Italia, che per lire 17,577,120. Fortunatamente i signori Pépoli e Farini accrebbero un pò queste somme; perché in pochi mesi fecero un debito dì cinque milioni per Parma, un debito di cinque milioni per Modena, un debito di tre milioni per le Romagne, e poi un debito di dieci milioni per l'Emilia. Questi sì, che sono uomini grandi, e contribuirono in breve tempo alla grandezza del Gran Libro del grandi debiti del gran regno d'Italia!

Altri tiranni scrissero il capitolo sesto del Gran Libro, e furono i Granduchi di Toscana, i quali non ebbero vergogna d'incominciare solo nel 1847 a contrarre debiti, e ne contrassero uno di soli tre milioni. E dov'era allora, dov'era l'economia politica? Nel 1849 il tirammo Granduca  contrasse un secondo prestito di 30 milioni, e il 3 novembre del 1852 un terzo prestito di 100 milioni, e tutto è qui. Oh vedete un po' che maniera di governare-

Ma venuto il barone Ricasoli, questo sì, che si accinse di gran cuore alla compilazione del Gran Libro del debito pubblico d'Italia. In poco tempo egli contrasse un debito di 50 milioni, guarentito dal Governo Sardo con legge del 25 di gennaio 1860; iscrisse una piccola somma di 600m. lire per le strade ferrate, e poi il 15 febbraio del 1860 contrasse un nuovo prestito di L. 7,188,720 per sopperire a spese, alle quali mancavano le rendite ordinarie. Questi sono uomini! Se Ricasoli avesse regnato in Toscana per tanto tempo quanto vi regnò la Casa di Lorena, che cosa non Avrebbe egli fatto pel Gran libro del debito pubblico del regno d'Italia?

Passiamo al capitolo settimo, il quale fu iscritto dai tiranni di Napoli e di Sicilia. Costoro governavano uno Stato doppio dello Stato di Sardegna, ed ebbero in tatto il tempo del loro regno di non preparare pel Gian libro che una partita, la quale, a tirarla coi denti, non può oltrepassare la somma di 550 milioni. Vi pare! Una Stato come quello delle Due Sicilie, in tanti secoli non contrasse che cinquecentocinquanta milioni di debito.

Ecco intanto l'


INDICE

del Gran Libro del Gran Debito Pubblico

del Gran Regno d'Italia.


Capitolo 1° Introduzione scritta del ministro Bastogi L. 700,000,000
Cap. 2° scritto dai tiranni di Sardegna, Vittorio Emanuele I, Cario Felice, Cario Alberto fino all'anno 1848 L. 135,000,000
Cap. 3° scritto dai grandi economisti politici, Nigra, Cavoor, Tegezzi L. 1,084,970,595
Cap. 4° scritto scritto dai tiranni dei Ducato di Parma L. 10,558,218
Cap. 5° scritto aggksato a Parma in pochi giorni dall'eccelso Farini » L. 5,000,000
Cap. 6° scritto scritto dai tiranni di Modena L. 11,056,380
Cap. 7° aggiunto in pochi giorni a Modena dall'eccelso Farini L. 5,000,000
Cap. 8° scritto dai Papi tiranni L. 16,577,190
Cap. 9° aggiunto dall'economista Pepoli L. 13,000,000
Cap. 10° scritto dai tiranni della Toscana L. 152,080,000
Cap. 11° aggiunto dall'economista Ricasoli L. 56,920,000
Cap. 12° scritto dai tiranni delle Due Sicilie L. 550,000,006
Cap. 13° aggiunto dai grandi economisti Garibaldi, Mordini e comp. (chi lo sa ?)

La conclusione è che nel Gran Libro del gran regno d'Italia si hanno da scrivere fin d'ora lire 2,806,383,583!

Di questi duemila ottocentosei milioni di debito settecento ventidue vennero contratti in tanti secoli dai tiranni, e gli altri duemila ottantaquattro milioni si debbono ai liberali ed ai grandi professori di economia politica. Bravo Bastogi! Il Gran Libro del debito pubblico del regno d'Italia sarà un grande insegnamento pei popoli, e un documento preziosissimo par la storia.


https://www.eleaml.org- 20 Agosto 2008






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