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Questo il rapporto ufficiale, la realtà dei fatti ovviamente fu ben diversa. Scrive Orazio Ferrara:

“Eppure è stato documentato da storici imparziali che molti di quei capipopolo e gran parte dei picciotti delle squadre armate, fatti passare per mafiosi e manutengoli dei Borbone, avevano un passato di tutto rispetto in nome dell'unità d'Italia. In pratica erano le stesse squadre e i medesimi capi che nel 1860 avevano permesso la tranquilla passeggiata di don Peppino Garibaldi in terra di Sicilia.”

(Le sette giornate di Palermo di Orazio Ferrara)


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RAPPORTO
AL
MINISTERO DELL'INTERNO

RELATIVO

AGLI AVVENIMENTI DI PALERMO
(16-22 SETTEMBRE  1866)
DELL’EX-PREFETTO  DELLA PROVINCIA
Comm. TORELLI
SEGUITO DALL ESPOSIZIONE DEL MEDESIMO
FATTA   AL  CONSIGLIO   PROVINCIALE  DI  QUELLA   PROVINCIA
il 3 SETTEMBRE 1866

INTORNO ALLA PUBBLICA SICUREZZA.






FIRENZE
TIPOGRAFIA  DI  G.   BARBÈRA
1866

ECCELLENZA,


La posizione che io occupava qual Prefetto della provincia di Palermo, quando sopravvennero i gravi avvenimenti del suo capoluogo, nella settimana che corse fra il 16 e il 22 prossimo passato settembre m'impongono l'obbligo di sottoporre a V. E. esatto ragguaglio intorno ai medesimi. Le molte occupazioni prima di abbandonar Palermo, non mi permisero sdebitarmi prima; ora ritengo poterlo fare con quella pacatezza, che richiede sì delicato argomento.

La prima dimanda, che sorge, ed anche la più ovvia, all'annuncio di un tanto fatto, si è quella di chiedere se l'Autorità non sapeva nulla di quella cospirazione, se non prese alcun provvedimento, e nel caso positivo, quali siano stati; all'apparenza almeno, sta contro l'Autorità.

Per rispondere a tale domanda è necessario premettere alcune nozioni intorno ad altri annunci di moti, che dovevano scoppiare in determinato giorno ed ora, e che ebbero non poca influenza su quello del 16.

Era da tempo che si diceva, che doveva scoppiare un moto, avvenire un disordine,


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e per non occuparmi che dei fatti avvenuti durante la mia amministrazione, dirò che una di queste epoche annunciate fu il 15 luglio, giorno di Santa Rosalia. Si presero allora tutte le precauzioni, si disse che molti cittadini si erano premuniti di cibo per più giorni, poiché nel volgere di pochi anni, ossia dal 1848, sarebbe stata la terza insurrezione che Palermo avrebbe veduta, ed i timorosi cittadini ricorrevano a questa naturai precauzione; in realtà nulla avvenne.

Un’altra volta fu. annunciata il 4 settembre, sempre con i medesimi indizi, e si mandò in giro la truppa, ma non avvenne nulla; con maggiore insistenza fu detto, che il movimento avrebbe luogo l’8 settembre, ed anche allora mi si riferì come fatto certo, che i cittadini facevano provvista di commestibili in modo, che sortiva dell'ordinario; vennero mandate perlustrazioni da ogni parte, sopratutto ai luoghi indicati come punti di convegno, ma non solo non si poterono trovare malandrini riuniti, talché torné vana la spedizione, ma siccome parte della truppa dovette pernottare a ciel sereno nella notte dell’8 al 9, ebbi più soldati che ritornarono ammalati.

Che si aggirassero ben molti malandrini, non solo lo sapeva, ma lo aveva annunciato anche io nella esposizione intorno alla sicurezza pubblica fatta al Consiglio Provinciale, e narrato come già nel luglio ed agosto si organizzassero colonne mobili colle poche forze, che allora si avevano per combatterle, ma con poco frutto per le cause ivi enumerate.

Il 15 settembre si ripeterono le stesse voci s'indicarono luoghi, si disse che i cittadini facevano provviste di commestibili, perché domenica, ossia l'indomani, dovevan aver luogo disordini. In quel giorno (15)


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cadeva una perlustrazione generale, che era stata combinata, e veniva diretta dal capitano della compagnia esterna dei Carabinieri; tre giorni erano stati scelti per tale operazione, il 10, il 12 ed il 15. Concorrevano a queste perlustrazioni le truppe, che si trovavano disponibili nelle diverse stazioni, ove erano state collocate in rinforzo della pubblica sicurezza coi Carabinieri, e si facevano da ognuno di questi piccoli corpi nella propria sfera, ma contemporaneamente. Così il 15 concorsero quelle di Monreale, Montelepre, Bagheria, Misilmeri, Casteldaccio, Marineo, Piana dei Greci, Parco, e per ultimo vi concorsero quelle della sezione Orto Botanico e del Molo. Queste perlustrazioni forti, quali di 20, quali di 40, e le più numerose di circa 60 uomini, erano comandate: quella della Piana dei Greci dal capitano stesso dei Reali Carabinieri, le altre da delegati di Pubblica Sicurezza, e due sole, quella di Casteldaccio e di Parco, dal comandante la stazione dei Reali Carabinieri. Quella perlustrazione generale, fatta nella giornata del 15, non diede altro risultato, che la cattura di qualche individuo, terminò prima di sera, ma nulla scoprì di quanto si fosse ordito sopra di quella insolita scala.

Nel dopo pranzo di quello stesso giorno io ricevei un biglietto di persona amica, che mi avvertiva, che in un determinato luogo al di là dell'Oreto eranvi riunite persone di malaffare, m'indicava la via a tenersi per andare a sorprenderle, e più avvertiva ancora, che si facevano provviste di pane. Io mandai immediatamente quel biglietto al signor Questore, perché facesse tosto verificare i fatti ivi esposti. Tengo ancora la risposta, che mi fece poche ore dopo, nella quale è detto, che si eseguì puntualmente da due delegati


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seguiti da più guardie quanto era accennato, ma nel luogo indicato nulla si trovò; che le medesime tornando dal corso Pisani, videro le botteghe di commestibili provviste come al solito.

Non per tanto in Palermo continuava a correre la voce di gravi disordini, e quantunque non sortisse da quei termini, con cui si erano preconizzati le altre volte, tuttavolta, sia perché fosse più insistente, non solo si fece quanto le altre volte, ma di più; il che è mio primo obbligo di accennare, anche per le conseguenze che poi ebbero quelle disposizioni.

Nella sera il Questore scrisse a tutti gl'ispettori (erano 6, corrispondenti a 6 mandamenti, 4 interni e 2 esterni della città) onde verifìcassero se sussistesse il fatto di quelle straordinarie provviste e sintomi insoliti. I medesimi risposero, che correvano i soliti allarmi, che si era fatta qualche provvista di pane dalla bassa gente, ma che sintomi di prossimi gravi disordini non esistevano, anzi gli ispettori del Molo ed Orto Botanico asserirono che nella rispettiva località non eravi nemmeno l'annunciato indizio relativo all'acquisto del pane. Queste relazioni esistono scritte. Intorno alle 8 e mezzo il signor Questore riunì gl'ispettori, e richiesti di nuovo di questi allarmi, riconfermarono, che ad eccezione dell'acquisto di pane, che del resto si era verificato anche P8 settembre, nulla eravi di nuovo.

Verso le 10 sera, venne da me il signor generale della guardia nazionale, Camozzi, a dirmi che correvano quelle voci; io gli risposi, che non mi giungeva nuova la cosa, che anzi poche ore prima aveva fatto procedere alla verificazione dei fatti speciali, che mi erano stati segnalati, ma era risultato nulla di quanto


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si asseriva: non rammento se già allora mi chiedesse se stimassi utile che si battesse la generale per chiamare la guardia nazionale, ma in ogni modo è certo, che non era il mio avviso.

Verso la mezzanotte il questore trovandosi in ufficio coi signori ispettori Prina e Taramelli, udirono alcuni colpi dalla parte di Monreale. Si mandò l'ispettore La Porta con trenta uomini a verificare cosa fosse. Si unirono spontaneamente l'ispettore Bolla ed il delegato Castagnone. Andarono sino alla Rocca di Monreale, e trovarono nulla; chiestone conto al comandante la stazione delle guardie in quel luogo, nulla seppe dire, soggiungendo che essendo stanchi per la perlustrazione di tutta la giornata (ed era quella che accennai) stavano riposando.

La truppa venne consegnata al delegato Barillà, che ne aveva altro drappello, e doveva far perlustrazione verso i Porrazzi. GÌ ispettori Bolla, La Porta ed il delegato Castagnone entrarono soli in Monreale, ed andarono al Convento dei Benedettini. Questi li avvertirono che non sortissero perché eravi in paese la banda Cuccio e Spumato e molti armati; ma non curando l'avviso verso il giorno sortirono, ed il povero Bolla essendo stato riconosciuto fu ucciso dai briganti, gli altri due poterono salvarsi; il La Porta venne a Palermo, il Castagnone si ricoverò di nuovo nel convento dei Benedettini

Poco dopo la mezzanotte il signor questore mandò alla caserma di San Giacomo, perché venisse allestito un battaglione, ed all’ispettore del Molo, avvocato Fascio, l'ordine di perlustrare e di rinforzare le carceri. Già fino dal 3 settembre il sig. generale Righini aveva emanato ordini pel caso di gravi perturbazioni nella


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città, diretti agli uffici subalterni, e mandata copia alla Prefettura, che l'aveva passata alla Questura, e come dovessero tosto prestarsi. Fu in conseguenza di quegli ordini preventivi, e della richiesta del questore, che le carceri poterono venire rinforzate in tempo dalla caserma dei Quattro Venti, che rimase quasi interamente vuota, restandovi intorno a 40 uomini o poco più.

Int-orno alle 4 e mezzo il signor Gamba, aiutante del generale Camozzi, venne da me e mi disse che si sentivano fucilate ai Porrazzi, e chiese di nuovo se non conveniva battere la generale.

Per me, l'ultima notizia che aveva avuto era sempre quella risposta data al mio ordine di verificare il contenuto dell’avviso ufficioso intorno alla riunione delle persone sospette al di là dell’Oreto, ed intorno all'acquisto del pane. Risposi come la sera al signor Camozzi, che non lo credeva necessario, avendo del resto poca fede nella guardia nazionale, e concorrendo nel mio avviso anche gli uomini più cospicui della città.

Il comandante del posto di guardia del convento dello Spirito Santo a difesa del Monte di Pietà, non contento di avere immediatamente ceduto quel posto alla prima squadra che si presentò, indusse il maresciallo delle guardie di pubblica sicurezza, sig. Bianco, che era stato fatto prigioniero dopo ostinata difesa, a scrivere una lettera al comandante della caserma centrale, perché si arrendesse con tutte le guardie, cosa che non ebbe luogo, perché invece fu soccorso e liberato. Allorché l'applicato Tresca in colonna mobile a Montelepre ritornò a Palermo con l'avanzo dei soldati rimasti superstiti, e venne fatto prigioniero presso San Francesco di Paola, vide fra gl’insorti un uffiziale della guardia nazionale dell’Olivuzza.

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Si fu in buona parte coi fucili della guardia nazionale che venne sostenuta la lotta, per non parlare che delle armi.

Sono fatti che ben volentieri mi sarei astenuto dal citare, se non mi costringesse l'obbligo di dire la verità. Si noti poi che la generale fu battuta intorno alle 5, e sino verso il mezzogiorno i luoghi mal sicuri furono pochi; la guardia nazionale non venne perché non volle venire/ come prevedeva io ed il signor Sindaco. Del resto quei pochi, ma valenti e rispettabilissimi ufficiali, che dopo avere preso parte ai tentativi per reprimere i primi moti, diedero la loro dimissione, lo fecero premettendo tale ragione, che basterebbe essa sola a giustificare il mio sentimento.

La cosa più grave nell’annuncio dell’aiutante Gamba, era quella delle fucilate, benché non mi sorprendesse, perché altre volte si erano fatti consimili attacchi. Immediatamente mi alzai, ordinai si attaccasse il legno, ed andato alla caserma dei carabinieri, presi meco un uffiziale e due soldati di quell’arma, e mi avviai celermente verso il luogo donde venivano i colpi; presto vi arrivammo, non distando che circa due chilometri dal palazzo. Il fuoco durava ancora, ma già lontano verso i giardini del duca di Nemour ed anche più in là sulla destra; un carabiniere che era colà, mi disse che era una banda di malandrini non maggiore di una sessantina di uomini, che era stata attaccata dalla pattuglia condotta dal Barillà, quella alla quale si erano aggiunti i 30 soldati mandati a Monreale, e che inoltre era arrivata allora un'altra compagnia partita dal quartiere di San Giacomo. Nessuna resistenza seria avevano fatta quei malandrini, ma si erano  dati alla fuga, protetti dai filari di fichi d'India;



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due di essi rifuggitisi in una casa, vennero presi mentre era colà io, e si trovarono su di loro i fucili ancora caldi; l'uno mi parve facile da guardia nazionale, l'altro era una vecchia arma. Ordinai si conducessero tosto alla Questura e si esaminassero; la mia attenzione in quel momento era rivolta a tre carabinieri che giacevano a terra ivi presso.

Il primo fatto, e ben degno di quei malandrini, era stata una scarica fatta da oltre 40 di essi, appiattati dietro un muro, contro un drappello di cinque carabinieri in perlustrazione. Uno rimase morto sul colpo, un altro aveva la testa tutta sfracellata, ed un terzo gambe e braccia rotte, gli altri due erano rimasti illesi. Fatta quella scarica, gli assassini avevano tosto preso il largo, e si erano uniti ad alcuni altri, ed erano poi quelli che fecero le fucilate già citate. Due carabinieri erano colà cercando prestar aiuto ai due che giacevano a terra, ma non avevano mezzi di sorta. Interrogati da me cosa credessero di quel moto, risposero che era uno dei soliti tradimenti di quei scellerati, ma che credevano tutto finito. Io rivolsi le mie cure ai due feriti, l'uno anzi moribondo; ordinai si cercassero tosto mezzi di trasporto; le case vicine erano tutte chiuse, e si rifiutavano ad aprire; dovetti minacciare di far abbattere le porte, non si trovavano carri, feci cercar scale a mano, e finalmente se ne trovò una, sulla quale venne adagiato su materazzo quello che aveva le gambe e braccia rotte, ma poi piegando la scala e minacciando rompersi, fu. sequestrato un carretto, che veniva carico di verdure, e fu posto su quello; l'altro lo feci porre nel mio legno e condurre all'ospedale. Fui obbligato a dare anche questi dettagli, perché quei fatti influirono a farmi perder tempo, e dovetti poi


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ritornare a piedi in città. Quivi arrivato, appresi come fra le 5 e le 6 alcune bande vi fossero entrate da diverse parti, da porta di Castro, da Porta Sant'Antonino ed altre; si sentiva qualche fucilata, ma rara. Trovai il signor generale Righini nella piazza del palazzo reale, che mi disse aver date disposizioni; io andai al mio uffizio, stesi l'ordine a tutti i distaccamenti nel circondario, che venissero tosto a Palermo; chiesi al Questore delle disposizioni da lui date, segnatamente delle carceri, e mi narrò quanto avea fatto nella notte. Io scesi quindi di nuovo in piazza col signor consigliere delegato Basile, e mi diressi con lui al municipio come il punto centrale, e dove avrei apprese le nuove le più esatte. Arrivato ai Quattro Cantoni, mi si disse, che vi era una barricata in via Macqueda d'onde si sparava. Mi avvicinai, per quanto era possibile, per esaminarla, e piuttosto che una barricata, poteva dirsi solo un principio di barricata; essendo costituita da un tavolazzo quadro con poche assi, e qualche mobile rovesciato, ma non prendeva che una metà, e meno ancora, della via dalla parte destra andando verso la porta; e distante intorno a 100 metri o poco più. un'altra di eguai natura eravi più addietro a poca distanza dal grande monastero delle Stimmate.

Io le giudicai di ben piccola importanza, e tali che con un colpo ardito di mano facilmente si potevano prendere. Eranvi colà il duca della Verdura ed il signor ispettore Beltrani e portavano egual giudizio, e si parlò coll'uffiziale della facilità di girarle. Andato io al municipio, trovai la Giunta in permanenza, appresi come fosse stato assalito fino dal mattino il palazzo municipale, ma come i malandrini si fossero ritirati alla prima resistenza, e vi erano state vittime


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due soldati di guardia alla Posta, che si trova dietro il municipio. Vi era anche il signor comandante della guardia nazionale ed una quarantina di militi, non che alcuni funzionali di mia conoscenza, e fra gli altri vi era il signor presidente Morena.

Dal palazzo municipale mandai il primo mio telegramma al Ministero, l'opposizione era ancora così fiacca che sperava vincerla; l'ora precisa non solo non rammento in modo esatto, ma anche rammentandola può non corrispondere a quella dello invio dal municipio, perché ha potuto dipendere anche dal messo. Se ni uno di quelli che con qualche sangue freddo giudicassero i pericoli d’allora, che veramente non erano grandi, può essere stato recato tosto; se invece fu uno timido, può aver ritardato, né io mi curai in appresso di verificare.

Quanto mi premeva si era che si prendessero le due piccole barricate di via Macqueda. — Una sortita, che poco dopo fece il Sindaco con alcune guardie e volontarii fino alla piazza poco stante, detta della Fiera Vecchia, aveva procurato l’arresto di due armati, credo senza nemmeno far fuoco; era un buon preludio, ed io mandai a chiedere 50 soldati al generai Righini che li mise a mia disposizione, e si decise che si facessero due colonne, Y una dei soldati, l’altra delle guardie nazionali e volontarii, e ci ponessimo a capo noi due. Così combinata la spedizione (credo fosse intorno alle undici ore), si traversò la via di Toledo, e si entrò in una piccola via, ohe conduce in un luogo detto della Bocceria. Quivi incontrammo alcuni malandrini che fecero fuoco, ma si rispose, e poi si caricarono alla baionetta; due rimasero morti, e due furono fatti prigionieri; questo primo successo senza perdita da parte


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nostra animò; si voleva che facessi fucilare quei due presi con le armi alla mano, come già innanzi mi era stato richiesto al municipio pei primi due, ma fa impossibile aderire, non potendo io appoggiarmi a nessuna legge; si persuasero però facilmente e si progredì; si passò il Largo San Domenico, e poi si arrivò all'Olivella. In quella corsa si presero altri due, benché solo con armi bianche alla mano; quei prigionieri furono di danno, perché volendosi porre al sicuro, si condussero con molta perdita di tempo sino alle Finanze ove eravi un corpo di guardia. Lungo tutte quelle vie non si ebbe più scontro. Alle Finanze si unirono alcuni altri, e tal era già la speranza dei cittadini che tutto fosse finito, che l'intero corso Vittorio Emanuele si rivestì di bandiere tricolori; si fecero evviva; ma rimaneva sempre lo scopo principale, quello delle barricate in via Macqueda; si rifece la stessa via e si giunse fino all'Olivella senza incontrar ostacolo: presso la piazza di quel nome vi ebbero alcune fucilate dalle vie traversali; da quivi si procedette a via Macqueda per due piccole vie parallele, l'una che sbocca verso il centro del monastero delle Stimmate, detta via della Bara, l’altra verso l'estremità del medesimo detta via dell’Orologio; nella prima vi era io con quanti mi seguivano militari ed alcuni altri, nell'altra il Sindaco. Era indispensabile sboccare da due parti, perché essendo le vie assai strette, era pericoloso cimentarsi in una sola; s'irruppe contemporaneamente in via Macqueda, ma quivi dal monastero delle Stimmate ci venne una forte scarica seguita poi da fucilate, che produsse un panico nelle due colonne e retrocessero. Il monastero, che per sua natura può già dirsi una fortezza, ha in cima all'altezza di un terzo piano tutte le finestre sporgenti, munite da


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graticci in ferro, talché i malandrini potevano offendere essendo al sicuro. I soldati tutti di seconda categoria e da tre mesi in media, e non più, sotto le armi, si erano già un po’ sgominati al primo fuoco presso la Bocceria, ma l'esempio degli ufficiali, che si comportarono sempre benissimo, quello di veder anche borghesi andar avanti, li aveva ricondotti in rango; ma quel genere nuovo di pericolo, quella pioggia dall'alto di un nemico che non si vede, colpì l'immaginazione, e non resistettero: tuttavolta non si avevano avuti che tre feriti, un soldato ebbe traversata una mano, ma si trovava colà anche il professore Tornasi, che tosto la fasciò; vi ebbero diverse contusioni innocue di palle di rimbalzo. Io instavo per un altro tentativo appoggiandomi alla inettezza di quei tiratori, sempre persuaso che fosse ancora cosa non difficile il prendere quella barricata, ma non si giudicò potersi fare con successo in quello stato d’animo, e si andò di nuovo al municipio.

Da quivi mi recai immediatamente dal generale Righini, pregandolo mandasse un battaglione e forza bastante per prendere quelle due piccole barricate. Il generale mandò il maggiore Fiastri del 10° granatieri con due compagnie. Giunto ai Quattro Cantoni e vista quella barricata, misurando il coraggio degli altri dal proprio che era grandissimo, non trovò che valesse la pena di girarla, ma preferì prenderla di corsa e di assalto ed entrò in via Macqueda con tutta la truppa. Cominciò questa a fare un gran fuoco con che in realtà si disarmò, e dalla barricata si tirò entro quella massa con sicurezza, e tosto furono feriti alcuni soldati, il maggiore stesso, benché leggermente, cadde morto un tenente, e la truppa retrocedette in disordine.


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Allora io perdetti la speranza di vincere e sedare quel moto, e fu dopo quel fatto, che spedii il secondo telegramma assai più forte del primo, e col quale chiedeva si permettesse proclamare anche lo stato di assedio.

H generale Carderina chiedeva rinforzo a Messina, e faceva conoscere anche esso la difficile posizione al Ministero della guerra.

Allora si dovette pensare a concentrare la difesa, fu deciso che una compagnia rimanesse a tutela del palazzo municipale col generale della guardia nazionale, le poche guardie rimaste sempre fedeli, ed alcune guardie doganali; che il Sindaco e la Giunta si riunissero al Prefetto al palazzo reale, ove eranvi ancora i due generali Carderina e Righini. Nel dopo pranzo pervennero i dispacci rassicuranti da codesto Ministero, che si erano date le pronte disposizioni perché venissero tosto due battaglioni da Napoli, ed altra truppa direttamente da Livorno. Da Messina venne Y annuncio di un battaglione che si spediva in giornata stessa, e che doveva arrivare l'indomani mattina. In ultimo pervennero i dispacci dal Ministero, che si mandava truppa da Ancona, e la flotta da Taranto. Furono gli ultimi, perché dopo le comunicazioni furono poi interrotte nel mattino del lunedì sino alla liberazione, ma quei dispacci arrivarono in tempo per sostenere poi il coraggio in quella città. La truppa concentrata al municipio mandò a dire che non aveva munizione per tutto quel numero. Pregai il generale Righini a darmi una cassa intera, e siccome mi premeva che arrivasse presto, fatta suddividere in cestoni portati da sei soldati, siccome la retta via era poco sicura, ed io ne conosceva una meno esposta, li condussi io e ricondussi poi senza che alcuno soffrisse danno.


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Verso sera arrivarono alcuni dei distaccamenti che io aveva richiamato; quello di Bagheria entrò in città e venne al palazzo reale, altro dalle vicinanze di Monreale venne pure, come un terzo comandato dal delegato del Molo, che non aveva più potuto ritornare al suo posto.

Nella notte aumentarono i malandrini, e cominciarono a suonare a stormo dai campanili di alcuni conventi e monasteri, mandando tratto tratto grida sei

L’indomani intorno alle sette sbarcò il battaglione venuto da Messina. D gran Corso Vittorio Emanuele non era ancora occupato da insorti, né ingombro da barricate, ed il battaglione traversò con giubbilo dei cittadini che. applaudivano tutta la lunghissima via, non avendo avuto che qualche fucilata ai Quattro Cantoni, ma che non fece alcun male.

Arrivarono al palazzo reale e furono applauditi di cuore quivi pure. La guarnigione del municipio difettava di viveri; ritornare immediatamente sino al municipio, ossia a poco più del terzo della via percorsa, anche solo con una metà di quella truppa portante il pane, era una operazione di risultato certo, perché nessun ostacolo avevano incontrato, ma erano digiuni anche essi, perché partiti in fretta da Messina prima di poter fare il rancio, e si volle prima si rifocillassero essi. Questo produsse un ritardo che gl’insorti utilizzarono occupando diversi punti in via Toledo. e fra gli altri, il Monastero del Salvatore. Il battaglione con in mezzo un carro carico di pane tirato da un mulo si avanzò, per andare al municipio, ma colto a circa metà via da fucilate, e spaventatosi il mulo, e poi essendo caduto, ne venne uno scompiglio,


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e vi volle del tempo per farlo rialzare. Frattanto i rivoltosi tiravano in quel gruppo, ferirono parecchi soldati, e come anche essi erano nuovi, anziché proseguire, retrocedettero; questo fatto recò scoraggiamelo. Per mala sorte poco dopo in quel giorno stesso, l’animosissimo Maggiore Fiastri essendo andato troppo oltre fu colto da una palla, che lo ferì gravemente sopra l’anca destra attaccando le viscere, e dopo undici giorni di sofferenze quel bravo ufficiale dovette soccombere, contento almeno di apprendere, che quel turpe nemico non erasi impadronito mai di nessuna posizione difesa.

Durante il lunedì vennero numerose squadre dai luoghi circonvicini in città, e cominciarono a fare qualche barricata anche in via Toledo.

Dal canto nostro se ne fece una forte, che dominava l'accesso a quella via da un lato, e dall'altro la larga via che conduce alla cattedrale, e vi furono posti due pezzi di cannone. Si prese poi possesso del monastero dei Sette Angeli, che domina la piazza della cattedrale.

. Nella notte dal lunedì al martedì poco dopo la mezzanotte, la guarnigione e le persone che erano al municipio, non avendo potuto avere i viveri, sortirono in colonna e vennero a palazzo.

Pur troppo narrarono, che il bravo capitano Bruni, che comandava quella compagnia, era rimasto morto colpito da una palla in fronte.

Il martedì si aspettava lo sbarco dei battaglioni provenienti da Napoli; un accidente sopravvenuto alla macchina ne aveva ritardato l'arrivo, e fu fatale, perché frattanto ingrossarono oltremodo le squadre, e pur troppo molta plebe della stessa città, fatta causa comune coi malandrini, cominciò a saccheggiare.

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Scopo principale della difesa doveva essere quello di tenersi aperte le comunicazioni; e per verità io opinava cosa opportuna riprendere i Quattro Cantoni passando da casa in casa nella linea sulla sinistra discendendo, padroni come eravamo del primo fabbricato in testa, ossia del monastero dei Sette Angeli; ma il signor generale non credette avere abbastanza truppa disponibile per guarnire tutta quella linea. Siccome però il primo isolato era costituito non solo dal grande monastero accennato, ma di un palazzo attiguo di ragione del barone Mule, io ravvisai indispensabile di aprire una comunicazione almeno con quello, onde non avvenisse che gl'insorti, prendendolo essi, ci molestassero poi anche nel monastero che dominava la piazza della cattedrale, e parte anche della piazza del palazzo reale. Avendo ai miei ordini le Guardie di Pubblica Sicurezza, alcune delle quali avevano spiegato molto coraggio, ne presi una dozzina, e col signor ingegnere Brunelli nella notte del martedì andai nel monastero suddetto, e feci aprire la comunicazione in poche ore. Il padrone, ben lungi dall'avversare quella operazione, ne fu soddisfatto e faceva coadiuvare dal1 altra parte; in realtà, era maggior sicurezza, anche per esso, e con quella operazione ci rendemmo padroni di tutto l'isolato. Mi accompagnò in quella spedizione il bravo Sindaco; nella casa del Di Mule vi era il signor avvocato fiscale generale cavalier Lucchini, che poco dopo ritornato io a palazzo si fece una premura di venire1 ad offrire i suoi servigi.

Nella giornata stessa del martedì i battaglioni venuti da Napoli tentarono di soccorrere il palazzo reale prendendo la via esterna a destra della città, ma il numero degl'insorti era così straordinariamente ingrossato,


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che il comandante avendo incontrato forte resistenza, certo qual’era che l'indomani dovevano arrivare nuove truppe, retrocedette al molo; l'arrivo di quella truppa ebbe però il felice risultato di assicurare le carceri, che vennero approvvigionate, come pure Castellammare.

L’infelice successo di quel tentativo, che dall'alto dell’osservatorio astronomico si poté seguire passo passo, la sorte toccata ad una compagnia spedita incontro dal signor generale Righini per dar mano a quell’aiuto, che venne avviluppata da insorti e dovette arrendersi,1 la combinazione che in quella giornata non si videro comparire altri vapori, reagì forte sullo spirito di molti degli assediati, perché tale era la nostra situazione. Si cominciò a dire, che già erano state prese le Finanze e le Prigioni, e che la situazione era gravissima, che vi volevano più di ventimila uomini e non so quanto tempo a riprendere Palermo. Fortunatamente si potè tosto smentire una delle esagerazioni; sulle Prigioni sventolava sempre una gran bandiera tricolore, che dall'osservatorio si distingueva benissimo.

Più inquietanti furono le voci che si sparsero intorno alla mancanza di viveri e munizioni. Il numero delle persone racchiuse nella cerchia da noi difesa, salendo a circa tremila, delle quali intorno a 500 erano borghesi, che vi dimoravano con alcuni che vennero in quella circostanza, si dovette pensare a misurare le razioni di pane a tutti, e furono ridotte a metà. I carabinieri già nei giorni addietro avevano procurato scorte vive nelle vicinanze, ed erano riesciti ad avere


(1) Tale era la credenza in allora; in realtà la compagnia dopo aver subite alcune perdite e col capitano ferito, riesci a salvarsi nel forte di Castellammare.

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da 15 in 16 grossi capi, ma la gran parte erano stati consumati; una incetta, con più modesto ma sempre utile risultato, l’avevano fatta anche le guardie di Pubblica Sicurezza, ed attivissimo era l'intendente Ferrerò, ma il numero forte dei consumatori mi determinò a prendere anche io ingerenza diretta, e nominai un Comitato viveri che si desse special cura di raccoglierne, e lo composi del capitano della guardia nazionale, signor Perricone, che conosceva tutte le località, di un ufficiale della truppa, il signor tenente Seraceni e di un ufficiale dei Carabinieri reali, signor tenente Gori. Essi apersero di forza più botteghe, si trovò pasta, ed un magazzino di formaggio, che esso solo poteva rappresentare molte ma molte migliaia di razioni; si faceva esatto processo verbale di ogni cosa per pagarla sì tosto possibile, come poi si fece, e si deponeva il tutto in un solo deposito stabilito nella caserma dei Beali Carabinieri. Essendovi poi molti cavalli in nostro potere, perché anche sottratti gl’indispensabili pel servizio della batteria artiglieria, non ve n’erano meno di 60 in 70, io ritenni la quistione viveri come risolta per molti giorni, né di quella mi diedi pena. Assai più grave mi pareva quella delle munizioni. Il signor generale Carderina già il 18 aveva ordinato si tirasse solo quando si credeva indispensabile, e rinnovò l'ordine severo il 19. Il signor generale Righini mi annunciò che in quel giorno non si poteva calcolar in media oltre 20 colpi a testa per soldato. Far ogni possibile per trovar munizione era la più urgente necessità. Quando era entrato in casa del barone Mule aveva appreso che vi era qualche provvista di polvere; non conoscendo allora il nostro bisogno, non aveva fatta attenzione;


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ma nella notte del 19 vi andai io stesso, e desso con tutta premura mi faceva consegnare un gran scatolone con circa 10 chilogrammi di ottima polvere, un'altra persona della casa consegnò una quantità non piccola di cartocci, parte intatti, parte rotti; l'indomani con regolare richiesta fatta al signor colonnello, feci fare dai Reali Carabinieri una minuta perquisizione in tutte le case situate nella cerchia da noi difesa, e quella pure produsse discreto risultato. Il signor capitano Spadone, addetto all'ufficio del signor generale di divisione, mi consegnò un barile di cartucce da pistola; un barilottino di polvere con circa un chilogrammo e mezzo, era pure stato trovato da soldati in una casa già stata occupata da insorti da essi cacciati, e pare con l'intenzione di adoperarlo per far saltare quella casa, e quello pure mi venne consegnato.

Raccolte quelle informi provviste, si giudicò che potessero dare da circa nove in diecimila cartucce. Per accudire a tale operazione nominai un Comitato delle munizioni e fu composto dal duca della Verdura, dall’assessore Notarbartolo e dal signor Traina. Mancava piombo, e si prese tosto piombo di tubi a gaz che vi erano in palazzo, si disfecero i cartocci da pistola, si fusero le palle, si fece immediatamente una pallottoliera e già nella notte si fondevano palle, e si organizzò in luogo apposito un'officina per la confezione di cartucce, adoperando guardie che già avevano pratica. Il signor colonnello dei carabinieri annunciò poi il 20, che esso aveva buona provvista di palle, talché sospesa la fusione, si concentrò tutto lo studio nella confezione delle cartucce. Furono provvedimenti che in gran parte tornarono poi inutili, perché la liberazione avvenne prima che fosse esaurita la scorta dei soldati,


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ma furono precauzioni che rialzarono il morale, togliendo ogni ragione per dover essere costretti a subire la legge da malandrini.

Altri due provvedimenti aveva presi ugualmente indispensabili: l'uno si riferiva alla ricerca di persone da spedire quali messi alle autorità che venivano a nostro soccorso; e di questo se ne occuparono specialmente il sindaco, il signor Martino Beltrani, il signor Notarbartolo, il signor Achille Basile, mio consigliere delegato, ed il signor Chiaves, delegato centrale, che era specialmente addetto al mio ufficio. Otto messi vennero spediti: quattro retrocedettero, di tre non ebbi più nuove, ed uno arrivò e riportò perfino la ricevuta, e fu una guardia di pubblica sicurezza, certo Rossini.

L'ultimo provvedimento si riferiva ad un bisogno umanitario, quello delle bende e filacce. Nominai pure un Comitato speciale, composto del signor assessore Manfredi Lanza Trabia, signor Perrone Paladini e signor Massimiliano Di Maria. Il signor cavaliere Stura, Direttore della Real Casa, pose tosto a disposizione mia 80 lenzuola, una perquisizione fatta al monastero dei Sette Angeli diede una massa di pannilini pel carico di sei uomini, e si ebbe abbondanza di materia prima; tutte le mogli di ufficiali che si trovavano in palazzo, la duchessa della Verdura e figlia, che pur vi erano, si diedero tosto a preparare bende e filaccie. Tutte queste occupazioni contribuirono a soffocare i neri presentimenti che in molti dominarono fino verso le 4 ore pomeridiane del giovedì, quando comparvero a brevi intervalli molti vapori, che erano la flotta di Taranto, condotta dal Contr’ammiraglio Ribotty. Tutti si rianimarono, considerando la liberazione come sicura. Si raddoppiarono le cure e la vigilanza per la notte, pel

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caso che gli insorti facessero qualche sforzo straordinario contro il palazzo reale. La divisione Angioletti sbarcava la sera stessa di giovedì, ed il venerdì, poco dopo il mezzogiorno, il Maggiore Generale Masi, prendendo anche esso la via che avevano tentata il mercoledì i due battaglioni venuti da Napoli, superato ogni ostacolo, entrava il primo in Palermo da Porta Nuova, liberando così il palazzo reale1 l'indomani arrivava lo stesso generale Angioletti. Da Porta Macqueda entrava pure un battaglione bersaglieri (Brunetta), superando le posizioni più difficili in città, e veniva esso pure al palazzo. La stessa sera si cacciavano dal municipio gli insorti, e nella notte arrivava il Regio Commissario straordinario, generale Cadorna. L indomani, 22, nel mattino, la divisione Angioletti occupava tutti i punti principali della città, ed aveva fine quella sventurata catastrofe.

Il Governo ha diritto di chiedere il mio avviso anche intorno ai promotori, per quanto quei fatti dolorosi hanno potuto svelarli; intorno allo scopo che avevano, a’mezzi dei quali fecero uso, ed al loro numero.

Sarà, se non impossibile, certo ben difficile il poter precisare i veri promotori, probabilmente non in paese. Fra quelli che figurarono come attori principali vi sono persone, le cui relazioni conosciute non potevano essere più abbiette. Miceli era legato coi capi assassini Cuccia e Spinnato, quei medesimi dei quali io parlai nella mia relazione al Consiglio provinciale; arrestato nel 1865 per attentato contro


(1) Precedeva il primo pelottone e serviva di guida alla colonna un ufficiale Garibaldino il Tenente Majocco.


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la sicurezza interna dello Stato, ma assolto dal tribunale per mancanza di prova, venne trattenuto dal questore per sottoporlo a domicilio coatto, e fu la Commissione locale pel domicilio coatto che, non avendo ravvisato concorrere tutti gli estremi voluti, lo liberò poco prima dei tristi avvenimenti. Lo Spinnato faceva da padrone in Monreale; figurarono certi fratelli Minneci un tempo in fama di borbonici, ma che ora spacciavano republicanismo, e non so se partissero da loro certi proclami prolissi stampati in carta rossa, dei quali ne mandai un esemplare a suo tempo al Ministero. Si parlava in uno di essi della figlia di Taravamo, che passa sul cadavere del padre, e quei paragoni fatti parlando ad una popolazione che conta il 90 per cento d'illetterati, davano un'idea di tale inettezza pratica, da non potersi ammettere che uomini simili riuscir potessero a qualche cosa. Vidi ordini firmati da un tal Bonafede, ma essi pure concepiti in modo confuso; talché, per quanto io potei conoscere, non saprei ancora indicare una persona che pure si potesse chiamare di una mediocre capacità, e che abbia figurato.

I malandrini fecero enorme sciupìo di munizioni delle quali erano largamente provvisti, ma non fecero mai prova alcuna, né di risoluto coraggio, né di quella tattica speciale che esige simile guerra; erano formidabili per il numero e lo spavento che incutevano, ma nulla più. Era una amalgama di volgari malandrini adoperati da malcontenti di ogni colore. L'abolizione delle corporazioni religiose vi contribuì direttamente ed indirettamente; nel secondo senso, in quanto che toglie la sussistenza ad un grande numero di famiglie; nel primo, in quanto che la compartecipazione da parte dei frati è indubitata.


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Con questo non intendo, né estenderla a tutte le case, né asserirla al di là di quanto sono convinto. Già in altri miei rapporti ho parlato per esteso dei gravi imbarazzi che l'esecuzione di quella legge suscitava in quelle circostanze, e come il risultato delle leve svelasse i maneggi per verità non esclusivi del clero regolare, ma di tutto quello che è avverso al Governo, essendosi contati paesi interi nei quali quasi tutti i chiamati alla leva si resero renitenti, mentre altri ove dominava meno quell’influenza ne ebbero pochissimi ed anche nessuno. Durante la lotta dei sei giorni, dall’alto dell’osservatorio astronomico si distingueva chiaramente anche a forti distanze, ed in una casa ripiena di insorti si vide nel mezzo un Benedettino bianco, che li animava; fui assicurato che i frati si videro perfino col fucile; altri, mi si disse, portavano una bandiera rossa con in mezzo il sacro cuore di Gesù. In città furono principalmente i monasteri, i luoghi di riunione: quello delle Stimmate e quello del Salvatore furono sempre occupati da loro. Certo che non erano le monache che anche non volendo potessero opporsi; ma che talune di esse fossero a parte che doveva succedere un grave disordine, è pure certo. Due persone degnissime di fede, di mia conoscenza, mi narrarono dopo i fatti, l’una che una sorella monaca avevagli mandato a dire sabato, che non stesse in angustia per i moti dell'indomani, perché erano sotto la protezione della Beata Vergine; l'altro che aveva pure una sorella monaca ma più positiva, era stato da lei consigliato di ascondere danari ed oggetti preziosi di lui e della moglie. Per amore del vero, e per la giustizia che si deve rendere a tutti, devo però citare anche fatti opposti, ossia non di ostilità ma di protezione.


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È indubitato che i Benedettini di Monreale salvarono più persone; ho già menzionato come il delegato Castagnone, che deve loro la vita, fosse presente quando pregarono l'infelice ispettore Bolla a non sortire; il capoposto alla ispezione di Castellammare, brigadiere Balzarmi, non voleva arrendersi e stava per essere trucidato, venne pure salvato da un frate. Certo, meriti e torti possono essere individuali, ma quanto alle ostilità è egualmente certo, che datavano da tempo per parte di molti, e la ragione era troppo chiara.

Quale scopo preciso avevano con quel moto è pure quistione troppo difficile a volere precisare con gli elementi attuali. Un fenomeno simile ebbe pur luogo in uno dei più gran centri della civiltà moderna a Parigi nel giugno 1848, ed oggi ancora non credo sia ben definito cosa si volesse. I moti di Palermo presentarono lo stesso fenomeno, salvo la maggior ferocia delle bande di campagna. La parte eletta dei cittadini fu completamente estranea.

Come bandiera avevano presa la rossa, ma molte squadre vi avevano posto nel mezzo un santo; non pochi di quei malandrini avevano il petto e le braccia coperte d'immagini di santa Rosalia ed altri santi, perché le palle rispettando quelle non li uccidessero; miscuglio rivoltante di ferocia e superstizione. Eppure formavano questi la forza principale sulla quale si appoggiavano gli eccitatori; lo scopo immediato degli esecutori era il disordine, il saccheggio, e liberare i detenuti nelle grandi prigioni; ma lo scopo di possibile riescita stabile, vagheggiato da parte dei capi con simili mezzi, è veramente difficile il definirlo. Anche intorno al loro numero non si può dare un ragguaglio certo. Nel mattino del 16 non entrarono in città più


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di 400, suddivisi a piccioli drappelli e da diverse parti; avevano le loro intelligenze e luoghi di convegno in città; si pretende che nel monastero delle Stimmate entrassero nella sera del sabato, ma non posso ripetere che l’asserzione; certo si è che nella domenica non erano ancora numerosi; e credo cominciassero a ritenersi padroni solo dopo l’infelice tentativo di lunedì quando si volle soccorrere la guarnigione del municipio. Allora ingrossarono, ed ogni giorno più; il saccheggio cominciò il lunedì, e nel martedì quell’annuncio attirò altre orde di malandrini; il numero massimo ha potuto salire a circa 18 in 20 mila, contando quanti portavano un’arma; che se poi si volessero contare tutti quelli che presero parte, nel senso di aiutare o saccheggiare, la cifra sarebbe ben più alta. Il maggior numero si trovò riunito giovedì (20 settembre); l’arrivo della truppa lo diminuì tosto, e gran parte si sottrasse la notte fra il venerdì ed il sabato.

Rapporto alle vittime che caddero si propagarono grandi esagerazioni. Nella lotta in città perirono un maggiore, due capitani ed un tenente; e circa altrettanti furono feriti, e di soldati e borghesi vi ebbero da circa ottanta tra feriti e morti.

Quanto alla truppa che venne in aiuto nei diversi giorni, il ragguaglio preciso lo avranno dato i rispettivi comandanti militari.

Dei soldati, carabinieri e guardie della pubblica sicurezza che perirono massacrati credo non si possa ancora precisare il numero in modo esatto. Quello dei carabinieri può salire intorno a quaranta. Il corpo delle guardie di pubblica sicurezza ebbe un ispettore ed un delegato uccisi, e circa 15 guardie, oltre 9 o 10 ferite. Dei soldati che si trovavano sparsi nei diversi luoghi e cercavano rendersi a Palermo o concentrarsi,

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non credo perissero oltre una sessantina. Nel complesso il numero di tutti quelli che perirono vittima del dovere può aggirarsi intorno a trecento, e nel totale poi tra morti e feriti non arrivano a seicento al 22 settembre; certo assai troppo, ma quando si pensa alle esagerazioni divulgate, e come non si peritassero taluni a parlare di migliaia, è importante il rettificare anche quel dato.

Non tutta la provincia prese parte a quel moto; furono principalmente quei paesi da gran tempo famigerati come la patria dei più tristi malandrini: Monreale, Misilmeri, Parco, Bagheria, Montelepri e pochi altri; non già che i malandrini venissero esclusivamente da quei paesi, ne vennero anche da altri più lontani, ma come individui; l'azione dell’autorità non rimase sospesa nel comune, né in balìa di quei tristi. I capi luoghi dei tre circondari di Corleone, Termini, Cefalù rimasero tranquilli. In Termini fece buona prova quel corpo di guardia nazionale a cavallo che aveva organizzato poco prima, e del quale parlai dettagliatamente nella relazione al Consiglio provinciale.

Vi ebbero poi anche esempii inattesi di pacificazione di antichi rancori in presenza del grave pericolo che sovrastava, il che posso citare con compiacenza come buon sintomo, e più di uno dei paesi noti da tempo per essere fra i più torbidi in causa di partiti, rimase tranquillo per quella ragione.

Qui pongo termine alla narrazione dei fatti; mi sono dispensato di entrare nell’argomento delle atrocità commesse, perché oltre la certezza che si diffusero in proposito molte esagerazioni, anche quei fatti reali che pur vi ebbero di efferatezza furono commessi fuori della città, e pervennero a mia cognizione quando non aveva più veste di ordinare la verifica esatta, cosa tanto


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più essenziale quanto più il misfatto degrada e rivolta. all'opposto non posso tacere, e crederei tradire un dovere, se mancassi di far conoscere all'Autorità le persone che cooperarono, in prima nel cercare d'impedire quella grande catastrofe al suo nascere, quindi nel corso degli avvenimenti contribuirono nelle rispettive sfere a far sì che la soluzione riescisse la meno infelice, come avvenne.

Ho già accennato che gl’insorti non fecero prova né di audacia né di attività, ma il grande loro numero formava la difficoltà della difesa; non per tanto questa fu completa e felice: non una sola delle posizioni difese venne da loro conquistata per forza; entrarono nel municipio quando la mancanza dei viveri obbligò i difensori ad abbandonarlo; le Finanze, Castellammare, le Grandi Prigioni ed il Palazzo Reale con l'ampia piazza e quella vicina della Cattedrale con tutti i fabbricati che l'attorniano, rimasero sempre in nostro potere, quantunque le ultime due posizioni sopratutto venissero attaccate con vivacità, e Y ultima incessantemente, talché il fuoco non cessò che ad intervalli in tutti i sei giorni.

Oltre il militare cui spetta la più larga parte della difesa, vi concorsero molti altri direttamente combattendo anche essi, od indirettamente provvedendo cose indispensabili per tutti; ed è per quei fatti, e per quegli uomini, che ho dovere di chiamare l'attenzione del Ministero: essi sono all'infuori della quistione se e quali torti possono avere i capi per previdenze ommesse; la loro cooperazione sta a sé, sono fatti che hanno contribuito, se anche solo in modesta parte, al successo.

Io distinguerò quelli che non avevano alcuna dipendenza da me ed il concorso fu pienamente volontario, da quelli che per ragione della loro posizione erano sotto i miei ordini ed era loro dovere l'obbedire.

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Coloro che presero parte alla prima e più importante spedizione contro le barricate nel mattino della domenica quando voleva soffocare al suo nascere quella rivolta, oltre il distaccamento di 50 militari del 10° granatieri, rimarcai fra i miei dipendenti il sig. Ingegnere Augusto Brunelli e due o tre guardie di pubblica sicurezza, delle quali non mi venne più dato di precisare i nomi.

Dei volontari che si unirono alla colonna del Sindaco, benché poi nell'azione si fondessero assieme, ne parlerà esso, non potendolo fare io perché non tutti li conosceva, e correrei certo pericolo di dimenticarne taluno; tentativo che pur aveva cominciato con successo, e se non riesci, non prova però meno la buona volontà e l'affrontato pericolo.

Determinata la concentrazione nel palazzo reale, della Giunta Municipale, vennero nella stessa giornata del 16, oltre il signor Sindaco marchese di Rudini, gli assessori Notarbartolo, Lanza, Manfredi, Traina e Scalia.

Fra i cittadini il duca della Verdura, il signore ispettore Martino Beltrani, l'ispettore della guardia nazionale cavalier Capello, ed il signor Serra Caracciolo.

Dopo il forzato abbandono del palazzo municipale nella notte del lunedì al martedì, si concentrarono pure al palazzo reale il signor comandante Camozzi e suo aiutante Gamba, il signor capitano Perricone, il signor notaio Majocco, il signor Perrone Paladini ed un suo fratello,   ed il signor Massimiliano De Maria.

Il partito che ne trassi dalla gran parte di queste persone divenute tutte volontari, poiché l'azione anche del potere del municipio come tale era paralizzata, l'ho accennato, e come quale in uno, e quale in altro comitato essi cooperassero alla difesa ed a prepararne i mezzi.  Vi sono poi atti che sfuggono alla

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possibilità di una numerazione senza che cessino di avere un valore talvolta grandissimo, come quello di retti consigli; e per me giudicai una vera fortuna lo avere avuto quei distinti cittadini al mio fianco in quella disastrosa settimana. Merita speciale menzione il signor cavaliere Morena, presidente della sezione di accusa, che nel mattino del 16 recò tutti i processi che aveva, nelle carceri, e salvò così quei documenti cotanto ambiti da quei malandrini.

Fra i miei dipendenti, oltre l'ingegnere Brunelli menzionato, che fu sempre meco, devo citare il signor consigliere delegato Basile, che chiamai sempre a consiglio con la Giunta; attivissimo nella sua mansione di mio segretario di Gabinetto fu il Delegato Centrale signor Giacinto Chiaves. Devo poi segnalare il signor veterinario Negroni, che si adoperò nel curare i feriti. Fra i subalterni, chiamo l'attenzione del signor ministro sui seguenti, coi titoli speciali pei quali meritano di essere ricordati:

Il direttore delle carceri, signor Venturi.

L'ispettore Fascio, che avendo l'ispezione del Molo ove si trovano le suddette carceri, si rinchiuse in esse per cooperare alla vigilanza.

Il delegato Lo Forte, che pose in salvo il fondo di lire 3 mila dell’ufficio sanitario.

Il delegato Lambransi, che venne ferito mentre combatteva ai fianchi del maggiore Fiaschi.

Il delegato Barillà, che nella perlustrazione della notte del 15 al 16 fece 14 prigionieri.

L'applicato Tresca, in colonna mobile a Montelepre, venne battendosi sempre sino a Palermo ove dovette arrendersi.

Il comandante delle guardie Giacomo Isola, che nella domenica accorse a liberare la caserma centrale


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con una compagnia, pose in salvo mille e più carabine che vi erano con molte munizioni, ed inoltre 45 detenuti che si trovavano in quelle carceri provvisorie, e che vennero condotti in luogo sicuro. Ebbe poi la casa saccheggiata, come l'ebbe l'ispettore Taramelli.

Il delegato Rampolla, l'applicato Freddi, l'applicato Barbagallo Pitta, l'appuntato Cimino Leo Luca, e la guardia Giovanni Legnazzi, buoni tiratori, furono molto da me adoperati. Il Pitta fu pure compagno al maggiore Fiastri nel tentato assalto della barricata nella domenica, il Leo Luca ebbe saccheggiata la casa.

Il maresciallo Bianco capoposto alla sezione Monte di Pietà, si difese per oltre due ore, ebbe poi sfondata la porta e dovette arrendersi; ebbe saccheggiato l'alloggio.

La guardia Napoli, e la tromba Minulfi, entrambi arditissimi, furono scelti a guida in più spedizioni.

La guardia Rossini, unico, sopra otto messi spediti da me al comandante della flotta, vi potè pervenire, e riportò ricevuta.

Questo rapporto ebbe più specialmente per iscopo di chiarire i fatti di quella luttuosa settimana, e quello di adempiere ad un debito che m'incombeva verso altri: non volli confonderlo con personali giustificazioni, che per loro natura non possono che appoggiarsi ad atti ufficiali esistenti presso cotesto Ministero o presso la Prefettura di Palermo. Da quelli deve risultare. se, e come tenessi informata la Superiorità della insufficienza dei mezzi per garantire la pubblica sicurezza; se, e quali vie io tentai per scongiurare il pericolo, sopratutto quello della enorme quantità di gente, che ad un tratto rimase senza lavoro e gran parte di essa senza pane. Non il numero farà difetto, compresi i rapporti


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originali della Questura; ma se poi la questione sta nel'apprezziazione, se erano tali da dare idea di prossimo grande pericolo, allora diviene quistione che non si può risolvere che coll'esame dei medesimi, esame che io sono lungi dall'avversare.

Due fatti sono egualmente certi, ed avevano generato in me analoga convinzione; l'uno, la tranquillità di Palermo per quattro mesi continui nell'epoca la più difficile; l'altro, la poca sicurezza e sempre crescente delle campagne per il numero dei malandrini che si aumentavano di continuo per tante cause. Non temeva di Palermo, è vero, ma non cessava di temere continuamente della provincia, ed i miei rapporti, i miei sforzi, il mio contegno furono tutti improntati di quel sentimento; fu realmente, come già dissi, nella gran cerchia delle campagne che attorniano Palermo, che venne reclutato l'elemento del disordine, e si distinsero tristemente i paesi di Monreale e Misilmeri, per ambidue dei quali aveva provocato lo scioglimento della Guardia Nazionale, tanto li temeva. Molte fortuite sventurate combinazioni, non ultima quella delle quarantene pel cholera, si intrecciarono e rallentarono l'invio della chiesta forza, ma credo poter dire, che non fecero difetto i reclami da parte mia.

Sempre pronto a somministrare qualunque schiarimento, ho l’onore di riverirla distintamente.

Firenze, il 9 ottobre 18C6.

Luigi Torelli

ex Prefetto della Provincia di Palermo.


A S. E.

Il Ministro dell’Interno

Firenze.


SIGNORI,


Il periodo di tempo che il paese ha traversato dal maggio a questa parte, è così segnalato per gli avvenimenti, che quantunque su lontano teatro, reagirono sopra tutta Italia; per le disposizioni che il Governo fu nella necessità di dover prendere, in diversi rami della pubblica amministrazione, e per le condizioni speciali nelle quali si trovò questa Provincia, che io nel presentarmi a Voi ho stimato opportuno rendervi conto brevemente dello stato della provincia in quest’epoca, cotanto marcata, dirvi quanto si fece, per venir poi alle proposte che d'accordo colla vostra Deputazione Provinciale avrò l’onore di sottoporre alle savie vostre deliberazioni.

Incomincierò dal più importante degli argomenti quello della Pubblica Sicurezza.

Per una fortuita combinazione, il mio arrivo ed assunzione dell’officio coincise precisamente col principio di questo periodo veramente straordinario, cioè dai primi di maggio. Perché sia possibile farsi un’idea esatta delle condizioni nelle quali si trovò in breve la pubblica sicurezza di questa provincia, è necessario premettere quale era là forza della quale disponeva l'autorità per mantenerla nel periodo immediato che precedette quello del quale ci occupiamo, non che quella della quale disponeva l’autorità nel corso del passato anno, che ristabilì la sicurezza.

La tabella che segue, redatta dal Comando della Divisione Territoriale Militare di Palermo, vi presenta lo specchio dettagliato del confronto.



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QUADRO della forza esistente nella Divisione



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Nel 1865 la forza si componeva di 17 battaglioni, due batterie e due squadroni di cavalleria, tutta truppa esercitata.

Mentre tanta forza distribuita in oltre 60 Comuni manteneva la pubblica sicurezza, i pacifici cittadini non solo potevano accudire ai loro affari, ma tutte le ordinarie risorse e sopratutto quelle di pubblici lavori, sia di società, sia del Governo, erano in corso ed offrivano i mezzi a chi si vuoi guadagnare onorato pane colle sue fatiche.

all'avvicinarsi di quel periodo e tosto pubblicata la legge sul corso forzato dei biglietti della Banca, sia che realmente gli appaltatori si trovassero, come asserivano, nell’impossibilità di andar avanti, sia che fosse per loro un pretesto, sta in fatto che tutti i lavori furono sospesi e da circa cinque mila persone rimasero senza risorsa.1 Si fu quella una circostanza dolorosa, ma solo in piccola parte ha potuto influire sugli avvenimenti posteriori, e la citai solo perché fu la prima nell’ordine di tempo. Ben più grave ed influente doveva essere il richiamo inevitabile di tutte le truppe: ad esse in realtà si doveva quella sicurezza della quale si godeva e mostrerò più tardi in quai limiti anch’essa vuoi essere intesa. Il richiamo era tale una necessità, la ragione della guerra che si dovea combattere nell'Alta Italia, era così chiara, così imperiosa, che non poteva tampoco ammettersi che vi fossero autorità, che si permettessero proporre sottrazioni a tanto scopo. Dall’altro lato erano egualmente evidenti gli effetti di un completo abbandono da parte delle truppe. Un’altra causa di aumento di disordine


(1) Solo il Municipio di Palermo continuò i lavori in corso che occupavano intorno a 500 lavoranti.


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non solo probabile, ma inevitabile era quella della prossima chiamata delle leve e dei contingenti. Per lo addietro ogni chiamata, fatta a periodi lontani, aveva sempre lasciato un residuo di renitenti e disertori, e fra i malandrini figurò sempre quella classe in larghe proporzioni. — Nel caso presente le chiamate in luogo di verificarsi a periodi lontani, lo dovevano essere per necessità a periodi vicini, talché la sicurezza era minacciata per una doppia causa, che agiva simultaneamente; quella della sottrazione della forza e quella dell’aumento dei renitenti e disertori.

Io non poteva farmi illusioni; e per questo giudicai mio dovere trasfondere quella mia convinzione in tutte le autorità sopratutto municipali, annunciando ben chiaramente, che quando lo Stato aveva bisogno della truppa, la sicurezza interna doveva venir assunta dai cittadini ed affidata alle Guardie Nazionali. — Pur troppo questa non esisteva che di nome, ma nella realtà pochissimi erano i comuni che la possedevano bene organizzata. Era tuttavia la principale risorsa che rimaneva. Eccitare i Comuni ad organizzarla e mostrar loro la necessità per la loro sicurezza, in pari tempo che si toglieva ogni illusione di fondar speranze sulla truppa, fu un primo passo che giudicai dover fare ed in modo che non fossero possibili equivoci. — Con una circolare del 28 maggio diretta ai Sindaci raccomandai loro che organizzassero bene la Guardia Nazionale, perché «il concorso sul quale non si aveva più diritto di contare era quello della truppa.

La quistione (dissi) che si decide sui campi di battaglia, è troppo vitale per la Nazione intera, perché la truppa sia impiegata altrimenti, che contro il nemico esterno.


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Ogni sottrazione, per ragioni parziali interne di una provincia, è un fatto gravissimo, contro il quale tutte le altre hanno il diritto di reclamare. Quando si combatte una guerra, non vi è forza che sia di troppo, non vi è previdenza che sia soverchia, e, tutte le forze disponibili della Nazione conviene che sieno rivolte a quella; la sicurezza parziale interna conviene che l’assumano i cittadini. — Spetta a loro il coadiuvare le forze locali del Governo. Ei conviene infine porre non solo fra le cose possibili, ma fra le probabili, ed anche necessarie, che non siavi un sol uomo di truppa regolare da dedicarsi alla sicurezza interna. — Siamo in momenti, nei quali conviene parlar chiaro, e non illudersi; se le Autorità Comunali, se i Comuni non vogliono far nulla per garentire la propria sicurezza, devono ascrivere a so stessi le conseguenze; essi non hanno diritto a contare sulla truppa, e la forza di pubblica sicurezza è lungi dal poter bastare, essa sola, a procacciare una simile garanzia, per quanto sia grande l’abnegazione dei suoi individui. È assolidamente indispensabile che si organizzi bene, ed operi la forza propria dei Comuni; che le Guardie Nazionali locali cooperino a mantenere la sicurezza e la quiete pubblica. »

Un altro provvedimento lo ravvisai nella creazione delle Guardie Campestri, già accordata in massima dal Ministero, e che alcuni Sindaci mi consigliavano, come opportunis8ima. Con circolare dell’otto giugno invitava i Comuni ad attivare pure quella forza, dichiarando anche in quella, come simile «provvedimento, utile in tutti i tempi, doveva tornare utilissimo in quei momenti in cui le forze militari della nazione lasciano di concorrere ai servizi interni del regno,


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per concentrarsi nelle provincie dell'alta e media Italia onde essere pronti a combattere le ultime battaglie dell'unità e dell'indipendenza.»

In ogni occasione, diretta od indiretta, io non mancai giammai di ricordare il dovere della propria difesa.

Frattanto seguiva il richiamo della truppa dall'Isola ed a poco a poco, ma nel corso di breve spazio, dall'una all'altra, la chiamata dei contingenti delle seconde categorie e poi la leva 1845. In pari gradazione e come inevitabile causa ed effetto si aumentava il numero dei renitenti e disertori. Lo specchio che qui unisco fornitomi pure dal Comando della Divisione Territoriale, che comprende le Provincie di Palermo, Trapani, Girgenti e Caltanissetta, dimostra a qual numero ascesero nel complesso gli uni e gli altri.


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 COMANDO GENERALE

DELLA

DIVISIONE MILITARE TERRITORIALE DI PALERMO

(Comprende le Provincie di Palermo, Trapani, Girgenti e Caltanissetta).

SPECCHIO NUMERICO dei Renitenti e Disertori delle Classi richiamate sotto le Armi, delle rispettive Categorie e della Leva per l’anno 1845.

CLASSI

CHIAMATE

RENITENTI

DISERTORI

Classi richiamate di 1^ Categoria

3936


307

2^ Categoria Classe 1842……...

724


80

                                 1843……..

2821


232

                                 1844……..

1726


85

                                 1845……..

1817


130

Leva dell’anno…….1845…….

2907

1280

 

Totali N.

14031

1280

834

Più

Delle 2 Categorie Classe 1842 e 1843 denunciati disertori dal Comandante il Deposito del 70° Fanteria



235

 Della 2 Categoria Classe 1844 denunciati come sopra…….


14

TOTALI GENERALI N.

14031

1280

1183

Delle somme complessive accennate spettano alla Provincia di Palermo 825 renitenti e 620 disertori.

Se non che tal cifra de’ renitenti va diminuita, essendovi nella realtà, buon numero che non vennero depennati benché morti o partiti da gran tempo; è impossibile il precisare tal cifra, ma credo che riducendola a metà sia una larga diminuzione; da quella dei disertori non si può far sottrazione,

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essendo constatato ufficialmente nome e cognome d'ognuno. Dietro tali premesse la Provincia di Palermo conta pertanto 620 disertori e 412 renitenti, non compresi quelli che darà la leva del 1846; in tutto quindi 1032 che sotto un titolo o sotto l'altro si sono sottratti al loro dovere. Certo non tutti si convertirono perciò solo immediatamente in malandrini, ma, costretti come sono tutti a vivere latitanti, ben presto la necessità del sostentamento obbliga anche quelli a’ quali ripugna la via del delitto, a subirne la legge della loro condizione, e. la triste compagnia agevola la transazione; e pur troppo i fatti, ben presto provarono, qual contingente diedero i renitenti ed i disertori.

La Provincia di Palermo fornì intorno a sette mila soldati per quelle chiamate. La sottrazione s'aggira intorno al 13 per %. Quando si considera che la leva è una introduzione recente sconosciuta da secoli, non solo può far senso come esorbitante quella sottrazione, ma con più giustizia si potrebbe chiedere se non attendevasi anche maggiore. Considerata sotto questo punto di vista relativo, la Provincia non ha per nulla da arrossire e può esser dubbio, se quando fu introdotta altrove per la prima volta, si ebbero risultati molto diversi; ma se poi abbandonando questa considerazione, prendiamo la cifra in sé stessa e la consideriamo come un'aggiunta ai malandrini già esistenti, que’ malandrini per combattere i quali si erano disseminati otto mila soldati in tutta la Provincia, noi non possiamo a meno di trovarla gravissima.

Come gradatamente cresceva l’elemento del disordine e si mostravano gli effetti, avrebbero dovuto crescere ed organizzarsi le forze dei Comuni richieste con tante ripetute   sollecitazioni; ma salvo  lodevolissime


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eccezioni, pur troppo questa forza non fu pari al bisogno.

Non certo totalmente, vi ebbero eccezionred alcune perfino segnalate. La Guardia Nazionale dei Comuni di San Giuseppe Jato, di Ventimiglia, Balestrate, Marineo, Polizzi, Trabia, Borgetto cooperarono attivamente a lotte con malandrini, la prima in due riprese ed ambedue con successo; altre hanno contribuito a mantenere l'ordine nel proprio comune come quella di Palermo, Termini, ed altre sopratutto nel circondario di Corleone, Cefalù. Caccamo introdusse una Guardia Nazionale a cavallo, che rese utili servizi. Non è quindi che siano mancati esempi che provano quanto sarebbe stata fortunata la Provincia, se in luogo di essere eccezioni fossero stati la norma generale dominante. È anche possibile che taluna mi sia sfuggita, ma sta il fatto che molte rimasero inerti, e per questo già nel giugno mi rivolsi al Ministero, il quale a fronte delle imperiose circostanze della Nazione pur accordò tre battaglioni dei così detti Quinti Battaglioni alla Provincia di Palermo (otto alla Sicilia intera) e venne inoltre organizzato un battaglione di Guardia Nazionale mobile, quello di Palermo, ed assegnato pure a questa provincia. Quanto al battaglione della Guardia Nazionale mobile, il fatto provò ancora una volta, che quando s'ignora completamente ogni maneggio dell'arma, la buona volontà non basta e l'utile fu piccolo; ma pur calcolati anch’essi si ebbero a disposizione intorno a 2100 uomini, dei quali sottratti quelli indispensabili per le guardie loro affidate in Palermo, fra le quali principalissima e grave assai quella dello Grandi Prigioni, sottratti gli ammalati, restavano veramente disponibili meno di 1500.



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Questo può riguardarsi come il termine di confronto per un’epoca che durò oltre due mesi e mezzo. I Reali Carabinieri e le Guardie di Pubblica Sicurezza non avendo subito variazioni in confronto allo scorso anno, lasciano inalterato il paragone della forza militare che si riassume in 17 battaglioni di ottima truppa e 2 squadroni di cavalleria accantonati in 60 comuni, per combattere i malandrini esistenti allora (1865) da una parte, ed in 4 battaglioni ed uno di Guardia Nazionale mobile, ignaro del maneggio d'armi dall'altra, e questo per combattere gli antichi malandrini, più 1032 fra renitenti e disertori. Condizione più grave era difficile l’immaginare, la forza era evidentemente impari all'assunto. In tali condizioni feci intorno ai primi di luglio un nuovo tentativo per avere il concorso dei Comuni. Dopo, aver riunito quanta forza aveva di Carabinieri, Soldati e Guardie di Pubblica Sicurezza per formare colonne mobili sotto un solo capo, ed ottenuto dalla vostra Deputazione Provinciale un soprasoldo giornaliero, onde poterle ristorare, destinate come erano a percorrere luoghi inospiti e sotto il cocente sole di luglio ed agosto, si combinarono perlustrazioni in ogni senso per quanto era possibile con quel numero; le guardie nazionali dovevano coadiuvare; alcune quasi sempre le medesime lo fecero, ma il maggior numero non rispose all'appello. La forza reale, concentrata nei Carabinieri nei Soldati dei Quinti battaglioni e nelle Guardie di Pubblica Sicurezza, sostenne incredibili fatiche, ottenne alcuni anche importanti successi, ma contò non poche vittime e popolò gli ospedali, mentre invece il malandrinaggio cresceva. Mi rivolsi di nuovo al Ministero, che mandò altra forza tolta dalle altre parti dell’isola, che valse a riparare il vuoto delle sottrazioni larghe che gli stenti mi facevano nella forza

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attiva che fu d'una abnegazione esemplare, e lo prova il numero delle vittime.1

Ma l'enorme sproporzione indicata sussisteva sempre. Dopo la metà d'agosto alcuni Sindaci de’ due Circondari di Termini e Cefalù e l'Ispettore signor Cappello, mi fecero la proposta di tentare l'organizzazione di una Guardia Nazionale a cavallo a spesa dei Comuni, esperimento che aveva già fatto buona prova a Caccamo. Questo esperimento doveva attivarsi col 1 settembre... Accettai di buon grado l'offerta e il 21 detto mese andai io stesso a Termini, ove si gettarono le basi e furono consegnate in un processo verbale sottoscritto dagl'intervenuti in buon numero, ma è inutile che mi dilunghi per quello dacché fra i promotori vi ebbero Consiglieri Provinciali e tutti già ne siete edotti. Egual misura venne presa ieri l'altro per il Circondario di Palermo e Corleone sempre per spontanea iniziativa dei Sindaci e proprietari. Una forza tolta da elemento locale, che ha pratica delle persone e de’ luoghi racchiude due preziose qualità per la riescita, altre cause potranno impedirla o paralizzarla, ma per un’autorità che nella mancanza di quelle nozioni locali, per parte della forza della quale dispone, deve ravvisare uno de’ più potenti ostacoli, alla riescita, non poteva essere che gradita quest'offerta di concorso. Ottimo fa l'effetto del solo annunzio, la buona disposizione dei principali fra i proprietari, è un fatto che rianimò lo spirito pubblico. Alcuni successi ottenuti verso la fine del mese dalla forza pubblica, e l'annunzio di nuova

(1) Del corpo dei Carabinieri rimasero uccisi: Pennacchieri Giovanni, Fumagalli Celestino, Labano Felice; feriti quattro.

Delle Guardie di Pubblica Sicurezza: l'appuntato Magnani Vincenzo, e le guardie Ferretti Giuseppe, Bobba Franco e Franco dì Santo; feriti tre.

Dei soldati furono uccisi: Di Monte Nicola, Ricci Raffaele.


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truppa che si manda dal continente lo hanno ancor più rafforzato. Il generale di divisione Righini si dichiarò disposto ad entrar esso in campagna contro i malandrini, fosse anche solo colla metà delle forze che furono impiegate lo scorso anno, purché vi sia l'aiuto del paese, sotto qualsiasi forma, aiuto tanto più indispensabile in quanto che la leva 1846 darà essa pure il suo contingente ai malandrini, contingente non ancora entrato in azione. Non pertanto memorabile quale si fu per tante cause, anche quel periodo ha il suo lato buono, il suo ricordo grato per la sicurezza pubblica, ed è la stessa città di Palermo. Per oltre tre mesi a partire da maggio la sua sicurezza fu completa, non fu turbata da alcun grave delitto e ciò nell’epoca la più difficile.

Un ricatto fatto di notte ed in un sobborgo lontano funestò nel passato mese d'agosto la città, che non pertanto offrì un esempio di tranquillità a traverso a diverse e gravi crisi come pochi forse osavano sperare, e certo ridonda grandemente a suo onore.

Se non che, egli importa per tutti, sia in città sia in provincia, che la tranquillità si stabilisca ovunque; ma possiamo noi credere che anche con sforzi straordinari, fatti più o meno, come nei passati anni, si otterrà una quiete stabile quale ha d'uopo il paese per rimettersi? È quello un rimedio efficace al primo de’ mali che affligge questa Provincia? Io non credo, e perché appunto lo vorrei e lo volete voi tutti, permetterete che vi parli franco come ad uomini seri e pratici che devono fondare i loro giudizi su dati esatti. È il caso di dovere dire: che conviene avere il coraggio della verità, ed io faccio appello al vostro, poiché colle reticenze, col velare l’una 0 l'altra causa, noi non arriveremo né a valutar bene il male, né a bene scegliere i rimedi.

Incominciamo a chiedere se è vero che con quegli

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sforzi straordinari che si sono fatti nel 1863 e nello scorso anno siasi ristabilita una tranquillità, una sicurezza nel senso ricevuto ovunque d'un paese sicuro e tranquillo? La tabella qui riportata, estratta dai rapporti ufficiali trasmessi lo scorso anno dall'arma dei Reali Carabinieri e che comprende i delitti di omicidio e grassazioni nei mesi di aprile, maggio e giugno, cioè quando la provincia era tutta occupata da truppa, posta a confronto di egual epoca nel corrente anno quando veniva tolta ed aumentati di tanto i renitenti e disertori, ve lo dica:

QUADRO dei delitti d omicidio e grassazioni avvenuti nelle provincie della Sicilia nei mesi di aprile, maggio e giugno del 1865 e nel corrispondente periodo di tempo del 1866,

(I dati sono aerasti dai rapporti ufficiali dell'arma doi KB. Carabinieri dirotti al Ministero Interni).


PROVINCIE

1866

1866


OMICIDI

GRASSAZIONI

OMICIDI

GRASSAZIONI

Palermo

(600,000 abit.)

48

71

50

124

Trapani

(218,000)

38

39

34

32

Messina

(394,000)

3

5

13

9

Catania

(450,000)

26

4

32

33

Siracusa

(260,000)

10

3

9

8

Caltanissetta

(222,000)

16

16

34

20

Girgenti

(263,000)

23

27

52

39


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QUADRO degli arresti d'imputati d'omicidio e grassazione operati nette provincie della Sicilia nei mesi di aprile, maggio e giugno 1865 e nel corrispondente periodo di tempo del 1866.

(I dettagli sono desunti dai rapporti affidali dell’arma dei RR. Carabinieri diretti al Ministero Interni).


PROVINCIE

1866

1866


ABRE8TI

PER OMICIDI

ARRESTI PER GRASSAZIONI

ARRESTI

PER OMICIDI

ARRESTI PER GRASSAZIONI

Palermo

21

23

29

46

Trapani

16

3

27

26

Messina

4


11

1

Catania

11

2

14

10

Siracusa

2

3

3


Caltanissetta

5

8

14

10

Girgenti

26

7

45

15

Questo confronto, che del resto non fa che constatare un fatto, non diminuisce per nulla il merito reale dei Magistrati e dei Comandanti delle forze, che combattendo i malandrini ne ridussero il numero e crearono uno stato relativo di maggior sicurezza, il che è già molto per una popolazione cotanto travagliata dal malandrinaggio; ma in cospetto a quelle cifre a quei confronti si può forse asserire che regni vera sicurezza e tranquillità laddove in tre mesi avvengono 48 omicidi e 70 grassazioni? Quelle cifre non vi dimostrano invece che non vi ha energia che basti per vincere quel male, che havvi qualche causa che paralizza il successo degli sforzi i più risoluti? Il fatto è precisamente così, e non


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conviene illudersi e chiamarlo anch'esso pel suo nome. Quando si parla del Governo borbonico, è unanime il giudizio che fu il governo il più demoralizzatore che forse esistesse e sa di lui dovrebbesi far ricadere la vera colpa; ma quando si viene alle conseguenze, si rinnegano, come fossero colpe da attribuirsi alla popolazione, che invece le subì. La Sicilia presenta tante individualità così elevate in tutti i rami, che sotto tale rapporto non ha nulla da invidiare alle altre parti d'Italia, sono forze che sfuggirono all'azione letale del Governo, si sviluppano a fronte d'ogni ostacolo; ma le masse oppresse da secoli hanno subito la triste influenza, e così noi abbiamo una popolazione per la quale è delitto l'aiutare l'autorità nello scoprire i delinquenti, abbiamo radicata l'opinione che passa come infame colui che si presta a ciò fare, abbiamo per contrario che non solo non è un male, ma un dovere l'aiutare a sottrarsi alla giustizia chiunque viene ricercato, abbiamo che ben pochi hanno il coraggio di denunciare e talvolta si rifiutano i più interessati a farlo. É questo l'incaglio terribile che paralizza nella grandissima parte gli sforzi delle autorità. Nei quattro mesi decorsi n'ebbi quasi quotidianamente la più dolorosa prova ed alcune toccano all'incredibile: un proprietario venne derubato di 16 buoi, ei non fece motto alla Questura che lo seppe dalla voce pubblica e si procurò qualche dettaglio; dopo alcuni giorni i buoi furono trovati alla distanza di molti chilometri; chiamato il proprietario, negò che fossero stati rubati; essi erano partiti volontariamente e l'autorità poteva fare a meno di immischiarsene. — Fra i successi ottenuti dalla forza pubblica va segnalato quello presso Monreale del 14 agosto; pervenuto a notizia dell'autorità che in una casa di campagna,


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eranvi i due fratelli Ignazio e Giuseppe Spianato ed un Lodovico Cuccia, tutti assassini ben noti, fu accerchiata la casa; si difesero da prima quei malandrini, poi tentarono fuggire, ma il Giuseppe Spumato fu colto, e gli altri coll'aiuto della padrona di casa si sottrassero; tre giorni dopo una banda di 24, capitanata precisamente dall'Ignazio Spumato, assassinava due soldati ed una guardia di Pubblica Sicurezza in pattuglia, a vendetta del loro compagno; così per causa di quella donna in luogo di tre assassini l'autorità non poté impadronirsi che di uno e contò poi invece tre vittime nei suoi agenti.

È questa la lotta che esaurisce e stanca e reca la sfiducia in chi la deve sostenere; quasi sempre quella poca forza che lottò contro tanti malandrini, ritornata affranta dalle fatiche narrava come fosse presso a raggiungerli, ma aiutati non già solo da manutengoli loro compagni, ma dalle popolazioni, trovassero modo di sottrarsi; eppure sono le popolazioni stesse le prime a subire i tristi effetti, sono esse pure che invocano sicurezza, e mentre nel fatto fuorviano l'autorità quando ricerca i malandrini, proteggono questi nelle lotte e si negano a deporre contro di loro nei processi, accagionano il governo di non saper procurare la sicurezza. Non v'ha dubbio che vi sono eccezioni e si fanno sempre più numerose, ma il fatto dominante è quello; lasciate che tutti ripetiamo che queste sono appunto le conseguenze di quel secolare triste governo che alterò nel concetto delle popolazioni il vero senso della giustizia, talché ne venne perfino il punto d'onore di non mai palesar nulla a chi è chiamato ad amministrarla e la falsa compassione per chi è ricercato dalla forza pubblica; ma non neghiamo questi fatti, che sono


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le principali cause che turbano la sicurezza pubblica, procurando l'impunità ai malandrini. Senza giustizia non vi sarà mai sicurezza, ma la giustizia non può agire senza prove, il rifiutarsi a darle è renderla difficile se non impossibile, è un ridurre l'autorità all'impotenza e spingerla poi a sortir dalla legge. Prevenni che conveniva avere il coraggio della verità e faceva appello al vostro, perché da uomini pratici ed amanti il vostro paese, voleste studiare le condizioni e suggerirne i rimedi, perché in parte sono condizioni speciali proprie ai luoghi, alle popolazioni, e nessuno può essere miglior giudice di chi è in grado di meglio conoscerle. Il vostro consiglio sarà certo altamente apprezzato, e lo studio approfondito di sì importante questione sarà uno dei meriti i più segnalati che renderete alla vostra provincia ed a quante si trovano nelle medesime circostanze.

Fin ora non si è preso che il partito di occupare diremo militarmente il paese, e data l’urgenza è il migliore, ma potete voi ammettere che si chiami stabilire la sicurezza? È rimedio momentaneo e desso pure non completo, e la tabella citata ve lo prova; d'altronde due volte si è già ripetuto e sempre s'avverò, che, abbandonato il paese dalle truppe, i malandrini ripresero a molestar come prima; è un'altalena che non può soddisfare né il vostro paese, né lo stato; la sicurezza che procura è effimera, mentre poi costa cara assai per sacrifici di uomini e di danaro. Conviene mutar via; un principio che parmi dovrebbe avere innegabili buoni effetti è quello di chiamar all'opera le forze locali, valersi di elementi dei luoghi; la sua organizzazione stabile adattata al servizio che si richiede è forse il perno del quesito; per questo a me parve sì pratica la proposta dei Sindaci e proprietari dianzi accennata.

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Voi col vostro senno e colla vostra pratica la studierete, ed io la accennai di preferenza solo perché dessa partì in realtà da' vostri colleghi; del resto illimitato è il vostro campo. Quanto io chieggo alla vostra compiacenza si è che vogliate nominare una Commissione nel vostro seno che studi questa importantissima questione. Io le somministrerò tutti gli elementi che mi sarà possibile e nutro fiducia che sortiranno proposte pratiche. Certo non sarà dato cambiar lo stato delle cose in brevissimo tempo, non si distruggono sì presto effetti prodotti da un passato che  ha durato secoli, ma entrati nella giusta via il miglioramento procederà certo celere, aiutato da tanti mezzi la cui efficacia è potente, come l'istruzione, le strade ed altre istituzioni che voi promovete instancabili da sei anni, come ne fanno fede i vostri bilanci.

Palermo il 3 settembre 1866.

Il Prefetto

Torelli.







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