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Quando gli artisti cominciano a indignarsi vuol dire che il popolo sta prendendo coscienza delle cose che non vanno.

Ci auguriamo che la indignazione monti al punto di diventare una valanga e spazzi via la malapolitica che ci ha reso schiavi per centocinquantanni.


Fonte:
https://palermo.blogsicilia.it/

Le ferrovie e l'Unità d'Italia

di Pino Caruso

12 maggio 2011 

Nessuno ne parla, nessuno se ne occupa. Nessuno si scandalizza. Nessuno urla. Nessuno denuncia una disparità iniqua a danno del sud, né politici siciliani e no, né giornalisti siciliani e no; come se la cosa non riguardasse almeno un terzo dell’intero Paese, come se la cosa fosse fatta d’aria e non di strade ferrate e di convogli di ferro. L’insieme dei quali è detto ferrovie.

Bene. Anzi male. Malissimo. La disattenzione dei giornali, per non dire del governo e della televisione – che, nel nostro paese, sono la stessa cosa – circa la situazione delle ferrovie al sud, con particolare riguardo alla Sicilia, è totale. Persino offensiva; eppure i treni da e per l’isola sono di solito pieni; nonostante tutto; ma proprio tutto; ché le ferrovie in Sicilia sanno ancora di Ottocento: una grande occasione per chi fosse intenzionato a viaggiare nel tempo, un pessimo affare per coloro che si ostinano a servirsene oggi. Appartengo a quest’ultima categoria (e un po’ anche alla prima). L’aereo mi spaventa. Il treno mi rassicura.

L’unico incidente di volo che può capitarmi è che un aereo cada sul mio treno. Una coincidenza, per fortuna, altamente improbabile.

Ma veniamo alle cose serie; anzi drammatiche. Le ferrovie, in Sicilia, allo stato attuale, attengono più al surreale che al reale. La velocità (?) dei treni ricorda le locomotive ansimanti e sbuffanti dei secoli scorsi, L’unico, passo in avanti, rispetto a quel tempo, è costituito dalle Littorine (il cui nome da solo racconta la lontananza dalla quale provengono), che collegano (ma sarebbe meglio scrivere ‘che allontanano’) alcune città siciliane tra di loro.

La Palermo Catania, centonovanta chilometri, registra un tempo di percorrenza di sei ore, come la Palermo Messina. Il resto è anche peggio; e su tutte le tratte corre (e si fa per dire) un unico binario. La consolazione che se ne può trarre è, che da noi, un incidente per eccesso di velocità è praticamente impossibile.

I treni Eurostar, Frecciarossa (che percorrono cinquecento chilometri in tre ore e 30 minuti – come quelli in funzione tra Milano e Roma) da Napoli in giù non esistono. E tuttavia, vengono orgogliosamente definiti da Trenitalia ‘il simbolo di un paese che cresce’. Quale Paese? L’Italia? Ma la Sicilia ne fa parte? Non lo so più.

Ma entriamo nel dettaglio del vagoni per il trasporto passeggeri. Quando diventano vecchi (i vagoni, non i passeggeri), e non sono più buoni per viaggiare al nord, quando cominciano a cadere a pezzi, li mettono in funzione al sud, segnatamente in Sicilia. Prendiamo il vagone letto, del tipo Gran Comfort, aggettivato come Excelsior, costo 185 euro, dotato (dotato è un beffardo eufemismo) di carrozze, non soltanto sull’orlo del disfacimento, ma concepite per un diverso uso e per altre e più brevi tratte, quali Roma Firenze, Roma Milano, e per passeggeri muniti di una piccola borsa. Carrozze, di conseguenza, sprovviste di spazi per i bagagli, cioè di quanto attiene alla natura stessa del viaggiare, alla fisiologia del viaggiatore, non, dunque, di ingombri incongrui e imprevisti.

Persino un bambino, nel concepire un treno, si preoccuperebbe di creare gli spazi per le valigie. Trenitalia no. Al posto del bagagliaio c’è una doccia: il superfluo invece del necessario. E qui non posso fare a meno di chiedermi a quale criterio attenga la convinzione che un viaggiatore carico di valigie, piuttosto che provvedere a sistemarle, si premuri di spogliarsi nudo e infilarsi sotto la doccia.

Ma non è tutto: il passeggero si trova a viaggiare in scompartimenti non solo inadeguati, ma anche sporchi, con le pareti unte, screpolate, scorticate, con gli sportelli dell’armadietto rotti, che si aprono a seconda dell’aumento o diminuzione della velocità e sbattono tutta la notte senza possibilità di bloccarli, e la porta scorrevole del bagno che, se il treno si ferma piuttosto bruscamente, scivola come una ghigliottina orizzontale e zac! si infrange sulla serratura scardinata e ti sveglia facendoti saltare dal letto. A destra del quale si possono rintracciare i resti di quella che fu una mensola destinata ad ospitare la bottiglia dell’acqua e un bicchiere. Capita che la mensola ci sia, ma disarticolata, a testa in giù, morta, inservibile; a volte non c’è proprio e sulla parete si riconosce appena l’ombra dei suo disegno. Un po’ più, giù, all’altezza del cuscino, c’è un pulsante per chiamare il conduttore. Pulsante che non si limita a non funzionare, sarebbe troppo semplice, no, ti fa un piccolo scherzo: appena lo premi, si sente subito un suono breve di carillon e una voce femminile che, prima in inglese, poi in italiano ti dice, presso a poco così: abbiamo registrato il vostro messaggio, sarete richiamati appena possibile. Ma da chi? Quel campanello è collegato solo con se stesso e con nessuno essere vivente.

Il conduttore, se ti serve, ti alzi e te lo vai a cercare. E non è impresa facile: non ce n’è più uno per ogni vagone, ma uno per ogni due vagoni. E, se si trova nell’altro vagone, non ti regge l’animo di raggiungerlo in pigiama e di andarlo a svegliare. Già fa il possibile e, qualche volta, anche l’impossibile, per sopperire ai disagi cui si va incontro durante il viaggio!

È piuttosto frequente, infatti, che salti l’impianto dell’aria condizionata e della luce. La luce non tornerà più. E devi aspettare di transitare per una stazione illuminata che ti aiuti ad orientarti in cabina. Puoi solo sperare che almeno, si risolva il problema del riscaldamento. Settanta volte su cento non si risolve. E sarebbe già una fortuna se si limitasse a non risolversi, Trenitalia fa di più: con un senso dell’umorismo degno di una più pertinente, quanto impensabile, destinazione, invece di contrastare la stagione in corso, l’asseconda: se è estate, ti manda aria calda, se è inverno, aria fredda. Il conduttore cerca di rimediare al cattivo funzionamento dell’impianto, spegnendolo; ma non si spegne: lo prende a schiaffi, a pugni, lo insulta (nella disperazione si fa di tutto), niente, l’impianto continua a funzionare senza pietà. Sicché, se è agosto, ti metti in costume da bagno e fai la sauna, se è febbraio, indossi il cappotto, il cappello, ti avvolgi in una sciarpa di lana, ti infili i guanti e rimani per tutto il viaggio, tremante e con gli occhi fissi nel buio. Non sei più un passeggero. Sei un deportato. Che nemmeno viaggia gratis.

Non si pensi che mi stia abbandonando a raccontare il peggio; questa è la norma.

Norma, tuttavia, imprevedibile; ché le inefficienze possono verificarsi o tutte insieme o una o due alla volta. A sorpresa! Secondo l’estro e la creatività del treno. E con l’arroganza e la prepotenza di Trenitalia a dare forma a una mancanza di rispetto, con una buona dose di disprezzo, per la gente del meridione.

E taccio, anzi non taccio, dell’assistenza ai passeggeri: inesistente. Mentre sui treni da Roma a Milano, da Milano a Genova, a Torino, a Venezia, e ritorno, sono in funzione bar, carrozze ristoranti, self service, carrelli con bibite, panini, caffè, biscotti alla crema, alla vaniglia, al cioccolato, distribuzione gratuita di giornali, di auricolari per ascoltare la radio e altro, sui treni che vanno dal sud al nord e viceversa – treni di più lunga percorrenza anche perché più lenti – nessun servizio analogo è previsto. Non si mangia. Mai. “Tanto al sud, ci siete abituati!”, dicono. Ed eccoci dunque forniti di treni che potremmo definire “dietetici”. Ce ne serviamo, infatti, per dimagrire. Né vale il motivo (o la scusa) per cui un servizio di ristorazione non rientrerebbe delle spese: un treno che ha un biglietto costoso come quello che riguarda Palermo Roma, si suppone abbia, di conseguenza, passeggeri in condizione di pagarsi il conto al vagone ristorante (o si ritiene che i siciliani vadano ancora in giro con la valigia di cartone?). Ma, anche ad ammettere per assurdo che una remissione ci sia, il calcolo non è da farsi su ogni singolo treno, ma su tutti i treni in circolazione nel Paese. È criterio di buona democrazia (o la nostra non è buona?) garantire ad ogni cittadino pari trattamento su tutto il territorio nazionale. Se Trenitalia disattende questo elementare principio di equità, dovrebbe essere cura della politica imporgliene il rispetto.

Ho chiesto ad un ferroviere come mai sui treni da e per la Sicilia non ci sia alcuna assistenza alimentare. “Lei deve ringraziare che c’è il treno”, mi ha risposto. In altre parole, al sud, per mangiare in treno, il ristorante dobbiamo portarcelo da casa. Giorno verrà che da casa dovremo portarci anche il treno. E non è un paradosso verbale: è in progetto l’abolizione dei ferry boat e del trasbordo dei treni da Messina a Villa o a Reggio.

“L’Italia è una e indivisibile” recita la Costituzione. Bene, la recita è finita: l’Italia sarà magari una, ma è divisibile, anzi è già divisa. Presto in Sicilia funzioneranno soltanto treni per Messina. Dopodiché, il passeggero, carico di valigie, anziano o giovane che sia, si trascinerà fino ad un traghetto, che lo trasporterà al porto di Villa San Giovanni (o di Reggio Calabria), dal quale raggiungerà la stazione ferroviaria di Villa San Giovanni (o di Reggio Calabria), per montare finalmente su un treno per il nord.

L’isola verrà chiusa in se stessa, praticamente staccata dal resto del Paese; il quale – guarda la coincidenza beffarda – ha festeggiato di recente il 150° anniversario della sua Unità. E sarà come se a Messina avessero innalzato uno steccato, una frontiera.

Proprio adesso che l’Europa si unisce, l’Italia si divide!






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