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MEMORIE
PER LA
STORIA DE' NOSTRI TEMPI
DAL
CONGRESSO DI PARIGI

NEL 1856
AI PRIMI GIORNI DEL 1863.
VOLUME PRIMO
TORINO
STAMPERIA DELL'ORIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE
Via Carlo Alberto, casa Pomba, n° 33.

1863.
(C)

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VI.

Circolare spedita ai Vescovi degli Stati Sardi addì 13 moggio 1851, con cui il sig. Gioia Ministro sopra la pubblica istruzione pretende di governare l'insegnamento teologico!

Torino,18 maggio 1851.

Eccellenza Re.ma.

Le discussioni che hanno avuto luogo, in occasione del bilancio dell'istruzione pubblica alla Camera dei deputati, avranno fatto conoscere a V. E. Rev.ma, come sia impossibile di mantenere a carico dello Stato le scuole teologiohe universitario di provincia, se queste non si soggettino uniformemente alto regole comuni, e non si tengano possibilmente dentro ai collegi, ai quali di ragione debbono essere annesse. Per questo fine sarebbe necessario:

1° Che smesso l'uso del dettare, si adottasse da tutti i professori il testo di questa università centrale, o altro che venisse appositamente compilato ad uso comune di quelle scuole;

2° Che venisse, con norma certa e universale fissata la dorata del corso t

3° Che gli studenti dovessero prendere la rassegne dal Provveditore agH studii, al principiare d'ogni anno scolastico, dando prova di aver compiuto il corso di filosofia;

4° Che riportassero ogni trimestre la sottoscrizione del professore tìVaémUtatur che verrebbe loro per tal fine rilasciato;

5° Che venissero sottoposti ad esami annui, dati dal professore stesso e da due altre persone ecclesiastiche da delegarsi dal Ministro, ad epoche determinate, e il resoconto di questi esami fosse trasmesso al consiglio universitario;

6° Che ispettori ecclesiastici delegati dal governo visitassero a quando a quando le scuole anzidetto, notando il grado d'istruzione dei giovani, e i metodi d'insegnamento, e le discipline, e gli orarii, e quant'altro ai riferisse al buon andamento delle scuole. £ tatto ciò al modo stesso, e con quella libarle d'azione e pienezza di poteri che si usa verso gli altri rami d'insegnamento.

Egli e a questo condizioni e non altrimenti, ohe la camera nel futuro bilancio sarà per approvare la spesa di cedeste scuole; né sarà senza fatica l'ottenere che, per alcune località, si abbandoni l'idea già energicamente lignificata, che la scuola ai abbia a tenere nell'edificio assegnato alle altre scuole biche.

Ora, perché io sia in grado di dare in proposito le spiegazioni di cui sarò certamente richiesto, mi occorre di pregare a vicenda la E. V. a volermi far sapere, se per sua parte nulla osti alla piena e perfetta attuazione delle condizioni dianzi spiegate, imperocché non è già intenzione del Governo di prescriverle precettivamente, ma al di cessare la spesa, ogni volte che non si avesse certe di poterle compiutamente eseguire.

lo saprò molto grado a V. E. se vorrà con qualche sollecitudine, cortese di riscontro sui quesiti dianzi esposti, e tenta più con profondo rispetto mi rassegno.

Firmato: GIOIA

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VII.

Risposta dei Vescovi della Savoia al Ministro dell'istruzione signor Gioia, che pretendeva d'intromettersi nell'insegnamento della teologia.

Tutti i vescovi degli Stati Sardi risposero nobilmente alle sciocche e sacrileghe pretese del Ministro Gioia. Rechiamo per saggio la seguente risposta dei Vescovi della Savoia.

Excellence,

«Les conditions que V. E. propose aux Évêques de Savoie dans sa lettre du 13 mai dernier relativement à l'enseignement de la théologie, sont évidemment contraires aux principes fondamentaux de la Religion catholique et aux droits les plus incontestables de l'Église: c'est aux Apôtres, et à leurs successeurs, c'est à l'Église seule, et non à la puissance temporelle que Jésus Christ a confié la conservation et l'enseignement de son Évangile. Tel est le principe constamment et universellement professe par les Concile» généraux et particuliers, par les souverains Pontifes et tous les saints Docteurs, consacré par la pratique invariable des siècles, solennellement définie par le Saint Concile de Trente, et reconnu par tous les Gouvernements sincèrement catholiques.

C'est donc aux Évêques seuls, à plus forte lai son, qu'appartient le droit d'enseigner la doctrine de J. C. à ceux, qui se disposent eux-mêmes de l'enseigner aux autres fidèles. Eux seuls ont reçu la mission de choisir les aspirants au sacerdoce, de juger de leur vocation, de diriger leurs études théologiques, de les former aux vertus ecclésiastiques par eux-mêmes ou par des prêtres de leur choix, avant de leur imposer les mains au Saint Autel, et de leur conférer les fonctions du Saint Ministèro. Nous l'avons reçu de Dieu le droit sacre avec obligation de l'exercer au péril mémé de notre vie. Nous ne pourrions le céder à la puissance civile sa ns faillir complétement à notre mission. Les Évêques de la province ecclésiastique de Savoie sont donc unanimement d'avis qu'ils ne peuvent accepter aucunes des conditions proposées par V. E.

«En effet, d'après la première de ces conditions, tous les professeurs de Théologie devraient adopter pour texte de leurs leçons les traités qui leur seraient envoyés par l'université de Turin, et dans la suite ceux qui pourraient être composés sous sa direction. L'enseignement théologique découlerait dès lors d'une source dépourvue de toute autorité canonique; on formerait des séminaires purement civils; les Évêques, successeurs des Apôtres, n'en auraient plus la haute direction. Certainement une telle méthode serait protestante et non catholique. Les autres conditions ne sont pas moins inacceptables. Elles tendent à entraver l'autorité des Évêques dans le choix des aspirants à l'état ecclésiastique, et dans le jugement à porter sur leur conduite morale, leur instruction et leur capacité. Elles subordonnent leur autorité à celle du proviseur, qui pourrait admettre aux cours théologiques ceux, que les Evéques auraient rejetés comme incapables, ou comme indignes, ou refuser ceux qu'ils auront jugés admissibles.

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Nous manquerions donc essentiellement à la mission, que nous avons reçu de J. C. et de son Église, si nous acceptions de pareilles coéditions. «Nous avons l'honneur d'être avec les sentiments les plus distingués,

De Votre Excellence

Les très humbles et très obéissants Serviteurs

ÀLEXIS. ARCBEVÉQUE DE CBAMBÉRV.

ANDRE, EVÈQUE D'AOSTE.

FRANCOIS MABEELLINO, EVÈQUE DE TARANTAISE.

FRANCOIS MARIE, EVÈQUE DE MAURIENNE.

LOUIS, EVÈQUE D'ANNECY.

VIII.

Nuova circolare del signor Gioia ministro, sopra la pubblica istruzione, contro le scuole di teologia.

Il 13 maggio il Ministro della pubblica istruzione scrivea quella famosa Circolare ai Vescovi, eccitandoli ad accettare certe condizioni per l'insegnamento della teologia da darsi ne' seminarii. E conchiudea dicendo die non era intenzione del Governo prescrivere precettivamente queste condizioni, ma sì di cessare la spesa ogni qualvolta non si avesse certezza di poterle compiutamente eseguire. Il signor Gioia credeva di poter prendere i nostri Vescovi, come suoi dirsi, per la gola, e sperava che si sarebbero inclinati al volere di sua signoria piuttosto che perdere que' pochi denari pagati dal Governo. Ma s'ingannò alla lunga, chè l'episcopato di comune accordo rigettò le sue condizioni, dispostissimo a Tare non solo l'impostogli sacrifizio, ma cento altri sacrifizii ancora, prima di venire meno ai propri doveri. Allora il ministro Gioia cambiò intenzione, e si decise di prescrivere precettivamente quelle condizioni che due mesi fa non era intenzione del Governo di precettivamente prescrivere. E conoscendo a prova come i Vescovi ribattessero le sue lettere, per schifare una risposta, questa volta s'indirizzò ai Provveditori il cui debito è far di berretto alla volontà ministeriale, senza profferir sillaba. Noi riportiamo la lettera che egli scrisse ai Provveditori delle città, ove esistono scuole di teologia; e per ora ci asteniamo da ogni commento sulla sostanza. Domandiamo soltanto di chi sia la colpa se in Piemonte si mantiene la lotta tra il Clero ed il Governo? Chi è che aggiunge esca all'incendio? Parlando anche sotto il semplice aspetto politico, che utile ne deriva allo Stato che s'insegnino piuttosto questi che quelli trattati, ohe le scuole teologiche si tengano presso alle scuole laicali, che i Provveditori s'intromettano nei seminar»? Qui non vi è che un desiderio sconsigliato di mantenere l'agitazione, d'impedire ogni accordo col Capo della cristianità, d'aizzare la demagogia contro l'episcopato, di perseguitare il Clero, di rovinare se fosse possibile, l'insegnamento cattolico. Ma non andrà gran tempo che la risponsabilità di simili sconci peserà gravemente sul capo di chi e fu promotore; e Dio voglia che il ministro Gioia non abbia a dolersi ben presto delle sue circolari.

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Circolare ai Provveditori delle città ove esistono scuole di teologia.

I Reali di Savoia intenti a procacciare in servigio delle chiese dei loro Stati sacerdoti eminenti, che alla santità dei costumi accoppiassero profondità e uniformità di dottrina, non solo eressero nell'Università di Torino una facoltà di teologia fornita di buon numero di cattedre e di un numeroso collegio di dottori, ma crearono altresì parecchie «cuoia sussidiarie nei varii collegi delle provincia le quali però, come tutte le altre scuole stabilite fuori dell'Università, si avessero a considerare quasi parti e dipendenze della medesima, e prescrissero quindi, per tutte» norme e discipline uniformi (Regolamenti annessi alle costituzioni per l'Università di Torino, capo 28, § 1).

Ora, mentre queste discipline furono sin qui osservate nell'Università di Torino, ove le scienze teologiche si mantennero però in grande onore, furono per contro quasi intieramente trascurate nelle scuole delle provincie con non liete scapitò di quel medesimi studii.

Il Ministro di pubblica istruzione, nell'intento di richiamare le lodate usanze dei nostri maggiori, e seguendo anche in ciò il voto manifestato dalla Camera dei deputati ha però ordinato ed ordina quanto segue:

1° Le scuole universitario di teologia stabilite nelle provincia, all'aprirsi del nuovo anno scolastico, dovranno tenersi nel locale del collegio, di cui devono far parte, a termini del § 2 del titolo 15 delle RR. CC. per l'Università di Torino.

Sarà cura del provveditore di disporre affinché nel collegio stesso, o non potendoli in questo in altro luogo da approvanti dal Governo, venga apparechiata per tempo un'apposita sala. Occorrendo spese in proposito, farà gli opportuni uffizi presso l'amministrazione municipale perché vi provveda immediatamente.

2° I professori di teologia delle provincie detteranno i trattati o Almeno le mutrie ohe ogni unno si dettano nell'Università, e leggeranno tetti due volte al giorno, come trovasi letteralmente prescritto al capo 28, § 17 dei regolamenti tettatosi alle diate RR. CC.; e manderanno inoltre ogni anno i loro programmi per l'approvazione al Consiglio superiore per mezzo del Consiglio universitario, come tuttora si pratica, a mente della legge del 4 ottobre 1848.

3° Si pel tempo in cui si deve dare principio e termine a questo insegnamento della teologia, che per lo feste e Vacanze, e per le ore della scuola, si osserverà il calendario che si pubblica annualmente per le scuole fuori dell'Università come prescrive il g 22, del capo 28, dei citati regolamenti.

4° Nessuno studente sarà ammesso a fare regolarmente il corso di teologia nelle provincie se non avrà compiuto il corso di filosofia, e preso il grado di Magistero, od almeno datò saggio di quanto gli è Stato insegnato nell'esame di promozione a tenore del capo 12, § 2 e 3, e del capo 29, §1 dei sovraccennati regolamenti.

5° Dovranno gli studenti di teologia prendere la rassegna al principio di ogni anno scolastico dal provveditore agli studii, e riportare ogni trimestre la sottoscrizione del professore d'Admittatur che Verrà loro per tal fidi rilasciato.

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Il provveditore agli studii è incaricalo dell'eseguimene di queste disposizioni. Egli vorrà significarle al professore di teologia e renderle pur note agli studenti per quelle parti che ad essi riguardano, onde vi si possano rispettivamente uniformare.

Queste disposizioni, si ripete, non contengono ordini nuovi, ma solamente richiamano in vigore gli antichi osservati fin ora senza contrasto nella Università di Torino; come lo furono pure in passato nelle provincia con vero utile dello stato e della Chiesa.

E si ha però motivo a sperare che ora pure, senza difficoltà né contrasto di sorta torneranno in vigore.

Che sé, contro ogni ragionevole previsione, codesti rinnovati ordinamenti portassero l'effetto di allontanare dalle scuole legali i giovani che si indirizzano alla teologia, in tal caso si farebbe luogo necessariamente all'applicazione dell'articolo 32 delle RR. Patenti 23 luglio 1822 così espresso: Le scuole di teologia a carico delle Finanze che non siano frequentale dai Seminaristi, saranno soppresse.

La qual cosa Ella avrà cura che sia ben nota a quanti possano avere interesse di conoscerla in tempo.

Torino, 11 agosto 1851.

GIOIA.

Circolare dei ministro dell'interno Pernati, sotto la data del 15 luglio 1852, contro i sacerdoti che raccolgono pensioni al Parlamento affine d'impedire l'approvazione del disegno di legge sul matrimonio civile.

Torino,15 luglio 1852.

Circolare ai signori Intendenti Generali.

Il progetto di legge sul matrimonio, presentato dal Governo è occasione o pretesto per suscitare agitazioni nel paese, specialmente per mezzo dii petizioni.

Il diritto di petizione, quando è legalmente esercito, quando è l'espressione libera ed indipendente dei voti è del desiderii dei cittadini, quando non offende le libere Istituzioni e le leggi, vuole essere rispettato; ma ove risulti che vi siano intrighi, raggiri, frodi, violenze, minaccie, insidiose supposizioni, mercè le quali si cerchi traviare l'opinione pubblica, come sarebbe pel progettò di legge suddetto, il far credete che il Governo abbia tendenze anticattoliche, allora non si deve tralasciar di tener dietro a tali maneggi per scoprirne gli autori, fautori o complici e denunciarli ricisamente al fisco, perché sieno resi impetenti nei loro sinistri fini.

Il ministero conobbe come tal diritto di petizione siasi fatto abuso ed arma contro il Governo, specialmente da alcuni parrochi e viceparrochi, epperciò lo scrivente creda suo dovere mettere in avvertenza i signori intendenti generali, invitandoli a diramare relative istruzioni agli intendenti, sindaci ed altri agenti governativi, perché da tutti si porti la massima vigilanza sui fatti che andassero sviluppandosi, e, sempre che vi trovino i caratteri d'un reato, si provveda a norma di legge, e secondo la gravita dei casi, procurando di tenersi in istretta relazione coll'autorità giudiziaria.

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Il Governo è fermamente deciso di prevenire e reprimere, occorrendo, qualunque atto che possa turbare l'ordine o versare il disprezzo sulle leggi, quindi inculca ai suoi funzionarii antiveggenza ed energia.

Il ministero dell'interno vuole essere minutamente informato degli atti di simil tempra che fossero per succedere, ed anzi desidera dai signori intendenti un rapporto riepilogativo di tutti li simili atti che già abbiano avuto luogo dal dì della presentazione del suddetto progetto di legge alla Camera dei Deputati.

Ministro dell'Interno

PERNATI.

X.

Circolare del Ministro dell'Interno con cui si vogliono attribuire al Clero le sommosse avvenute pel caro dei viveri in sullo scorcio del 1853. (Nota bene. Il ministero teneva segreta questa ed altre simili circolari, e non si poterono avere e pubblicare che quelle spedite dagli officiali governativi. Tuttavia queste circolari non erano che la ripetizione delle circolari del ministero).

INTENDENZA DELLA P***

Circolare ai signori Sindaci,

Non ignorano i signori sindaci che i partili estremi si agitano per suscitare disordini, traendo pretesto dall'aumento nel prezzo dei cereali per spingere le popolazioni ora contro il governo, ora contro monopolisti ed accaparratori.

È intenzione del ministero di reprimere energicamente ogni tentativo di disordine; ma nell'istesso tempo egli intende pure che si tolga con sollecitudine ogni occasione a pretesto, a lagnanze, a dimostrazioni.

Epperciò il sottoscritto prega i signori sindaci di tenerlo informalo senza ritardo, ed anche con mezzi straordinarii, ove la gravita del caso fosse per richiederlo, tanto d'ogni mena, che si praticasse coll'intento surriferito, quanto d'ogni benché minimo disordine, che venisse a prodursi, ed in pari tempo mette in seria avvertenza i signori sindaci dei Comuni, ove hanno luogo mercati di cereali, acciò mentre saranno rispettati i principii di libertà commerciale, adottati dal governo, veglino per impedire nel modo più assoluto ogni e qualsiasi atto tendente a produrre un fittizio incarimento di tal genere, facendo immediatamente arrestare chiunque venisse a risultare sospetto di alcuno dei reati, cui accennano gli articoli 405 e 402 del Codice penale, per essere quindi con analogo verbale messo a disposizione dell'autorità giudiziaria. E siccome risulterebbe al ministero, che in qualche Comune in giorni di mercato si è da qualche compratore di cereali lasciato supporre ed anche dichiarato apertamente, che le incette venivano fatte per conto di persona alto locata ne' consigli del governo, così sarà il caso che, verificandosi un tale fatto di costui, o di costoro, si ordini pur anche l'immediato arresto e rimessione all'autorità giudiziaria.

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É pure necessario che sia portata la maggior vigilanza possibile su di coloro, ai quali le proprie attribuzioni danno il mezzo di agire facilmente sulle masse. Talvolta i Pastori di anime, per proprio od altrui impulso, anziché compiere al proprio ministero di pace e di amore, si lasciano travolgere dalle passioni di partito, e con imprudenti e mal velate allusioni, talora persino con diretti e violenti attacchi contro le istituzioni che ci reggono, commuovono gli animi, e possono essere cagione di gravi danni. Importa, che non si tolleri per alcun verso un tale stato di cose, e che quei ministri del culto, i quali si rendessero per tal modo d'inciampo alla libera azione della legge, siano frenati e puniti. Quindi sarà cura dei signori sindaci di provvedere all'uopo pella necessaria vigilanza, ed acciò, occorrendo, notate le parole, avvertiti i fatti, si renda il pubblico ministero edotto di quanto possa somministrare materia a procedimento, ordinando eziandio l'arresto nei casi di maggiore gravita, e sia di ogni cosa informato e prontamente quest'Ufficio, ecc. ecc,

27 ottobre 1853.

L'Armonia rispondeva a questa circolare nel suo N° 133 dell'8 di novembre 1853, e tra le altre cose osservava: € II ministero in questa circolare si abbassa fino al punto di accusare ingiustamente il clero in una maniera così esosa e obbrobriosa, che la Gazzetta del Popolò non avrebbe saputo far peggio. Ecco le parole precise della circolare: a Talvolta i pastori d'anime (notate la generalità, non dicesi alcuni pastori d'anime, ma vi si comprendono tutti), talvolta i pastori d'anime per proprio ed altrui impulso (notate ancora questo altrui impulso, col quale si vuole rovesciare l'accusa sull'Episcopato, da cui i parrochi possono é debbono soltanto ricevere l'impulso), anzi che compiere al proprio ministero di pace e di amore, si lasciano travolgere dalle passioni di partito, e con imprudenti e mal velate allusioni, talora persino con direttive violenti attacchi contro le istituzioni che ci reggono, commuovono gli animi e possono essere cagione di gravi danni. Importa che non si tolleri per alcun verso un tale stato di cose, e che quei ministri del cullo, i quali si rendessero per tal modo d'inciampo alla libera azione della legge, sieno frenati e puniti. Quindi sarà cura dei signori sindaci di provvedere all'uopo pella necessaria vigilanza, ed acciò, occorrendo, notate le parole, avvertite i fatti, si renda il pubblico ministero edotto di quanto possa somministrare materia a procedimento, ordinando eziandio l'arresto nei casi di maggior gravita».

Voi qui, o signori ministri, avete affermato fatti positivi, e non esternaste soltanto semplici sospetti. Voi avete detto che i pastori di anime si lasciano talvolta travolgere dalle passioni di partito, ed avete ancora aggiunto, che Io fanno talvolta per altrui impulso. Voi quindi accusaste il corpo de' Vescovi, il corpo de' parrochi. Alto là, o signori ministri, o date le prove delle vostre accuse, o girate un processo a chi si è lasciato travolgere dalle passioni di partito, o soffrite che noi vi diciamo solennemente sul viso che voi siete calunniatori. La parola è dura, e ci pesa molto Io scriverla, ma la scriviamo appunto per indurvi a intavolare il processo desiderato.

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Su via, se vi preme l'onoratezza vostra, provate che voi non avete calunniato, provate che realmente i Vescovi hanno spinto i parrochi ad abusare della propria influenza; che i parrochi per proprio ed altrui impulso hanno commosso gli animi, ed hanno servito alle passioni di partito. E voi, o ministri, voi sareste ben da poco se non raccoglieste il guanto gettato, se non cercaste modo di provare giuridicamente, pubblicamente, quanto vi venne asserito in una circolare segreta, se dopo aver dovuto invocare gli sgherri e le prigioni, affine di non essere accusati sui mercati di grano, poi vi lasciaste credere gente, che, volendo dominare a qualunque costo, non rifugge nemmeno dal rubare la fama agli innocenti. Noi vi attendiamo adunque di pie fermo su questo terreno, il dilemma è preciso: o voi processate i pastori d'anime, e chi ha dato loro l'impulso, o voi avete calunniato. E di qui non si fugge: noi non vi daremo più requie 9 finché non abbiate compiuto al dover vostro di castigare cbi se lo merita, oppure, non potendo castigare per l'innocenza dell'accusato, abbandoniate il portafoglio, che non può stare nelle mani di chi scrive cartelli.

Noi vogliamo ancora richiamare l'attenzione dei nostri lettori su quella raccomandatone che si fa ai sindaci di provvedere all'uopo pella necessaria vigilanza, nelle quali parole è racchiuso tutto un sistema di persecuzione. I sindaci sono di via ordinaria cagnotti del ministero, perché creature sue e da lui nominate e preposte ai Consigli municipali. Quindi partecipano della medesima acrimonia ed animosità contro il clero. Che cosa faranno essi dopo questa circolare? Alcuni mossi da spirito di parte, altri dal desiderio d'impiego o d'una croce mauriziana, molti da cortigianeria, assoceranno emissarii che accorrano nelle parrocchie per udirvi, e misurare una ad una le parole del curato. La frase più innocente potrà essere scambiata per un'allusione al governo s'inveirà contro i Giudei deicidi, e si dirà che si allude ai ministri. Si parlerà di Babilonia riprovata, e vorrassi intendere un'allusione al Piemonte. Ognuno può immaginarsi quanto sia facile all'invidia, alla malignità, alla vendetta cogliere un uomo, che, caldo di zelo apostolico, inveisce contro il vizio. E forse che ancora non resta aperto un larghissimo campo alla calunnia; un accusatore e due testimonii non bastano per perdere un parroco? E qual è il paese dove sia difficile ritrovare tre squassalorche?

O poveri parrochi, noi vi compatiamo all'anima. Guardatevi attorno: vi stanno a' fianchi emissarii che pesano le vostre parole colle bilancie dell'orafo;ed ogni volta che discendete la scala del pulpito, ricordatevi che potete esser tratti a salire la scala della prigione. Ma non perdetevi di coraggio per ciò;continuate ad essere que' valorosi atleti di Cristo, quali vi siete dimostrati per lo innanzi; il non licei vi esca sempre intero dalle labbra, molto più oggidì chela rabbia libertina vorrebbe mozzarvelo nella bocca; in vostro favore sta un gran pregiudizio; ed è che i vostri nemici vi hanno potuto, accusare, vi hanno potuto calunniare; ma con tutta la loro potenza non vi possono processare; e il più spedito argomento in vostra difesa è questo: d'invocare un processo, Oh! se chi vi calunnia non isfuggisse a' procedimenti per l'autorità del grado, voi non leggereste soltanto nelle Sacre Scritture la storia di Mardocheo.

I clericali possono andar superbi di questo fatto; come dovrebbero restarne avviliti i loro diffamatori. Ci si citi un giornale clericale, che quando l'andazzo portava

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di celiare sull'ammassatore di grano, abbia accolto nelle sue colonne la trista celia. L'ha accolta bensì la Gazzetta dei Popolo, l'ha raffigurata in una caricatura il Fischietto, l'ha ripetuta la Maga, l'ha ribadita l'Imparziale; ma né l'Armonia, né la Campana, né verun altro giornale religioso ne tennero conto, ed anzi pubblicamente la disapprovarono. E come i giornali così le persone; giacché non si é potuto ancora additare uno di coloro che chiamano clericali, ed onoransi di questo nome, il quale potesse con qualche fondamento accusarsi d'aver contribuito a spargere o ad avvalorare questa voce. Non un clericale fa colto negli opifizii a bandir la crociata, o in via dell'Arcivescovado a lanciare le pietre. Tutti gli arrestati per contrario sono dichiarati nemici del clero, e ministeriali, se non in tutto, certo nell'infamia di calunniare e perseguitare gli innocenti.

XI.

Circolare del ministro dell'interno conte di S. Martino, sotto la data del 21. ottobre 1853, con cui si prepara la soppressione degli Ordini religiosi.

Torino,21 ottobre 1853.

M.to Rev.do Signore,

Occorre al ministero di avere sottocchio un elenco delle persone estranee agli Stati del Re, le quali, appartenendo ad un Ordine religioso, fanno parte della famiglia di codesto convento. Prego quindi la S. V. M.to Rev.da di favorirmi un cosiffatto elenco, nel quale dovrà essere indicato il cognome e il nome di caduno il nome con cui è distinto in religione la figliazione l'età la patria la condizione dei genitori se religioso professo o laico ed infine gli uffizii particolari, di cui taluno di essi fosse investito nel convento. Io sono persuaso che la S. V. M.to Rev.da vorrà compiacersi a trasmettermi le chieste indicazioni colla maggior sollecitudine, e che l'elenco darà compilato con ogni esattezza possibile, ma non debbo peraltro tralasciar di notarle, che ogni ommissione, o meno esatta designazione, porrebbe il governo del Re nella dura necessità di provvedere pell'immediato arresto e pella espulsione dallo Stato di quelli, a riguardo dei quali si fosse creduto di adoperare qualche reticenza, avvegnaché a buon diritto potrebbesi sospettare, che il fallo stesso avesse origine da men rette intenzioni. (Sieguono i complimenti e la firma del signor ministro degli interni).

E poiché il signor ministro dell'interno, ripigliava l'Armonia del 10 novembre 1853 (N. 134), si riserva la libertà di sospettare delle men rette intenzioni, fa lecito anche a noi, e con molto miglior ragione, di elevare qualche sospetto sui motivi che possono avergli dettato questa circolare. Tre principali si affacciano naturalmente a chi la legge. L'uno è, che il ministero abbia desiderato una statistica completa di tutte le persone che vivono nello Stato, comunque e in qualsiasi luogo vi vivano. E noi crediamo che non sia questo Io scopo della circolare; quand'anche, se fosse questo semplicemente, il signor ministro non mancherebbe d'avere un gran torto. E che? il conte di San Martino è egli divenuto il guardiano dei guardiani?

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Ha egli il diritto di sapere quale sia il lettore dei cappuccini, o quale dei laici francescani, ad esempio, lavi le stoviglie in cucina? È questo un intromettersi nell'interna amministrazione de' conventi; e se ciò in certi casi non è nemmeno consentito ai Vescovi, potrà con ragione pretenderlo il ministro dell'interno? E quand'anche avesse diritto di sapere tali cose, non vi sarebbe ancora da ridire sul tuono minaccioso della sua circolare? Ogni ommessione o meno esatta designazione da luogo all'arresto immediato. Se si sbagli d'un anno d'età d'un laico, se il nome di suo padre o di sua madre non è preciso; se per disgrazia si nota che esso è nativo di Basilea città, mentre poi si verifica invece che è nato in Basilea campagna, povero laico! Egli è immediatamente arrestato, e messo ai confini. Ma pure non è reo di veruna colpa, perché è altri che ha dato l'elenco, e tra i possibili vi potrebbe essere anche la supposizione, che una rugginuzza abbia indotto chi scrive a commettere espressamente l'inesattezza.

Ma a tutto questo non volle badare il signor conte di San Martino. Egli ha detto: Muoia anche l'innocente, purché non ci sfugga il reo. L'affare è serio, un laico francescano potrebbe perdere le nostre libere istituzioni. Guai allo Statuto se non si sapesse quanti laici sono nel convento della Madonna degli Angioli! Povera Camera dei Deputati, se s'ignorasse la figliazione, l'età, la patria dello sguattero e del sagrestano! Quindi eccoti la minacciosa circolare, in cui gli uomini che volevano l'altro giorno cacciare gli Austriaci dalla Lombardia, ed anzi andare fino a Vienna per inalberarvi la bandiera tricolore, ora sono tutti impauriti, e tremano come verga pel timore che quattro frati forestieri non li soppiantino, e non gli sbalzino dal loro seggio ministeriale. E questo poi è il governo forte, il governo così popolare, che fa il bravaccio colla diplomazia europea, e intanto si crede perduto se non conosce per singolo chi accende od estingue le candele nei conventi? Ce ne sarebbe proprio da ridere, se la natura dell'argomento lo consentisse, e lo sdegno che provoca così brutta persecuzione, e il rossore che ne alla faccia per le vergogne che soffre la patria nostra non ci proibissero la celia.

L'insieme della circolare, il suo piglio minaccioso, le minuziose domande che si muovono, le circostanze finalmente in cui venne scritta, tutto serve ad escludere la più benigna supposizione, che sia l'effetto del desiderio di procurarsi una semplice nozione statistica.

Tanto più che non ci ricorda d'avere mai letto nella Filosofia della statistica di Melchiorre Gioia quanta influenza vi possano esercitare il sapere se il cuoco de' frati sia nazionale o forestiero, e si chiami piuttosto fra Antonio che fra Giovanni.

Potrebbe essere adunque uno spauracchio, oppure il principio d'una legge che sopprima i conventi. Eccole altre due congetture che ci si affacciano alla mente, né sapremmo quale eleggere e quale rigettare. Certo è che il ministero ha inteso di spaventare i frati denunziando loro colla sua circolare una specie di guerra. E noi gli sappiam dire che esso ha raggiunto il suo scopo. Imperocché parecchi ci scrissero, impauriti d'essere un giorno o l'altro discacciati dalle loro celle, e messi al confine, senza sapere dove dar del capo.

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Una vera infamia è questa, che mentre ornai il Piemonte è divenuto una vera arca di Noè, perché ogni genere di esseri vi trovano ricetto, i soli frati debbano vivere in continuo timore d'esserne un giorno o l'altro barbaramente discacciali. Vengano pure tra noi gli assassini, i fedifraghi, i traditori e gli spergiuri; chiunque abbia cospirato contro il proprio governo, o dato nome a una società segreta, od impugnato uno stile, ch'egli sarà il ben venuto, troverà ovazioni, cariche, comi tali,. lotterie in proprio favore; ma un frate può mandare in malora il governo costituzionale, eccitare a sommossa il popolo, spiantare il ministero, e quindi bisogna sopravegliare, vessare, perseguitare i frati in tutte le guise. Questa è la politica ministeriale, la politica d'un ministero che pretende d'essere l'onore d'Italia, e conservarne le beate speranze.

Ma almeno se di questa Italia voi conosceste la storia, quella gran maestra de' tempi v'insegnerebbe, che le liti e le guerre intestine, che lacerarono sempre questa povera Italia, vennero bensì attutite da frati, ma promosse non mai. Fu Ber nardo di Chiara valle, che mentre bandiva la distruzione de' Saraceni, venne a comporre in concordia Milano, Genova, Pavia, Cremona. Il beato Alberto fondò il convento di Pontida, dove, ad insinuazione de' frati, venne conchiusa la lega Lombarda, e donde sotto la guida d'un frate, che fu frate Jacopo, si mossero le città per ricostruire la distrutta Milano, e liberare la patria dagli stranieri. Sull'esempio di Francesco d'Assisi ed Antonio da Padova, Ugolino, cardinale d'Ostia, pacificò Genova con Pisa, nel tempo stesso che altri religiosi riconciliavano Milano, Piacenza, Tortona ed Alessandria; fra Gherardo da Modena acquietò i suoi concittadini; il beato Giordano da Forzate accordò quei di Vicenza; fra Leone da Perego riconciliava i nobili coi plebei milanesi; fra Latino dei Predicatori i Geremei co' Lambertazzi in Bologna; in Faenza gli Acarisii coi Manfredi; in Ravenna i Polenta co' Travereari. Anzi fra Bartolomeo da Vicenza istituì l'ordine militare di Santa Maria Gloriosa, intento a mantenere in armonia le città italiane. Le quali cose abbiamo voluto toccare di passaggio, sia per dare una risposta a coloro che credono un gran vantaggio per l'Italia liberarla dai frati, mentre anche dal lato della nazionalità e del progresso civile è loro immensamente debitrice; sia per far vedere, che ragionevolmente un governo, qualunque esso sia, non può temere una sommossa da frati, ma ripromettersene per contrario aiuto e protezione.

XII.

Circolare della Questura di Torino contro i Pastori delle anime, pubblicata il 27 ottobre 1853.

QUESTURA DELLA PROVINCIA DI TORINO

Circolare N.8

Oggetto: Eccitamenti alla disaffezione verso il Governo: repressione.

Torino, 27 ottobre 1863.

È intenzione del MINISTERO che sia tolto ogni appiglio ai torbidi ti ritentar la prova per turbare la quiete pubblica. Egli è specialmente sulla carezza del pane che i partiti estremi fecero assegnamento per riuscire nelle tristi loro macchinazioni.

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Il Governo rimane fedele alle massime di libertà commerciale, di cui la temperata applicazione è auspice di migliori condizioni che quelle che attendono le nazioni ancora rette dalle antiquate teorie del protezionismo, ma vuole che siano con tutta l'accortezza e vigilanza seguite Le mene dei cupidi, che tendono a far alzare artificialmente i prezzi dei cereali, e che siano arrestati con estensione di analogo processo verbale, per essere rimessi all'Autorità giudiziaria coloro che si rendessero sospetti di alcuni dei reati ai quali accennano gli articoli 401 e 402 del Codice penale.

L'arresto e rimessione all'Autorità giudiziaria dovrà pure aver luogo di coloro che vanno sobillando e peggio, se apertamente, appuntando persona che ha parte nei più alti consigli del Governo, di incettare cereali e di produrre così l'incarimento. Anche ai Pastori delle anime, ai quali più facile si apre l'orecchio delle popolazioni, devesi rivolgere la più continuata attenzione, perché non abusino dell'influenza che loro viene dal ministero che esercitano, e perché tutta volta che, obbedendo alla passione ed alle istigazioni di partito, si abbandonano ad allusioni imprudenti e mal velate, od a violenti e diretti attacchi contro il governo e le istituzioni che reggono questi Stati, sieno infrenati.

In tali contingenze si riterranno le parole, si avvertiranno i fatti e si istruirà il pubblico ministero, perché vi sia il fondamento a procedere, e nei casi più gravi si addiverrà all'arresto immediato dei Ministri del cullo, che si saranno di troppo avanzati in questa via. Si pregano i signori sindaci della loro più attiva cooperazione, affinché i tempi non siano resi più difficili dalla malevolenza, dalla ingordigia del guadagno e dalle perverse passioni.

L'Intendente reggente

GALLARINI.

XIII.

Circolare del ministro di Grazia e Giustizia Urbano Rattazzi sotto la data del 3 novembre 1853, con cui si vuole mettere la mano sui beni delle Parrocchie.

Torino,9 novembre 1853.

Dall'unito stato potendosi ritrarre che i redditi di cotesta parrocchia superino le annue lire mille, occorre al sottoscritto di farne comunicazione alla S. V., perché possa, come vien prescritto dal Regio Decreto del 6 prossimo p. settembre, presentare a questo ministero tutte le osservazioni che crederà nell'interesse della parrocchia, col corredo de' fatti e documenti che potrà riputare a tal fine necessarii.

Intanto, premendo che si metta mano senza indugio agli occorrenti lavori per l'eseguimento dell'accennato decreto, h scrivente rende avvertita la S. V. che qualora ella nel termine di giorni quindici non avesse prodotte le sue osservazioni, si riterrà aver ella assentito pienamente alle risultanze dello stato anzidetto, che vorrà compiacersi di restituire a questo ministero. (Seguono i complimenti e la firma del ministro).

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L'Armonia del 15 novembre 1853, N.136, osservava: «Questa circolare fa vista di voler condurre a termine i decreti del 6 settembre intorno all'Economato, ma in sostanza tende a procacciarsi una stallatica dei beni delle parrocchie chiedendo osservazioni, fatti e documenti. Stando alle parole come suonano, può egli il ministero ridurre i redditi delle parrocchie che oltrepassano le lire mille? Possono in coscienza i parrochi venire a discussioni e a trattative col guardasigilli? È giustizia conchiudere che se il parroco non produce veruna giustificazione entro giorni quindici, si riterrà avere pienamente assentito? Ecco tre questioni che nascono spontanee dalla lettura semplice della circolare.

Noi diciamo rotondamente che i parrochi, cui venne indirizzata la circolare, debbono tenerla come non avvenuta, li ministro oltrepassa i limiti della sua giurisdizione politica; fa una domanda illegale, e non ha quindi diritto a risposta. È come se egli dicesse a' privati: Voglio che i ricchi non abbiano pio di cinque mila franchi di rendita. Voi Tizio, voi Sempronio ne avete diecimila. Giustificatevi, e se dentro quindici giorni non presentate le vostre osservazioni, fatti, documenti, io riterrò che voi abbiate assentito al mio progetto di rubarvi i cinque mila franchi, che a mio avviso vi sopravvanzano. Il caso è identico.1 beni delle parrocchie sono beni ecclesiastici, non beni demaniali. Il Codice civile li classifica tra i beni dei privali, e quindi conviene portarne il medesimo giudizio. Il ministero non può incamerarli, dunque non può nemmeno ridurli.

De) resto gli interessi economici delle parrocchie vennero stabiliti in Piemonte con una Bolla di Leone XII, che incomincia: Gravissimae calamitatee porta la data del 4 maggio 1828. Questa Bolla trovasi nel t. V, Traités pur blìcs de la lì. Maison de Savoie, pag.374 e seguenti. L'aggiustamento stabilito in questa Bolla lo fu mutua consensione col reciproco consenso delle due podestà; e vi si legge questo brano, che è perentorio nella presente questione: Edisimus vero dotem Parockis sive a regio aerario, site a municipiis iam adsignatam, vel proxime assignandam nulli unquam imminutioni subiciendam fore, etiamsi aut nova ipsis pia legata obveniant, aut decimarum aliusve generis iura recuperentur». Dunque non v'ha più luogo a dubbio. In forza d'una convenzione le doti parrocchiali e le congrue assegnate ai parrochi debbono siane come sono, qualunque sia, la somma de' loro redditi II ministro, che dispone altrimenti, viola un trattalo, ed è fedifrago; fe mancare di parola la Casa di Savoia, ed è traditore, toglie al legittimo proprietario i propri beni, ed è ladro.

Egli è ben naturale che nessun parroco dei regi» Stati voglia calare agli accordi con gesto di questa ritma. Ma è lecito al signor Rattazzi conchiudere che chi entro quindici giorni non risponde, acconsente? Quindici giorni non sono bastanti, a chi non sa, per istruirsi e chiedere consiglio; e il silenzio, ben lungi d all'interpretarsi come un consenso, si dee all'opposto considerare quale un rifiuto.

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XIV.

Circolare contro l'Allocuzione del S. p. Pio IX del 22 gennaio 1855.

Abbiamo a suo tempo avvertito i Parrochi dello Stato, che il ministero aveva fatto indirizzare circolari agli intendenti ed ai sindaci, affinché sopravvegliassero gli ecclesiastici, e girassero un processo a tutti coloro che in chiesa facessero la benché menoma allusione al Monitorio Pontificio. Ora noi possiamo pubblicare una di queste circolari, che è scritta in lingua francese, perché spedita al sindaco di un luogo, dove più dell'italiana è conosciuta questa lingua. In questa circolare vi è molta malafede, là dove si dice che il Pontefice ha minacciato le censure ecclesiastiche a tous ceux qui arrêteront le projet de loi concernant la suppression de quelques unes des communautés religieuses. Come rilevasi dall'Allocazione Pontificia, il Papa ha minaccialo le censure ecclesiastiche a tutti coloro che alla legge proposta ir qualunque modo osassero di essere favorevoli. Non si sa poi comprendere come un ministero, che non teme la pubblicazione di questo documento, ed anzi ne procura l'introduzione nello Stato, poi con sì calde circolari voglia impedire che gli ecclesiastici vi facciano allusione. E in ultimo, perché il conte di Cavour, così favorevole alla pubblicità, e suddito devotissimo e fedelissimo di quella graziosa sovrana del mondo, che è la pubblica opinione, non ha fatto pubblicare queste circolari del ministero agli intendenti, e degli intendenti ai sindaci? Noi siamo obbligati di tacere il nome di colui che ci ha comunicato la seguente circolare, perché gliene incoglierebbe mollo male. In tempo delle antiche persecuzioni, erano i perseguitati che osservavano la disciplina dell'arcano. A giorni nostri la osservano i persecutori. La circolare adunque volta in lingua italiana dice così

Signor Sindaco,

In un Concistoro, tenuto il 22 scorso gennaio, il Sommo Pontefice pronunziò una Allocuzione nella quale dichiara nulli, e come non avvenuti tutti gli atti del potere legislativo ed esecutivo, dipendenti dalla nuova Costituzione politica del nostro Stato, che si riferissero a materie nelle quali la Corte di Roma credesse avere qualche giurisdizione.

Terminando questa Allocuzione, minaccia di colpire colle censure ecclesiastiche tutti coloro che continuassero a prender parte all'esecuzione degli atti suindicati, o che sancissero (arréteront} il progetto di legge concernente la soppressione di alcune comunità religiose, che è stato recentemente sottoposto alle discussioni del nostro Parlamento, o che si occupassero della sua esecuzione nel caso che venisse adottato.

Il governo di S. M. non teme punto la pubblicazione di questo documento; che anzi ha provvisto perché potesse entrare liberamente nei nostri Stati. Ma non potrebbe oltre a ciò permettere, che ecclesiastici, chiunque essi sieno, o come autorità, o. in via semioffiziale, pubblicassero l'Allocuzione o Monitorio anzidetto per mezzo di pastorali o istruzioni o nella spiegazione dell'Evangelio,

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o in tntt'altra maniera, e nemmeno che si facessero allusioni dirette o indirette collo scopo di criticare le leggi, o i poteri dello Stato.

Quindi dietro ordini positivi del governo, debbo pregarvi, siccome vi prego, signor Sindaco, di voler invigilare, acciò possiate essere tosto informato di ogni atto di questo genere, che sì tentasse di praticare nel vostro comune, il che accadendo procurerete d'impedire. Se questo poi non vi riuscisse, dovrete immediatamente denunziare al signor Giudice del vostro Mandamento l'autore della pubblicazione, o delle allusioni, di cui vi ho parlato, e darne nel tempo stesso avviso a quest'uffizio con un rapporto ben particolareggiato, affine che si proceda secondo le leggi.

Vi darete premura di farmi pervenire la ricevuta di questa circolare.

L'INTENDENTE.

XV.

Circolare del sig. Deforesta Ministro di Grazia e Giustizia, sotto la data del 9 giugno 1856 che da agli avvocati generali le più energiche istruzioni contro il Clero.

Questa circolare colle relative osservazioni si trovano a pag.92 e seguenti del presente volume. Qui pubblichiamo la risposta dell'Episcopato sabaudo al conte di Cavour.

LETTERA scritta a S. Eccellenza il signor Presidente del Consiglio dei ministri dagli Ill. mi e Reverendissimi Vescovi della provincia ecclesiastica di Savoia.

Eccellenza,

Le circolari testé spedite ai signori Intendenti dal signor Ministro degli affari interni ed ai signori Avvocati fiscali generali dal sig. Guardasigilli, sono divenute pubbliche, dopo che vennero stampate in tutti i giornali, e per le istruzioni indirizzate a tutte le autorità amministrative e giudiziarie. In vista delle accuse che vi sono formulate, e delle minacciose disposizioni che racchiudono, i Vescovi di questa provincia si fanno un dovere d'indirizzare a V. E. una protesta collettiva.

Queste circolari affermano che il clero è diviso in due parti, e che di queste due parti ve ne ha una ostile a tutte le leggi che sono la conseguenza necessaria dello Statuto. Ora, questa pretesa divisione non esiste; tutto il clero di questa provincia è perfettamente unito; la sua regola costante è di seguire le leggi della Chiesa nell'esercizio del suo ministero con prudenza e moderazione; ma in pari tempo con tutta la fermezza, che conviene alla sua missione. Ciò che prova che l'accusa d'ostilità allo Statuto non ha verun fondamento si è che da due anni in qua i rigori della legge del 5 di luglio 1854 non poterono ancora ricevere in questa provincia alcuna applicazione?

Analizzando queste due circolari, veggiamo che si accusa il clero di rifiutare il battesimo e gli atti, che sono il fondamento e la prova dello stato civile; di non ammettere indifferentemente tutte e persone per essere patrini o matrine;

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di rifiutare qualche volta la sepoltura ecclesiastica; d'inquietare le coscienze al tribunale della penitenza! di esigere ritrattazioni al letto di morte. Si aggiunge che stazioni intiere di Carabinieri reali furono respinte dalle pratiche religiose in occorrenza delle feste pasquali; che in parrochi luoghi i curati si sono rifiutati d} intuonare i canti ordinarii nel giorno della festa dello Statuto; che il rifiuto dalla parte d'un ecclesiastico di far un atto qualunque del suo ministero o di ammettere qualcheduno (all'esercizio d'un suo diritto, o al compimento d'un suo dovere, è considerato a giusto titolo, come un'infrazione al Codice penale.

Con queste accuse e con queste minaccio, o si ha per iscopo d'obbligare il clero ad esercitare il suo ministero in maniera conforme alle leggi canoniche, oppure si vuole sforzarlo ad operare contrariamente a queste leggi in caso, che la loro applicazione fosse opposta alle intenzioni di alcuni ministri. Ora noi possiamo assicurare V. E., che in amendue i casi le minacele sono inutili. Sono inutili nella prima ipotesi, perché tutto il clero di questa provincia è disposto a conformarsi in tutto rispettosamente e fedelmente alle leggi della Chiesa. Esse sarebbero inutili ancora nella seconda ipotesi, perché quando il clero vedrà chiaramente le obbligazioni impostegli dalle leggi canoniche, la violenza esteriore, sotto qualunque forma si presenti, non l'impedirà giammai di soddisfarvi.

Non solo il clero deve seguire le leggi canoniche per l'esercizio del suo ministero, ma tocca a lui solo, e non al potere civile d'interpretarle, e di determinare in qual caso e in qual senso sono obbligatorie.

Il pattino e la matrina, che tengono un bambino al sacro fonte, contraggono una responsabilità religiosa. Tutti i. trattati di diritto canonico e tutti i rituali dichiarano che non si possono ammettere indifferentemente tutti coloro, che si presentano a questo fine. Sciant parochi, dice il rituale romano, ad hoc munus non esse admittendos infideles aut haereticos, non publice excommunicatos aut interulos, non publice criminosos aut infames, nec qui ignorant rudimenta fidei. Supponiamo che, secondo questa regola, un curato giudichi, che un uomo presentato per pattino non possa venir accettato. Il potere civile interviene, e colle sue minaccie vuole sforzarlo a calpestare le leggi della Chiesa. Non è questa una persecuzione manifesta?

Dicesi io questa circolare, che s'inquietano U cosciente al tribunato d§ita penitenza. Ci pare che qui la sollecitudine ministeriale oltrepassi i Mariti, Bisognerebbe almeno rispettare la libertà religiosa nel santuario dei saero tribunale. Secondo le leggi della Chiesa, il confessore non deve render conio e a Dio solo dei giodizii, che pronunzia nel tribunale della penitenza. Se un Vescovo, se il Papa medesimo gli chiedesse perché nega l'assoluzione ad un penitente, danneggerebbe la sua dignità, e non otterrebbe alcuna risposta. Eppure nelle circolari si minacciano i rigori del Codice panale a tutti i confessori che inquietano le coscienze, vale a dire a tutti i confessori che giudicano secondo le loro convinzioni, ohe rifiutano l'assoluzione a' penitenti che reputano Indegni, qualunque sia la loro condizione sociale.

Alla Chiesa furono confidati tutti i Sacramenti e a lei sola tocca amministrarli, e distinguere coloro che sono degni o indegni di riceverli.

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I curati sono specialmente custodi del Sacramento augusto dell'Eucaristia, e le leggi canoniche non permettono di amministrarlo senza discernimento. Arcendi sunt publice indigni, quales sunt excommunicati, interdicti, manifeste que infame et meretrices concubinarii, faeneratores, blasphemi et alii publici peccatore, nisi de eorum poenitentia constet et publico scandalo prius satisfecerint. Non parva vobis imminet ultio, diceva San Giovanni Crisostomo ai sacerdoti del suo secolo, si quamquam ultius culpae con scium huius mensae participem esse concedatis: sanguis eius de manibus vestris exquiretur; sive quis dux militine sitj sive praefectus, indigno autem accedat, prohibe: maiorem ilio potestatem habes; propterea vos Deus hoc insignivit honore, ut talia discernatis: haec vestra dignitas est. (Hom. 00, ad pop, Ànt, ).

Si biasima un confessore che fosso per esigere una ritrattazione da un moribondo prima di assolverlo. Eppure secondo il diritto canonico, v'hanno casi in cui queste ritrattazioni sono necessaria Cateat diligenter sacerdos, dice il Rituale romano, ne absolvat eos qui publicum scandalum dederunt, nisi publice satisfaciant et scandalum tollant. Si è nella confessione, nel foro interno che il confessore prescrive queste specie di ritrattazioni quando le giudica indispensabili, e allora non ne deve render conto né al magistrato civile, né al suo Vescovo, ne al Papa medesimo, ma a Dio solo Eppure secondo il testo delle circolari, si vorrebbe chiamare in giudizio, perché rifiuta un atto del suo ministero, cioè perché non vuole assolvere un penitente che stima indegno.

Il caso della sepoltura ecclesiastica non è una semplice quistione di polizia o di pubblica salute. Si tratta di sapore se il prete debba riconoscere un morto come cattolico, ricevere il suo corpo nella chiesa, fargli sopra le preghiere liturgiche accompagnarlo al cimitero e benedire la sua tomba. Il rituale romano ci dice su questo punto ignorare non debet parochus qui ab ecclesiastica sepultura ipso jure sunt excludendi, ne quemquam ad illam contra canonum decreta admittat.

Vostra Eccellenza vede da ciò in quale trista condiziono versi il sacerdote cattolico. Ha da una parte le regole canoniche che son chiare e precise, e dall'altra le circolari ministeriali, che violentemente l'incalzano. Certamente, se altri vuole sforzarci a calpestare le leggi della Chiesa, a ricevere per patrini al battesimo persone escluse dal Rituale romano, ad accordar la sepoltura ecclesiastica contro le regole del diritto canonico, e dare l'assoluzione a Pasqua od in punto di morte, sii penitenti, che non hanno le disposizioni richieste, noi saremo sempre pronti a dire coll'Apostolo S. Pietro: obedire oportet Deo magis quam hominibus. Giudicherà ella facilmente, signor Conte, se nell'alternativa, in cui è posto il clero, può agire in altro modo.

Si dice nelle circolari, che in molti luoghi il clero si è rifiutato di assistere o di intwmare ì canti ordinarii nel giorno della festa dello Statuto. Noi non conosciamo ritinti di questo genere in Savoia. Ma V. E. riconoscerà, speriamo, che la posizione del clero in questo punto ha pure qualche cosa di anormale. Dopo la pubblicazione della legge del 5 maggio 1851 i Vescovi non ricevettero dal governo alcuna comunicazione, alcun avviso, riguardo alla festa dello Statuto.

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Non dovevano adunque dar ordine ai parrochi a questo riguardo, e dal loro lato i parrochi non potevano Care una funzione religiosa pubblica senza il prescritto del loro Vescovo, era quindi naturale, che non vi fossero uffizi in chiesa in tal giorno. Tuttavia, affin di prevenire ogni difficoltà i Vescovi credettero loro dovere il raccomandare ai parrochi di cantare un Te Deum seguito dalla benedizione del SS. Sacramento in tutte le parrocchie, ove la domanda Fosse stata fatta dal Consiglio comunale. Non si deve dunque far maraviglia che non vi sieno state Funzioni religiose nelle parrocchie ove il Consiglio comunale non ne Fece la richiesta.

Si dice nelle circolari che Vappello per abuso viene in aiuto della legge penale per reprimere eccessi, quand'anche non costituiscano un delitto secondo le leggi ordinarie. Si riconosce dunque chiaramente che l'appello per abuso tende a punire atti che non sono né crimini, né delitti secondo le leggi ricevute. Ma i magistrati potrebbero riconoscere altre leggi da quelle in fuori, che sono state sancite e pubblicate nelle debite forme? Potrebbero essi disprezzare la legalità al segno di punire un fatto, che non è proibito da legge alcuna? Il procedere arbitrario dei governi dispotici può Forse conciliarsi col reggime costituzionale? Tutti i regnicoli, sacerdoti o laici, non sono essi eguali innanzi alla legge? Per poco che si conservi di rispetto per la libertà e l'eguaglianza, si deve riconoscere che l'appello per abuso sarebbe oggidì esso stesso un grandissimo abuso.

Certamente signor Conte, niuno desidera più ardentemente, che i Vescovi di vedere la pace ristabilita tra il clero ed il governo, tra la Chiesa e lo Stato; ma sventuratamente quando noi vediamo che i giornali, anche quelli che sembrano essere in modo particolare gli organi del ministero, continuano a proferire impunemente grossolane ingiurie contro la S. Sede, quando si spargono in tutti i Comuni del regno circolari ministeriali, che fanno di tutto il clero una classe di sospetti, che sottopongono dappertutto i sacerdoti ed i Vescovi alla sorveglianza d'amministratori soventi volte irreligiosi e accattabrighe, come se si avesse a cuore d'umiliarli sempre più, di avvilirli, di toglier loro ogni stima, pressoi fedeli: sì, quando vediamo, quando siamo costretti a sopportar in silenzio tutti questi modi di procedere spiacevoli ed ostili, noi riconosciamo con dolore, che non possiamo sperare prossima questa pace, che noi chiediamo a Dio ogni giorno. Ella capirà Facilmente, signor Conte, che, se si crede per tal modo di costringere il clero ad amare il governo, i mezzi non sono bene scelti; anzi non sono neppure prudenti, perché le umiliazioni del clero sono nello stesso tempo le umiliazioni di tutti coloro che sono sinceramente affezionati a9 principii cattolici ed alta S. Sede, e noi vediamo con consolazione, che in questa provincia ecclesiastica essi formano quasi tutta intera la popolazione. Il nostro primo pensiero nel leggere queste minaccie fu di abbandonarle alla pubblica riprovazione, ma dopo qualche riflesso risolvemmo di presentare almeno questa protesta collettiva a V. E. per timore che il nostro silenzio non fosse considerato dai Fedeli come una debolezza od una specie di approvazione.

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Abbiamo l'onore di essere coi più particolari sentimenti di V. E. gli umilissimi ed ubbidienti servitori,

+ Alessio, Arcivescovo di Ciambert

+ Andrea, Vescovo d'Aosta,

+ Gio. Francesco Marcellino, Vescovo di Tarantasia.

+ Francesco Maria, Vescovo di Morianat

+ Luigi, Vescovo d'Annecv.

Per copia conforme all'originale. - Ciamberì il 3 luglio 1856.

+ Alessio, Arcivesc.

XVI.

Circolare del Ministro dell'Interno Urbano Rattazzi, sotto la data del 13 di agosto 1857, colla quale esorta i Sindaci a sopravegliare affinché i Parrochi non vendano i vasi sacri d'oro e d'argento!

Nell'estate del 1857 in Piemonte, ed in modo particolare nella diocesi d'Ivrea avvennero numerosi furti sacrileghi. Il Vescovo d'Ivrea Monsignor Moreno vide col massimo dolore, che nella sua diocesi, in meno di venti giorni, sette parrocchie furono funestate dal più enorme, dal più orrendo tra sacrilegi, la violenta rottura del santo tabernacolo, e l'involazione dei sacri vasi, e delle ostie consacrate. Il 6 di luglio in Rivarolo, nella parrocchiale di S. Giacomo, infranto il tabernacolo, furono involati l'ostensorio e la pisside colle ostie sante. Altrettanto nel medesimo giorno attenta vasi nell'altra parrocchiale di S. Michele; l'8 in quella di Strambino; dall'I 1 al 12 nella parrocchiale di Maglione; il 13 in quella d'Agli è; il 20 nella parrocchiale di Foglizzo; il 24 in quella di Rondizzone. e Se a Strambino, dice l'illustre Prelato, a Maglione, e in detta chiesa di S. Michele, non riuscirono gli empi attentati, nelle altre furono orrendamente consumati, e ci tocca piangere a lagrime di sangue, che dalla mentovata parrocchiale di S. Giacomo di Rivarolo, da quelle di Foglizzo e di Rondizzoae non siasi potuto rinvenire le ostie sagrosante».

Monsignor d'ivrea, deplorati con eloquenti parole questi sacrilegi, sentito il parere di alcuni venerabili canonici e parrochi, prescriveva alcune norme, sia per impedire i furti, sia per ripararne lo scandalo, quando si rinnovassero. E tra le prescrizioni vi erano queste due: 1° autorizziamo la vendita di tutti % vasi sacri, come calici, pissidi, ostensorii, ecc,; 2° quando il sacrilegio si rinnovasse, si avrà la chiesa per tal fatto interdetta. Contro queste due disposizioni si scatenò Urbano Rattazzi, e scrisse la sua circotare, la vendita dei vasi d'argento fu per lui una ferita nel cuore; onde chiamò sul particolare l'attenzione dei signori sindaci, sicché procurino di vegliare accuratamente all'oggetto, che sia impedita qualunque vendita, o permuta di vasi sacri.

Ma che cosa importa al Rattazzi di calici, di pissidi, di ostensorii? che cosa gli preme che sieno d'argento, o argentati? che cosa gli importa?.....Ah! il Rattazzi per disgrazia nostra fu già in altri giorni ministro in Piemonte,

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e in giorni in cui la demagogia non era in dovere di coprirsi colla maschera, per non adombrare i diplomatici. Allora, sul finire del 1848, essendo ministro Rattazzi, partiva dal ministero un'altra circolare sui vasi sacri, e diceva:

«Colla stessa opportunità, ed in modo egualmente del tutto confidenziale, deggio altresì incaricare V. S. M.to Ill.re di assumere informazioni, onde accertare il numero, e l'approssimativa dimensione, di tutte le campane delle chiese locali, non che il numero e qualità DEGLI ARREDI SACRI D'ORO E D'ARGENTO, e di qualunque altro METALLO PREZIOSO ì in dette chiese esistenti, facendo del tutto una nota la pia dettagliata che sia possibile t. (Leggi l'Armonia del 12 di gennaio del 1849).

Capite perché Rattazzi s'è risvegliato? gli ori e gli argenti delle chiese già gli fecero gola nel 1848 e 49; e ne aveva divisato la conquista senza curarsi più, che tanto della pietà de' fedeli e dei diritti dei rispettivi Comuni. Ma venne Novara, e colla sventura della patria fummo liberati dal ministro Rattazzi, e gli ori e gli argenti delle cbiese restarono salvi. Ora Rattazzi tornò ministro, e chi sa che cosa sta mulinando 1 Noi, letta la sua circolare, ci stimiamo in dovere di levare alto la voce, e dire alle chiese di nascondere quanto hanno di piti prezioso, affinché non resti preda improvvisa della rapacità rivoluzionaria.

Quanto alla quistione di principio messa in campo dal ministro Rattazzi, abbiamo l'onore di dirgli ch'egli s'intende tanto di diritto canonico, quanto noi di chinirgia. Dove ha egli imparato che gli effetti dovuti dalle chiese alla pietà de' fedeli sono dei rispettivi Comuni? I Canoni c'insegnano ad ordinationem Episcopi pertinere. Eccone uno per saggio, signor Rattazzi: Noverint conditores basilicarum in rebus, quas eisdem ecclesiis conferunt nullam se potestatem habere, sed,. iuxta Canonum instituta, sicut Ecclesiam, ita et dotem eius ad ordinationem Episcopi pertinere. Così il Concilio IV di Toledo, riferito nel Diritto canonico, cap. Noverint, X, quest. L. a. Così definì la Rota Romana, part. 9.a, tono.1, decis.14, N° 9. Così insegnano tutti i canonisti, come può veri Bearsi nella biblioteca del Ferraris.

Ma che Urbano Rattazzi non conosca il diritto canonico, transeat. Il peggio è, che non conosce nemmeno il nostro Codice civile, il quale all'articolo 418, distinguendo chiarissimamente i beni della Chiesa dai beni de' Comuni, prova con ciò, che quelli non sono di questi. E Io stesso Codice civile, il quale all'articolo 436, parlando AeV alienazione dei beni della Chiesa dichiara, che dee esser fatta nelle forme, e colle regole, che lor son proprie. Ora le forme proprie per vendere o permutare i calici, sono l'autorizzazione del Vescovo, e niente di più.

Ne volete una prova, signor Rattazzi? Interrogatene Nepomuceno Nuytz, e le sue Iuris ecclesiastici institutiones. Esse contemplano proprio il caso nostro, e dicono: «Del resto, quantunque le cose donate sieno soltanto di quelle chiese, alle quali vennero date, non v'ha dubbio che i Vescovi e gli stessi Romani Pontefici, pome rettori delle chiese e tutori, possono stabilire quelle regole che stimino opportune per l'amministrazione e conservazione delle cose date».

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laonde i parrochi e i custodi delle chiese debbono attenersi alle norme del Vescovo d'Ivrea, il quale, e sa, e vuole portare più rispetto ai canoni che non il ministro Rattazzi. Sopratutto, o possano, o no, vendere i vasi sacri, badino però di tenerli nascosti, finché lo stesso Rattazzi è ministro, e si ricordino della circolare del 1848 e 18491

Quanto all'interdetto delle chiese, il ministro Rattazzi scrive ai sindaci: Quando poi accada, che nuovi furti sacrileghi (sic), od a pretesto di essi, Monsignor Vescovo pronunzii l'interdizione di una chiesa, i sindaci provvederanno energicamente a tutela dell'ordine e quiete pubblica».

E qui noi avvertiamo il ministro Rattazzi, che non accadrà che Monsignor Moreno pronunzii l'interdizione, e questo perché l'ha già fin d'ora pronunziata. Eccone le parole: «Tuttavolta accadesse che in alcuna chiesa sia comunque violato il santo tabernacolo, e sieno involati dal medesimo i vasi sacri colle ostie, si avrà la chiesa stessa per tale fatto come interdetta. E la raccomandazione che il ministro fa ai sindaci, non è altro, che una prova della sua sfondolata ignoranza, mentre non ha saputo intendere una Pastorale che ha voluto criticare!

È bella poi che Urbano Rattazzi voglia immischiarsi perfino dell'interdetto delle chiese. E clic? I Vescovi dovranno dipendere dal ministro della polizia anche nelle cose del culto? Non si potrà più dire od ommettere una Messa senza il buon piacere di un Rattazzi? Ed a tanto sarà condannata in Piemonte la religione cattolica? Disingannatevi, signor ministro: voi non sarete né oggi, né mai obbedito: voi non otterrete né oggi, né mai il potere di togliere un interdetto, Che cosa potrà fare l'energia dei sindaci contro una censura? e quale sindaco onesto vorrà servirvi in cosi brutto mestiere?

Venendo del resto alla moralità di siffatta questione, che cosa veggiamo noi? Veggiamo da una parte un Vescovo addolorato pei farli sacrileghi, che tenta di impedirli, sia col toglierne l'allettativo, sia colla forte morale della religione. Veggiamo dall'altra un ministro di polizia che, inetto nel suo mestiere, non sa far testa ai ladri, e se esce dalla sua indolenza, si è per proteggerli Sì, la circolare del Rattazzi protegge i ladri. Li protegge, perché, volendo impedire la vendite dei vasi «eri, s'adopera affinché resti l'esca del latrocinio. Li protegge, perché volendo impedire l'interdizione delle chiese, dove fu consumato il sacrilegio, si adopera affinché i malfattori non vengano esecrati, come si deve, dalle popolazioni.

CIRCOLARE DEL MINISTRO RATTAZZI

AI SINDACI.

Torino, addì 13 di agosto 1857.

Monsignor Vescovo d'Ivrea, prendendo occasione da alcuni furti sacrileghi avvenuti non è molto in quella diocesi, diramava il 30 dello scorso luglio una circolare al suo clero, nella quale, lamentando i seguiti attentali, autorizzava parrochi ad alienare i vasi sacri d'oro e d'argento, ed a sostituirne altri dì rame argentato o doralo, e dichiarava colpite senz'altro da interdetto le chiese, dove un furto di simil natura si venisse a lamentare.

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Il guardasigilli, avuta cognizione di tale circolare, si rivolse allo stesso Vescovo, perché, riconoscendo le vere condizioni delle cose, ritirasse le date disposizioni, come quelle che intaccavano i diritti dei rispettivi Comuni, spogliando le chiese di effetti, che devono alla pietà dei fedeli, e creavano esagerati timori ed apprensioni.

Si lusinga lo scrivente, che tali rimostranze sortiranno il desiderato effetto; tuttavia a prevenire qualunque indebito spoglio e perturbazione dell'ordine pubblico, si crede in dovere di chiamare sul particolare l'attenzione dei signori Sindaci, sicché procurino di vegliare accuratamente all'oggetto che sia impedita qualunque vendita, o permuta di vasi sacri, che in dipendenza di detta circolare si tentasse dai parrochi, o da altri, ed ove si verificasse tal fatto, si rivolgeranno sollecitamente all'autorità giudiziaria del luogo, per ottenere quelle provvidenze conservatorie che saranno di ragione, salvo poi alle competenti giurisdizioni pronunziare in proposito.

Quando poi accada che nuovi furti sacrileghi, od a pretesto di essi, Monsignor Vescovo pronunci l'interdizione di una chiesa, i sindaci provvederanno energicamente a tutela dell'ordine e quiete pubblica, informandone il ministero il più celeremente possibile per le conseguenti provvidenze.

Confida Io scrivente che i signori sindaci, e come tutori della cosa pubblica, e come uffiziali del governo, cureranno con zelo l'esecuzione di queste disposizioni, invitandoli a dar cenno di ricevuta della presente a rivolta di corriere.

Il ministro U. Rattazzi.

XVII.

Circolare indirizzata ai Vescovi di Lombardia dal Governatore Vigliarli sotto la data del 22 di giugno 1859, Con cui si fanno all'Episcopato ed al Clero Lombardo le più. belle promesse.

CIRCOLARE INDIRIZZATA DAL GOVERNATORE

AI VESCOVI DELLA LOMBARDIA.

Milano,22 giugno 1859.

Ill. mo e Rev.mo Monsignore.

Appena io venni chiamato dalla Maestà del Re all'onore di reggere il governo di queste provincie, sentii tosto il bisogno di far appello allo zelo evangelico e patriotico dell'Episcopato lombardo, e di chiarirlo dell'indole e della misura del concorso che il Governo del Re domanda al Clero. Gli ardui e moltiplici officii che accompagnarono l'ingresso nell'esercizio delle mie funzioni, non mi consentirono di farlo così tosto come avrei voluto, e ancora mi obbligano a toccar le cose per sommi capi, non bastandomi il tempo a particolari dichiarazioni.

Non è mestieri ch'io accenni alla signoria vostra illustrissima e reverendissima qual valida guarentigia debbano essere pel Clero le tradizioni della Real Casa di Savoia, la quale in ogni tempo si distinse per illuminata sollecitudine dei più preziosi interessi della religione e della morale: ben le dirò che Vittorio Emanuele II

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non è venuto e non verrà mai meno agli illustri suoi esempii domestici, e che il suo Governo ha sempre professato e sempre professerà il massimo ossequio verso la Chiesa, de' cui veraci diriui e della cui legittima libertà fu e sarà sempre custode vigile e disinteressato. Ho detto appositamente disinteressato per istabilire con questa sola espressione il divario che la S. V.111.ma e Rev.ma deve porre fra le relazioni che il Governo del Re intende avviare col Clero e quelle che correvano fra esso ed un Governo, il quale esercitava sulla Chiesa un patrocinio che riesciva a una vera servitù, e sempre lo subordinava a'suoi politici intendimenti.

Quel Governo è scomparso da queste provincia con una sì rapida e prodigiosa sequela d'eventi, in. cui l'alto e religioso animo della signoria vostra illustrissima e reverendissima avrà certo veduto lo avveramento d'un disegno della Provvidenza. Un tal concetto mi fa sicuro che la causa nazionale sì visibilmente benedetta da Dio, sarà da lei risguardata come la causa della giustizia, ed avrà in lei un propugnatore quanto autorevole, altrettanto efficace. Importa che di ciò sian rese consapevoli le popolazioni: importa ch'esse sappiano che il loro voto di tanti anni sedeva pur nell'animo de' loro pastori: importa che nella manifestazione de' loro nazionali affetti si veggano precedute dalle religiose loro guide. Di che avranno egual giovamento le condizioni religiose e le nazionali, giacché dall'un canto la religione deriverà maggior reverenza dil mostrarsi aiutatrice dei pili desiderati e pili reali miglioramenti civili, e dall'altro il sentimento nazionale verrà forti Beato da tutto che hanno d'augusto le religiose sanzioni.

Io quindi non dubito che la S. V. illustrissima e reverendissima vorrà affrettarsi di volgere una Lettera Pastorale al suo Clero e al suo popolo, nella quale porrà in chiaro quanta ventura sia per queste contrade di essere sottratte alla signoria forestiera, e quali doveri corrano al Clero e al popolo verso il nuovo Governo nazionale, di che ora sono prosperate.

In pari tempo la signoria vostra illustrissima e reverendissima sentirà il dovere di provvedere che in codesta diocesi s'introducano le preghiere pel Re secondo le prescrizioni liturgiche, e secondo le pratiche generalmente invalse negli Stati cattolici. Alle quali preghiere Ella troverà pur doveroso che altre se ne aggiungano pel trionfo delle armi alleato durante questa guerra dell'indipendenza, dal cui esito dipendono le sorti della patria, e l'assestamento della pace europea.

E poiché alle preghiere vuole andare congiunta l'opera, la signorìa vostra illustrissima e reverendissima farà officio degno del suo ministero, aiutando con efficaci parole il compimento della leva militare, che fu testé bandita col R. decreto 17 giugno 1859. È della massima importanza che la riverita voce dei ministri della religione secondi lo slancio dell'animosa gioventù italiana a sostenere col braccio la liberazione del suolo patrio dalla forestiera ed ingiuste dominazione.

Sarà ad un tempo opportuno che Ella faccia comprendere al popolo meno istrutto quanto sia grande il beneficio che il magnanimo Imperatore dei Francesi e l'invitto suo esercito porgono all'Italia, e più specialmente alle provincia lombarde più gravate dal giogo straniero, aiutandole ad ottenere stabilmente la loro redenzione, e come sia quindi sacro debito l'attestare con ogni maniera di riguardi e di alleviamento

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la viva nostra riconoscenza verso i generosi liberatori, nelle quali dimostrazioni debbe il Clero illuminare colla parola e guidare coll'esempio.

lo confido che l'Episcopato e tutto il Clero lombardo saranno per mantenere e dimostrare col fatto quella riputazione di prudenza, di saviezza e di divozione alla causa nazionale, di che corre generale il grido, e che cresce ossequio ed amore alle sue religiose e cittadine virtù. Che se andrò ben lieto di poterne rendere piena testimonianza al Governo del Re, altrettanto, comunque ne dovessi essere rammaricato, ho fermo di procedere incisamente e severamente, nell'Episcopato e nel Clero non trovassi quel contegno e quel concorso ohe le circostante esigono, e che, lealmente domandato in nome del Re e della patria, deve essere lealmente concesso da quanti parlano 'ed operano in nome di Dio e della religione. Accolga, Monsignore, gli atti del mio profondo ossequio.

Il Governatore della Lombardia

VIGLIANI.

Come commento eloquentissimo alla precedente circolare pubblichiamo questa lettera che lo stesso Vigliani indirizzava a Monsignor Cacci» Vicario Capitolare di Milano sotto la data del 22 di settembre 1859.

Ill. mo e Rev.mo Monsig. Vicario Capitolare,

Milano, il 22 settembre 1359.

Mi viene annunciato essere escita voce ohe non si vogliano domani illuminare il Palazzo Arcivescovile, la Chiesa Metropolitana, ed altri edifizii sacri, i eui Amministratori dipendono da cotesta veneranda Curia. Se ciò accadesse, n# sorgerebbe agitazione vi vissi ma nella maggioranza di questa popolazione, onde potrebbe essere turbato l'ordine pubblico e gravemente compromesso il rispetto dovuto al Clero, II Governo del Re non verrà mai meno al suo dovere di tutelare la sicurezza e i diritti d'ogni ordine di cittadini, ma deve nel tempo stesso prevenire ogni causa di scompiglio, e segnatamente impedire tutto ciò che può parere un atto ostile alla causa nazionale, e quindi esser pretesto a turbolenti manifestazioni, lo non dubito che la S. V. Illustrissima e Reverendissima sari compresa dell'importanza di poteste considerazioni, e che mi vorrà prestali» Pefiìcaee concorso della sua Autorità in sì grave contingenza. E perciò la invito a dar gli ordini opportuni, affile ho gli anzidetti edifici» e tutti gli altri che da lei dipendono direttamente 0 indirettamente siano domani illuminati, come è di pratica, e come furono nelle precedenti occasioni di pubblici festeggiamenti. Voglio sperare che i suoi ordini saranno eseguiti: ove non lo fossero, quegli edifizii sacri che non apparissero illuminati, lo sarebbero (osto per parte dell'Autorità governativa, e i parroci, fabricieri od amministratori che ne tengono cura, non dovrebbero imputare che a se stessi le conseguenze a che si esporrebbero con una sì manifesta provocazione al turbamento della pubblica tranquillità.

Accolga, Monsignore, gli atti del mio più profondo ossequio.

Governatore

VIGLIANI.

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XIX.

Circolare del Ministro dell'Interno Marco Minghetti, 'sotto la data del 6 di maggio 1864, con cui esorta i preti a ribellarsi agii ordini de' proprii Vescovi,

La legge del 5 di maggio 1861 sulla festa dell'Unità Italiana non parla di Chiesa, né di religione. Però il ministro Minghetti ha supplito al silenzio della legge con una sua circolare ai signori sindaci, gonfalonieri e autorità comunali del regno, che porta la data del 6 di maggio 1861. In questa circolare il ministro dell'interno dice così:

«Primieramente la S. V. prenderà gli opportuni accordi coll'Autorità governativa per tutto ciò che concerne questa solennità. Appresso ella rivolgerà invito cortese all'Autorità ecclesiastica, affinché piaccia ad essa celebrare con rito religioso il grande evento che fa tutti i popoli d'Italia una sola famiglia sotto l'impero della monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele li e suoi successori.

«Il Governo di S. M. confida che tutti i Vescovi e Parroci aderiranno di buon grado a tale invito, e dimostreranno anche in questa occasione la loro carità cittadina. In tal caso avrà luogo la festa religiosa con una Messa accompagnata dal canto dell'inno Ambrosiano. Ma qualora l'autorità ecclesiastica non credesse di poter aderire a siffatto invito, il Governo di S. M. deplorando l'illusione nella quale taluno si troverebbe, vuole nullameno che si rispettino scrupolosamente: sentimenti della sua coscienza, e quindi la S. V. non insisterà ulteriormente a tal fine. Bensì, ove fosse nel territorio del comune qualche chiesa di patronato municipale, e alcun sacerdote disposto a celebrarvi la presente solennità, ella potrà supplire in tal guisa al difetto dell'autorità gerarchica ecclesiastica».

Con questa circolare si volle recar noia ai Vescovi ed ai Parrochi che la legge ha lasciato in pace, Inoltre si eccitavano i preti a ribellarsi contro i loro Vescovi e a celebrare quelle feste che essi non volessero celebrare. (Finalmente s'investivano i sindaci dell'autorità gerarchica ecclesiastica, giacché essi erano chiamati a supplirne i difetti! Nel Corpus juris canonici si trova il titolo De supplendo negligenza Praelatorum; ma il diritto canonico non ha dato mai quest'incarico ai sindaci, come fé' il ministro Minghetti!

I Vescovi protestarono contro la precedente circolare del Ministro Minghetti, e ne rechiamo per saggio questa protesta del Vescovo di Saluzzo.

A S. E. il Ministro per gli affari interni.

Saluzzo, il 20 maggio 1861.

Eccellenza,

Dopo di avere con circolare ai reverendi Parrochi della mia diocesi date le opportune direzioni, affinché secondo la lettera e lo spirito della legge delli 5 corrente non si faccia alcuna religiosa funzione in ordine alla festa nazionale uoicamente civile e politica eoa essa stabilita, mi corre l'obbligo di protestare, come, a nome mio, ed a nome di altri miei col leghi, rispettosamente protesto contro la circolare di V. E. del 6 pure corrente indirizzata ai signori sindaci come quella, la quale, nel consiglio che loro da,

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lede apertamente la giurisdizione vescovile sopra le chiese, e induce alla disubbidienza al proprio Ordinario, per non dire allo scisma i sacerdoti. Perdoni all'obbligo che come a Vescovo mi corre di difendere, e sostenere i diritti e la disciplina della Chiesa questo mio procedere, il quale d'altronde nulla toglie al profondo rispetto, con cui ho l'onore di essere

Di V. E.

UmiLmo dev.mo servo

+ Gioanni, Arcìvesc. Vescovo.

XX.

Circolare del sig. Miglietti Ministro di grazia e giustizia, sotto la data del 26 ottobre 1861 che è un libello famoso contro l'Episcopato italiano.

MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DE' CULTI

Circolare ai Reverendissimi Arcivescovi, Vescovi e Vicari Capitolari del Regno.

Una serie di prodigiosi avvenimenti ha nel breve giro di due anni ricostituita la Nazione Italiana, le ha reso agevole di rivendicare ed affermare in faccia al mondo i suoi diritti imprescrittibili, e l'ha condotta a raccogliersi nell'unità di questo regno d'Italia, che fondato nella volontà nazionale espressa ne' modi più solenni, e riconosciuto già dai popoli e dai governi più possenti e civili, deriva la sua maggior forza dai principii supremi della giustizia e della morale, e dai grandi interessi della civiltà.

Le moltitudini riscosse da tali avvenimenti ravvisarono in essi l'intervento della Provvidenza, e mentre da cotesta persuasione vennero confermate nella più larga fiducia del completo italico risorgimento, ne furono (tratte altresì a stupire e sdegnarsi di tutto ciò che frapponesse ostacoli, o in qualsivoglia modo contrastasse al voto della nazione.

Sciaguratamente in più parti del regno intervennero assai fatti, dai quali apparve che molti membri del Clero ed anche dell'ordine più elevato, non che dividere l'anzidetta (persuasione, ed acquetarsi almanco a quella miracolosa mutazione di cose salutata per ogni dove con tanta concordia d'entusiasmo, apertamente avversano il governo nazionale e le sue leggi, ed ostentano far credere che l'uno e l'altre siano in contraddizione con le dottrine e gl'interessi della Chiesa Cattolica. Infatti, è doloroso a dirsi, ma si deve, in alcuni luoghi si pubblicarono proteste, Encicliche, Pastorali, in cui è negato o posto in controversia il principio stesso, nel quale ha suo fondamento il nazionale governo, e sono qualificate empie, inique, ostili alla religione e alla Chiesa molte leggi dal medesimo bandite in virtù di quei diritti che sempre si esercitarono dalla civile podestà; in altri si mandarono in giro istruzioni rivolte a turbar la «coscienza di coloro che in qualsivoglia modo presero parte al gran moto nazionale, adempiendo ai loro doveri di funzionari, di soldati, di cittadini; in altri o si negarono i pietosi suffragi della religione ai morti nella guerra dell'Indipendenza e ai cittadini più benemeriti della patria, o s'interdissero

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i sacri riti nella ricorrenza delle nazionali solennità; in altri si trascorse ai più rigidi provvedimenti contro quei sacerdoti che non dubitarono di mostrarsi ossequiosi alle civiK potestà, e che palesemente accennarono di far la debita separazione fra i diritti essenzialmente distinti della Chiesa e dello Stato; in altri si giunse a predicar dalla sacra cattedra l'ingiuria sull'augusta persona del Re, il disprezzo e la disobbedienza delle leggi, e a far servire il tempio del Signore a conventicola di maccbinamenti contro l'ordine pubblico; in altri venne persi no ricusato il santo volume de' Vangeli, sul quale i soldati della nazione dovevano giurar fede al Re e alle leggi; a tacere di que' luoghi, in cui furono veduti i sacerdoti del Dio di pace inalberare il vessillo del riscatto per porsi alla testa e tra le file dei saccheggiatori e dei briganti.

Una siffatta attitudine assunta in pili luoghi dal Clero irritò vivamente il sentimento popolare, a cui recarono altresì grave offesa i portamenti di molti fra i maggiori Dignitarii ecclesiastici, i quali avrebbero dovuto e potuto interporre la riverita autorità del loro ministero a studio di conciliazione e di pace, e invece la usarono a fomento di turbazioni e dissidii. Quindi invalse quasi dappertutto il concetto, che il governo nazionale sia da una notabile parte del Clero o palesemente osteggiato, od avversato segretamente: concetto che, esageralo dallo scompiglio delle opinioni e dall'effervescenza delle passioni, può tornare in gran danno non meno della Chiesa che dello Stato, provocare ed aiutare macchinazioni colpevoli, dar pretesto ad insensati disegni, mentre è continua minaccia di turbamento della pubblica tranquillità.

£ cotesta una deplorabile condizione di cose, che non può, che non deve durare. La coscienza universale ripugna all'idea, che il sentimento religioso ed il sentimento nazionale si escludano e si combattano; né già può concepirsi il caso di una Nazione, la quale sia condannata a scegliere tra il dono più prezioso della Provvidenza e il voto più legittimo della natura, tra la conservazione della fede religiosa e l'indipendenza e la libertà della patria.

K fronte dell'espressione delta volontà nazionale, che si pronunciò con tanta solennità e concordia, a fronte delle leggi che sulla base della volontà medesima hanno costituito il nuovo regno, il Clero italiano non può sottrarsi al dovere di riconoscere il presente ordine di cose e di accettarne le conseguenze: non lo può in forza di quegli obblighi che stringono ogni ordine di cittadini; non lo può in ossequio ai principii stessi che dalla Chiesa vennero costantemente ammessi e praticati. La Chiesa infatti, per non porsi in contraddizione con le leggi della Provvidenza, che avendo fatto gli uomini e le società capaci di perfezionarsi, impose loro il cangiamento ed il progresso, nella sua condotta esteriore tenne sempre conto degli avvenimenti, seguì con mirabile prudenza le vicende della vita sociale, e s'adattò nel corso de' tempi e nelle varie contrade a qualsivoglia specie e forma di governo, sollecita solo d'essere lasciata libera dalle civili podestà d'adempiere alla sua missione tutta spirituale e rivolta ad una meta posta fuori della cerchia degl'interessi terrestri. Ora perché mai di questi giorni e in Italia procederebbe la Chiesa con altre norme?

Perché dovrebbe trovar ripugnante alle sue ragioni e ai suoi interessi il governo che gli Italiani si son dato, dappoiché le une e gli altri non possono esser che spirituali,

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e per ciò stesso debbono trovarsi ia armonia con quelle ragioni e con quegli interessi di giustizia, di morale e d'ordine, a cui gli Italiani hanno voluto soddisfare, e che col nuovo loro governo intesero ad assodare sulle più salde fondamenta? Perché negherebbe al governo nazionale quell'adesione e quell'ossequio, che non dubitò prestare a tutti i precedenti governi della Penisola, ed anche a quelli che si mostrarono meno curanti di assicurarle le sue legittime franchigie?

Il governo del Re è consapevole a se stesso d'avere del continuo rispettata l'autorità spirituale della Chiesa, e d'averne assicurato il libero esercizio anche nel caso d'assai persone ecclesiastiche, che di tale autorità abusarono con biechi intendimenti, e che perciò provocarono i giusti risentimenti delle popolazioni. Egli non ha fatto discernimento mai fra il Clero e l'universalità dei cittadini, non gli ha imposto alcun obbligo speciale, e non gli (ha domandato altro che l'osservanza di quelle leggi, le quali, così al Clero come all'universalità dei cittadini, danno la norma dei comuni diritti e doveri, ed assicurano a tutti i beneficii della civile convivenza. Che se bandì ordini e decreti, onde poterono patir offesa non le ragioni, bensì gl'interessi materiali di alcune corporazioni e persone ecclesiastiche, ciò fece affine di provvedere a strettissime necessità giuridiche ed economiche, in virtù di quelle prerogative che non furono mai contraddette alla civile podestà, e che vennero esercitate in tutti gli Stati cattolici, secondocbè fu richiesto dalle particolari condizioni de' tempi, mentre pose ogni cura che i dati provvedimenti fossero temperati dai più benigni riguardi.

Uno de' suoi voti più caldi e sinceri, al quale di fermo la Nazione intera ti associa, è quello che sorga presto il giorno, in cui separate al tutto le ragioni della podestà ecclesiastica e della civile, e segnati rigorosamente i loro rispettivi confini, la Chiesa dall'un canto possa godere di piena libertà nell'ordine spirituale e nel governo delle coscienze de' fedeli, e lo Stato dall'altro canto possa arrestarsi dinanzi alla soglia del Santuario colla certezza che al di là di essa non gli spetta alcuna ingerenza, perché non vi giunge suono d'interessi materiali e mondani. Ma perché questo voto sia adempiuto, é mestieri che la Chiesa rinunci a qualsivoglia temporale dominio, che smetta ogni pretensione d'invadere i diritti dello Stato, e che, per usare una santa parola, restringa le tue sollecitudini a quel regno che non è di questo mondo.

Frattanto il governo del Re non può rimanere spettatore indifferente di uno stato di cose che offende il sentimento nazionale, agita ed irrita le opinioni, turba la pubblica pace e può aprire la via ai maggiori disordini: bensì egli é fermamente deliberato non solo a rimovere da sé ogni responsabilità delle luttuose conseguenze che ne potrebbero uscire, ma altresì a cercar tutti i modi di farlo cessare. Perciò il sottoscritto, a cui é commessa la cura degli affari ecclesiastici, reputa opportuno rivolgersi ai Reverendissimi Arcivescovi, Vescovi e Vicarii capitolari del Regno, facendo appello non meno ai loro sentimenti di cittadini e di italiani, che alla sincerità del loro zelo pei veraci interessi della religione e della Chiesa.Veggano essi, se il Clero, separandosi dalla nazione ed avversandola nei suoi voti più spontanei, più aperti, più legittimi, non esponga a grave pericolo con la propria dignità e sicurezza il santo deposito dei dogmi,

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della morale, del buon costume che ha debito di custodire inviolato. Veggano, se non si possa apporre ai Clero di mettere troppa cura in tutto ciò che non conduce al regno di Dio, come se anch'esso si desse briga del regno di questa terra. Veggano, se il governo nazionale non abbia stretto diritto e dovere di esigere che il Clero lo rispetti nel suo principio e gli ubbidisca nelle sue leggi, e se per quelle stesse ragioni onde assicura al Clero il parifico esercizio delle sue funzioni, non abbia altresì diritto e dovere d'assicurare le popolazioni contro i trasmodamenti, a cui il Clero prorompa nell'esercizio delle funzioni medesime.

Il sottoscritto ba per fermo che i Reverendissimi Arcivescovi, Vescovi e Vicarii Cautelari del Regno porranno seria considerazione alle cose esposte, e le ragguagliano a quelle norme indefettibili da cui debbono attingere le regole della loro condotta, e che non potrebbero interpretare altrimenti da quello che furono nei tempi più splendidi della Chiesa e da quei grandi e santi uomini, i quali sono tuttavia riveriti come i sicuri testimonii della tradizione cattolica. Ma nel tempo stesso egli non può rimanersi dal dichiarare che il governo del Re, mentre è nel fermo proposito di mantenere alla Chiesa la sua legittima libertà nell'ordine spirituale secondo gli ordini vigenti, e di allargarla altresì quando s'avverino le condizioni desiderate, non sarà poi mai per comportare che dal Clero d'ogni grado si trascorra ad atti, i quali o disconfessino il governo nazionale, o inducano al disprezzo ed all'inosservanza delle leggi del Regno, o perturbino in qualsivoglia modo l'ordine pubblico. Che se accadesse che alcun membro del Clero si appigliasse a un religioso pretesto per sommuovere le popolazioni, per gettare il vilipendio sulle istituzioni dello alato o per impedir l'esecuzione delle leggi, in tal caso il governo del Re si troverà costretto di ricorrere ai più severi provvedimenti.

Il sottoscritto mette fiducia nella prudenza dei Reverendissimi Arcivescovi, Vescovi e Vicarii Capitolari del Regno, i quali vorranno di fermo dare al Clero delle loro diocesi tali istruzioni che valgano a far cessare dappertutto la lamentata condizione di cose e a far cancellare l'infausto concetto che da gran parte del Clero 0 palesemente o copertamente si avversi il governo nazionale. Certo on fa mai tempo, in cui fosse più necessario l'accordo fra la società civile e k religiosa a tutela di quei grandi principii di giustizia, d'ordine, di moralità, di cui le presenti generazioni hanno tanto maggior bisogno, quanto furono più rapidi, più grandi, più singolari i mutamenti a cui assistettero. Se un tale accordo sarà turbato, momentosissime e forse irreparabili ne saranno le conseguenze, e quindi terribile la responsabilità di quelli per cui colpa inurbamento Sarà avvenuto. Il governo del Re ba provveduto e provvedere a mantenere dal suo canto un accordo cosi salutare: retta che l'autorità ecclesiastica dal suo canto vi concorra con quella sapienza e prontezza che la gravita dell'argomento la condizione dei tempi richieggono.

Torino, 26 ottobre 1861.

Guardasigilli di S. M.

Ministro di grazia, giustizia e dei culti

MIGLIETTI.

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XXI.

L'Episcopato rispose nobilmente e coraggiosamente alla circolare Miglietti, e ne rechiamo per saggio la seguente risposta dell'Episcopato piemontese e lombardo.

Eccellenza,

Se V. E. si fosse limitata a pubblicare coll'organo del giornalismo la sua circolare del 26 scorso ottobre, diretta agli Ordinarii Diocesani del Regno per biasimarne la condotta, i sottoscritti avrebbero potuto dispensarsi dal rispondere e protestare, lasciando ai giornali religiosi di giudicarla, come banno fatto con soddisfazione e gratitudine dei buoni. Ma ella ha voluto comunicarla d'ufficio ai sottoscritti, quasi come una provocazione, alla quale non possono lasciar di rispondere senza venir meno a quanto debbono a Dio ed alla Chiesa.

Questa provocazione muove da un principio, che devesi qualificare come eterodosso, pel quale un ministro qualunque, per ciò che s'intitola dei culti, credesi in diritto di dettar norme di condotta ai Vescovi cattolici, di condannarli, e, ch'è peggio, di disconoscerne il magistero e la potestà che tengono da Dio. Protestando i sottoscritti contro questo principio funestissimo, dichiarano dinanzi al mondo, che nell'esercizio del magistero e della potestà che hanno ricevuta da quello Spirito di verità e di santità, dal quale furono posti a reggere la Chiesa di Dio, non banno e non possono riconoscere in terra nessun altro maestep né superiore fuori del Sommo Pontefice Romano, Capo della Cattolica Chiesa e Vicario di Gesù Cristo.

Da questa dichiarazione si rende abbastanza manifesto il conto, che della suddetta circotare debbono fare i Vescovi sottoscritti, i quali perciò si credono dispensati dal ribattere le asserzioni contrarie ai principii eterni della giustizia e della morale, ed a confutare le calunnie, di cui ribocca, forse meno ingiuriose ai Vescovi, a cui è diretta, che alla verità, la quale vi è insultata quasi ad ogni tratto.

Una cosa vera però asserto da lei, si è l'attitudine concorde dell'Episcopato, e della parte maggiore e più sana del Clero inferiore, e dello stesso laicato riguardo al presente ordine di cose. Questo è un fatto innegabile che dovrebbe mettere in grave pensiero un governo cattolico, che abbia coscienza della propria dignità e della propria missione. V. E. chiama questa condizione di cose deplorabile che non può e non deve durare, e così è veramente. Nessuno desidera più di noi, e neppure come noi, di farla cessare, ed ella non può disconoscere il carattere e la missione dell'Episcopato cattolico al segno di dubitarne. Esso si adatta a qualunque forma di governo, e solo si oppone, ossia non approva tutto ciò che urta cogl'immutabili principii della verità e della giustizia. Che se intendesse di far cessare la suddetta condizione col pretendere che i Vescovi approvino quello che la loro coscienza riprova, oppure tradiscano la divina loro missione, o violino doveri che hanno giurato di compiere, o si facciano ribelli alle leggi sacrosante della Chiesa e dell'augusto Capo di lei, il ministero non ci avrà complici giammai, la Dio mercé, dovesse pericolarne la vita.

Non sembrino a V. E. troppo gravi le nostre parole. Si compiaccia di rileggere la sua circolare, e non dubitiamo che si persuaderà, che un Vescovo,

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il quale prendesse a norma di sua pastorale condotta le di lei dottrine, sarebbe climatico e peggio. Ma se anche, per impossibile, tutti i Vescovi del Regno vi si acconciassero, crede forse V. E. che ne verrebbe vantaggiata la condizione di cose che deplora? Il governo sa troppo bene che, lungi dallo scemarsi i mali della cara nostra patria, una nuova sciagura verrebbe a pesare sopra di essa; sciagura la più deplorabile di tutte per una nazione cattolica, il traviamento dei sacri Pastori, i quali darebbero uno scandalo enorme, inaudito nella storia della Chiesa.

Noi non vogliamo attribuire a V. E. l'intenzione di farci segno alle ire politiche della plebe colla sua circolare: ma era facile prevederne il pericolo, e suo dovere di prevenirlo. Questo riguarda solo le nostre persone, e non il nostro magistero e l'autorità di cui siamo rivestiti, e perciò qualunque male ci sovrastasse, le perdoniamo fin d'ora di pieno cuore; ma se avesse creduto di strapparci per timore quello che non potrebbe giammai per persuasione, ella si sarebbe ingannata, ed oseremmo dirle con un Padre della Chiesa: Nunquam in Episcopitm incidisti.

Le nostre popolazioni sono religiose, e dalla loro religione hanno appreso a rispettare e venerare i loro Vescovi: ma in ogni caso noi non ci riputiamo di più degli Apostoli, che ebbero pressura nel mondo, e patirono ogni maniera di oltraggi e la stessa morte. Nel sacro carattere, nel quale siamo loro successori, il Signore ci farà trovare la forza di godere, confessi, nel patir contumelie pel nome di Gesù Cristo.

Di V. E. Dicembre,1861.

Provincia ecclesiastica di Torino

UmiL. mi e Dev.mi Servi

+ Giovanni, Arcivescovo, Vescovo di Salazzo.

+ Fr. Modesto, Vescovo. d'Acqui,

+ Luigi, Vescovo d'Ivrea.

+ Fr. Gio. Tommaso, Vescovo di Mondovì.

+ Fr. Clemente, Vescovo di Cuneo,

+ Gio. Antonio, Vescovo di Susa.

Celestino Fissorb, Vicario Generale di Torino.

Gugliemo Marengo, Vicario Generale Capitolare di Fossano.

Ab. Morrà, Vicario Generale Capitolare d'Alba.

Provincia ecclesiastica di Milano.

+ Gaetano, Vescovo di Lodi, decano.

+ Girolamo, Vescovo di Brescia.

+ Pietro Luigi, Vescovo di Bergamo.

+ Pietro Maria, Vescovo Amministratore Apostolico della diocesi di Crema.

+ Carlo Giuseppe, Vescovo di Famagosta, Vicario Generale Capitolare di Milano.

Per copia conforme all'originale:

+ Giovanni, Are. Vesc. di Seluzzo, decano della provincia ecclesiastica di Torino.

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XXII.

Circolare del Guardasigilli Raffaele Conforti sotto la data del 19 di aprile 1862 con cui invita % Capi del pubblico Ministero a vigilare la condotta del Clero.

La Gazzetta ufficiate del Regno d'Italia, n.95, del 21 di aprile pubblicò una circolare, che sotto la data di Torino 19 aprile il nuovo Ministro di grazia e giustizia e dei culti, il sig. Raffaele Conforti scrisse ai Capi delle Magistrature supreme ed appello, ed ai Capi del pubblico Ministero presso le medesime nelle provincie Italiane. Ecco il brano della lettera circolare che riguarda il Clero, e Tengano (i Capi del pubblico Ministero) stretto riguardo delle condizioni dei tempi nel vigilare la condotta del Clero, e nel reprimere le esorbitanze a scapito dell'ordine pubblico ed a spregio delle leggi del regno; non rimanendosi mai dalla pronta loro applicazione; assicurando al Clero la sua piena libertà nell'ordine spirituale, ed impedendo ad un trattò che di essa abusi a scapito della libertà di tutti é ad offesa delle nazionali Istituzioni. Assicurino della protezione del Governo quei sacerdoti incolpevoli, i quali, non immemori di essere cittadini ed italiani, riconoscano che il trionfò della causa nazionale punto non nuoce ai veraci interessi della religione, ed anzi le cresce dignità ed ossequio segregandola da tutte le mondana cure».

XXIII.

Circolare sotto la data del 12 di maggio 1862 con cui un Prefetto d'ordine del Ministero comanda ai Sindaci che impediscano ai preti di scrivere indirizzi al Papa!

Signore

Sono assicurato che Monsignor di.... abbia intenzione di far sottoscrivere dal Clero della sua diocesi un indirizzo al Papa, pregandolo di non abbandonare il potere temporale.

Come non sarebbe difficile, che per sorpresa o subdole insinuazioni si riescisse a carpire la firma di qualche sacerdote, ho creduto prevenirne la Signoria Vostra, affinché eserciti la opportuna sorveglianza, e procuri d'impedire con tutta riserva la riescita di on intrigo, che vorrebbe ordirsi contro i voli della intera nazione.

IL PREFETTO

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XXIII.

Seconda Circolare del Guardasigilli Raffaele Conforti, sotto la data del 3 luglio 1862 che ordina di processare in massa Vescovi e preti.

MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI

Circolare ai Procuratori Generali presso le Corti Supreme

e d'Appello del Regno.

Torino, addì 3 luglio 1862.

Nelle prime parole ch'io ebbi l'onore di rivolgere ai signori Procuratori generali delle Corti Supreme e di Appello del Regno nella circolare del 19 aprile corso, raccomandai loro di tenere stretto riguardo delle condizioni dei tempi nel vigilare la condotta del Clero e nel reprimerne le esorbitanze, assicurandogli la sua piena libertà nell'ordine spirituale, ed impedendo ad un tratto ch'esso ne abusi a scapito della libertà di tutti e ad offesa delle patrie istituzioni.

Recenti fatti, i quali attestano che una parte dell'Episcopato e del Clero darà pertinace ad avversare il governo nazionale e a mettere con ciò in pericolo l'ordine pubblico, esigono ch'io rinnovi e rafforzi tali raccomandazioni.

Ci furono Prelati, che nella ricorrenza della festa nazionale, cogliendo pretesto dal silenzio della legge, la quale non volle imporre ciò che credette dover essere manifestazione spontanea dei sentimenti pia familiari ai ministri della religione ed ai cittadini, resistettero al pio voto delle popolazioni che i riti religiosi consacrassero la civile solennità, e scagliarono ecclesiastiche pene e censure contro que' parrochi e sacerdoti che non dubitarono di secondarlo. Altri ce ne furono, che precorsero con indebite dichiarazioni, ovvero con adesioni ancor più indebite, si associarono a quell'indirizzo dell'Episcopato al Sommo Pontefice, che offende così audacemente il diritto nazionale, e con esempio inaudito invade e calpesta le civili ragioni, contro il quale già i rappresentanti della nazione hanno fatta sì dignitosa e solenne prozia. Né forse è vano rumore la voce corsa, che la Corte di Roma, continuando in quel suo deplorabile sistema di confondere ciò che la costituzione stessa della Chiesa essenzialmente distingue, sia per far legge a tutto il Clero d'aderire a quell'atto sostanzialmente politico; atto che non s'attiene né ai dogmi, né alla disciplina della Chiesa cattolica; atto che i suoi autori non poterono confortare con alcuno di quegli argomenti a cui devesi appuntellare qualsivoglia cattolico insegnamento; atto che facendo fondamento sopra una quasi necessità mal definita e a cui ripugnano le tradizioni de' secoli più illustri nella storia della Chiesa, per bocca de' Prelati la maggior parte stranieri e non chiamati ad altro che a reggere la Chiesa di Dio, presame decidere una quistione politica d'importanza suprema per l'Italia, e deciderla contro il voto di 22 milioni di Italiani.

Ben è vero che a tali esorbitanze fa contrasto il contegno d'una gran parte di Vescovi e sacerdoti, i quali professano che la Chiesa deve rattenersi nei suoi limiti spirituali, ed ossequenti alle leggi del regno, conoscendo che esse

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assicurano loro la libertà di che hanno bisogno per adempiere agli alti ufficii del loro ministero, si mostrano rigidi osservatori dei loro doveri di ecclesiastici e di cittadini, e fanno così palese esser calunnia inventata dallo spirito di parte, che le legittime franchigie della Chiesa siano nel regno poste in non cale e calpestate.

Ma a fronte dei fatti sovraesposti, e d'altri ancora che intervengono in varie provincie del regno, e che sebben meno gravi, non lasciano d'essere segno della summentovata ostilità d'una parte del Clero, mentre da un altro canto riescono a turbar le coscienze e dall'altro ad irritare il sentimento nazionale, il governo del Re non può rimanersi dal cercar modo che sieno repressi. A ciò devono bastare le leggi vigenti in ciascuna parte del regno, quando siano vigorosamente applicate, né certo i poteri dello Stato esiterebbero a sancirne di nuove, ove quelle si chiarissero insufficienti, massime in riguardo a que' capi che toccano le pio. strette ragioni del nostro politico e civile ordinamento e le maggiori necessità dell'ordine pubblico. Solo è mestieri frattanto che le leggi vigenti abbiano tal pronto, severo e spassionato eseguimento, da cui venga rimosso ogni dubbio che manchino al governo i mezzi di reprimere e colpire siffatte esorbitanze, o che, nell'usarne, trascenda i limiti segnati da quelle istituzioni, ond'è tutelata la libertà d'ogni ordine di cittadini.

Egli è perciò ch'io ho reputato dover far nuovo appello allo zelo operoso e alla prudente energia dei signori Procuratori generali del Re presso le Corti Supreme e d'Appello, dai quali in cosa di tanto momento mi riprometto il più fidato concorso. Attendano essi con la maggior cura a vigilare qualsivoglia atto, scritto, o discorso del Clero che esca dai confini delle sue funzioni spirituali, o che tramescoli a queste la manifestazione pubblica di principii e sentimenti ostili al governo nazionale, e quando ne abbiano positiva notizia non pongano tempo in mezzo a farne soggetto di regolari procedimenti. Non è mestieri che perciò essi chieggano istruzioni al potere esecutivo, dappoiché le leggi vigenti devono somministrar loro in qualsivoglia caso ogni necessario indirizzo; né all'uopo occorre altro, né altro il Governo del Re esige che l'applicazione delle leggi stesse al di fuori d'ogni quislione di opportunità o convenienza. Procaccino che i procedimenti, come siano iniziati, vengan condotti con pieno ordine e con la maggior sollecitudine in guisa che la repressione tenga prontamente dietro all'abuso, ed appaia determinata dall'urgente bisogno d'assicurare l'ordine pubblico. E non ommettano ad un tempo d'essere liberali d'assistenza e presidio a que' sacerdoti, che, rispettabili per costume e per l'esatto adempimento de' loro doveri, vengano fatti segno a pene e censure da' loro superiori ecclesiastici, solo perché professano devozione al governo nazionale, e non si rimangono dal compiere i loro obblighi di cittadini e d'Italiani.

I signori Procuratori generali presso le Corti Supreme e d'Appello vorranno dare istruzioni conformi alle sovraesposte agli uffiziali del pubblico ministero da loro dipendenti.

Il guardasigilli ministro segretario di Stato

di grazia e giustizia e dei culti

RAFFAELE CONFORTI.

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XXV.

OSSERVAZIONI SULLA PRECEDENTE CIRCOLARE

Il guardasigilli Conforti il 10 di aprile 1862 scriveva una circolare «ai capi «delle magistrature supreme e d'appello, ed ai capi del pubblico ministero «presso le medesime nelle provincie italiane», circolare stampata dalla Gazzetta Ufficiale il 21 di aprile, N° 95. «Tengano, dicea ai capi del pubblico ministero, tengano stretto riguardo della condizione dei tempi nel vigilare la condotta del Clero, e nel reprimere le esorbitanze a scapito dell'ordine pubblico ed a spregio delle leggi del regno». Ma il Conforti soggiungeva: «Assicurino della protezione del governo quei sacerdoti incolpevoli, i quali, non immemori di essere cittadini ed Italiani, riconoscono che il trionfo della causa nazionale punto non nuoce ai veri interessi della religione» (Vedi Armonia, N.94,23 aprile).

Gli avvocati fiscali processarono, i magistrati condannarono, ma il Conforti non fu contento, epperò il 3 di luglio venne fuori con una nuova circolare stampata nella Gazzetta Ufficiale dell'8, N.159, nella quale dice e ai procuratori generali presso le Corti supreme e d'appello del regno» d'infierire sempre più contro il Clero, applicare contro i Vescovi e preti vigorosamente le leggi, far sì che queste e abbiano pronto, severo e spassionato eseguimento», procedere con coraggio, reprimere e colpire, operare con prudente energia, attendere e con la maggior cura a vigilare qualsivoglia atto, scritto o discorso del Clero», e quando occorra «non pongano tempo in mezzo a farne soggetto di regolari procedimenti». Però «non ommettano ad un tempo d'essere liberali d'assistenza e presidio a que' sacerdoti che vengano fatti segno a pene e censure dai loro superiori».

Il signor Conforti nelle due circolari distingue due Cleri, il Clero di Pio IX e il Clero deHa rivoluzione. Al primo processi, multe, carcere; al secondo carezze e rimunerazioni; contro l'uno reprimere e colpire, verso l'altro assistenza e presidio. Questa non è una novità del signor Conforti. Anche la Sinagoga condannava Cristo alla croce, e dava a Giuda triginta argenteos. Anche Nerone e Domiziano mandavano a morte i cristiani fedeli, e rimuneravano gli apostati. Anche Taicosama nel Giappone condannava al patibolo gli ecclesiastici devoti alla Santa Sede e fermi nella fede, e ricolmava di onori e di premii i rinnegati. In tutte le persecuzioni della Chiesa v'ebbero sempre sciagurati, deboli, o tristi, che piegarono alla forza e adorarono il vitello d'oro; e tutti i persecutori scrissero sempre circolari come quelle del ministro Conforti.

Il quale trasse argomento di questa seconda da recenti fatti che, a detta sua, «attestano che una parte dell'Episcopato e del Clero dura pertinace ad avversare il governo nazionale». Di questi recenti fatti il ministro ne enumera due, e v'aggiunge per terzo un rumore, una voce corsa. Esaminiamo brevemente i due recenti fatti ed il rumore.

1° Fatto. Questo si riferisce ai Prelati che proibirono ai preti di celebrare la festa dell'unità italiana.

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Nel fare tale proibizione i Prelati non violarono la legge civile, ed osservarono la legge canonica. Uno di loro per esempio, il Vescovo di Lodi, nella sua circolare dicea che la festa stabilita dalla legge 5 maggio 1861 era esclusivamente civile e politica, e in pari tempo avvertiva il suo Clero che la proibizione d'intervenirvi trovatasi conforme alle leggi ecclestattiche, e citava Benedetto XIV Quemadmodum preces, Cost.23 di marzo 1743. Cosi dissero tutti gli altri Vescovi: usando della libertà accordata dalla legge civile, pretendevano dal Clero l'osservanza della legge ecclesiastica. E dopo ciò il Guardasigilli Conforti esorta il 6sco a reprimere e colpire? Per farne vedere la tirannia mettiamo a confronto due circolari di due guardasigilli:

Circolare del Guardasigilli

6 maggio 1861.

Il governo di S. M. confida che tutti i Vescovi e Parrochi aderiranno di buon grado a tale invito (di celebrare la fésta religiosa)... ma qualora l'autorità ecclesiastica non credesse di poter aderire a siffatto invito, il governo di S. M. deplorando l'illusione nella quale taluno si troverebbe, vuole nullameno che si rispettino scrupolosamente sentimenti della sua coscienza, e quindi la S. V, non insisterà ulteriormente a tal fine, che non dubitarono di secondarlo. Circolare del Guardasigilli

3 luglio 1862.

Ci furono Prelati che nella ricorrenza della festa nazionale, cogliendo pretesto dal silenzio della legge, la quale non vuole imporre ciò che credette dover essere manifestazione spontanea dei sentimenti più. famigliari ai ministri della religione ed ai cittadini resistettero al pio voto delle popolazioni, che i liti religiosi consacrassero la civile solennità, e scagliarono ecclesiastiche pene e censure contro quei Parrocbi e sacerdoti.

Andate ora a fidarvi d'un guardasigilli del regno d'Italia! L'uno dichiara che debbono rispettarsi scrupolosamente i sentimenti della coscienza dei Vescovi. L'altro ordina di reprimere e colpire i Vescovi, che per sentimento di coscienza ordinarono a' sacerdoti di astenersi dal celebrare la festa nazionale, e per sentimento di coscienza castigarono i ribelli!

Il relatore della legge del 5 maggio 1861 vedeva con grande compiacenza ohe questa non obbligasse il Clero. «Così, diceva, non è fatta violenza ad alcuna contraria opinione (Atti Ufficiali della Camera 1861, N.105, pagina 383).

E il ministro dell'interno dava quella proposta di legge come un'attuazione del principio liberà Chiesa in libero Stato. (ib., N. 106, pag.391). Ed ora il guardasigilli Conforti esce a rammaricarsi, perché i Vescovi osarono di questa libertà!

La circolare del 1861 veniva rinnovata da Urbano Rattazzi con altra sua circolare sotto la data di Napoli, 10 di maggio 1862. In questa Rattazzi non dicea già che il silenzio della legge era un pretesto, ma affermava invece che il ministero e fermo ai principii sanciti colla legge 5 maggio 1861,

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non saprebbe mai tollerare che in questa luce di tempi ed in questa fortunata condizione di ordini civili si offendesse alla libertà religiosa». E per non offendere la libertà religiosa il Rattazzi proponeva di accordarsi, non con qualche prete rinnegato, ma coll'autorità ecclesiastica, e Si adoperi, diceva ai prefetti, a sapere se l'autorità ecclesiastica sia venuta nella determinazione di concorrere col rito religioso a rendere anche più significativa ed efficace la festa civile». (Vedi la Monarchia Nazionale del 46 maggio, N.133).

Dunque il ministero riconosceva nell'autorità ecclesiastica il diritto di negare il rito religioso, e conseguentemente il diritto di obbligare i sacerdoti ad uniformarsi a' suoi ordini, condannando anche con severissime pene ecclesiastiche i ribelli.

E poi volete una prova che i Prelati italiani nella festa nazionale non peccarono neque in legem, neque in Caesarem? Essi proibirono ai preti di celebrare la festa, e tra tanti Prelati. non si osò fare il processo che a due, ai Vescovi di Mondovi e di Saluzzo, e il processo si fondò, non sulla proibizione, ma sulla citazione d'un decreto della Penitenzieria. E non ostante, se il Vescovo (di Mondovi fu condannato in contumacia, quello di Saluzzo venne dichiarato innocente. E dopo di ciò il guardasigilli Conforti viene fuori con una circolare contro i Prelati, e invita il fisco a reprimere e a colpire? Passiamo al

2° Fatto. Ci furono Prelati, dice il Conforti, e che precorsero con indebite dichiarazioni, ovvero con adesioni più indebite a quell'indirizzo dell'Episcopato al Sommo Pontefice, che offende cosi audacemente il diritto nazionale». E qui il ministro entra a criticare l'indirizzo. Delle sue critiche ci occuperemo altra volta. Oggi parliamo soltanto delle adesioni de' Vescovi.

Non furono alcuni Vescovi italiani che aderirono, ma quasi tutti.1 Vescovi della provincia, ecclesiastica di Torino aderirono nell'Armenia dei 6 giugno, N.191, e furono $si. L'episcopato napoletano nello stesso numero, e furono sessantuno; i Vescovi dell'Umbria nell'Armonia del 7, N.132, e furono dieci i Vescovi della provincia ecclesiastica di Vercelli nell'Armonia del 19, N.112, e furono quattro; l'Episcopato toscano nell'Armonia del 28, N.148, e furono sei; i Vescovi delle Marche nell'Armonia del (di luglio, N.455, e furono diciotto. Unendovi il Vescovo di Pinerolo abbiamo, per tacere d'altri, pubblicate le adesioni di cento Vescovi. Se questi sono rei, perché il ministro Conforti non li mette tutti cento sotto processo? Se sono innocenti, perché li accusa e invita il fisco a reprimere e colpire?

Il Deputato Mugolino il 18 giugno ha detto alla Camera, parlando della Chiesa in Italia; «In quanto all'indipendenza del elencato è questa un'eresia politica, ohe noi dobbiamo respingere» (Atti Uffic. N.958, p. 9542), E il deputato Ricciardi il 27: «Quando mi venite a parlare di libera Chiesa in libero Stelo mi fate ridere». E la circolare del guardasigilli Conforti prova che l'uno e l'altra aveano ragione. E ci vuole la sua baldanza per dire nella circolare medesima essere calunnia, inventala dallo spirito di parte, che le legittime franchigie della Chiesa, siano nel regno poste in non cale e calpestate». E non basterebbe per confondere il ministro la sua proibizione ai Vescovi di andare a Roma? Eccoci finalmente al

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Rumore o voce corsa. Il Guardasigilli scrisse la sua seconda circolare, perché forse non è e vano rumore la voce corsa, che la Corte di Roma sia per far legge a tutto il Clero di aderire all'indirizzo dei Vescovi». Perciò il Conforti invita il fisco a reprimere e colpire. E noi abbiamo il piacere di dire al ministro, che la voce corsa è vera, verissima, e che la legge obbliga il Clero ad aderire, e non solo il Clero, ma anche tutti i cattolici. Quando il Papa parla su ciò che è lecito od illecito, e quando tutto l'Episcopato conferma la sua sentenza, chi può rivocarla in dubbio? Se la Chiesa è tanta, e lo è per fede, e lo confessiamo nel Simbolo, non può fallire in ciò che si attiene alla morale. Dunque e preti e cattolici sono obbligati per legge ad aderire

Ora che cosa vuoi fare il Conforti e il ministero? Reprimere e colare tutti gli aderenti? Non lo crediamo. Non l'ha fatto coi Vescovi, perché vorrà farlo coi chierici? Egli ha inteso di dare un confortino alla rivoluzione. Dopo tanto strepitare ha lasciato in pace i garibaldini, e rimise in libertà i carcerati. Ma questo non basta ancora. Lasciati liberi. i rivoltosi, bisogna tiranneggiare il Clero. E questo è lo scopo della seconda circolare di Raffaele Conforti.

XXVI.

Circolare del ministro dell'Interno Ubaldino Peruzzi sotto la data del 23 dicembre 1862, contro le Opere Pie.

Di questa circolare pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 3 di gennaio 1863, ristampiamo il seguente brano.

Col 1° gennaio del 1863 la unificazione delle nostre leggi avrà progredito di un altro passo coll'attivarsi della legge 3 agosto 1862 sulle Opere Pie.

Sull'importanza di essa io mi reputo in dovere di richiamare l'attenzione dei signori Prefetti, di quelli principalmente che sovraintendono alle provincie dove sarà nuova l'applicazione dei principii cardinali cui la legge «appoggia, affinché a loro non isfugga che per la stessa verranno a profondamente modificarsi i rapporti che fin qui rannodavano il governo colle numerosissime fondazioni che costituiscono un vanto ben meritato del nostro paese.

«Io so bene che per vetustà e per ricchezza le nostre Opere Pie nulla hanno ad invidiare alle più civili nazioni, se pure non istanno loro al disopra; so che parecchie tra le più celebrate forme di beneficenza ebbero culla fra noi, e da noi le appresero gli stranieri; so che per la sapienza degli avi e pel concorso pietoso di cittadini egregi moltissime istituzioni in diverse parti d'Italia sono saviamente ordinate, e poco o nessun bisogno risentono di modificazioni.

Ma non ignoro altresì che per la lunga pressione esercitatavi da cattivi governi, in alcuni luoghi si videro gl'istituti cadere negletti, oppure distratti dallo scopo originario di beneficenza a vantaggio delle casto che servivano di puntello al governo; altrove i mezzi della beneficenza, affidati pressoché esclusivamente a corporazioni interessate a frenare il progresso, si fecero il veicolo dell'ipocrisia e dell'ignoranza, altrove infine, per assenza d'illuminato impulso, i redditi delle Opere Pie furono rivolti

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a fomentare l'accidia, la rilassatezza nei doveri di famiglia e peggio.

Abbiam visto, e vegliamo a quale stato di floridezza i cattivi governi portassero in Italia le Opere Pie; vedremo fra non molto in quali condizioni le lascierà l'ottimo governo del signor Peruzzi t Intanto egli dice ai prefetti:

«Sarà cura dei signori prefetti l'invigilare, perché a seconda del regolamento siano denunciate alle autorità comunali tutte le istituzioni che possono avere il carattere di Opere Pie; perché le elezioni delle Congregazioni di carità abbiano luogo effettivamente e presto, avvertendo bene a che per ispeciosi pretesti o dissimulate renitenze non se ne protragga la costituzione. E sarà infine da adoperare una speciale attività nello intendimento di poter offrire materia alle Deputazioni provinciali, ove per legge esistano, di entrar presto nell'esercizio delle loro attribuzioni.

XXVII.

Circolare del 16 gennaio 1863 scritta dal Proeurator generale in favore dei preti ribelli.

Il signor Pisanelli promise nella Camera di proteggere il Clero ribelle contro la giustizia dei Vescovi. Sapevamo che alcuni processi erano stati ordinati contro i Vescovi ed i Vicarii Capitolari per l'esecuzione di provvedimenti pontificii contro i sacerdoti ribelli alla Chiesa. Ma una circolare del procuratore generale del Re, pubblicata dalla Lombardia, giornale ufficiale di Milano, ci fé conoscere appieno di che si tratta.

Torino,16 novembre 1863.

«Corre voce d'una Enciclica pontificia indirizzata a tutti gli Ordinarii d'Italia, nella quale si farebbe loro legge di togliere o negare la patente di confessione a tutti quei sacerdoti, i quali hanno sottoscritto il noto indirizzo al S. Padre del professore abate Carlo Passaglia. Il sottoscritto invita i signori procuratori del Re a dare le opportune istruzioni ai giudici di mandamento, affinché se mai detta Enciclica in qualunque modo entrasse in regno, o vi avesse qualsivoglia forma di esecuzione, si possa procedere contro coloro che abbiano a ciò avuto parte, a termini dell'articolo 470 del Codice Penale, articolo che va tra quelli che furono pubblicati anche in quelle provincia del regno, dova il detto Codice non è ancora in vigore.

«Il Procuratore generale. FERRETTI».

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XXVIII.

Circolare del guardasigilli Pisanelli gotto la data del 4 gennaio 1869, c$n cui il ministro di grazia e giustizia cerea assodati ad un giornale avverso alla causa del Santo Padre Pio IX.

Questa circolare risulta dalla seguente che venne scritta dal Giudice della Monarchia ed Apostolica Legazia in Sicilia.

Molto Reverendo Padre,

L'illustre professore sacerdote Carlo Passaglia ha impresa la pubblicazione d'un giornale cotidìano, intitolato La Pace, rivolto a difendere e propagare sotto forme più popolari quegli stessi principii che egli bandisce nell'altro suo giornale il Mediatore, a dimostrare la concordia delle nostre istituzioni con le pili sane dottrine cattoliche (!?), e a rincalzare il principio dell'indipendenza ed Unità nazionale, S. E. il ministro dei culti con Ministeriale dei 4 volgente mese,4.a divisione, N° 792, nel palesarmi che il governo del Re amerebbe che il detto giornale si diffondesse in tutto il regno, ed avesse molli lettori specialmente tra gli ecclesiastici, mi comanda di fare i miei ufficii presso i capi degli Ordini monastici affinché vogliano soscriversi al giornale anzidetto.

Ed io in esecuzione dei superiori ordini (bella ubbidienza) ed attesa l'utilità del ripetuto giornale, mi rivolgo a V. p. M. R. affinché, secondando le brame del rea! governo, si piaccia farvi soscrivere le case di sua dipendenza ed altri individui suoi subordinati, ed indi trasmettermene il notamento di soscrizione, che mi auguro copioso, ond'io rassegnarlo al prelodato ministro.

Il Giudice della Monarchia ed Apostolica Legazia,

Abbate di S. Maria di Terrana,

Can, CARLO RINALDI.

XXIX.

Lettera del guardasigilli Pisanelli, sotto la data del,18 febbraio 1863, ai sacerdoti ribelli dì Lombardia.

Aldini del Clero di Milano osarono presentare al signor Pisanelli, ministro di grazia e giustizia, un indirizzo per congratularsi con lui e ringraziarlo: 4° D'aver rotto guerra al loro superiore ecclesiastico, l'ottimo Monsignor Caccia; 2° D'aver violato con un'inutile, ingiusta e villana perquisizione l'asilo del capo dell'Archidiocesi Milanese; 3° Di aver invaso i diritti della Chiesa, conculcato i sacri canoni, amareggiato il Pastore de' Pastori, il Romano Pontefice.

Pubblichiamo la risposta che il ministro Pisanelli mandò ai preti ribelli di Lombardia. È un documento che merita di venir conservato per la storia. Ci duole di non avere lo spazio necessario per allargarci in commenti; ma questi non ci paiono necessarii.

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Ognun capisce da un canto quanto siano sciagurati quei preti che tradiscono il loro superiore, e non v' ha chi ignori le maledizioni fulminate contro coloro che tormentano la propria Madre, la Chiesa. E dall'altro canto si comprende quanto sia scervellato un ministro che lodando e fomentando la ribellione nel Clero, scalza le fondamenta d'ogni autorità, e affretta la propria rovina.

Del resto all'educazione austriaca si dee molto il contegno di alcuni preti lombardi, i quali avvezzi dalle dottrine e dalle leggi Giuseppine a inchinarsi e genuflettere davanti a chi tiene in mano Io scudiscio, conservano le antiche abitudini e non potendo più corteggiare il proconsole di Vienna, incensano il Guardasigilli di Torino. Ma il Clero lombardo saprà provare al Pisanelli che la sua immensa maggioranza invece di seguire le tradizioni austriache, imita gli esempii di Sant'Ambrogio e di San Carlo. Ecco la risposta del Pisanelli.

A S. E, il sig. marchese di Villamarina,

Prefetto di Milano

Torino,18 febbraio 1863.

Eccellenza,

L'indirizzo che il Clero Lombardo mi ha fatto per suo mezzo ora nuovamente pervenire, dopo essere stato munito di tutte le soscrizioni, non è giunto a me meno grato di quello che debba essere giunto a lei stessa. Se io ho il conforto di trovare nella via, per la quale mi son messo, l'approvazione di tanta e così eletta parte dei sacerdoti di Lombardia, ella ha quello di essere consapevole a se medesimo, che per questa via il governo è stato rischiarato dai suoi suggerimenti e da' suoi consigli.

Ad un ministro di un governo libero non è una vana compiacenza il plauso che gli viene da qualunque parte dei cittadini; è sostegno ed aiuto nella esecuzione stessa de' suoi propositi.

Ciò ha inteso il Clero Lombardo, ed ha creduto degno di sé, non già il tributar lode a me, ma bensì a reggere il ministro in una causa, nella quale l'interesse dello Stato è il medesimo che quello della Chiesa, e non apparve diverso, se non a quella parte di Clero ciecamente ostile alla libertà ed all'Italia, che pensa usare a fini terreni la potestà avuta da Dio per la redenzione religiosa e morale della patria sua.

Contro questa parte di Clero che si atteggia a nemica dei migliori sacerdoti, perché non vogliono patteggiare con essa, o dileggia ed estrania da sé ogni sentimento italiano e cristiano, contro questa parte del Clero, il Governo, che non fa guerra a nessuna parte dì cittadini, non ha nessuna battaglia a combattere, ma ha diritti proprii e comuni da 'tutelare. Né potrà essere accusato esso del contrasto che gli si muòve da altri nel l'esecuzione del pili sacro dei suoi doveri. La colpa di questo contrasto cade su chi lo provoca, come il merito di diminuirne gli effetti spetterà tutto ai sacerdoti, che, come quelli di Lombardia, mostreranno d'intendere i propositi del Governo, e sentendoli giusti, oseranno proclamare alla faccia del mondo ciò che hanno nell'animo.

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E a qu al altro Clero d'Italia si apparteneva meglio, che al lombardo di dare in ciò l'esempio ed aprire la via? Quale in Italia ha più gloria e più antica reputazione di custodire così salde le dottrine della Chiesa, come indomito l'animo da ogni indebita soggezione?

Il Governo intende di mantenere incolumi tutti i diritti che lo Stato oggi ha; e di questi diritti esso pensa di usare a propria difesa ed a tutela di quella parte di Clero che, per essere amica all'Italia, è astiata ed oppressa da chi più dovrebbe amarla; perché nelle intenzioni e nello spirito di questa parte del Clero il Governo non può non riconoscere il migliore istrumento di pacificazione della Chiesa con l'Italia.

. Ma se il Governo oggi, a fine di tutelare se medesimo e il Clero, è in obbligo di avvalersi di tutti i diritti che ha ereditati dal passato, non chiude però gli occhi all'avvenire, né desidera meno ciò che da un pezzo ha annunciato di desiderare, che lo stato e la Chiesa sciolgano i loro vincoli reciproci e si muovano liberi l'uno dall'altra nel giro della loro azione legittima. Nel giorno che questo desiderio potrà essere recato in atto, quei sacerdoti, cui oggi minacciano i potenti del Clero, troveranno nel nuovo spirito che dovrà informare la Chiesa, così il presidio che non potranno più chiedere al Governo, come il premio delle loro sofferenze e la guarentigia della loro vittoria.

Spetta alla Chiesa affrettare questo giorno, spogliandosi dei poteri temporali e di ogni ingerenza non sua. Ma sino a che quel giorno non arrivi, al Governo incombe un sacro dovere non meno rispetto al Clero, di quello che gl'incomba rispetto ad ogni altra parte de' cittadini; ed è quello di difendere i deboli dal sorpruso dei forti, e proteggere quelli che amano la patria loro ed il Re, dalle insidie e dalle violenze di coloro che cospirano contro il Re e la patria.

Assicuri, signor Prefetto, i sacerdoti di Lombardia che questo dovere pare al sottoscritto il più sacro di quelli che dalla fiducia del Re e del Parlamento gli sono stati imposti. Li assicuri che la lor voce mi giunge grata appunto, perché mi rende più agevole il compimento di questo dovere, che per i contrasti altrui può diventar penoso. La lor voce mi attesta che gli intendimenti del Governo saranno aiutati da quella forza morale grandissima che il Clero buono possiede; mi assicura che in quella numerosa parte di Clero, che versando tra difficili ed umili doveri, è pure la più utile operaia della Chiesa, è la più efficace maestra de' popoli, vi ha cuori generosi e pieni siffattamente del santo amore della verità, che loro non basti riconoscerla nel silenzio, ma pe' quali, agitati quasi da una forza divina, è bisogno supremo farne aperta professione davanti al mondo.

I nomi di quelli, i quali primi mi confortarono nell'opera di tender la ma no a rilevare il Clero liberale d'Italia, mi resteranno, signor Prefetto, profondamente impressi nell'animo. Conforti questi generosi e benemeriti sacerdoti a continuarmi l'appoggio loro per una via che. in quanto a me intendo di percorrere tutta per il bene della Chiesa e per la salute dell'Italia.

Il ministro G. PISANELLI.

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XXX.

Avviso d'Asta del guardasigilli 'Pisanelli, sotto la data del 21 di febbraio 1863, per lo spaccio in Sicilia dei benefizii ecclesiastici.

Torino,21 febbraio 1863.

Considerando che nelle provincie siciliane i diritti spettanti alla real Corona in fatto di provviste beneficiane sono molto estesi, e si esercitano sopra una gran parte di beneficii, sia per diritto di patronato, che spetta al Re su moltissime fondazioni; sia per le prerogative, di cui cola gode la suprema regalia nelle vacanze delle sedi vescovili; sia da ultimo per le leggi che ivi governano i diritti di patronato e gli altri diritti elettivi che una volta spettarono agli ex-feudatarii, o a corporazioni soppresse; e volendo altresì accertare, per quanto sia possibile, che la provvista dei beneficii e delle cappellanie di regio diritto si avveri in prò di ecclesiastici meritevoli della sovrana considerazione, per intelligenza, per servigi religiosi, per probità e per devozione alla causa nazionale, e volendo anche provvedere al risparmio del tempo che suole spendersi a compiere le pratiche, che per l'oggetto sono in uso, il sottoscritto guardasigilli ba creduto di adottare le norme seguenti:

Art.1° É stabilita per le provincie siciliane una Commissione che assumerà la denominazione di Commissione per le provviste ecclesiastiche, e avrà sua sede in Palermo. Essa verrà composta da Monsignor Giudice della regia Monarchia, che eserciterà le funzioni di presidente, dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione in Palermo, e dal direttore generale de' rami e diritti diversi.

Art.2° Questa Commissione avrà il principale incarico di esaminare tutti i titoli, in virtù dei quali, sia da' ricorrenti stessi, sia da coloro che sono chiamali o hanno il diritto di proporre, o nominare, si impetri dal real trono la provvista di un beneficio o cappellata, o altra qualsiasi ecclesiastica istituzione di regio diritto, ecc.

Il ministro G. PISANELLI.

XXXI.

Circolare contro i preti che non hanno cantato nella festa dell'Unità Italiana, e proibizione che vengano nominali parrochi.

Mandiamo innanzi una dichiarazione della Gazzetta Ufficiale del Regno. Questa dichiarazione trovasi nel giornale di Milano intitolalo La Lombardia, N° 141 del 24 maggio 1861, e vi è riferita colle seguenti parole:

«Leggiamo nella Gazzetta Ufficiale del Pegno; Quando il Governo propose al Parlamento l'instituzione d'una nuova festa nazionale per celebrare l'unità d'Italia e lo Statuto del Regno, esso intese di dare a questa festa un carattere essenzialmente civile, togliendone ogni obbligo di religiosa funzione.

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Non già che il Governo volesse respingere il concorso del Clero da questa popolare solennità; ma reputava che tale concorso dovesse essere effetto di spontanea deliberazione. Le istruzioni date dal Governo ai sindaci furono dettate io questo senso.

«Ora non pochi Vescovi credettero di esprimere anticipatamente la loro opinione contraria, imponendo ai propri subordinati di rifiutare l'invito. Con ciò naturalmente non è pili il caso per le autorità municipali di que' luoghi di rivolgersi a chi notoriamente è stato messo nell'impossibilità di aderirvi.

«Clero legalmente è nel suo diritto, ed al Governo spetta Ut difesa di tutti i diritti. Però confida che il popolo italiano mostrerà anche questa volta di saper esercitare degnamente le libertà».

Si domanda se il Governo difenda davvero tutti i diritti del Clero (e specialmente in questo caso, in cui dichiara egli medesimo essere il Clero legaU mente nel suo diritto) col dirigere lettere del tenore seguente ai suoi dipendenti:

Al signor Sindaco di..........

Il sacerdote N. N. di cotesto Comune è stato recentemente nominato parroco di N.

Importa assai allo scrivente di avere con tutta sollecitudine le più esatte precise informazioni sulla di lui condotta morale e politica durante il tempo che fu addetto alla suddetta parrocchia e se siasi prestato nella funzione della festa nazionale e pel canto del Te Deum, e se nei di lui discorsi e predicazioni siasi mostrato contrario all'attuale ordine di cose e al desiderio della nazione di aver Roma per capitale.

Nel caso non avesse voluto prender parte alla celebrazione della festa nazionale, il signor sindaco sarà compiacente a rimettere di un tal fatto un'attestazione deHa Giunta municipale.

12 dicembre 1862.

Firmato N. N.

Cosi, dice l'Osservatore Lombardo 14 febbraio 1863, N. 20, da una prefettura di Lombardia si ebbe il coraggio di scrivere.

XXXII.

Circolare del 28 di febbraio 1863, contro la Bolla Crociata, e avviso ai birri perché firmino questa Bolla del nostro S. Padre Pio IX.

La Bolla Cruciata è una dispensa concessa la prima volta nel 1609 da Giulio 11 agli Spagnuoli f e poi ad altri popoli, e della quale sogliono godere i Napoletani mediante una qualche elemosina, come spiega il Pavone nella sua opera la Luce fra le tenebre. Napoli,1838. Nel 1863 saltò il grillo al prefetto di Teramo di perseguitare la Bolla Crociata, ch'egli chiama per dispetto la così detta Bolla. Il pretesto è che la Bolla non ebbe l'exequatur, come se questo si richiedesse per l'indulto della quaresima!

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Ecco una circolare della pubblica sicurezza, che sguinzaglia gli sgherri non contro i ladri e gli assassini, ma contro una Bolla papale! Ab giustizia di Dio, perché pur giaci?

DELEGAZIONE PUBBLICA SICUREZZA DI

N° 449

Sulla esecuzione clandestina

di una Bolla Pontificia.

Senza autorizzazione.

Penne, 18 febbraio 1803.

Per norma e per Io esatto ed opportuno adempimento, il sottoscritto trascrive alla S. V. la seguente trasmessagli dal signor Prefetto della Provincia in. data 24 cadente.

«Questo Delegato Generale Ecclesiastico ba diramata a tutti i Parrochi della «Diocesi una circolare a stampa, relativa ad una concessione dodicennale i della così detta Bolla della S. Crociata, con autorizzazione a riscuotere! e correlative elemosine. - E poiché a tanto si è proceduto senza la debita impartizione del regio exequatur, lo scrivente si affretta dare conoscenza alla S. V.111.ma, perché voglia disporre entro il perimetro di sua giurisdizione un'esatta vigilanza all'oggetto, ed ove sarà scoperto, che in qualunque luogo si porti esecuzione alla Bolla predetta, praticando delle indebite riscossioni di denaro per tale causa, si dia la premura di denunziare regolarmente ci colpevoli all'autorità giudiziaria! e tenerne tosto informato quatte ufficio per quant'altro occorrerà di praticare.

A Prefetto ATTANASIO.

Sotto-Prefetto MAGNASE».

XXXIII.

Decreto del Guardasigilli Pisanelli, sotto la data del 5 di marzo 1863 che sottopone all'exequatur tutto ciò che viene dal Capo della Chiesa.

Ristampiamo i due articoli di questo decreto pubblicato dalla Gazz. Uff. del 46 di marzo 1863, articoli che mettono la Chiesa Cattolica in istato di assedio»

Art.1° Qualunque provvisione ecclesiastica proveniente da autorità non residente nel regno non potrà ricevere pubblicazione od esecuzione esterna, pubblica o privata,, se non dopo che sia munita del nostro assenso, ossia del Regio Exeauatur sotto le pene sancite pei contravventori dalle Leggi dello stato.

2° Ogni pubblico funzionario, al quale venisse presentata una delle provvisioni anzidette non munita del Regio Exequatur, dovrà trasmetterla d'offitfo al procuratore generale presso la Corte d'Appello del luogo in cui si trova, pei procedimenti prescritti dalla legge.

Qualunque trasgressione di questo, dovere darà lungo a procedimenti disciplinari, salva l'applicazione delle pene maggiori menzionate nel precedente articolo 1.

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Rimostranza dei Vescovi Napolitani a Sua Real Maestà il Re Vittorio Emanuele contro il Decreto del 5 marzo 1863, pubblicato in Torino relativamente al Regio Exequatur.

Sire,

Il real decreto del dì 5 marzo corrente anno sull'obbligo che si vuole imporre di chiedere il Regio Exequatur per qualunque provvisione ecclesiastica proveniente da Autorità non residente nel Regno, ha arrecato nuova amarezza al nostro cuore e tormento alle nostre coscienze, pe' gravi torti che si fanno con ciò alla Chiesa di Gesti Cristo, e pe' danni non leggieri che ne provengono ai veri Cattolici. Stimiamo poro nostro dovere presentare «Ila M. V. questa rimostranza, diretta a veder rivocato quel decreto, rispettando nei fedeli il godimento dì quei diritti, che ad esso loro competono per la sacrosanta Religione che professano, e che le umane leggi ancora, non escluso lo Statuto Costituzionale emanato la prima volta in Torino, ammettono e garantiscono.

La M. V. che per divina misericordia, fin dai principii della sua vita mortale fu rigenerata alla grazia col Santo Battesimo, e venne istruita nelle verità della Cattolica fede, conosce benissimo essere la Chiesa Cattolica un corpo morale, di cui il nostro Signore Gesti Cristo e il Capo e i fedeli sono le membra, come insegna S. Paolo (Ephes.1,21,23). Conosce aver Gesù Cristo lasciato in terra un suo Vicario, affinché essendo codesta Chiesa visibile, avesse un Capo anche visibile, da cui fosse governata nella fede, nella morale, nella disciplina, e in tutto ciò che riguarda al conseguimento della eterna felicità cui è diretta. Conosce la unità di questo mistico corpo risultare dallo stretto nesso che congiunge i popoli ai Vescovi, e questi al Sommo Pontefice, onde diceva S. Cipria no, esser la Chiosa «la plebe accolta intorno al suo Sacerdote, il gregge che aderisce al suo Pastore» (Epist.69): «S. Ambrogio spiegando l'incarico affidato al Cristo a S. Pietro di pascere gli Agnelli e le pecore, in quelli riconosce i laici, in queste i Prelati, talché degli uni e degli altri è superiore, è maestro, è padre, è Capo supremo il successore di Pietro (libr.10 in Luc. n.176). Conosce che siccome nel corpo umano i nervi discendono dal capo, e dividendosi per le membra, ne sostengono la vita, ne conservano le forze, ne guidano i movimenti, rosi dal Romano Pontefice viene ai Vescovi, e per mezzo di essi a tutti i fedeli quella religiosa influenza, onde Egli adempie l'incarico da Cristo affidatogli di raffermare i suoi fratelli (Luc. 22,32). Conosce che siccome ogni animale, sia ragionevole, sia bruto, va senza meno soggetto alla morte quando dividesi il capo dal rimanente del corpo, così qualunque società di uomini certamente perisce, quando o si toglie l'autorità a colui che governa, o si sciolgono i sudditi dall'obbligo di ubbidire. Ebbene; l'uno e l'altro male quel decreto vorrebbe arrecare alla Chiesa.

E per fermo, che autorità sarebbe mai quella del Sommo Pontefice, se per far giungere un ordine ai Cattolici, dovesse aspettare che un magistrato di altra società dalla Chiesa distinta quanto le cose terrene si differenziano dalle celesti, ed alle volte anche nemica della medesima, perché forse protestante,

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maomettana, o gentile, ne riveda con rigore le Bolle, e ne accordi, o ne ricusi l'adempimento?

Che obbligo è mai quello dei fedeli, se non volendo alcuni di essi ubbidire, possono mettere la loro opera, perché si neghi a quei sacri Decreti il regio assenso? E questo non è forse voler impedire quella libera comunicazione dei Capo con le membra, indispensabile a mantenere in vita il mistico corpo? Non è aggiungere io questa misera Italia nuove offese alla Chiesa, che già nella massima parte spogliata de' suoi beni, perseguitata in gran numero dei suoi Ministri, vedesi ora minacciata da crudele bipenne, che per quanto ò da sé vorrebbe reciderle il Capo dal busto? E se il diritto di conservare «e stesso, è accordato da tutte le leggi naturali e positive ad ogni essere anche il più vile e da nulla, come vorrà proibirsene l'uso alla Chiesa Cattolica, essere nobilissimo per la divinità del suo Fondatore, per la preziosità de' suoi tesori, per la santità de' principali suoi membri, per la importanza del suo ultimo fine?

Rammenti la M. V. che il Signore non ha dato ai Governi civili la potestà d'istruire i popoli nelle cose delta fede, ne ha detto ai suoi ministri che insegnassero le verità rivelate sotto il controllo de' Monarchi terreni. Quel desso, che in segno di ubbidienza alle autorità secolari, faceva un miracolo onde pagare il tributo per sé e per S. Pietro (Matth.47,26); che diceva ai discepoli dei farisei ed agli erodiani, doversi rendere a Cesare quel che è di Cesare (Matth.22,21); quando trattavasi di cose appartenenti alla sua Chiesa, non si rivolse ad litri che all'Eterno suo Padre. Predicò alle turbe, ma senza chiedere il beneplacito di Erode o di Pilato, ricevendone solo la missione dal suo Divin Genitore (Joan.8,42): elesse gli Apostoli, ma senza ottenerne prima l'Exequatvr da Caifasso o da Cesare, e solo dopo aver pregato tutta notte il suo Padre celeste (Luc.6,12 e segg.), Egli disse ai Ministri suoi: andate ed ammaestrate tutte le nazioni in quel che debbono credere, in quel che debbono operare (Matth. 28,19); e in quell'ammaestramento i potentati del mondo non sono giudici destinati a sindacarlo, ma discepoli invitati ad apprenderlo. Egli disse a Pietro: Ciò che nella terra legherai sarà legato nei cieli, e ciò che sciorrai nella terra sarà sciolto anche noi cicli (Matlh.16,49), e nell'esercizio di tutto questo soprumano potere, che riguarda in principale la salute delle anime, solò Dio ha dritto di prenderne conto, mentre i Principi ed i magistrati terreni non debbono avere un tribunale che ne metta ad esame le sentenze, bensì una coscienza che li obblighi a sottoponisi. E infatti sappiam dalla storia che gl'imperatori e i re, quanto meglio han conosciuto codesta sacra autorità della Chiesa, tanto più ne han venerato i Decreti, e senza vantarvi dritto di esame, ne hanno vigilato la esatta osservanza. Non vogliamo qui parlare dei primi secoli del cristianesimo e neppure del medio evo, in cui si hanno maravigliosi esempi di piena ubbidienza al Papa ed ai Vescovi: invitiamo solo la M. V. a guardare sotto questo rapporto lo stato attuale delle cose in Europa e fuori. In Austria cotesto Regio Exequatur è tolto affatto di mezzo. Nella Francia, nel Belgio, ed anche nell'Inghilterra e nell'America di giorno in giorno si vede crescere la libertà della Chiesa di Gesù Cristo.

E sarà poi vero, che mentre altrove questa Chiesa va riacquistando i sacri suoi diritti, qui nell'Italia le si debbano accrescere i ceppi e le catene?

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Maestà! nessuna legge umana impedisco ai figli l'accesso ai loro genitori,, o vieta a questi di provvedere al bene della loro prole. E che cosa è mai quel decreto, se non un intrudersi che fa il governo nelle relazioni tra la madre che è la Chiesa,, ed i figliuoli che sono appunto i Cattolici? Chi saranno i rei delle ammende e delle prigioni minacciate nei primi articoli di quel decreto? Saranno quei Vescovi che imitatori degli Apostoli, riconoscendo il divino Primato di S. Pietro, vorranno adempirne, senza eccezione, i decreti Saranno quei (fedeli cristiani che memori delle parole di Gesù Cristo presso S. Luca: Chi ascolta voi ascolta me; e chi disprezza voi disprezza me (Luc. 10, 16), vorranno prontamente ubbidire alla Chiesa loro maestra! Saranno quei buoni frati, che ricordevoli dei voti emessi nella religiosa professione, ubbidiranno senza ritardo ai loro legittimi superiori. Quel decreto adunque si oppone direttamente al santo Vangelo, alla parola infallibile dell'Altissima, li Signore ha detto a S. Pietro ' Sopra codesta pietra edificherò la mia Chiesa (Matlh.16,18); e quel decreto aggiunge: Codesta pietra è fuori del regno, guai a chi vi si appoggia, senza prima ottenerne dal governo il permesso! Dio ha detto: Fate i voti ed adempiteli in onore del vostro Signore (ps.75,12), e quel decreto dice in contrario: Astenetevi dall'ubbidire, allorché i vostri superiori non risiedon nel regno, fino a che non ne abbiate il beneplacito regio! Cristo ba detto agli Apostoli: Fate sentire ai popoli che osservino tuttociò che io vi ho comandato (Matth.28,20), e quel decreto ripiglia: Se ciò vi si insegna da ecclesiastica autorità non residente nel regno, non ardite osservarlo, se prima non l'abbia il governo approvato, pena la multa e le carceri!

Sire, gli adulatóri della civil potestà, adoperando varii sofismi, dicono essere un diritto dello Stato il concedere o negare l'assenso alle disposizioni della potestà ecclesiastica. Essi in primo luogo confondono con la Chiesa cattolica e col suo Capo, che è il Romano Pontefice, le potenze straniere d'un regno. Cosi dal diritto che ha ogni governo di esaminare le istituzioni di una potenza straniera, per decidere se debba adottarle od escluderle, passano a conchiudere che ogni Stato ha il diritto di non far eseguire, senza il suo beneplacito, gli ordini della S. Sede, e neppure le grazie che essa concede ai fedeli che le domandano. No, la Chiesa non è potenza straniera, il Papa, come Capo della medesima, non è un principe che voglia esercitare dominio sopra nazioni da lui non dipendenti. Il regno di Gesti Cristo, che è appunto la Chiesa, giusta la promessa del Padre divino, nella sua ampiezza si estende per tutta la terra (Ps.71,8). in relazione del fine che deve conseguire, ed alla universalità delle genti che deve salvare, e però uno dei suoi distintivi è Tesser cattolica; nella sua durata si mantiene stabile fino alla consumazione dei secoli (Dan.2,4), e quindi uno dei suoi caratteri è l'essere indefettibile. Essa dunque abbraccia in sé le nazioni che sono, quelle che saranno, e le accoglie sotto il vessillo della Croce, e le illumina colla fiaccola della fede, e le dirige con la guida dei divini precetti, e le anima al bene con la promessa della eterna mercede. Essa è quel monte preparato sulla cima degli altri monti, scelto dal Signore a sua abitazione, oggetto di ossequio e fonte di vita a tutte le nazioni, come predisse Isaia (Is.2,2). Il Romano Pontefice è Vicario di Gesù Cristo qui nella terra, vai quanto dire Vicegerente di Colui al quale disse il Genitore divino nei Salmi.

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Domanda a me, e ti darò in. eredità i popoli ed il tuo dominio ai estenderà per tutta la terra (Pi.2,8); di Colui che diate di sua bocca agli Apostoli: Mi è alata data ogni potestà in cielo e in terra (Matth.28, 18). Dunque tutti i cattolici sono sudditi di questo ViceDio nel mondo; e quelli che non. sono cattolici, se vogliono dare opera alla loro eterna salute, debbono entrare nei regno della Chiesa, debbono piegare il capo, e sottoponi all'autorità suprema dal Romano Pontefice, Imperò codesto regno non è potenza straniera, siccome la madre non è mica straniera ai figliuoli; codesto sommo Gerarca nella qualità di Vicario di Cristo non è principe straniero, come nessun maestro è estraneo a coloro che sono o dovrebbero essere suoi discepoli, come nessun pastore ò estraneo agli agnelli che sono o dovrebbero essere nei suo ovile. Cade «dunque ogni diacono degli Statolatri, che dicendo falsamente la Chiesa potenza straniera, si studiano di sostenere una dottrina da essi chiamata; Supremo diritto ilei regio Exequatur, ma dichiarata a tutta ragione dai Sommi Pontefici indecente, assorda, temeraria ed empia (Leon. X, Const. In supremo a.1618.) Pio IX Const. Probe nostis,9 mag.1853).

Né si dica essere diritto di ogni stato guardarsi dai danni che potrebbero venirgli dalla Chiesa. Codesto secondo sofisma è pio del precedente irragionevole ed iniquo. Se il comportassero i limiti di questa nostra protesta, dimostreremmo chiarissimo col Vangelo, con i Santi Padri, e ancor con la storia, che la Chiesa ammaestrata e diretta dallo Spirito Santo, interna a gufare i suoi figli alla felicità sempiterna non può e non vuole arrecar danno alla civil comunanza. No, la sua dottrina, i suoi precetti non sono indirizzati che a. mantenere la giustizia nei governanti, la ubbidienza nei sudditi, la rettitudine nelle leggi, la fedeltà nei contratti, il perdono delle offese, cose tutte che mantengono l'ordine in mezzo ai popoli, e conducono la società alla possibile floridezza terrena.

Del resto, anche ammesso per pochi istanti, codesto sospetto, qua! legge mai permette ad un uomo legar le braccia ad un altro pel timore che costui non gli aia nemico? Se ciò si concedesse, potrebbe ognuno che si sente materialmente più forte caricar di ritorte tutti i suoi simili, perché da tutti potrebbe essere spogliato o ucciso t Or ciò che non è dato ad un uomo verso un altro uomo, sarà permesso ad un regno verso la Chiesa Cattolica? Si aggiunga che se il governo si crede lecito sottoporre al suo sindacato le provvisioni delle Autorità ecclesiastiche, perché dice doversi guardare dai danni che potrebbe riceverne; bisognerà per giustizia che anche alla Chiesa si lasci la libertà di esaminare le leggi delle potestà laiche nei regni diversi, perché ha pia fondato timore di esserne danneggiata, come incontra spessissimo. E questo rincrescerebbe certo ai piaggiatori dei governi civili. Dunque si confessi essere falsa, perversa, funestissima la opinione favorevole a codesto regio Exequatur, siccome pochi anni or sono la diffìnì l'immortale regnante Pio IX (Alice.3 nov.1855). Né è leggiera la contraddizione che quel Decreto contiene conio Statuto Costituzionale sopra mentovato. Esso stabilisce la Religione Cattolica siccome l'unica Religione dello Stato. Dunque afferma che lo Stato è nella Chiesa Cattolica, che nelle cose appartenenti alla fede, al costume, alla disciplina, il Sommo Pontefice Romano

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ha tutto il diritto di comandare, e gl'italiani hanno l'obbligo di ubbidire. Come dunque vuolsi ora distruggere quanto in quell'articolo è stabilito, e trattando da stranieri, anzi da nemici il Papa, i Vescovi, i Prelati Regolari, per ciò solamente che non dimorano in un luogo soggetto alla Maestà Vostra, si vieta la osservanza delle loro provvisioni, senza il regio Exequatur, e di più, come accenna il sig. Guardasigilli nella circolare con che spedisce agli Ordinarii quel decreto, vorrebbe anche impedirsi di scrivere a cedeste sacre Autorità senza il Placet dei regio governo I Qual potere legittimo, perché si trova di avere sua sede in un luogo più che in un altro, perde il diritto di essere nelle sue leggi pienamente ubbidito dai proprii sudditi? Ed è questa la libertà che si predica sotto il costituzionale regime? E, che è peggio, si vedono in questi luttuosissimi tempi missionarii anglicani e valdesi, zuingliani e calvinisti infestare l'Italia, ergendo cattedre di errori, spargendo libri pestiferi, sforzandosi di scristianare i popoli, e costoro non hanno certamente ottenuto il regio assenso, per eseguire l'incarico ad esso loro affidato dalle sette acattoliche di oltremare e di oltremonti. E i pubblici funzionarii ai richiami dei Vescovi e dei Curati han risposto, non poter essi impedire quelle prediche, quelle scuole, que' libri, perché si opporrebbero alle libertà costituzionali in vigore) Come dunque ciò che si permette a sette religiose non riconosciute dallo Statuto, dovrassi negare alla vera Chiesa di Gesù Cristo dichiarata Tunica dello Stato? E mentre il governo scioglie i voti monastici di sua autorità, o nega resistenza legate a quasi tutti i corpi morali religiosi, pretenderà autorizzare quanto dai superiori degli Ordini s'impone ai loro sudditi?

Ma si dirà che in altra stagione codesto Regio Exequatur, codesto Placet si richiedeva. Noi rispondiamo, esser questo appunto un valevolissimo argomento da neppur parlarsi ora di cotesti soprusi. E forse non si mostra ora decisa avversione agii antichi sistemi? Non si annuii zia essere giunta l'età del progresso? Dunque mentre si aboliscono i codici pochi anni sono in vigore, mentre s'introducono e leggi e procedure, ed anche nomi nuovi in ogni ramo della cosa pubblica, solo a danno delle anime, ad oltraggio della Chiesa, si andran ricercando le rancide e condannate dottrine dei Van-Espen e dei Giannoni, gli ordini dei Giuseppi, dei Leopoldi, e dei Tanucci? Dottrine contro alle quali la Chiesa Cattolica per bocca di tanti Sommi Pontefici, dei suoi Vescovi, e delle sue scuole ha di continuo reclamato, come opposte ad ogni giustizia, assurde, scandalose, meritevoli di eterna condanna t Dunque mentre in tutto vuolsi far pompa di novella civiltà e di avanzato progresso, per la Chiesa Cattolica dovrà retrocedersi di anni e di secoli?

Ascolti pure una volta la Maestà Vostra i reclami dei Vescovi che per obbligo di lor coscienza levan la voce in favore della Religione e della giustizia. Sia certa che se i buoni cattolici, ad evitare mali maggiori, non potendo altrimenti, si sottoporranno a codesto decreto, chiedendo nelle occorrenze il regio Exequatur, ciò non servirà mai ad afforzarlo, rimanendo sempre viva e detestabile la opposizione del medesimo ad ogni legge divina ed umana. Che un ordine ingiusto e nullo fin dal principio, non diventa giusto o valevole col progresso del tempo per lo adempimento involontario e forzato del popolo.

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Anzi consideri la Maestà Vostra che oltre allo sdegno del Signore che provocherà, avendo Dio dichiarato che chi offende la Chiesa, offende la pupilla degli occhi suoi (Zach. 2.8), essa accrescerà il malcontento dei popoli, i quali si vedranno altresì di vantaggio aggravati nelle loro finanze dalle non piccole spese che quel regio assenso richiede, e pili oltraggiali nella sacrosanta Religione che professano, potendo ripetere col Damasceno: «Poni mente a quel che dice S. Paolo: Ha Iddio destinato parecchi nella Chiesa, costituendo alcuni Apostoli, altri Profeti, e Pastori, e Dottori, a complemento e perfezione della Chiesa medesima. Ne hanno parlato la parola di Dio i re, bensì gli Apostoli, i Profeti, i Pastori, ed i Dottori. A te saremo ubbidienti, o imperatore, in quelle cose che si ape partengono ai temporali interessi del secolo. Ma in tutto quello che riguarda le cose della Chiesa, vi abbiamo i Pastori, i quali ci parlano la parola di Dio,e ci tramandano le istituzioni chiesastiche (Ad Leon. Imp.)».

Di vostra Real Maestà

Addì 4 maggio 1863.

D. Card. Carafa Arcivescovo di Benevento - S. Card. Riario Sforza Arcivescovo di Napoli -Frane. Sav. Arciv. di Sorrento-Antonio Arciv. di Salerno Amministratore perpetuo della Chiesa di Acerno, ed Amministratore Apostolico della vacante Diocesi di Nocera dei Pagani - Francesco Arcivescovo di Bari - Lorenzo Arcivescovo di Cosenza- Vincenzo Andrea Arcivescovo di Otranto -Pietro Arcivescovo di Rossano - Giuseppe Arcivescovo di Trani e Nazaret -Gregorio Arcivescovo di Gonza Amministratore perpetuo di Campagna-Vincenzo Arcivescovo di Manfredonia-Filippo Arcivescovo di Gaeta - Gaetano Arcivescovo di Acerenza e Matera - Mariano Arcivescovo di Reggio - Giuseppe Arcivescovo di Taranto - Luigi M. Arcivescovo di Chieti - Raffaele Arcivescovo di Brindisi - Gian Giuseppe Vescovo di Andria - Nicola Vescovo di Cariati - Leonardo Vescovo di Ascoli e Cerignola - Ferdinando M. Vescovo di Sessa - Giuseppe Vescovo di Lucera - Filippo Vescovo di Mileto - Antonio M. Vescovo di Venosa - Luigi Vescovo di Nardo - Ignazio Vescovo di Melfi e Rapolla - Gennaro M. Vescovo di Anglona e Tursi - F. Luigi Vescovo di Aquila -Vincenzo Vescovo di Termoli- Luigi della Missione Vescovo di Oria- Francesco Vesc. di Castellamarnare e di Stabia - Bartolomeo Vescovo di Calvi e Teano Amministratore Apost. di Castellaneta - Domenico Vescovo di Aversa - Raffaele Vescovo di Catanzaro - Vincenzo Vescovo di Ruvo e Bitonto -Luigi Vescovo di Telese e Cerreto - F. Luigi Vescovo di Trivcnto - F. Giacinto M. Vescovo di Nicastro - Filippo Vescovo di Nicotera e Tropea - Felice Vescovo d'Ischia- Francesco Vescovo di Avellino - Giuseppe Vescovo di Noia- Francesco Paolo Vescovo di S. Agata de' Goti - Antonio Vescovo di S. Severo- F. Dalmazio Vescovo di Bova - Enrico Vescovo di Caserta - Bernardino M. Vescovo di Foggia - F. Tummaso Vescovo di Troia-Raffaele Vescovo di Squillace - Domenico Vescovo di Diano - Alfonso M. Vescovo di Gravina e Montepeloso - Francesco Vescovo di Lacedonia - F. Francesco Saverio Vescovo di Muro - F. Michele Vescovo di Teramo - F. Simone Vescovo di Tricarico - Giuseppe Vescovo di Oppido - F. Giovan Batt. M. G. Vescovo di Capaccio Vallo - Valerio Vescovo di Gallipoli - F. Luigi Vescovo di Cotrone-Gaetano Vescovo di Nasco - Bonaventura Vescovo già di Lipari -Giuseppe Vescovo di Tiatira -Raffaele Vescovo di Betsaida

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- F. Tommaso Michele Vescovo di Tanes-Francesco Can. Ingenito Vicario Capitolare di Amali Michele Can. Arciprete del Conte Vicario Generale Capitolane di Ariano - Antonio Marraieni Vicario Gen. Capitolare di S. Severina - Luigi Arcidiacono Franco Vicario Gen. Capitolare di Lecce - Giuseppe Can. Sacrista Gioia Vicario Gen. Capitolare di Moffetta.

XXXIV

Ipocrita circolare al Clero, sotto la data del 6 morso 1963, per ottenere gli aiuti contro i Così detti briganti.

CIRCOLARE AL CLERO CONTRO I BRIGANTI

Mentre il ministro Pisanelli va cercando tutti i modi per inimicarsi il Clero, e lo tribola e lo tormenta colle sue circolari e coi suoi decreti, il ministro dell'interno ricorre al Clero per aiuto ne' suoi più urgenti bisogni. Il sig. Peruzzi non sapendo più a che santo raccomandarsi per la distruzione del brigantaggio, ha ordinato al prefetti di pigliare alle buone il Clero. E per saggio delle circolari che i prefetti spedirono in proposito pubblichiamo la seguente:

Foggia, 6 marzo 1863

PREFETTURA

della

PROVINCIA DI CAPITANATA

GABINETTO

OGGETTO

Concorso del Clero alla repressione

del brigantaggio.

I Comuni meno colti e le classi meno educate danno il maggior numero di briganti; questo prova che il difetto di coltura e di educazione è una dalle causa principali del brigantaggio: combattendone la causa collo educare ed iatture il popolo, si mette in opera uno dei mezzi più. potenti per impedirlo

Nelle circostanze attuali conviene che l'educazione sia specialmente diretta a far penetrare nell'animo di coloro che potrebbero diventare briganti, e nelle famiglie alle, quali appartengono, una salutare avversione al brigantaggio. Siccome questa classe di persone non può ricevere dai parerti l'educazione che questi non hanno, e non può riceverla dai maestri, perché non frequenta le scuole, è necessario ohe agli uni e agli altri supplisca il Clero colla buona predicazione e col catechismo.

Conviene a quest'uopo che tutti i sacerdoti e specialmente i parroco, ripetano continuamente che il primo dovere del cristiano è di rispettare il prossima e la proprietà altrui, perciò l'onestà e la religione lo vogliono e la legga te impone; che l'offendere le persone e le cose, la violenza e la rapina sono peccati e delitti gravissimi, condannati dalle leggi divine ed umane; ohe orribile è la vita del brigante, il quale e costretto ad intanarsi nei boschi come i lupi fuggir sempre,

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perché la morte lo insegne; che presto o tardi finisce per essere fucilato, e gettato in un carcere, dove dovrà languire per tutta la vita, tormentato dal rimorso, lontano dal suo paese, dalla sua famiglia, fatto segno all'esecrazione universale; che non può sperare di goder mai il frutto delle sue rapine; ohe la sua famiglia vive in uno spasimo continuo, perseguitata da tutti e nella miseria.

Questa verità il Clero deve insegnar con perseveranza, ed è certo che facilmente riescirà a farle penetrare nell'animo di tutti, perché, parlando in nome di Dio, trova aperta la via della coscienza, e non solo persuade, ma impone. Il giorno in cui la plebe sarà convinta e avrà fatto sue queste idee, nessuno si darà più al brigantaggio.

Il dovere di assumere questa missione incumbe principalmente ai parrochi, a quei sacerdoti che coll'esercizio delle virtù cristiane hanno saputo acquistare sul popolo quel salutare ascendente che danno la superiorità monde e l'onestà delle opere(; ai quaresimalisti ai quali i Comuni accordano un onorario; al Clero liberale che mitre una fede politica conforme alla santità dei principii religiosi; e finalmente a tutti coloro che non disconoscono il sacro carattere di cui sono rivestiti.

Il Clero della provincia non ha certamente dimenticato, né trascura questa parte essenzialissima del suo alto mandato; il sottoscritto crede tuttavia non inutile di raccomandare alla 8. V. di eccitarlo quanto può meglio a perseverare con costanza, e a raddoppiare nello zelo e nella carità. Ella potrà oltreciò incaricare i sacerdoti più volenterosi e meglio accetti alla popolazione di catechizzarla in questo senso, almeno alla domenica, attenendosi strettamente alle idee esposte, ed insistendo costantemente sovra di esse.

Lo scrivente non dubita che le autorità ecclesiastiche siano disposte a secondare i sacerdoti che si assumeranno questa patriottica missione, e ad assisterli coll'opera e col consiglio. Egli raccomanda nella stesso tempo alla S. V. di riferirgli circa i sacerdoti che più si distingueranno per questo nobile apostolato, affinché sia messo in grado di segnalarli alla benemerenza del paese e del governo, non ommettendo di ragguagliarlo circa coloro che, mal consigliali, osteggiassero in qualsiasi modo quest'opera cristiana e moralizzatrice.

Certo lo scrivente che la S. V, ai adoprerà quanto più le sarà possibile nel procurare l'attuazione di questa proposta, la prega di fargli intanto pervenir le apprezzabili osservazioni che le sarà dato raccogliere a questo riguardo.

Il prefetto DE FERRARI.

Ai signori sottoprefetti, sindaci, giudici di mandamento e delegati di p. S. della provincia,

XXXV.

Circolare sotto la data del 28 di febbraio 1868 contro le Bolle della Quaresima.

«Regia Prefettura della provincia di Bari - Divisione 2.a, Sezione- N. 608 -Oggetto - Bolle della Quaresima -Bari, il 28 febbraio 1862.- Questa Prefettura è venata in cognizione che in varii Comuni della provincia si è cercato dal Clero anche in quest'anno di esigere dai fedeli le consuete elemosine per le Bolle della Quaresima,

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in taluni luoghi dispensando le carte, ed in tali altri autorizzando a voce l'uso di determinate vivande. L'introito di siffatte Bolle versava per l'addietro in favore del Regio Erario, la loro distribuzione doveva essere precedentemente permessa dal governo.-Da ciò vuolsi conchiudere che le pratiche di alcuni ecclesiastici sono ora su tale argomento del tutto arbitrarie ed illegittime (?!) per la duplice ragione, che i fondi relativi debbono devolversi a prò dello stato, e che l'elemosina non può esigersi se non dietro la consegna effettiva della Bolla in virtù dell'autorizzazione del governo. - Fino a questo punto, come dal governo del Re non è stata emessa alcun disposizione in proposito, è da ritenersi sospeso (?!) l'esercizio delle Bolle, rimanendo (vedi impertinenza! a ciascun individuo di regolare il suo vitto nel periodo di Quaresima secondo il criterio della propria coscienza. - Importa quindi che ognuno sia posto nella vera (?!) posizione della specie, a scanso di equivoci o d'illusioni. Gli ecclesiastici si asterranno perciò da ogni abuso (?!), e l'autorità pubblica veglierà all'osservanza di queste misure.-Lo scrivente prega le Signorie Loro di uniformarsi ognuno por la sua parte, e portare a conoscenza del pubblico (ossia scandalizzare il pubblico!) il contenuto della presente circolare. - Ai signori Sottoprefetti, Si ridaci, Parrochi, e Delegati di pubblica sicurezza della Provincia. - II prefetto Assanti.

XXXVI

Circolare del Guardasigilli Pisanelli, sotto la data del 24 di marzo 1863 con cui si dichiara che i preti non sono obbligati a dire certi oremus, mentre molti sacerdoti vennero processati e condannati per averli ommessi!

Ai Prefetti e Procuratori generali del Regno

Torino,24 marzo 1863.

Si è promosso il dubbio, se l'omettere l'augusto nome del Re nelle preci o collette che secondo la liturgia cattolica si sogliono recitare nelle funzioni del Venerdì Santo e nel preconio del Sabato Santo, costituisca un reato da potersi punire» termini di legge. Il governo del Re, quanto debb'essere geloso dei proprii diritti e della dignità della Corona, altrettanto è nel proposito di non invadere le ragioni della podestà ecclesiastica in ciò che sia di sua stretta competenza.

Il sottoscritto ha perciò debito di significare alla S. V. Illustrissima, che secondo le disposizioni onde è retta la cattolica liturgia, non si suole proferire nelle collette il nome di alcuno, ancorché costituito in dignità civile, senza il beneplacito della suprema autorità ecclesiastica ed un apposito rescritto della Sacra Congregazione dei Riti, o senza che consti di tal beneplacito, o del tacito consenso per via di legittima consuetudine riconosciuta ed ammessa dalla competente autorità ecclesiastica. Ora non risultando che tale beneplacito né sia stato chiesto dalla Maestà del Re d'Italia, né sia stato concesso per tutte le provincie del regno, non possono gli ecclesiastici

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essere chiamati in colpa di omettere di proferire il nome del Re nelle summentovate preci o collette, se non nel caso che constasse del suddetto tacito consenso per legittima consuetudine.

Appena occorre notare che il caso dell'omissione è ben diverso dall'altro di chi osasse tuttavia in dette preci o collette proferir nomi di cessata civile podestà, la cui ricognizione sarebbe in contrasto col voto nazionale e coll'integrità del regno.

La serva d'intelligenza e nonna.

Ministro G. Pisanelli.

XXXVII.

Circolare sotto la data del 30 di marzo 1863 da cui risulta che il Guardasigilli Pisanelli vuoi prendere in mano l'amministrazione delle Parrocchie.

REGIA PREFETTURA D'ANCONA

Prot. N.3850-451 Div.11.

Circolare, num. 12.

OGGETTO

Amministrazione delle Parrocchie.

Ancona,30 marzo 1863.

È pensiero del sig. Ministro di grazia e giustizia di riordinare sopra uniformi e stabili norme l'amministrazione delle chiese parrocchiali del regno, oggidì regolata dove in una, dove in altra maniera. Nel proposito pertanto di far compilare al più presto un disegno di legge su questo importantissimo argomento gli occorrono parecchie notizie, che in parte possono essere fornite dai signori Sindaci della Provincia, ai quali appunto il sottoscritto si rivolge con la circolare presente, onde conoscere:

1° Se nella parrocchia o parrocchie del proprio Comune vi hanno fondi o lasciti, e quali destinati a provvedere alle spese del culto.

2° Quali le passività di cui fossero oberate le rendite parrocchiali, e di quale natura.

3° Da chi, ed in qual modo sono esse rendite e lasciti amministrati attualmente.

4° Se in caso d'insufficienza concorra il Comune alle spese necessaire, ed in quale misura.

I signori Sindaci, che ben comprendono l'importanza del lavoro ideato dal ministero, vorranno dare evasione alla presente circolare non più tardi del giorno 10 aprile prossimo venturo, e perciò il sottoscritto fa vivo interesse, giacché mentre con molti Municipii non ha che a lodarsi per la loro puntualità con cui corrispondono, non può a meno di non dolersi per la indolenza di alcuni, che col soverchio ritardo di pratiche spesse volte importanti mettono quest'ufficio nell'impossibilità di dar corso sollecito, come si desidera, agli incombenti che lo riguardano.

Prefetto MATHIEU.

Ai Signori Sindaci della Provincia di Ancona.

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XXXVI.

DUE CIRCOLARI SULLA FESTA DELL'UNITÀ ITALIANA.

MINISTERO DELL'INTERNO

Divis.1 - Sez. 2a

N. 35097-2161.

OGGETTO

Festa Nazionale.

Circolare N° 80. Torino,18 maggio 1863.

Ai 7 del prossimo mese di giugno ricorre la festa che, per legge 5 maggio 1861, fu istituita a commemorare al popolo italiano, in un colle libere istituzioni che lo governano, il più fausto e grande avvenimento della sua istoriar la proclamazione dell'unita della patria.

Spettando particolarmente per legge ai municipii il provvedere alla celebrazione di questa nazionale solennità, il sottoscritto crede opportuno rammentare loro le istruzioni che, circa il modo della sua esecuzione, furono diramate da questo ministero nei due or trascorsi anni, ed invitare le autorità comunali a voler conformare anche in quest'occasione le disposizioni, che saranno per prendere, al concetto svolto nelle istruzioni ricordate, riferendosi in pili special modo alla circolare del 10 maggio 1862 per ciò che riguarda il concorso del Clero in questa festa civile; poiché il Governo è più che mai fermo nel proposito di rispettare la libertà della Chiesa e delle coscienze.

Il giorno che ricorda la fine delle secolari divisioni della patria, e il cominciamento dei suoi gloriosi destini, è scolpito per modo nell'animo di ogni cittadino italiano, che il sottoscritto crede non faccia mestieri di parole d'eccitamento perché sia celebrato in modo degno d'un popolo civile, libero e grande.

Il ministro U. PERUZZI.

Ai signori prefetti, sottoprefetti,

sindaci e gonfalonieri del Regno.

Il signor Peruzzi cita la Circolare di Urbano Rattazzi, ed è questa che segue:

Napoli, 10 maggio 1862.

Avvicinandosi la ricorrente della festa nazionale commemorativa dell'unita d'Italia e dello Statuto del Regno, il sottoscritto reputa opportuno d'indirizzare alcune brevi istruzioni ai Municipii, poiché è ad esso loro che per legge più particolarmente incombe di provvedere alla celebrazione di questa solennità.

Per quanto il governo del Re senta vivo desiderio che gli anglisti riti della religione concorrano a santificare una festa rivolta a rammemorare i maggiori beni che la nazione ha conquistato e di che si professa grata al Dispensatore supremo;

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fermo tuttavia nei principii sanciti colla legge 5 maggio 1861, non saprebbe mai tollerare che in questa luce di tempi ed in questa fortunata condizione di ordini civili si offendesse alla libertà religiosa, e con inopportune esigenze venisse in alcun modo scemata la spontaneità del concorso dei ministri della religione, e fatta delle sacre cerimonie una parte necessaria delle consuete pompe ufficiali, si riuscisse ad attribuire apparenza di comando alla preghiera, che solo è santa ed efficace allorquando è volontaria e sincera

Perciò la S. V. si asterrà da qualsivoglia intimazione od officiale richiesta per la celebrazione del rito religioso nella prima domenica di giugno; bensì, a prova del come e quanto si desideri che a tanta solennità civile non manchi la consacrazione religiosa, adoperi V. S. a sapere se l'autorità ecclesiastica sia venuta nella determinazione di concorrere col rito religioso a rendere anche più significativa ed efficace la festa civile, e, saputolo, faccia di accordarsi con essa autorità ecclesiastica circa il luogo e l'ora della celebrazione, procacciando che anche la festa religiosa si compia con tutto il decoro e con l'intervento delle pubbliche autorità, della scolaresca e di tutte le corporazioni.

Per il modo poi con cui vuoi essere celebrata la festa civile, il sottoscritto non ha che riferirsi compiutamente alla circolare delli 6 maggio 1861, N° 39 (1). Gesù ha per fermo il sottoscritto che le sono esposte disposizioni gioveranno a rimuovere ogni argomento di qualsiasi coazione e di ogni benché menomo disordine nella ricorrenza di quella festa, che deve raccogliere tutti gli animi nei medesimi affetti di devozione alla Patria ed al Re, e nei medesimi voti pel completo prossimo adempimento dei grandi destini d'Italia.

Il ministro dell'interno U. Rattazzi.

XXXIX.

Circolare del Guardasigilli, sotto la dato dei 27 aprile 1862, che proibisce ai Vescovi di andare a Roma.

Regno d'Italia, Ministero di grazia è giustizia e dei culti, 3a Divisione, N° 27379, - Oggetto: Dimanda di viaggio a Roma, ricevuta 14 di aprile.

Torino, alli 27 aprile 1862.

In risposta alla pregiata Nota di V. S. Ill. ma e Rev.ma segnata in margine, il sottoscritto ha l'onore di recarle a notizia essersi dal governo del Re deliberato di non concedere il passaporto a quegli Ordinarii del Regno, i quali divisassero condursi a Roma per la solennità della canonizzazione dei Martiri Giapponesi. Siffatta deliberazione venne determinata dal prudente concetto di sottrarre gli Ordinarii del Regno alle conseguenze a cui potrebbero essere esposti rimpetto ai loro diocesani, se imprendessero un viaggio in generale avversalo dalla pubblica opinione. Le condizioni dei tempi esigono nel reciproco interesse della Chiesa e dello Stato, che si evitino studiosamente tutte le cagioni onde potrebbe essere turbata la concordia

(1) Questa circolare del Ministro Mughetti trovasi a p. 281 del presente quaderno sotto il n. XIX.

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fra i Vescovi e i loro diocesani, e perciò lo scrivente ba fermo che gli Ordinarii del Regno ravviseranno opportuna l'accennala deliberazione del governo del Re, In quale d'altronde consuona con lo spirito e coi termini stessi dell'Enciclica indiritta dulia S. Congregazione del Concilio all'Episcopato cattolico in cui è fatto invito di condursi a Roma a quei Vescovi che lo possono fare senza grave danno del gregge, ed è pure accennalo alle circostanze che non consentono ai Vescovi d'Italia di star lontani dalle loro Diocesi.

La S. V. Ill.ma e Rev.ma è pregata di dare comunicazione delle cose sovra espresse a' suoi venerandi col leghi di questa provincia ecclesiastica torinese.

Accolga, Monsignore, gli atti del più distinto ossequio.

Per il ministro BARBAROUX.

XL.

Conchiuderemo pubblicando la bella circolare di Monsignor Vescovo di Lodi, la quale prescrive le norme da seguirai nella Festa dell'Unità Italiana.

Rev.mo Signore,

La festa nazionale che va a cadere nella prima domenica di giugno, si ritiene da noi o da tutto l'Episcopato festa puramente civile, anche perché lo stesso regio governo non solo su questo punto lascia in piena libertà la nostra coscienza, ma di più ha vietato a tutti i magistrati, sindaci ecc. di mo» testarci o violentarci in proposito. Perciò noi sentiamo il dovere di avvertire V. S. Rev.ma, e di avvertire per suo mezzo i parrochi di sua Vicaria, perdio io quel giorno debbano astenersi assolutamente dal concorrere a tal festa con veruna sacra funzione, la quale non potrebbe in verun modo riuscire ad onore e gloria di Dio, unico scopo cui si possano dirigere le sacre funzioni.

Lodi, dal Palazzo Episcopale 6 maggio 1863.

Affez.mo come fratello

+ Gaetano BENAGLIO, Vescovo.

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I QUATTRO VIAGGI DI PIO IX

Roma è pel Papa, e il Papa per Roma, e ogniqualvolta Roma e il Papa si divisero, tutti rivolsero gli occhi e le riflessioni sullo straordinario avvenimento. Donde risultò che, mentre poco badasi a' viaggi degli altri Principi, le istorie raccogliessero invece gelosamente le cagioni, le circostanze e le conseguenze dei viaggi de' Pontefici. I quali viaggi possono partirsi in due classi, i violenti cioè ed i volontarii; quelli furono effetto di scellerata persecuzione, e questi vennero intrapresi dai Papi spontaneamente, a vantaggio della Chiesa, o dei proprii sudditi. Sorpassando sui primi tre secoli del Cristianesimo, quando i Romani Pontefici assaliti dalla cadente idolatria erano sovente costretti di fuggire da Roma, tra i viaggi più memorandi compiuti per effetto di persecuzione mettesi quel di Liberio strappato dall'Eterna Città nel 355, e presentato in Milano all'imperatore Costanzo, protettore degli Ariani, che gl'impose, tempo tre giorni, di condannare Atanasio. A cui Papa Liberio rispondeva come Pio IX ad un altro Imperatore: «Lo spazio di tre giorni, o di tre mesi non m'indurrà mai a commettere un'ingiustizia». Per la quale risposta il Santo Pontefice fu rilegato a Berea città della Tracia! Parimente Papa Silverio venne cacciato da Roma dal famoso generale Belisario, e mandato a Patara in Licia, perché non volle aderire alle empie domande dell'imperatrice Teodora; e Martino 1 fu levato violentemente dalla Chiesa di S. Giovanni Laterano, e confinato nell'Isola di Naxia per opera dell'esarca Teodoro Calliopa. Benedetto I e Gregorio VI vennero strascinati in Germania, l'uno da Ottone 1 nel 963, l'altro da Arrigo II nel 1046. E in appresso soventi volte i Pontefici si videro costretti ad abbandonar Roma, o per esterne tirannie, o per interne sommosse, e sono noti a tutti gli ultimi viaggi di Pio VI e di Pio VII, vittima il primo della sacrilega rivoluzione francese, e il secondo del despota Napoleone.

Di viaggi poi della seconda specie abbiamo moltissimi. Innocenzo I va a Raenna nel 409 per abboccarsi coll'imperatore Onorio; San Leone I nel 452 corre a fermar Attila, re degli Unni; Ormisda con gran vantaggio della Chiesa, nel 518, recasi presso Teodorico, re de' Goti; e S. Giovanni I va a Costantinopoli, nel 525, presso l'imperatore Giustino; e Agapito nella stessa città presso Giustiniano, correndo Tanno 546; e Zaccaria a Terno, Ravenna, Pavia e Perugia negli anni 742,743 e 750; e Stefano IH in Francia al re Pipino nel 744; e Stefano IV a Reims a Ludovico I nel 816; e Gregorio IV nell'accampamento di Lodovico Pio e dei suoi figli tra Basilea e Strasborgo nell'832; e Giovanni VIII a Pavia presso Carlo il Calvo nell'877; e S. Leone IX in Francia e in Germania dall'anno 1049 al 1055, e Vittore II all'imperatore Enrico nel 1057; e S. Gregorio VII al castello di Canossa, sul Reggiano, nel 1077; e Alessandro III in Venezia per istringere la pace col Barbarossa nel 1177; e Onorio III per tenere congresso con Federico li e Giovanni, re di Gerusalemme, a Ferentino in Campania ne) 1223. Dipoi Gregorio X va a Lione pel secondo Concilio generale Lugdunense nel 1274, Clemente I in Avignone nel 1306, Urbano I da Avignone viene in Italia nel 1363, Gregorio XI restituisce la Sede Apostolica a Roma nel 1376.

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E Pio II va a Mantova nel 1559, Leone X in Bologna per abboccarsi con Francesco II di Francia nel 1515 e Clemente VII recasi due volte in quella città nel 1529 e nel 1532, e a Marsiglia nel 1533. E Paolo III viaggia a Savona nel 1538, a Lucca nel 1541 e a Busseto nel 1543, e Clemente Vili a Ferrara nel 1598, e Pio VI a Vienna nel 1782, e Pio VI! a Parigi nel 1804 per consacrarvi Napoleone I, che lo ripagò con tanta crudeltà ed ingratitudine!

Ma siccome per tante altre ragioni, così pure pei viaggi intrapresi e felicemente Compiuti resterà memorando il Pontificato del nostro Santo Padre Pio IX. E furono ben quattro, due forzati, ossia effetto di tristissima persecuzione, e due volontarii, conseguenze del suo amore verso i proprii popoli: tutti gloriosissimi, li primo viaggio di Pio IX è quello che intraprende nel 1848, segretamente e quasi miracolosamente sottraendosi alle ferocie della rivoluzione riparando primo a Gaeta e poi a Portici (1). Il secondo viaggio fu nel 1850,. quando da Portici venne a Roma restituita al suo Padre e Signore dalle armi della repubblica Francese. Il terzo viaggio Pio IX lo compì nel maggio e nel giugno del 1857, percorrendo l'Italia centrale tra le più cordiali accoglienze. E finalmente il quarto avvenne, non ha guarì, attraverso quelle poche città che la rivoluzione, per ammirabile decreto della divina Provvidenza, non potò ancora colle sue male arti e perfide prepotenze sottrarre al legittimo governo de' Romani Pontefici.

Questi quattro viaggi racchiudono in sé quattro solenni lezioni. Dimostra il primo come Pio IX fosse ripagato della sua bontà, della sua clemenza, delle sue riforme, e insegna che la rivoluzione ha giurato una guerra infernale al Cattolicismo. Imparasi dal secondo che Roma è del Papa, e che l'onnipotenza divina a suo tempo vel riconduce sempre, prevalendosi, se occorra, anche dei più segnalati prodigii. Attesta il terzo quanto Pio IX fosse riverito ed amato in Italia, e risponde a coloro che menano tanto vampo delle dimostrazioni popolari e de' plebisciti. Finalmente il quarto prova la fede, la confidenza, la sicurezza del Vicario di Gesti Cristo, che in mezzo al diluvio terribile della rivoluzione italiana, sorretto da Dio, camminava, come già S. Pietro, sulle acqua burrascose, e sfidava gl'insolenti marosi dell'invasione, a cui fu detto: Fin qui verrete senza procedere più avanti.

Racconteremo brevemente nel presente quaderno delle Memorie per Ia storia de nostri tempi la storia di questi quattro viaggi, raccogliendone le date principali, e accompagnandole con qualche documento.

(1) Di questo primo viaggio scrisse Carlo Luigi Ferini; «Naturale che Pio IX deliberasse dipartirsi da Roma. Coloro i quali riferivano siffatta deliberazione a colpa di funesti consiglieri, o dimenticavano, semplici, o facevano sembiante, ipocriti, dimenticare l'insanguinato pugnale del 45, le funeste violenze delli 6 novembre e la proclamata vittoria del popolo. Poteva egli il vinto Pontefice rassegnarsi a tanta iattura di autorità e dignità? Poteva egli commettere se medesimo, il libero Apostolo e Principe di cattolici alla fede degli espugnatori del Quirinale?» lo stato Romano, vpL. UI, p. ti,23, Firenze 1851.

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II.

DA ROMA A GAETA E PORTICI NEL 1848 E 1849

Quando i perfidi giudei impugnarono le pietre per lapidare Gesù, egli uscì dal tempio e si nascose: nella stessa guisa il suo Vicario Pio IX allor che vide i rivoluzionari, sconoscenti e tristi come il popolo deicida, appuntare i cannoni contro il suo palazzo, e dopo avergli ucciso il ministro e il prelato che stanagli a' fianchi, meditare il compimento delle loro scelleratezze, uscì da Roma, e si nascose accordando ai felloni una seconda amnistia, secondo la bella osservazione di Nicolò Tommaseo. La diplomazia, discutendo la cosi detta questione romana, non può dimenticare le giornate del 16 e 17 novembre 1848, e se le dimenticasse, gliele ricorderebbero i diplomatici che stavano intorno a Pio IX testimoni della bontà sua, e della ingratitudine e perfidia rivoluzionaria. Questi diplomatici erano il duca d'Harcourt ambasciatore di Francia, Martinez della Rosa ambasciatore di Spagna, il conte di Spaur ministro di Baviera, De Migueis Vendada Cruz ministro di Portogallo, il conte di Boutenef ministro di Russia, il signor Liedekerke ministro d'Olanda, il signor Figueiredo incaricato del Brasile, il signor De Maistre segretario della Legazione del Belgio, e il signor Canta segretario della Legazione di Prussia. Costoro dovrebbero unirsi in congresso e sciogliere la grande questione, perché essi soli possono conoscere Pio IX e i suoi nemici!

Il Papa riceveva il 49 novembre 1848 una lettera scrittagli il 15 di ottobre dal Vescovo di Valenza, lettera accompagnata con un involtino. Il Vescovo diceva a Pio IX: - contenersi in quel gruppetto la pissidina, che Pio VI portava appesa al collo con entrovi il SS. Sacramento, e con essa viaggiò e confortossi nell'aspro viaggio sino a Valenza. Anche la Santità Sua gradisse quella memoria e ne usasse a consolazione, ove Dio disponesse negli alti suoi decreti che uopo ne fosse - (1). Pio IX che già pensava ad abbandonar Roma, restò meravigliato dolcemente che] la divina Provvidenza con quel mezzo Io confermasse nel divisamento, e dopo aver pregato e pianto davanti a Gesti, stabilì di partire, e il 20 novembre il Cardinale Antonelli ne avvertì segretamente il conte Spaur, ministro di Baviera, che si offerse di condurlo a Gaeta, ove il S. Padre troverebbe un legno spagnuolo per tragittarlo alle Baleari, com'era suo desiderio.

Il 24 Pio IX partì di nascosto, avvolto in uno scuro terraiuolo, coperto di cappel tondo, con una cravatta bruna intorno al collarino da prete. Da a Galloro erano in carrozza soltanto Pio IX e il conte Spaur. Là furono raggiunti dalla contessa Spaur, e la comitiva s'accrebbe fino a sei. Il conte Spaur col suo cameriere Federigo, che stavano a cassetta; dentro, la contessa a destra e il figliuolo Massimiliano di faccia, il Pontefice a sinistra e di fronte l'aio, sacerdote Sebastiano LiebL. Pio IX li rincorò tutti dicendo:

(1) L'Orbe Cattolico a Pio IX, Napoli,1850, pag.1.

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- Coraggio io porto meco al collo l'augustissimo §sacramento, e in quella stessa teca in che portello Pio VI, allorché rapito a Roma fu trascinato a Valeuza (1). -

Il Papa recitò con D Sebastiano l'Itinerario de' chierici% e alle 5 del mattino del 25 novembre giunsero a Terracina. Una mezz'ora dopo valicarono francamente il confine, e Pio IX, toccale le frontiere napoletane, intuonò il Te Beuta. Pervenuti a Fondi, e fermatisi alquanto per bagnare una ruota e dar la sugna alle sale, il Papa fu riconosciuto da un colale che l'aveva visto una volta, ma tosto i viaggiatori ripartirono. Nell'accostarsi a Mola di Gaeta vennero ad incontrarli due gentiluomini, H Cardinale Antonelli, in abito secolare, e il cavaliere Arnau, segretario dell'ambasceria di Spagna, e seguirono il Papa, che smontò alla villa di Cicerone. Di lì il conte Spaur corse a Napoli con una lettera del Papa pel re Ferdinando, e gli altri mossero per Gaeta. Giunti alle porte della fortezza, e dati i passaporti, fu loro intimato di presentarsi quanto prima al comandante. Entrarono, e vennero condotti a uu alberguccio, domandalo del Giardinetto ed ivi s'acconciarono alla meglio. Intanto il Cardinale Antonelli e il cavaliere Arnau avviaronsi al comandante della fortezza, ch'era uno svizzero, il generale brigadiere Gross, militare d'animo saldo, di fede suprema, d'austera disciplina. Il quale non li riconobbe, né sospettò di chi fossero in compagnia, anzi sospettò male, come i tempi portavano.

E mentre il comandante mulinava una qualche severa e prudente misura contro gli stranieri incogniti e misteriosi, eccoti giungergli l'annunzio di tre legni a vapore arrivati da Napoli, e su di questi lo stendardo reale. Era re Ferdinando che veniva a ricevere Pio IX, insieme colla Regina e figliuoli. E lo ricevettero come que' Principi veramente cattolici doveano, e il Vicario di Gesto Cristo meritava. Anzi re Ferdinando tanto disse al Papa di non abbandonare l'Italia, ch'egli smise il primitivo disegno di rifuggirsi alle Baleari, e stabilissi a Gaeta, dove gli ambasciatori e ministri di tutte le Corti cristiane corsero a fargli corona, e l'orbe cattolico rivolse i suoi pensieri, i suoi affetti e i suoi voti.

L'esule Pontefice si vide pure a' piedi i legati della Sardegna che gli parlavano dei modi acconci a l'istaurare la pontificia autorità temporale, quell'autorità ch'essi pili tardi tentarono distruggere! E siccome era stato detto che le offerte di Torino miravano a togliere al Papa le Legazioni, così il ministro degli affari esteri del Re sardo scriveva: t Spero che il sospetto di tanta infamia non anniderà per un solo istante nell'animo del Pontefice». E il ministro diceva al conte Martini, rappresentante a Gaeta la Corte di Torino: «Ella procuri di mettere nel Papa la fiducia nel Piemonte! (2)».

A Gaeta dimorò Pio IX nove mesi e nove giorni, e giuntovi incognito il 25 novembre del 1848, ne partì con pompa solennissima addì 4 settembre del 1849, accompagnato dal Re e dalla Regina delle Due Sicilie, da cinque Cardinali e da varii altri ragguardevoli personaggi. Imbarcatosi su di un piroscafo napoletano seguito da altri due della stessa bandiera, ed inoltre da due spagnuoli ed un francese, giunse nello stesso giorno a Portici presso Napoli, dove, ricevuto con sommi onori,

(1) Teresa Giraud Spaur, Relazione del viaggio del Papa a Gaeta.

(2) Farini, lo Stato Romano, VoL. III, pag.190.

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stabilì la sua residenza in quel reale palazzo (1). Parecchie volte andò a Napoli; il 6 settembre 1849 vi celebrava la santa Messa nella chiesa metropolitana, il 9 fu al palazzo reale e benedisse solennemente le truppe, il 16 benedisse il popolo, e ben cinquantamila persone stavano genuflesse nella vasta piazza (2). Visitò molte chiese, diversi luoghi pii e varii pubblici stabilimenti, accolto dappertutto colla più profonda venerazione. Stanislao Aloe pubblicava i Diari della venuta e del soggiorno in Napoli di Sua Beatitudine Pio IX p. M. Napoli,1849, N° 127 (3).

Pio IX esule compì grandi (atti, e due grandissimi, l'uno a Gaeta a gloria della Chiesa, l'altro a Portici in vantaggio de' suoi Stati. Da Gaeta Ti 1 febbraio 1849, scriveva una sua ammirabile Enciclica ai Patriarchj, ai Primati, agli Arcivescovi e Vescovi di tutto l'Orbe cattolico, sull'argomento dell'Immacolata Concezione; e da Portici il 12 settembre dello stesso anno 1849, pubblicava un saggio e fecondo organamento degli Stati Pontificii con tali istituzioni, dicea il Pontefice-Re, «che, mentre assicurassero a voi dilettissimi sudditi, le convenienti larghezze, assicurassero insieme la nostra indipendenza, che abbiamo obbligo di conservare intatta in faccia all'universo».

E questo primo viaggio di Pio IX dimostrò la necessità del dominio temporale dei Papi riguardo a Roma, riguardo all'Italia, riguardo alla Cattolicità. Roma cadde in preda dell'anarchia, l'Italia passò dolorosissimi giorni, la Cattolicità pianse e levossi in armi. E gli stessi rivoluzionari pretesero che Pio IX non fosse indipendente in casa altrui. Luigi Farini gridò contro Gaeta fatale% Portici lusinghiera (4); Gioberti scrisse: «La cattività gaetina sarà ricordata con dolore da chi ama l'Italia e venera la religione (5) e D. Pirlone, giornale rivoluzionario Romano, incise una bestiale caricatura ove era dipinto il Papa rinchiuso in una gabbia pendente da un bastione di Gaeta, e il Re in atto di sonare un organetto con sottovi - Così dei cantare - La Provvidenza di Dio non permetterà mai che il Papa diventi suddito altrui, affinché non si ripeta a Parigi, a Londra, a Madrid, a Vienna la caricatura di D. PirIone!

III.

DA PORTICI A ROMA NEL 1850

Da quasi due anni Roma sospirava il suo re, il suo Pontefice, il suo Padre, quando Pio IX s'accinse a soddisfarne il vivissimo desiderio, e il 4 di aprile del 1850 mosse da Portici per alla volta dell'eterna città, Era passato appena il pomeriggio di quel giorno, e il Cardinale Riario Sforza arcivescovo di Napoli, e il Cardinale Dupont Arcivescovo di Bourges entravano nell'appartamento occupato dal Papa un'ora!dopo aprivansi le due porte della sala, e appariva Pio IX inoltrandosi con quella maestà piena di dolcezza, che è inseparabile dalla sua persona.

(1) Vedi Giornale Costituzionale di Napoli 1849, n°192,

(2) Giornale Costituzionale di Napoli 1849, n.194,196,204.

(3) Dai 39 ottobre 1849 ai 2 novembre, Pio IX fece un breve viaggio a Benevento. Tedi Giornale di Roma, n.9»,101,102.

(4) Farini, lo Stato Romano, Vol. Il, pag.309.

(5) Gioberti, del Rinnovamento civile filali?, Parigi 1851, pag.455,

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Traversava l'appartamento in mezzo a due ale di prelati e d'insigni personaggi che genuflessi gli baciavano la mano ed il piede. Salito in carrozza recavasi alla stazione, «d entrava nel vagone di mezzo in compagnia dei Cardinali Antonelli, Riario Sfora, Dupont, del Nunzio Apostolico del marchese del Vasto gran maestro di cerimonie del Re, e dai prelati Medici, Borromeo ed Hohenfohe. Innanzi allo scalo di Napoli la musica militare suonava dolcissime armonie, su tutti i punti della linea gran folla di popolo prostrato a terra gridava: Viva sua Santità!

Alle de pomeridiane il convoglio giungeva a Caserta, dove la maestà di re Ferdinando II aspettava il S. Padre, e proteso a terra riverentemente ne baciava la mano ed il piede. Le carrozze di Corte condussero l'augusto viaggiatore e il suo seguito «1 palazzo, e vi si passò il resto di quel giorno il 5 di aprile alle 9 antimeridiane partivasi per Sessa. Da Caserta a Capua strada era fiancheggiata dai più bei reggimenti dell'esercito napoletano, e piena di gente, che coi rami di ulivo in mano accorreva ad applaudire il gran Pio. Il quale alle 5 pomeridiane giungeva a Sessa, e secondo il suo costume, scendeva alla Cattedrale, e dopo aver fervorosamente 'pregato, passava nell'episcopio benedicendo dall'atto del balcone l'affollata popolazione. Il 6 d'aprite il Papa di buon Mattino abbandonava Sessa, e trovava le strade che percorreva stipate di gente coli fiori in mano, mandando i più cordiali evviva ai trionfante Pontefice. Al ponte di ferro sospeso al Garigliano Pio IX discese dalla carrozza, e gli Abitanti della vicina Traetto accalcavansi intorno alla sua venerata persona. Il re Ferdinando, sempre a fianco del Papa, allontanava i più arditi, ed essi vendicavansi baciando la mano al Re ed al Principe reale. Quanto affetto, quanta fede in quella cara popolazione! Pio IX la benedisse di gran cuore, e proseguendo il viaggio giunse presto a Mola e poscia a Gaeta.

Gaeta avea lasciato nell'animo del Santo Padre care ed indelebili memorie, e i suoi abitanti sentivano un più stretto dovere d'accoglierlo festosamente e dimostrargli te loro affezione. Imperocché se Pio IX avea ritrovato un dolce asilo su quell'isolato promontorio, durante il tempo della sua dimora v'avea sparso a piene mani le sue beneficenze. H sobborgo di Gaeta abitato da migliaia di pescatori e lungo una lega, era tappezzato da un capo all'altro, e qua e colà interrotto da archi trionfali con iscrizioni di riconoscenza e di devozione.

All'ingresso del Pontefice nella Città il cannone dei forti unì il suo tuono ai festivi rintocchi delle campane. Oh quanto è sublime il tuonar del cannone quando saluta l'arrivo del Re dell»Pace, del Vicario di Gesù Cristo! Diresti che sotto il prodigioso incanto dell'apostolica benedizione gli strumenti di rovina e di morte siensi convertiti in organi di letizia e di vita. Una doppia fila di soldati faceva ala al passaggio di Pio IX fino alla Cattedrale.

Gli ultimi erano i figli stessi dei militari che il beneficentissimo Ferdinando facea educare militarmente in un istituto eretto a Gaeta.

Dopo le cerimonie di Chiesa ebbe luogo il ricevimento all'Episcopio, oggi palazzo arcivescovile. Il S. Padre a Gaeta trovavasi come nella sua residenza. Conosceva tutti coloro che recavansi ad ossequiarlo, e tutti ci andavano, ricordando un ricevuto benefizio, e portando una parola di ossequiosa riconoscenza.

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Da Gaeta Pio IX proseguì il suo viaggio, e dovette sostare a Itri ed a Fondi per benedire altri suoi figli. Finalmente alle 4 pomeridiane del 6 di aprile si giunse a Portella, dove Ferdinando li re delle due Sicilie doveva congedarsi dal Sommo Pontefice. Le LL. Maestà discesero di carrozza e Pio IX volle fare altrettanto non ostante le istanze del Re. L'addio dei due Sovrani fu solenne e tenerissimo. II Santo Padre ringraziò re Ferdinando dell'accordatagli ospitalità, e questi rispondeva protestando che per tutta la sua vita avrebbe ringraziato il Signore Iddio che gli concesse di mostrare al mondo il suo ossequio alla religione cattolica, e il suo rispettoso affetto al succesaor di S. Pietro. Il Re riprese la via di Caserta, e Pio IX continuò per alla volta di Roma. li 7 di aprile alle 4 e mezzo pomeridiane era a Terracina, e rientrava ne' proprj stati dopo sedici mesi di dolorosa assenza. Le campane di Terracina suonavano a festa, e il cannone della piccola batteria che corona il molo salutava il sospirato arrivo del diletto Monarca. Fu un momento d'inesprimibile commozione per l'anima di Pio IX cosi sensibile. Era quella la prima popolazione romana che venisse ad incontrarlo.

L'accoglienza che s'ebbe il S. Padre fu cordialissima. I Terracinesi lungo la strada e la città aveano piantato gran numero d'alberi che graziosamente l'abbellivano. U palazzo del governo era stato riparato in tutta fretta dai guasti avuti dall'anarchia repubblicana. Dall'alto di quel palazzo Pio IX benedisse la popolazione radunata nella piazza semicircolare che sta tra il palazzo ed il mare. Le lagrime e le acclamazioni di que' cittadini provarono come e da quanto tempo sospirassero il proprio Padre! Alla sera illuminazione generale e stupenda. Le file d'arboscelli che adontavano la città convertironsi in altrettanti candelabri, e il mare stesso apparve bellamente illuminato. Erano stati spediti al largo grossi battelli carichi di lanterne, ciascuna delle quali fissata sovra un pezzo di zugbero, veniva posta sull'acqua. La brezza della sera in un momento sparpagliò quelle mille faci in tutti i sensi verso la Spiaggia, e presentarono un incantevole spettacolo. Pio IX passò 18 di aprile a Terracina, vi attese al disbrigo degli affari dello Stato, e vi ricevette gli omaggi di patrizii Romani venuti ad ossequiarlo, tra' quali era il Principe Borghese TorIonia.

Or doveasi proseguire il viaggio negli Stati della Chiesa. Il Re di Napoli come abbiamo detto erasi fermato a Portella, fin dove tutto fu perfettamente ordinato dal Marchese del Vasto, dal generale Saluzzi, primo aiutante di campo di S. Maestà, e dal maggiore Joung, alla fedeltà del quale il Re avea confidato la sicurezza del Santo Padre a Gaeta e a Portici. Fu regolato dunque nuovamente l'ordine del corteggio nella partenza da Terracina avvenuta alle 9 antimeridiane del giorno seguente.

Il principe Massimo, direttore generale delle poste Pontificie, precedeva. Quindi la carrozza di Sua Santità con Medici e Borromeo, suoi prelati di servizio.

La seguiva un drappello di Ussari Napoletani e un'altra carrozza del principe d'Hohentobe, uno dei camerieri segreti, Monsignor Stella, confessore di Sua Santità, e due altri prelati. Il Cardinale Asquini, prefetto della Congregazione delle indulgenze, che si trovava a Terracina, si unì al corteggio. Succedeva la carrozza del Cardinale Da Pont e del signor Micard; quella del Cardinale Antonelli e di monsignor Bertolazzi;

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quella del conte Ludolf ambasciatore del Re di Napoli alla Santa Sede, incaricato in questa occasione degli ordini per le truppe Napoletane scaglionate sulla strada. Infine la carrozza del signor Barluzzi, sottosegretario di stato, e del cav. Filippini, ciambellano di servizio.

A qualche miglio da Terracina si lascia sulla sinistra la strada di Roma per entrare nella provincia, ed a pochi minuti di distanza, per una strada assai disagiata, e lungo la quale il Sommo Pontefice dovette salire in altra carrozza, si trova Fossa marittima, chiamata Fossa nuova, monastero dei Certosini, celebre per la morte avvenutavi di s. Tommaso d'Aquino, ma abbandonato da motti anni per l'insalubrità dell'aria. Il Clero di Sonnino, piccola città della vicina montagna, era corso a ricevervi il Sommo Pontefice. Qui fu fatta la prima fermata. V'erano convenuti tutti i poveri e rari abitanti delle Paludi Pontine, esprimendo il meglio che poterono la loro gioia e la loro speranza. Il Santo Padre distribuì loro abbondanti soccorsi colle proprie mani.1 più ricchi a cavallo lo scortarono nella sua visita al sepolcro di san Tommaso.

Di mano in mano che il mare si allontana, Varia è più salubre, e la popolazione più numerosa. Si giunse alla piccola città di Piperno posta alla sommità di un monte, dove una parte degli abitanti attendeva l'arrivo del Santo Padre intorno ad un arco trionfale innalzato alla porta della città, sulla parte superiore del quale leggevasi: Ritorna, o gran Pio, alla Sede di tua autorità, e con Te ritornino le virtù e benedizioni tue. Vi volle assai per arrivare alla chiesa attraverso a strade affollate da migliaja di contadini, che tutti volevano vedere e salutare il loro Sovrano.

L'altare di questa chiesa racchiude come reliquia la testa di san Tommaso d'Aquino. Dopo d'avere assistilo alla benedizione del SS. Sagramento il Papa ascese all'Episcopio, e dall'alto del balcone benedisse la popolazione genuflessa sulla piazza. Fu duopo attendere molto finché la folla, la quale aveva occupato il palazzo per baciargli il piede, avesse sgombrato. Finalmente si poté continuare il viaggio.

Da Piperno si passa a Prossedi per una strada d'intorno a sei miglia, e lungo la quale erano stati innalzati XIV archi trionfali dagli abitanti delle città e paesi che non poteano visitarsi. In questo breve tragitto furono dunque 14 stazioni.

In ognuna di esse trovavasi il municipio genuflesso attorno al suo arco trionfale; le donne tutte da una parte, tutti gli uomini dall'altra della strada; facevano sentire unanimi i loro evviva, e volevano avere la propria parte delle benedizioni pontificie. Si vedeva per i campi un gran numero di carri che avean condotto intiere famiglie, e co' quali si erano là accampati fin dalla vigilia per timore di non trovarsi al passaggio del Santo Padre. Fra gli archi furono i più osservati quelli di Maenza di Roccagorga e Roccasecca.

La città di Prossedi presentò lo stesso spettacolo di Piperno, e cagionò il medesimo ritardo. Il giorno s'inoltrava e nondimeno conveniva fermarsi agli archi trionfali innalzati al di là della città. Finalmente il corteggio giunse al piede della collina sulla quale è piantata Frosinone capoluogo della provincia di Campania, l'antico paese de' Volsci. Per giungere alla sommità, la strada scorre un gran numero di linee quasi parallele ai lati della montagna, di modo che dalla pianura si vedeva la popolazione

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tutta quanta raccolta in varii ordini come un anfiteatro; e quando il Santo Padre potò vederla e udirla, un alzar di cappelli, un agitar di fazzoletti fu generale, e generali le acclamazioni.

L'ultima parte della strada, vale a dire quasi per un miglio, e tutti gli accessi della città erano ornati di un doppio ordine di colonne di legno coperte di mirto, e sostenevano festoni di verdura, di stoffe di svariali colori, con lanternoni trasparenti per la illuminazione della sera. Mentre il Santo Padre orava innanzi all'altare della cattedrale, il popolo era risalito alla città, e stava accalcato nella piazza, allorché dalle finestre del palazzo del governo Pio IX diede la benedizione. Si ritirò quindi nel suo appartamento, si degnò ricevere una parte delle autorità e del Clero, rimettendo all'indomani gli altri ricevimenti. Tutte le case sul far della sera vedevansi in mille guise illuminate: la città era gioconda e frequentata; le acclamazioni durarono una parte della notte.

Pio IX volle fare una gita sino ad Alatri posta sovra un'alta montagna a set miglia da Frosinone. Ciò che indusse il Santo Padre a fare il viaggio d'Àlalri, fu che questa città, per un esempio unico forse nella storia delle rivoluzioni moderne, dopo di avere ricusato di prender parte alla votazione del suffragio universale, non ha voluto mai riconoscere la repubblica Romana, mantenendo immobile sempre sulla cima del campanile la bandiera papale. Dopo molti tentativi infruttuosi di sedizione e di guerra, Mazzini Bnì col risolversi di lasciare i cittadini di Alatri nella loro libertà. S'intende quindi la gioia, l'entusiasmo straordinario rii quei bravi abitanti allo avvicinarsi del Santo Padre, II trionfo era mollo minore pel Sommo Pontefice che per loro stessi; e quindi egli è impossibile descrivere l'aspetto della città, nel momento in cui Pio IX traversò a piedi le sue lunghe e anguste strade. Fuori di ciascuna casa ardevano lampade e cerei innanzi al busto del Papa circondato di fiori e di verdura, il suolo delle strade era coperto da uno strato di foglie di alberi; le mura all'intuito vestite di drappi, di arazzi, di tele, di cortine e di altri ornamenti. Le grida di vivati Papa, viva il Santo Padre erano maravigliose, e dalla loro assiduita e dal loro prolungamento si appariva che gli Alatrini vi mettevano tutta l'anima.

L'area che circonda la chiesa è vastissima, ma in questa circostanza fu angusta, poiché non tutti vi poterono trovar posto. Dappoiché il Santo Padre ebbe chiamato la benedizione di Dio su questa folla col suo gesto maestoso, e con un'azione di dubbio tutta particolare, apparve in tutte le file così strette e compatte un movimento elettrico di giubilo supremo. Nella visita che il Santo Padre fece al monastero delle religiose di Alatri ebbe luogo una scena commovente, poiché una di esse inginocchiandosi ai suoi piedi ruppe in singulti pregando grazia, perdono, misericordia! Era la sorella di Sterbini.

Pio IX ritorno a Frosinone, e ne parti il 10 di aprile alle 8 del mattino. Da Frosinone a Ferentino la campagna è quasi deserta, e i suoi pochi abitanti eransi recati alla città molto di buon'ora per festeggiare anch'essi coi loro evviva il Sommo Pontefice. Ferentino, antica città Ernica sulla via Latina, conta una popolazione di circa 8,000 abitanti, ed è piantala sulla sommità di un elevato colle, come le città già percorse, per modo che appena il corteggio vi fu vicino si fece sentire

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un concerto di acclamazioni dai varii ripiani del colle istengo per ripetersi a misura che la carrozza del Santo Padre giungeva ad uno dei rivolgimenti della strada Era spettacolo commovente vedere quei poveri terrazzani mal riparati sotto il loro mantello di stoffa, le donne che tenevano avvolti i loro piccoli figli in certi cappucci di lana, intirizziti dal freddo per una lunga aspettativa, trovar nondimeno l'energia per gridare mille evviva al passaggio del Sommo Pontefice.

L'angustia delle strade non permetteva per ogni dove il passaggio alle carrozze, e volendo Pio IX finire la sua visita, dovette camminar lunghi tratti a piedi in mezzo ad una folla in giubilo. Dopo aver passate tre ore a Ferentino, il corteggio discendeva di nuovo alla sottoposta pianura per dirigersi a Valmontone, antico feudo del principe Doria che taluno ritiene piantato sulle rovine dell'antica Labicum, perché quivi la via Latina alla Labicana si congiunge. Da questa parte la provincia è disseminata di molte città dall'una e dall'altra parte della strada le quali, non dovendo essere visitate, avevano innalzati archi trionfali nel punto della strada che toccava il loro territorio. In questi luoghi il Clero, la municipalità, ed una gran parte della popolazione di ciascuna di esse trovavansi pronte ad 'accogliere l'augusto Viaggiatore colle ripetute e ognor crescenti grida: evviva U Papa, viva il S. Padre. Quella di Anagni ricca di una popolazione di 14,000 anime si segnalò pel suo arco trionfale, non volendo «tare al di «otto di Ferentino sua rivale. Questa antica rivalità è provata dal monumento di una enorme muraglia che si estende a traverso la campagna fra i due territorii. - Val montone è un popolato borgo abitato dagli affittuarii del principe Doria che ne possiede pressoché tutte le terre circostanti. Egli avea scritto due volte al Santo Padre pregandolo di voler accettare una collezione nel suo passaggio.

Da Valmontone fu d'uopo fermarsi sotto Monteforlino, dove trovava»! il principe Borghese, signore del luogo, per ricevere il S. Padre presso un arco trionfale innalzato vicino alla chiesa. Il Santo Padre vi discese e vi entrò a pregare. - Due ore dopo si giungeva a Velletri, di cui il Cardinale Decano del Sacro Collegio è per diritto Vescovo e Governatore, come prima erane il Sovrano.

Un magnifico arco trionfale era stato innalzato a qualche distanza dalla città sulla via Appi. Il Cardinal Macchi fu ad incontrare il Santo Padre; la municipalità aspettava per fargli l'omaggio delle chiavi. Le strade erano ornate con un lusso straordinario; tutto annunciava una grandiosa festa, e le acclamazioni cento e cento volte ripetute dagli abitanti, dicevano ad ognuno che la festa era pel Sommo Pontefice.

Allorché egli ebbe fetta la sua preghiera nella cattedrale, e compartita la benedizione al popolo dall'alto del balcone del palazzo, sopraggiunse la notte, ed il ricevimento di alcuni personaggi chiuse quella giornata. ìì generale in capo dell'armata francese, Baraguay d'Hilliers, fra gli altri venuto da Roma a complimentare il Santo Padre, ed a ricevere i suoi ordini, fu accolto con segni di stima tutta particolare e trattenuto a pranzo alla sua tavola. Quindi lo stesso generate trovò il Cardinale Du Pont, che non conosceva ancora, nella sala di onore. Sua Eminenza dimenticò la sua gotta, abbracciò il valoroso comandante dell'esercito francese attestandogli la più viva soddisfazione. L'11 di aprile si passò a Velletri. Questa città riboccava di gente e di deputazioni

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la maggior parte di grandi signori di Roma che riempivano le sale del vasto palazzo vescovile. La sorella dell'illustre generale Baraguav d'Hilliers era Tenuta anch'essa a complimentare il Santo Patire. Per ogni dove scorgevaai una vitalità, un movimento, un'impazienza generale di giungere alla città eterna. Il Santo Padre non avea cambiato; la serenità del suo aspetto sempre la stessa; la sua fiducia intiera come il giorno in cui risolveva a Portici di tornare a riprendere con provvida mano l'opera santa che i malvagi aveano spezzato.

Dopo la visita ai principali stabilimenti religiosi di Velletri, Pio IX si recò ai palazzo Lancellotti. La scala di marmo di questo edifizio è celebre. Il cortile che domina la campagna avea servito di piattaforma per una batteria napolitano Quivi dunque era stato necessario spargere sangue per liberare Roma e la S. Sede dall'anarchia rivoluzionaria, e le mura presentavano la traccia delle palle dei cannoni. Tutti i membri della famiglia del principe Lancellotti erano presenti. - In fretta venne formato un trono sul quale il Pontefice ebbe gli omaggi delle persone ammesse al ricevimento. L'immensa folla che lo aveva seguitolo accompagnò nel ritorno al palazzo vescovile. Alle 5 cominciò di nuovo il ricevimento e fu anche più numeroso, e maggiori dimostrazioni ebbero luogo sino al fine. Prima del riposo convenne assistere ad un bel fuoco d'artifizio, che finì trasformandosi in un'illuminazione splendidissima.

Alle ore 8 antimeridiane del 12 di aprile si parti per Roma, lasciando Velletri in mezzo ad una popolazione che si era affollata lungo la via, e che accompagnò il S. Padre co' suoi evviva fino al di fuori della città. L'ultimo distaccamento di Ussari Napolitani seguiva, come nei giorni precedenti, la sua carrozza, e con una rapidità notevole si fu presto vicini a Genzano, ove si trovavano gli avamposti francesi. Il generale Baraguay d'Hilliers attendeva ad un quarto di lega prima del paese. Appena vide la carrozza dei S. Padre, corse al galoppo ad incontrarlo, e si collocò allo sportello destro. All'ingresso di Genzano uno squadrone di cacciatori a cavallo rilevò la scorta napolitana. Di tal guisa Sua Santità trovavasi in mezzo all'esercito francese. Il generate avea fatto avanzare uh battaglione per rendergli i primi onori. La popolazione di Genzano era tutta in grandissima gioia, e le sue acclamazioni dimostrarono ancora una volta al S. Padre come e quanto fosse grato il suo ritorno. Disceso dalla sua carrozza per recarsi alla chiesa secondo il costume, ebbe la grata sorpresa di un spettacolo unico nel suo genere; poiché gli abitanti nelle vicinanze del luogo santo avevano ricoperto la strada e la chiesa medesima sino all'altare di magnifici tappeti di fiori naturali di svariati colori e con disegni di perfetta esecuzione. La truppa francese formava una doppia spalliera. Nel tempo della preghiera il generale in capo accolse con quella cortese cordialità che gli è particolare il solo generale napolitano che venne sino a Genzano, e che era un giovine sottotenente. Circondato dai suoi aiutanti di campo indirizzò un brindisi alla salute del Ree dell'esercito, esprimendo il rammarico che S. M. non avesse permesso ad uno quadrone delle sue belle troppe di venir sino a Roma a prendere un posto d'onore nel corteggio. I sottoufficiali dei cacciatori bevvero alla staffo con i sottoufficiali degli Ussari, e il giovine ufficiale napolitano partì portando seco cara la memoria dell'accoglimento fraterno che avea ricevuto. Il conte di Ludolf, incaricato fino a quel

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punto di accompagnare la scorta, lasciò il corteggio ad una certa distanza da Genzano, e il S. Padre con tutto il seguito, ad eccezione del Cardinale Du Pont, scese nuovamente dalla carrozza per traversare a piedi il viadotto gigantesco dell'Ariccia.

La bella popolazione di questa contrada era lietamente radunata fletta città d'Albano. Due battaglioni di truppe scelte formavano ala. Dopo la cerimonia religiosa il Santo Padre recossi per qualche ora al palazzo vescovile preparato per ciò. Tutta la città era piena di vita e di moto: la guardia d'onore poteva a gran pena mantener liberi gli accessi del palazzo, al quale tutti si dirigevano nella speranza di vedere più dappresso la persona del Sommo Pontefice. Una celta musica militare era posta nel cortile, e i carabinieri smontati da cavallo, occupavano il vestibolo.

Finalmente in mezzo al suono delle campane, al rimbombo dell'artiglieria, all'incontro dei primi flutti della folla si conobbe di essere giunti alla città eterna. Il corteggio fu costretto rallentare il corso per entrare al passo nella porta ove finisce la via Appia. L'immensa piazza tra le mura e la basilica lateranense scompariva sotto una moltitudine immensa di persone e di carrozze. Dalle sole finestre dell'adiacente palazzo poteva vedersi l'impazienza di una folla fremente che agitava le braccia, e che di luogo in luogo ripeteva acclamazioni di gioia e di rispetto, allorché la carrozza del S. Padre traversava lentamente la strada per andare a fermarsi innanzi alla scala della basilica. Il Consiglio municipale era radunato in questo luogo in gran gala. Chi faceva le veci del senatore complimentò genuflesso il Santo Padre prima che discendesse dalla carrozza, ed ebbe una di quelle risposte degne e commoventi che escono sempre dal «no cuore. Collo scendere dalla carrozza la prima volta nel suo ritorno Pio IX, riprendeva in certa guisa il possesso della città eterna. La sua commozione fu visibile; mille e mille voci lo salutarono colle loro acclamazioni. La storia dirà che in questo momento solenne sei o sette sibili (altri ne hanno contati dieci) si sono fatti sentire come l'eco perduto d'un segnale sinistro. Alcuni tristi ebbero la viltà di bestemmiare, contro il cielo in faccia al mondo intero genuflesso in un sentimento di pietosa riconoscenza.

Nella chiesa di san Giovanni in Lacerano il Santo Padre fu ricevuto dai tre Cardinali della Commissione provvisoria, dal Cardinal Patrizi e dal corpo diplomatico, ed accompagnato fino a pie dell'altare. L'immensa basilica era piene di popolo, e a gran pena le guardie potevano mantenere un angusto passaggio per l'entrata e l'escita del corteggio.

Uscendo dalla chiesa il Papa salì nella sua carrozza di cerimonia per traversare tutta la città fino a S. Pietro. I Cardinali Asquini, Du Pont, Antonelli, giunti col Santo Padre, trovarono le loro carrozze di gala, e di tal guisa un corteggio il più magnifico che possa vedersi, occupando un'estensione di oltre mezzo miglio, si pose in cammino a traverso le strade di Roma. Alla destra della carrozza di Sua Santità, il generale Baraguay d'Hilliers colla sua fisionomia aperta e marziale, seguito dal suo stato maggiore. Alla sinistra il principe Altieri, capitano delle guardie del corpo, seguito da' suoi ufficiali: poi tutta la cavalleria francese in ordine di marcia. Seguivano le carrozze dei Cardinali che erano stati presenti a san Giovanni in Laterano, e in fine quelle del corpo diplomatico col l'ordine indicato dal grado e dall'anzianità dei diversi ambasciatori.

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Le truppe romane nuovamente organizzate avean fatto il servizio a san Giovanni in Laterano, all'ingresso del Papa e nei diversi punti che il corteggio percorse in principio. Il generale Baraguav avea voluto lasciare il primo posto alle truppe del paese.1 soldati francesi più numerosi doveano guernire il resto da percorrere, e sopratutto la gran piazza di S. Pietro punti finale del viaggio.

Si può dir senza tema di esagerazione, né di Contraddizione, che mai la folla erasi accalcata più numerosa al passaggio del Santo Padre: non un punto solo in cui si potesse vedere un vuoto; tutte le piazze riboccanti, tutte le finestre, tutti i balconi pieni di spettatori, e per ogni dove udivansi acclamazioni di tenerezza e di rispetto: Viva il Sommo Pontefice, viva il Papa; S, Padre la benedizione. Allora si vide uno spettacolo magnifico, che produsse un'impressione tanto pili profonda, quanto meno si attendeva. A misura che la carrozza del Santo Padre traversava la spalliera de' soldati francesi, una voce d'ammirazione e di contentezza correva di fila in fila alla vista della sacra persona del Sommo Pontefice. Quei bravi soldati, misero istintivamente un ginocchio a terra nel momento in cui il Santo Padre, secondo l'uso, da la benedizione. Tutti avevano gli occhi fissi sulla sua sacra persona, la cui dolce espressione diceva tutti i sentimenti dell'anima sua. Il trionfo del Santo Padre fu completo in questa giornata memorabile.

Il Sacro Collegio riunito a san Pietro attendeva il Sommo Pontefice e il suo corteggio. Non si rammenta che fosse mai la Basilica di san Pietro così affollata. Migliaia di stranieri si disputavano un piccolo posto sotto il colonnato della piazza, sulla gradinata, nella navata dell'immensa basilica, mentre dalle tribune, dalle file compatte della folla escivano mille espressioni di gioia e di riconoscenza.

Era notte quando Pio IX poté ascendere al suo palazzo del Valicano, accompagnato dai Cardinali, dal generale Baraguav d'Hilliers e dal corpo diplomatico, ed entrare nel proprio appartamento. Qualche momento dopo Sua Santità si presentò di nuovo per congedare i signori ambasciadori, indirizzando loro parole di riconoscenza. Martinez de la Rosa, decano del corpo diplomatico v seppe, improvvisare un breve discorso pieno di dignità. Dopo di che il Santo Padre si ritirò dicendo al generale francese con un sorriso d'intima confidenza «io vado a riposare una notte tranquilla».

IV.

DA ROMA PER L'ITALIA CENTRALE NEL 1857

Da pili anni Pio IX vagheggiava il pensiero di sottrarsi per pochi giorni alla capitale ed intraprendere un breve viaggio alla volta di Loreto, affine di prostrarsi riverente, su quel suolo di cui mai il pili santo, rendere grazia alla sua celeste regina pei ricevuti favori. Ma per le istanze de' suoi popoli il viaggio di pochi giorni durò parecchi mesi, cioè dal 4 di maggio al 5 di settembre del 1857. Sarebbe troppo lungo il solo enumerare le città visitate dal Pontefice, e dall'altra parte la storia di questo viaggio fu già stampata a Roma in due grossi volumi. Noi perciò ci restringeremo a dire in generale delle accoglienze che Pio IX nel 1857 s'ebbe dai suoi popoli, invitando i lettori a considerare questi fatti come un grande universale linguaggio col quale i popoli dell'Italia centrale manifestarono al mondo ciò che pensassero e sentissero di colui,

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che fu posto da Dio a governare una gran porzione di essi, e fu dato a tutti per guida e per iscorta alla patria celeste.

Pio IX partissi Adunque da Roma il 4 di maggio, tra le acclamazioni e i voti dei Romani, e i popoli uscirono dalle proprie terre ad incontrare il Benedetto Che loro ne veniva in nome del Signore. Non contenti di aver inviate a lui onorevoli ambasciere ancor prima che dalla città eterna egli prendesse le mosse al suo corso, non soddisfatti di aver replicato gl'inviti le due e le tre volte, premettendo deputazioni ad accoglierlo al confine delle rispettive province o diocesi; le popolazioni presso che intere effondevansi fuori della città e delle terre, ed ora schierate lungo le vie suburbane, ora raggruppate intorno al loro Magistrato, ora facenti corona al loro Vescovo o al loro minor pastore, se gli gittavano a' piedi ed invocavano sui loro capi la benedizione onnipotente. E per nominare più in particolare alcuni di quei luoghi in cui questa significatone di affetto fu più notevole, a Cesena la popolazione devota era uscita ad incontrare il Pontefice a due miglia dalla città; a Rimini uria moltitudine di popolo erasi recata in folla a più miglia di distanza per festeggiarlo; a Lago gli abitanti stavansi in gran numero ad attenderlo fuori di città presso al santuario della Beata Vergine del Molino, tutto messo a pompa festiva, e poi l ritorno di lui da Ravenna in gran folla traevano alla via di Codalunga ad incontrarlo pria che giungesse; a Fermo tutta la via suburbana fuori porta Pia era gremita di gente, sui volti della quale traspariva la letizia del cuore, a Forlì un'onda immensa di popolo stavasi accalcata fuori della barriera Pia e sulla piazza esterna di fronte ai pubblici giardini; a Macerata, cominciando dalla collina di Santa Croce, tutti i pubblici passeggi, e poi l'ampio stradone che corre tra il portone Pio e porta Romana, ogni cosa era stivata di popolo esultante: «finalmente neppure la pioggia, benché dirotta, poté trattenere quei di Camerino e quei di Terni dal discendere in gran numero giù pel colle e dal recarsi fuori della città a più miglia, per testificare al benedetto Pastore l'impazienza in che erano di vederlo.

Che se con significazioni tanto solenni e pietose prevenivano i popoli l'arrivo dell'augusto Pontefice; non è a dire a quanto onore l'accogliessero, giunto ch'egli era in mezzo a loro. Al primo suo apparire da lungi, il suono festivo dei sacri bronzi, gli armoniosi concenti delle bande musicali, ed il saluto di tutta l'artiglieria, ove ne avessero, annunziavano ad ognuno che era arrivato il momento della comune letizia, e letizia solenne e sacra quanto l'oggetto che risvegliavate Al toccar poi che il cocchio sovrano faceva l'ingresso delle città, o sul limitare stesso delle porte di verso Roma, e sottesso gli archi trionfali, o le tende o i padiglioni di svariate elegantissime fogge quivi a tal uopo costruiti, i Presidi delle rispettive province, rinnovavano l'obbedienza per loro già pili volle prestata, e la Magistratura comunale nelle nobili assise di sua dignità prostravasi riverentemente ai suoi piedi mentre il Gonfaloniere, o il Sindaco, o comunque si appellasse il primo di quel Maestrato, con in mano un prezioso cuscino, o uri vassoio di argento, sol quale eran poste le chiavi della città, gliene presentava e con esse offertagli la città tutta ed i cittadini la cui leal sudditanza era simboleggiata in quell'atto. Questa offerta veniva per lo più accompagnata da acconcia parlata, alla quale il Pontefice non mancò mai di rispondere con brevi sì ma calde parole,

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che rivelavano a tutti le cortesi e nobili disposizioni dell'animo suo. Intanto tutti gli sbocchi delle strade e le piazze erano gremite di popolo che genuflesso implorava di essere benedetto dal Vicario di Gesù Cristo, e bisognata gran che fare ai militi in romper tanto da aprire a lui ed al suo seguito la strada.

Non mancarono luoghi (specialmente da principio, quando la mente del Pontefice intorno a ciò non era ancora universalmente conosciuta) nei quali si facessero preparazioni per istaccare i cavalli dal cocchio pontificio, a fine di trarlo nella città a mano d'uomini. Cosi avvenne a Civitacastellana, così a Terni, cosa Foligno, così a Loreto, così a S. Elpidio, così a Porto S. Giorgio, così a Fermo, così a Senigallia, così n Pesaro, cosi a Cesena: «coloro, i quali a cotesto ministero si offrivano volenterosi, erano giovani per lo più delle primarie famiglie, o studenti delle università in uniforme abito nero con nastro bianco e giallo legato al braccio. Salvochè a Senigallia e a Sant'Elpidio, ove alcuni marinari messi in pulitissimi abiti di festa, o altri individui vestili a quella foggia, sollecitarono quest'onore; ed a Loreto ove oltre ai giovani che testò dicevamo, si offersero pronti a questo uffizio trentasei coloni del venerabile santuario, tutti capi o vergari, come gli uomini del contado colà li chiamano. Il Santo Padre, fermo come egli era di non mai ammettere una somigliante dimostrazione di onore, ne aggradì non pertanto il pensiero, e volle anche singolarmente rimeritati quegli amorevoli che erano presti ad ossequiare per tal guisa la sua sacra persona.

Ma all'amore ove sia sincero e spontaneo non mancano mai modi di appalesarsi: quindi è che chiusa e disdettagli una via, si rivolge ad un'altra ed usa mille industrie por compensarsi. Questo appunto si vide nel caso nostro; impediti i fedeli sudditi pontificii di trarre a mano il Sovrano nelle loro tetre, si rivolsero ai fiori, i quali come sono nella lor picciolezza grande argomento della potenza del Creatore e dell'amor suo verso noi sue creature, così sono acconcissimi a significare altrui benevolenza ed amore. Di fiori dunque essi cospersero le vie, fiori sparsero a piene mani innanzi a1 suoi passi; nembi di fiori piovvero sin sul suo cocchio dalle finestre e dai balconi ovunque egli passava.

A Civitacastellana erano fanciulline vestite a foggia di angeli che spargean gigli e rose sul cammino: a , a Belforte, a Rimini, a Santarcangelo ed a Brisigbella erano teneri garzoncelli vestiti similmente alla foggia angelica e con variopinte ali alle spalle: a Montesanto, a Forlì, a Castelmaggiore ed a Lugo l'odorifero nembo venia apprestato da tenere verginelle in candide vesti con una sciarpa gialla attraversata al petto e coronate il capo di rose: fanciullini similmente vestiti facevano quest'uffizio a Porto di Recanati: «finalmente una eletta mano di giovanetti di nobili famiglie nei loro eleganti abiti da festa erano trascelti all'alto onore a Spoleto, a Ferino, ad Ascoli, a Bertinoro, a Castelbolognese e ad Imola. Il Santo Padre poi e per la delicatezza del pensamento e per l'innocenza dell'età trascelta a fornirlo, prese di questa cosa tanto diletto, che a significare il suo aggradimento, talvolta, come a Terni, fu veduto cogliere alcun dei fiorì caduto nella sua carrozza ed odorarlo, tal altra, come a Lugo, si compiacque ammettere alla sua presenza quelle fanciulli ne che aveano sparso fiori innanzi a' suoi passi, e porto loro a baciare il sacro piede, donò a ciascheduna una medaglia d'argento.

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Dappertutto elevavansi archi trionfali per accogliere il Papa-Re, cominciando da Nepi che ne fé innalzare uno poco oltre alla porta tutto di legname, con rilievi a chiaro oscuro ed ornamenti di verdure e di fiori; fino. A Ronciglione che aveane pure uno assai gaio all'ingresso della città. Gradavano poi essi per, tutti gli ordini di architettura, cominciando dallo stile villereccio, sino al più ornato composito. Conciossiaché ve ne avea di architettura semplice, ma bella e maestosa approssimante al toscano, come quel di Montesanto; e dell'alquanto più ornato dorico, come quei di Civitacastellana, di Magliano e di Marano; e del delicatissimo ionico, come quei di Montecassiano e di Cento, e dell'elegante corintio, come quei di Cesena e di Recanati; e del ricco composito, come quel di Loreto all'imbocco di porta Romana e di più altri luoghi., Tali altri poi alle colonne, ai pilastri, ed ai fornici accoppiavano padiglioni e tende di preziosi drappi, quali furono quelli di Ferrara di Ravenna e di Medicina. Anzi neppur ne mancarono alcuni di architetture e di forme meno usitate e più nuove; che a Città della Pieve il consorzio dei possidenti di vai di Chiana ne mandò innalzare uno di stile gotico fiancheggiato dallo statue dei Principi degli Apostoli, e presso Casola Valsenio, sull'imboccatura della strada provinciale di Riolo e Casola, il dottor Carlo avvocato Longhi, medico chirurgo di quel comune, ideonne un altro di architettura egiziana, il quale venne decorato dal Galassj pittore imolese, Sulla sommità di quei massi a somiglianza di granito che lo formavano, correva tutto attorno una bella ringhiera, nella quale era adunata la banda casolana che facea risuonare le valli ed i circostanti colli dei suoi concenti; e, tra per la novità dell'idea, tra per lo maestoso del monumento, tra per la semplicità dell'iscrizione, provocò l'ammirazione dello stesso Sommo Pontefice, il quale con rara benignità degnossi lodarlo.

Questo innalzar poi degli archi fu così universale, che neppure le pili piccole terre, neppur quelle città e quelle borgate, alle quali il Pontefice non potea condursi ne vollero andar prive. Così Porto di Recanati eresse il suo sulla via litorale dell'Adriatico; così Santa Maria degli Angeli il suo sulla via di Perugia, la piccola terra di Russi il suo sulla strada faentina e sulla stessa i terrazzani di Villa Godo; e finalmente que' di Bertinoro anche il loro sulla via del Carrarone presso a Santa Maria del Lago. Dove poi una sola terra non fosse sufficiente a costruirne uno abbastanza dicevole e decoroso, se ne univano pili insieme a sostenerne congiuntamente la spesa. Così presso a Castelbolognese vedeasene uno assai bello, all'erezione del quale concorsero i comuni di Castelbolognese, Solarolo, Riolo e Bagnerà; ed un altro sorgevano presso a Monteleone nella provincia del Patrimonio di S. Pietro, dovuto ai comuni di Monteleone, Montegabbione e Montegiove.

E con mille altri ornamenti quelle buone popolazioni accoglievano il loro Padre e Sovrano, A Nepi, a mo' d'esempio, tutta la via che dal palazzo vescovile mena a quello del Municipio era con bella uniformità adorna di drappi bianchi e gialli. A Narni quella porzione di strada corriera che dalla porta raggiunge la piazza maggiore erasi dall'un lato e dall'altro adornata di spalliere di piante semprevivo, intramezzate a quando a quando da vasi che conteneano ora una pianta, ora una ciocca di fiori rari ed olezzanti. Poi dal lato che sovrasta al fiume Nera, aprivasi un largo piazzale tutto messo

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a foggia di vaghissimo giardino, e nel centro una fonte di acqua perenne di novella elegante costruzione, sormontata dallo stemma pontificio. A Marano, là dove il torrente Sant'Ecidio taglia a mezzo là. strada, ed ha principio la porzione abitata, eransi erette due ben intese goglie ricoperte di semprevivi, sulle quali sventolavano le bandiere pontificie. Da questi obelischi partivano due fughe di archi di mirto che tutta correvano la via quanto era lunga, e nel mezzo sotto ciascuno la sua colonnetta troncata che sosteneva un bel vaso di agrumi; il suolo poi tutto quanto era tappezzato di erbe odorifere e di vaghi fiorellini.

A Rimini il ponte sull'Aprusa che precede il maestoso arco di Augusto, era stato ricoperto con un magnifico padiglione di preziosi drappi, adorno nello interno di statue allegoriche e di epigrafi. La strada maestra era da entrambi i lati ornata di drappi di varii colori bellamente intrecciati quasi a maniera di festoni, i quali a certe determinate distanze erano accomandati a colonne che finivano in un bel vaso di fiori. Simili addobbi vedeansi nelle Strade Gambalunga e del Vescovado, le quali di più erano ornate io varii punti da maestosi archi, lavoro di prospettiva, e rilevate a quando a quando da epigrafi dettate per quella occorrenza.

A Sant'Arcangelo sulla sommità dell'arco di Clemente XIV, che fu nativo di quel castello, sventolava la bandiera pontificia; e poc'oltre all'arco stesso cominciavano due spalliere di ben intrecciate piante, le quali aggirandosi intorno ai vasi di limoni e di cedri a certo distanze disposti, davano di sé bellissima vista.

A Cesena il prospetto della porta Romana erasi elegantemente adornato per cura degli impiegati de' dazii di consumo; ed il nobile portico dello spedale degli sparii, che è tra precipui ornamenti di quella città, era tutto parato a festa con gusto e maestà non ordinaria. A Forlimpopoli le strade eransi con arazzi e festoni abbellite, per guisa da presentare l'aspetto di una continuata galleria.

A Ford, dopo il lungo viale dei pioppi, all'uscire del magnifico arco, sulla piazza di forma elittica che è all'ingresso della città, offerivasi in vago aspetto la elegante Barriera Pia, e dopo essa l'ampia e diretta via del Corso; precipuo ornamento della quale era un lungo ordine di trofei intrecciati a rami di quercia e di alloro, che da ambi i lati fiancheggiandola, raggiungevano dall'arco sino alla piazza della cattedrale, e da questa giù per via delle Torri estendendosi, pervenivano a piazza Maggiore. A Pieve nel Centese le vie erano adorne dr pensili festoni; a Medicina erano a gran pompa abbellite di drappi di varii colori e di vasi di fiori: a Lugo la via dei Brozzi era messa tutta a serici festoni, e la via di Codalunga ornata pur essa a festoni ad arcate a serici veli disposti con maravigliosa eleganza: a Massalombarda similmente festoni di veli e drappi di svariati colori, e sulla piazza maggiore una eletta di piante peregrino con ammirabile magistero distribuite: a Bagnacavallo obelischi, statue, vasi di agrumi e di fiori con gusto ed armonia avvicendati: da ultimo a Città della Pieve due spalliere di verdeggianti archi sostenenti vasi di fiori, ornate da lampioncini e nennoncelli di varie fogge, spiccavansi dall'arco gotico all'ingresso, e correndo ai due lati di quella non breve strada, andavano a terminare al duomo. Per le vie inattamente ornate, in mezzo agli evviva dei popoli ebbri di gioia, procedeva più a maniera di trionfante

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che di viaggiatore l'augusto Pontefice, ed i suoi primi passi erano diretti ali» cattedrale od al maggior tempio di ciascuna città a fine di adorar quivi quel Signore per cui i re regnano, e dal quale egli tiene la pienezza della podestà sacerdotale. In sul primo limitare del tempio santo trovavansi pronti ad accoglierlo dall'un lato i Pastori delle rispettive Chiese; ai quali facerano corona, ora i Vescovi suffraganei, ora i Prelati di altre Chiese, convenuti talvolta da luoghi assai lontani, sempre i Capitoli, l'uno e l'altro Clero e le confraternite laicali nei sacri indumenti dei rispettivi loro gradi; e dall'altro i Presidi delle province e le Autorità tutte civili e militari.

L'interno poi di quelle maestose basiliche era sfarzosamente parato a festa, e le città gareggiavano con nobile emulazione tra loro, qual facesse pompa di cortinaggi più ricchi, di suppellettile pio preziosa, di doppieri e di cerei in maggior copia e meglio disposti. Né solo le maggiori città, ma le pili piccole ancora ed f borghi e le povere terricciole avevano in ciò superato se stesse; tanto che il Papa e la nobile sua corte, usati come e' sono allo splendore delle romane basiliche, non poterono a meno di lodare talvolta e la ricchezza e l'eleganza di quegli ornamenti, di alcuni di questi templi (fra' quali sono da annoverare Quelli di Nepi, di Terni, di Spoleto, di Tolentino, di Fermo, di Ascoli, di Pesaro, d'Imola, di Cento, di Orvieto e di Viterbo), al primo porvi il piede il Pontefice, intonossi da eletto coro di musici il versetto Tu et Petrus, ovvero l'altro Ecce Sacerdos Magnus. Anzi a Tolentino il motto Tu es Petrvs sfolgoreggiava descritto a grandi caratteri trasparenti sotto un ricco padiglione di broccati e di refi, posto afta sommità della cappella maggiore, ed a Città della Pieve eransi con ammirabile maestria disposti i, cerei per tal guisa, che accesi in un subito al primo apparir del Pontefice nel tempio, facessero risplendere descritte a tratti di riva luce, quelle memorabili parole del Salvatore al Vicario suo.

Giunto il sommo Pontefice a pie dell'ara, sulla quala per lo più era già esposto il Sacramento del Corpo di Cristo, trattenevasi quivi in atteggiamento umilissimo e tutto spirante pietà ad adorarlo, ed a pregar da lui grazie su quella porzione del suo gregge; poi riceveva con tutti gli astanti la benedizione eucaristica, compartita quasi sempre da un Vescovo o, dove questo non fosse, da un dei più degni del Capitolo.

Pagato così all'Onnipotente il suo tributo di omaggio ed invocata sulla sua visita la benedizione dell'Altissimo, moveva il Sommo Pontefice agli appartamenti destinati a sua residenza. Erano questi in pressoché tutti i luoghi apprestati nel palazzo episcopale, se ne eccettui alcune poche città, nelle quali per circostanze speciali fu preferita altra dimora. A Macerata a mó d'esempio e a Loreto e Forlì ed a Pesaro egli soggiornò nei suoi Palazzi Apostolici; ad Assisi e a Tolentino onorò di sua residenza i sacri cenobii de' frati Minori e dei Roimitani di Sant'Agostino; a Lugo, a Massalombarda, a Ronciglione, ed a Bagnacavallo nel suo primo passaggio, ristette nel palazzo municipale; ed a Cento prescelse il palazzo del nobil uomo signor marchese Michele Rusconi, illustre già pel consimile onore, del quale il Pontefice Pio VI degnollo nella sua andata a Vienna.

Questi appartamenti poi eransi apparecchiati dai Vescovi, dai Municipii o dai nobili proprietarii nella più splendida guisa: le scale, i portici, le sale rinnovate e riabbellite:

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decorati gl'interni penetrali di superbi cortinaggi di ricchi tappeti: rifornito il tutto di nuova e preziosa suppellettile; insomma ogni disposta per modo che riuscissero in quanto far si potesse non al tutto indegni di accogliere ad ospizio un personaggio sì augusto.

Se alcuno peraltro immaginasse che il Pontefice nell'entrare in quegli appartamenti andasse a cercarvi riposo o ristoro, sarebbe ben lontano dalla verità. Il suo primo pensiero, com'egli giungeva colà, era satisfare alle lunghe brame delle divote moltitudini di ricever da lui l'apostolica benedizione; quindi egli sedeva le lunghe ore nella sala a ciò predisposta, ammettendo al bacio del piede quanti erano desiderosi di sperimentar quel conforto che si prova in prestare un atto solenne di ossequio a Cristo nel suo Vicario; e finalmente il residuo del tempo consecrava alle udienze ad agli affari.

E quelle buone popolazioni sospiravano ardentemente una graziai dal Papa-Re, quella di baciargli il piede. Per quanto però Sua Santità si sforzasse di far copia di se ad ognuno, por quanto moltissimi fossero i privilegiati di questo favore, non v'ha dubbio alcuno che assai più furono quelli che ne rimasero privi. Egli h però maraviglioso ad udire come essi procuravano ricattarsi di questa perdita. Imperocché quando il Pontefice trascorreva a piedi da un luogo all'altro (ed era di frequente), molti irrompevano risoluti tra le file di quei che lo circondavano, e prostrati a1 suoi piedi, così in sul passaggio glie li baciavano: altri coll'importunità loro ottenevano in luogo de' piedi baciargli le mani, altri finalmente, e furono i più, mentre egli passava in mezzo alle folle, afferravangli i lembi della sottana, le fimbrie del rocchetto, della stola, della mozzetta ed imprimevano sopra di esse devotissimi baci.

Anzi in più luoghi, come a Civita Castellana, a Pistoia, a Firenze ed altrove si vide cosa, che a noi, anche sol letta dappoi nei giornali o riferitaci dagli amici, espresse dagli occhi le lacrime per altissimo senso di commozione. Conciossiaché, partito il Pontefice e spalancate le porte degli appartamenti ch'egli avea abitali, o lasciato libero il passo al padiglione od al soglio, innalzato, come dianzi dicevamo, all'aperto; vedeansi quelli letteralmente innondati dalle semplici e povere genti, e questi presi quasi di assalto; e mentre i curiosi occupavansi in mirare lo splendore degli addobbi, la ricchezza degli ornamenti ed in criticarne o lodarne lo stile; ed essi a stampar baci riverenti sui gradi del trono, sullo scabello e su tutti gli oggetti che potean supporre santificati dal contatto del Sommo Sacerdote di Dio.

Sul far poi della sera, allo splendore del sole, che già declinava all'occaso, cominciava gradualmente a succedere la luce di mille fìammelle: sinché vedeansi le città ed i borghi inondati in un mare di luce. Queste allegrezze poi erano effetto spontaneo della pietà di tutti e singoli i cittadini, e così universali, che avresti penato a trovare la pia piccola casa, il pili abbietto e vile tugurio, sulla cui finestra non splendesse almeno una coppia di povere facelle. L'illuminazione generale di tutte le private abitazioni venia a quando a quando rilevata da certi punti pili risplendenti ed erano alcuni dei pubblici edificii e dei privali palagi signorili, i quali a maggior copia di lumi aggiungevano per lo più vaghezza di disegno e splendidezza di materia o di apparato.

Queste e cento altre dimostrazioni di affetto diedero i popoli al Papa-Re.

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E che non fece Pio IX pei suoi popoli? Durante il suo viaggio egli pensò e provvide all'educazione, visitò gli ospedali, consolò e sovvenne agli infermi, protesse le scienze e le arti, promosse le industrie e il commercio, ed abbracciò moltissimi provvedimenti a pubblica utilità, il cuore beneficentissimo di Pio IX, fin dagli esordii del suo pontificato, in tutti i suoi Stati sembrò presente per sentire i mali dei figliuoli suoi ed a tutto potere alleviarli. Quindi ovunque egli andasse incontrava spessi monumenti di sua munificenza e di sua larghezza, o già compiuti, o in parte sol cominciati. Fra questi ultimi non ci sembrano da tralasciare l'Ospizio dei cronici di Senigallia tutto intero suo dono e dono splendidissimo, ed il Conservatorio di S. Anna in Perugia, che sorto sotto i suoi auspizii e privilegiato da lui di sua immediata protezione ottenne al tempo della visita 500 scudi a porsi in assetto pel presto aprimento.

Ma a parlare di quelle beneficenze che furono al tutto dovute a questo viaggio, a Porto di Recanati contribuì 300 scudi per la fondazione di una cassa di soccorso in favore dei poveri navicellai che quivi abbondano, a Senigallia annuì alla costruzione di un nuovo ufficio sanitario, ed a Comacchio mandò donare 1000 scudi per l'escavazione di un pozzo artesiano, il quale provvegga quella città di perenne acqua potabile.

Moltissime poi furono le opere di pubblica beneficenza, le quali Pio IX, al vederne o solo anphe intenderne le strettezze, sovvenne del proprio. Vero è che egli, Vicario di Gesti Cristo, ricordevole di quel divino precetto, che la sinistra ignori in tali bisogne ciò che adopra la destra, non volle che di queste e di altre sue private elemosine si tenesse da' suoi accurato ragguaglio. Diremo dunque solo in generale, che non vi fu forse città, la quale non gli porgesse occasione a una qualche larghezza di simil fatta, e che non poche gliene porser parecchie; in particolare poi di quelle che giunsero a nostra notizia, ricorderemo come egli cedesse agl'Istituti Benedetti e Moretti di Bologna un eletto povero di preziosi presenti che erano stati umiliati a' suoi piedi, e come sovvenisse di sussidii assai ragguardevoli l'Istituto dei sordimuti e la Casa del buon Pastore pur di Bologna, l'Istituto di carità per le povere fanciulle di Ancona, gli Orfanotrofii di Lugo e di Faenza, il Ricovero delle povere fanciulle di Ravenna, e gli Ospedali di Nepi, di Urbania, di Castelbolognese, di S. Giovanni in Persiceto e di Orvieto.

Che peraltro lo Stato ecclesiastico fornito come è a dovizia d'istituzioni ordinate a sollievo dell'indigenza, non abbisognasse gran fatto di provvedimenti in tal genere, niuno v'ha per avventura, il quale sia inclinato a negarlo. Forse il commercio e le industrie ne richiedevano di maggiori e più importanti che noi già ci accingiamo a narrare. Ad Ancona ed a Civitavecchia stanziò il Pontefice che si costruisse a'spese del Governo una nuova cinta di mura, la quale coll'ampliare il circuito di quei grandi emporii dell'Adriatico e del Mediterraneo, ne estendesse eziandio le franchigie. Di piti ad Ancona concesse per dodici anni 4000 scudi annuali da adoperarsi nell'ampliamento dell'arsenale: a Senigallia decretò il restauro del porto canale conforme alla relazione ed al parere da proporsi dal signore ingegnere Brighenti; a Ravenna concesse scudi 4000 per alcuni importantissimi miglioramenti nel porto Corsini; ed a Pesaro pose la prima pietra del nuovo porto, ed assicurò in sul partire quella città, che per tale atto solenne il porto poter tenersi in conto di già fatto.

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Favoriti così nei posti marittimi gl'interessi altresì delle città mediterranee, applicò l'animo a vie meglio sicurare gli altri coll'agevolare le comunicazioni in fra loro. A Macerata pertanto decretò colla spesa di 6000 scudi il deviamento desideratissimo della strada postale, al punto detto Sforza coste. Con somma non lieve tratta dai suoi fondi privati si compiacque concorrere alla pronta costruzione di una via pia comoda tra Visso e Camerino. Ad Ascoli per un ponte sul Lama necessario al compimento della via provinciale Salaria inferiore annuì la somma di scudi 1000, altrettanti ne concesse ad Urbino per la via provinciale Urbaniense, ed a Bologna 5000 per ampliare la via urbana di Galliera che con Ferrara la congiunge. A questo studio di agevolare le comunicazioni fra città e città e per esse il. commercio, appartengono pure le concessioni dei telegrafi elettrici. Il Pontefice durante il viaggio concesse due nuove linee alle città di Bologna e di Perugia, e accomodò di stazioni ossia uffizii speciali Spoleto, Terni, Urbino, Forlì, Ravenna, e sotto alcune condizioni ancor Senigallia.

Né le industrie, le arti e le scienze furono da lui favorite meno liberalmente. Per nulla dire delle somme erogate al ristoramento ed all'abbellimento dei templi (di cui le sole annoverate sopra da noi montano a ben 80,000 scudi}, le quali tutte passavano in mano degli artisti o degli artieri; a Perugia per opere di belle arti furono assegnati scudi 3300, Ad Ancona si die promessa che f esportazione del legname atto alla costruzione dei navigli verrebbe quinci innanzi proibita; e costruendosi quivi allora una grossa nave di 1500. tonnellate, si pose un vistoso premio ai fabbricatori. A Ferrara poi essendosi due mesi dianzi cominciati per volontà del Pontefice dei lavori di prosciugamento, desiderati per oltre ad un secolo da quei cittadini e profittevolissimi non meno all'agricoltura che alla sanità pubblica, al sopragiungervi egli, non solo ebbe il contento di vedere e di benedire due piani estesissimi già disseccati; ma diededi pia ordini e direzioni opportunissime pel proseguimento dell'opera, e con esse stanziò la somma di scudi 9000 pel prosciugamento del canale Pamfilio. A Ravenna a fine di mantener viva la coltivazione della canapa, della quale si fa profittevole commercio col di fuori, diminuì di un quarto il dazio di estrazione. Da ultimo a Bologna donò al Museo dell'Archiginnasio sopra centocinquanta medaglie antiche di grandissimo pregio; rifornì il gabinetto di Fisica dell'Università di due macchine, opportunissime alle esperienze; compì la serie dei conii pontificii del Museo numismatico coll'aggiungerle oltre a sessanta medaglie di cui mancava; e finalmente arricchì la pubblica Biblioteca di quel tesoro di libri orientali che appartennero già all'illustre Mezzofanti, del qual dono non so se potesse immaginarsene altro o più splendido, o più utile, o più desiderato e caro.

Di questa fatta erano i provvedimenti che dall'amore del Pontefice le popolazioni si promettevano durante il viaggio; né credo che ad alcuna loro ragionevole speranza egli venisse meno. Poiché sé parlisi di quelle riforme di amministrazione, dagli interessati calunniatori gridate necessarie, posto che alcune ve ne fossero possibili a concedersi da un Sovrano cristiano e da un Pontefice; dicanci per vita loro, era egli possibile nella rapidità di un viaggio, recarvi quella maturità che pur si ricerca in deliberazioni di tanto momento?

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Chi vi ha il quale non sappia che nel meccanismo sociale Io spostar di una ruota torna spesse al dover mutare le altre tutte? Eppure se siam sinceri dovrem confessare, che in questo come in ogni altra cosa, eziandio durante il viaggio, il Pontefice die prove non dubbie di volere efficacemente il bene de' sudditi suoi. Imperocché se sia quistione del buono andamento dell'amministrazione io generale, a questo ordinavansi quei 3000 scudi ch'egli assegnò qual supplemento di soldo a varii ufficiali governativi; se trattisi della incolpata amministrazione della giustizia in particolare, a questa eran dirette le riforme praticate nei tribunali di Macerata; sé si parli dello zelo pei buoni studii, di questo eran frutto gli splendidi doni già ricordati agl'istituti di educazione, e le promesse fatte, nell'Università di Bologna seguite poi tosto da una porzione dei loro effetto quasi arra del rimanente; se si ragioni di gravezze da alleggerire, in questa classe appunto vogliono riporsi, ed il dazio sulla canapa come dianzi dicemmo diminuito a Ravenna, ed i porti franchi slargati a Civitavecchia e ad Ancona, e la promessa fatta a quest'ultima di svincolare il commercio da certe discipline doganali che soverchiamente ne inceppavano la libera azione, e da ultimo la parola data a Città della Pieve di sgravarla dei pesi che sostenea per la corrispondenza postale; se finalmente si disputi intorno a ragioni di semplice comodo o di abbellimento ed ornamento desiderevole delle città e delle terre, tali appunto noi addimandìamo ed il traslocamento del carcere di Perugia dal palazzo delegatizio ad altro pia convenevole luogo con la spesa di nove in diecimila scudi, ed indirizzamento della via nazionale Emilia da Imola a S; Maria del Piratello, e non pochi pubblici lavori decretati a Bologna: per non dir nulla di tanto altre cose che o non furono allora registrate o di soverchio allungherebbono il nostro racconto. Del resto i benefizii da noi annoverati, di numero tanti, e di qualità sì saggi, sì vantaggiosi, sì splendidi, erano arra più che bastevole di ogni migliore provvedimento da statuirsi in appresso.

Se non che beati i popoli, i quali forniti dalla pietà subalpina di provveditori, se manco paterni, al certo più saggi, non hanno più a sospirare i provvedimenti del Pontefice 1 Alle visite pontificie altre ne tenner dietro apportatrici di vita novella. Dopo tre anni di promesse magnifiche, a prezzo del sangue non meno dei pacifici cittadini che dei prodi guerrieri, i rigeneratori d'Italia son giunti. Hanno recato le loro libere istituzioni, hanno abolito gl'ingiusti balzelli; ed ora i popoli a che penserebbon del Papa? In pochi mesi han già tutto ottenuto. La religione e il buon costume trionfa, sbandeggiati o posti in ceppi i Pastori; regna la prosperità, piovendo sui popoli pontificii tutta l'abbondanza delle imposte e dei debiti; domina la pace, correndo gli eserciti armati da un capo all'altro il paese.

V.

DEL QUARTO VIAGGIO DI PIO IX NEL 1868

Fin dal 1860 la rivoluzione avea promesso d'essere a Roma fra sei mesi. Invece nel maggio del 1863 stava ancora in Roma, per segnalato prodigio, il Papa-Re e visitava quelle poche città che i rivoluzionari non gli aveano potuto togliere.

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L'11 maggio Pio IX lasciava la sua apostolica residenza del Vaticano. Presso la stazione centrale delle vie ferrate romane, nobilmente adorna con istemmi e bandiere pontificie, e sulla piazza di Termini, erasi accolta una straordinaria moltitudine di popolo, per rendere all'ottimo Padre e Sovrano od nuovo tributo di devozione e di ossequio, augurandogli con alte grida felice il viaggio, e pregandolo di presto ritorno. Erano le sei e mezzo quando Sua San. liti pervenne alla stazione di Velletri, ohe offriva il più bello e sorprendente spettacolo che possa immaginarsi. Dal rispianato in coi essa è posta, fino all'aliena ove sorge la città, que' cerchi del colle, disposti a forma di natural e sterminato anfiteatro, rigurgitavano di un popolo affollatissimo, che con acclamazioni e con segni di esultanza vivissima salutò l'arrivo del suo Pontefice e Re. Dopo breve fermata nelle sale della stazione, ricevuti gli omaggi delle autorità ecclesiastiche e civili, e della Magistrato di Velletri, il Santo Padre in carrozza, e fra splendido corteggio di ufficiali francesi e pontificii, salì l'erta del colle, ed andò adorare il Santissimo Sacramento nella Basilica Cattedrale di san Clemente.

L'aspetto della città non potea desiderarsi né più elegante, né più decoroso per copia e buon gusto di ornamenti. Ovunque epigrafi, e pitture e stemmi, colonne e festoni di mirto e d'alloro, e trofei e bandiere, onde era superbamente abbellita la via, e sopra tutto la piazza che sta fra il palazzo del Comune e quello della Legazione. Il Santo Padre prese stanza nel primo di questi, che per la sua struttura è assai magnifico, e nella gran sala dì esso, detta delle lapidi, ammise al bacio dei piede i personaggi che aveano avuto l'onore di riceverlo alla stazione, e poi le Deputazioni dei Comuni di Terracina, Sozze, Lognano, Valmontone e Cisterna. Quindi, fattasi alla loggia, regalmente parata, imparò al popolo l'apostolica benedizione. Salita poi negli appartamenti dell'E.mo Cardinal Vescovo, accolse il Clero secolare e regolare, i cittadini pio. cospicui e le signore della città. La quale sll'annottars splendette di generale luminaria; e la lunga via a Porta napoletana da Porta romana, sopra coloro vestite di mirto e congiunte da festoni, avea intrecci bellissimi di faci e lampioni. Un vago e ricchissimo fuoco d'artificio chiose lo feste di questa sera.

Ciò che abbiam qui accennalo dei sontuosi e vaghi apparati, con cui la città di Velletri si abbellì per rendere omaggio al Santo Padre che degnavasi visitarla, dovremmo a un dipresso ripetere per tutti gli altri luoghi che furono onorati di sua augusta presenza, e rivaleggiarono tra loro in colali pubbliche dimostrazioni di devozione e d'affetto. Laonde basti sopra ciò il fio qui toccato, poiché ci tornerebbe impossibile, nel breve giro delle nostre Memorie, il ricordare per singola le cose fatte in Frosinone, in Verdi, in Alatri, a Ceprano, in Ferentino, ad Anagni; di che si possono vedere le fedeli descrizioni fatto nel Giornale di Roma, e riferite da più altri diarii d'Italia.

Nel giorno seguente, 12 maggio, il Santo Padre si reco a visitare la Badia dei SS. Pietro a Stefano di Valvisciolo posta in quei di Sermoneta, diocesi di Terracina. Codesta Badia levasi sopra un poggetto al ridosso dei monti Lepini,luogo ermo e solingo, attissimo alla stanza degli Asceti greci, che nel settimo secolo vi ebbero un loro monastero. Divenne poi maniero dei Templari, quindi Badia de' Cistercensi della stretta osservanza, fino alle rivolture che mandarono sossopra

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ogni cosa sul finire del secolo scorso. D'allora in qua rimase quel sito in abbandono e poco meno che in oblio, finché il suo signore, D. Filippo Gaetani dei Duchi di Sermoneta, offerselo in dono al Sommo Pontefice; il quale vedendo potersene trarre vantaggio per quelle popolazioni, fece restaurare la Chiesa e il Chiostro, tornando la Badia tutta in condizione di essere spiritualmente e temporalmente proficua agli abitatori delle terre circostanti.

In sulle ore otto antimeridiane di questo giorno adunque Sua Santità parti da Velletri, e per l'Appia nuova passò a Cisterna, ov'ebbe accoglienze festosissime da quel popolo, che con archi di mortella e festoni e bandiere e ghirlande e fontane ed obelischi avea addobbato a meraviglia le vie e la piazza del luogo. Sua Santità vi adorò il Santissimo, benedisse al popolo; e rimessosi in via, tra i plausi degli abitanti di Norma e Sermoneta, scesi sulla via nuova fatta aprire dal Santo Padre, cui aveano adorna d'archi di trionfo, giunse a Val: viscido, orò nella Chiesa, benedisse dalla loggia superiore alla moltitudine tragrande di popolo che era accorsa d'ogni intorno; ammise poscia alla sua mensa, oltre alla Corte pontifìcia, una scelta di personaggi cospicui; quindi si ripartì, dopo aver donato alla Chiesa copiosi e ricchi arredi sacri pei divino culto. Tornato il Santo Padre, in sulle sette ore pomeridiane a Velletri, venne rinnovata la luminaria e il fuoco d'artifizio, con gran festa degli abitanti.

Dopo le ore 9 della mattina vegnente, mercoledì 13 maggio, Sua Santità partì sulla via ferrata da Velletri per Frosinone; e fece varie fermate sotto ricchi e nobili padiglioni, ond'erano ornate le stazioni intermedie, per far paghi della benedizione apostolica i popoli, i cleri e le magistrature di Valmontone, di Palestrina, di Monte Porzio, di Segni, d'Anagni, di Sgurgola, di Ferenttno, accorsi con meraviglioso tripudio a festeggiare l'amatissimo Pio IX; sì che per tutta quella via, messa a vessilli, ad emblemi, a ghirlande di fiori e fronde, fu un continuo trionfo, alternandosi ognora le armonie de' concerti musicali de' varii paesi con le altissime grida di viva il Papa-Re, viva la Religione, viva il nostro Santo Padre e Sovrano.

Giunto a Frosinone in sul mezzo giorno, il Santo Padre dapprima benedisse al popolo, poi ricevette gli omaggi del Clero, dei Magistrati, delle Deputazioni della Provincia e de' Capi delle milizie francesi e pontificie, cui ammise al bacio del piede. Poco dopo le cinque ore pomeridiane uscì a piedi, e fra il popolo che d'ogni parte facea calca pel baciarne almeno le vesti, essendo la via tutta adorna di bandiere, d'arazzi e seterie, e si condusse alla Chiesa Collegiata di Santa Maria, ed assistette alla benedizione data col Santissimo Sacramento, mandandovi poi in dono una stupenda pianeta di broccato in oro. Quindi fu a visitare le Oblate Agostiniane, intese alla educazione delle giovanotte ed orfane; a cui lasciò un generoso sussidio. Fu notato con molta compiacenza il contegno delle milizie francesi, che gareggiavano co' paesani in dimostrazioni di entusiasmo pel Santo Padre, ed eressero innanzi a' loro quartieri un bell'arco trionfale di mirto e fiori. Ogni qualvolta, Sua Santità ebbe quindi a muovere ?erso qualche luogo un po' distante, (il corteggio fu preceduto da usseri francesi che portavano spiegato il loro vessillo nazionale, e teneansi ai fianchi d'un, gendarme pontificio, che recava la bandiera di Santa Chiesa; ed ebbero l'onore di cavalcare

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allo sportello della carrozza di Sua Santità i comandanti della milizia francese, alternandosi a servirla di scorta gli usseri francesi ed i dragoni pontificii con la Guardia nobile. In tutte le sere che Sua Santità passò a Frosinone, fu vaghissimo lo spettacolo della luminaria generale della città, a cui rispondeano le centinaia di fuochi accesi sulle vette de' colli circostanti, per quanto, stendesì la provincia di Campagna, onde si vedeano a gran distanza risplendere Veroli, Oceano, Giuliano, Patrica, Bauco, Castro, Torrice, Segni e molti altri luoghi. Ma sopra tutti spiccava una scoscesa ed altissima rupe, detta Cacume, che coronata d'una cerchia di gran fuochi, mandava sino all'estremo orizzonte l'annunzio della mirabile festa, che la presenza del Santo Padre ave» recata in tutta quella provincia.

Nel giorno 44, per la solennità dell'Ascensione di Nostro Signóre, ebbesi in Frosinone, all'ora una pomeridiana, il più stupendo spettacolo che vi si potesse vedere, quando il Santo Padre diede alla sterminata moltitudine de' popoli, accorsi colà d'ogni intorno, la solenne benedizione, in quella forma che si suole in Roma dalla loggia della Basilica Lateranense. Alle cinque e mezzo pomeridiane Sua Santità usci poi a piede, e fu a venerare l'effigie della Beata Vergine detta della neve, posta in un Santuario alla falda del monte sopra cui sorge Frosinone; il qual Santuario è in custodia, de' PP. Agostiniani Scalzi, che vi hanno lor noviziato. Il Santo Padre, assistito alla benedizione del Venerabile, ed orato innanzi alla Vergine, salì alla camera, oggi mutata in cappella, in cui dimorò Benedetto XIII, quando nel 1727 fu a Frosinone per questa stessa solennità e dal balcone di essa, volto alla piazza, benedisse la gran moltitudine di popolo, dopo aver ammesso al bacio del piede la religiosa famiglia e più altre cospicue persone. Quindi tornò a' Frosinone.

La mattina del dì 15 il Santo Padre, coll'usato corteggio si condusse per Veroli alla badia di Casamari, dove giunse sul mezzodì. Eravi accorsa una gran folla da città di Monte San Giovanni, da Bauco, da Seifelli e da altre terre vicine. Dopo orato in Chiesa, ed offerta in dono una ricca pianeta di broccato; Sua Santità benedisse al popolo dalla gran loggia che somala all'ingresso delta foresteria, accettò un rinfresco, al quale partecipò il suo corteggio, quindi riprese la via di Veroli, e vi pervenne poco dopo il tocco. A dire partitamente delle accoglienze splendidissime che gli furono fatte da quella città, dovremmo spendere più pagine, tanto fu l'ardore con cui gli abitanti di essa adoperaroosi, perché niuno potesse andar loro innanzi nel vanto di mostrargli amantissimi figliuoli e fedeli sudditi. La magnificenza dell'ornato per le vie era a gran pezza superata dall'entusiasmo del popolo, sicché fu profondissima la commozione destata in quanti poterono assistere a quella meravigliosa manifestazione de' più squisiti sensi, che un popolo cristiano abbia a nutrire versò il Vicario di Gesù Cristo.

Il Santo Padre fa ad orare prima nella Cattedrale, poi nella Basilica in cui conservasi la tomba di santa Maria Salome, ove lasciò in dono una ricchissima pianeta a ricamo d'oro, ed un calice prezioso. Si riposò alquanto all'Episcopio, dove sedette a mensa; quindi visitò il Monastero delle Benedettine, trovandovi accolte, oltre le Suore Carmelitane di Bauco che aveano impetrato la grazia di potervisi recare, onde inginocchiarsi una volta a' piedi del Vicario di Gesti Cristo anche le Suore

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di san Giuseppe che danno opera all'educazione delle fanciulle. Lasciato quindi un pegno delta sua carità verso i poteri del luogo, Sua Santità ripartì verso Frosinone.

La mattina del giorno 16, dopo date alcune udienze, il Santo Padre si mette alla volta di Alatri, che diede in quel giorno tal mostra di se, da meritare le benedizioni di Dio e l'ammirazione degli uomini. La fede vivissima, onde son nudriti gli animi di que' cittadini, fu ingegnosissima nel trovare modi varii per esprimere quanto pregiassero la grazia di accogliere tra le loro mura il Supremo Gerarca, che ebbe a mostrarsene intenerito e commosso fino alle lagrime. Stipavansi per le vie § sulle piane vagamente adorne, oltre a quei della città, gli abitanti di Guarcino, di Vico, di Torre, di Trevigiano, di Collepardo, di Frosinone, e di molti altri luoghi del contado; sì che appena potessi aprire il varco al corteggio: le acclamazioni incessanti, altissime e piene d'affetto de' cittadini, tutti con bandiere o coccarde pontificie o con rami d'olivo in mano, risonavano fin nelle valli circostanti. Sua Santità assistette nella Cattedrale alla benedizione col Venerabile; poi dalla loggia sovrastante alla fronte della Chiesa impartì la solenne benedizione al popolo. Quale empito di entusiasmo seguisse a quell'atta noi non ci proveremo a descrivere, perché le parole non adeguerebbero a gran pezza la realtà del fatto. Il Beatissimo Padre passo quindi all'Episcopio, e vi ammise al bacio del piede il Capitolo, il Seminario, la Magistratura municipale e parecchie Deputazioni de' luoghi vicini, ed ì membri di varii Ordini religiosi che hanno quivi loro stanza. Accettato poscia un rinfresco, passò, a piedi, al palazzo municipale, donde ribenedisse il po polo; visitò il Collegio Calasanzio dei Padri delle Scuole Pie, ed il vicino monistero delle Benedittine, in cui erano pure adunate le Clarisse che in Alatri educano le fanciulle, e le Suore della Misericordia che servono nel civico spedale, e le Suore del Prezioso Sangue che tengono scuole in Vico, in Fumone ed in Collepardo. Lasciato poscia in dono alla Cattedrale un calice, prezioso per materia e per isquisito lavorio, ed un largo sussidio di limosina a' poveri, il Santo Padre riparti per Frosinone, dove giunse alle ore due e mezzo pomeridiane.

Nella mattina della domenica i maggio Sua Beatitudine diede udienza alle Magistrature di Arcigni, Ceccano, Guercino, Monte San Giovanni, Pattano ed Acuto, Anticolì, Arnara, Bauco, Maenza, Prossedi, Roccagorga, Santo Stefano, Supino, Strangolagalli e Trivigliano, come nel di precedente avea ricevute quelle di Ripi e Torrice. Ammise pure alla sua presenza la Commissione per la rettificazione del Catasto, e varii altri personaggi italiani e stranieri. Nel pomeriggio visitò una fattoria che appellasi Ticchiena, posta alle ime pendici dei monti lupini, a cinque miglia da Frosinone, ed appartenente alla Certosa di Trisulti. Vi trovò gran folla di popolo che, al primo sentore avutone la mattine, vi era accorso da' luoghi vicini, per rinnovare le affettuose e lietissime dimostrazioni fatte già in Vendi ed Alatri. Ammessi al bacio di piede alcuni monaci venuti per ciò da Trìsultì, ed il municipio di Alatri, il Santo Padre dopo breve fermata fece ritorno a Frosinone, che in quella sera superò se stessa nel festeggiare il suo ottimo e munificentissimo Sovrano.

Nel giorno 18 di maggio toccò a Coprano la ventura di ricevere la visita del Santo Padre, e lungo la via provinciale da Frosinone a quella città si vide rinnovato

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quel mirabile spettacolo, che accennammo aver cangiato in marcia trionfale il passaggio di Sua Santità da Velletri a Frosinone. Ceprano tra tutta ornata con magnificenza grandissima, e fra una continuata pioggia di fiorì il pontificio corteggio pervenne alla Chiesa Collegiata, dedicata alla SS. Vergine e riccamente addobbata, dove il Santo Padre assistette alla benedizione data dal Vescovo diocesano. Passò quindi al palano principale dei Marchesi Ferrari, dove avea stabilito di trattenersi, e fu ricevuto dall'Ecc.mo monsignore Giuseppe Ferrari, tesoriere della Rev. Camera Apostolica, ministro delle finanze, e dagli altri membri di quella illustre famiglia. Dalla loggia per ciò apprestati benedisse al popolo; quindi ammise al bado del piede tutte le persone della Ecc.ma famiglia, presso la quale degnavasi di essere ricevuta ed ospitata; pel il Capitolo, la Magistratura, e le autorità civili e militari, con molti altri cospicui personaggi. Tra questi nota vasi il Generale di Divisione delle milizie francesi, signor Dumont, con alcuni suoi ufficiali. Visitò quindi il giardino del palazzo, d'onde ebbe a vedere il ponte sul Liri, e a piedi n'andò alla chiesa parrocchiale di San Rocco e fino al Borgo, sempre accompagnato da festose orazioni del popolo tripudiante.

Dopo il pranzo Sua Santità tornò ad orare nella Chiesa Collegiata; e fasciato largo soccorso da distribuire fra i poveri, alle cinque e mezzo pomeridiane ripartì alla volta di Frosinone, che l'accolse con luminaria anche pia splendida del solito. Ivi Sua Santità passò l'intero giorno 10, spendendo la mattina in udienze date a Deputazioni e Municipi! De' luoghi già visitati, o d'altri che non poterono aver quest'onore. Qui noteremo che, avendo Sua Santità assegnati scudi mille di suo privalo peculio per ristaurare il Monte di Pietà di Veroli, il Capitolo ed il Patriziato di questa città supplicarono, in attestato di loro gratitudine, che si degnasse d'accettare una Teca d'argento, tempestata di gemme, in cui è chiusa una reliquia di santa Maria Salome. Il qual esempio Venne imitato da più altri Comuni; alcuni de' quali, vollero in altra forma testificare il gaudio per la ricevuta visita, come Alatri che per ciò fece distribuire, il giorno appresso, quattro mila pani a' poveri. Nel pomeriggio dello stesso martedì il Santo Padre volle visitare la chiesa e la borgata di san Martino, dove in poveri abituri ha ricovero la porzione ruricola, assai numerosa, dei Frusinati; di che fatti consapevoli quei buoni villici fin dal mattino smisero i lavori campestri per apprestare il meglio che potessero i loro casolari e le viuzze onde avea da passare il Papa. E difatto con ginestre e mortella, e bianchì drappi e fiori cosi rivestirono ogni cosa, che l'accoglienza riuscì oltre ogni aspettazione bella e decorosa. Gli uscirono incontro con rami d'ulivo, lo cospersero con una pioggia di fiori che cadeano dalle finestre e dai tetti, e l'acclamarono con entusiasmo ed affetto rispondente alla serena amabilità, con cui l'ottimo Padre dolcemente li venìa tatti consolando di qualche parola; ed orato alquanto nella Chiesa, da una loggia a ciò preparata diede l'apostolica benedizione.

La mattina del mercoledì 20 maggio, poco dopo le ore sette antimeridiane, il Santo Padre, celebrata la Messa, lasciava Frosinone, in mezzo a vivissime significazioni di affetto e di gratitudine di quel popolo. Alle ore 8 1|2 giunse alle porte di Férentino, dove tutto era messo a festa con addobbi e trofei, e bandiere, e fiori, sì die alcune piazze erano trasformate in giardini, e le strade in gallerie eleganti;

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e dopo assistito nella Cattedrale alla benedizione col SS. Sacramenta, Sua Santità passò all'Episcopio, dalla cui loggia benedisse al popolo. Visitò quindi i lavori già impresi per l'edilizio della nuova e vasta Cattedrale; accettò un rinfresco, ammise al bacio del piede il Clero, il Magistrato e motte altre cospicue persone, oltre i Capitoli, i Parrochi e le Deputazioni di più luoghi circostanti, i religiosi Minori Osservanti, i Gesuiti, le Clarisse, le Maestre Pie e le Figlie della Carità. Mandò poi donare alla chiesa un prezioso calice; ed informato che mandavasi d'un Monte dei pegni, riconosciuto necessario per quelle popolazioni, lasciò scudi mille e cinquecento per provvedere con essi il fondo a tal istituzione, tanto utile a' poveri che vivono della fatica di loro mani. E mentre ne riceve il ringraziamento, ebbe a rimaner commosso assai dell'offerta di alcune centinaia di scudi già prima raccolti come obolo di S. Pietro; come pure Sua Beatitudine fu molto intenerita dell'affetto con cui i Chierici del Seminario, diretto dai PP. Gesuiti, deposero a' suoi piedi le medaglie ottenute in premio de' loro studii; il che valse loro dalla bocca del Vicario di Cristo tali parole, che saranno indelebilmente scolpite nella memoria di chi ebbe la ventura di udirle.

In sulle undici ore antimeridiane Sua Santità s'indirizzò verso Anagni; e fermatosi a pie del colle, sul quale sorge questa città, visitò l'edifizio e le macchine, per cui le vive acque, di cui Anagni era al tutto priva, e che rampollane copiose nella sottostante valle, doveano essere spinte fino in mezzo alla città stessa, per munificenza dell'ottimo Padre e Sovrano. Salì quindi alla città, e dopo breve fermata di riposo nel palazzo di Monsignor Gianuzzi, Uditor Generale della R. C. A., data la benedizione al popolo dall'alto della grande loggia per ciò preparata sulla piazza principale, ecco dallo scoglio, appositamente collocato ivi in mezzo, spicciare veementi, e levarsi ben alto le acque, con tale scoppio di gioia e di plausi al Santo Padre, che cbi non fu presente non può averne giusto concetto. Quinci Sua Santità, dopo ammessi al bacio del piede la Magistratura, le Dame ed i Patrizii di Anagni, si condusse a piedi, e preceduto da ben composta processione de' Capitoli e Cleri della Diocesi, fino alla Cattedrale, d'onde ribenedisse il popolo; e di lì passò all'Episcopio, nel quale, con tutta la Corte ed i cospicui personaggi che trovavansi in Anagni, sedette a convito. Per gentile pensiero dei Comuni di quel territorio, la mensa del Santo Padre fu imbandita con vivande formate da offerte dei prodotti, che in ciascuno d'essi vanno distinti per singolari pregi. Il comune di Acuto, che nulla di degno potea trarre dai proventi del suo suolo, mandò un'offerta per l'Obolo di S. Pietro,

Dopo il pranzo il Beatissimo Padre, accogliendo il Magistrato della città sentì com'esso, obbediente alla volontà sovrana che avea dichiarato i Comuni dovessero impiegare le somme, destinate alle feste, in cose di pubblica utilità, depositava nelle sacre sue mani la somma di scudi mille, che a tal fine aveano nel Consiglio decretata, pregando Sua Santità di voler permettere che quella somma venisse erogata a stabilire un Monte di Pietà. Alla quale istanza benignamente satisfece il Santo Padre, di null'altro bramoso che del bene de' suoi popoli.

Partito da Anagni alle 4 1|2 il Santo Padre in quasi tutte le stazioni intermedie della via ferrata fino a Roma ebbe a fare una breve fermata per appagare i desiderii

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de' Comuni scesi sul suo passaggio ad ossequiarlo e riceverne la benedizione; e giunse alla stazione di Roma in sulle ore 8 pomeridiane. Il ricevimento fattogli da' suoi diletti Romani superò di gran lunga, non il loro affetto, ma tutto lo sfoggio di colali pompe ufficiali. Il Senatore e la Magistratura in abito di formalità accolsero il Santo Padre al discendere dal vagone; e in quel punto fuochi di Bengala, accesi da ogni parte, come se avessero rimenato il giorno nel luogo, lo mostrarono ripieno della eletta del Patriziato Romano, dei più cospicui forestieri, e di cittadini d'ogni ordine che applaudivano al Pontefice, congratulandosi del viaggio riuscitogli felicissimo. Nella sala, ove il Trono erasi innalzato, l'E.mo e Rev.mo signor Cardinale Ciacchi, SA. R. Donna Isabella Maria, Infanta di Portogallo, che quando la Santità Sua lasciò Roma nel medesimo luogo accorse a fare gli augurii, e le autorità militari francesi e pontificie ossequiarono il Santo Padre, che dopo breve pausa, salì nel proprio treno per recarsi all'apostolica sua residenza. Dalla grande piazza di Termini fino al Valicano, nella considerevole distanza che separa questi due punti estremi di Roma, il popolo esultante ingombrava le vie, e sul passaggio del Santo Padre accendeva similmente i fuochi di Bengala. Corpi di milizie francesi e pontificie stavano schierati sotto le armi, ed i loro concerti musicali sonavano allegre sinfonie. Sua Santità, arrivata all'apostolica residenza del Vaticano, fu ricevuta dagli E.mi e Rev.mi signori Cardinali, Palatini, e dalle LL. EE. i Ministri di Stato. Accettato che ebbe le congratulazioni, si ritrasse nelle proprie camere. Col descritto festeggiamento l'amore dei popoli accolse l'Ottimo e Massimo Pontefice, quando parli dalla sua Capitale, quando andò attorno per la Marittima e Campagna, e quando ritornò alla sua Sede. Viaggio breve e condotto per spazio assai ristretto di territorio; ma eloquente nelle beneficenze di cui il Padre e Principe largamente Io improntò, e nelle testificazioni di fedeltà che riscosse dai sudditi.

OSPEDALI VISITATI DA PIO

NEL SUO VIAGGIO DEL 1857.

Non. sappiamo di principi che ne' loro viaggi si rechino a visitare gli Ospedali, a consolare gli infermi, a benedire gl'infelici. Ma questo fece il nostro S. Padre Pio IX nel suo viaggio compiuto nel 1867 nell'Italia centrale. Non meno di trentasei furono gli asili d'ogni sorta d'infermità ne' quali il Pontefice Santo di Dio entrò a recare colla sua presenza la consolazione e la pace, e crediamo utile riferirne la seguente eloquentissima lista.

Perugia Sab. 9. Mag. Manicomio di S. Margarita.

Macerata Merc. 14. » Ospedale, in cura delle Suore della Carità.

Ascoli Mart. 19. » Ospedale degli infermi.

Ancona Sab. 23. » Ospedale degli infermi ed annesso Manicomio, in cura dei Religiosi Fate bene fratelli.

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Senigallia Giov. 28 » Ospedale, diretto dalle Suore della Carità.

Pesaro 8ab. 30 » Ospizio de' Cronici, e degl'invalidi

» » » » Ospedale di S. Salvatore.

» Lun. 1 Giug. Manicomio di S. Benedetto.

Rimini Mart. 2 » Ospedale civile e militare, in cura alle Suore della Carità.

Cesena Merc. 3 » Ospedale degl'infermi (vi passò innanzi e, sostenuto alquanto, benedisse ai convalescenti quivi schierati).

Forlì. Ven. 5 » Ospedale degl'infermi ed annesso Ospizio degli esposti.

Faenza Sab. 6 » Ospedale all'uscita della città, in cura alle Suore della Carità.

Imola Lun. 8 » Ospedale di S. Maria della Scaletta e Manicomio, in cura alle Suore della Carità.

Bologna Lun. 22 » Ospedale maggiore, in via Ripa di Reno e quivi annesso Ospedale militare.

Modena Ven. 3 Lug. Ospedale delle donne, in cura alla Suore della Carità.

Ferrara Sab. 11 » Arciospedale di S. Anna e Cassa di ricovero e d'industria.

Ravenna Ven. 24 » Ospedale degl'infermi, in cura alle Suore della Carità.

Lugo Dom. 26 » Ospedale, in cura alle Suore della Carità.

» » » Ospizio degl'invalidi.

Massalombarda » » » Ospedale maggiore ed attiguo Ospizio de' cronici.

S. Gio. in Persiceto Merc. 12 Ag. Ospedale del S.S.mo Salvatore.

Firenze Ven. 21 » Arciosped. di S. Maria Nuova.

Pisa Lun. 24 » Ospedale degl'infermi, in cura alle Suore Oblate Clarisse.

Lucca Mart. 25 » Ospedale degl'infermi.

Volterra Giov. 27 » Reale Ospedale.

Siena Dom. 30 » I. R. Spedale di S. Maria della Scala.

Orvieto Merc. 2 Sett. Ospedale degl'infermi.

Viterbo Giov. 3 » Ospedale grande.

Civitavecchia Mere. 14 » Ospedale civile e militare, in cura dei Fate bene fratelli.

» » » » Ospedale delle donne.

» » » » Ospedale militare francese

28 » Ospedale militare francese.

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DI ALCUNE LARGIZIONI

DEL S. PADRE PIO IX NEL SUO VIAGGIO DEL 157

Un tristissimo giornale d'Ascoli intitolato L'Eeo del Tronto nel tuo N. 5 del 21 maggio 1863, mentendo alla verità, osò scrivere che il 8. Pio IX visitando Ascoli nel 1857 non diede in elemosina a poveri che soli cinque scudi! Mandiamo gli smemorati scrittori dell'Eco del Tronto a leggere l'opuscolo del cav. D. Gaetano Frascarelli, dal quale rileveranno che il generoso Pio IX quando visitò Ascoli nel 1857 donò scudi mille pel ponte di Lanne, 250 scudi all'Orfanotrofio di S. Giuseppe, 250 scudi all'Ospizio delle Monachette, 100 napoleoni d'oro al Ricovero dei poveri, ed una bellissima pianeta alla Cattedrale. Per saggio della generosità di Pio IX in quel viaggio, pubblicheremo qui alcune largizioni del Padre riguardanti le persone.

Nepi scudi 300 pei poveri della città - scudi 140 per quelli della parrocchia di Filacciano-scudi 100 per giunta di dote» quattro giovanotte chiamate a vita claustrale.

Civitacastellana scudi 300 pei poveri.

Magli ano scudi 120 item.

Narni scudi 300 item.

Terni scudi 300 ai poveri, e scodi 190 ai lavoranti delle ferriere

Spoleto scodi 4000 e parecchi sussidii peritali.

Perugia scudi 400 pei poveri.

Tolentino scudi 300 itera.

Macerata scudi 400 item.

Montecassiano scudi 50 item.

Recanati e Loreto scudi 700 item.

Civitanova scudi 50 item.

Porto S. Giorgio giunta di sussidii ai già notevolissimi mandati da Roma.

Fermo scodi 500, oltre al regalo per gli operai della raffineria Paccaroni presso Grottamare.

Ancona scudi 500 pei poveri - scudi 80 per gli operai della Filanda Berretta - scudi 107.50 per gli operai dell'arsenale - scudi 72 per gli operai dì Serravalle - scudi 100 ai marinai che si erano offerti a trarre il cocchio del Papa - scudi 200 all'equipaggio della fregata Radetzky. - scudi 100 all'equipaggio della goletta Snida, - scudi 100 all'equipaggio del vapore Vulcano, - scudi 60 ai marinai dei due piroscafi pontificii, - scudi 70 alle bande delle musiche.

lesi scudi 500 pei poveri.

Senigallia, scudi £00 ai marinai - larga limosina ai poveri.

Pesaro scudi 500 pei poverino sussidio al monastero della Purificazione ~ altri a varii individui.

Rimini scudi 500 pei poveri.

S. Arcangelo scudi 150 item.

Cesena larga limosina ai poveri - sussidii alle suore Cappuccine.

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Forlimpopoli larga limosina ai poveri.

Forlì scudi 400 pei poveri.

Faenza scudi 500 item.

Castelbolognese larga limosina ai poveri.

Imola scudi 500 pei poveri.

Bologna larghe lìmosine pei poveri di ogni parrocchia, ed al sopraggiungere, ed al partire, e spesso durante la sua dimora - scudi 4500 pei fanciulli che il dì 21 giugno si trovaron presenti alla dichiarazione della dottrina cristiana nelle respettive parrocchie-scudi 200 agli operai della fabbrica di tabacco - scudi 100 agli operai del lanificio Pasquini - simili sovvenzioni proporzionate al numero degli operai nella filanda di Canonica a Casaleccbio, nell'opificio meccanico di Castelmaggiore, nel setificio Melloni e nella fabbrica di pausine de! Manservisi- scudi 400 alle fanciulle della scuola di S. Pellegrino -simile limosina ai fanciulli dello stabilimento dell'Immacolata ed alle povere fanciulle della scuola di S. Dòrotea -larghe beneficenze a tutte le scuole notturne - scudi 40 al negoziante Bieda a riparazione dei danni cagionatigli da.tiri incendio (1).

S. Giovanni in Persiceto larga limosina pei poveri - altra per l'otpedale di S. Salvatore - altra per le scuole d carità.

Castelfranco larga limosina pei poveri.

Villa Fontana item.

Buonalbergo item.

Ferrara forte somma «soccorso delle opere di beneficenza.

Pontelagoscuro larga limosina pei poveri-soccorso ai sonatori della banda.

Pieve di Cento - larga limosina pei poveri - soccorso agli operai del setificio Govone.

Argile larga limosina pei poveri.

Medicina item.

Massalombarda scudi 450 pei poveri - scudi 100 per doto a Rita Lazzoni - un gruzzoletto d'oro ad Àndrea Mariotti, levato dal Papa al sacro fonte, allorchè era Vescovo d'Imola.

Lugo larga limosina pei poveri - altra somma pei medesimi data alla conferenza di S. Vincenzo di Paolo.

Bagnacavallo largo sussidio ai poverelli.

Ravenna somma vistosissima pei poveri - altra per la plebe di S. Stefano in tugurio.

Costei S. Pietro larga limosina pei poveri.

Pianoro item.

(1) Quanto poi alle elemosine giornaliere del Pontefice esse furono si spesse e si liberali, che tolta Bologna ne fa altamente edificata. Ai poverelli che si serravano intorno alla sua sacra persona ovunque egli movesse i passi, sovveniva con somma ilarità di quel più ch'egli potesse. Più d'una volta Intervenne che commosso a pietà egli desse tolto il danaro che si trovava alla roano, dolente soprammodo che non adeguasse il suo desiderio di dare, sebbene sorpassasse di gran lunga il desiderio di chi riceveva.

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Loiano item.

Monghìdore itera.... :.

Covigliaio una somma al parroco.. ..

Prato scudi 250 alle monache di S. Caterina.

Pisa larghe limosine a parecchie famiglie povere (2).

Città della Pieve scudi 250 pei poveri della città - scudi 40 per quei di Monteleone.

Orvieto larga sovvenzione ai poveri.

Bagnara larga limosina pei poveri della città -altra per quei della Capraccia - parecchie altre distribuite dal Sani? Padre di sua mano. ti Montefiascone proroga di sussidii alle Monache del Divino Amore.

Viterbo larga sovvenzione ai poveri - altra aIla Badessa di S. Rosa pei bisogni del convento - altra ai portatori della macchina di S. Rosa.

Poetano,, delegazione di Perugia» e S. Gregorio, diocesi di Tivoli, danneggiali gravemente per la ricolta assai scarsa, ed poverelli della provincia di Frosinone ebbero complessivamente dal Pontefice durante il viaggio 3300 scodi.

Avvertiamo infine che una limosina pei poveri fu lasciata dal Pontefice in tutte le città e terre visitate, avvegnaché, non si Faccia di tutte aperta menzione. Tutte poi le limosino e le sovvenzioni anzidette furono tratte dal Santo Padre dai suoi fondi privati.

ASSEGNI ED AUMENTI DI PENSIONI

21 Maggio, a Nicola De Martino di Loreto aumento di pensione per mensuali scudi 2.

1 Giugno, a Giuseppe Frizzici di Civitanuova, assegno di giornalieri bajocchi 15 a vita, per essere egli rimasto gravememente leso dall'esplosione dì un mortaro.

4 Giugno, al cav. Giovanni Chiarucci di Forlì settuagenario, assegno di mensuali scudi 6 a vita.

19 Giugno, a Pietro Luzzi ed Augusto Brunori di Rimini, marinari lesi per l'esplosione di un cannone, assegni di mensuali scudi 6 al primo e 4,50 al secondo, ambedue a vita.

Lo stesso giorno, a Giuseppe Agnoli, minutante del Commissariato di Bologna, assegno di mensuali scudi 12 avita, per occasione del doversi sopprimere il posto di scudi 30 da lui goduto.

2$ Giugno, ad Angelo Salomoni e Giuliano Verlicclii, soldati di linea benemeriti nei fatti di Cesena, aumento di soldo per quotidiani bajocchi 5 a vita

30 Giugno, a Teresa Cioccolati, vedova di Francesco Canali, aumento di pensione per mensuali scudi 6 a vita.

30 Luglio, alla famiglia del sostituto Moschetti, aumento di pensione per mensuali scudi 2.

(1) Furonvi altre largizioni del Santo Padre in Toscana, avvegnaché non destinate a favore di particolari persone. Per esempio il contributo Mia facciata di Santa Croce in Firenze, e la somma donata ai Padri delle Scuole Pie di Volterra per ampliamento del loro convitto.

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3

Agosto, a Giovanna Frassone, vedova di un muratore caduto nell'apparecchiare la illuminaria di Lugo, assegno di mensuali scudi 4,60 a vita.

4

Agosto, a Giovanna Vezzoli, vedova del cav. Giacinto Fini, aumento di pensione per mensuali scudi 2 a vita.

Lo stesso giorno, al Colonnello De Dominicis, assegno provvisorio di mensuali scudi 10, da percepirsi finché non giunga ad ottenere il soldo rispondente al suo grado.

7 Agosto, alcomm. Antonio Bertoloni, direttore dell'Orto Botanico di Bologna ed autore della flora Italica, assegno di mensuàli scudi 10 a vita.

10 Agosto, ad Antonio Sabbatini, vecchio legnaiuolo di Montalboddo, cui venne ucciso un figliuolo mentre tentava di difendere dagli assassini la famiglia Zanzi, assegno di quotidiani bajocchi 15 a vita.

14 Agosto, agl'impiegati delegatizii di 11 provincie, gratificazione di scudi 8,69 (gli altri erano stati gratificati dal Pontefice dei suoi fondi privati)

21 Settembre, 'alle famiglie di Salvatore Bizzarri e di Francesco Biagtolìni, morti di una caduta nel Duomo di Orivieto, assegni di mensuali scudi dalla prima, e 4,50 alla seconda.

In supplementi di soldo et molti dei pili benemeriti uffiziali governativi dovevano essere impiegati altresì quei 3000 scudi annovati, la cui erogazione dicemmo decretata nel capitolo precedente.

Questo è l'elenco delle larghezze del Papa, larghezze che, benché rade a rinvenirsi in ognuno, in tip Signore di ampli stati e riccamente fornito di beni allodiali, non recherebbero per avventura gran meraviglia; ma che non possano, non eccitare la nostra ammirazione quando le veggiamo praticate da un Principe di piccolo territorio, il quale volontariamente si riserbò un patrimonio assai tenue» con cui sopperire ad un tempo alle necessarie spese di corte, ed alle esigenze dell'inesausta sua carità. Ma questo appunto è il vantaggio di avere a Sovrano un Pontefice, il quale avvezzo a riguardarsi, quale è chiamato dai popoli, per padre di tutti loro, non rifina di mostrarne ad ogni istante nelle sue beneficenze l'amore. E può ben farlo, come quegli che di pochissimo abbisognando per la sua persona, e non avendo figliolanza, alla quale provvedere, o parentela cui gli calga arricchire, tutto ciò ch'egli diniega a se stesso ed ai suoi, converte in bene degli amati suoi sudditi. Né ciò solo, ma quei doviziosi presenti eziandio che dai Principi ammiratori delle sue viriti, e dai Sovrani Odi riguardarlo come padre delle anime iora gli vengono di frequente, tutto tutto egli impiega a soddisfare questa sua generosa brama di far del bene.

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EPISODII

DEL VIAGGIO DI PIO IX NEL 1863.

Dall'Osservatore romano.

Sé le prove di sudditanza e d'amore profuse all'ottimo nostro Padre e Sovrano, durante il suo viaggio nelle provincie Campane, debbono averne commosso profondamente il cuore, la illimitata devozione, e la cavalleresca cortesia di tutte indistintamente le truppe francesi che hanno prestato servizio alla sua sacra persona, e specialmente degli Ussari, non possono altresì non essere riuscite di somma compiacenza al grande animo di Pio IX.

Sappiamo che questi ultimi, dal loro comandante fino all'ultimo soldato, ebbero l'onore di essere presentati al Santo Padre e ricevettero dalle sue mani una medaglia colia Santissima Vergine, che, ricordo prezioso delle loro avventurate fatiche, sarà da essi religiosamente conservata. Forse alcuni di coloro, cui Io spirito della moderna società anima e informa, troveranno di che sorrìdere allo spettacolo del prode soldato francese genuflesso al piede del Vicario di Cristo; ma costoro dimenticano che Ja spada dei generosi guerrieri della Francia, fulmine in guerra contro nemici e potenti, ha fatto suo vanto in ogni tempo la difesa del debole contro l'oppressore, in (special modo la protezione del Capo della cattolica Chiesa; mentre unica gloria degli abbietti schernitori è l'oppressione del debole, una deferenza da schiavi col potente, un odio irreconciliabile contro il vindice inesorabile che da Roma ne fulmina le opere esecrande ed inique»

Fra gli incidenti del viaggio di sua Santità eche rimarranno profondamente scolpiti nell'animo di coloro che ne furono testimonii, merita speciale menzione quanto accadde a Ferentino.

I giovani alunni di quel seminario, egregiamente condotto dai benemeriti Padri della Compagnia di Gesti, furono presentati al Santo Padre che li accolse con istraordinaria benevolenza. Ma quei buoni giovanetti vollero porgere all'Ottimo Principe un particolare contrassegno della loro devozione, depositando ai suoi piedi, come offerta per l'obolo di San Pietro, le medaglie da essi ottenute nella premiazione dello scorso anno, e accompagnando il dono con un d beo reo, colorito da tanta tenerezza d'affetto, che non fu ciglio che rimanesse asciutto per calde lagrime. Il Santo Padre volle rispondere a quelle anime gentili! ma la piena del cuore gli soffocò la voce, sìche dopo pochi accenti gli venne meno per qualche minuto la parola, solo una lacrima furtiva, vanamente repressa, scendeva ad irrigare l'augusto volto, muto ma eloquente testimonio degli interni sensi. -E mi commuovo, diceva alfine, mi commuovo quando vedo la gioventù, perché so che a lei spetta il compilo dell'opera nell'avvenire, e veggo a quali pericoli, a quali tentazioni sarà esposta.

Del resto, questo universal senso di commozione ebbe larghissima parte nelle festose e cordiali accoglienze che s'ebbe dovunque il Santo Padre. E bisogna dire che ben radicata e profonda sia la devozione e l'affetto anche in quelle popolazioni, verso la sacra persona, da deludere e confondere così vittoriosamente l'empie speranze de' nemici della Religione e del trono.

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Se per una parte le visite del Santo Padre nelle città delle provincie di Velletri e Frosinone sono state segnalate dalle significarne pio. affettuose ed entusiastiche di devozione ed amore; per altra parte, non borgo, non villaggio, non città ha goduto della sua sovrana presenza, senza che una perenne memoria ne rimanesse, sì per le generose sovvenzioni accordate all'indigenza, sì per i ricchi doni largiti alle Chiese, sì finalmente per l'incoraggiamento dato, mediante anche vistosissime somme, a grandi stabilimenti di pubblica utilità.

Preclarissima opera fra tutte è riuscita quella che già iniziata dalia munificenza del Santo Padre nella città di Anagni, vi aveva compimento nell'auspicato giorno, in cui le mura di quell'antichissima città, culla di parecchi Pontefici, ospitavano il Sommo Pio.

Non ripeteremo quanto è stato da noi riportato circa al merito e all'oppornità di quest'opera che ha dotato una popolosa città di un prezioso tesoro, qua! è l'acqua, di cui mancava interamente. Diremo però qualche parola degli argomenti con cui si è conseguito lo scopo.

La macchina che serve all'innalzamento delle acque è simile a quelle che servono a fornire di questo indispensabile elemento le città di Lione, di Ginevra e la maggior parte di Parigi. Con questo però che non sappiamo che in alcuna delle ricordate città la forza motrice abbia non che superalo, uguagliato quella della macchina di Anagni, la quale ha innalzato all'altezza di 220 metri più di otto oncie d'acqua; risultato tanto pili straordinario in quanto che nell'attuale stagione la forza motrice stessa è al più basso livello. La parte più difficoltosa di tutto il congegno è la conduttura, la quale è formata coi tubi del sistema Petit, fusi nelle ferriere di Brousseval presso Vallv nel dipartimento della Haute Marne. Questi condotti son uniti per mezzo del caucioii e la loro coesione è sì bene stabilita che non hanno lasciato sfuggir l'acqua in nessun punto per la lunghezza di tre mila metri, e sotto l'enorme pressione di 22 atmosfere, pressione che si fa sentire nella maggior parte della enunciata lunghezza, poiché l'ascensione ha luogo tutto in un tratto all'avvicinarsi del punto d'arrivo. L'esperimento che ne fu fatto alla presenza del Santo Padre, riuscì perfettamente, quantunque, sia detto fra parentesi, ci sia luogo a dubitare che qualche mano ostile s'intromettesse per disturbarne l'esecuzione. Di (atto nei varii esperimenti preparatorii furono trovati chiusi i fossi che dovevano portar l'acqua alla macchina motrice, sicché fu creduto opportuno farli guardare da sentinelle. Checchessia di ciò, l'onda benefica e desiderata, superato felicemente anche un ultimo ostacolo mercé l'opera solerte e intelligente dei fratelli Mazzocchi, spicciò fresca e copiosa sulla Piazza d'Anagni all'arrivo del Santo Padre, e ne andò a lambire il sacro piede in mezzo agli applausi e all'entusiasmo della popolazione: «crebbe mano ammano tanto che alla partenza dì Sua Santità s'era elevata all'altezza d'un uomo. E fu bello e commovente spettacolo vedere il Santo Padre con amorevole degnazione chiamare una delle donne, che piene d'inesprimibile gioia s'affrettavano a riempire i loro orci delle facili acque, domandandole un bicchiere, attingerne esso stesso entro il vaso votandolo fino all'ultimo sorso.

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Dopo la partenza del Santo Padre la macchina fu arrestata per farvi alcuni miglioramenti suggeriti dall'esperimento, ma il risultato si può considerare come perfettamente raggiunto.

Nella faustissima circostanza in cui il Sommo Pontefice recossi a visitare le provincie meridionali dei suoi Stati, tra i paesi che più si distinsero nel dimostrare la loro divozione ed il loro attaccamento all'adorato Sovrano, certamente deve annoverarsi Montefortino. Che saputosi dover il Pontefice passare nella stazione della ferrovia, che è comune a Valmontone e al detto paese, si volle fare in modo che in quei momenti di sosta che vi avrebbe fatto, Sua Santità trovasse il luogo non del tutto indegno della sua presenza. Alla destra pertanto di quella stazione per cura del solerte municipio erasi disposto il largo piazzale a guisa di anfiteatro messo a festa con intorno trofei imbandierati e nel mezzo una colonna con sopra la statua rappresentante la religione. Lateralmente a questa eransi formate due orchestre architettate a modo di loggiati, su cui rallegrava gli animi il concerto di Palestrina con armonie abilmente eseguite, ed il vasto spazio era inferamente ricoperto di fiori messi a disegno.

Il Santo Padre espresse pili volte la sua soddisfazione per l'accoglienza avuta da quegli abitanti, ma maggiore apparve la di lui gioia quando nel punto in cui partiva da quella stazione e dal suo nobile vagone benediva di nuovo l'accorso popolo, si vide splendere in aria un'iride come simbolo di pace, formata da fuochi artificialmente disposti a colori, e da essa caddero una moltitudine dei così detti paracaduti dai colori pontificii che furono di un mirabile effetto. Essi furono accompagnati da una salva di ben cinquecento colpi di mortali.

Anche nel ritorno del Santo Padre in quel luogo, allorché riedeva alla capitale, fu ripetuta da quegli abitanti la festevole accoglienza al loro Padre e Sovrano, e venne salutato da altra salva di 200 colpi. La popolazione di Montefortino non dimenticherà giammai d'essere stata onorata dall'Augusta presenza del suo Ponteficere, e quei giorni saranno per loro la più cara rimembranza dei tempi futuri.

UNA TESTIMONIANZA NON SOSPETTA

SUI VIAGGIO DI S. PADRE PIO IX NEL 1863.

La Correspondance de Rome traduce dall'inglese la seguente lettera comunicatale dalla gentilezza di un suo amico:» Isoletta, 20 maggio. - Siccome io non sono né francese, né italiano, né austriaco, né cattolico, così voi riconoscerete ch'io godo d'una certa libertà di giudizio per apprezzare in Italia il valore degli uomini e l'importanza degli avvenimenti. È vero che io mi credo fornito di morale in modo che se mi pongo a questo punto di vista, gli uomini e le cose assumono tosto dalla parte dei seguaci di....... e di Mazzini un aspetto molto brutto, mentre dal lato degli amici del Papa, non posso che vedere sentimenti onesti ed una fede commovente.

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Ma il signor di Cavour, di cui Nicomede Bianchi perfeziona presentemente la riputazione, avea detto al momento d'intraprendere le sue maggiori imprese: Non parliamo di morale. Occupiamoci dunque dei fatti.

«lo seguii il Papa, come semplice curioso, a Velletri, a Frosinone, a Casamari, a Ceprano, e debbo dire che quantunque in mia vita abbia assistito a molte feste popolari, non vidi mai un entusiasmo cosi spontaneo. I fanatici dell'unità italiana possono dire ciò che vogliano; ma il fatto è che Pio IX è uno degli uomini la cui presenza opera nella moltitudine con una irresistibile attrazione. I miei affari mi costringono a passar qui alcune ore, ed io ne profitto per istudiare le fisonomie e debbo dichiararlo a lode degli ufficiali piemontesi, che la mia qualità d'inglese mi valse la più cordiale accoglienza. Questi gentiluomini sono, è vero, furiosamente adirati contro i francesi che accusami d'essere venduti al Papa, e non risparmiano nemmeno il loro governo che accusano di avere vigliaccamente obbedito agli ordini venuti da Parigi a riguardo di certe dimostrazioni. Tuta volta essendo io alla tavola di alcuni di essi, un funzionario di nome Montani die lettura di una relazione del Comitato nazionale di Ceprano. Questo è ciò che mi determina a scrivervi; imperocché quella relazione è quasi esatta ed ammette, servendosi beninteso di espressioni di profondo dolore, un trionfo splendidissimo di Pio IX nelle sue provincie. Varie parole del Papa ch'io ascoltai, quantunque accompagnate da invettive, vi sono inserite.

L'indegoazione del Comitato è eccitata dal fatto che tutta la popolazione di Frosinone, nemine excepto (è questo un termine del rapporto), si è data a Pio IX con un delirio mostruoso. A Ceprano si videro gli uomini che si credeano i più bianchi acclamare Pio IX da veri fanatici. Breve: tenuto conto di tutto, il Comitato di Gerano dichiara che solamente sette cittadini restarono degni d'Italia.

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DI ALCUNE ISCRIZIONI

Dettate in occasione del viaggio della Santità del nostro Signore Pio IX

per l'Italia centrale nel 1857.

NEPI

Sopra la prima porta della Città

AGE. O. PATER. O. PRINCEPS

SANCTISSIMI. ANTISTITIS. N. PII. V

NOMINIS. ET. VTRTUTUM. HAERES

PIE IX. PQNT. MAX

URBEM. INGREDERE

QUAE. ADVENTU. TVO. OPTATISSIMO

NOVIS. GESTIET. GAUDIIS

NEPESINI. CIVES

LAETI ' PLAVERANTS. PARENTI. PUBLICO

CIVITA CASTELLANA

Sopra l'arco trionfale.

AVE. PATER. BEATISSIME. CAELITES. TE. USQUE SOSPITENT

FESCENNIA. GREMIO. OVANTER. TE. EXCIPIT

LAETUS. INGREDERE. LATIOR. EGREDERE

AL GRANDE MAGNANIMO IMMORTALE PONTEFICE

PIO IX

CHE NEL GIORNO IV AVANTI LE NONE DI MAGGIO MDECCLVII

QUESTA CITTA' DI SUA AUGUSTA PRESENZA ALLIETAVA

IL MAGISTRATO E POPOLO

IN ARGOMENTO DI ESULTANZA FEDELTÀ E DEVOZIONE

- 364 -

MAGLIANO

Sopra l'arco trionfale

PIO. PAPAE. NONO

MANLIANA. CIVITAS. TUO. GESTIENS. ADVENTT

FELIX. FAUSTUMQUE. PRECATUR. ITER

PIO. PAPAE. NONO

DEIPARA. VIRGO

NOVO. PER. TE. AUCTA. TRIUMPHO

COMITETUR. TUEATUR

NARNI

Sulla nuova porta in lettere di metallo dorato

PELICI. FAVSTOQ. ADVENTUI. PII. IX. p. M

MDECCLVII

SPOLETO

Sopra l'arco trionfale a Porta Romana

PIO. NONO. PONTIFICI. OPTIMO. MAXIMO

AGE. PATER. ET. PRINCEPS

PROCERUM. POPULIQUE GESTIENTI8. ANNUE. VOTIS

SPOLETO. ITERUM, SUCCEDE. LUBENS

EN. TECUM. BEATA. INGREDITUR. FAUSTITAS

ET. SUMMA COMES. IT. LAETITIA

CHRISTIANORUM. PARENTI. ET. MAGISTRO

VETER, RELIG. VIRTUTISQUE. VINO. PROPUGNATORI

OB. ACTOS. TRIUMPHOS

POPULI. SERTA. DATE

BONARUM. ARTIUM

OMNIUMQUE. DISCIPLINARUM

TUTORI. ET. AMPLIFICATORI. FELICISSIMO

MERITO. PLAUDANT. UNIVERSI

- 365 -

FULIGNO

Sopra la Porta Romana

TE

PELLEGRINO A LORETO

O PIO IX PONTEFICE OTTIMO IMMORTALE

CVI NON BASTA A CAPIRE L'UNIVERSO

OGGI PLAUDENTE NELLE SUE MURA ACCOGLIE

FVLIGNO E A MOSTRARTI IL SVO AMORE

HA VOLUTO OFFERIRTI

UN EFFETTO DEL PIU' SANTO PENSIERO

CHE ISPIRATATI IDDIO

PERCHÉ

QUI TI PIACCIA E LO AMMIRI

PRIA CHE ROMA LO COMPIA

Nella colonna di cera eretta alla Immacolata

PONTIFICI. OPTIMO. MAXIMO

NESCIAM. LABIS. VIRGINEM

NUPERRIME. SANCIENTI

VOTUM. IN. LAURETANA. AEDE. SOLUTURO

PRO. ITU. ET. REDITU. FAUSTO. FELICI

ORDO. POPULUSQUE. FULIGINATENS

LIBENTISSIME. EXCITARUNT

NONIS. MAIS. MDCCCLVII

MARIA. PATRONA. CAELESTIS

PIE. PONTIFEX. OPTATISSIME

VICTURA. INSIMUL. IN. AEVUM. NOMINA

CEREAM. COLUMNAM. ET. STATUAM

PIETATIS. IN. VOS. FLAGRANTISSIMAE. ARGUMENTUM

EXCIPIATIS. PRECAMUR VOTI. O COMPOTES. ERIMUS

- 36

6 -

SPELLO

PIO. IX. PONT. MAX

PRINCIPI. BENIGNISSIMO

HISPELLATES

SECO IN MEZZO A TE

O POPOLO DI SPELLO

LA PIU' ECCELSA DIGNITÀ DELLA TERRA

ECCO IL PILOTA

DI QUELLA NAVE SEMPRE AGITATA GIAMMAI SOMMERSA

IL PADRE VIENE A VEDERE I SUOI FIGLI

APPALESAGLI L'AMOR TUO

LA TUA GRATITUDINE E VENERAZIONE

PERUGIA

Sotto l'effigie del Pontefice sala del trono

LA PIETÀ

8UA DIVINA ISPIRATRICE

TRASSE

PIO IX

IN QUEST'UMILE CASA DEI MENTECATTI

ED ANCHE IL LORO ANIMO SCONVOLTO E TRAMBASCIATO

SI APRÌ ALLA GIOIA

CAMERINO

Nella residenza della Commissione amministrativa provinciale

POMPA B PUBBLICA FESTIVITÀ

A PIO IX PONTEFICE MASSIMO

ORNAMENTO SPLENDIDISSIMO DELLA CHIESA B DEL TRONO

AMORE B MERAVIGLIA DEL MONDO

CHE IN OVE LUSTRI LO VIDE FARE QUANTO ERA MOLTO IN UN SECOLO

AL FORZE PROPUGNATORE DELLA FEDE

- 36

7 -

AL PRINCIPE INDULGENTISSIMO

PROMOTORE DI PROSPERITÀ VERACE !

FAUTORE DI OGNI OTTIMA DISCIPLINA

A CVI NEL RECARSI A VISITARE L'AUGUSTA CASA DI NAZARET

PIACQUE CONSOLARE DI UNA SUA VISITA CAMERINO

LA COMMISSIONE AMMINISTRATIVA PROVINCIALE

A SÌ DEGNEVOLE BONTÀ DI PADRE

OLTREMODO LIETA E SENZA FINE RICONOSCENTI

MACERATA

Presentata dalla Magistratura e dal popolo

PIO. IX. PONT. MAX.

ADSERTORI. PIETATIS

PROPAGATORI. CATHOLICI. NOMINES

PARENTI. PUBLICO

ORBO. ET. POPULU8. MACERATE»

VOTORUM. COMPOS

IN. OPTATISSIMI. ADVENTUS. EIVS. LAETITIA

DOMINO. OPIMO. PROVIDENTISSIMO

ADELAMAT

VIVAT. VALEAT. IMPERET

EO SOSPITE. RELIGIONI. PRAESIDIUM

SECURTTAS. BONIS

VIRTUTI. ET. MERITIS. PRAEMIA

NUMQUAM. SUNT. DEFUTURA

LORETO

Nella facciata della Basilica

PIO. IX. PONT. MAX.

AD. NATALEM. SANCTAE. VIRGINIS. DOMVM, PEREGRINANTI

EX. VOTO. SUSCEPTO

BASILICAM. INGREDIENTI. PR1D. IDVS. MAIAS. AN. M. DCCC. LVII

PRIMORES. ET. CANONICI. BENEPICIARTI. KLERICIQ. BENEFICIATI

OB. ADVENTUM. EIUS. PRAESENTIAMQ IN CAUDIUM. EFFUSI

OMNIA. FELICIA. ADPRECANTUR

- 368 -

O. MARIA. O MARIA

DELICIUM. ET. DECUS. NOSTRUM

QUANDO QUIDEM. HIC. FIDEI. COSTOS. ET. VINDEX

TE. LABIS. OMNIS. AB. ORIGINE. NESCIAM

DECRETO. SOLEMNI. DIXIT. HABERI. ET. COLI

TU. NOVO. AUCTA. DECORE. LAUDATA. PRECONIO

PAR. PARI. REFERENS

VOLENS. PROPITIA. OPTIMO. PRINCIPI.

ET. PATRI. USQUE. ET. USQUE. ADFUISTI

QUI. DIFFICILLIMIS. TEMPORIBUS

CONCORDIA. FACTA. DE. RE. CHRISTIANA. CUM. HlSPANIS. ETRUSCIS

HIERARCHIA. ECCLESIARUM.

APUD. BRITANNOS. ET. BATAVOS. INSTAURATA

CONVENTIONE. INITA. DE. IURE. PONTIFICIO. TUENDO. CUM. INVICTIS.S

CAES. AUG. FRANCISCO. IOSEPHO. I. AUSTRIAE. IMPERATORE

LITURGIA. IN. GALLIIS. AD. RITUS. ROMANOS. TRADUCTA

ALIISQ; PRAECLARE. GESTIS

STO. NOMINE. IMMORTALI. ORBEM. IMPLEVIT

REGINA. VIRGO. OPIFERA

EUMDEM. PRAESENTIORI. AUSPICIO. TUO. FOVEAS. SO8PITE8

VTI. PACATO. DENIQUE. MUNDO. UNA. FIDES. SIET. UNUS. MAGISTER

PORTO DI CIVITANOVA

Sopra il primo arco trionfale

IN. HONOREM. PII. IX. PONT. MAX.

OB. ADVENTUM. EIUS. OPTATISSIMUM

ORDO. POPULUSQVE. NOVANENSIUM

ADSERTORI. PIETATIS. VINDICI. RELIGIONE

PARENTI. PUBLICO

Sopra il secondo arco

FELIX. IMPERET ET. ANNIS. VIVAT. DE. NOSTRIS

TANTAE. HILARITATIS. MEMORIAM

NULLA. APUD. NOS. VETUSTAS

DELEBIT

- 36

9 -

FERMO

All'esterno sulla porta della Città

URBEM. A. FIRMA. FIDE. NUNCUPATAM

LAETITIA. GESTIENTEM. INGREDERE. MAXIME. PONTIFEX

PRINCEPS. OPTIME INDULGENTISSIME

ET. PORTAM. DE. NOMINE. AUGUSTO

SINAS. VOCARI. PIAM

ADSERTORI CONSTITUTORI

SACRAE. LIBERTATIS CAVITATUM

ANCONA

Sulla base della colonna in Piazza Maggiore

A PIO IX PONTEFICE MASSIMO

NELLA FAUSTISSIMA SUA VENUTA

CON LIETO RIVERENTE ANIMO

DEDICAVANO GLI ANCONITANI

COME RICORDO ED AUGURIO

DI PACE FIORENTE E SECURA

AL PADRE SANTO

CHE AL BENE DE' POPOLI

CON PATERNA SOLLECITUDINE PROVVEDENDO

SI MOSTRA DEGNO DEL SUO BEL NOME

COME PONTEFICE E COME RE

AL SAGGIO MONARCA

CHE I NUOVI TROVATI DELLA SCIENZA

PROMUOVE NE' SUOI STATI

ALLA SPEDITEZZA ED ALL'UTILITÀ DEI COMMERCI

ALL'INCREMENTO DELLA CIVILTÀ

ALL'OTTIMO PRINCIPE

LA CVI VISITA DESIDERATA

È LETIZIA SUPREMA DEL POPOLO

SARÀ NOVELLA SORGENTE

DI VERACE E DUREVOLE PROSPERITÀ

- 370 -

Sopra le basi dei candelabri nella stessa piazza

SANTO PONTEFICE

DA PARAGONAR SOLO COI PIU' GRANDI

ZELÒ L'ONORE DEL TEMPIO DI DIO

PER LVI PROPAGATA LA FEDE

RISTORATA LA DISCIPLINA

ABBATTUTI GLI ERRORI

ANTICHI E NUOVI

OTTIMO PRINCIPE

CONTINUANDO LA MAGNANIMA IMPRESA

DI QUEI CHE LO PRECEDETTERO

FAVORISCE LE ARTI LIBERALI

PROTEGGE L' INDUSTRIA

INTESO A DILATARE I PROGRESSI

DI CIVILTÀ NON BUGIARDA

BENE MERITÒ DELLA NOSTRA MARINA

E AGGIUNSE DECORO A QUESTA CITTÀ

DECRETANDO CHE SI ERGESSE

L'OSSERVATORIO MAGNETICO

ONDE HA INCREMENTO E CONFORTO

LA SCIENZA CHE A SPIAGGE REMOTE

GUIDA E DIRIGE IL NOCCHIERO

ITALIANI E STRANIERI

AVRANNO GRATITUDINE A QUEL PIO

ONDE SI COMPÌ IL LUNGO DESIDERIO

DI CCLXII ANNI

CHE SORGESSE DEGNO MONUMENTO

ALLE CENERI LACRIMATE

DI TORQUATO TASSO

CON NUOVE E SPLENDIDE OPERE

PROVVIDE ALL'ORNAMENTO

E ALLA CONSERVAZIONE

DEL NOSTRO ARCO TRAIANO

IL OVALE DOPO XVII SECOLI

APPARE OGGI PER LVI PIU' MAESTOSO E PIU' BELLO

- 371 -

PRESCELTO A COMPIERE

NELLA CHIESA DI GESÙ CRISTO

OPERE MERAVIGLIOSE

FU SORDO AI PERITOSI! CONSIGLI

DELLA PRUDENZA UMANA

SEGURO NELLA PAROLA DI LUI

CHE È VERITÀ

ARRICCHÌ

DE' NUOVI RITROVATI

L'OSSERVATORIO ROMANO

perché NELLA SCIENZA CHE INDAGA

L'ARMONIA DEI CIELI

SEMPRE MEGLIO SI APPALESINO

LE MERAVIGLIE DELL'ONNIPOTENTE

APERTA

UNA LIETA E COMODA VIA

ÀLBANO ED ARICIA

PER UN PONTE RICONGIUNSE

OPERA CHE RICORDA

IL POTERE L' ARDIMENTO

E LA SAPIENZA DEGLI ANTICHI

NON FU TERRA CATTOLICA

PERCOSSA DA GRAVE INFORTUNIO

CUI NON SOCCORSE SPONTANEO

DI QUELLO OND'EBBE

CONSOLAZIONE E RISTORO

DALL'UNIVERSO

NEI GIORNI DEL TRISTO ESIGLIO

Sulla porta esterna della Loggia dei Mercanti

O PRINCIPE E PONTEFICE

ENTRATE CON OTTIMO AUGURIO

IN QUESTA LOGGIA CHE DAI MERCANTI SI NOMA

E DALL'ALTO DEL BALCONE BENEDITE

IL MARE SOTTOPOSTO E LE NAVI

BENEDITE L'INDUSTRIA ARRISCHIEVOLE DE' NOCCHIERI

IMPLORATE LORO PROPIZI I VENTI

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VOI EREDE DEL POTERE DI COLTI

IL CUI CENNO FUGÒ LE TEMPESTE

RABBONACCIÒ IL MARE

SENIGALLIA

Nel basamento della colonna monumentale di fronte al palazzo Arsilli

A PIO IX

PRINCIPE OPEROSO MAGNANIMO

CONCITTADINO MUNIFICENTISSIMO

IL COMUNE DI SINIGAGLIA

.GLORIOSO CHE IL PATRIO SVOLO

ACCOLGA IL PIU' GRANDE DE' FIGLI

DESIGNÒ IL MONUMENTO DELLA GRATITUDINE.

IL XXVI MAGGIO DEL MDCCCLVII

Di fronte alla Casa di Ricovero

LE FATALI SCIAGURE

D'INONDAZIONI E DI MORBI ENDEMI

ADE' SOLATI CONCITTADINI

CON PROVVIDENZA INEFFABILE RESE MEN GRAVI

RISTORÒ DI PRIVILEGI E FAVORI

LE SORTI DEL COMMERCIO PERMUTANTE.

LA COSA PUBBLICA DEL PROPRIO DENARO DI MOLTI CONFORTI SOVVENNE

Di fronte a Porta Colonna

AL PUBBLICO INSEGNAMENTO

NUOVO GINNASIO ISTITUÌ

ALLE ABBANDONATE FANCIULLE

A' VECCHI MENDICI

OFFERSE PANE E RICOVERO

Di fronte all'Ospitale comunale

APOSTOLO INSIGNE DELLE DOTTRINE EVANGELICHE

ZELATORE DI RELIGIOSI PROGRESSI

ERESSE DUE CHIESE DALLE FONDAMENTA

TRE PARROCCHIE AGGIUNSE DOTÒ

AL CHERICATO

MISERO DI FORTUNE

PROVVIDE

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BESTEMMIE CONTRO LA TEOLOGIA

NEL PARLAMENTO SUBALPINO

DETTE IL 28 GENNAJO 1857.

(Dall'Armonia, n.26, del 1° gennaio 1857).

Poiché la Camera ebbe stabilito, che nelle scuole pubbliche si sarebbe dato agli alunni un insegnamento religioso, il deputato Sineo, nella tornata del 28 di gennaio, uscì nelle seguenti parole, che trascriviamo dagli Atti Ufficiali del Parlamento, N° 44, pag.167: «Voi avete votato ieri un articolo, che accresce l'importanza all'insegnamento religioso. Ora bisogna ben sapere da chi dipenderà quest'insegnamento religioso. Non ignorate che nell'insegnamento della morale, quantunque fondata sulla base del cattolicismo il più ortodosso, vi sono tuttavia delle divergenze deplorabili. Abbiamo delle massime proclamate da eminenti, da celebri teologi, le quali sarebbero sicuramente respinte all'unanimità dai membri di questa Camera. Ora volete esporre il paese ad essere sotto l'influenza d'un insegnamento religioso, di questa specie? Sotto l'influenza d'un insegnamento religioso, il quale ci farà buoni cattolici senza che siate uomini onesti? Eppure vi sono dei teologi, i quali riconosceranno come buon cattolico, un tale che non sia tampoco onest'uomo. A queste cose debbe aver l'occhio un governo.

Non si può dire quanta malizia e quanta empietà si contenga in queste parole. Esse sono dirette a mettere in uggia il cattolicismo. La parte a cui il deputato Sineo appartiene, dapprima s'oppose ad ogni insegnamento religioso; e quando fu vinta, allora pretese di dominare questo insegnamento medesimo. Da chi dipenderà l'insegnamento religioso? I vostri lo dissero nella Camera, sostenendo che il governo non dovesse immischiarsi della religione. Essi fecero un'osservazione che contenea del vero e del falso. Era falso che il governo dovesse dichiararsi ateo, od indifferente alle cose di religione, che torna lo flesso; era vero che il governo, stabilito il dovere dell'insegnamento religioso, dovesse fermarsi lì e non andare più. innanzi.

Da chi dipenderà adunque questo insegnamento? Dipenderà da coloro che ebbero la missione d'insegnare. Questa missione non l'ebbero i ministri, non l'ebbero i deputati: l'ebbero i Vescovi ed i sacerdoti. Da questi dee dipendere l'insegnamento religioso e non da altri. Oh è propria bella? Da chi dipende l'insegnamento della medicina? Dai medici. Da chi l'insegnamento della legale? Dagli avvocati. Da chi l'insegnamento della botanica? Dai botanici. E perché l'insegnamento della religione non dovrà dipendere dai Vescovi e dal Papa?

Ma qui incominciano le empietà del deputato Sineo. Nell'insegnamento della morale, egli dice, quantunque fondata sulla base del cattolicismo il più ortodosso, vi sono tuttavia delle divergenze deplorabili. Notate bene la clausola: quantunque fondata sulla base del cattolicismo il più ortodosso; ciò che significa nella sentenza del deputato, che le divergenze deplorabili vogliono es

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Bere imputate al cattolicismo medesimo. Donde la conseguenza che il cattolicismo non ha norme certe di morale.

Noi abbiamo l'onore di dire all'onorevole deputato, che parla di ciò che non conosce. Le divergenze nella morale non sono per nulla deplorabili. Se fossero tali, si vedrebbero ben presto definite. Nel cattolicismo v'è il magistero infallibile della Chiesa, che tronca di botto le quistioni. Il cattolico è il solo che in punto di religione possa afferrare qualche cosa di vero. Per lui la sentenza della Chiesa mette le quistioni fuori d'ogni dubitazione. Se dunque la Chiesa tace, e lascia sussistere le divergenze, vuoi dire che non sono deplorabili. Vuoi dire che essa lascia la libertà di opinione in quelle cose che si possono conciliare coll'unità della fede e, colla santità dei costumi. £ voi, o fautori di libertà, osereste muovertene rimprovero?

Ila abbiamo delle massime proclamate tv eminenti, da celebri teologi, le quali sarebbero sicuramente respinte all'unanimità da questa Camera. Vorremmo sapere quali fieno queste massime proclamate da eminenti e da celebri teologi. Sarebbero forse quelle che dicono: Non toccate i beni della Chiesa? Non estirpato la sua giurisdizione? Non imprigionale gli Arcivescovi? Ma per l'onore del Piemonte queste massime non verrebbero respinte all'unanimità dalla Camera. Sono forse le massime dei lassisti o dei casuisti, come dicono? In questo caso sappia il deputato Sineo due cose: 1° Che quando qualche teologo, non eminente al certo, uscì in alcuna proposizione meritevole di censura, la Chiesa non attese ohe la Camera subalpina lo condannasse. Così dall'anno 1659 al 1794 abbiamo proposizioni condannate da Alessandro VII, da Innocenze XI, da Alessandro VIII, da Innocenzo XII, da Clemente XI, da Benedetto XIV, da Pio VI; 2° Che molti deputati non otterrebbero l'assoluzione, nemmeno se andassero a confessarsi dal Caramnel o dall'Esoobar.

Volete esporre il paese ad essere sotto l'influenza d'un insegnamento religioso, il quale ti farà buoni cattolici senza essere uomini onesti! Non sappiamo, se potasse recarsi uno sfregio maggiore al cattolicismo! Il deputalo Sineo lo mette in opposizione coll'onestà. Onesto, secondo Cicerone, è quello che si conforma colla ragione colla virtù. Dunque, a detta del deputato Sineo, uno può essere buon cattolico, e professare cose irragionevoli, e praticare tutti i vizii. In altri termini: la fede può opporsi alla ragione; la morale cattolica alla virtù. Dovremo noi ribattere siffatte bestemmie? Le consegniamo all'indegnazione dei nostri concittadini.

Eppure il dep. Sineo ha ribadito il chiodo replicando: Vi sono dei teologi, i quoti riconosceranno come buon cattolico un tale, che non sia tampoco onest'uomo, Se il signor Sineo citerà qualche nome, noi gli proveremo, che gli scrittori, cui allude, non furono teologi, ma razionalisti, «qui ont fonde leur morale plutôt sur le raisonnement humain, que sur l'Écriture et la tradition, come scrisse Fleury. li sig. Sineo, come i suoi compagni, non sa essere originale nemmeno negli errori e pelle empietà. Egli ha ripetuto nella Camera ciò che scrisse il Sismondi nel cape CXXVII della storia delle repubbliche italiane del Medio Evo. Perché non è andato a leggere le Osservazioni di Alessandro Manzoni sulla morale cattolica?

La morale cattolica e stata condannata in un fascio di parole del deputato Sineo.

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Se si può essere buoni cattolici senta essere uomini onesti, vuol dire, che la morale cattolica è corrotta. «Io sono convinto, scrisse il Manzoni, e lo provò, che essa è la sola morale santa e ragionata; che ogni corrottela viene Anzi dal trasgredirla, dal non conoscerla, o dall'interpretarla a rovescio; che è impossibile trovare contro di essa un argomento valido». Signor deputato Sineo, leggete e studiate Alessandro Manzoni.

A queste cose debbe aver Cocchio il governo, conchiuse l'avvocato. O smemorato parlatore! Dunque il governo deve aver l'occhio sull'insegnamento della morale, perché, oltre all'essere cattolica, sia anche onesta? E questo dee fare il governo piemontese? E perché, signor avvocato, dimenticaste le cose dette da voi alla Camera il 12 di gennaio di quest'anno? Perché non vi ricordaste dei frutti prodotti in Piemonte da nove anni di questa sorveglianza?

«Siate persuasi, o signori, che la nazione nostra, la quale primeggiava sotto il rapporto morale, è profondamente contristata dallo spettacolo della crescente immoralità. Torniamo al tempo dell'adorazione del vitello d'oro». Cosi diceva il dep. Sineo alla Camera il 12 di gena.1857.

E il 28 di gennaio pretendeva che coloro, i quali in pochi anni ci ricondussero al tempo dell'adorazione del vitello d'oro, sopravvegliassero l'insegnamento religioso, affinché, oltre di essere cattolico, fosse anche onesta! Italiani, così si ragiona in Piemonte. E gli uomini che hanno la fede e la logica dell'av. Sineo, sono i nostri legislatori.

CARLO POERIO. IL GOVERNO INGLESE ED IL NAPOLITANO

NEL 1857.

«La diplomatie anglaise ne s'était pas encore montrée telle que nous permet de la saisir».

Jules Gondon neIl'Univers del 22 di febbraio, 52.

(Dall'Armonia, n. 16, 25 febbr. 1857).

Descrivendo nell'Armonia la strage degli innocenti dicevamo che in Piemonte settemila ottocentocinquanta tra frati, monache, canonici, e beneficiati, erano sacrificati, e sacrificati impunemente, perché nessuno di loro ti chiamava Poerio. Questa frase merita due parole di spiegazione. Carlo Poerio, già ministro del Re di Napoli, oggidì in prigione per delitto di fellonia, è il pomo della discordia, è tutta la quistione napoletana. Sir Gladstone scrisse le sue lettere contro il governo partenopeo per compassione di Carlo Poerio. Lord Russel e lord Palmerston dissero le loro invettive contro re Ferdinando per simpatia verso Carlo Poerio. Francia e Inghilterra in fin dei conti ruppero le loro relazioni diplomatiche con Napoli pel desiderio di proteggere Carlo Poerio.

Se domani il governo napoletano libera Carlo Poerio, è il migliore governo d'Europa; ma finché lo ritiene in prigione, è il pessimo dei governi.

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Noi lascieremo in disparte la biografia di questo condannato. Il Nord di Brusselle già ne pubblicò importantissimi particolari, ma non vogliamo valercene (1). Un condannato, che vive in prigione, merita molti riguardi. Il cattolicismo ha coperto coi suo manto protettore i carcerati, ed ha scritto tra le più care virtù le visite che si fanno al prigioniero, e i conforti che gli si mandano, o se gli recano di persona. A noi duole, che il Poerio soffra, e duole molto più che siasi reso meritevole di soffrire. Guardici il Cielo dall'aumentarne i patimenti colle nostre parole!

Ma è egli poi vero, che l'ex-ministro napoletano sia tanto maltrattato come dicono? Noi ci restringeremo ad esaminare un documento della diplomazia inglese. Sanno i nostri lettori, che, giorni sono, vennero presentati al Parlamento britannico i documenti relativi alla questione napoletana (2). Uno di questi è un dispaccio del signor Petre al conte di Clarendon: porta il N° 39f si raggira tutto su Carlo Poerio, e dice così:

M. Petre al conte de Clarendon.

Napoli,27 di ottobre 1856

«Milord, mi dispiace sinceramente di dovervi trattenere ancora sui patimenti fisici di Carlo Poerio. Da qualche tempo egli soffre a cagione di un tumore sulla colonna vertebrale cagionato in gran parte, rome io credo, dalla lunga detenzione e da una estrema dieta, circostanze aggravate ancora dalla collisione della sua catena. Subì recentemente una operazione, ed ora trovasi, come mi fu detto, in uno stato più soddisfacente. Ma se le mie informazioni sono esatte, ed io lo credo, sembra che, per quanto schifoso ed inumano sia il fatto, la catena a cui è legato Poerio, non gli fosse levata né prima né dopo l'operazione».

Questo documento ci dimostra la buona fede della diplomazia inglese. Carlo Poerio ha un tumore sulla colonna vertebrale. Dunque guerra al Re di Napoli. Ma sono forse i trattamenti della prigione che cagionarono questo malanno al Poerio? M. Petre dice che la lunga detenzione non ne è tutta la causa, ma in gran parte.

(1)

Vedi il Nord del 5 di febbraio N.36, ed un foglietto uscito or ora a Brusselle, col titolo: Question itali enne, troisième Me mento, dove si parla anche di Poerio.

(2)

Le comunicazioni relative agli affari di Napoli, presentale recentemente al Parlamento inglese, si estendono dal 19 di maggio al 15 di novembre 1856, Lord Palmerston, rispondendo ad un'interpellanza, disse che questi dispacci, in numero di quarantasette, non formavano la collezione completa delle carte comunicatesi tra i due governi. Il blue-book, che venne in luce non da che semplici estratti delle note; cosa a cui conviene por mente, perché il Foreign office ha dovuto fare una scelta affine di giustificarsi in faccia al pubblico. I primi dispacci sono di sir W. Temple, fratello di lord Palmerston che fu per lungo tempo ministro plenipotenziario di Sua Maestà britannica a Napoli. Essi cominciano colle comunicazioni che tennero dietro al Congresso di Parigi, e vennero fino al 17 di luglio. Gli ultimi dispacci scritti dal signor Petre dopo la partenza di sir W. Temple vanno fino al richiamo delle Legazioni d'Inghilterra e di Francia.

- 377 -

E questo non sa nemmeno di sicuro; ma lo erede; vale a dire, è una sua opinione particolare, e M. Petre non fu ancora laureato in chirurgia!

Un'altra causa del tumore di Poerio è l'estrema dieta. Però il signor Petre non dice se questa dieta sia volontaria o obbligatoria. Certo deve essere volontaria, o almeno ordinata dai medici, se no tutti i prigionieri soffrirebbero tumori, E se l'estrema dieta è ordinazione medica, che colpa ne ha il governo napoletano?

Però le circostanze della lunga detenzione e dell'estrema dieta furono ancora aggravate dalla collisione della catena. Si fece un'operazione a Poerio, e la catena non gli fu levata ni prima né dopo. Fatto schifoso e inumano I Ma, diteci, signor Petre: siete voi sicuro di quello che affermate? Il sig. Petre risponde che, se le sue informazioni sono esatte, la cosa è cosi. Aggiunge che egli erede che la cosa sia così, e sembra che la catena non fosse tolta al Poerio durante l'operazione.

Chi può contenere un giusto sdegno nel vedere trattate con tanta leggerezza le cose di governo? Che moralità ò questa che permette ad un diplomatico di calunniare un principe con dei se, con dei credo, con dei sembra? Il signor Petre scrisse da Napoli, ed aveva tutti i mezzi per appurare il fatto. Se l'ha voluto dare in modo cosi dubitativo, vuoi dire che è pienamente falso e che si astenne dal verificarlo, perché volea restare a bella posta nell'inganno per ingannare dipoi l'Inghilterra e l'Europa (1).

E che la cosa sia così lo dimostra il dispaccio medesimo del Petre là dove dice che Poerio ora trovasi in uno stato più soddisfacente. Come? La lunga detenzione continua, l'estrema dieta non è ancora cessata, la catena fatale non fa tolta, eppure il Poerio migliora! 0 non son vere adunque le circostanze, oppure non furono la vera causa della malattia.

Che un giornale ricorra a simili appigli è cosa tristissima, ma che vi ricorra nn diplomatico è cosa che non ha nome. Noi non abbiamo voluto cercare più in là: ci bastò il dispaccio del signor Petre per conchiudere che il Re di Napoli a proposito di Poerio è calunniato dall'Inghilterra, e terminiamo dicendo con un assennato scrittore: «Se il povero Poerio conoscesse quale giuoco si fa del suo nome, quali fini lo si fa mascherare, ei sarebbe per fermo il primo a svergognare una si vile ipocrisia (2)».

(1) Diremo più innanzi in queste Memorie come Petrucello detta Gattina confessasse che i pretesi patimenti di Poerio erano imi mito inventato pel trionfo della rivoluzione.

(3) Leggi Della situazione politica dell'Inghilterra e del machiavellismo da lei usato verso le Potenze £ Europa, e segnatamente verso la Francia, sua alleata nello guerra d'Oriente. Brusselle, 4 di novembre 4856, stampato in Genova, tipografia Giovanni Fassi-Como.

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IL RITORNO DEL CONTE VERDE

DALL'ORIENTE.

Nel carnevale del 1857 rappresentatasi da alcune maschere in Torino il ritorno del Conte Verde dall'Oriente, e l'Armonia nel suo n. 44 del 22 di febbraio stampava il seguente articolo.

libertini sono proprio disgraziati! Se essi vanno a rovistare pelle nostre storie per trame una. qualche memoria, favoriscono la buona causa, la causa del Cattolicismo e del Papato, in quella che divisano di combatterla. Ciò avviene dacché la storia di Casa Savoia è così compenetrata colla religione, che le nostre più belle glorie nazionali sono ad una nobilissime dimostrazioni di Cattolicismo, e di riverenza, e di affetto verso la S. Sede.

Quando si evocò Alessandria della Paglia come una protesta di libertinismo, non dorammo fatica a dimostrare che Alessandria, mentre ci ricordava una gloria italiana, ricordava eziandio, la stragrande potenza di un Papa, rimbecillite d'un. Principe che volea cozzare con lui, il terribile effetto d'una scomunica, il vantaggio sociale d'un monastero. E dicevamo allora che Alessandro col Papa, col monastero, colla scomunica, lasciò larga traccia di se pelle storie; mentre Alessandria coi cento cannoni non sarebbe mai altra che un pettegolezzo, il nostro pronostico già si sia avverando.

Ora è venuta la volta del Conte Verde. I rossi della Gazzetta del Popolo misero in campo la storia di Amedeo VI, ed oggi ci danno in mascherata il Conte Verde, che ritorna dalla spedizione d'Oriente, Ma siccome non hanno raccontalo tutta intera vittoria al nostro popolo, così suppliremo noi alle loro ammissioni, e ai farà manifesto quanto a ragione il Piemonte dovrebbe desiderare il ritorno del secolo degli Amedei.

Il fine precipuo, che indusse il Conte Verde alla spedizione in Oriente, si fu il desiderio di proteggere la religione cattolica contro i falsi principii del Corano, e ricondurre nel cristianesimo quell'unità di fede e di carità, per mancanza delle quali la Chiesa Greca era divisa dalla Latina. L'odio all'eresia ed allo scisma, l'amore e riverenza alla Sede di Pietro armavano il braccio del valoroso Amedeo VI,

Il quale, scrive Pietro Data, «non avere interesse alcuno suo particolare che lo movesse; non bramava di dilatare suoi domimi.... non avea convenzione, che lo obbligasse di armarsi a favore dell'Imperatore Greco. Operò In lui i(bene della religione e i vincoli di consanguineità, che lo collegavano con Giovanni Paleologo Conosceva egli quanto importasse ed alla religione ed all'umanità il liberare la Grecia dalle armi musulmane; né furono deluse le intenzioni di Amedeo VI, le quali erano conformi ai voti di Urbano V» (1),

Di fatto il conte Verde, presa Mesembria, Lassillo e Lemona, assediata Varna, ottenuta dal Re dei bulgari la liberazione di Giovanni Paleologo, fatte parecchia conquiste sopra i Turchi, il 4 di giugno del 1307 levava l'ancora dal porto

(1) Spedizione in Oriente di Amedeo VI, Conte di Savoia, Torino,4826, pag.171.

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di Costantinopoli per ritornerò io Italia, e giungeva nelle acque di Venezia l'ultimo giorno di luglio.

E qui è da sapere come l'Imperatore. Giovanni Paleologo, ad istanza del Conte di Savoia, ai (base disposto ad inviare un'ambasciata ad Urbano V, la quale, gli notificasse, la ferma sua intenzione di recarsi nella prossima primavera a' tuoi piedi per abiurarlo sciama, che disuniva la Chiesa Greca dalla Latini. Abbiamo dal Raynaldi, ohe otto erano gli ambasciatori dell'Imperatore Greco, co' quali doveano aggiungersi il conte Amedeo ed il Patriarca cattolico di Costantinopoli (1).

Giunto adunque il Conte. Verde in Venera, si dispose a partire per Roma affine di presentare i greci ambasciatori ad Urbano V, e nel medesimo tempo per notificargli la buona riuscita della, sua spedizione in Oriente. L'8 di ottobre egli era in Viterbo, dove pure trovavasi Urbano V, che trasportava A quei giorni la Sede Pontificia da Avignone a Boma,

E questo è pure un punto che vogliamo ricordato agli uomini della Gazzetta del Popolo, Urbano l'era il sesto Pontefice che vivesse, in Avignone, e senza Papa, di giorno in giorno immiseriva, e il popolo romano piangeva la sua cattività. Quando Urbano tornò in Italia, tutte le popolazioni lo accolsero con grandi feste, e sudditi e principi andarono a gara per onorare i Vicario di Gesù Cristo (2). Laonde l'epoca del Conte Verde che oggidì si ricorda, è un argomento del gran bisogno che hanno Roma e l'Italia del Papa.

Arrivato pertanto il Conte di Savoia a Viterbo, presentò al Sommo Pontefice gli ambasciatori del greco Imperatore. Urbano l'accolse favorevolmente quanto dai medesimi gli fu promesso a nome di Giovanni Paleologo, e distinse in modo particolare il Principe di Savoia, come quegli che avea col suo valore apportalo vantaggio alla religione nelle desolate contrade dell'Oriente. Il Sommo Pontefice, scrive il Data, concesse in questa circostanza ad Amedeo VI quei beni spirituali che dal medesimo gli furono domandati, tanto a favor suo, quanto a favore di quelli che seco avevano militato» (3).

E siccome parecchi compagni del Conte Verde erano incorsi in certe censure ecclesiastiche, così ne chiesero e ne ottennero dal Sommo Pontefice l'assoluzione. Imperocché quei nobilissimi cavalieri conoscevano l'antico valore degli Italiani, che era di misurarsi co' nemici e salvar la patria; non il moderno valore degli italianissimi, che è ridere delle cose pili sante, e disprezzare le scomuniche.

Da Viterbo il conte Amedeo passò a Roma, e vi arrivò a mezzo ottobre (4). Il senatore, che a nome del Pontefice governava Roma, e gli uffiziali municipali furongli incontro accompagnati da dieci menesteriis (5).

(1) Annal. Eccles., ad ann.4367.

(2) Muratori, Annali d'Italia, ann.4367.

(3) Spedii, in Orient., pag.467.

(4) Muratori, Annali d'Ital. , ann.4367.

(5) La parola Menesteriis significa qui servienti di giustizia. (Roquefort, Glossaire de la langue romaine).

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Anche Urbano V era giunto nell'eterna città, e il Pontefice ed il Conte vi dimorarono insieme parecchi giorni con santa corrispondenza d'affetti.

Preso commiato dal Sommo Pontefice, Amedeo VI partì da Roma per ritornare ne' suoi Stati. Al 27 di ottobre trova vasi in Civitavecchia, e passando per Perugia, Firenze, Bologna, Mantova, arrivò il 14 di novembre a Pavia, e attraversando gli Stati del Duca di Milano giunse il 24 di novembre a Vercelli. e Non constami, scrive il Data, che il conte Amedeo sia passato nei domini piemontesi soggetti ai Principi d'Acaia» (1) Al 10 di dicembre dell'anno 1367 egli era in Ciamberì per prendere riposo in seno della sua famiglia, fra li suoi diletti sudditi.

Ora se la storia ba da servire non già per argomento di mascherate, sibbene per istruzione e norma dell'operare, dobbiamo imparare dal Conte Verde le seguenti verità:

1° Un buon principe dee difendere la religione cattolica da' suoi nemici interni ed esterni;

2° Un buon principe nelle sue intraprese non dee essere mosso da basse ragioni d'interesse;

3° Un buon principe nelle cose di religione dee dipendere dal Papa, come il Conte Verde dipendeva da Urbano V;

4° E finalmente i principi più. grandi di Casa Savoia furono i principi più cattolici.

(1) Spediz. in Oriente, pag.470.

FINE PRIMO VOLUME.

INDICE DELLE MATERIE

Agricoltura negli Stati pontifici e impudenza della Gazzetta Piemontese, p. 137.

Appello ab abusu, rimedio economico, p. 95.

Assassinio di Monsignor Sibour Arcivescovo di Parigi, p,206. Particolari su detto assassinio, p. 208. Condanna dell'assassino, p. 214.

Austria. L'Austria in Italia e l'avvocato Ferdinando dal Pozzo, p. 140.

Bilancio Toscano pel 1857, p. 234.

BonCompagni, ministro dell'istruzione pubblica nel 1848, p. 21.

Briganti. Ipocrita circolare al Clero nel 1863 per ottenere gli aiuti contro i così detti briganti, p. 318.

Cannoni. I cento cannoni per Alessandria, p. 412.

Canonichesse Lateranensi di S. Croce, discacciale da Torino, p. 32.

Carlo Alberto. Anniversario della sua morte, p. 145. I regicidii di Carlo Alberto ossia storia del Piemonte dai primi tempi alla pace di Parigi, p. 163.

Cattolicismo. Processo contro il Cattolicismo nella Camera dei Deputata nell'anno 18579 p. 224.

Cavour conte Camillo nell'anno 1850 è chiamato a far parte del Ministero, p. 23. Svillaneggia la memoria di Giuseppe De Maistre, p. 34. Si gloria d'aver indotto il Papa a costrurre strade ferrate, p. 38. Nel Congresso di Parigi, p. 44, 53, 56, 59. Reduce da Parigi è creato cavaliere della SS. Annunziata, p. 49. Sua politica, p. 62. Dipinto da' suoi colleghi, p. 65. Medaglia e indirizzo che gli offrirono i Romani, p. 104. La medaglia del conte di Cavour e i Romani di Torino, p. 244. Il conte di Cavour si finge nemico della rivoluzione, p. 248.

Certosa di Collegno, p. 32.

Charvaz M. Vescovo di Pinerolo, rassegna le sue dimissioni, p. 49.

Ciarlatani, V. Ministri.

Clero. L'unità del Clero e l'anarchia dei Libertini, p. 89. Una circolare del Guardasigilli Deforesta e di Rattazzi Ministro dell'Interno contro il Clero, p. 93. Il rimedio economico dell'Appello ab abusu, p. 95. Circolari contro il Clero cattolico, spedite dai Ministri che governarono in Torino dal 1848 al 1863, da peg.257 a pag.324.

Conforti Raffaele Guardasigilli nel 1862. Sue circolari contro il Clero, p. 298, 299. Osservazioni sulla precedente circolare, p. 304.

Congresso di Parigi nell'anno 4856, p. 38. L'Italia nel Congresso di Parigi, p. 44. Lt questione della stampa, p. 46.1 plenipotenziarii Sardi e le Legazioni, p. 52. Teoria degli interventi, p. 56. La coscrizione militare negli Stati pontificii, p. 59. Il Congresso di Parigi e le Società segrete, p. 77. L'appello alla rivolta dei plenipotenziari piemontesi al Congresso di Parigi, p. 80.

Conte Verde. Il ritorno del conte Verde dall'Oriente, p. 378.

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Coscrizione militare negli Stati pontificii, p. 59.

Discorsi della Corona in Piemonte, p. 139.

Ecclesiastici imprigionati o perseguitati, p. 23, g£.

Exequatur. Decreto del Guardasigilli Pisanelli nell'anno 1863 che pospone all'exequatur tutto ciò che viene dal Capo della Chiesa, p. 314. Rimostranza dei Vescovi napoletani contro il decreto del R. exequatur, p. 312

Francia. La Francia e le Società segrete, p. 140.

Fratelli delle Scuole Cristiane e il Municipio et Torino, p. 184. Perché si odiano i Fratelli delle Scuole Cristiane? p. 202.

Garibaldi vien fuori dopo il Congresso di Parigi, p. 143.

Gazzetta. Una curiosa polemica tra la Gazzetta Ufficiale di Milano e la Gazzetta Piemontese nell'anno 1857, p. 234.

Gesuiti espulsi da Torino', da Genova ecc, nell'anno 1848, p. 19, 20.

Grandi t piccoli, p. 98.

Inghilterra. L'Inghilterra e la Rivoluzione Italiana, p. 107. L'Inghilterra e la Sicilia p. 157.

Insegnamento. Legge nell'anno 1848, p,21. Circolare con cui Gioia ministro sopra la pubblica istruzione pretende di governare l'insegnamento teologico, p. 267. Risposta dei Vescovi della Savoia al ministro Gioja, p. 268. Nuova circolare del Gioia contro le scuole di teologia, p. 269, Bestemmie contro la Teologia nel Parlamelo Subalpino dette il 28 gennaio 1857 p,373.

Intervento diplomatico-rivoluzionario-armato, p. 3, Principio del non intervento, p, 5.

Intervento della Divina Provvidenza in favore di Pio IX, p. 9. La teoria degli interventi, p. 56.

Legazioni pontificie, p. 52. Le Legazioni e il Piemonte, p. 72. Restituzione delle legazioni al Papa, p. 74.

Libertà della stampa concessa a tutti, fuorché ai Vescovi, p. 19, 26.

Margotti T. Giacomo, redattore capo dell'Armonia, proditoriamente colpito il 27 gennaio 1856, p. 15. Il 4 febbraio ritorna ai suoi lavori, p. 16.

Matrimonio civile nel 1851, p. 25,27. Circolare del ministro Pernati contro i sacerdoti che raccolgono petizioni al Parlamento affine d'impedire l'approvazione del disegno di legge sul matrimonio civile, p. 271.

Mìglietti Ministro di grazia e giustizia nel 1861, da una circolare che è un libello famoso contro l'episcopato italiano, p, 292. L'episcopato rispose, p, 296.

Milano il Regicida. Sua apoteosi, p. 222.

Minghetti Marco, Ministro dell'interno nel 1864, esorta i preti a ribellarsi agli ordini dei proprii Vescovi, p. 291.

Ministeri nominati in Piemonte dopo la pubblicazione dello Statuto, p. 131.

Ministri. I Ministri, i Ciarlatani, p. 242.

Modena. Intervento del Piemonte nel Ducato di Modena, p. 120. Cenni sullo Stato Estense, p. 254.

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Monarchia Sabauda, p. 104.

Napoli. Il Re di Napoli e il suo Governo, p. 125. La questione napoletana, p. 143. Contraddizioni diplomatiche sulle cose di Napoli, p. 147. Analisi dei documenti relativi alla quistione Napoletana, p. 150. Il Moniteur di Parigi e la questione Napoletana,p. 153. L'Inghilterra e la Sicilia, p. 157. Primi attentati di Napoleone III contro il Re di Napoli, p. 160. Attentati in Sicilia, p. 172. Rivoluzione siciliana, p. 172. Attentato contro il Re di Napoli, p. 175. Le lodi di Ferdinando II Re di Napoli dette nel Parlamento inglese il 3 febbraio 1857, p. 237. Carlo Poerio, il Governo Inglese ed il Napoletano nel 1857, p. 376.

Nizza. Declamazioni contro il Vescovo nell'anno 1848, p. 20.

Novalesa. Il monastero della Novalesa negli anni 719, 1856 e 1863, p. 493.

Opere pie. Circolare del Ministro dell'interno Ubaldino Peruzzi nell'anno 1862, contro le opere pie, p. 304.

Piemonte. Le Legazioni e il Piemonte, p. 72. Intervento del Piemonte nel Ducato di Modena, p. 120. I regicidi di Carlo Alberto ossia storia del Piemonte dai primi tempi alla pace di Parigi, p. 163. Cronaca piemontese dell'unno 1856, p. 246.

Pio IX Sommo Pontefice. Sua allocuzione del 1 novembre 1850, p. 24. Sua lettera del 10 settembre 1852 a Vittorio Emanuele II, p. 27. Sua protesta del 29 giugno 1851 contro il Governo piemontese, p. 18. Sua allocuzione del 21 gennaio 1855, p. 34. Sua carità in vantaggio degli mondati di Francia nel 1856, p. 86. La sua parola, ossia il dolore, la gioia e la speranza della Chiesa, p. 184. Circolare del 22 gennaio 1855 contro l'Allocuzione del S. p. Pio IX, p. 280.

I quattro viaggi di Pio IX, p. 325. Da Roma a Gaeta e Portici nel 1848 e 1849, p. 327. Da Portici a Roma nel 1850, p. 319. Da Roma per l'Italia Centrale, p. 337. Del quarto viaggio di Pio IX nel 1863, p. 346. Ospedali visitati da Pio IX nel suo viaggio del 1857, p. 353. Di alcune Largizioni del S. Padre Pio IX nel suo viaggio del 1857, p. 355. Assegni ed aumenti di pensioni, p. 357. Episodii del viaggio di Pio IX nel 1863, p. 359. Una testimonianza non sospetta sul viaggio del S. Padre Pio IX nel 1863, p. 361. Iscrizioni dettate in occasione del viaggio della Santità del N. S. Pio IX per l'Italia centrale. Neppi e Civita Castellana, p. 363. Magliano, Narni e Spoleto, p. 364. Fuligno, p. 365. Spello e Camerino, p. 366. Perugia e Macerata, p. 367. Loreto, p. 368. Porto di Civitanova, Fermo e Ancona, p. 369. Senigallia, p. 372.

Pisanelli guardasigilli nell'anno 1863, cerca associati ad un giornale avverso alla causa del S. p. Pio IX, p. 306. Scrive ai sacerdoti ribelli di Lombardia, p. 307. Suo Avviso d'asta per lo spaccio dei benefizii ecclesiastici in Sicilia, p. 309. Circolare contro i preti che non hanno cantato nella festa dell'unità italiana e proibizione che non vengano nominati parrochi, p. 309. Decreto che sottopone all'exequatur tutto ciò che viene dal capo della Chiesa, p. 314. Circolare con cui si dichiara che i preti non sono obbligati a dire certi Oremus mentre molti sacerdoti vennero processali e condannati per averli ommessi, p. 320. Circolare da cui risulta che vuoi prender in mano l'amministrazione delle parrocchie, p. 321.

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Plezza Giacomo, Ministro dell'interno. Sua circolare ai parrochi, p. 261.

Protestanti. Movimento protestante in Italia, p. 83. Risposta di Vittorio Emanuele Ila un indirizzo protestante, p. 178.

Quaresima. Circolare contro le bolle della quaresima, p. 349.

Rattazzi Ministro di grazia e giustizia nell'anno 1848 intima ai Vescovi di conformarsi alle viste, intenzioni e deliberazioni del Governo, p. 263. Nel 1853 vuoi mettere la mano sui beni delle parrocchie, p. 278, Nel 1856 scrive una circolare contro il Clero avverso al Governo, p. 92. Nel 1857 esorta i Sindaci a sopravegliare affinché i parrochi non vendano i vasi sacri d'oro e d'argento, p. 285 e 287.

Religiosi. Statistica degli ordini religiosi nel regno di Sardegna prima della legge di soppressione del 29 maggio 1855, p. 187. Circolare del Ministro dell'interno conte di S. Martino nel 1853, con cui si prepara la soppressione degli ordini religiosi, p. 275.

Ristorazioni antiche (dopo la rivoluzione di Francia del 1789), p. 44.

Rivoluzione L'appello alla rivolta dei plenipotenziarii piemontesi al Congresso di Parigi, p. 80. L'Inghilterra e la rivoluzione Italiana p. 107. Attentati rivoluzionari in Italia, p. 116. Rassomiglianze tra la rivoluzione Francese e l'Italiana, p. 169.

Sicilia. L'Inghilterra e la Sicilia, p. 157. Attentati in Sicilia, p. 172. Rivoluzione Siciliana, p. 172.

Società secrete. La Francia e le Società secrete, p. 140.

Soppressione dei Gesuiti e delle Dame del Sacro Cuore nel 1848, p. 20.

Stampa. La questione della stampa nel Congresso di Parigi, p. 46.

Storie dei nostri tempi, p. 42.

Torinesi antichi e moderni, p. 102

Trattato di Tolentino, p. 69.

Tribolazioni della Chiesa in Piemonte dal 1847 al Congresso di Parigi, p. 49.

Vescovo d'Acqui, p. 24. D'.Alghero, p. 25. D'Asti, p. 22, 24. di Cagliari, p. 22, 23. Di Mondovì, p. 24. Di Nizza, p. 20. Di Pinerolo, p. 49. Di Saluzzo, p. 22. Di Sassari, p. 23. Di Torino, p. 22, 23, 25, 34, 32. Di Tortona, p. 21. Di Vercelli, p. 20.













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