Dopo il 1861 e cioè una volta incamerato il lautissimo bottino, la controinformazione volle completare l’opera prendendo di mira i meridionali definendoli, oltre che briganti, anche lavativi, sfaticati, lazzaroni se non canaglie. Oppure macchiette, ridicoli pulcinella. Antonio Pagano, che ne è il prefatore, mi inviò tempo fa una plaquette di Arturo De Cillis dal titolo:
Quando i Borbone ordinavano: facite ammuina!. «Facite ammuina», ovvero fate finta di lavorare, di darvi da fare, è forse il più noto degli stereotipi fatti circolare per denigrare il napoletano.
Un falso, naturalmente, come con facilità dimostra De Cillis. Primo perché l’ordine è scritto in napoletano mentre fin dal tempo di Carlo III leggi e regolamenti del Regno erano pubblicati in italiano.
Secondo perché non esisteva una «Marina militare del Regno», come si legge nell’intestazione dell’ordine, ma, un’«Armata di mare».
Terzo perché il firmatario dell’ordine, Maresciallo in capo Mario Giuseppe Bigiarelli, non èmai esistito: non ve n’è traccia nei pur dettagliati elenchi di ufficiali e sottufficiali che prestarono servizio nell’Armata di mare. Pare sia stato Beaumarchais a uscirsene col celebre: «Calunniate, calunniate, qualcosa resterà».
Sarebbe soddisfatto nel constatare che delle calunnie antinapoletane altro che qualcosa: è rimasto tutto.
Paolo Granzotto
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