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CRONACA
DEGLI AVVENIMENTI DI SICILIA
Da' 4 aprile a' principii d'agosto 1860
con l'aggiunta de' fatti posteriori fino a marzo 1861
ESTRATTA DA DOCUMENTI
ITALIA 1863
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MERCOLEDÌ 3 OTTOBRE.

Spontaneo servizio militare de' regii.

Fatto lo esame su' registri militari, e rilevato il numero de' molti soldati, che han diritto a congedo per compito impegno, vengono questi interrogati sul proposito; ma tutti unanimemente rispondono di voler rimanere nella cittadella al servizio del re fino a guerra finita. Lodevole attestato di fedeltà, e di attaccamento al sovrano! (1).

GIOVEDÌ 4 OTTOBRE.

Gala pel reale onomastico.

Con entusiasmo cordiale si solennizza dalle truppe della cittadella l'odierno onomastico del re. Il sergente Emilio Pagano del 2 battaglione del genio declama un suo elegante componimento poetico intitolato il Disertore, che riscuote le generali acclamazioni.

VENERDÌ 5 OTTOBRE.

1. Con decreto dittatoriale e oggi soppresso il ministero di Stato per la Sicilia in Napoli, u cui archivio si riunisce, secondo i vari suoi rami, agli archivi delle segreterie di Stato residenti a Palermo: gl'impiegati son messi in disponibilità, e dopo un regolare scrutinio riceveranno dal prodittatore di Sicilia quel posto, che questi crederà conveniente.

Convocazione dell'assemblea, e non del plebiscito in Sicilia: ira de' fautori del Piemonte.

2. Il prodittatore Mordini pubblica oggi in Palermo il seguente decreto: - "Considerando che i progressi delle armi italiane ravvicinano sempre più il giorno per costituire il regno d'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emmanuele. - Considerando essere perciò conveniente, che la Sicilia si trovi preparata a pronunziare anche essa il suo

(1) Con reale rescritto de' 27 novembre comunicato dal ministro della guerra in Gaeta vengono tutti decorati della medaglia di argento del real ordine di Francesco II; ed encomiata altamente la condotta della guarnigione.

268 (5 ottobre)

voto per entrare in seno alla gran famiglia italiana. Decreta, e promulga art. - 1. collegi elettorali costituiti a' termini del decreto dittatoriale de' 25 giugno 1860 sono convocati pel giorno 21 ottobre corrente, ad oggetto di eleggere i rispettivi loro deputati nel numero stabilito dall'art. 4 del sudetto decreto. - (Sieguono altri 12 articoli che regolano le minute particolarità delle elezioni) - art. 14. Un altro prossimo decreto indicherà il giorno ed il luogo in cui i deputati eletti si debbono riunire in ASSEMBLEA nella città di Palermo".

La pubblicazione di questo decreto eccita la indegnazione de fautori del Piemonte, i quali veggono nell'assemblea un inceppamento, e paventano, che ogni indugio alla bramata annessione potesse rendere avvertite le popolazioni su' rigiri e su gl'inganni che si praticano a danno delle medesime, e giovare alla causa della sovranità legittima. Quindi per mezzo di plateali dimostrazioni, e del giornalismo ad essi devoto, mentre fanno plauso al prodittatore Pallavicino, che in Napoli ha adottato il facile sistema del plebiscito, altronde si scagliano acerbamente contro il Mordini, cui attribuiscono, che in Sicilia, a protrarre il suo malgoverno, interponga dilazioni all'annessione, e produca inquietanti perplessità. - Si schiamazza quindi per avere il plebiscito (1).

Lotta di partiti, e duello di astuzie tra Cavour, e Garibaldi.

3. Cavour ne' giornali piemontesi al suo servizio fa dire quanto le sue viste politiche differissero da quelle di Garibaldi, dal quale insinua doversi allontanare tutti i proseliti della fusione italiana, essendo pericolosa la ulteriore dittatura del medesimo; ed insiste su la necessità dell'annessione immediata del reame delle due Sicilie al Piemonte.

(1) Si vedrà sotto la data de' 15 a'21 corrente, che Mordini rivoca l'odierno decreto, e ne pubblica un altro pel plebiscito. Gli annessionisti pubblicano un opuscolo intitolato: "Su la presente condizione della Sicilia, lettera al deputato De Preti, che è un caldo appello contro l'attuale governo dell'isola di Sicilia, ed una fervida invocazione della pronta annessione: se ne distribuiscono gli esemplari a' deputati nella tornata de' 9 corrente, in Torino.

(5 ottobre) 269

Per mezzo de' suoi agenti fa inculcare da per tutto queste sue idee a' partigiani della unità.

Intanto fin da' 2 di questo mese il sig. Odo Russell, diplomatico inglese residente a Roma, scrive al suo governo in Londra: "che l'antico entusiasmo per Garibaldi è scemato, e la confidenza in Cavour è aumentata" . Garibaldi altronde circondato da' capi della rivoluzione d'ogni parte di Europa si burla di questi artifizi, e compone i suoi ministeri di Sicilia, e di Napoli per la maggior parte di mazziniani, minaccia di pubblicare tutti i documenti compruovanti la piena complicità del governo sardo nella invasione delle due Sicilie (1).

Ma questi dissensi, cui aggiuntesi l'anarchia e la reazione sempre più crescenti in Napoli, facendo temere agl'interessati, che la causa della unità italica avesse a morire sul nascere, fanno convergere gli sforzi da ogni parte per conciliare Cavour, e Garibaldi. Costui, dopo la battaglia de' 19 settembre dinanzi Capua, ha capito quanto sieno deboli le sue forze a fronte di truppe agguerrite e disciplinate; come gli sia impossibile la leva di nuovi uomini in Sicilia, per l'avversione di quelle popolazioni al servizio forzoso militare, e come sia svanito Io zelo de' volontari ad accorrere sotto le sue bandiere; le sue file si assottigliano per uccisi in guerra, e per malattie; d'ordine di Cavour è vietata ogni ulteriore spedizione non solamente, ma per non perdere il frutto di tanti intrighi, fa accostare per gli Abruzzi le truppe sarde con Cialdini, e per mare la flotta di Persano, pronti ad invadere il reame, ove i disordini son tali, che minacciano completa disorganizzazione.

Sono questi gli argomenti, che inducono Garibaldi a consentire all'annessione, a modificare il ministero, far partire Bertani per Genova, ed a pubblicare un manifesto nel quale si giustifica, e spiega in qual modo egli intenda l'annessione al Piemonte, senza più mentovare la guerra immediata contro Roma (come aveva predicato a Palermo a' 17 del passato mese): - "Spieghiamoci chiaramente (dice nel manifesto)

; noi abbiamo bisogno d'una Italia unita, e di vedere tutte le sue parti aggruppate in una

(1) Vedi Times de' 17 settembre ultimo, ed il giornale des Débats. 270 (5 e 6 ottobre)

sola nazione, senza Testar traccia di municipalismo. Noi non possiamo consentire che mediante parziali, e successive annessioni, l'Italia sia a poco a poco inviluppata nel municipalismo legislativo e amministrativo del Piemonte. Che il Piemonte diventi adunque italiano, come han fatto Sicilia e Napoli; ma che l'Italia non divenga piemontese. Vogliamo noi stessi riunirci alle altre partì d'Italia, che si uniranno pari menti a noi con eguaglianza e dignità. Non debbono dunque imporci le leggi ed i codici, che sono ora specialmente propri del Piemonte (1). Le popolazioni, che col sangue han fatto trionfare una idea, non sono simili a' paesi conquistati, ed hanno diritto a crearsi i loro codici, e le loro leggi... Così pensa, e deve pensare per la salute d'Italia chiunque è italiano. - "In questo modo cerca egli lusingare i popoli delle due Sicilie; dissipare le nubi che lo inviluppano; propiziarsi i fusionisti: resta però un passo addietro, non facendo menzione del tempo, in cui effettuirebbe l'annessione delle due Sicilie al regno italico; silenzio calcolato per non lasciare la dittatura. Né ciò gli impedisce di far esiliare contemporaneamente Filippo Cordova divenuto antipatico a Crispi per le manovre annessionista; ed altresì di permettere a Mazzini la pubblicatone di un manifesto nel senso che gli è proprio.

SABATO 6 OTTOBRE.

Il governo piemontese aggiunge la beffe al danno.

1. Cavour dirige la seguente nota diplomatica al barone Winspeare regio rappresentante della real Corte di Napoli a Torino: - "Signor Barone. - I fatti accaduti in Napoli negli ultimi mesi han determinato il governo del re ad inviare in quel porto alcuni vascelli di guerra con truppe da sbarco per la protezione de' sudditi sardi. D'allora la situazione degli affari ha peggiorato; il re Francesco II ha abbandonata la sua capitale, ed ha abdicato quasi di fatto al cospetto de' suoi sudditi. La guerra civile che ferve sul territorio napolitano, e la mancanza di un regolare governo fanno correre gran pericolo a' principi su i quali riposa l'ordine sociale.

(1)

Si contraddice, o dimentica, che egli ed i suoi hanno già fatto pubblicare e rendute esecutive nelle due Sicilie varie leggi organiche del Piemonte, pag. 234. 243. di questa cronaca.

(6 e 7 ottobre) 271

In questa congiuntura la città ed i corpi costituiti di Napoli han fatto pervenire a S. M. il re Vittorio Emmanuele petizioni ricoverte di gran numero di firme, per implorare il soccorso di questo principe, al quale la Provvidenza ha data la missione di ricostituire, e pacificare l'Italia. Pe' doveri impostigli da tale missione, il re mio augusto sovrano ha ordinato l'invio a Napoli di un corpo di truppe. Codesta misura mettendo termine ad uno stato di cose, d'onde possono risultare l'anarchia e il disordine, salverà l'Italia, e l'Europa da' più gravi pericoli, e farà cessare la effusione del sangue italiano. Adempiendo il dovere di informarne V. E. colgo la occasione di rinnovarle i sentimenti della mia perfetta considerazione." - CAVOUR.

Col solo confrontare queste espressioni co' documenti finora riportati, si avrà un caso raro, per non dire unico nella storia.

Blocco di Messina.

2. Con decreto dittatoriale si ordina, che fra 8 giorni da oggi, saranno messe in istato di blocco effettivo la cittadella di Messina, e la città e fortezza di Gaeta.

DOMENICA 7 OTTOBRE.

Decreto dittatoriale.

1. Affinché i prodittatori di Sicilia, e di Napoli nella prossima votazione per l'annessione sieno investiti de' poteri convenienti, oggi Garibaldi con decreto da Caserta restituisce loro tutti i poteri che si era riserbati con precedente atto dittatoriale de' 16 settembre.

Risposta del plenipotenziario napoletano alla nota sarda.

2. Il barone Winspeare ministro napoletano a Torino con la seguente nota risponde alla partecipazione fattagli jeri dal Cavour:

"Eccellenza. - La occupazione per parte delle truppe piemontesi nel reame delle due Sicilie annunciatami da lei, è un fatto così apertamente contrario alle basi di ogni legge e di ogni diritto, che sembrerebbe quasi inutile intrattenersi a dimostrarne la illegalità: i fatti precedenti a questa invasione, ed i legami di parentela, e d'amicizia intimi ed antichi che esistevano tra le due Corone, la rendono così

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straordinaria, e così nuova nella storia delle nazioni moderne, che lo spirito generoso del re mio augusto signore si ricusava a crederla possibile, ed effettivamente nella protesta, che il suo ministro degli affari esteri generale Casella dirigeva a' 16 settembre ultimo da Gaeta a tutti i rappresentanti delle Potenze amiche, era chiaramente dimostrato, che S. M. aveva la. confidenza di non potersi mai sanzionare dal re del Piemonte gli atti usurpatori compiuti sotto l'egida del suo real nome in seno della capitale delle due Sicilie. - È egualmente superfluo per me il cercare di dimostrare, che questa protesta solenne, unita a molti proclami del mio augusto sovrano, ed agli sforzi eroici fatti sotto le mura di Capua, e di Gaeta, rispondono incontestabilmente allo strano argomento della presupposta abdicazione di fatto di S. M., che io sono rimasto sorprese di leggere nella sudetta di lei comunicazione. - L'anarchia ha trionfato negli Stati di S. M. siciliana, per effetto d'una scapestrata rivoluzione, di cui, dal primo istante, tutti chiaramente prevedevano i disordini futuri, ed alla quale il re mio signore proponeva da gran tempo, ma invano, a S. M. il re di Sardegna di opporre, di comune accordo, una diga, onde essa non potesse traripare, e non mettesse in pericolo co' suoi eccessi la vera libertà, ed indipendenza d'Italia. - A questa ora fatale, in cui uno Stato, che conta 10 milioni a anime, difende con le armi alla mano gli ultimi avanzi della sua storica autonomia, sarebbe ozioso ricercare per opera di chi questa rivoluzione sia stata fortificata al punto di divenire un colosso, e come abbia potuto giungere ad effettuare la più gran parte delle distruzioni, che aveva progettate. La Provvidenza Divina, di cui ella ha invocato il santissimo nome, pronunzierà tra poco i suoi decreti nell'ora della lotta suprema; ma quali che sieno questi decreti definitivi, la benedizione del cielo non discenderà certamente su coloro, che si dispongono a violare i grandi principi dell'ordine sociale e morale, spacciandosi come esecutori d' un comando divino. La coscienza pubblica, quando non sarà più schiacciata sotto il giogo tirannico delle passioni politiche, saprà fissare il vero carattere d'una impresa usurpatrice, cominciata con l'astuzia, e compiuta con la violenza. L'accoglienza cortese fattami da questa generosa e leale popolazione, di cui vivrà sempre la memoria nel mio

(7. 10. 12. 15. a 21 ottobre) 273

cuore, mi vieta innoltrarmi nella severa critica degli atti del governo di S. M. sarda; ma V. E. vorrà bene rendersi conto, che ogni ulteriore soggiorno a Torino del rappresentante di S. M. siciliana sarebbe incompatibile con la dignità della M. S., ed altresì con gli usi internazionali. Ecco perché protestando solennemente contro l'anzidetta occupazione militare, e contro ogni usurpazione de' sacri diritti di S. M. il re del regno delle due Sicilie, mio augusto padrone, al quale rimane salvo il libero esercizio del sovrano potere di opporsi con tutti i mezzi, che crederà convenienti a codeste ingiuste aggressioni ed usurpazioni, ed altresì fare i pubblici solenni atti i più utili alla legittima difesa della sua corona, io mi dispongo lasciare questa residenza appena avrò regolati alcuni interessi particolari di S. M. relativi alla successione dell'augusta sua madre di santa memoria. Pria di partire avrò l'onore di presentare a V. E. il sig. de Martino, che sarà semplicemente incaricato trasmetterle le comunicazioni, che il governo del re mio signore potrà essere al caso di dirigere al governo di S. M. sarda etc. etc.

MERCOLEDÌ 10 OTTOBRE.

Decreto dittatoriale su gl'impiegati siculi.

Gl'impiegati siciliani, che appartennero al soppresso ministero di Sicilia o ad altro ufficio, continueranno a ricevere il soldo, finché non sarà disposto definitivamente sul loro conto. Essi correranno eguale sorte con gÌ impiegali delle segreterie di Stato di Palermo per la collocazione in altro posto." G. GARIBALDI.

VENERDÌ 12 OTTOBRE.

Ingresso delle truppe sarde col loro re nelle frontiere del reame.

Per la frontiera degli Abruzzi entra oggi sul territorio del reame delle due Sicilie il re Vittorio Emmanuele con le truppe piemontesi, preceduto dal noto proclama a' popoli dell'Italia meridionale de' 9 di questo mese da Ancona.

DA'15 A'21 OTTOBRE.

Plebiscito: come giudicato dalla stampa, e dalla diplomazia.

Per precipitare l'annessione in Sicilia, non si tiene più conto della già decretata Assemblea; ma il Mordini,

274 (21 ottobri)

inchinandosi al prevalente partito degli annessionisti fortificato dalle truppe sarde, che han già invaso il reame, dice con telegramma a Garibaldi in Napoli: - "ho dato l'ordine di pubblicarsi il decreto del plebiscito pe' 21 corrente, con le formalità di Napoli": - e quindi emana un proclama a' siciliani, onde si apparecchino al grande atto, il cui merito è dovuto a Garibaldi, che egli paragona a Washington: accenna però, di esser pronto a depositare il potere affidatogli appena arriverà il rappresentante di re Vittorio Emmanuele.

A' 21. Il risultamcnto del plebiscito è per tutta Sicilia, voti 432054 pel sì, e 666 pel

: per la sola Palermo gl'inscritti sono 40508; votano 36267, de' quali 36232 pel sì; 20 pel nò, voti nulli 15. Questa giornata è funestata da eccidi e disordini in tutto il reame. La stampa contemporanea di ogni colore confessa, che il suffragio universale raccolto in questa occasione non è altro, che la maschera dello arbitrio fazioso e del dispotismo settario (disc. di lord Normanby cam. de' lordi, 1 marzo 1861).

"Il popolo delle due Sicilie, dopo molti giorni di governo dittatoriale, stanco di vivere cosi libero, corse a' comizi: tra quelli che volarono pel né, vi fu chi ricevè colpi di coltello." (Gazzetta di Genova)

. - Il primario organo di pubblicità di una gran potenza, che ha guardato con simpatia i fatti compiuti del Piemonte, dice: - "sembrargli impossibile la unità italiana (mercé tale suffragio) che è piuttosto una frase entusiastica, e non mai idea di filosofia politica: si dica pure esser pregiudizio da non curarsi il sentimento autonomico di ognuno degli Stati annessi; ma i popoli debbono considerarsi come sono, e guardarsi dal disprezzare i loro pregiudizi, sopratutto se riposano su qualche fondamento, come è il caso della Italia, dove di fatti vi è più differenza tra napoletano e piemontese, che tra francese ed inglese; tanto sono diversi i loro usi, il loro carattere, le loro leggi, le loro istituzioni!" (Times, corrispondenza di Napoli 21 novembre, e 8 dicembre 1860).

Ecco poi come ne giudica la diplomazia amica: - I. "Vi è nel reame, e sopratutto nella capitale, un grandissimo numero di persone illuminate, che desiderano la separazione ed autonomia delle due Sicilie; ma nullameno questi separatisti di cuore sono forzati

(21 a 30 ottobre) 275

di votare per l'annessione; e nel fatto la formola del voto, e il modo di raccoglierlo sono disposti in modo da assicurare la più gran maggioranza possibile per l'annessione, ma non mai a constatare i desiderii reali del paese.

" (Dispaccio di sir Elliot da Napoli 16 ottobre 1860 a lord Russell in Londra).

- II. "Il risultato della votazione di Napoli, e' di Sicilia non rappresenta, secondo calcoli certi, se non i diciannove appena tra cento votanti designati; e ciò in onta di tutti gli artifizi e violenze usate." (ivi, disp. 10 novembri).

-

III. "Non ho fatta alcuna comunicazione officiale de' decreti, che mi avete spediti concernenti l'annessione di Napoli e Sicilia, dell'Umbria e delle Marche, più alla Sardegna, che al regno d'Italia. In verità i voti con suffragio universale, che hanno avuto luogo in questi paesi, sembrano di poco valore al governo di S. M. la regina della Gran Brettagna. Essi non sono, che una formalità succeduta ad atti d'insurrezione popolare e di fortunata invasione...

" (Disp. di lord Russell da Londra 21 gennaio 1861 a sir Hudson a Torino).

DA' 21 A' 30 OTTOBRE.

Apoteosi di Garibaldi. - Lettera di Cavour. - Grazia, e pena.

Con decreto de' 21, segnato da Mordini, e da tutti i segretari di Stato di Sicilia, si ordina: - "La stanza da letto occupata dal generale Garibaldi in Palermo nel padiglione annesso al palazzo reale sopra Portanuova sarà conservala in perpetuo nello stato, in cui presentemente si trova, e co mobili, di cui è attualmente fornita. In una tavola di marmo collocata allo ingresso di detta stanza, sarà inciso il presente decreto". Per effetto di che il barone Pietro Scrofani, segretario di Stato per la giustizia, redige solenne processo verbale a' 24 corrente, e descrive i 25 oggetti esistenti nella cennata stanza, enunciandovi l'

orinale e il bacino, di cui fece uso Garibaldi. È destinato custode della stanza Domenico de Luca, mutilato garibaldino, col soldo di 15 ducati al mese, oltre la pensione d'invalido.

Cavour scrive all'ammiraglio Persano quest'altra lettera: - "Torino 22 ottobre 1860. Il telegrafo annunzia, che l'imperatore ha fatte larghe concessioni all'Ungheria, ed ha nominato comandante dell'armata d'Italia l'arciduca


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276 (30 e 31 ottobre)

Alberto, e capo di stato maggiore il generale Benedeck. Ciò è molto minacciante. Ella tenga la squadra pronta a partire per l'Adriatico. Faccia una leva forzata di marinai in codesto porto. Se il codice napolitano non punisce di morte i disertori, in tempo di guerra

, pubblichi un decreto a tale effetto, ed ove ve ne sieno, LI FACCIA FUCILARE; perché il tempo delle GRANDI MISURE è arrivato. Dica al generale Garibaldi da mia parte, che se noi siamo attaccati, io lo invito a nome d'Italia ad imbarcarsi tosto con due delle sue divisioni per venire a combattere sul Mincio." - Ma se il governo napolitano avesse puniti di morte i disertori ed avesse adottate le grandi misure contro i traditori, Cavour non sarebbe riuscito all'annessione delle due Sicilie!...

Con decreti dittatoriali, - 1. si accorda piena grazia, e si riabilita in tutti i diritti civili il condannalo politico Giuseppe Bentivegna da Corleone; - 2. si confiscano tutti i beni dell'ex-direttore di polizia Salvatore Maniscalco dichiarato nemico della patria. (Giorn. off. di Sicilia de' 29 corr.).

A' 28. - Sovrano encomio alla guarnigione di Messina per la sua fedeltà.

MERCOLEDÌ 31 OTTOBRE.

Medaglia commemorativa

1. Il prodittatore da Napoli ordina: - "Una medaglia commemorativa di argento sarà coniata in onore dei volontari a che, sotto gli ordini del dittatore, presero parte alle campagne di Sicilia e di Napoli.

Bandiere offerte da un siciliano. - Parole sacrileghe.

2. Il barone Spedalieri di Palermo offre due bandiere a Garibaldi, il quale oggi solennemente le fa battezzare in Napoli nel largo della reggia dal noto fra Pantaleo, imponendo loro i nomi di Stefano, e di Giuseppe, e le consegna alle legioni ungheresi. E in questa occasione, che Garibaldi vantandosi di non essere della religione del Papa, prorompe in sacrileghe invettive, tra le quali, per debito di cronisti, accenniamo quelle di aver chiamato il Papato cancro d'Italia, ostacolo alla liberazione de' popoli, religione del diavolo, che vuole schiavi gli uomini etc. (31 ottobre 4 e 6 novembre) 277 Generosi sacrifizii de' regii nella cittadella,

3. Fin da' 15 del corrente è sospesa la somministrazione del soldo giornaliero alla guarnigione nella cittadella di Messina per mancanza di numerario, ciò che angustia pur troppo l'austera virtù del generale Fergola. Ma con uno slancio superiore ad ogni elogio, uffiziali, sottouffiziali, e soldati col peculio de' loro risparmi raccolgono 14 mila ducati, che offrono al generale, il quale ne fa loro gli encomi nell'ordine del giorno.

DOMENICA 4 NOVEMBRE.

Distribuzione di medaglie a' mille di Marsala.

Il municipio di Palermo, per mezzo di una deputazione preseduta dal sindaco duca di Verdura, fa distribuire ai primi garibaldini sbarcati a Marsala (a' quali, ed al loro capo ha accordata la onoraria cittadinanza) una medaglia di merito fatta coniare a sue spese, su la quale è inciso, da un lato lo stemma civico di Palermo con la leggenda in giro (redatta dal professore Daita) Marsala, Calatafimi, Palermo, e dall'altro lato, "a' valorosi seguaci di Garibaldi, il municipio di Palermo redento".

La consegna ha luogo oggi in Napoli nella piazza della reggia. Mentre Garibaldi è sul palazzo della Reale Foresteria a firmarne i brevetti, entra la signora Crispi, mostrando la quale egli dice agli astanti: - "io vi presento madama Crispi, che agli occhi di ognuno di noi ha meritata la medaglia di Marsala; essa era allora l'unica donna, che si trovasse nell'armata in mezzo al fuoco del campo di battaglia, dove ha confortati, e curati i feriti. - "Si fa l'appello per ordine alfabetico, e de' 1080 della spedizione rispondono 426, a' cui petti si appendono le medaglie dalla duchessa di Verdura, mentre le figliuole le preparano. Terminata la distribuzione, Garibaldi apostrofa i decorati col saluto di giovani veterani, e con enfatiche frasi li chiama operatori dell'impossibile. - E costoro, dopo altri pochi giorni, per mezzo di Turr gli offrono in contraccambio una stella in diamanti con la epigrafe "i mille al loro duce"

.

MARTEDÌ 6 NOVEMBRE.

Congedo di Garibaldi.

Con decreto reale il re Vittorio Emmanuele nomina Garibaldi generale d'armata nello esercito sardo.

278 (8. 9. a 30 novembre)

Si dice pure che costui abbia ricusati vari vantaggi ed onori offertiglisi; e con ciò termina il regime dittatoriale nelle due Sicilie, l'ultimo atto del quale è stato il decreto di jeri, che nomina il noto fra Pantaleo vicario al cappellano maggiore del reame in Sicilia, in luogo di monsignor Lello esonerato.

GIOVEDÌ 8 NOVEMBRE.

Protesta contro il plebiscito.

Oggi il generale Casella ministro degli affari esteri da Gaeta comunica alle corti estere la solenne protesta contro il plebiscito consumatosi a danno della sovranità legittima, e della indipendenza ed autonomia del regno delle due Sicilie, sotto i più inqualificabili abusi, violenze, e terrore rivoluzionario, usufruttato dal Piemonte; quindi da ritenersi irrito, e nullo.

DA' 9 A' 30 NOVEMBRE.

Deputazioni siciliane: marina: ricompense: cittadella.

Nella reggia di Napoli, sono ricevute dal re Vittorio Emmanuele le deputazioni de' vari comuni della Sicilia, a nome delle quali il marchese di Torrearsa esprime il desiderio delle popolazioni di essere visitate dal re, il quale promette recarsi nella Sicilia. (Giorn. Off. di Napoli de 14 corr.) - Dopo due giorni altra deputazione di notabili preseduta dal principe di S. Elia, presenta al re un indirizzo segnato da 14 mila firme raccolte in tutta l'isola, col quale si chiede affrettarsi l'annessione al Piemonte: il re risponde "che la Sicilia sia di antica conoscenza ed amicizia per casa Savoia, e che il popolo siciliano dal 1848 al 1860 non ha cessato mai di esser coerente a se stesso".

A' 17. - Con decreto reale da Torino si provvede alla situazione degl'individui, estranei, o militari, appartenenti alla marina siciliana, potendo essere ammessi a loro richiesta nella marina italiana, sentito il parere di una commessione di scrutinio.

A' 26. - Decreto prodittatoriale, che accorda pensioni a' congiunti de' morti per la causa italiana, a 76 vedove si assegnano 6 ducati al mese per ognuna; duc. 4 1/2 a 35 genitori, ed innumerevoli altre pensioni a diversi congiunti.

A' 27. - Sbarcano in Messina 2 reggimenti piemontesi col generale Chiabrera. Manca il denaro nella cittadella; senzachè però la brava guarnigione si scorasse,

(1 a 7 dicembre) 279

ridotta alla sola razione, e sospesa ogni retribuzione in denaro: analogo ordine del giorno del comandante Fergola.

DAL 1 al 7 DICEMBRE.

Il re Vittorio Emmanuele in Sicilia: feste: nuovo governo: annessione: 

sussidii per la istruzione popolare: onorificenze.

Con telegramma da Palermo il ministro Cassinis, che siegue il re Vittorio Emmanuele nel giro delle provincie meridionali, così ne partecipa l'arrivo in Sicilia: - "A dì 1, ore 9 1/4 a. m. Arrivati felicemente: il re ricevuto con entusiasmo: il popolo volle tirare la carrozza: si calcola a 400 mila e più la popolazione accorsa da ogni parte della isola. S. M. pria di scendere al palazzo, si recò al duomo, ove fu ricevuto dall'arcivescovo, ed appena giunto alla reggia ricevé i corpi costituiti".

Si pubblica un regio proclama, col quale si promettono grandi cose "ed un governo di riparazione e di concordia, rispettoso della religione, e delle antichissime prerogative, che sono decoro della chiesa siciliana, e presidio della potestà civile".

A' 2. - Real decreto, che nomina Montezemolo luogotenente in Sicilia, e consiglieri di luogotenenza Giuseppe Lafarina, Matteo Raeli, Filippo Cordova, barone Casimiro Pisani, principe Romualdo Trigona di S. Elia, e per segretario generale il sig. Tholosano.

Gravi censure corrono nel paese contro tali nomine: tutti gl'impiegati destituiti si dolgono pe' torti ricevuti dal nuovo governo.

Il municipio ha erogati 150 mila ducati per l'entusiasmo delle feste, a danno delle quali ha congiurato anche il vento impetuoso, che ha rovesciate per le piazze le statue di Garibaldi, e del re prima del suo arrivo. Si è osservato anche il malumore de' cittadini, che non han voluto consegnare i posti interni della città a' piemontesi; i cui uffiziali invitati ad un pranzo vi si son recati in numero scarso. Non ostante il pubblico avviso datone per le stampe dal sindaco di Palermo, il re non esce a piedi per le strade della città, come aveva promesso.

A' 3. - Si pubblica la legge, che autorizza il governo del re ad accettare e stabilire l'annessione al Piemonte delle varie provincie d'Italia:

230 (7 e 8 dicembre)

- ed a' 17 (da Napoli) il reale decreto che ordina: - "Le provincie siciliane faranno parte integrante dello stato italiano dalla data del presente decreto".

Si presenta agli avamposti della cittadella il generale Negro (o Sanfrond) interpellando se, caduta Gaeta, si sarebbe reso il comandante Fergola, il quale risponde "essere soldato di S. M. il re delle due Sicilie, la cui ordinanza pel servizio delle piazze prescrive nel rincontro la condotta da tenersi, dalla quale non si dipartirebbe menomamente, nulla avendo di comune la difesa della cittadella con quella di Gaeta".

A' 5. - Parte da Palermo il re Vittorio Emmanuele, e rimane al luogotenente 200 mila lire, il cui uso è espresso in una lettera reale pubblicata ne' giornali, nella quale si conviene "che la Sicilia abbondi di tutte le fonti di pubblica e privata ricchezza; ma richiede speciali cure per la istruzione popolare, ed opere di beneficenza, cui si destina l'anzidetta somma. - "Conferisce decorazioni de' SS. Maurizio e Lazzaro a Torrearsa, a Paterno, al sindaco Verdura, al giudice della monarchia, ed agli arcivescovi di Palermo, e Monreale. - Nulla per quello di Siracusa, che si è ricusato di festeggiare.

SABATO 8 DICEMBRE.

Proclama reale di Gaeta.

Da Gaeta il re Francesco II emana il solenne proclama a' popoli delle due Sicilie, cotanto applaudito in Europa, inspirato da magnanimi sensi, nel quale fatta la rassegna storica degli ultimi avvenimenti, e come in questi abbia influito il governo piemontese, e non mai la ostilità delle popolazioni, conchiude così: - "Invece delle libere istituzioni, che io vi aveva date, e che era mio desiderio sviluppare, avete avuta la più sfrenata dittatura, e la legge marziale sostituisce ora la costituzione. - Sparisce sotto i colpi de' vostri dominatori l'antica monarchia di Ruggiero, e di Carlo III; e le due Sicilie sono state dichiarate provincie d'un regno lontano. Napoli, e Palermo son governate da prefetti venuti da Torino. Vi è un rimedio per questi mali, per le calamità più grandi, che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede nello avvenire. Unitevi intorno al trono de' vostri padri. Che l'oblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai pretesto ai vendetta; ma pel futuro lezione salutare.

(8. 13. 31 dicembre) 281

Io ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e qualunque sia la mia sorte, resterò fedele a' miei popoli, ed alle istituzioni, che ho loro accordate. Indipendenza amministrativa ed economica per le due Sicilie, con parlamenti separati, amnistia completa per tutti i fatti politici: que sto è il mio programma. Fuori di queste basi non vi sarà pel paese, che dispotismo, ed anarchia..."

Questo atto sovrano rapidamente diffuso desta la più affettuosa simpatia. Non vi è famiglia, che non se ne procuri copia. Malgrado i rigori della polizia piemontese, se ne fanno molte edizioni, e lo si affigge a' muri: distribuito ed in circolazione per lo intero regno. I liberali stessi, quelli almeno che non si sono venduti al giogo degl'invasori, lo encomiano, e scorgono in esso la vera restaurazione della monarchia. Queste idee, e questi sentimenti guadagnano sempre più le masse; e la reazione morale acquista incremento da per tutto.

DA 13 AL 31 DICEMBRE.

Sussidii pecuniarii alla cittadella, e diserzioni. annullamento di condanne politiche.

Due uffiziali di stato maggiore recano da Gaeta diecimila ducati spediti dal re alla cittadella di Messina pel sostentamento della guarnigione, che da 19 giorni non riceve né prest, né

diaria, ma la sola mezza razione, trovandosi i viveri di riserva presso al termine. Dopo altri tre giorni un capitano di stato maggiore giunge da Gaeta con altrettanto denaro, e con provvisioni di viveri, e di vestiario. Disertano dalla cittadella per passare al nemico il capitano del genio Alfredo Avena, i due sottotenenti del 3 di linea Costantino Moffa, e Vincenzo dell'Aversano: con un ordine del giorno il generale Fergola condanna que sta criminosa azione, sopratutto, perché i disertati teste erano stati dal re promossi a gradi maggiori.

A' 23. - Con real decreto da Napoli si dichiarano" mille e di niun effetto tutte le condanne per reati politici profferite nelle province napoletane, e siciliane dal 15 maggio 1848 al 25 giugno 1860. "Nelle considerazioni, che lo precedono è detto, 1. che i giudizi politici trattati nel cennato periodo" erano ripugnanti non meno al diritto pubblico sancito nel regno;

quanto agli ordini ed alle leggi ivi vigenti;

282 (31 dicembre, 1 a 9 gennaio 1861)

e 2. che le condanne furono pronunziate in offesa alle leggi, ed alla coscienza pubblica"

(1).

DAL 1 AL 9 GENNAIO 1861.

Onorificenze pe rivoltosi; intrighi elettorali: tumulti e disordini: cittadella, sussidii, diserzioni.

Un decreto del luogotenente di Sicilia ordina "coniarsi una medaglia in bronzo commemorativa, e distribuirsi a quei che han combattuto nel 1860 per la liberazione della Sicilia: essa avrà da un lato la effigie di re Vittorio Emmanuele, e dall'altra il motto Italia e casa Sovoia, con la leggenda Liberazione di Sicilia 1860: pe' mutilati e feriti sarà a argento".

Si grida generalmente contro i maneggi di Lafarina, che aspira a far riescire le elezioni de' nuovi deputati pel primo parlamento italiano tutte di annessionisti e devoti al Piemonte, d'onde si dice essere state spedite 34 cassette di denaro da distribuirsi: oltre di che la legge elettorale piemontese, messa già in vigore, restringe assai il numero degli elettori limitandolo a' soli contribuenti fondiari, che sono ben pochi nella Sicilia. Quivi l'agitazione degenera in anarchia. Lafarina per vendicarsi della sua espulsione a' tempi di Garibaldi, vuoi rendere la pariglia al Crispi, ed ordina d'imprigionarsi costui, ed altri arrischiati garibaldini; ma costoro fanno tanti urli e resistenze nell'atto dell'arresto, che accorre la guardia nazionale, e riescono a fuggire. Da ciò il loro partito trae argomento per tumultuare contro Lafarina, e gridare abbasso al consiglio di luogotenenza. - Montezemolo pubblica un proclama per calmare i dissidi, ricordando a tutti il plebiscito

, e la prossima riunione del parlamento; e con una ordinanza governativa minaccia di adoperare la forza contro gli attruppamenti. Il dottore Raffaelli viene arrestato come agitatore, e spedito a Genova. Il generale Brignone fa sentire a Lafarina, che la truppa non si opporrebbe alle pacifiche dimostrazioni popolari. Il consiglio di luogotenenza si dimette. Montezemolo a dì 8 corrente

(1) Rimane a sapersi se tutti gli atti consumati nelle due Sicilie sotto il regime piemontese sieno o pur no ripugnanti al diritto pubblico

, e leggi vigenti, ed offensivi a queste, ed alla coscienza pubblica?

!...

(9. 10. a 20 pennato) 283

pubblica la formazione del nuovo consiglio composto dal marchese Torrearsa per la presidenza e pubblica istruzione, da Emerico Amari per l'interno, dal barone Turrisi per la polizia, da Filippo Orlando per la giustizia, e dal principe s. Elia pe' lavori pubblici. È però di breve durata: i primi tre si dimettono nella stessa sera, coonestando il rifiuto su la probabilità di venir eletti deputati al parlamento. Si dice, che il conte Michele Amari sia incaricato di trovare nuovi consiglieri.

Nella notte de' 2 disertano 6 soldati del 3 di linea dall'avamposto Pagliara presso la cittadella. Infermo di tisi il terzo chirurgo militare Luigi Montano è facultato d'imbarcarsi per Napoli, e non ostante le scarsezze pecuniarie della piazza, gli si danno 12 ducati; ma egli giunto a Messina fa pervenire al generale Fergola la dimessione con la protesta, che essendo divenuto patriota non poteva rimanere al servizio de' Borboni: dopo una quindicina di giorni diserta l'altro chirurgo Antonio Garzìa. Introducendosi un carro di legname nella fortezza, cade una trave, e produce la morte dell'artigliere Vincenzo Goccia.

A' 6. - Giungono da Gaeta nella cittadella con 20 mila ducati un capitano di stato maggiore, e due commessari di guerra. Dopo 3 giorni ritornando costoro a Gaeta, vi si recano in loro compagnia il luogotenente Gaeta aiutante di campo del generale Fergola con lettera di costui pel re, il colonnello Salmieri, il maggiore Hueber, il capitano Bisanti, ed alcuni sott'uffiziali; come pure il generale di brigata Aldanese, cui per mancanza di fiducia il Fergola ha tolto il comando del 3 reggimento, e gli ha sostituito il maggiore Milano.

DA' 10 A' 20 GENNAIO.

Marina: feste per l'anniversario della rivolta: arrivi in cittadella: diserzioni. Nuovi senatori.

Con decreto reale da Torino de' 10 si dispone "la soppressione de' ministeri dì marina di Napoli, e Sicilia; e gl'impiegati di quest'ultimo non provenienti dalle amministrazioni del cessato regno di Napoli, sono ammessi a far parte del nuovo ministero di marina italiana, previo il parere di una commessione etc."

284 (20. 21. a 31 gennaio)

A' 12. - Ricorrendo l'anniversario della rivolta di Sicilia del 1848 il luogotenente Montezemolo pubblica un proclama, nel quale si fanno risaltare le frasi di cullo della patria, fasti italiani, popolo redento dal governo sardo vindice del diritto nazionale, e della libertà cittadina etc. - I siciliani residenti in Napoli si riuniscono nell'albergo dì Russia in un banchetto preseduto dalla duchessa Bevilacqua, dove sono invitati il sindaco, e il comandante della guardia nazionale di Napoli, Dumas, Carini, Muratori, Lamasa, ed altri in assise garibaldine.

A' 17. - Giunge nel porto di Messina un legno da guerra americano, il cui capitano chiede visitare il comandante della cittadella, che cortesemente lo accoglie nel lazzaretto, e dopo vicendevoli gentilezze, parte. - Arrivano da Gaeta le famiglie de' militari (circa mille individui tra donne e fanciulli) per essere ricoverate nella cittadella. Vi giunge pure il colonnello Raffaele Ferrari per prendere il comando del 3 reggimento. - Ne diserta il colonnello d'artiglieria Ferdinando Guillamat genero del marchese Ranunzio de Gregorio: la folla in Messina lo accoglie con fischi: il generale piemontese Chiabrera ne assume le difese (1), lo fa passeggiare in sua compagnia, e con bandiera sarda nelle mani lo mostra al pubblico sul balcone del municipio; indi con ogni riguardo lo fa partire per Napoli.

A' 20. - Decreto reale da Torino, che nomina 67 nuovi senatori, di cui 13 siciliani, Ruggiero Settime, i principi di s. Elia, di Torremuzza, di Brunaccini, Pandolfino di s. Giuseppe, e di s. Cataldo; il professore Michele Amari, il barone Bruca, il conte Lanza, i marchesi s. Giuliano, de Gregorio, e Spedalieri, e Giuseppe Letta messinese.

DA 21 A'31 GENNAIO.

Arresto di pretesi reazionarii; cittadella: agitazioni elettorali nella Sicilia.

La stampa officiosa encomia la solerzia del generale Chiabrera, e del governatore Natoli in Messina, che han fatto arrestare un francese sortito dalla cittadella, e cosi hanno raccolti indizi di trame reazionarie.

(1) Si contravviene in questa, ed anche in altre occasioni, agli ordini di Cavour, pag. 276, che ha disposto doversi fucilare i disertori in tempo di guerra.

(31 gennaio, 2 a 12 febbraio) 285

Approdato un forestiere con cinque passaporti sotto il nome di Edwin Kalkreuth, nobile germanico, uffiziale di stato maggiore in Gaeta, se ne visitano gli effetti dal questore di Messina, e gli si rinvengono lettere pel generale Fergola. Nello interrogatorio afferma di essere Emilio Klichy prussiano, persona inoffensiva, assai amico del conte Kalkreuth, il quale viaggiando in sua compagnia gli aveva dato quelle carte, ed era scomparso in atto dello sbarco.

Ritorna in cittadella, col capitano Afan de Rivera, il luogotenente sig. Gaeta, dalle cui assicurazioni il generale Fergola trae argomento per un ordine del giorno nel quale dice "il re è contentissimo di tutta la guarnigione per le pruove di attaccamento e di fedeltà, ringrazia tutti, e li rende certi della piena sua riconoscenza pe' sacrifizi che han durati, e dovranno durare. " Breve fermata, a' 28, del generale Gaetano Afan de Rivera per conferire con Fergola e partire.

La Sicilia e agitata dagli agenti de' vari partiti per far riescire nelle elezioni i loro candidati. Cresce il fermento. Giunge Lamasa a Palermo, e si mette di accordo con gli uomini del 1848 e del 1860 per una fusione: in una prima riunione in casa Carini è adottato il programma Lamasa. Ma più de' costoro maneggi, si adopra il governo piemontese a far nominare deputati i suoi devoti. Dalle agitazioni morali si passa agli eccidi cruenti. A Mirto (provincia di Messina) e invasa la sala elettorale da gente armata, che uccide il presidente della votazione, ed i figliuoli.

DA' 2 A' 12 FEBBRAIO.

Cittadella: impiegati di marina.

A' 2. - Da Gaeta pervengono provvisioni di viveri per la cittadella, d'onde a' 6 parte di nuovo l'aiutante di campo del generale Fergola per recarsi a Roma. Giunge il tenente colonnello Patrizio Guillamat a12 per assumere i il comando di una direzione di artiglieria, e di capo di stato maggiore nella cittadella.

A' 7. - Real decreto da Torino, che estende i benefici accordati col precedente decreto de' 17 novembre, ed ammette a far parte del nuovo corpo del commessariato generale di marina gli antichi impiegati di Sicilia nello stesso ramo, che erano in carica a' 17 dicembre 1860,


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286 (12. 13. a 22 febbraio)

e purché non sieno provenienti dalle amministrazioni del cessato regno di Napoli.

DA 13 A' 22 FEBBRAIO.

Effetti della resa di Gatta; intimazioni alla cittadella; complotti militari, e loro repressione generosa: diserzioni.

Con tripudi plateali è accolto a Palermo l'annunzio della odierna resa di Gaeta: si canta un Tedeum nella chiesa della Gancia, e si recano in processione le statue di Vittorio Emmanuele, di Garibaldi, e di Cialdini. A costui il comitato dell'associazione patriottica di Catania (rappresentato da S. Maiorano, e G. Previtera), invia un indirizzo di congratulazione, e lo esorta per la impresa di Roma, e di Venezia.

Il generale piemontese in Messina notifica reiteratamente al generale Fergola nella cittadella un dispaccio di Cialdini su la resa di Gaeta, e gli offre la eguale capitolazione, qualora voglia decidersi a rendere la cittadella; in caso contrario minaccia un tremendo assedio, e di farlo arrendere a discrezione. - Fergola risponde: "Prestando fiducia a quanto espone circa la resa di Gaeta, mi onoro farle conoscere, che non sono tenuto a cedere questa real fortezza per non essermi pervenuto alcun ordine da S. M. il re mio signore: per cui sono nell'obbligo manifestarle, che da militare donore starò alla difesa della fortezza con tutta la guarnigione, che mi dipende, fino a che non saranno esauriti i mezzi d'una valida ed onorata difesa".

Ritorna da Roma in cittadella il luogotenente sig. Gaeta latore di ducati trentamila pe' soldi della guarnigione spediti dal re con questa lettera: - "Dopo 3 mesi di valorosi combattimenti, aperte varie brecce, la difesa di Gaeta ha dovuto necessariamente cessare. - Spero, che la guarnigione di Messina saprà riscuotere plauso ed ammirazione, come quella di Gaeta, nel compiere i propri obblighi." - La notizia della resa di Gaeta fa scorare alcuni degli uffiziali, e ne risente il morale della truppa. Vi è anche di peggio: i colonnelli Raffaele Ferrari del 3 reggimento, ed Emmanuele Moleto del 5, i capitani Zammitti, e Torricelli, e l'alfiere Nicola Forte si fanno rei di complotto militare, procurando fomentare una sommossa fra te truppe, onde costringere alla resa con la violenza il generale Fergola.

(22. 23. a 28 febbraio)

287

Questi, convintosi del loro maloprato, li fa arrestare, ed invece delle severe pene, cui andrebbero soggetti per legge militare, li caccia via dalla fortezza con la qualifica di vili e traditori. - Adotta inoltre la stessa misura della espulsione contro il chirurgo militare Pietro Conte, e i due cappellani Enrico Vigliena, e Giuseppe de Simone, che con paurosi propositi disanimavano i soldati. - Con mezzi subdoli diserta dalla fortezza il colonnello d'artiglieria Gabriele Vallo, e ne sieguono l'esempio Giulio di Candia luogotenente del 3 reggimento, stando di guardia allo avamposto Pagliara, - Luigi de Palma impiegato telegrafico, Achille de Michele maggiore d'artiglieria, e Pasquale Casentino alfiere dello stesso 3 reggimento.

DA' 23 A' 28 FEBBRAIO.

Alacrità de' difensori della cittadella. rottura di tregua: lettere: proteste.

Ferve l'opera della difesa nella cittadella: instancabile è il generale col tenente colonnello Patrizio Guillamat nel disporre le artiglierie, e nel riparare alla deficienza de' mezzi, che tutto dì scarseggiano.

A' 28. - Accortosi il generale Fergola, che il nemico contravvenendo all'art. 4 della capitolazione de' 28 luglio (pag. 223) costruisce lavori di attacco nella città, spedisce due lettere al generale piemontese, affinché cessasse; e contemporaneamente con protesta informa i consoli esteri residenti a Messina che avendo il nemico, senza alcuna prevenzione, infranta la precedente convenzione, egli è costretto a porsi in istato di difesa; li prega perciò a far ritirare dal porto, tra 24 ore, i legni delle rispettive nazioni, e salvare gl'interessi de' loro connazionali".

Da Messina il generale Cialdini risponde minacciosamente al Fergola con la stessa data de' 28, e gli dice: - "1. Proclamato re d'Italia Vittorio Emmanuele dal parlamento di Torino, la vostra condotta sarà considerata come una ribellione. - 2. Non vi sarà affatto capitolazione, e dovrete rendervi a discrezione; e se fate fuoco su la città, io farò fucilare, dopo la presa della cittadella, altrettanti soldati ed ufficiali della guarnigione, per quante vittime avrà fatte il vostro fuoco. - 3. I vostri beni, e quelli degli ufficiali saranno confiscati per riparare le perdite de' cittadini. - 4. In fine consegnerò voi ed i vostri

(28. febbraio, 1 a 7 marza)

subordinati alla vendetta del popolo di Messina. Tra poco voi, ed i vostri sarete in mio potere: agite come vi piace, io non vi considererò più come un militare, ma come un vile assassino, e l'Europa intera dividerà la mia maniera di vedere".

Riserbandosi dar riscontro a questa lettera di Cialdini, il generale Fergola si limita a comunicarne copia a tutti i comandanti de' legni esteri ancorati nella rada di Messina, e solennemente protesta "che egli si dichiara irrisponsabile di tutti i danni che potranno avvenire alla città di Messina, vedendosi costretta la fortezza a controbattere le opere di assedio".

DAL 1 AL 7 MARZO.

Notificazioni officiali per la cessazione della tregua:

- relazione di Fergola al re: - altri complotti, e diserzioni: blocco.

Con lettera del 1 corrente Cialdini notifica a Fergola "che la convenzione de' 28 luglio finora mantenuta, cessa dal canto suo dal domani a mezzodì." - Analoga risposta del Fergola, che dichiara esser cessata per lui la convenzione stessa.

A' 3. Il comandante americano Bell dal porto di Messina fa pervenire al Fergola un foglio in inglese con traduzione francese, offrendosi cortesemente a spedire con sicurtà le lettere di lui al re Francesco II in Roma per averne gli ordini sul destino della fortezza, per salvarne i bravi e fedeli difensori, ed evitare danni alla città di Messina. - Accetta l'invito il generale Fergola, ed invia la relazione de' fatti correnti, esponendo che i formidabili apparecchi del nemico sono fuori il tiro della fortezza, i cui magazzini di polveri sovrabbondano pe' depositi delle munizioni ritirate da Palermo, da Termini, e da' forti Gonzaga e Castelluccio, e che è necessario far partire i molti individui di famiglie militari ivi d'imbarazzo, mancandovi il sito da metterli al coverto, per lo che chiede un legno da trasporto: è in attenzione de' sovrani ordini, e si dichiara pronto con la intera guarnigione ad eseguirli fedelmente.

Nello interno della cittadella si trama altro complotto per attentare alla vita del generale Fergola, del suo aiutante di campo, e del tenente colonnello Guillamat: sono perciò messi negli arresti militari il maggiore Milano,

(7. 8. o 10 marzo) 289

e il capitano Messina. Dal contiguo forte don Blasco diserta il capitano di artiglieria Gaetano Valestra.

L'ammiraglio Persano con una flotta di 10 navi sarde a' 5 corrente stabilisce il blocco effettivo della cittadella, e de' forti inerenti.

DAL DI'8 A'10 MARZO.

Atrocità in Trapani. Carteggio tra Cialdini, e Fergola. Protesta diplomatica, ed ordini per la capitolazione.

Sei individui dell'antica polizia siciliana, partiti dal loro asilo sotto la guarentigia del governo piemontese, sbarcano in Trapani, dove una turba di rivoltosi li aggredisce, ne massacra cinque, e trascina i mutilati cadaveri per le vie, senza che il nuovo governo impedisse tanta ferocia.

Impegnato il generale Fergola per la salvezza della città di Messina, scrive al Cialdini, ricordandogli che se con la precedente lettera costui pretendeva che la fortezza non avesse tirato su la città, necessariamente si doveva intendere che in questa non si avessero a costruire lavori di attacco, come pur troppo se ne sono compiuti, contro i quali egli protesta di dover far uso delle sue artiglierie, quante volte non ne vegga la sospensione. - Risponde Cialdini, che egli non si lagnerebbe qualora la cittadella si limitasse a tirare contro i lavori di assedio, e risparmiasse lo abitato della città. - Arduo assunto! ove si rifletta, che nel bel mezzo dell'abitato si trovano appunto tali lavori. - Coglie il destro per replicare il Fergola su questa, e sul tenore della prima lettera minacciosa, e dice: - "Un generale d'armata anziano soldato, com'ella è, conosce assai bene le leggi della guerra, e sa quali doveri incùmbano ad un comandante in capo. All'uopo le fo tenere copia degli articoli della reale ordinanza di piazza del re mio signore, affinché si compiaccia vedere da essi quali obblighi mi sono imposti; e le sarà facile scorgere, che cesserei di essere onorato soldato se mi regolassi diversamente da ciò che pratico. - Ella mi dice, che il parlamento di Torino ha proclamato re d'Italia S. M. il re di Sardegna: io nulla ne conosco; ma ella sa da maestro, che questo atto non è stato riconosciuto finora dalle Potenze Europee, le quali mantengono i loro plenipotenziari presso il mio sovrano, re del regno delle due Sicilie.

290 (8 a 10 marzo)

- Ora mi dica; se trovandosi nel caso mio, ella generale di armata cederebbe una fortezza interessante ad una semplice intimazione, covrendosi cosi di obbrobrio? No, ella farebbe quel che fò io. - Da il nome di ribelli ad onorati soldati! Né, signor generale, la penna lo ha scritto, ma il cuore del veterano vi si oppone, ed ella, più di ogni altro, è convinta, che io e il presidio che da me' dipende, facciamo il dover nostro; ne posso ideare, che ella abbia un diverso pensare, perché in tal caso non saprei come riconoscere in lei il soldato ed il generale d'armata. Finalmente le ripeto, che dovendo tirare su le opere costrutte da lei nel corpo dell'abitato di Messina, i colpi con molta probabilità potranno cadere nella città, ciò che molto mi dispiace; perché mi proponevo rispettarla, e lo farò per quanto posso".

Il generale Cialdini risponde con qualche benignità, e conchiude: - "la città di Messina innocente delle nostre querele, resti salva da' nostri fuochi: la lotta sia tra le mie, e le di lei batterie, io non saprei offendermi della resistenza che trovo; potrò combattere, rispettare i di lei principi, e darle la mano alla fine dello assedio, come sogliono gli onesti militari, che fanno la guerra senza ira, e la finiscono senza rancore".

A' 10. -Da Roma il ministro degli affari esteri del re Francesco II comunica alle corti estere il contenuto dell'anzidelto carteggio tra i generali Pergola, e Cialdini, e dice, tra l'altro: "è inutile ogni comentario su la lettera di quest'ultimo (che sarà letta in Europa con istupore) la quale chiama ribelli i difensori legittimi della monarchia e minaccia fucilare i militari che resteranno salvi dal fuoco de' suoi cannoni, confiscarne i beni, abbandonarli alla vendetta popolare: la barbarie di questi mezzi è in armonia con la viltà dell'aggressione. E questa essendo tollerata da tutte le Potenze europee; né essendovi da sperare soccorso per salvare il diritto pubblico e la indipendenza del reame, il re ha creduto dover mettere un termine a codesta effusione di sangue in Napoli, ed in Sicilia. Egli, dopo aver compiuta la campagna cominciata nell'ultimo aprile, si ritira momentaneamente su la terra dello esilio, con la coscienza di aver sostenuto sino all'ultimo istante i suoi diritti, gl'interessi di ogni sovrano, e la causa di tutti i popoli.

(8. 10. 11. a 14 marzo) 291

Dopo 5 mesi di resistenza in Gaeta, nel corso de' quali esponeva tuttodì la sua vita e quella della sua famiglia, egli ha ordinata la capitolazione della cittadella di Messina per non sacrificare inutilmente una eroica guarnigione. Animato da eguale sentimento, per lo quale fece sospendere il bombardamento di Palermo, uscì dalla sua capitale, ritirò le sue truppe da Messina, per ovviare col sacrifìzio personale alle calamità della guerra ed a' pericoli della distruzione delle primarie città del reame, egli non vuole oggi immolare ad un vano amor proprio militare il grande emporio commerciale della Sicilia. Non si potrebbe resistere seriamente contro i mezzi di attacco accumulati dentro l'abitato della città, senza la rovina inevitabile di questa. Ecco la condotta del sovrano, che si vuoi far credere in Europa come antitaliano e crudele; lasciando a' distruttori di ogni principio, agl'invasori del suo reame la risponsabilità delle fucilazioni in massa de' sacerdoti e de' cittadini in Abruzzo, de' bombardamenti di Ancona, di Capua, di Mola, di Gaeta, e di tutte le città italiane, che si oppongono alla loro ambizione!"

DAL DI 11 A' 14 MARZO.

Bombardamento della cittadella: esplosioni ed incendii; resa a discrezione.

Veemente è il bombardamento col quale i piemontesi incalzano la cittadella: benché le artiglierie di questa non fossero di lunga portata, e non potessero sempre corrispondere a' tiri del nemico da terra e. da mare; pure sostengono un fuoco energico. Gli affusti de' cannoni si rendono quasi inservibili pel frequente uso, e pei colpi nemici, che fanno saltare in aria tre riserve di munizioni con molte vittime. Alle esplosioni succede l'incendio in gravissime proporzioni. Il cumulo de' disastri, che induce la resa a discrezione, è narrato nel seguente ultimo ordine del giorno del generale Fergola emanato alle ore 11 della notte de' 12: - "Uffiziali, sott'uffiziali, e soldati! - È questo l'ultimo ordine che vi rivolgo, e la mano mi trema nel vergarlo. Allorché presi il comando di questa fortezza e di voi tutti, giurammo difenderla fino agli estremi; ed abbiamo mantenuto il giuramento. Immensi sforzi abbiamo fatti con le nostre artiglierie per distruggere i lavori di attacco,

292 (11 a 14 marzo)

che il nemico costruiva su le alture di Messina, ed altrove; ma poco effetto ha prodotto il nostro fuoco; sia perché quasi tutti i lavori erano oltre la portata de' nostri tiri; sia perché altri trovavansi mascherati da' casamenti ed oggetti occasionali. Quindi il nemico profittando di tali suoi vantaggi ha compiuto inosservato la maggior parte de' suoi lavori. Poco dopo il mezzodì d'oggi, quando estenuati di forze prendevate un po' di riposo, ha aperto simultaneamente un fuoco formidabile, che in poche ore ha ridotta questa fortezza nello. stato in cui si ravvisa, ad onta della resistenza che si è potuta fare con le nostre artiglierie troppo inferiori. Veduto quindi, che inutile si rendeva ogni mezzo di difesa, e che per lo incendio sviluppatosi eravamo minacciati dalla esplosione della gran polverista Norimberg e dell'attiguo magazzino anche ripieno di polveri, ho chiesto, per mezzo di parlamentari, una tregua di 24 ore al nemico. Ma questi profittando del gran danno prodotto dal suo fuoco e delta nostra trista posizione, ha rigettata la mia domanda, e mi ha fatto sentire doverci rendere a discrezione; minacciando, che, se per le 9 di questa sera non davamo risposta decisiva, avrebbe riaperto il fuoco con l'aggiunta di altre tre batterie finora mascherate. In tale stato di cose, riunito il consiglio di difesa e sentitone il parere, è stato forza sottoporci a quanto il nemico imponeva. Quindi, mio malgrado e vostro, la piazza domani sarà rasa. - Così non avrei mai ceduto; ma gl'incendi, che seco noi minacciavano mille e più tra donne e fanciulli mal ricoverali, e che vi appartengono; e la nostra eccezionale posizione, perché le Potenze europee hanno permessa un'aggressione non mai letta nelle storie, e noi non potevamo sperare soccorso da chicchessia, - mi hanno obbligato al cedere. - Cediamo alla forza, perché sopraffatti dalla superiorità de' mezzi, e non dal valore de' vincitori. - Certo, che la nostra resistenza non avrebbe salvata la monarchia: non ci restava che salvar solo l'onor militare e nazionale, e mi lusingo, che lo stesso nemico ci farà giustizia...". E qui con nobili e commoventi espressioni passa ad encomiare la bravura, l'abnegazione, e la fedeltà della truppa e de' generali de Martino, Cobianchi, Anguissola, come pure de' tenenti colonnelli Guillamat, e Recco, de' capitani Lamonica, Cavalieri, di Gennaro, o Lamia, de' luogotenenti Gaeta, e Brulli; e di altri molti

(11 e 14 marzo) 293

uffiziali, a vari de' quali accorda onorificenze in nome del re, e si divide da essi col più tenero addio.

Ecco i sette articoli della resa imposta da Cialdini: - "1. Alle 7 di domani mattina (13 marzo) la guarnigione della cittadella, e tutti i compresi con essa usciranno dalla piazza senza armi, meno i signori uffiziali, cui lascio la spada; - 2. la guarnigione si formerà in colonna sul piano s. Ranieri; in quel mentre dal piano Terranova il 35 reggimento (piemontese) entrerà nella cittadella, e ne prenderà possesso; - 3. perciò S. E. il generale Fergola lascerà al cancello esterno dello spaldo una commessione per consegnare la piazza, indicare le differenti, batterie, magazzini a polveri, il numero de' pezzi, magazzini di viveri ecc. e per consegnare le armi; - 4. il generale Fergola mi sarà risponsabile di tutti i pezzi, che si trovassero inchiodati, e di tutte le mine che non fossero anticipatamente dichiarate; - 5. si provvederà per le famiglie, quando e come si potrà; - 6. la guarnigione resa a discrezione sarà dal generale Cialdini raccomandata alla clemenza sovrana; - 7. le vite, gli averi, e le persone saranno rispettale, e restano sotto la salvaguardia della bandiera del re Vittorio Emmanuele."

All'alba de' 13 vi si da esatta esecuzione. Mentre la guarnigione disarmata e riunita in colonna, il generale Cialdini chiama fuori i ranghi il tenente colonnello Patrizio Guillamat, il capitano Cavalieri, ed i luogotenenti Gaeta, e Brath, fa loro deporre le spade, e li fa condurre in arresto ne' criminali della fortezza, come imputati di aver coartata la volontà del generale Fergola, e della truppa, a prolungare la resistenza. È arrestalo pure l'aiutante maggiore Onofrio Gulli, ma conosciutosi l'equivoco, vien liberato, ed in sua vece s'imprigiona il luogotenente Carmelo Falduti, accusato di aver promossa la reazione in Reggio sua patria. Spettacolo della curiosità generale restando questi cinque in carcere fino a' 22 corrente, quando verificatasene la innocenza, sono liberati.

Disciolta la truppa della cittadella, vien distribuita parte a Reggio, parte a Milazzo, e tra i forti Gonzaga, Castelluccio, e Salvatore: sono in seguito congedati coloro, che hanno compiuti i 5 anni di servizio: gradatamente si fanno partire per Napoli gli uffiziali. - Cialdini a' 12 dirige a Torino questo telegramma:

294 (li. 14. 15. a 20 marzo)

- "La cittadella

si è resa a discrezione. Dopo aver sofferto per 4 giorni il fuoco nemico, oggi ho aperto il fuoco delle mie batterie, due delle quali erano a 400 metri dalla piazza. La nostra artiglieria fu ammirabile, il suo fuoco vivissimo. Abbiamo fatto scoppiare vari depositi di granate cariche, e prodotto un vasto incendio. Alle 5 la cittadella inalberò bandiera bianca: alle 6 rifiutai ogni capitolazione concedendo 3 ore a riflettere: alle 9 di sera tutta la guarnigione si è resa a discrezione. La flotta ha fatto 2 ore di fuoco. Sono nostri prigionieri 5 generali, 150 uffiziali, da 4 a 5 mila uomini, e 300 cannoni".

DA' 15 A' 20 MARZO.

Dispacci reali; ordini per la resa, encomi alla guarnigione. - Addio di Cialdini a' messinesi.

Arriva con un legno francese da guerra il generale Clary spedito dal re con un plico al generale Fergola, che è sul punto di partire per Napoli. I dispacci contenuti nel plico sono: - I. Lettera del re al Fergola. "

Roma 10 marzo. "Portatore della presente sarà il generale Tommaso Clary. L'interesse che ho per codesta brava guarnigione mi ha fatto pensare a procurarle un avvenire meno duro; per cui ho fatto proporre le seguenti condizioni: - il re volendo risparmiare alla città di Messina una completa distruzione, consente, che la cittadella si arrenda: desidera soltanto per debito di gratitudine verso le sue truppe, che le seguenti condizioni sieno consacrate nella capitolazione di Messina, ed applicate a tutti i militari, che hanno servito il re durante gli ultimi sei mesi, 1. che si rispettino i gradi accordati dal re dopo il 7 settembre, e i decreti per le pensioni di ritiro, e di quelle alle vedove, ed orfani;

- 2. che tutti i soldati napoletani, che han servito nella sua armata, non sieno obbligati a compiere il loro termine di servizio in quella del Piemonte, e che sieno tutti facultati a rientrare liberamente nelle loro case come semplici paesani. Non credo, che saranno tutte consentite, ma io non poteva far meglio. Primieramente dovete cercare di mettere in salvo l'onor militare, e quindi ottenere le migliori condizioni possibili etc. "In essa è allegato un telegramma di Torino all'ambasciatore di Francia in Roma, nel quale si dice, che il governo piemontese consente ad estendere alle guarnigioni della cittadella di Messina,


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(15 a 20 marzo) 295

e di Civitella del Tronto, ed alle truppe che si trovano ancora nello Stato Pontificio, la stessa capitolazione di Gaeta, i cui articoli 10, e 11 rimangono alquanto modificati. - II. Real ordine del giorno "

Roma 10 marzo." Generali, officiali e soldati della guarnigione di Messina! - Per risparmiare il vostro sangue generoso, per assicurarvi onorate, e vantaggiose condizioni, che meritano il vostro coraggio, e la vostra costanza, io ho autorizzalo il vostro generale in capo a fissare le condizioni della capitolazione, lo so, che con la fermezza e lealtà, di cui avete dato così rimarchevole esempio, voi eravate decisi a difendere la nostra bandiera, finché vi rimanesse un pollice di terreno, per poggiarvi il piede; ma nelle circostanze attuali sarebbe stato un sacrifìzio inutile. Come padre, e come re, io sento, che mio dovere evitare un rischio che metterebbe a pericolo la vita de' miei sudditi, senza dare speranza di sue, cesso. Il mondo ha ammirato la vostra perseveranza a tutta prova. Il mio più gran rammarico è di non potervi ringraziar tutti personalmente, ma verrà tempo, in cui cambiando i tristi avvenimenti, che mi allontanano dal mio regno, potrò chiamare a me dintorno i miei bravi veterani per riconquistare la indipendenza della patria, e scuotere il giogo degl'invasori. Allora io non dimenticherò i miei bravi soldati di Messina, la cui eroica fedeltà m'ispira sentimenti di eterna riconoscenza." - FRANCESCO.

-

III. Ordine del re al generale Fergola. - Roma 10 marzo. - "Signor maresciallo. - L'onore delle armi napoletane trovandosi garentito dalla eroica difesa di Gaeta, e dalla condotta della guarnigione di Messina, credo inutile prolungare la difesa di codesta cittadella, che potrebbe cagionar gravi danni alla città, sacrificando inutilmente la vita di bravi soldati. Fedele al sentimento, che mi fece arrestare il bombardamento di Palermo, ed uscire da Napoli, credo mio dovere preservare ad ogni costo l'emporio della Sicilia. In quanto a voi, generale Fergola, che avete dato un così nobile esempio di attaccamento e di fermezza, vi affido la cura di trattare col nemico a condizioni onorevoli, ed utili per la guarnigione. Voglio risparmiare il sangue de' miei soldati, ma nel tempo stesso voglio salvare il Loro onore, ed assicurare il loro avvenire." - FRANCESCO.

296 . (15 a 20 marzo)

-

III. Ordine del ministro della guerra al generale Fergola. - "Roma 12 marzo 1861. - È volere di S. M. il re di con cedere a tutti i generali, uffiziali, ed individui di truppa, che hanno finora difesa la cittadella di Messina distinguendosi particolarmente, un attestato della sua speciale considerazione. Ma poiché la brevità del tempo non permette di attendere le risposte di lei, la Maestà Sua l'autorizza a conferire commende, croci di cavaliere, e medaglie di oro, e di argento de' reali ordini di s. Giorgio della riunione, e di Francesco I, secondo i loro gradi, formandosi da lei i brevetti provvisori, e rimettendomi poscia le liste, onde possano spedirsi i corrispondenti reali rescritti. Ella intanto dovrà annunziare a tutta la guarnigione, che per commemorare la sperimentata fede verrà coniata apposita medaglia. Ho il grato piacere di aggiungere, che S. M. con reale rescritto di questa data, che troverà qui acchiuso, si è degnata conferirle la gran croce del real ordine militare di s. Giorgio." - DEL RE.

Con nota diplomatica spedita da Roma a dì 20 corrente, a' regi rappresentanti all'estero, si spiega, che dal confronto delle date de' sudetti documenti si desume: "essersi già disposta la capitolazione della cittadella prima che questa si fosse resa, ed il re Francesco II nella sua umanità e previdenza non ha aspettato, che la cittadella si fosse ridotta all'ultima estremità, per autorizzarli a capitolare". (De' primi ordini si parla nella pagina 291).

Il generale Cialdini neri partire da Messina si congeda da quel governatore con la seguente lettera: "Nel prender congedo da lei, la prego gradire i miei ringraziamenti per quanto fece di cortese a me, e per quanto oprò di utile al paese durante l'assedio della cittadella. La prego inoltre far sentire tutta la mia stima alla guardia nazionale, ed al municipio di Messina per gl'importantissimi servizi che hanno resi, e per la tranquilla fermezza dimostrata in difficili circostanze. Ho ricevuto da' municipi, e dalle guardie nazionali dell'isola, come pure da' signori uffiziali appartenenti all'armata dello illustre mio amico il generale Garibaldi (1) molte generose offerte, che io non dimenticherò mai etc...

(1) A questa lettera è utile coordinare l'altra scritta al Garibaldi dal medesimo generale Cialdini dopo 36 giorni (21 aprile riportata in varii giornali), nella quale, non più come illustre suo amico, gli dice, tra l'altro: "Voi osate mettervi a livello del re parlandone con l'affettata

297

Mentre si compiono questi avvenimenti nella Sicilia, lutti i danni sociali straziano l'intero reame. 1 governatori, i luogotenenti, i prefetti vi si succedono fugacemente, e gareggiano a chi più può abbattere lo splendore antico, la religione, le istituzioni, l'esercito, le finanze, e fin le memorie di quelle classiche terre. - E quando i mali imperversano, e il malcontento è estremo nelle popolazioni, i nuovi governanti, dopo aver esauriti tutti i rimedi, e finanche gli eccessi della ferocia, ricorrono al facile e sistematico intercalare, inventando: - che le provincie meridionali non possono esser FELICI a cagione degl'intrighi, di cui Roma è il centro (1). Se non sanno persuadersi, che con la violazione del gius-pubblico nazionale, e di ogni principio di moralità non si può esser felice (2), ricordassero almeno

familiarità d'un camerata: voi intendete collocarvi al di sopra degli usi presentandovi alla Camera in costume stranissimo; al di sopra del governo, dicendone traditori i ministri, perché a voi non devoti; - al di sopra del parlamento, colmando di vituperii i deputati, che non pensano a modo vostro; - al di sopra del paese, volendolo spingere dove e meglio vi aggrada. Ebbene! vi sono uomini disposti a non tollerare tuttociò, ed io sono con loro. Nemico di ogni tirannia, combatterò anche la vostra. Mi sono noti gli ordini dati da voi o da' vostri par riceverci a fucilate su la frontiera degli Abruzzi... So quello che voi pronunziaste; e posso assicurarvi, che l'armata non teme le vostre minacce, e teme solo il vostro governo... Voi eravate in pessime condizioni sul Volturno quando noi arrivammo...

" - Questa lettera vale una storia, o a dir meglio un esatto comentario degli ultimi avvenimenti, fugacemente accennati in questo libro, confermati da' documenti, e da' posteriori sviluppi.

(1) Documenti diplomatici sul brigantaggio presentati nella camera di Torino, apertura della sessione del 1863, dal ministro degli affari esteri, e discorso di costui nella tornata de' 12 giugno detto anno.

(2) "Macchiavelli ha detto non vi è delitto felice; egli ha mentito: vi è il delitto, e tanto basta. Felice qualche volta sì, senza dubbio, se voi guardate al quarto di ora che segue: il successo in questo caso dipende dal posto occupato dall'ago sul quadrante dell'orologio. Il delitto felice! Avete voi pensato a questa parola? Ma se il delitto (vale a dire quanto vi e di più contraddittorio alla legge della umanità) potesse riuscire, non rimarrebbe altro agli uomini, clic ritornare nelle foreste." - Così il PELLETAN scrittore democratico francese nel suo recente opuscolo a pro della Polonia... Anche ad un campione delle opinioni avanzate possono adunque sembrare incompatibili con la felicità gli atti della natura di quelli testé compiutisi nella Italia meridionale!

298

che non ostante le innumerevoli loro mene nel corso di tanti anni, quelle popolazioni sono state avverse alla rivolta, e per introdurvela bisogno portarla da fuori!

Non da idee astratte, ma da documenti incontrastabili sono compruovate oramai ad evidenza le vere cagioni dello sconvolgimento delle due Sicilie. Nella calma del tempo avvenire i posteri stenteranno a credere, che oggidì le mille voci della stampa assoldata in una grande cospirazione contro la verità, con lo snaturare fatti, col denigrare riputazioni, col mentir sempre, sieno riescite ad ingannare la pubblica opinione, ed a coprire il grido della RAGIONE e del DIRITTO, siccome nelle guerre il fragore de' cannoni e de' tamburi copre i gemiti di chi langue, e di chi muore. - Pensino pure taluni, che il diritto e la ragione sieno semplicemente il decreto della forza umana, ovvero, che non vi sia altro di giusto e di ragionevole all'infuori della forza, tra i cui artigli il mondo possa divenire preda legittima! - Dalla storia di tutti i tempi si apprende invece la esistenza di una gran verità morale, indipendente da tutte le circostanze contrarie, la quale trionfa malgrado le violenze che la combattono, o che si sforzino ad ottenebrarne la luce; e, sua mercé, i diritti della giustizia, ad onta della frode, della prepotenza, e del tempo, rimarranno eternamente diritti.

APPENDICE



I Su la capitolazione ed uscita delle regie truppe da Palermo nel 1860, e fatti concomitanti

Pag.

299

1 avvenimenti militari in Palermo, combattimenti, tregue, sgombramento

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306

2 trattative diplomatiche in Napoli col ministro di Francia per far cessare le ostilità

Pag.

312

3 invio del commendatore de Martino a Parigi

Pag.

317

4 discussioni su i mutamenti, o immegllamenti da apportare al sistema governativo

Pag.

328

II Idea avuta in giugno 1860 per un movimento militare nella Sicilia - Cenno su i fatti di Milazzo

Pag.

333

III Influenza inglese nella insurrezione di Sicilia

Pag.

343

IV Cooperazione del governo piemontese per la invasione della Sicilia; rinforzi spediti agl'insorti

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352

V Notizie su la cattura del vapore sardo l'Utile, e del clipper americano Charlcs-and-Jane

Pag.

356

VI Rivelazioni de' modi, come fu agevolata la invasione di Garibaldi, e tentata la corruzione nello esercito - Opuscoli, e difese - Giudizio severo di un giornale estero

Pag.

360

VII Colpo d'occhio su la Sicilia dopo la invasione garibaldina, e come giudicato il governo invasore da' deputati siciliani nella camera di Torino Terrore del nuovo regime

Pag.

362

VII Il governo subalpino nelle due Sicilie al cospetto dei parlamenti europei

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370

Correzioni, ed aggiunzioni al testo della cronaca

Pag.

374

(6. 7. e 8 agosto) 239

"Sanguine civili rem conflant; divitiasque"

Conduplicant avidi, caedem caedi accumulantes.

T. Lucret. Cab. de rer. nat, lib. IV.

1. Su la capitolazione ed uscita delle regie truppe da Palermo nel 1860, e fatti, concomitanti.

Allorché gravi perturbazioni scuotono uno Stato, nulla è più dannoso, quanto la incertezza in chi comanda, e la irrisoluzione ed irresponsabilità in chi deve obbedire.

Molte sono le censure che i contemporanei, e forse la storia potranno lanciare contro quelli, che per loro sventura tennero la somma delle cose nel reame delle due Sicilie durante una parte degli anni 1859 e 1860. Giustizia richiede, che per giudicar bene de' medesimi, si apprezzino con esame accurato ed imparziale gli avvenimenti compiutisi in quel periodo di tempo. Non ultima tra le accuse è quella di essersi danneggiata la seconda capitale del regno (Palermo), senza altro utile risultamento, che per abbandonarla in preda di orde rivoluzionarie, e farne derivare la perdita della Sicilia. Dispiacevolmente il fatto esiste pur troppo; è però da vedersi a chi lo si abbia ad accagionare. Ben si comprende, che sarebbe stato utilissimo se, immediatamente dopo i tristi avvenimenti, si fosse data opera a scriverne una esposizione schietta veridica; ma l'un disastro avendo seguito l'altro, non si è avuto il destro di dedicarsi a cotale lavoro. Altronde que' medesimi su i quali ricade la maggior colpa, volendo nasconderla, o scagionarsene per gravarne altri, sono stati causa precipua d'inviluppare e rendere incerti gli elementi, che debbono servire di base a poter emettere un giudizio adeguato su quelle vicende.

Ora però che molti si occupano a scrivere delle cose avvenute, è stato necessità cercar di trarre dalle poche, e rade memorie i veri concetti per rischiarare la pubblica opinione sul genuino andamento delle cose.

Fin da' primordi del movimento insurrezionale di Palermo la somma reale degli affari di Sicilia in Napoli vien regolata e diretta dal principe di Satriano.


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300

È superfluo dirne i motivi; poiché ognuno rammenta aver egli organata in Napoli nel 1849 la spedizione di Sicilia; assunto il comando dello esercito chi prima trionfava in Messina e poscia conquistava il resto della isola, da lui governata in seguito come luogotenente del re per un settennio; a) che si aggiunga la fiducia che inspirava per la età, per la sperienza, e per le conoscenze militari. Allora quando verso la metà di maggio era accolta la proposta del principe di Castelcicala (pagina 88 di questa cronaca), di sostituirglisi nella luogotenenza della Sicilia un Principe Reale o un alto commessario, erasi dapprima preso ragguaglio su lo stato delle truppe, su lo spirito pubblico di quella isola, e su' desideri più o meno precisi de' siciliani. E questi ultimi, secondo le indagini potevano così compendiarsi: - "Unico desiderio de' siciliani in generale consistere nello esser governati con buona ed onesta amministrazione, che assicurasse loro il lavoro, e li agevolasse a procacciarsi i mezzi di sussistenza; e nello agognare stabili provvedimenti che valessero a garentire la individuale sicurezza periclitante da qualche tempo per le mene rivoluzionarie; senza che si fosse pensato a chiedere costituzione, o altre riforme radicali di governo".

Conveniva apportare rimedio allo stato attuale di miseria del popolo palermitano pel caro de' viveri, e per le trepidazioni degli animi; da oltre un mese niun lavoro per gli artigiani; non più frequentali i tribunali, deserte le amministrazioni (pag. 5. 49. 50. 51. 56. 57. 60. 77. 78. 86. 104.); tutte concause d'incremento al malessere, e da rimuoversi al più presto; per lo che varii benigni provvedimenti il re impartiva (pag. 14. 16. 17. 19. 32. 56. 75. 121. 156. 157. 174.).

Nell'amministrazione poi si domandavano le seguenti modifiche; - 1. amnistia (concessa, pag. 3358. 60. 128.); - 2. destinarsi al governo della Sicilia una persona Reale in nome del re (promessa, pag. 91. 106.); - 3. e - 4. un ministero di Stato presso il luogotenente; ed uno per volta ogni ministro dovesse risedere in Napoli (per un semestre, e da cambiarsi a volontà del luogotenente) per riferire gli affari di Sicilia al re, il quale dovesse recarsi annualmente nella Sicilia almeno per tre mesi; - 5. obbligo della polizia di passare al potere giudiziario gli arrestati fra le 24 ore dallo arresto, informandoli della imputazione; - 6. pubblicarsi per le stampe i voti de' consigli provinciali e distrettuali, e le risoluzioni prese dal governo, prima della seguente convocazione, e tornata de' consigli stessi; - 7. affrettarsi, al più tardi dopo 3 mesi, i giudizi della Consulta di Stato, e fra l'anno le risoluzioni prese dal re; -

8. darsi in appalto a' naturali di Sicilia le forniture

301

per le truppe e per la ' marina ivi destinate, e per tuttociò che di colà può fornirsi;

- 9. non esser tenuta la finanza di Sicilia a contribuire la sua quota per le spese di gendarmeria, quando Napoli non pagasse i tre quarti delle spese delle compagnie d'armi. Si chiedevano altresì poche modifiche nel personale della polizia, e pochissime in quello de' rami civile e giudiziario. Da ultimo si consigliava abolire, o sospendere almeno il dazio sul macino, che pesava su la classe povera, e vi si aderiva (pag. 156): su gli altri desideri si studiava in dettaglio per ponderarne l'attuazione.

Le informazioni prese sul ramo militare offrivano: - 1. ottimo lo spirito, onde erano animati i soldati; non così quello de' loro capi, che mostravansi deboli titubanti, senza dare con preveggenza le necessario disposizioni, e lenendo sperperali e divisi i corpi in piccole partite: - 2. per debolezza de' superiori, mancare alcun poco nella disciplina l'oliavo, e il nono reggimento: - 3. nel fatto d'armi di Carini, quattro compagnie del 4 reggimento, i cui soldati eransi ubbriacati, aver attaccato prima del tempo stabilito nel piano, d'onde la evasione delle misure prese (pag. 41 a 43): - 4. la colonna del generale Primerano essersi mostrata esitante a sbarcare, temendo d'incontrare molti nemici, ed aver omesso di far discendere dalla nave le artiglierie, per aver più agio a ritirarsi subito a bordo senza impedimenti (pag. 48. 78. 81. 109. 116.): - 5. essere stata ben ricevuta la colonna militare comandata dal generale Letizia a Trapani, a Marsala, a Castellammare del golfo, ed Alcamo (dove l'agitazione erasi sedata per lodevole zelo degli stessi abitanti pag. 38), aver domandato che la colonna stessa avesse. visitata la città (pag. 52): - 6. a tutto il 3 maggio la truppa ne' vari attacchi contro gl'insorti non avere avuto altro danno, §e non di 7 soldati uccisi, e 36 feriti.

Dalle indagini su lo spirito della popolazione si raccoglieva, esser promosse le dimostrazioni sediziose giornalmente da vari giovinastri in siti distanti da quelli sorvegliati (pag. 35. 46. 48. 50. 51. 55. 57. 75. 77.), fomentate dallo arrivo de' legni piemontesi nella rada di Palermo (pag. 48. 55. 60. 86.); tenersi chiuse le botteghe per minacce del comitato rivoluzionario; praticarsi timori inopportuni, ed irruenze inutili dagl'impiegati di polizia (pag. 16. 21. 55. 104.); distribuirsi tuttodì denari, ed eccitamenti al popolo per farlo insorgere, senza venirsi in chiaro de' promotori; e segreti agenti del ministro piemontese Cavour esser in moto per accelerare la insurrezione (pag. 17. 26. 38. 49. 52. 53. 55. 61. 68. 69. a 72. 86. 102. 157, 171. 185.).

Sul conto poi del generate in capo si riferiva, che egli agisse

302

senza determinato progetto; e senza unità di comando; indispensabile darglisi un successore che fosse uomo di mente, di nome, e con pieni poteri; ed altrettanto dìcevasi pel comando del navilio.

Era forse ne' pensieri del re di recarsi personalmente in Sicilia, ma ne veniva impedito, dacché era altresì indispensabile la presenza di lui in Napoli; temendosi da un lato gli attacchi verso la frontiera degli Abruzzi, e dall'altro sospettandosi di sbarchi, e di commozioni sul continente. Oltre di che molti altri motivi imponevano di non potersi allontanare dalla capitale del reame; e troppo lungo, ed anche doloroso sarebbe accennare quali codesti si fossero: basti il dire, che per alta ragion di Staio e per non cadere in mali maggiori era quivi necessaria la sua dimora.

Divisava pertanto di far partire con pieni poteri per Sicilia il generale principe di Satriano, che avevala riconquistata nel 1849, e molte furono le insistenze per decidere costui ad accettare l'incarico. Il vecchio e fedele generale Carrascosa offrivasi anche di partire alla sua immediazione. Satriano addiceva essere inabilitato a' disagi militari per l'antica ferita alla gamba , ed alle più incalzanti premure, chiedeva qualche ora per consultare i suoi medici, da' quali, diceva tornando indi a poco, essergli stato inibito di muoversi.

Si è saputo in seguito, non aver egli interrogato il professore di arte salutare, ma invece è corsa voce di aver consultato il ministro di Francia signor Brenier.

Dovè farsi allora assegnamento sul generale Lanza proposto dal medesimo Satriano come unico preferibile per sostituirlo; commendato per isperimentata fedeltà e convenevole energia, di che aveva fatto mostra ne' comandi successivi delle piazze di Palermo, e di Napoli. Rammenlavasi però da taluno in quel momento la sfavorevole sua riescita nel comando della piccola colonna, che nel 1849 eseguiva la escursione su Palestrina.

Comunicati appena gli ordini per la partenza del generale Lanza come regio commessario in Sicilia, cercava egli ritardarla sotto svariati pretesti (pag. 91). E siecome insieme col comando militare in capo veniva rivestito de' pieni poteri dell'alter ego, così non gli si dava veruna istruzione scritta, ed invece un semplice foglio di lumi su la situazione delle cose, su la posizione delle truppe, e su i risultamenti, cui doveva principalmente mirare: ma egli imbarcandosi dimenticava di recarlo seco, e giunto in Sicilia si dichiarava vinto già prima di combattere (pag. 107. 111.).

Disposte così le cose, il principe Satriano mostravasi impegnato pel buon successo, e con lettera de' 15 maggio formava

303

il piano di trarre le truppe fuori di Palermo, e concentrarle verso Caltanissetta. I motivi essenziali che afforzavano tale suo pensamento, leggonsi nel seguente compendio della sua lettera al re: Comincia per dire: " - che sia da cambiarsi il sistema proposto ed approvato dal consiglio di difesa pel concentramento di tutte le truppe in Palermo (pag. 82. 85. 87.), ed al contrario egli propone: - 1. far imbarcare per Messina, senza ritardo, la brigata Bonanno, è il battaglione Pionieri, dopo avervi mandalo 18 cacciatori, onde rafforzare quella scarsa guarnigione: - 2. lasciare in Palermo pel presidio del forte di Castellmmare le truppe che sceglierà quel comandante colonnello Briganti, e provvederlo per lungo assedio: - 3. comporre anche di buoni soldati la guarnigione del forte di Termini, affidandone il comando ad eletto uffiziale riputato per fermezza e coraggio; provvedere subito a completarvi l'armamento, e le munizioni: - 4. con tutto il resto delle forze di Palermo, dopo aver proclamato di voler prendere vigorosa 'offensiva, si marcerebbe sopra Caltanissetta: ivi pervenuto l'esercito, con nuova guarnigione di un solo battaglione si raffermerebbe la vacillante fedeltà di Girgenti; e mercé la presenza di tutto il corpo di armata nella centrale provincia di Caltanissetta, si consoliderebbe l'ordine nel distretto di Girgenti, e nelle intere provincie di Caltanissetta, di Noto, di Catania, e di Messina; spingendo immediatamente per la via di Nicosia una forte colonna sopra Mistretta, per punire quella città della stai ribellione: - 5. conseguito lo scopo di far rientrare nell'ordine i 15 distretti di Girgenti, Caltanissetta, Terranova, Piazza, Noto, Modica, Siracusa, Caltagirone, Catania, Nicosia, Acireale, Messina, Castroreale, Patti, e Mistretta, vi si pubblicherebbero le concessioni, che la maestà del recrederà opportune, le quali io reputo non potersi più oltre indugiare; e nel tempo stesso si sospenderebbe la percezione del macino, annunziando, che si procederà subito ad esaminare il modo, onde si possa rinfrancare il pubblico erario, almeno in parte; disposizioni entrambe indispensabili in questi supremi momenti, come per la prima di esse mi sono già permesso di rassegnare a Sua Maestà. - 6. Messina, o Catania pel momento diventerebbe il centro del governo della isola; ed una apparizione di Sua Maestà in Messina, Catania, Augusta, e Siracusa, fosse anche di pochi giorni » ristabilitosi l'ordine necennali distretti, produrrebbe certamente grandissimo effetto. - 7. In quanto alle precedenti disposizioni militari, che ho accennale, sarebbero estesamente sviluppate per facilitarne la esecuzione: né si ometterebbe d'indicare tuttociò che sarà da praticarsi in Palermo pria di uscirne per prendere la offensiva.

304

Il

piano poi proposto dal consiglio di difesa produrrebbe i seguenti danni; - I. scoramento inevitabile ne' soldati; - II. isolamento di Palermo: - III. certezza in tutta l'isola, che la capitale si trovi bloccala e prossima, ad aprire le porte al Garibaldi, il quale trionfante, dopo di avere con l'aiuto della popolazione manimesso le reali truppe, vi proclamerebbe il governo di Vittorio Einmanuele; - IV. mentre ciò sarebbe per avverarsi, Palermo verrebbe stretta dalle masnade, clic si unirebbero man mano a Garibaldi, ed aumentate dalle molte migliaia di facinorosi fornite dalle tristi popolazioni di Bagheria, Misilmeri, Marineo, Piana de' greci, S. Giuseppe, Parco, Morreale, Partinico, Borghetto, Montelepre, Torretta, etc.; tagliando gli acquedotti, distruggendo i molini, rompendo le strade, ridurrebbero in pochi giorni la popolazione di quella capitale alla disperazione della sete e della fame: - V. di ciò profitterebbero i ribelli per produrre in Palermo una esplosione, che quarantamila soldati de' più agguerriti non potrebbero domare, perché nulla è più feroce dello affamato, che combatte per la sua sussistenza. - Queste cose propagandosi in Sicilia, senza essere contraddette dal governo, per le interrotte comunicazioni, il corpo di esercito riunito il Palermo non avrebbe altro scampo, che di rimbarcarsi sotto il fuoco del nemico, abbandonando tutto, e così ridestando le turpi rimembranze del 1848. - Invece, se sarà bene operato dallo esercito il movimento verso Caltanissetta, nel suo ritorno offensivo sopra Palermo, farà ridondare a danno del nemico tutti i pericoli di sopra cennati. - Nel periodo non lungo di tempo, in cui tali cose si opererebbero, supplicherei rispettosamente Sua Maestà di degnarsi dar seguito alla idea, che si è benignata questa mattina di manifestare, cioè, di far parlare il cavalier Carafa (Incaricato del portafoglio degli affari esteri) col barone Brenier per domandargli, se accogliendo pienamente la Maestà Sua gli amichevoli consigli, che egli dava per adottare un diverso andamento governativo, che si avvicinasse a quello che con tanto successo regge la Francia, le quali officiose e benevole pratiche appoggiava anche il generale Roguet; se, ripeto, tali consigli da Sua Maestà si accogliessero, e francamente si attuassero, l'imperatore si determinerebbe a garantire la integrità de' suoi stati? Se la risposta dello ambasciatore di Francia non fosse chiaramente adesiva, io supplicherei Sua Maestà di mandare senza indugio qualche alto personaggio a fare simile domanda all'imperatore (pag. 175). Qualora si reputasse utile di far simile domanda al governo brittannici Sua Maestà determinerebbe in quali termini avesse a farsi;

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ma, secondo me, le assicurazioni della Francia sono le più importanti, e le più utili, nello stato attuale, come la potenza più interessata ad allontanare qualunque influenza inglese nella Sicilia. - "Conchiude, che la posizione è difficile eminentemente, e che senza spcdienti energici la monarchia sarebbe minacciala da gravissimi pericoli.

Due sono adunque i divisamenti in questa congiuntura, il primo proposto in Palermo da Salzano (pag. 82) e sostenuto da quel consiglio generalizio (pag. 85, 87.), di tenere, cioè, Palermo a qualunque costo, difendervisi, impedendo di aprir colà le porte agl'invasori; il secondo del generale Satriano discusso in Napoli. - Troppo prolisso sarebbe il discutere quali fossero gli argomenti a sostegno di entrambi i piani, poiché autori competenti in materie strategiche hanno ragionato lungamente su la utilità, e su gli svantaggi dell'uno e dell'altro.

Partendo Lanza, gli si lascio piena ed intera libertà di azione, per disporre ed attuare tuttociò che sopra luogo credesse più convenevole; ma fatalmente, come si è sperimentato in lutti i passati avvenimenti, la parola libertà di azione,

lo esercizio delle ampie facoltà del comando, e la responsabilità de' fatti, sono state parole di senso ignoto a taluni duci delle truppe napoletane.

Dal 18 al 23 maggio si spediscono in Palermo il generale Nunziante, e il fratello di lui maggiore Salvatore (pag. 107. 121. 130.), sempre con lo scopo di spingere il generale Lanza id uscire dalla sua colpevole inerzia; prendere ragguagli esatti su Io stato delle truppe, e dar notizie di quel piano, che costui si risolvesse a seguire, onde disporre quanto occorresse per viveri, munizioni, e materiali.

L'ultima parte dell'anzidetta lettera del generale Satriano, indipendentemente da' movimenti militari, riguardando i negoziati politici, che erano allora il punto di partenza della discussione, e di quanto altro è avvenuto sul proposito, è pregio dell'opera esporne tutte le particolarità. Sebbene il tempo trascorso renda difficile riandarle minutamente, pure, dalle varie notizie pubblicate, si cercherà di raccogliere tutti i chiarimenti, che hanno rapporto,

1. agli avvenimenti militari in Palermo, combattimenti, tregua, e sgombramento;

2. alle trattative diplomatiche in Napoli col ministro di Francia per far cessare le ostilità;

3. allo invio del commendatore de Martino a Parigi;

4. alle discussioni su i mutamenti, o immegliamenti da apportare al sistema governativo.

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I.

Accuratamente sono narrati in questa cronaca ì fatti di Palermo precedenti allo ingresso di Garibaldi, ed il combattimento durato nello interno della città dal mattino de' 27 sino al mattino de' 31 maggio (pag. 90 a 130, e 131 a 145) allorché Lanza ratificava, e faceva eseguire a suo capriccio una sospensione di ostilità da lui provocata e chiesta; ed è qui precisamente da notarsi che la cessazione dal combattimento accade appunto nel momento, in cui la vittoria si dichiarava per le reali truppe, facendole ritirare senza ragione, e senza onore; ed il trionfo era sicuro, dopo essere scorso il sangue per le vie di Palermo, ed arrecati gravi danni agli edifizi. E come se non fosse bastato al generale Lanza di aver ciò praticato esclusivamente di sua autorità, senza averne avuti né ordini, né consigli da Napoli, si permette prorogare la tregua per altri tre giorni (pag. 139. 141. 151. 154.). Interessa oltremodo questa circostanza, che è meritevole di attenta considerazione per disingannare coloro, che credono, e vorrebbero far credere, che la perdita di Palermo sia stata colpa esclusiva del governo di Napoli.

Il generale Lanza, dopo aver conchiuso il primo armistizio (pag. 139. 140.) potea riprendere, allo spirare di questo, qualunque altro movimento militare, ed anche in caso estremo far trattare col nemico per Io sgombramento della città, senza bisogno di spedire messaggi, e ricorrere a Napoli. Egli invece profitta del ritorno del colonnello Buonopane (quivi arrivato per prender notizie, co' soccorsi sanitari pag. 136) per mandare in Napoli con imbasciate a voce, il generale Letizia, quel desso che era stato in trattative con Garibaldi (pag. 141). Questo messaggio mostra essenzialmente la già determinata volontà del medesimo Lanza; - 1. di perder tempo, o quel ch'è peggio, di dar tempo al nemico (pag. 104. 141. 148.); - 2; di mettere direttamente in contatto Garibaldi col governo di Napoli per mezzo del negoziatore della tregua; - 3. di non comparire risponsabile su le sue determinazioni, inviando tutte le sue relazioni a voce, - 4. in fine far ricadere sul re, e su i suoi ministri la risponsabilità dell'ordine di riprendere le ostilità in Palermo, e de' danni, cui la città sarebbe esposta per un altro attacco, ed un altro bombardamento.

Né vale come discolpa quel che dice il Lanza nella sua lettera (pag. 154. 162.) a carico di Letizia, e Buonopane, i quali accusa di aver trattato direttamente, e senza sua intesa, con Garibaldi; perciocché le esposte osservazioni bastano a chiarire il contrario. Altronde le querimonie in riguardo a se stesso debbono

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valutarsi in ragione del modo, col quale ha egli tenuto conto di tante lettere ed istruzioni superiori

Può immaginarsi agevolmente quale impressione producesse in Napoli l'arrivo di Letizia, e Buonopane; e come spontanea sorgesse la idea, che a parte le considerazioni politiche, fosse incompatibile aversi a riprendere le ostilità e bombardarsi Palermo nel nome esclusivo del re, e non pel fatto del dovere de' suoi generali combattenti.

È quindi necessità fare in prima rispondere col ritorno dei due messi Letizia e Buonopane: - "che il generale Lanza ha il comando in capo dello esercito con piene ed ampie facoltà proporzionate alla grave risponsabilità che pesa su di lui: che riprovevole ed intollerabile sia il sistema da lui adottato di spedire in Napoli generati ed uffiziali con imbasciate a voce: che con le facoltà, e gli attributi dell'alter ego

, di cui è investito, può benissimo togliere dal comando chi non se ne mostri meritevole, e coloro de' quali si lamenta (pag. 154): che infine ove fosse nella necessità di sgombrare da Palermo lo facesse militarmente o con mezzo diplomatico, e non mai per trattative con Garibaldi.

Son queste le istruzioni dettateglisi da Napoli; che il re non può dargli ordini coercitivi pe' quali abbiano a farsi cruenti di nuovo i sentieri di Palermo; e la saviezza che le inspira rifulge, ove si ponga mente alla condizione delle cose in quel tempo, ed alla posizione delle truppe, sul merito delle quali gioverà riportare il giudizio contemporaneo di un esperto militare:

"Qual è la posizione e lo stato delle forze di Garibaldi? - Costui, per quanto è a nostra conoscenza, non può avere, che da 1500 a 2000 uomini di qualche organizzazione militare, e possiede appena sei, o otto pezzi di artiglieria da campo. Egli ha poche munizioni di riserva, oltre quelle di dotazione delle giberne, e de' cassoni. Tutti gli altri, che si sono uniti a lui, sono gente senza istruzione ed organizzazione militare; senza fucili di calibro uniforme, né munizioni per un prolungato combattimento (pag. 96. 140.). Aggiungasi, che codeste bande non conoscono l'uso della baionetta, né saprebbero servirsene, quando pure si volesse accordar loro la forza morale per sostenere gli attacchi alla baionetta. - Il numero degl'insorti non è conosciuto: ma quanto più è grande, tanto è più difficile manodurli, sottoporli a disciplina, servirsene e dirigerli regolarmente. - La invasione di Garibaldi in Palermo è stato l'effetto di una sorpresa; e la sua permanenza in questa grande città con tutte le genti, che vi ha condotte, con quelli che sono insorti in essa,


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deve rendere sempre più difficile il comando e la direzione della guerra, e crescerà col tempo il suo imbarazzo trovandosi in presenza delle truppe napoletane. Qual è la attuazione di queste in Palermo? Quelle che ora sono in Palermo ammontano a ventiquattro mila uomini, comprese le frazioni di Trapani, di Monreale, e del Parco, e le altre giunte testé da Napoli. Queste truppe sono perfettamente organizzate, ben provvedute di viveri, e di munizioni, ed use a tutti i movimenti di un corpo di armata bene istruito; hanno un artiglieria assai più regolare e numerosa di quella del nemico, ed hanno ancora sufficiente cavalleria... Esse hanno inoltre l'appoggio di 12 piroscafi, che le provveggono, e ne possono facilitare i movimenti per mare. La cittadella, o sia il forte di Castellammare, trovasi in condizione da non poter essere espugnato dal nemico con i mezzi, di cui dispone, e con ciò si mantiene sicura la comunicazione col mare. E se non si può temere che questa fortezza possa cedere per assedio regolare; né anche può supporsi, che si abbia a tentare un colpo di mano, o una scalata per la condizione delle sue fortificazioni. Riferita la condizione delle due parti, si può ora giudicare della differenza, che corre tra esse. Per quanto è deplorabile e grave, che la insurrezione sia penetrata in Palermo; pure ciò potrebbe tornare a suo gran danno, quante volle una considerevole forza militare occupando una posizione concentrata fuori la città, cercasse con colonne mobili di separarla dal resto della Sicilia. Si toglierebbe così la influenza de' direttori del movimento sul resto della isola: si forzerebbero gl'insorti ad uscir dalla città per attaccare le truppe in campo aperto, ed in posizioni già fortificate, ovvero si costringerebbero a rimanere rinchiusi in Palermo, la quale con centottantamila abitanti si troverebbe ben presto alle strette. Pochi giorni di una tale esistenza basterebbero a distruggere e domare lo slancio de' ribelli e delle forze disponibili di Garibaldi, ed a portare la dissoluzione nelle masse. Le circostanze sembrano di esser tali che la occupazione di Palermo può tornare di grave danno alla ribellione. Non si tratta di riprender per questo la città a viva forza, né di bombardarla. Soltanto si dovrebbe stringerla, e toglierle ogni comunicazione col resto della Sicilia. La città stessa verrebbe a sollevarsi contro i ribelli ed invasori, i quali senza appoggio, e senza risorse dovrebbero arrendersi ben presto. Anche quando il Palazzo reale cadesse in potere di Garibaldi, la sua posizione resterebbe la stessa; poiché gl'insorti si porrebbero cosi in una stretta, che non ha libero il passo a ritirata." - Il relatore conchiude, che distrutto il piccolo nerbo

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di forze rivoluzionarie recate in Sicilia da Garibaldi, tutto il movimento della isola si estinguerebbe.

In Napoli intanto si ritiene, che la tregua sia spirata al 3 giugno (pag. 143), e che in quel giorno sieno ricominciate le ostilità; ma poco vi si confida, avuto riguardo alle pratiche iniziate col ministro francese Brenier (pag. 145) e più ancora agli sconfortanti rapporti pervenuti da Palermo. Di colà scrivesi, in fatti, che le truppe trovansi in istato deplorabile, chiuse nel Palazzo reale, e Fiera vecchia, tra orrende ed insuperabili barricate, senza poter uscire dalle loro posizioni, prive di. viveri, ed impedite a procacciarsene; aggiungendo, che se venissero attaccate in questo stato, inevitabile sarebbe lo scompiglio, la distruzione, e la defezione de' soldati.

Si spedisce a' 2 giugno il maggiore Nunziante dello stato maggiore con istruzioni, che presso a poco sono le seguenti: - "1. abboccarsi col colonnello Buonopane, e procurare di protrarre la tregua, nel corso della quale le truppe debbono ricevere viveri e munizioni ne' siti dove trovansi: - 2. non potendo prolungarsi la tregua, si esegua l'ordine già comunicato di riunire le truppe a' Quattroventi; sia per terra; sia per mare per la colonna di Von-Mechel; ed ove ciò non possa effettuarsi, si faccia pel lato di s. Erasmo, cercando, per quanto è possibile, di non lasciare le posizioni prese alla Fieravecchia: - 3. stimandosi impossibile la ritirata per via di terra a causa delle gravi perdite che si soffrirebbero, doversi dire a Lanza, che ha piena libertà di azione senza che dovesse attendere ordini, ma a preferenza debba aver cura di salvare feriti, infermi, e prigionieri. - 4. abboccarsi con Von-Mechel, e con Bosco per conoscere lo stato della loro posizione, e se possono appoggiare la uscita delle truppe dal real Palazzo, quante volte non potessero uscire dal lato de' Quattroventi: - 5. Si ripeta a Lanza, che non si debbano mandare uffiziali con imbasciate a voce

, ma sempre con proposizioni firmate: - 6. se sia vero quanto si dice, che Letizia doveva qui proporre la offerta di Garibaldi per lo imbarco delle truppe con armi (pag. 154. 155.) si cerchi conto, perché ciò non si sia fatto conoscere: - 7. ricordare a Lanza, che egli ha l'alter ago e pieni poteri, e può da se togliere dal comando chi se ne mostri immeritevole; come altresì può tentare per qualunque via un movimento, e da ultimo un concentramento di forze a' Quattro venti (pag. 152. 156).

Credutosi in questo tempo di dover operare in modo da occupare stabilmente una posizione, piantarvi un campo, e sostenervisi per qualche tempo, ecco ciò che si suggerisce ragionando sul partito da prendersi a Palermo:

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- "Non essendo regolare di conservare, e mantenere la posizione del real palazzo pe' conosciuti svantaggi, che offre, è necessario di prenderne altra, o a' Quattroventi, o fuori dal lato opposto della città verso s. Maria di Gesù a mare. Queste posizioni offrono il vantaggio, che la truppa afforzandovisi alla meglio su le prime, e quindi più solidamente; ed abbattendo ne' dintorni del campo i muri de' giardini, e le case, da cui si potrebbero ricevere danni, conservando invece que' fabbricati, che sarebbero adatti per istabilirvi posti avanzati, o granguardie, o per appoggiare un'ala etc. , e fortificandoli con qualche trinceramento e con feritoie, si metterebbe il campo al sicuro dalle sorprese. Questi posti avanzati trattenendo il nemico, darebbero il tempo a' distaccamenti di riserva (retenne) ad accorrere, e si eviterebbe ad affaticare per falsi allarmi le truppe, come è scopo del nemico. Le pattuglie di fanteria, e di cavalleria vigilerebbero su' movimenti nemici, e darebbero avvisi di ogni tentativo, dopo aver fatte le debite riconoscenze. Tanto l'una, quanto l'altra di queste due posizioni offrono il vantaggio, che il nemico per attaccarle debba presentarsi in campo aperto; e l'altro, che trovandosi le truppe presso il mare, il fuoco dei legni terrà lontano il nemico dagli approcci del campo. Dal mare potrà la truppa ricevere rinforzi, se necessari, le munizioni da guerra, e da bocca, e potrà mandare con facilità i feriti sui bastimenti. Per effettuare questo cambiamento di posizione, supposto, che il nemico vi si opponesse, è mestieri prendere un largo giro lontano dalle mura della città, e scegliere strade praticabili per l'artiglieria. Se un paio d' ore prima di cominciare tal movimento, tre o quattro vapori si recassero a 3 o 4 miglia più distanti da Palermo, ma dal lato opposto a quello, che vuoisi occupare dalle truppe, ed arrivati colà cominciassero un cannoneggiamento, e poi con movimento di lance simulassero uno sbarco, è probabile che tutta l'attenzione del nemico si porterebbe sul punto, o almeno dovrebbe mandarvi una parte de' suoi armati, e tanti di meno ne avrebbe la truppa sul suo vero cammino. Un paio d' ore dopo del momento fissalo per la partenza delle truppe da palazzo, questi vapori dovrebbero ritornar subito a prendere la vera posizione avanti il sito, che dovrà occupare la truppa per proteggerne lo stabilimento nel campo, e per garentirla in tutto il tempo che dovrà rimanervi. Dovendosi la truppa guardare sul fronte con pattuglie, è necessario, che nella notte tre, o quattro lance armate di cannoni percorrano il littorale per discacciarne i nemici, che potrebbero tirando fucilate recar disturbi, e falsi allarmi nel campo. I bastimenti in somma non debbono perdere di mira,

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che da essi dipende la salvezza delle truppe, e perciò nulla debbono trasandare per renderle sicure, cioè, segnali, fatiche, vigilanza, e vivo fuoco nelle occasioni, cooperando alla difesa anche con le loro lance armate contro il nemico".

Ma tutte queste idee bellicose vanno a vuoto, quando ritornati Letizia, e Buonopane fanno comprendere chiaramente al governo essere impossibile ogni ritorno alle ostilità; ond'è necessario occuparsi delle trattative diplomatiche, facendosene segnalazione telegrafica a' regi rappresentanti presso le corti estere.

Spedili codesti avvisi, si cerca stabilire, per la mediazione del ministro francese Brenier, quanto appresso:

"Portici 4 giugno 1860. - In vista delle cominciate preliminari negoziazioni diplomatiche, il re spedisce ordine al generale Lanza di sospendere le ostilità, di riunire il corpo di truppe, e di condurlo ove meglio dal re sarà indicato, sia per mare, sia per terra. D' altra parte, dovrebbe il barone Brenier imporre in tutti i modi a Garibaldi, - 1. di non attaccare le regie truppe; - 2. imbarcarsi egli stesso ed andarsene via, o almeno di non uscire da' punti occupati; - 3. di consegnare tutti gli ammalati, feriti, prigionieri, e dispersi, che trovansi in suo potere; - 4. lasciar libero lo imbarco, o movimento per terra, a tutto il corpo di esercito esistente in Palermo, con gli equipaggi, materiali, artiglieria, cavalli, famiglie, e quanto altro possa appartenere al corpo sudetto a seconda delle indicazioni di Lanza: - 5. di evacuare qualche punto della città, o dintorni di essa che egli tiene occupato, e che potrà chiedersi dal generale Lanza, come assolutamente a lui necessario, cioè, Castelluccia, Lanterna, Prigioni, ed. altro sito nelle adiacenze: - 6. il retro-ammiraglio francese, che sta in Napoli, dovrebbe a questo fine recarsi in Palermo: - 7. il ministro Carafa agirà pienamente di accordo col barone Brenier: - 8. nel caso, che il generale Lanza esca con la truppa da Palermo, dovranno rimanere sempre in potere delle truppe regie, il forte Castellammare, Castelluccio, e Lanterna; ciò eseguendosi, resterebbe in potere di Garibaldi il real palazzo, che gli sarebbe dato in cambio della Castelluccia, e Lanterna".

Mentre si incarica il ministro Carafa a trattare su queste istruzioni in via diplomatica, si fanno ritornare a Palermo i due soliti messi, onde procurare, se fosse stato possibile, lo imbarco delle truppe; e si ordina, che riescite vane le premure perché s'intromettessero i consoli esteri a trattare con Garibaldi, rimanesse autorizzato Lanza a farlo, nel solo caso che lo si credesse indispensabile per vedute umanitarie e di salvezza della truppa: ed è questa la prima autorizzazione legale per simile

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trattativa, giacché le precedenti sono state di arbitraria iniziativa di esso Lonza: si ordina altresì a' suddetti messi di comunicare solo a costui la notizia della estera mediazione, senza farla propagare in città, nè fra le truppe, avendo essa prodotto sfavorevole effetto in Napoli.

Da più riputati fra i generali, e consiglieri in Napoli si prevede in questi frangenti, che fra non molto si avrà a sostenere la guerra sul continente, forse dalla frontiera degli Abruzzi; ond'è che stimano meglio salvare quel corpo di truppe trasferendolo in terra ferma; anziché lasciarlo perdersi allo in tutto nella Sicilia. Sventuratamente ne' momenti di maggior trepidazione, quando sopravvengono le più serie impressioni la monte umana è travolta nei men redi consigli, e confonde facilmente le tenebre con la luce.

II.

Poche e scarse notizie esistono su le pratiche fatte in linea diplomatica per una sospensione di ostilità nella Sicilia, onde iniziare altri accordi nella stessa linea, e nel contempo ottenere risultamene tali da produrre con la pacificazione di quella isola il cominciamento della grande opera, allora vagheggiata, di una riorganizzazione italiana sopra basi solide e durevoli.

Sebbene le proposte fatte dalla Francia di sostituire le truppe di S. M. siciliana a quelle dello imperatore de' francesi in Roma avessero dato motivo a supporre di esservi disaccordo tra i gabinetti di Parigi, e di Torino, o almeno mostrarne l'apparenza per riescir meglio a trascinare il governo di Napoli a que' passi che ne accelerassero la fine; pure per quest'ultimo rendevasi indispensabile in que' difficili momenti di rivolgersi al sig. Brenier rappresentante dello imperatore; che era al caso, volendolo, di agire e d'imperare sul governo di Torino.

Avverravasi pochi dì innanzi un fatto ben grave in riguardo al proposto ricambio di truppe in Roma. Il barone Brenier, ad analoghe domande fatte sul proposito dal governo napoletano, risponde, esser consentaneo quello di Torino, avendo dichiaralo al governo dello imperatore, potessero le truppe napoletane occupare parte del territorio rimasto al Sovrano Pontefice senz'altra alterazione; ma poche ore dopo il ministro plenipotenziario sardo marchese di Villamarina, ritenendo forse che il governo di Napoli accettasse le proposte della Francia, dichiara formalmente che in questo caso sarebbero rotte le relazioni con Torino, immediata la sua partenza, gravi le conseguenze, e la risponsabilità da ricadere sul governo di Napoli.

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La lettera autografa del Brenier, e il dispaccio diretto da Torino al Villamarina, che lo comunica al ministro degli affari esteri di Napoli, sono allegati nella costui relazione rassegnata al re ne' seguenti termini: - "Sacra Real Maestà. - Domani vedrò il barone Brenier pel noto oggetto. Ricorda bene V. M. che nel dispaccio giunto al medesimo Brenier è detto, che il governo piemontese consente alla nostra occupazione nelle Marche. Ora credo utile, che V. M. sappia essere stato da me il sig. Villamarina, ed avermi detto, che avendo egli scritto a Cavour, esser noi risoluti a non accettare codesta proposta fattaci dalla Francia, gli si sia risposto dal Cavour per telegrafo, che te le nostre truppe entrassero nelle Marche, Villamarina dovesse protestare e partire. - Dunque il Piemonte non consente, secondo dice il dispaccio di Brenier! - Ho domandato a Villamarina di qual diritto il Piemonte sarebbe per protestare, mentrechè noi nulla occuperemmo di ciò che gli appartiene; e mi ha risposto: "perché si attenderebbe di essere attaccato nelle Legazioni da noi e dalle truppe pontificie riunite. - "

Sia tutto ciò d'intelligenza a V. M., e veda quanto è saggia la risoluzione, che ha presa" (siegue la lettera del Brenier nel suo originale ed un importante dispaccio a Villamarina)" - I. Lundi ce 26 mars. Monsieur le commandeur. Voici la dépêche que j' ai reçu hier, et qui vous sera peut-être déjà parvenue par une autre voie. Je désirais vous prier de la communiquer au Roi: dans le cas où Sa Majesté n'en aurait pas reçu connaissance, votre présence au Conseil vous permettra sans doute de le faire. Si j' avais pu avoir l'honneur de vous voir ce matin je vous aurais prie aussi de demander au Roi de daigner m' accorder une audience: auriez-vous l'obligeance de soumettre mon désir a Sa Majesté. Les circonstances me semblent si graves, que je ne puis manquer à ce devoir, qui m'est iterativement recommandé par M. Thouvenel. Agreéz, M. le commandeur, l'assurance de ma haute considération. " (Firmato)"

BRENIER.

"Dépêche telegrafique du 24 mars. - S. M. le roi de Sardaigne promet de ne mettre aucun obstacle à l'occupation des Marches et de l'Ombrie par les troupes napolitaines, et de tout faire au contraire pour empêcher que l'agitation ne se propage dans les États de l'Église".

"II. Torino 13 marzo 1860. - Gabinetto - Ill.mo signor marchese. - Mi giunse regolarmente il pregiato dispaccio confidenziale, senza numero, del 17 corrente, e la ringrazio dei ragguagli in esso contenuti. Le sono grato altresì degli ufficj da lei fatti a favore de' cinque sudditi sardi condannati a' lavori forzali per la loro partecipazione allo affare del Cagliari.

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La prego voler esternare al commendatore Carafa la gratitudine del governo di S. M. per questo atto di clemenza, che, giova sperarlo, verrà prontamente eseguito. Ben lungi dal voler creare imbarazzi al governo di S. M. siciliana, il gabinetto che ho l'onore presedere, desidera, che esso. riesca a conciliare i legittimi desideri de' suoi sudditi con quegl'istinti di conservazione, che guidarono finora la politica del governo napoletano. Io proverei un vivo rammarico se l'agitazione crescesse costi a tal segno da aggiungere altre complicazioni a quelle attuali d'Italia e di Europa. Io approvo quindi la condotta riservata e prudente da lei tenuta costà, e confido, che riuscirà a convincere il commendatore Carafa della sincerità del nostro desiderio, che la tranquillità non venga turbata costà (1). Questo contegno assennato e dignitoso aggiungerà forza alle rimostranze, che ella dovrà fare, qualora avesse indizi sicuri, che il governo napoletano volesse uscire dallo stato di neutralità per intervenire nelle cose romane. Non dubito, che ella renderebbe avvertito il governo del re, ed intanto sono lieto di manifestarle la mia approvazione pel modo aperto, con cui ella indicò la linea politica, che noi saremmo costretti a seguire, qualora si avverasse quella spiacevole polesi. Gradisca etc. Per il ministro firmato Carutti. Ill.mo signor marchese Villamarina, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di S. M. in Napoli. " Bastano questi documenti a dimostrare le difficoltà in cui versava il governo di Napoli in que' momenti.

Ciò non pertanto la necessità portava a doversi rivolgere al ministro di Francia.

Gli ulteriori elementi per notizie precise e cronologiche mancano al presente; perché o le trattative ebbero luogo a voce, o le carte ufficiali si conservano gelosamente nel riservato archivio diplomatico napoletano. - Sarebbero da consultarsi i documenti diplomatici pubblicati nel libro giallo, e nel libro azzurro pe' parlamenti di Parigi, e di Londra, che hanno relazione alla materia in esame, non che gli svariati opuscoli che or sotto un aspetto or sotto un altro han potuto dare ragguagli sull'obbietto; e precipuamente quello. pubblicato dallo ammiraglio inglese Mundy, del quale si darà un sommario sunto nel corso di quest'appendice. Lasciando le minute e pazienti indagini a chi volesse occuparsene di proposito, ci limiteremo a profilare brevemente in queste pagine quel poco, che potremo raccogliere con le sole facoltà della memoria;

(1) La sincerità del governo di Torino qui espressa è da coordinarsi con le pagine 17. 26. 38. 49. 52. 53. 55. 61. 68. 69. a 72. 86. 102. nota. 157. 171. 185. nota. 188. 1€4. 228. 249. 275. di questa cronaca.

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1. la lettera del generale Satriano de' 15 maggio 1860 (trascritta dianzi pag. 303 e 304) è il punto di partenza per fare immischiare negli affari di Sicilia il gabinetto francese;

2. ne' 28 e 29 maggio si tiene la prima discussione sull'oggetto;

3. a' 30 detto mese è incaricato il ministro degli affari esteri di Napoli per conferire con i diplomatici di Francia, d'Inghilterra, e di Spagna sull'attualità, e su i punti qui appresso: - I. proroga della sospensione delle ostilità in Sicilia; - II. interessarsi i consoli delle potenze estere nella Sicilia per imporre a Garibaldi di non uscire da' punti occupati (1); - III. domandarsi qual parie possano le corti estere prendere in tali congiunture, su la dichiarazione di non ammettere annessione, e su la loro azione in Sicilia, e nel Piemonte; - IV. prevenire il procedere di Garibaldi. con mezzi morali. Pare, che se ne abbia in risposta di essere fermi i rispettivi governi a non ammettere cambiamento di dinastia; mancare però gli anzidetto diplomatici di ogni altra istruzione per garenzie o altro.

4. Si ha per un momento la idea di appellarne alle potenze segnatane de' trattati u>l 1815; ma poi si stima più espediente dirigere un memorandum a tutte le legazioni indistinta mente (pag. 98);

5. al 1 giugno, premure al ministro Brenier, affinché i diplomatici, ovvero gli ammiragli, se fosse possibile, conchiudessero lo sgombramento da Palermo; e se a' medesimi non potesse ciò affidarsi, se ne occupassero i consoli esteri colà residenti. Brenier risponde non potersi tentare, dubitando della riuscita;

6. a' 2 giugno. Il ministro inglese Elliot residente a Napoli conferma la notizia de' fatti di Palermo recata a Napoli dal generale Letizia, e dice "non poter prevedere il risultamene delle pratiche fatte presso il governo britannico, in seguito della riunione di tutti i diplomatici nel ministero degli affari esteri, e che non sapeva prevedere in qual modo il suo governo po tesse conciliare la opinione pubblica in Inghilterra, ed i desiderii del governo di Napoli per far arrestare gli avvenimenti di Sicilia; prega, che nel caso di ricominciamento di ostilità non si permettesse il bombardamento, il quale, senza nuocere alle bande garibaldine, farebbe danno materiale, e morale al paese, inasprendo gli animi, ponendo ostacoli alla conciliazione, e porgendo motivo di rigettare la mediazione,

(1) Garibaldi ed i suoi abborrono, ed irridono la diplomazia, pag. 172. 185. nota, 198. nota, 225. 163.


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ove questa fosse possibile; come pure farebbe pesare sul governo i danni da risarcire con conseguenze interminabili. Ripete le stesse preghiere per Messina, nel caso che la truppa fosse colà aggredita, potendo quella ben difendersi con la fucileria e con i cannoni da campo" (1).

7. a' 3 detto. Il ministro Brenier vede il re, e gli presenta le seguenti idee per servir di base alla mediazione:" 1. intégrité du royaume des deux Siciles; 2. unité de constitution, formulée sur les bases de la constitution impériale, et modifiée suivant les esprits des populations, les besoins, et les nécessites propres au royaume; 3. l'effusion du sang sera arrêtée, attendu l'existence des préliminaires des négotiations": soggiungendo, che l'imperatore si riserbava sentire i suoi alleati, ed il re di emettere una nuova legge su la stampa.

8. a' 4 detto. Il medesimo Brenier presenta al ministro de gli affari esteri in Napoli le aggiunte alle basi di mediazione, e dice non averle ieri presentate al re per averlo trovato troppo defatigalo. Il ministro napolitano se ne mostra sorpreso, specialmente per la terza aggiunta relativa all'alleanza col Piemonte. Il Brenier spiega, che tanto le prime, quanto le se conde basi sono idee sue, e non già ricevute da Parigi, e che quella dell'alleanza non è da lui presentata come condizione sine qua non. Nello stesso giorno si fanno pratiche dirette con lui, perché l'ammiraglio francese si rechi a Palermo, per far ritirare le reali truppe in perfetta regola, dopo aver prorogato la sospensione delle ostilità,.

9. a dì 8 giugno: dispacci all'estero, con i quali si annunzia trattarsi di rinvenire un mezzo diplomatico per riti rare le troppe da Palermo; - ed essersi intavolati appositi accordi con la Francia per trattative su le basi proposte dal re, nel fine di sospendersi le ostilità.

10. a' 22 detto. Da sorgente officiale (forse dal ministro d'Inghilterra) si asserisce: "essersi Cavour impegnato con la Francia a non contrariare le pratiche delle grandi Potenze per fare sloggiare Garibaldi da Sicilia, e d'indurre i siciliani a rientrare sotto le istituzioni che il re darà loro." - Si aggiunge "che tal dichiarazione era effetto, di aver Cavour conosciuta la volontà delle due grandi Potenze occidentali di non voler ammettere le annessioni." Dicesi finalmente "che facendosi qualche atto politico nel reame, non vi sarebbe stato bisogno di trattare direttamente per intendersi col Piemonte; ma che la Francia stessa ne avrebbe tolto il carico".

(1) Non si sa spiegare tanta premura a favore della Sicilia, e tanta indifferenza pe' feroci bombardamenti di Ancona, di Capua, e di Gaeta!...

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11. a' 29 detto. Telegramma del ministro napolitano a Parigi al ministro degli affari esteri in Napoli. "Ho manifestato a Thouvenel là dolorosa impressione prodotta per lo attentato contro Brenier, assicurando, che se ne farà severa giustizia. Thouvenel ha gradito, e non incolpa per niente il governo".

Quanto altro concerne i tentativi di mediazione, dopo i rifiuti dianzi accennati, è compreso ne' due seguenti paragrafi.

III.

Avevasi già da più tempo in progetto d'inviare a Parigi una persona di distinta capacità per esporre la vera condizione del reame delle due Sicilie, e partecipare che se quivi si lasciassero imperversare gli avvenimenti, gran danno risentirebbe l'Italia intera, e deluse rimarrebbero le intenzioni manifestate in Villafranca dallo imperatore de' francesi, al cui sguardo non poteva certamente sfuggire essere stato nella Sicilia introdotto a forza il disordine dalla rivoluzione cosmopolita, né questa avervi radice indigena, né esservi sostenuta da' popoli del regno.

Qualche giorno dopo lo sbarco di Marsala si discute dal governo napoletano intorno alla scelta di codesto inviato, ed alla missione da affìdarglisi, in conformità della. proposta del principe Satriano (pag. 304); ma se ne sospende l'attuazione per le nuove trattative su lo sgombramento di Palermo. Andate però queste a vuoto, si crede utile far partire per la Francia il commendatore de Martino (pag. 175) proposto, e creduto come il più idoneo per lo anzidetto incarico dal ministro degli affari esteri in Napoli.

Chiamato de Martino da Roma, si dubita per un istante su la convenienza della sua missione, a motivo del seguente telegramma del giorno 5: "Nello stato presente di violenza è da ritenersi come perdita della propria indipendenza lo indursi a far appello allo intervento delle Potenze estere, e lo accedere a concessioni costituzionali: - potersi addivenire ad adottare la costituzione francese, dopo ottenuta garanzia d'integrità perenne di territorio, e di dinastia." - Si decide infine, che de Martino parta per Parigi; ed a' 7 giugno s'imbarca a Civitavecchia su la Saetta, recando a quel regio rappresentante marchese Antonini una lettera del re allo imperatore, e le istruzioni per condurre seco il de Martino, se lo credesse opportuno, onde coadiuvarlo presso il governo francese nello esporre gli atti del Piemonte, e le disposizioni del re a prò de' suoi sudditi. La regia lettera esprime riconoscenza per le premure,

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che l'imperatore prende nello interesse del regno di Napoli, e la fiducia ne' sentimenti da lui dichiarati pel riposo e la pace d'Italia sopra basi solide e durevoli: spiega, che inspirato da (ali sentimenti il re conta sul possente concorso di lui per mettere termine alla effusione di sangue in quella parte del reame, dove la rivoluzione, importata e fomentata dagli eccitamenti e da' soccorsi esterni, ne ha gravemente compromessa la tranquillità; che in vista de' mali imperversanti su la Sicilia, dove le più ostili istigazioni erano state seguile dalla invasione a mano armata non giustificata da nessun principio, il re pensa, che nulla di meglio della cooperazione dell'imperatore potrebbe arrestare il flagello della guerra civile; e che convinto delle costui benevole disposizioni aveva affidato al barone Brenier lo incarico di proporne le basi (1) che egli medesimo assunte di trasmettere allo imperatore: essere il re sempre disposto a fare tutto che sia compatibile con la sua coscienza e con la dignità del trono, per risparmiare a' suoi popoli gli orrori dell'anarchia, i quali possono minacciare, oltre gl'interi suoi Stati, anche quello vicino della S. Sede.

V imperatore Napoleone riceve il marchese Antonini, e l'inviato, straordinario de Martino, presente il ministro Thouvenel, il quale, dopo la udienza, evita incontrarsi con loro; ed invece invia la risposta con un viglietto.

Le particolarità risguardanti la conferenza, tra l'imperatore col ministro Thouvenel da una parte, ed il marchese Antonini col de Martino dall'altra, possono così riassumersi:

L'imperatore prende la lettera del re, e lettala con la massima attenzione, dice: "ma quali sono queste basi per la mia mediazione? come la si potrebbe esercitare? io debbo agire di accordo con i miei alleati, ed è pur molto di aver ottenuto questo accordo! ha il re accettato il mio consiglio circa le tre condizioni, che credo indispensabili?" - De Martino, inscio di queste nuove proposte arrivate a Napoli dopo la sua partenza, risponde sviluppando il pensiero essenziale della lettera dei re, e le costui ferme intenzioni. - "È troppo tardi, ripiglia l'imperatore, un mese fa avrebbe potuto prevenir tutto; ora è troppo tardi! la Francia trovasi in difficile posizione; la les italiens sont fins, ils sentent très bien, qu'après avoir donne le sang de mes enfants pour la cause de leur nationalité, je ne tirerai jamais le canon contre elle: c'est cette conviction qui a amené la révolution, l'annexion de la Toscan,

(1) Vedi paragrafo precedente pag. 316 numeri 7. 8.

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malgré moi, et cantre me intérêts; il en feront de même avec vous (1): perciò io non posso agire altrimenti, che di accordo con i miei alleati; la loro azione combinata con la mia può solo arrestare il corso degli avvenimenti; né a ciò essi aderiranno se non vi trovano il proprio interesse. Non so se le basi da me proposte avranno questa condizione: ad ogni modo su di esse, nello interesse del re, potrò agire co' miei alleati, e lo farò con ogni potere". Così la discussione si restringe alle tre basi proposte da Brenier d' ordine imperiale (pag. 316):

1. agevolmente si prova, che l'interesse della Francia combina su questo punto con quello di Napoli: la Sicilia lasciata a se stessa cadrebbe sotto la influenza ed il protettorato brittannico: - l'imperatore quindi valutando il peso di questi argomenti, spontaneamente replica: "potrebbe prepararsi una separazione tra i due paesi sotto lo stesso re e con costituzioni diverse; sarebbe questo il miglior partito... ma verrà accettato?" - 2. la diversità della costituzione de' due paesi viene poco discussa: - 3. l'alleanza col Piemonte, che sembra essere la idea fissa dell'imperatore, dev'essere, secondo lui, il cardine dello accordo tra la Francia, l'Inghilterra, e la Sardegna: - "questa ultima (dice l'imperatore) può arrestare la rivoluzione, quindi avreste dovuto dirigervi al re di Sardegna, e non a me: solo contentando la idea nazionale potreste arrestare la corrente: le concessioni interne non avrebbero scopo per se stesse se parate da questa idea, e nessuno le accetterebbe: se avete forza sufficiente per comprimere la rivoluzione, fatelo pure, ed io sarò il primo a farvi, plauso; ma se non l'avete, quello è 1'unico e solo mezzo per disarmarla: l'incendio esiste, grandeggia, e si avanza, sacrificate pure qualche nobile edificio per salvare tutto: i momenti si contano, ed ogni momento perduto è irriparabile." - Vuole poi l'imperatore coordinare questi nuovi pensieri con ciò che ha dettato a Villafranca; ma diviene agevole di ribattere l'argomento, e provare, che non si tratta più di confederazione per riunire vari stati indipendenti allo identico scopo e nel comune interesse; ma sì bene di darsi legato da se stesso ad uno Stato soverchiante ed invasore, la cui politica tende apertamente ad assorbire tutta l'Italia, si serve di tutti i mezzi, fomenta e sostiene la rivoluzione nelle due Sicilie, mentre al cospetto della stessa Francia si trova in posizione anormale e non riconosciuta: strana pretesa esser quindi, che il governo di Napoli, sua vittima, fosse il primo e il solo a far atto di riconoscenza alla sua politica ed al suo ingrandimento!

(1) Si riportano nello idioma originale le importanti espressioni do' documenti che per avventura ci sono pervenuti sott'occhio.

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E potrebbe volerlo la Francia; mentre in cambio di una confederazione, nella quale dominerebbero i suoi principi, vedesse consolidata un opera esclusivamente rivoluzionaria?! L'Italia così costituita potrebbe un giorno venire a contesa con la Francia, e combatterla appoggiata dalla Inghilterra, che sostiene i principi liberali-rivoluzionarì. - "Tuttociò può esser giusto e vero (replica l'imperatore), ma oggi siamo sul terreno de' fatti: la forza delle opinioni è irresistibile, e la Francia non è più quella del 1849: appunto perché noi non vogliamo l'annessione, che è contraria a' nostri interessi, io consiglio d'intendersi col Piemonte, che è l'unico mezzo pratico da evitarla, o almeno da ritardarla:

la forza è dal lato contrario, ed irresistibile; contro di essa dobbiamo star disarmati: si ceda alla esigenza del momento, la idea nazionale deve trionfare; si sacrifichi tutto a questa idea in un modo qualunque: - non discuto i termini ne' quali si potrà trovar modo da risolvere tutte le obbiezioni, che esistono, ma nel fondo si faccia e subito; domani sarebbe troppo tardi! - Il mio appoggio leale in questo caso vi sarà assicurato; altrimenti dovrò abbandonarvi, e lasciare che l'Italia faccia da sé. Il principio del non intervento, cementato col sangue della Francia, sarà mantenuto." - "Che lo sia pure, e per tutti egualmente (rispondono i regi rappresentanti napoletani); in questa lotta, che uno Stato Sovrano ed indipendente sostiene contro una rivoluzione prodotta e mantenuta dallo straniero, cessi la manifesta intervenzione di uno Stato vicino, che s'infìnge amico: che gli si opponga una parola ferma dello imperatore come quella che ha dato Nizza e Savoia alla Francia; che sola ha salvato i domini del Papa da una invasione consimile a quella che si è consumata a nostro danno: sia detta questa parola anche per noi, e certamente sarà ascoltata." Ma l'imperatore osserva dicendo: - "le condizioni sono diverse tra lo Stato romano, ed il vostro, essendovi pel primo una quistione religiosa, di presenza delle truppe francesi: gl'italiani han sentito, che per questo avrei dovuto agire, ma per voi sentono il contrario, et voila ma faiblesse:

ciò non per tanto continuerò e ripeterò le pratiche a Torino: ma non può negarsi, Cavour est debordè; ancor egli non ha altro che argomenti da opporre alle opinioni, alle passioni scatenate contro di voi finanche in Alemagna, ed in Russia: date a Cavour un argomento di fatto, un'arma valida, un interesse da sostenere, e lo farà: egli ha una mente pratica, sente il pericolo della rivoluzione, che per voi ingigantisce, e che mette in forse l'opera sua: egli vorrebbe andar piano e sicuro; ma la rivoluzione si slancia dans l'inconnu: dunque è a Torino che si deve agire. "

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- "Si, a Torino (ripetono i regi rappresentanti) si deve agire; ma per impedire lo intervento, che la Francia riprova, ma per far rispettare i diritti di buon vicinato, de' trattati, e della morale a Torino dovrebbe tuonare la voce della Europa tutta contro tali attentati; e la Francia, che ha proclamato, e vuoi sostenere il principio del non intervento, deve essere la prima a prendere la iniziativa e dare lo esempio! noi lo domandiamo formalmente allo imperatore:" e conchiudono appellandosi alla politica secolare della Francia, assicurando esser ferma risoluzione del re di rispondere dal canto suo a questi comuni interessi, ed a questa ben intesa politica. L'imperatore si limita a rispondere, che vi penserebbe, e darebbe risposta al re.

Il ministro Thouvenel nelle parole pronunziate di tratto in tratto non ha altra mira che di contrariare gl'interlocutori napoletani, e fra le altre cose da lui dette sì notano le seguenti: - 1. quando si chiede, che il principio del non intervento fosse applicato a tutti, e s'impedisse al Piemonte di dar mano alla rivoluzione, egli sostiene, non essere il Piemonte straniero in una quistione italiana: - 2. soggiunge "essere impossibile, che la Francia tolleri il prolungamento della lotta in Sicilia, e quando pure lo tollerasse, potrebbe forse l'Europa rimanere spettatrice oziosa della crudeltà de' soldati napoletani?" (1).

Antonini, e de Martino hanno altri abboccamenti con i ministri esteri, e ne sperimentano la tiepidezza, sopratutto in quello di Russia; mentre l'altro di Prussia vorrebbe finanche impedire che il principe reggente ne parlasse a Baden con l'imperatore; ma poi si arrende alle ragioni addotte. - Il ministro di Austria si limita a dire: "non v'è che fare, perché l'Austria non può, né deve far nulla in Italia." - Quello di Spagna riferisce, di esserglisi significato dallo imperatore, che né egli, né l'Inghilterra permetterebbero m;»i un intervento armato a favore del re delle due Sicilie; al quale (secondo egli prevede) accadrebbe ciò che gli è accaduto per Parma.

Sul contenuto di codesti ragguagli pervengono al governo di Napoli talune riflessioni, che possono così compendiarsi: - Su la 1. condizione, costituzione separata per Napoli, e Sicilia, intatta la unità del reame, si dice potersi con tal mezzo salvare gl'interessi della real corona, e la integrità della monarchia:

(1) Siegue un articolo in questa appendice su le desolanti condizioni della Si cilia attuile Botto il regima picmjntejs, eppure VEuropa rimane spettatrice oiiota Hi tante crudeltà!K

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- su la 2. condizione, d'essere pensiere del re dare a' suoi dominii continentali una costituzione su le basi di quella francese, si osserva, che siffatta concessione, non reclamata affatto dalle popolazioni, si darebbe solo per cedere ade esigenze europee; quindi, divenuta quistione esterna, il re al cospetto del paese rimarrebbe nella pienezza de' suoi diritti e del suo arbitrio: l'imperatore però diceva non poterla accettare, perché darebbe troppo manifesto segno della influenza francese a' suoi alleati, con i quali deve agire di accordo, e potendo questi riprovarlo, egli si troverebbe allora nella condizione di vedere offerte e rigettate le sue proprie instituzioni; soggiungendo, che egli consiglia le concessioni, non già per se stesse, ma per mostrare che si condiscende alle esigenze europee; e per ciò esser debbono in apparenza le più larghe possibili:da ultimo si fa riflettere, che la sperienza del passalo e quella de' regni vicini non sarebbero perdute pel re, il quale salverebbe sempre i principi della religione e della morale: - la 3. condizione, alleanza offensiva e difensiva col Piemonte, richiama maggior attenzione, perché con questo patto s'implicherebbe il regno delle due Sicilie a riconoscere gli atti del governo subalpino contro la Chiesa; ond'è che lo si potrebbe stabilire in altri termini: alleanza col Piemonte nello scopo d'assicurare la nazionalità italiana da qualunque attacco esterno." - Quante volte venisse così proposto e garentito dalla Francia, sarebbero ben assicurati gl'interessi delle due Sicilie, e della Chiesa; la quistione delle Romagne, e della Italia centrale rimarrebbe quistione europea, e la Francia non potrebbe pretendere dal governo di Napoli più di quello che essa stessa farebbe per tal quistione. Ora non volendo il re discendere ad atti, che avessero la menoma apparenza di ostilità verso la S. Sede; e d'altra parte non potendo egli solo resistere all'urto di tutta la rivoluzione, conviene prendere in seria considerazione le proposte basi, purché restino saldi i sacrosanti diritti della religione.

L'abbandono completo di tutta Europa, lo accordo tra Francia, Inghilterra, e. Sardegna, la posizione del reame a fronte della rivoluzione imminente, le vere condizioni del paese, dilemma tremendo che obbliga il re a prendere una suprema risoluzione, provocano queste altre riflessioni: - 1. l'imperatore medesimo aver corretta la primitiva proposizione di una separazione completa tra Napoli e Sicilia quando ha detto, doversi mantenere la integrità della monarchia con due diverse costituzioni, e con un principe reale per rappresentante della Sicilia: salvati così i diritti sacri e gl'interessi dinastici,

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potersi dare largo campo alle pretensioni di spirito locale emergenti nella Sicilia, la quale si mostra avversa alle annessioni: così nelle presenti contingenze, con la impossibilità di vincere la insurrezione, si troverebbe appoggio nel sentimento delle masse e nell'azione di Francia ed Inghilterra; e quando per ultima ragione si dovesse ricorrere alle armi, si potrebbe farlo in altre condizioni diverse dalle attuali riguardo al paese ed alla Europa: - 2. i domini continentali del reame serbarsi nell'ordine e nella tranquillità, senza porgere orecchio alla rivoluzione (pag. 53. 82. 144. 228. 266. cronaca), in modo da non destare menoma apprensione anche abbandonato il governo a se stesso: la costituzione non esser quindi richiesta da' popoli, ma dalle esigenze europee, divenuta perciò soggetto di questione puramente esteriore; e checché potesse avvenirne, sarebbero sempre salvati dal re i diritti della religione, e della morale: - 3. maggiori difficoltà (come dianzi si è notato) presentare il terzo punto; perché un'alleanza decisa col Piemonte spingerebbe il governo di Napoli in una via ostile al vicino Sovrano Pontefice, la quale via il re non seguirebbe mai: l'imperatore a queste difficoltà aver suggerito di riparare, riservando, su l'esempio della Francia, la quistione della Italia centrale, che restando quistione europea, il riconoscimento da parte del governo napoletano non farebbe altro, che constatare il non riconoscimento di tutta Europa: ed in ciò ogni interesse, ogni volontà accordarsi col re negl'interessi della Chiesa: essere necessità perciò di ridurre il proposto patto ad un alleanza col Piemonte per difendere la nazionalità italiana da qualunque esterno attacco, nel fine di contentare la idea nazionale, punto fisso della Francia e de' suoi allenti, e serbare ad un tempo illesi ed interi i diritti e le azioni de' Principi spodestati, e della Chiesa su le proprie provincie.

La condizione intanto è tale, che devesi necessariamente scegliere, o di subire le tre condizioni e vivere; ovvero cadere senza rimedio: questa è altresì la opinione de' ministri del re.

Indi a poco pervengono a de Martino le risposte dello imperatore, le quali brevemente, ma pur chiaramente, dicono: - "Due istinti possenti sembrano attualmente governare gli animi degli italiani, l'uno tende ad unirli in una nazionalità comune; l'altra a farli restar separati per le proprie individualità: se i Ducati hanno testé abbandonato la loro esistenza storica, lo han fatto per soddisfare al sentimento nazionale, che l'ha vinta su quello della località. Se dunque si prendono grandi misure, e tali da mostrare, che il re di Napoli è anche membro


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influente della grande famiglia italiana, la opinione pubblica sarà satisfatta, e la propria autonomia sarà rafforzata. Intendendosi perciò col Piemonte nello scopo puramente nazionale, potranno evitarsi i sovrastanti pericoli." - Soggiunge l'imperatore, che egli avrebbe dato volentieri aiuto efficace, ma si astiene dal profferirlo; perché i soccorsi stranieri non bastano a consolidare un governo, e da ultimo gioverebbe molto più al presente di giungere ad una conciliazione con la Sicilia, senza ricorrere a nuova effusione di sangue.

A' 16 giugno giunge indirettamente al governo la notizia: - "essere il de Martino partito da Parigi senza aver nulla conchiuso.

" Ed anche pria del costui ritorno in Napoli s'insiste presso il re, perché facesse un atto spontaneo, non solo per Sicilia, ma anche per Napoli, giudicato necessario per evitare qualche catastrofe.

A' 20 arriva de Martino, e riferisce il risultamento della sua missione. Nel domani si discute nel consiglio di Stato, - 1. se debbansi accogliere le idee dell'imperatore Napoleone, per una costituzione in Napoli, ed un'altra separata in Sicilia con un vice-re (principe reale)? - 2. se debbasi stringere la lega difensiva ed offensiva col Piemonte? - Il consiglio è discorde ne' pareri, ed il re, che infermo non vi presiede, si riserba di risolvere. Si dispone nel giorno stesso, che de Martino si restituisca al suo posto diplomatico in Roma, e che si appresti a partire un corriere per la Spagna, passando per Roma.

Intanto il marchese Antonini fin da' 17 giugno scriveva al ministro degli affari esteri in Napoli, esser sorpreso, che si pensasse d'impegnare, per suo mezzo, il governo francese di persuadere al Piemonte a non insistere per la restituzione de' due legni catturati dalla reale fregata Fulminante (di cui si parlerà con separato articolo in seguito), e molto più meravigliarsene vedendo perdurare la illusione che colà potesse ottenersi qualche favore, dopo aver veduta fallire la missione del de Martino, il quale scorato e persuaso della totale rovina, erasene partito: non rimanere a sperare che sul valore delle troppe, e su l'appoggio delle popolazioni: esser suo consiglio di darsi chiaro rifiuto al ministro sardo Villamarina pei due legni, non dovendo spaventarsi delle minacce di guerra, che il Piemonte non può fare, e facendola darebbe cagione ad intervento europeo: essersi già molto perduto in dignità contando su la mediazione francese: presagito a de Martino l'esito delle sue pratiche, essersene costui mostrato sorpreso; ciò vuoi dire non essersi tenuto conto de' precedenti rapporti di esso Antonini, il quale insinuava in ogni caso la massima energia,

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non potendo il Piemonte dichiarar guerra, ed anche potendolo, esser meglio averlo nemico aperto, che celato e subdolo come ora.

Si riferiscono alla missione del de Martino i vari telegrammi tra Napoli, e Parigi, de' quali si accennano alcuni, che si son potuti raccogliere in disparate occasioni, e che mostrano il seguito delle trattative; mentrecchè le pratiche del Brenier in Napoli non cessano per un solo istante, e diventano sempre più stringenti ed incalzanti.

Nello stesso dì 21 giugno, dopo che de Martino rende conto del suo viaggio, si segnala a Parigi: - "Se il re facesse ciò che ora riferisce de Martino, s'impegnerebbe l'imperatore de' francesi a garcntire dinastia e territorio?" - All'uopo il ministro Antonini, nel domani, ne dirige nota a Thouvenel premurandolo a prendere gli ordini dell'imperatore. Autonini però inferisce dalle risposte avute in altre occasioni, non poter dare la Francia veruna garentia, ma invece consigliar sempre d'intendersela col Piemonte, e di procedere subito alle concessioni per Napoli e Sicilia. - In aspettativa della risposta di Thouvenel, ha un abboccamento con lord Cowley ambasciatore inglese, il quale gli dice sembrargli impossibile, che l'Inghilterra voglia dar garentia (1). Tanto a costui, quanto al Thouvenel dicea Antonini: "dunque senza garentia, a qual pro tanti sacrifìzi del mio Sovrano? mentre lo stesso re di Piemonte, e Cavour sono trascinati e vinti dalla rivoluzione mazziniana, e la subiranno come noi?" - Entrambi si limitavano a rispondere: "e che vorreste che facessimo?

" Scrive perciò a' 22 a Napoli: - Il ministro Thouvenel, e questo ambasciatore inglese fanno prevedere impossibile ogni garentia: - il primo dice, che la Francia sola non può assumere obbligazioni all'oggetto; ma darà appoggio diplomatico a Torino, ed a Londra, quando i suoi consigli fossero seguiti".

Da Parigi si stima adunque potersi contare su l'appoggio diplomatico in Torino, e su le assicurazioni date da Thouvenel che l'imperatore vedendo attuati i suoi consigli si troverebbe obbligato al promesso sostegno nelle vie diplomatiche colà, ed a Londra; avendo detto testé il medesimo imperatore a vari ambasciatori esteri, doversi fare dal re di Napoli qualche concessione nel senso della costituzione francese, appoggiandosi interamente sull'esercito, ed attaccando Garibaldi; poiché un successo contro costui cambierebbe le cose in Sicilia e la opinione in Europa; ma se poi il re adottasse costituzione parlamentare, sarebbe perduto".

(1) Sul contegno del governo inglese negli affari di Napoli, Vedi pag. 145 nota; 'e l'articolo proprio nel corso di questa appendice n. 3.

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Telegramma del governo di Napoli al marchese Antonini a Parigi: - "il ministro Brenier non parla più di costituzione su le forme della imperiale francese, ma di larghe confessioni; e ciò in contraddizione di quanto diceasi prima, e non comprese ne' punti formolati con le prime, e cosi le seconde basi (pag. 316 §. 7. 8. sopra): doversi perciò spiegare con Thouvenel, e rispondere chiaramente, divenendo sempre più grave la posizione".

A' 24 giugno Antonini partecipa la risposta avuta dal Thouvenel così compendiata: - "L'imperatore da se solo non può dare garentia senza precedenti analoghi nella storia della diplomazia: egli però darà il suo appoggio a Torino, ed a Londra, se i suoi consigli saranno seguiti".

Or poiché alla domanda formale per esser garentito dopo tanti sacrifìzi: si risponde "intendetetela col Piemonte,

" si cerca far considerare l'affare delle due Sicilie come una quistione europea, (come di fatti lo è) interessando il re di Baviera, ed il principe reggente di Prussia, perché parlassero a pro del re di Napoli a' Sovrani riuniti a Baden; ed essi, col re di Wurtemberg promettono i loro buoni uffici presso i gabinetti di Londra, e di Parigi; anzi il re di Baviera con premurosa sollecitudine spingerebbe il re di Wurtemberg per una efficace raccomandazione allo Czar.

Dispacci, e telegrammi del marchese Antonini da Parigi al governo di Napoli - "1. a' 10 luglio. - Non ho potuto ancora vedere Thouvenel: credo pero di sapere esser sua opinione, che sia indispensabile per noi accordarci col Piemonte, per non essere ingoiati dalla rivoluzione, come pure doversi cedere da noi per la Sicilia".

2. Giusta la nostra richiesta il ministro Thouvenel ha scritto a Torino, dove ci consiglia far note le basi e la estensione degli accordi se si accettano; aggiungendo che né da Parigi, né da Torino si impediranno spedizioni , quindi non doverci far illusione, la rivoluzione non arrestandosi, che avanti alla forza: adunque, durante le inutili negoziazioni a Torino, bisogna appoggiarci su le truppe, arrestare le spedizioni con la regia marina, attaccare Garibaldi; altrimenti sarà certa la per dita della corona e della Dinastia, dopo tante umiliazioni inutilmente sofferte".

3. (Su la interpellanza fatta al Thouvenel pel mutato linguaggio di Brenier). - "Né l'imperatore, né il suo ministro han mai consigliato nettamente di adottare la costituzione francese, o altra qualunque, e ciò per non assumere veruna risponsabilità: forse Brenier conoscendo la interna situazione

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di Napoli avrà potuto credere non più adattabile la costituzione francese: altronde l'imperatore nella sua lettera al re ha parlato di larghe istituzioni su le idee italiane: - se poi si osserva qualche modificazione nel linguaggio di lui, non si debbono dimenticare gli abboccamenti de' Sovrani a Baden: da qui si riferisce solo quello che si attinge da sicura fonte. - Thouvenel ha soggiunto di aver segnalato a Torino per sospendersi le ostili là ed impedirsi le spedizioni; aver pure scritto a Londra, Venendosi contento della risposta avutane; ed in fine di aver telegrafato a Brenier, perché sollecitasse a Torino la conchiusione dello accordo con le Potenze prima che l'annessione della Sicilia venisse proclamata".

4. " a' 12 luglio. - Dopo la mia prima nota, Thouvenel ha dato utili ed energici consigli a Torino per la Sicilia nel senso nostro, comunicando ordini al ministro francese a Torino per appoggiare le nostre negoziazioni. - Egli però teme, che non riusciranno, perché Cavour è soverchiato dalla rivoluzione, e l'Inghilterra è contraria all'annessione, e vuole la separazione della Sicilia con un sovrano scelto da' siciliani. Il medesimo Thouvenel crede, che la promulgazione della tregua sia più utile a noi

, che a Garibaldi (1), e che bisogna fare ogni sforzo per ottenerla".

5. "a' 15 detto. - Si è scritto a Torino nel senso del telegramma di ieri. La Prussia crede opportuno il tempo per le Potenze conservatrici, onde protestare, perché la Sicilia resti unita a Napoli: si sta concertando con Russia, ed Austria.

6. "a' 24 dello. - Ringrazia pel ritiro accordatoglisi s sua richiesta fin da' 14 corrente; dice, che passerà la cifra e l'archivio al segretario Campodisola Cajaniello: espone, che l'imperatore potrebbe offendersi se egli non presenti prima le sue credenziali, e conchiude di aver consegnata a Thouvenel la nota per lo ritiro delle truppe dalla Sicilia".

7. "a' 26 detto. - Tregua di sei mesi discussa tra Francia e Piemonte: quest'ultimo ha perciò scritto a Garibaldi, ma si dubita della costui accettazione. Per imporne, la Franchi ha fallo ieri proposta all'Inghilterra che ordinasse alla sua flotta d'impedire a Garibaldi lo sbarco sul continente. Iersera l'Inghilterra ha rifiutato di aderire a tale materiale intervento".

8. "

a' 30 detto. - A Topliz l'Austria ha parlato di noi; ed attesa la nostra alleanza col Piemonte ha impegnata in Prussia, perché domandasse alla Francia,

(1) La inesattezza di questa opinione è comprovata più volte in questa cronaca, ed appendice.

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che voglia impedire a Garibaldi di rovesciare il nostro governo: oggi la Prussia ha fatta la nostra domanda".

Questa serie di documenti, raccolti non senza gravi difficoltà, per quanto informe ed incompleta, sembra nondimeno bastante a chiarire i fatti antecedenti, ed i conseguenti alla missione del de Martino 3 e per dare una idea sufficientemente esplicita di quanto potrà servire per un esatto giudizio su gli avvenimenti di quella epoca.

IV.

A conoscere, ed apprezzare quale fosse stato il progresso delle idee in ordine alle speciali concessioni politiche per la Sicilia, sì hanno elementi veridici nel corso della cronaca, e di questa appendice, benché fugacemente accennati. Una storia esatta de' vari progetti concepiti per modificare e migliorare la forma governativa nello intero reame troverà posto in altro lavoro su gli avvenimenti del biennio 18591860. - Occupandoci ora della sola Sicilia, diremo esservi stata in principio là idea di accordare a' domini al di qua, e al di là del Faro, unico statuto sul tipo di quello imperiale della Francia; idea modificata dappoi per intrigati avvenimenti. - Ad un piano, che intendeva forse di fondere, a proposta della stessa Francia, gl'interessi delle due parti del reame, ne subentrava altro, che, rispettando la separazione amministrativa, giudiziaria ed economica, ne effettiva il compimento concedendo anche un parlamento separato.

Non ostante le primiere assicurazioni in contrario, sesftbrava per un istante, che le Potenze occidentali inclinassero ad acconsentire per la totale separazione di regno, tra la Sicilia insulare, e la continentale. Ma codesto consentimento non era dettalo da spirito d'immegliamento per la Sicilia, sibbene da passiva acquiescenza ad un nuovo ordine di cose, che la setta rivoluzionaria cosmopolita andava preparando nella Italia meridionale. - Garibaldi allora occupatore della Sicilia, col suo programma già stabilito Italia e Vittorio Emmanuele

, lasciato colà senza opposizione, avrebbe avuto ogni opportunità di proclamare anche più presto l'annessione di Sicilia a' domini del re di Sardegna. - In questo caso il riconoscimento della Indipendenza siciliana non sarebbe stato che un passo, sotto il punto di vista generale, non rivolto ad altro scopo, che ad accelerare un fatto astutamente preparato, produttivo d'un risultamento affatto opposto a quello che pareva essersi dapprima prefisso.

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L'Inghilterra era più cauta nelle sue parole per non destar sospetto alla Francia. Questa al contrario manifestava il pensiero della indipendenza di Sicilia sotto un Sovrano del ramo de' Borbotti di Napoli , ma rischiarata su le probabili conseguenze (dell'annessione, cioè, al Piemonte, tanto più che essa dubitava del rifiuto di Garibaldi e de' siciliani al suo piano, senza che avesse potuto astringerli ad accettarlo) modificava, come dianzi si è notato, le sue idee, ed invece progettava la conservazione di unica monarchia con separati statuti.

Non isfuggiva alla Francia, che verificandosi la completa separazione della Sicilia, grande probabilità, per non dir certezza, vi sarebbe stata, se non di protettorato, almeno di soverchia ed esclusiva influenza inglese in quella isola, e quindi del Mediterraneo si sarebbe fatto un lago tuttaffatto brittannico. Egli era perciò che, in seguito delle trattative con la Francia, tenendo fermo alla indivisibile ed unica monarchia delle due Sicilie, l'articolo 5 dell'atto sovrano de' 25 giugno 1860 veniva così concepito: - "In quanto alla Sicilia, accorderemo analoghe istituzioni rappresentative, che possano soddisfare i bisogni della isola; ed uno de' Principi della nostra real casa né sarà il nostro viceré".

Non è quivi indicato quale si fosse la costituzione da doversi adottare per Napoli, e molto meno per Palermo; e quando i deplorabili fatti de' giorni 27 e seguenti di giugno trascinavano, non senza riflessioni e rimproveri, a richiamare in vigore la costituzione del 10 febbraro 1848, convergeva in tali vedute l'art. 87 così espresso: " - Talune parti di questa costituzione potranno essere modificate pe' nostri domini al di là del Faro, secondo i bisogni, e le condizioni particolari di quelle popolazioni".

Lasciavasi perciò sempre indefinito qual esser dovesse lo statuto, che, mantenendo il nesso di unica monarchia, avesse retto la Sicilia a forma costituzionale e rappresentativa.

Sotto vari, aspetti, nelle pratiche fatte in seguito dallo inviato Manna in Torino (pag. 197 cronaca), e da un ministero, che preparava la caduta della monarchia, si discorreva di costituzioni e di statuti applicabili alla Sicilia, accennando a quello del 1812 confermato nel 1813, e ad altri, senza discuterne, né le particolari, né il complesso , né le difficoltà, che naturalmente doveano frapporsi, qualora si fosse adottato quest'ultimo, ove prevalgono istituzioni fondate e sostenute da' principii di potente aristocrazia e feudalità, aboliti dalla posteriore introduzione nella Sicilia delle leggi francesi, che nel corso del decennio (1806 a 1815) erano state attuate in Napoli.

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Come semplici cronisti, raccogliendo le nozioni soltanto da' fatti pubblicamente noti, e da' documenti del tempo che ci è occorso per avventura di aver presenti, non ci sarebbe dato discorrere su le intenzioni, che il re ed il suo governo avevano in ordine a' futuri destini della Sicilia. Ma versandoci nello esame degli atti, che si sono pubblicati dopo la caduta di Gaeta, ed anche nel corso dello assedio di quella fortezza, crediamo poter formare una idea su le sovrane intenzioni nello interesse di quella isola.

Senza pretendere di entrare nella essenza, e nel fondo delle concessioni, che il re intendeva fare alla Sicilia, è nostro debito ricordare due importanti documenti: - 1. Nel memorando proclama di Gaeta degli 8 dicembre 1860 (pag. 280 cronaca) il re passando a rassegna i modi con che si studiava immegliare le sorti del reame, dice tra l'altro: "...Io aveva dato un amnistia, avea aperto le porte della patria a tutti gli esuli e conceduta a' miei popoli una costituzione. Non ho mancato certo alle mie promesse. Mi preparava a garantire alla Sicilia istituzioni libere che consacrassero con un Parlamento separato la tua indipendenza amministrativa ed economica, rimuovendo ad un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento". - 2. Nella lettera de' 14 aprile 1861 diretta dal medesimo re al signor Bermudez-de-Castro, ministro di Spagna, presso la sua persona, merita attenzione il seguente periodo:

"...voi conoscete la spaventevole rete di tradimenti pagati dalla Sardegna, che raggirava la mia giovinezza, e

profittava della mia inesperienza, seminando intorno a me diffidenza, e suscitandomi ogni specie di ostacoli per ritardare il compimento delle giudiziose misure. Voi non ignorale con quali false informazioni, con qua' dispacci contraddittori, con quale accordo di perfidie e di menzogne, mi han fatto rinunciare al viaggio che io era deciso di fare a Palermo, a' miei piani di operazioni per Messina, per Calabria, alla mia campagna in Salerno, dove mi attendevano con impazienza le mie fedeli e disgraziate truppe che si son coverte di gloria sul Volturno, ed a Gaeta".

Si legge più volte in questa cronaca come il re dopo asceso al trono intendeva recarsi in Sicilia, informarsi de' bisogni del paese, e concedere a' siciliani quello che fosse loro bisognato. Dalle proclamazioni fatte posteriormente si scorge, che la sua intenzione era di rispettare da un lato la unità indispensabile della monarchia, e dall'altro garentire in un modo anche più certo a' siciliani la separazione amministrativa, giudiziaria, ed economica fra le due parti del regno,

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fermo in ciò su le statuizioni fatte dal re Ferdinando I nel riacquistare Napoli, e che assicuravano tali vantaggi alle popolazioni sicule. E. scorgesi altresì, essere suo intendimento di far cessare lo stato della quasi dipendenza di Palermo da Napoli, di porre l'isola in eguali condizioni del continente, di assicurarla che avrebbe nel corso dell'anno riseduto nella Sicilia come in Napoli, e di confermare ad entrambe la forma costituzionale rappresentativa con separati parlamenti, lasciando quindi esclusivamente a' siciliani interessarsi del benessere della loro patria.

Erano questi i benefizi, che il re spontaneamente riprometteasi di arrecare alla Sicilia nel suo viaggio colà, quando l'idra rivoluzionaria, comperati i pochi mercenari, che esistevano fra le soldatesche svizzere, faceva scoppiare in una parte delle loro file la sedizione militare, ben riparabile sul momento; ma che male apprezzata, la si lasciava invece correre per le lunghe, ed obbligava il re a trattenersi in Napoli da luglio al settembre 1859. Intanto i movimenti nella Emilia si aumentavano; in Toscana, e Civita-Castello raccoglievi un nerbo di garibaldini, che mirata, traversando le Marche, ad irrompere nel regno, ciò che induceva il re ad occuparsi della spedizione di un corpo di truppe negli Abruzzi, dedicandovisi con serie fatiche dal settembre al novembre dello stesso anno.

Succedono allora le discussioni su la proposta francese di unico parlamento per Napoli e per Sicilia, forse in opposizione delle idee sopra esposte del re; ed è questo un altro ostacolo pel suo viaggio nella Sicilia. - I fatti posteriori, come si è notato in questa appendice, lo impediscono anche più tardi; ma, non ostante la perdita della Sicilia, la uscita di Napoli, la caduta di Gaeta, inalterabile è il suo proponimento, costante l'antica idea a favore de' siciliani, a' quali la ripete nel proclama del 16 gennaio 1863: "...I miei principi sono inalterabili, immutabili le mie intenzioni. l'amnistia, il perdono pe' fatti politici passati sono un sentimento del mio cuore, e la massima cardinale della mia politica. Sotto l'egida di un regime sinceramente rappresentativo, potrà il paese efficacemente intervenire nella sua amministrazione e nel suo governo, applicando tutte le nostre forze alla grande opera della sua rigenerazione politica. La Sicilia, dal canto suo, avrà indipendenza economica, amministrativa, e parlamentaria; e Palermo patteggerà con Napoli l'onore di essere la residenza del Monarca... Spero vedervi intorno a me concordi, forti, e felici: quando, stendendo una mano amica e fraterna ad altri Stati d'Italia, avrò a gloria di aprire


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le porte de' parlamenti veramente nazionali, nelle due grandi metropoli, Napoli e Palermo".

La Sicilia per prosperità finanziaria, per sapienza di economia e di amministrazione, per mitezza d'imposte fiscali sempre più scemanti, per esenzione di pesi ed immunità di militare servizio, godeva una posizione invidiabile nella italica penisola. I suoi banchi, le sue borse di cambio, il commercio le industrie, le manifatture, i porti-franchi, l'ampliata marina, le opere pubbliche, il corso della giustizia, la pubblica istruzione, la sicurezza e la tranquillità del paese, gl'istituti di beneficenza, la circolazione de' capitali per agevolare le oprazioni di credito, lo stabilimento di Castelnuovo pel progresso dell'agricoltura, l'apertura di concorsi seri ed imparziali per abolire il turpe traffico negl'impieghi ed incoraggiare le oneste capacità, i riguardi pe' corpi scientifici, - tutto insomma, a testimonianza degli stessi avversari del governo borbonico, comprovava di essere la Sicilia nella via de' migliori ordinamenti (1)

Egli è vero, che i disordini del 1848 davano un primo crollo al benessere interno. Vedevano dappoi i siciliani andare in fumo le promesse de' loro seduttori, e maledicevano i fattori di uno sconvolgimento, che aveali condotti all'orlo dell'abisso, forviandoli dal retto cammino de' progressivi miglioramenti. Ma rientrati nelle vie di una regolare amministrazione, si convincevano non esservi altro di utile, che concentrare le loro speranze nella restaurazione monarchica, e confidare ne' vantaggi della pace e dell'ordine. - Fin d'allora i sovrani provvedimenti separavano l'amministrazione della isola dal continente; abolivano la promiscuità degli impieghi tra le due parti del reame; stabilivano a Napoli un ministero speciale per gli affari di Sicilia, e creavano a Palermo pe' bisogni de' siciliani ma Consulta distinta ed indipendente, come pel giudiziario vi era osa suprema Corte di giustizia. Ed oltre di queste, ben altre reali concessioni erano imminenti, pegno sicuro del compimento di tutti i loro desideri.

Ma chi non sa quanto sieno incontentabili i faziosi con le loro titaniche pretensioni? hanno occhi e non vogliono vedere; sanno di dire il falso, e pure lo dicono; - e, comunque scarsi di numero, pure audaci per esterne influenze, hanno poi con le loro trame immersa la Sicilia in quel baratro, un cui breve prospetto verrà delinealo in fine di questa appendice.

Gli uomini che amano di apprendere e di confessare la verità, comprendono oramai, che, con la dipendenza da Napoli,

(1) Confessioni fatte in varii rincontri nel parlamento di Torino dorante le sessioni 1861 a 1862.

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la Sicilia era divisa nelle branche d'interna amministrazione, rappresentando la terza parte di un tutto, sicura

di ottenere (come ottenne senza poterne finire) una completa separazione, ed indipendenza propria, non avendo altro di comune con Napoli, che il solo re e per soprappiù il vantaggio di rappresentare un tutto congiunto ad altro tutto.

Nel suo stato presente di totale fusione

, divenuta provincia tributaria e schiava di Torino, la Sicilia è ridotta appena la decima parte di un malaccozzato informe ed indigesto complesso!

Questo cenno cronologico adunque non sarà solamente un oggetto di curiosità storica, una mera distrazione, una materia a dispute di partiti. Le menti preoccupate, gli animi mal disposti, o prevenuti, le coscienze ferite dalle vicende de' nostri tempi, che vanno in cerca delle verità travolte nel laberinto artificioso delle passioni, vi leggeranno la ingenua esposizione degli ultimi fatti. - Tutti coloro, che agognano una perfezione morale; la gioventù dotata di sentimenti puri e generosi; gli uomini politici consumati, o disingannati; le vittime delle proprie e delle altrui passioni, vi troveranno lumi e conforti. - E per un singolare contrasto con lo spirito dell'epoca vedranno, essersi dalla legittima potestà ordinatrice studiati ed attuati i migliori ed i più omogenei mezzi per la felicità del popolo, mentre i vantati amici di questo lo hanno inabissato nelle maggiori rovine.

2. Idea avuta in giugno 1860 per un movimento militare su la Sicilia.

Si sono notati nel corso di questa cronaca i vari piani strategici per riacquistare la Sicilia, d'onde le regie truppe napoletane, per ignavia, incapacità, o dolo nel comando e nella direzione, avean dovuto ritirarsi quasi senza combattere (pagine 17. nota, 76. ili. 141. 148. 170. 175. 183. 185.). È d'interesse storico (are qui menzione di uno de' più sensali di codesti piani, studiato con segretezza ed accorgimento, e la cui utile attuazione sarebbe stata quasi prossima ad ottenersi, se le insidie ed i tradimenti non fossero sempre concorsi ed intervenuti per favorire la rivoluzione.

Ceduta Palermo, e rientrate sul continente le ultime truppe di colà, se ne esamina lo stato; e si hanno sempre più nuovi argomenti per convincersi, che non a difetto esclusivo di esse, ma a' complicati e diversi motivi altrove accennati, deve accagionarsi il sofferto disastro.

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- Pende il giudizio su la condotta de' generali tenuti in attenzione su l'isola d'Ischia. Si osserva essere quasi buona generalmente la condizione del soldato; occorrere però che ciascun corpo acquistasse quello spirito di compattezza, in pregiudizio del quale si è praticata la stolta o maligna tattica di far agire e combattere le frazioni, e i distaccamenti sempre separatamente, e non mai sotto il comando de' propri superiori; esservi inoltre bisogno d'immegliare il morale della truppa, la quale dopo la dolorosa esperienza fattane, grida al tradimento contro i suoi capi; d'onde la urgenza di sostituire a questi, altri generali di buona riputazione, e tali da inspirare fiducia ne' loro dipendenti. Se da una parte le trattative diplomatiche non producono effetti salutari per la Sicilia (pag. 145. 193. 196. 213. 222. 253. 312. a 327.); d'altra parte devesi confessare essere pur troppo gravi errori l'abbandono di Palermo, e la ritirata a Messina della divisione di truppa, che in Catania aveva riportato un glorioso successo su i ribelli (pag. 144). Qualche spiegazione sul proposito non sarà superflua. Lo sgombrare da Palermo è stato conseguenza di un piano, che non è riuscito: le truppe chiuse in una città insorta accerchiata da armati, dovevano aprirsi un varco, cosa bei facile a ventimila uomini provveduti di cavalleria, e dì artiglieria a sufficienza; dovevano prendere posizione e stabilirsi verso Caltanissetta per ricomporsi, rincorarsi, e quindi fare di Garibaldi stretto in Palermo, ciò che costui aveva fatto del generale Lanza; ma la dolosa inerzia, o la dappocaggine di età era alla testa dello esercito napoletano sapeva renderne impossibile

il movimento ostile per terra, eseguendone invece lo imbarco, per convenzione col nemico. - La ritirata poi da Catania, è stata irregolarmente disposta, e si è altrove accennato, come si è dovuto confermare questo ordine dato a nome del re, ma non da lui (pag. 144 e 145. 148. 199.). Ben si comprende, che per vedute strategiche era indispensabile guardarsi Catania, sito intermedio tra le piazze forti di Messina, di Augusta, e di Siracusa, e punto di partenza e di comunicazione col centro di tutta l'isola; - ma quando il corpo d'esercito di operazione non più esisteva nella Sicilia occidentale, e centrale, la posizione di Catania non era più sostenibile con la scarsa guarnigione, che vi si trovava; né questa poteva sperare rinforzi dal continente, dove non si avevano truppe disponibili, ed invece era mestieri rafforzare Messina allora sguarnita affatto di milizie, come chiave, base e centro di partenza, e di qualunque operazione militare in Sicilia (pag. 99. 111. 125. 144. 146. 148. 180. 191.).

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Quantunque lo spirito rivoluzionario dall'estero continuasse l'opera di arruolare proseliti, e la rivoluzione importata nella Sicilia vi apparisse trionfante; pure esistono uomini che prevedono a quali mali si soggiacerebbe, se pronto ed energico riparo non si apportasse a' progressi di Garibaldi. Non appena dunque cominciano a rientrare sul continente le truppe da Palermo si ha in mira di apprestare i mezzi per uscire dalla pigra difensiva (pag. 179. 171. 175.) finora ristrettasi a concentrare le regie truppe esclusivamente ne' punti fortificati, e di intraprendere una vigorosa tattica di offensiva da produrre il riacquisto della isola, la sconfitta di Garibaldi, e il rialzamento della potestà governativa pur troppo depressa nel reame, e nello estero dopo le infauste scene di Palermo. Avendo a fronte un nemico ardito ed intraprendente, rendesi necessario sovrabbondare in ardire, risoluzione, e segretezza. Si da per ciò opera energica a riordinare il materiale di artiglieria da campo trasportato con incuria da Palermo a Messina; a comporre i convenienti parchi e munizioni; a formare di pianta un servizio spedaliero e di ambulanza essendovene assoluta mancanza; a destinare due ospedali galleggianti su' piroscafi mercantili Ercole, e Maria Antonietta; a preparare in somma quanto occorre per muovere un corpo di esercito, la cui maggior parte deve traversare il mare. Approntare le razioni di viveri e foraggi, ricambiare le armi infrante presso molti corpi, fornire di vestiari quegli altri, i cui magazzini erano stati totalmente abbandonati a Palermo (non ostante le precise istruzioni reali pag. 121), a tutto si provvede alacremente dal 7 giugno, e vi si da compimento nel corso di due settimane. Indispensabile è di serbarsi il segreto; altramente se Garibaldi ne avesse sentore, avrebbe testa e tempo da preparare le difese a Palermo. Ad arte quindi si fa divulgare, che abbia egli intenzione d'invadere il continente, sia gradatamene per le Calabrie, sia di slancio presso Napoli, nella lusinga di aver a combattere duci eguali a quelli che trovò in Palermo; ovvero di eccitare disordini nella capitale onde complicarvi l'officioso intervento delle Potenze estere, (le cui navi già si mostrano nel porto), e creare il pretesto di evitare il bombardamento, come si è praticato a Palermo (pag. 116. 117.). E di colà anche tali voci vengono propagate, onde imporne al governo di Napoli, e farlo desistere da ogni idea bellicosa. Compionsi adunque tranquillamente i preparativi, senza che nulla ne trapelasse in Napoli ed in Palermo; e così riesce agevole al re tener celati i suoi proponimenti.

Né son da tacersi le gravi difficoltà sormontate nel rincontro. Se non di tutte le cose necessarie per una guerra,

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certo della maggior parte di esse è sprovvisto il reame dopo dieci anni di profonda pace; e basti dire che pel corpo di truppe spedito nell'ottobre del 1849 in Abruzzo, si sono impiegati 4 mesi a corredarlo di tutte le provvisioni, delle quali ben poche rimanevano in Napoli. Né vale il dire che da Palermo sia ritornato un esercito, i cui elementi possono addirsi al nuovo esercito operante; sia perché quivi non esisteva corpo d'armata operante, ma una semplice guarnigione in piè di pace e non provvista del bisognevole; sia perché le truppe speditevi dopò non erano in una condizione diversa da quelle che vi preesistevano.

Dalla Sicilia pervengono intanto continue premure per aver aiuti, onde ripristinarvi l'ordine, come è il voto di quasi tutte le popolazioni. - Catania insiste per riavere le reali truppe che con dispiacere aveva vedute partire (pag. 144. 152.): il generale Clary, reduce di colà, si fa a perorarne la causa; e rimasto indi a poco al comando delle truppe riunite in Messina, propone un piano militare all'oggetto (pag. 170); imitazione della tattica del 1849; ovvero correzione di ciò che avrebbe dovuto fare dal duce delle truppe di Palermo, quante volle sgombrando la città, avesse potato ripiegare sopra Caltanissetta.

In Napoli si forma dunque altro piano, nel quale è fuso in parte quello di Clary, saggio, prudente, ma lungo e tale di dar tempo al nemico di organizzare le sue forze a campo aperta, e le difese intorno a Palermo. Si stima più utile un colpo risoluto, piombare quivi inopinatamente, schiacciare la testa delle forze nemiche, e quindi occuparsi del corpo. - Molto sarebbe a discutersi sul merito del primo, e del secondo piano: potenti ragioni militari stanno a pro dell'uno, e dell'altro. La scelta è aggiornata per la seconda settimana di giugno; ma per la terza tutto deve esser pronto...

A simulare ognor più il vero scopo delle forze che si vanno raccogliendo sotto i nomi di divisione disponibile, di corpo di esercito mobile, ecc

. si fa credere una spedizione verso le Calabrie: si fa partire a titolo di avanguardia verso Eboli una piccola colonna di due squadroni, di mezza batteria, e di 4 compagnie distaccate dalle guarnigioni di Salerno, e di Nocera sotto il comando dell'aiutante maggiore Matteo Negri. E Garibaldi è tratto così in inganno da non apprestar difese intorno alla città, anzi intraprendere la demolizione del forte di Castellammare, e di altri baluardi, per acquistare popolarità.

Gioverà intanto esporre le particolarità dello adottato piano, i cui documenti ci sono venuti nelle mani, quantunque non interi; e che sono tanto più importanti, quanto non noti.

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Prima difficoltà è quella di comporre un nerbo di truppe, parte delle quali almeno fosse diversa dalle altre che han già combattuto a Palermo; tra perché in soli 14 giorni non si può sperare di ridurre queste allo stato normale; e perché giova aver soldati affatto nuovi ed estranei agli eccessi, che, come sempre accade quando si combatte dentro le mura di una città insorta, non possono evitarsi. Su poche forze affatto nuove si può fare assegnamento; poiché quelle ritornate da Palermo sono molte, ed un eletto corpo deve guardare gli Abruzzi. Ancorché questo si potesse diminuire, non è però prudente scioglierlo interamente; che, oltre la frontiera sopra una larga zona fra il Tronto, e la Cattolica comunque si trovasse un valente generale (Lamoricière), il suo esercito è tuttavia non per anco composto, e certamente non compatto, il quale deve stare su le difese contro le truppe sarde occupanti le Legazioni della Cattolica in su, ed altresì contro le bande armale sotto la denominazione di volontarii

, che Lamasa ed altri vanno formando. Ciò nondimeno si cerca comporre un corpo d'armata di ventimila soldati, ed una squadra atta a trasportarlo in Sicilia.

Fin d'allora che le regie truppe erano strette in Palermo, senza che da' generali colà esistenti potesse sperarsi un favorevole risultamento, si aveva la mira di deputare al comando di quel corpo d'armata l'aiutante generale del re maresciallo Nunziante, che rifiutando siffatta missione, ragionava lungamente su la posizione, in cui era usi ridotte quelle truppe, sinché per confessione de' propri capi; e su la difficoltà di poter loro inspirare istantanea fiducia rimanendovi la maggior parte degli attuali loro comandanti: dichiarava altronde di non declinare da un nuovo comando, né dallo eseguire nuove operazioni nella Sicilia (1). Si ha quindi la idea di affidare a lui la nuova spedizione divisata su Palermo. Nello accettarla, egli medesimo presceglie per suo capo di stato maggiore il maggiore Migy, per comandante di artiglieria Palumbo, per comandante del genio Delcarretto, per capo del servizio amministrativo il commessario Tiscar, e per capo sanitario si fa venire appositamente un professore belga, essendovi mancanza di professori idonei a disimpegnarne le incumbenze in campagna. Son designati per comandare le tre divisioni i generali Clary, Colonna, e Latour; e per comandanti le brigate, Barbalonga, Von-Mechel, Bosco, Caldarelli, Echaniz, ed un sesto brigadiere.

Formazione delle tre divisioni: la 1. con le truppe disponibili in Napoli; la 2. con la brigata estera (che muoverebbe

(1) Si reca però in Sicilia a conferire con Lanza, pag. 107.

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da Castellammare e da Salerno) e con la brigata del 8. 5. 8. e 9. battaglioni cacciatori in Messina; la 3. con i quattro reggimenti 1. 3. 5. 7. in Gaeta, da dove partirebbero; due squadroni di cavalleria, una sufficiente artiglieria, e zappatori completerebbero il corpo di sbarco.

Il movimento di queste truppe non modificherebbe il corpo di osservazione in Abruzzo, che rimane composto degli otto battaglioni cacciatori 1. 3. 4. 6. 7. 10. 11. e 12. ivi stanziati, e da copiosa cavalleria, artiglieria, e genio: e molto meno scemerebbe la guarnigione di Napoli, dove rimane la intera divisione della guardia reale. A presidio di Capua, Santamaria, Caserta, e Maddaloni sarebbero cinque squadroni di cavalleria, vane batterie di artiglieria, col genio, e patimenti i quattro reggimenti 6. 8. 9. 10. che provvedenti da Palermo hanno maggior bisogno di riordinarsi, ed appena riordinati potrebbero servire, o per rimpiazzare la divisione della guardia reale, se questa dovesse muovere come riserva per la Sicilia, e per gli Abruzzi, ovvero trasportarsi in Messina ed in Siracusa a sostituirvi i cinque reggimenti 2. 11. 13. 14. 15. e la metà del 4., e del reggimento carabinieri, le cui rispettive altre metà sono tra Salerno, e Castellammare.

Per la pienezza del concetto giova aver sott'occhio il seguente piano del generale in capo: - "Per arrestare prontamente la consumazione del tradimento, e della latissima colpa, che si toccano con mani svolgendosi tutti i fatti avvenuti in Sicilia, dallo sbarco de' filibustieri in Marsala, fino a' vergognosissimi armistizi ed alla penosissima uscita delle reali truppe da Trapani, da Catania, e da Palermo, - pare sia conseguente al fine adottarsi il progetto che siegue: - 1. sotto il comanda di un intelligente e zelantissimo generale, d'incorrotta fede e coraggio, e di sperimentata abilità, effettuarsi, alla più presto (sic

) possibile, e ad un tempo non lontano un altra ben numerosa spedizione di truppe nella provincia di Palermo. Però la destinazione di tale spedizione deve restare segretissima a tutti, spacciandosi, che si dirige, siccome per altro si sa, a rinforzare le fortezze di Messina, di Augusta, e di Siracusa. - 2. Tale spedizione deve dividersi, se sarà possibile, in due colonne sotto il comando di un solo: una di esse dovrebbe sbarcare a Solanto, 10 miglia distante da Palermo, dalla parte orientale, e l'altra a Sferracavallo, che dalla parte occidentale dietro monte Pellegrino dista 5 miglia: se non potranno formarsi due colonne, una sarà anche sufficiente facendosi sbarcare a Solante - 3. Lo sbarco deve effettuirsi di notte tempo, in modo da trovarsi nelle vicinanze di Palermo al far del giorno.

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- 4. Avvicinatesi le regie truppe alla città, devono cingerla, se si può; e quindi nel caso affermativo, o negativo, senza attaccar fuoco, intimare a' rivoltosi di arrendersi a giorno fisso, obbligandoli a tanto con tutte le misure di uno strettissimo stato di assedio, e blocco. - 5. Se ciò non producesse felice risultato, impegnarsi accanito fuoco da tutti i punti; non che da mare con tutti i legni da guerra; ritenendosi che la resistenza non sarà lunga, mentre devesi pure contare su di una forte reazione nello interno della città: e così la vittoria sarà più sollecita, e senza tanto spargimento di sangue. Intanto è necessario mandarsi pure subito truppa in Catania per riprenderla: dopo i gloriosi fatti del generale Clary, il richiamo delle truppe da colà, abbandonandosi la città, è stato un atto stoltissimo, inconsiderato, punibile sempre, se pur non vorrassi attribuire al consiglio di un traditore. È doloroso invero vincere, perdendo valorosi soldati, e quindi senza ragione lasciare. È questo tale un procedere, che fa moltissimo male, da far perdere pure d'influenza morale verso le, reali truppe. Mettersi in esecuzione ora il piano delle fortificazioni di Messina, di Augusta, e di Siracusa, con un campo trincerato in Milazzo, sembra, quando non altro, un fatto, che renderebbe sempre più lunga ed imbarazzante la soluzione dello stato attuale delle cose. In fatti, a noi importa non darsi compimento à potercisi adattare le scandalose e sovversive frasi del giorno: - votazione, fatti compiuti, - A parte di che, dandosi tempo a' rivoltosi, si troverebbero senza dubbio più esperti nel maneggio delle armi, viepiù muniti di munizioni da guerra, ed in maggior numero; mentre nell'attualità si sformano nel Piemonte de' reggimenti di agguerriti soldati, per portarsi come, volontaria in Sicilia (pag. 182. 241.). Epperò è della massima urgenza che Palermo sia ripreso pria di giungere colà tali milizie; non che Catania". Le rimanenti truppe si destinano per le altre provincie continentali non indicate di sopra. - Lavora il generale Nunziante principalmente il suo piano strategico su Palermo con l'ausilio di anziani uffiziali ben informati de' luoghi, massime tra quei che han fatto parte della spedizione di Palermo nel 1820 col generale Pepe.

Non è possibile esprimere in poche parole le fatiche durate per apprestare i mezzi d'imbarco, e di trasporto della intera spedizione: tutte le difficoltà prevedibili ed imprevedibili sono considerate, e sormontate. I vapori di commercio francesi noleggiati (pag. 188) si portano al numero di nove, ed a 21 i brigantini mercantili da prendersi al rimorchio da' legni a vapore: su d'ogni nave si accumulano le necessarie


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razioni di viveri, le munizioni di deposito e foraggi; e sa alcune di esse si formano le stalle per gli animali. Si ripartiscono gÌ imbarchi a Messina, a Napoli, a Gaeta su la maggior parte de' legni, e si tengono io serbo quelli da guerra per gli usi militari di scorta, e di difesa del convoglio.

A deviare anche l'attenzione della marina si fa credere. che il naviglio di Gaeta debba tenersi pronto a salpare per Cilento; la divisione di Napoli, e la brigata estera imbarcandosi a Castellammare abbia a partire per le Calabrie; e la truppa di Messina per le Calabrie stesse, o per le Puglie. Ecco il prospetto della ripartizione de' legni:

I. Da CASTELLAMMARE; il vapore Fieramosca con due brigantini a rimorchio, il Vesuvio con uno, il Sorrento con uno, il Bresil con due, e il Protis solo: truppa d'imbarco 5500 uomini, e 340 animali. Su di ognuno de' primi quattro vapori si caricano quattromila razioni; 45 barili di cartucce a i primi due, e 36 su gli altri due; i due ultimi con stalle foraggi; i 7 brigantini con tremila razioni, paste, e foraggio su di ciascuno.

II. Da GAETA, il Guiscardo, e il Veloce con tremila razioni, e 45 barili di cartucce per cadauno, l'Aquila, la M. Teresa, la Sirena, il Pompei, il Diligente, l'Amalfi, ognuno con tremila razioni, e 36 barili di cartucce. Sette brigantini, (due de' quali carichi di viveri e foraggi) debbono esser presi a rimorchio, cioè, due da ognuno de' primi due vapori, ed uno da ciascuno de' seguenti tre: truppa d'imbarco ottomila uomini, e 20 cavalli.

III. Da MESSINA, l'Ercole con 4 mila razioni, e 15 barili; - lo Stromboli, il Capri con

altrettante razioni, e 36 barili per cadauno; - la Ville de Lion, l'Eugenie, l'Avenir con foraggi e stalle; - 6 brigantini con tremila razioni, e foraggi su d'ognuno, l'Ercole, e la Ville de Lion ne rimorchiano due per cadauno, e gli altri vapori uno: - truppa d'imbarco 4900 uomini e 380 cavalli.

Se si vede figurare la forza d'imbarco da Castellammare per 5500 uomini, e da Messina per 4900, dopo essersi detto nel piano strategico, che dal primo muoverebbero tre brigate, e dalla seconda una sola, ciò si spiega da che intende spedir prima da Castellammare a Messina una brigata, qualora gli altri 4 vapori francesi Etoile, Assyrien, Pythias, Charles Martel non fossero stati pronti, ma ove giungessero in tempo, e potessero allestirsi, la intera spedizione si eseguirebbe in una sola volta.

È inutile indicare le particolarità su la distribuzione della forza appartenente a ciascuno de' punti di partenza, essendosi bene specificati i corpi.

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Mentre ferve l'opera per gli apprestamenti militari, non si tralascia altronde preparare il convenevole pel ramo civile apparecchiando gli analoghi proclami, e studiando le principali misure da adottarsi.

I preparativi sono quasi al loro termine, ed imminente è l'attuazione; ma fatalmente cominciano ad essere eccitati gli animi nella capitale del reame. Non è questo il luogo, ove debbasi discorrere dello accaduto ne' giorni tra il 21 e il 30 giugno; il cambiamento di forme governative, i disordini tollerati e non voluti reprimere da un comandante di piazza, che credesi beato nel ricevere i plateali evviva da' promotori degli eccidi; e la nomina de' nuovi ministri. L'esser più di tutto assorti dalle idee, e da' seri pensieri che debbono preoccupar la mente in questi conflitti, fa si, che rimane sospesa la spedizione. Subentrata al comando, ed all'azione del re la direzione de' ministri, costoro, in luogo di occuparsi efficacemente del riacquisto della Sicilia, facilitano, con l'abbandono della isola, la perdita de' domini continentali (pag. 176. 179. 180. 183. 186. nota, 189. 192. 193. 196. 220. 222. 227.). Invano le voci della lealtà' si fanno talvolta udire, perché si cessasse dalla rovinosa inazione (pag. 183. 185. 189. 199.). E se non altro, il non soccorrere Milazzo quando è attaccato, ove non si avessero altre prove, dopo la consegna del vapore sardo l'Utile, basterebbe a far definire il nuovo modo di procedere.

Da' documenti, che ci è riescito consultare sul proposito, si raccoglie, che in questi supremi momenti e il generale Nunziante, il quale propone di eseguire sopra Milazzo la spedizione, che si voleva fare un mese e mezzo prima sopra Palermo, onde poi muovere di colà al riacquisto della Sicilia; e non già soltanto per liberare Bosco chiuso nel forte. Il che avrebbe potuto conseguirsi agevolmente con quattro piroscafi da guerra, i quali si fossero recati a fulminare l'inimico, su l'istmo di quella spiaggia, non altrimenti, che come le navi sarde fanno dal 1 al 4 novembre sul Garigliano, ed a Mola. Ma i comandanti della marina reale si sono dichiarati di non volere in modo alcuno operare militarmente (pag. 79. 81. 125. 149. 244. 247.) forse già vinti dall'oro, o dalla paura, e credono non potervi dar esecuzione. Si chiede che servissero almeno al trasporto esclusivo delle truppe; ma dopo qualche ora si agisce in modo da far credere non esservi un numero di legni sufficienti per la spedizione, essendosene fatti dichiarare molti fuori stato di navigare per le durate fatiche, e per somiglianti pretesti.

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Un'Autorità di marina s'impegna invece per rinvenire altri vapori mercantili, onde operare il trasporto almeno di un numero limitato ai truppe, ma anche per questo si frappone indugio; le segnalazioni di Basco incalzano (pag. 213 a 219) ed è necessita di ammettere che capitolasse. Allora que' legni stessi che nel giorno innanzi si asserivano impotenti a navigare, rassicurati di non aversi ad incontrare né pur da lungi ostilmente col disertore Veloce, si mostrano tutti solleciti a partire e prendere a bordo le regie truppe che colà han combattuto (pag. 216. 219. 220.). Ed ecco come quest'altra defezione de' capi della marina è una delle cagioni a far cedere e capitolare Milazzo.

Per le sinistre impressioni prodotte in Napoli da questi avvenimenti, è d'interesse storico compendiare le notizie pubblicate dal generale Giuseppe PALMIERI nel suo opuscolo cenno storico-militare del 1859 al 1861

di pagine 158.

L'autore lamenta le incoerenze negli ordini del generale in capo Clary (pag. 11. 12. 26. 55. del detto opuscolo); il poco riguardo che costui ha nel disporre delle truppe senza intesa de' capi immediati (p. 13), urtando le suscettibilità individuali con affidare i comandi in pregiudizio della gerarchia e dell'anzianità (pag. 14. a 16. 58. 59.); la esagerazione di ostacoli immaginari, mentre dissimula i seri e veri (

p. 18. 21. 23. 65.) fino ad amplificare la distanza da Messina a Milazzo a 30 miglia, quando è appena di 20 (p. 21. a 23. 26. 61.), e la irrisoluzione ne' momenti supremi (21. 23. 29.). Mentre fa plauso a Bosco "che con un pugno di 1600 prodi per circa 9 ore fa fronte a masse enormi di nemici esaltati

" (pag. 51 a 4), lo censura altronde par non aver conservata la posizione di Archi (pag. 195 cronaca); per aver predisposto, in caso di rovescio, la ritirata nel forte di Milazzo, dove poteva essere bloccato dal nemico, come avviene, e per non aver dato subito avviso fin dal principio dello attacco, che essendo durato 9 ore, dava agio di poter far avvanzare di rinforzo le truppe di Messina scaglionate opportunamente con 4 compagnie a Spada fora, e con la brigala Cobianco al Gesso; soldati arditi avvezzi a far 3 miglia l'ora, che sarebbero arrivati a tempo utile, o almeno all'alba per riattaccare la battaglia. E da qui trae argomento pe' torti del maresciallo Clary, le cui istruzioni intralciate, lunghe, inefficaci (56. 57.) sono fatali nel disporre la occupazione di Milazzo invece di Spadafora (59); egli con quindicimila soldati da Messina, doveva antivedere il successo, e non mai staccare, in modo da esser tagliata dal grosso dell'armata, la piccola colonna di Bosco, cui dichiarava pure non

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aver bastimenti da guerra per soccorrerla con rinforzi, munizioni, e viveri: ed anche commesso questo primo errore, potei ripararvi facendo avvanzare le truppe scaglionate fino a Gesso, come si è detto dianzi, per liberare la colonna di Bosco bloccata nel forte di Milazzo. Egli invece spedisce colà uno de' vapori francesi per raccogliere i feriti, assegnandogli 6 ore, ma il legno ritorna di notte dopo 20 ore, recando caschi militari (chackò) e 15 prigionieri, senza feriti, soli tre de' quali di soppiatto si sono intrusi a bordo (67. 69.); dal comandante del legno si riferisce la deplorabile condizione de' soldati, che definisce bravi, ma sforniti di tutto e mal diretti.

Quali che si fossero le induzioni emergenti da questo episodio, certo è che non può dirsi non essersi avuti feriti nell'attacco di Milazzo, risultando da cifre officiali, che nel conflitto durato 9 ore, furono uccisi 2 uffiziali, e 38 soldati, e feriti 8 deprimi, ed 83 de' secondi; anzi riparali nel forte crescono i feriti (pag. 207. 208. 214. cronaca).

3. Influenza inglese nella insurrezione della Sicilia.

La recente pubblicazione del libro "HANNIBAL at Palermo and Naples during thè italian revolution 1859. 1860. London 1863" opera del contrammiraglio sir RODNEY MUNDY, contiene interessanti chiarimenti su i vari fatti accennati finora. - Gioverà di esporne qui alcuni de' principali paragrafi.

Senza intrattenerci su le preoccupazioni dello autore contro il governo napoletano e su le manifeste simpatie a favore della rivoluzione siciliana e de' costei fautori, intendiamo di notare, che a torto egli definisce "irragionevole il sospetto e la estrema circospezione del governo delle due Sicilie per la stazione delle navi inglesi ne' porti delle città siciliane

" (pag. 10 a 13). Le apprensioni del governo di Napoli, se pur questi ne ha avute, sono giustificate in vista de' diversi incidenti altrove esposti (1). Aggiungasi ciò che emerge dalla seguente nota diplomatica che il governo stesso fu nella necessità dirigere al ministro inglese sir Elliot nel settembre 1859: - "Taluni uffiziali appartenenti alle navi inglesi stanziate a Palermo, Messina, Siracusa, e Catania hanno parlato in un modo molto indiscreto

(1) Vedi pag. 2. 8. 21. SI. 3. 44. 65. 80. 86. 90. 100. 102 nota, 104. 114. 116. 127. a 130. 139. 145 nota, 149. 161. 174. 220. 222. 229. 230. 240. 345. 249. 269. 276. di questa cronaca.

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su i disegni attribuiti da' medesimi al loro governo, ed hanno propagato che i vari legni britannici si trovavano nella Sicilia per proteggere gl'interessi de' loro connazionali nella rivoluzione prossima a scoppiare. Inoltre alla partenza di quattro navi da guerra da Catania i medesimi uffiziali hanno portato via una parte della banda musicale di quella città, senza il permesso delle autorità governative, ed altresì tre abitanti di Catania, che trovavansi casualmente a bordo, e per mera curiosità. Il real governo è dispiacentissimo e più che mai sorpreso per l'accaduto (della cui seria natura può ben giudicare il signor Elliot); mentre per lo innanzi gli uffiziali e la ciurma della flotta inglese non sono stati mai colpevoli di tale infrazione di disciplina; anzi hanno conservato il portamento e la condotta regolare, che è una qualità indispensabile alla influenza delle forze di una gran nazione" (pag. 58).

Altronde l'indizio di un accordo tra i comandanti delle navi inglesi, e Garibaldi, si ha nel messaggio da costui inviato nel domani dello sbarco di Marsala, per mezzo di quello agente consolare inglese signor Collins, al capitano Ingram comandante dell'Argus ivi ancorato "pregandolo ad incaricarsi della protezione de' marinari de' vapori sardi Lombardo, e Piemonte, i quali a causa del grande allarme avevano cercato rifugio ne' magazzini di vino di uno de' principali mercanti inglesi di colà" (pag. 85).

Non essendo ancora pervenute le relazioni de' comandanti de' regi navigli Partenope, Stromboli, e del vapore Capri, il governo di Napoli scrive a Palermo insistendo per aver ragguagli autentici ed officiali su l'avvenuto sbarco de' garibaldini. - Intanto nelle narrazioni officiali de' capitani de' legni anzidetti Argus, ed Intrepid, sono accusati i medesimi comandanti della marina napoletana di non aver voluto impedire codesto sbarco, e giustificata così la condotta degli ufficiali inglesi (pag. 80 cronaca).

Con quali istruzioni sia ritornato il contrammiraglio Mundy nel maggio 1860 con la sua flotta in Sicilia risulta da' seguenti documenti riportati da lui (pag. 75 a 77). - "L'ammiraglio comandante in capo Arturo Fanshawe al contrammiraglio Mundy. - Malta 18 maggio 1860. - La insurrezione dì Sicilia contro il governo di Napoli essendosi diffusa nella isola fin dallo sbarco del generale Garibaldi con una armata d'italiani, ha reso necessario di provvedere a' mezzi addizionali di protezione per le persone, e per le proprietà inglesi. - Pertanto voi siete incaricato con la presente di muovere per Palermo con la nave Hannibal portante la vostra bandiera, ed all'uopo prenderete

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sotto i vostri ordini l'Anfion

, l'Argus, e l'Intrepid. Il vostro principale dovere sarà di prestare ogni assistenza alle persone ed alle proprietà inglesi. Riguardo a' rifugiati politici vi acchiudo per vostra norma copia di una lettera del segretario degli affari esteri ecc. "Siegue il tenore di questa lettera, che segua b data de' 4 agosto 1849, contenente le norme per accogliere a bordo delle navi inglesi i rifugiati politici perseguitati dal governo di Napoli, e per mandarli al più presto possibile in qualche luogo sicuro. In essa leggesi il seguente passo: "Il visconte Palmerston non trova motivo, per lo quale, dietro un tal fatto di consueta ospitalità, possa mai il governo del paese ordinare ad uffiziale brittannico, che avesse esercitato questo diritto, di allontanarsi dal porto, qualora gl'interessi di Sua Maestà richiedessero che avesse a rimanervi". E qui spiega l'autore, di essere sorprendente: "che un pubblico documento scritto 12 anni prima, quando il malcontento e le turbolenze fervevano nelle due Sicilie, debba venire nuovamente in vigore nelle presenti difficoltà, come norma della uffizialità di marina".

Approdato a Palermo il Mundy riceve le più insistenti premure dalle signore Pignatelli, Niscemi, e Riso mogli de' nobili detenuti politici, che esse definiscono innocenti come agnelli; persuase, che una sola parola di lui frutterebbe la costoro liberazione; ed egli promette esaudirle (pag. 88): di falli, ne tiene parola col generale Lanza che si dichiara pronto a liberarli a condizione, che il Mundy ne garentisse la buona condotta; ma costui si ricusa; e ciò nonostante Lanza assicura, che avrebbero sempre salve le vite (pag. 93); anzi, a richiesta dello stesso Mundy, abilita due garibaldini fatti prigionieri (pag. 101).

L'autore osserva (pag. 82) che nella visita officiale da lui fatta a Lanza (1) costui ebbe l'accorgimento di non pronunziare né pure il nome del grande avventuriere, che era allora il padrone del paese,

e molto meno di far cenno della triste condizione della città. " - Soggiunge però, che il medesimo Lanza restituendogli la visita dopo 48 ore cambia linguaggio, e lo premura ad intervenire e farsi mediatore tra il governo, e gl'insorti (2); ciò che lo induce a definire "inettissimo il Lanza, che con 25 mila soldati aveva forze più che sufficienti per respingere quel branco di avventurieri, se i generali napoletani fossero stati capaci di uno slancio vigoroso; ma questi, anziché confidare ne' propri mezzi, pretendevano

(1) Pag. 113 cronaca.

(2) Inesattezza notata pag. 114 cronaca

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che il contrammiraglio inglese avesse dovuto divenire il cardine di tutte le loro speranze per isciogliere un imbroglio cagionato dalla loro ignavia. " - Il Mundy confessa adunque, - 1. che i nemici del governo di Napoli non erano le popolazioni, e molto meno l'armata d'italiani (come dianzi scriveva l'ammiraglio Fanshawe), ma un semplice branco di avventurieri: - 2. che poderose erano le truppe napoletane per vincere costoro: - 3. che la ignavia degenerali fu l'unica cagione di lutti i disastri.

È tale poi il prestigio favorevole delle regie truppe nella Sicilia, che il medesimo Mundy avendo raccolto un meeting nel consolato inglese di Palermo, intervenendovi i principali negozianti e possidenti per esporre loro la necessità di ritirarsi subito a bordo delle navi inglesi per mettere in sicuro le vite ed i beni, sperimenta la ferma opposizione dell'inglese Ingham, ricchissimo ottagenario, marito d'una dama siciliana, il quale protesta "viver sicuro, che l'esercito napoletano, sia forte abbastanza per mantenere l'ordine, nella Sicilia; - avere in esso piena fiducia; per cui si rifiuta lasciare la sua abitazione in città, e cercar salvezza nella fuga" (pag. 89). Né s'inganna in questa fiducia, poiché visitato da Mundy dopo le disastrose giornate del conflitto, l'Ingham lo assicurava di essere stato rispettato nella persona e negli averi; avendo serbato le regie truppe tutti i riguardi per lui (pag. 173), per ogni altro estero; e per lo stesso console inglese Goodwin (pag. 112. 113. 175.).

In una seconda visita fatta a Lanza dal Mundy accompagnato dal sudetto console, prende parte nel discorso il direttore di polizia Maniscalco, il quale nel calore della discussione domanda: "se possa credersi, che un popolo insorto contro le autorità costituite, non meriti essere ridotto alla obbedienza?" Alla intempestiva interpellanza il console si sdegna e dice: "giungergli veramente inaspettate tali parole; ma poiché si son volute profferirle, egli non esita ad affermare che un popolo tiranneggiato ha ben diritto a prendere le armi contro i 'suoi oppressori"

(pag. 102.) - S'intende naturalmente, che questa massima proclamata con tanta solennità ne' domini altrui, non sia mai applicabile nello interesse de' popoli soggetti alla Gran Brettagna!...

Ecco intanto altri elementi per compruovare, come il contrammiraglio inglese era assai meglio informato de' generali napoletani su' movimenti di Garibaldi. Egli dice (pag. 106), che nella sera de' 26 maggio, per mano di un inglese ricevé su la nave il seguente viglietto che annunciava ciò che effettivamente si è poi verificato appuntino:

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"Caro Signore. Domani alle prime ore del mattino scoppierà in Palermo una insurrezione, e subito dopo Garibaldi sarà presso Porta s. Antonino

(per la quale voi oggi dopo pranzo siete sortito) deciso a sforzare l'ingresso nella città con la baionetta. Il principe Lampedusa permette ad ogni uffiziale inglese salire su la torre del suo palazzo, per godere la vista del combattimento.

" Eppure in quel momento i generali napoletani credeano, che Garibaldi sconfitto fosse in fuga verso Corleone! (1) - Coincide con questa notizia la relazione data in quello stesso giorno al Mundy da' tre uffiziali suoi dipendenti Wilmot, Morgan, e Cooper, i quali usciti poche ore prima, incontravano presso Misilmeri il Garibaldi seduto con i suoi a pranzo in un vigneto, ne accettavano lo invito, e durante il trattenimento ne udivano le esternazioni di simpatia pel popolo inglese come nazione

, è la promessa che a momenti sarebbe entrato' a Palermo, ed avrebbe fatta conoscenza diretta con l'ammiraglio. In questa occasione i tre uffiziali osservavano, che le loro militari assise erano oggetto de' benevoli sguardi de' volontari garibaldini giovani da' 15 a' 18 anni; e che ivi trovavasi il capobanda Lamasa con tre a quattromila armati di vecchi archibugi, spiedi, e coltellacci arrugginiti. In conchiusione affermavano essere imminente una crisi (pag. 107).

Non può farsi però a meno di notare la inesattezza, nella quale è incorso il Mundy (pag. 116), asserendo che durante il conflitto de' regi contro i garibaldini in Palermo, i prigionieri politici sieno evasi sostenendo un vigoroso attacco contro le truppe reali. - Invece si ha, che a' 27 ritiratasi da' Quattroventi la divisione militare comandata dal generale Cataldo, le prigioni ripiene di detenuti comuni (non già di politici) erano rimaste senza custodia, e riesciva agevole a' medesimi di uscirsene, senza venire ad alcun attacco (2).

Non occorre poi notare quanto sia doloso l'ordine di cotale abbandono delle prigioni, senza precisa necessità. Le tristi conseguenze di questo sciagurato passo sono la perdita di un punto d'appoggio sul mare, e di non essere più padroni del porto, come pure l'agglomerazione anche più imprudentemente fatta, e con gran disordine, di tante truppe a Palazzo reale. - Tra le deplorabili omessioni del generale in capo si nota il non aver fatto occupare dalle truppe le case circostanti a' punti ne' quali ferveva il conflitto di Palermo (guerre de rue)

dove piazzatisi, gl'insorti tiravano a colpo sicuro (3).

(1) Pag. 122. 126. 131. cronaca.

(2) Pag. 133 cronaca.

(3) Pag. 132 cronaca.


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L'autore distribuisce encomi, e biasimi, come meglio crede, agli uffiziali della marina napoletana, secondocché si mostrano, tiepidi, o zelanti nello adempimento de' loro doveri. È censurato il comandante Flores per aver fatto fuoco con energia durante il conflitto degli insorti contro i regi: e lodato invece il comandante della Partenope signor Cossovich, perché ne' suoi pochi tiri ha risparmiata la città (pag. 117): si compiace della visita di Vacca, capitano del vapore Fieramosca, il quale "lo ringrazia rispettosamente per le pronte misure adottate da essa Mundy, onde far cessare il bombardamento eseguito dalle navi regie contro Palermo, e gli dice esser comuni questi sentimenti a tutta la squadra napoletana" ( pag. 166).

A compruovare la mediazione del Mundy nelle trattative per lo armistizio tra Lanza, e Garibaldi, si riportano i seguenti telegrammi presentatigli dal Cossovich, cui sono stati diretti dal Lanza:. - "A' 28 maggio, 7 ore del mattino. Pregate l'ammiraglio inglese ad aver la cortesia mandarmi le lettere, non avendo io altro mezzo per riceverle; con la quale opportunità io manderò due generali a conferire con lui. Ditemi subito la sua risoluzione: se consente, io farò cessare il fuoco in via Toledo" (pag. 118). - Mundy risponde: - "accetto, ma a condizione della totale cessazione del fuoco; e riceverò con piacere i due generali".(pag. 119. 120.). Lanza replica alle 10 della stessa mattina: - "Dite all'ammiraglio inglese, che per far passare i generali, e giungere a bordo della sua nave, bisogna fa garentia della sua bandiera" Mundy non trova conveniente il modo della propose» mediazione, e fa sentire, che si riserba rispondere più tardi. - Osserva intanto l'ambiguità, e la umiliazione di Lanza, che, comunque fa posizione delle sue truppe non fosse punto disperata, pure è il primo a chiedere di capitolare con i ribelli, mostrandosi ignaro delle costoro scarse forze (pag. 121). Avrebbe potuto poi aggiungere l'autore, che anche nelle peggiori condizioni, in cui Lanza credeva trovarsi, di aver avuto nel primo attacco in Palermo solo 120 feriti fra le sue truppe ammontanti a ventimila soldati, e il chiedere cosi premurosamente un armistizio per medicar questi, e per seppellire i morti, non è argomento da potersi sostenere militarmente (1).

Con uno studiato giro di parole il Mundy vuoi coonestare l'apertura delle sue relazioni officiali con Garibaldi (p. 123), cui spedisce l'uffiziale Wilmot (quel desso, che accettava la refezione a Misilmeri) per interpellarlo se consenta al passaggio de' due generali napoletani sotto la garenzia del vessillo inglese:

(1) Pag. 133 cronaca.

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piacendogli dar termine ad una guerra civile sarebbe ancoragli ricevuto a bordo per trattare un armistizio. - Non occorre dire quanti riguardi abbiano usati gl'insorti verso la divisa inglese, e come Garibaldi abbia a pieno aderito alla proposta. - Lanza però ricusa, per non mostrare di venire a patti (1). - Mundy giudica assai strano, ed umiliante il contegno assunto indi a poco da costui, quando s'induce a scrivere la seguente lettera (2): - "Palermo 30 maggio 1860 a Sua Eccellenza il generale Garibaldi. Poiché l'ammiraglio inglese mi ha fatto conoscere, che, come mediatore, riceverebbe con piacere a bordo del suo vascello due de' miei generali per mettersi in trattative con voi; purché voi concediate loro il passaggio in mezzo alle vostre file; io vi prego farmi noto se voi consentiate: e nel caso affermativo (supponendo che le ostilità sieno sospese da ambo le parti), vi prego di notarmi l'ora, in cui comincerà la conferenza. Sarebbe parimenti utile, che voi accordiate una scorta a' sudetti generali. Sono in aspettativa di risposta". È censurato dal Mundy non solamente il tenore di questa lettera, nella quale si saluta col titolo di eccellenza e di generale un uomo testé chiamato miserabile pirata, e disperato filibustiere (pag. 141); - ma altresì il borioso contegno di Letizia, uno de' due generali presentatisi a lui per l'armistizio, affermando, che costui dopo le quistioni di etichetta su la precedenza nel salire a bordo, pretende in tuono dispotico ed irritante di non dovere restar presenti alle trattative i comandanti navali francese, americano, e sardo ivi intervenuti; non intendere di riconoscere, né la mediazione inglese, né il grado di Garibaldi. - Interrogato costui da Mundy non si oppone alla presenza di quegli estranei spettatori, e resta impassibile al pari del comandante sardo. Non cosi il francese, e l'americano, che si risentono con vivacità contro la obbiezione di Letizia. La inconvenienza dello alterco determina Mundy ad assumere un tuono imponente (pag. 148). Calmate tutte le suscettibilità, cominciano le trattative su le basi enunciate pag. 139 di questa cronaca. Letizia seduto a fronte di Garibaldi vanta "essere un veterano di molte battaglie, aver visto scorrere fiumi di sangue: e non per tema di combattere, ma per amor della umanità, essersi indotto alla sospensione delle ostilità ". Risponde con malcelato sarcasmo il Garibaldi: "non poter pretendere di gareggiare con lui nell'abilità guerriera; ma limitarsi a credere di averne ancor egli una piccola sperienza".

(1) Pag. 133 cronaca.

(2) Pag. 139 cronaca.

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Se codesto episodio è trattato con attica amenità dal Mundy, al contrario egli inveisce con acrimonia pel sopraggiungere della colonna militare comandata da Von-Mechel (1), che definisce "truppa bavarese di condotta inqualificabile per essersi avanzata contro gl'insorgenti dopo la conchiusionc della tregua, con infrazione della buona fede, compromissione della bandiera inglese, ed ingiustizia contro lui medesimo, che con tanti sforzi aveva assunta una grave risponsabilità" (pag. 157). - Non dice però, che nel vittorioso slancio di questa colonna, i garibaldini gridano siamo perduti, ed i siciliani gettano le armi chiedendo perdono; ciò che è prettamente storico; molto meno avverte, che la colonna stessa alle 10 e mezza del mattino riporta positivi vantaggi, che vengono arrestali alle 11 col pretesto di una tregua, le cui trattative cominciano poi a mezzogiorno! Troppo rispetto di Lanza per questa futura tregua!! Eppure, dopo che la si conchiude, gli stessi garibaldini non ne mostrano conto, perché costruiscono barricate, imperversano ad impedire i viveri pe' regi, e rendono tanto deteriore la costoro condizione, da giustificare ogni rottura della tregua stessa da parte di Lanza, se questi avesse voluto decidersi a farlo; ma invece precipita da umiliazione in umiliazione, e chiede proroghe replicate di armistizi. È inesattezza quindi il dirsi dal Mundy, che la colonna Von-Mechel si avanza dopo in conchiusione della tregua, la quale si trattava a mezzodì, mentre la colonna due ore prima cominciava a vincere e veniva arrestata nel suo successo al nome di una tregua non ancora conchiusa!! Il severo linguaggio dell'autore non si estende però oltre il fatto in esame; mentre per lo istantaneo massacro di trenta impiegati dell'antica polizia, con sevizie inaudite, egli non proferisce biasimo, e ne da fugacemente un cenno (pag. 167).

Non può altronde tacere il medesimo autore in quali imbarazzi si trovi a Palermo il Garibaldi "dispiaciuto de' sentimenti poco patriottici de' siciliani avversi al servizio militare; in guisa che lo stesso Garibaldi è divenuto dubbioso del suo successo

" (pag. 191.). Né a lenire le costui ambasce possono valere gli onori profusigli dall'ammiraglio sardo conte Persano, salutandolo nella visita su la sua nave con 19 colpi di cannone (2), nella quale congiuntura il Mundy osserva "che con questi riguardi lo si considera come Viceré di fatto, e moderatore dell'isola; e quando ciò si fosse praticato senza ordini dì Torino, sarebbe stata una misura ardita del Persano, laonde non è altramente spiegabile, se non

(1) Pag. 138 cronaca.

(2) Pag. 231 cronaca.

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come un riconoscimento officiale della dittatura, in nome del re Vittorio Emmanuele

" (pag. 180.). - Ben diversamente si comporta il contrammiraglio francese Jehenne, che sorpreso per una visita fattagli da Garibaldi, non intende riconoscerlo generale, ma semplice privato, ed agisce verso di lui con molta circospezione (pag. 183).

Ed è qui opportuno di notare, che a' 18 giugno approda in Civitavecchia un legno siciliano con bandiera e patente illegittima: il console napolitano l'ammonisce ad issare la bandiera regolare del re delle due Sicilie; il cui rappresentante a Roma sig. De Martino a' 20 ne informa il governo di Napoli, che nello stesso dì emana una circolare a' regi agenti all'estero, ed al corpo diplomatico in Napoli, perché non si riconoscessero né carte, né bandiere provvenienti da taluni punti della Sicilia.

Da ultimo meritano speciale menzione due visite di commiato. L'una è di Lanza, che, richiamato a Napoli, si congeda con ogni formalità dal Mundy, e gli dice: "Io ho scritto officialmente al re mio Signore, e gli ho detto, aver voi fatto tuttociò, che era in vostro potere per soddisfare i miei desideri, durante la terribile crisi passata: - noi siamo stati sfortunati, ma il nostro onor militare è salvo. Vi son grato di tutto cuore; ed è il solo sentimento di gratitudine, che m'induce in questo momento della mia partenza a farvi la visita di addio" (pag. 178).

L'altra visita è quella fatta dal medesimo Mundy a Garibaldi in Palermo, ad occasione di dover salpare pel porto di Napoli. - Egli dice averlo trovato molto abbattuto ed affranto per le funeste notizie pervenutegli da Torino, cioè "che l'imperatore Napoleone (contro il quale erasi scagliato ne' precedenti discorsi pag. 184) si dichiarava assolutamente ostile alla rigenerazione italiana, e non avrebbe mai abbandonata Roma, se non gli si desse in compenso la Sardegna; e che il conte Cavour decisamente preparavasi a questo sacrifìzio (1) con un nuovo trattato per la ulteriore umiliazione d'Italia, e per lo ingrandimento dello impero francese; soggiungendo aver avute queste notizie dalle competenti autorità" (pag. 192).

Il Mundy conchiude questo periodo finale della sua stazione in Sicilia con la romantica lettera scrittagli dallo stesso Garibaldi: "Palermo 7 luglio 1860. - Ammiraglio! - Voi partite!... e nel vedervi allontanare, un sentimento di mesta gratitudine penetra ogni creatura nata in questa terra. Voi non avete rivolte le terribili vostre batterie a' servili bombardatori di Palermo; voi non avete mandati i vostri valorosi marinari,

(1) Costui procura dissuaderlo con lettera al Persano, pag. 194 cronaca.

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Benché

ne avessero molta voglia, alla difesa della città pericolante. !... Il vostro dovere di soldato, e le tristi leggi della politica ve lo vietavano... Ma voi, uomo buono e generoso, ci avete largheggiato di simpatia e di affetto. Avete serrato il vostro naviglio al lembo marittimo della città dimostrando di riprovare la strage inumana... e pronto ad accogliere quelle famiglie che l'incendio e la distruzione potevano spingere verso di voi. Grazie, ammiraglio, grazie del vostro magnanimo procedere! Grazie in nome di Palermo, della Sicilia, della Italia intera! La partenza dell'Annibale da questa capitale è sentita come quella di un amico ben caro. Che la Provvidenza protegga sempre il nobile legno, la strenua comitiva, ed il venerando generoso marino, che la capitana!" Con vero affetto. Vostro " G. GARIBALDI ".

4. Cooperazione del governo Piemontese per la invasione di Sicilia. Rinforzi spediti a favore della rivoluzione.

Nel corso di questa cronaca (pag. 85. 88. 98. 196. 246.) si è fatto cenno delle proteste del governo (napoletano notificate in via diplomatica contro la invasione di Garibaldi nella Sicilia con la complicità del governo sardo, e delle costui scuse per iscagionarsene (pag. 72. 101.)..

Gioverà compendiare in un colpo d'occhio i vari clementi storici raccolti su l'obbietto.

Mancando ogni ragione di querela al governo subalpino contro il napoletano per coonestare le sue mire ambiziose d'ingrandimento in Italia con una qualunque ostilità, risolve di servirsi dell'audacia di Garibaldi e Io mette a capo del partilo rivoluzionario organizzato già pel lento lavorio della setta in Sicilia; lo richiama in Torino, nel gennaio 1860, per concertare l'occorrente; gli fa abbandonare il grado militare, e lo fa ritirare a Nizza, dove rimane fino ad aprile non inoperoso certamente, ma dedito ad annodare le fila della vasta congiura a danno del reame delle due Sicilie. Verso la metà di quel mese si presenta come deputato nel parlamento; scomparisce a' 19, e corre voce a Genova essere già sbarcato in Sicilia, o che lo tenti (pag. 43 a 46), prescelto a direttore della impresa dagl'interessati della rivoluzione italiana, i quali mettono a sua disposizione i fondi accumulati con la nota soscrizione al milione de' fucili, e quanto altro si è raccolto dalle svariate oblazioni. Il regio rappresentante napoletano a Torino ne reclama al presidente del ministero Cavour, ed al ministro Farini,

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i quali affettano ignoranza, se ne mostrano dolenti, ed insinuano non doversi prestar fede alle voci a carico del governo sardo, assicurando, che questi non mancherebbe impedire qualunque altro attentato. A conforto del suo assunto il diplomatico napoletano invita il plenipotenziario francese in Torino signor de Talleyrand, affinché tenesse discorso col Farini su le giusto apprensioni del governo di Napoli intorno al contegno di Garibaldi: de' costui apparecchi minacciosi rende consapevole il proprio governo, e dirige analoga nota al Cavour facendogli osservare la inconvenienza nel tollerare tanti concerti rivoluzionari a danno di uno Stato vicino ed amico. Cavour continua nella dissimulazione emanando ordini rimasti vuoti di effetto, perché era ne' suoi piani di usufruttarc della insurrezione sicula. L'anzidetto ministro di Francia aggiunge le sue rimostranze, e consiglia Cavour ad adottare un contegno da rimuovere ogni sospetto di ambizione. - Malgrado queste proteste gli arruolamenti garibaldini continuano, i comitati crescono di attività, e col pieno concorso del governo piemontese e della sua flotta parte da Genova la prima spedizione per Sicilia (pag. 65 a 69). Dopo pochi giorni si lavora con maggior pubblicità per una seconda: nuove proteste del rappresentante napoletano, ed eguali risposte evasive del governo di Torino, la cui evidente complicità in così gravi attentati richiama le vive rimostranze da parte della Francia, della Russia, della Prussia, e della stessa Inghilterra. Al costoro severo linguaggio risponde Cavour scusandosi con la impossibilità d'impedire le spedizioni, con la impotenza de' mezzi legali, amplificando gli ostacoli da lui posti alla fornitura delle armi e del denaro, dichiarando di aver sempre dissuaso Garibaldi da quella ingiusta impresa (mentre scrive contemporaneamente le lettere riportate pag. 69. 171. 188. 194. 228. 249. 275.), e facendo finalmente osservare non esser prudenza di contrariare apertamente Garibaldi; ciò che avrebbe cagionata la caduta del ministero attuale, e la elevazione del Rattazzi che sarebbesi dichiarato caldo fautore di colui.

Le spedizioni intanto a pro della insurrezione di Sicilia si succedono ne' porti sardi, e il diplomatico napoletano invano reitera le sue proteste; mentre il suo governo fa altrettanto con energiche note alle Potenze estere; anzi procura d'indurre queste ad infrenare così gravi attentati al diritto delle genti, ed al principio costitutivo di tutte le altre Sovranità. Altronde il governo di Torino osa protestare contro qualsivoglia intervento straniero armato; anzi vedendo scemare le particolari oblazioni a favore della rivoluzione di Sicilia,

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autorizza i municipi a somministrare vistose somme prelevandole da' patrimoni comunali: si aumentano i comitati, e si fanno preparativi per altre spedizioni. - Garibaldi assume la dittatura in Sicilia a nome del re Vittorio Emmanuele, e ne protesta altamente il rappresentante di Napoli in Torino (pag. 88).

A' 26 maggio, Cavour gli risponde dichiarando formalmente "non poter né meno cader dubbio

, che il governo del re di Sardegna disapprovi e contraddica la condotta di Garibaldi, ed a maggior sicurezza, d'ordine del re

, non esita a dichiarare, che il GOVERNO SARDO È TOTALMENTE ESTRANEO A QUALUNQUE ATTO DI GARIBALDI, che a titolo dittatore da lui assunto è onninamente usurpato

, ed il governo di Sua Maestà Sarda non può che formalmente disapprovarlo

" (pag. 101). Il governo di Napoli nel comunicare al corpo diplomatico quest'assicurazione in una sua protesta de' 16 giugno 1860, osserva, che il Garibaldi non ne tiene conto, ed imperversa ne' suoi alti rivoluzionari, servendosi del regio stemma e della giuridica intestazione del re di Sardegna.

Continua intanto nel Piemonte la pubblica riscossione del denaro in aiuto di Garibaldi, fino a tentare la banca del credito mobiliare pel prestito di due milioni, da comprarne due vapori, che il Cavour garantirebbe.

In vista delle scandalose partenze di altre spedizioni, e delle reiterate proteste del governo delle due Sicilie, il diplomatico russo a Torino si dirige allo stesso re Vittorio Emanuele, il quale risponde in modo consono al linguaggio di Cavour "ignorare i preparativi, e la direzione degli avventurieri, temere da ciò nuovi imbarazzi, disapprovare l'accaduto, ed intendendo far la guerra a S. M. siciliana, quando il dovesse, per le vie legali ed oneste: non mancherebbe del resto provvedere per lo avvenire. " - Nulla di nulla: continua più apertamente l'intervento del Piemonte nella insurrezione siciliana. - A' 29 giugno il deputato Guerrazzi parla nella camera di Torino contro l'alleanza con Napoli, ed a favore dell'annessione ed unità italiana, senza esser contraddetto da' ministri; maggior pruova delle costoro tendenze. Finalmente il governo napoletano invia una missione straordinaria per trattare un'alleanza con quello del Piemonte: imbarazzi del Cavour per questa risoluzione; negoziato difficile, prolungato, e di niun vantaggio (pag. 197 nota).

Tuttocchè siensi già notate le varie spedizioni a pro di Garibaldi, e le spese occorse (pag. 231. 238.); pure a maggior chiarimento si segnano qui le distinte partenze:

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a' 6 maggio, da Genova, partenza di Garibaldi, (pag. 65 e 66);

idem - da Livorno, - Siccoli, Boccaccini, Ceccarini, con 30 volontari, su la tartana toscana Carolina,

capitano Tomei;

a' 10 detto, da Genova, - vapore inglese Eagle c

on 612 volontari, imbarcandone altri 112 a Livorno con 62 casse di munizioni;

a' 13 detto, da Cagliari; fregata partita da s. Stefano con 200 usciti da Genova;

a' 21 detto, ivi piccolo vapore con altra spedizione;

a' 24 detto, da Livorno, vapore Blackwell

, capitano Giuseppe Rodi, con 830 volontari, 4 mila fucili, 850 bombe, e molto denaro (pag. 125).

Partita inoltre una cannoniera per s. Stefano, e tartana Voltosanto con 86 individui, 2 casse fucili e munizioni;

a' 2 giugno, da Genova; - vapore sardo da guerra Tanaro con armi;

a' 4 detto, arrivo in Genova di 3 vapori francesi comprati per farne altre spedizioni;

a' 10 detto, da Genova; - partenza del vapore sardo Utile

con 850 volontari, e con la barca americana Charles-and-Jane

con munizioni (pag. 164, catturato dalla fregata napoletana Fulminante);

idem - idem - Amsterdam, nave inglese comprata (p. 229), con mille volontari.

a' 21 detto, da Genova, - vapore Veloce con bandiera americana con 200 volontari;

idem - arriva in Sicilia la spedizione Medici con i vapori americani Washington, e Franklin, e 2 legni a vela, scortati dal piroscafo sardo Gulnara:

a' 23 detto, da Genova, - vapore ad elice Italia con molta gente per Cagliari, dove si riunisce con 2 vapori americani ed altri imbarcati per Sicilia;

a' 26 detto, ivi - partono gli emigrati siciliani con istruzioni annessioniste;

a' 29 detto, ivi, e Cagliari, partenza di legni, con spedizione indeterminata;

a' 30 detto, da Livorno, - vapore americano Oregon,

con volontari, e munizioni;

a' di 1 luglio, da Parigi il regio rappresentante marchese Antonini al ministro degli affari esteri De Martino scrive questo dispaccio "centomila fucili e 23 mila carabine sono giunte a Malta per Garibaldi. Mi si propone di far tutto portare in Napoli,

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dopo la consegna, pagare a Parigi 30 franchi per ogni fucile, e 40 franchi per ogni carabina".

a' 10 detto, da Genova, - due vapori, col sudetto Utile,

ed altra nave di seguito con 1200 volontari, tra' quali gli 850 già catturati dalla marina napoletana, e liberati;

a' di 11 detto, - tradimento del Veloce, regia nave napoletana;

a' 16 detto, da Genova, - vapore inglese con 700 volontari;

a' 17 detto, ivi, vapore francese Prevenee

, con 600, senza ricapiti;

a' 20 detto, ivi, vapore sardo Torino

, con 1500 truppa regolare, comandati dal maggiore Sacchi.

a' 22 detto, ivi, - due vapori, uno de' quali l'Amazone, francese, con mille;

a' 30 detto, ivi, - il sudetto vapore Amazone con altri mille;

a' 13 agosto, da Marsiglia, vapore Pausilipe trasportando per Garibaldi casse d'armi direttegli da Alessandro Dumas;

a' 16 detto, da Cagliari, - cinque vapori con molta gente, armi, e cavalli, con Pianciani, e lo stesso Garibaldi (p. 243);

a' 17 detto, da Genova, - vapore con 600 volontari: dei due vapori nel porto, al servizio di Garibaldi, parte uno con altri 500;

Acquisto di navi, ed altri rinforzi ed armi dall'Inghilterra (pag. 229. 245).

5. Notizie tu la cattura del vapore tardo l'UTILE, e del clipper americano CHARLES-AND-JANE.

Sotto la data de' 15 giugno (pag. 164 cronaca) si accenna brevemente alla cattura eseguita dalla regia marina napoletana di una spedizione garibaldina sul vapore sardo Utile, con l'altra grossa barca americana Charles-and-Jane carica d' armi. Per mettere in chiaro le fasi di questo incidente, gioverà riportarne le particolarità desunte da officiali documenti.

Il governo napoletano, informato de' concerti di Garibaldi, e della complicità del Piemonte, con preveggenti misure provvede a difendersi dall'aggressione (pag. 43. a 46. 55. ivi). Ardua era la sorveglianza su le coste del reame estese per 1900 miglia; insufficiente per le crociere il numero delle navi, e per soprassoma il non potersi fidare su i costoro comandanti dopo il malaugurato esperimento fattosene nello sbarco di Marsala. - Altre spedizioni di volontari giungono di tratto in tratto a Garibaldi (pag. 231 a 238);


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e costui nella lettera al Parker gl'insinua come inviare impunemente i rinforzi de' legni, che arriverebbero al loro destino pria della partenza de' napoletani (pag. 230).

A' 9 giugno 1860 in Napoli il ministro degli affari esteri propone al re di spedire un piroscafo nelle acque di Genova a sorvegliare la partenza de' legni con avventurieri, seguirli, ed impedir loro ogni ostilità. Si fa perciò partire la pirofregata Fulminante comandata dal retro-ammiraglio Roberti. Da questo momento il governo di Napoli esamina, se le spedizioni finora fatte, e che si continuano dal Piemonte, possano ancora ritenere il carattere di attacchi clandestini, e esser dichiarate fraudolenta e manifesta invasione.

La Fulminante, nella stessa sera della partenza, all'altura di Capo-Corso sorprende un vapore già noto per altri sbarchi di garibaldini fatti in Sicilia, seguilo da nave a vela. - Interrogati, affermano esser sardi, partiti da Genova, diretti a Cagliari. Richiesti su la natura del carico, un coro di voci, fra battute di mano, grida Viva l'Italia. - Niun dubbio, che vengono ad aumentare i disordini in Sicilia. Il comandante della Fulminante chiama a bordo que' due capitani che si rifiutano; ond'è che presi i due legni a rimorchio, li traduce nella rada di Gaeta, dove si verifica essere il vapore sardo Utile, e il clipper americano Charles-and-Jane, trasportando insieme un attruppamento di oltre 800 volontari per Garibaldi; e che lungo il tragitto abbiano fatto scomparire il contrabbando di guerra, gettando armi e munizioni nel mare, ed issando le rispettive bandiere nazionali. - Si ricusano discendere, e far visitare le carte di bordo. Le regie autorità li trattano con ogni riguardo, li forniscono di coltri di lana, e di ogni altro sollievo, secondando le loro richieste. Il governo napoletano si affretta ad informarne con enciclico dispaccio le Potenze estere. - Il ministro americano in Napoli dubita della nazionalità del legno catturato, e pacatamente procede nelle indagini. - Non così il Villamarina, ambasciatore sardo, che sfolgora l'atto di cattura, e reclama la restituzione de' legni e de' prigionieri. Ogni altro leale diplomatico, nel caso suo, non avrebbe osato muover parola, soprattutto dopo i recentissimi fatti. Invano il governo napoletano gli ricorda: "che il Piemonte dopo la prima spedizione di Garibaldi aveva solennemente dichiarato alla Corte di Napoli esterne inscio del tutto, avversare ogni violazione di diritti internazionali, e non intendere di garentire ulteriori spedizioni, ancorché coverte détta sua bandiera (p. 72. 101. 188.); che era perciò indispensabile al governo di Napoli nel suo diritto di 'legittima difesa tutelarsi da ogni altro atto di pirateria,

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ad impedire la quale erasi confessato imponente il Piemonte

". - Ma il costui rappresentante in Napoli sordo ad ogni ragione, seco tirando il suo collega di America, pretende di abboccarsi da solo a solo nel porto militare di Napoli con i capitani de' catturati legni, e consultarne le carte. Tiene intanto appagato a' 17 giugno; ed in risulta afferma, nulla aver trovato d'irregolare, non potendo altronde fare a meno di render grazie al governo napoletano pel benevolo trattamento fatto a' prigionieri, e per aver ammesso nel regio ospedale marittimo il capitano dell'Utile a ristabilirsi in salute: tien fermo a non mostrare le carte di bordo, asserendo, che "diversamente avrebbe nel governo di Napoli riconosciuto il diritto, che egli impegna, di poter, cioè, arrestare un legno sardo fuori le acque territoriali." - Alle nuove richieste del ministro degli affari esteri, risponde: "attendere autorizzazione da Torino" - Il ministro americano che con i suoi reclami non ha altro scopo, se non di assicurarsi qual diritto avesse la nave americana di far appello alla sua nazionalità, non si briga di dar risposta, e soltanto fa sapere di esser occupato a porre in iscritto l'abboccamento avuto col capitano della nave.

In questo avvenimento, come in tanti altri, al grave e serio va unito anche un incidente ameno. - A schivare di riconoscere il torto del proprio governo, il rappresentante sardo ricorre ad un diversivo, le cui minime proporzioni si sforza di magnificare ad altezze colossali: - in una sua lettera de' 16 giugno al ministro degli affari esteri di Napoli, elevando risentimenti pel ritardo d'un impiegato telegrafico, si serve delle espressioni di malafede

, e disonestà;

qualità che ognuno può ora giudicare da qual parte si trovino! - È documento storico, che fra gli altri qui raccolti, non è indegno di figurare: - "... Il telegramma direttomi dal delegato consolare in Gaeta su la cattura del vapore sardo, non mi è per anco pervenuto; perché l'impiegato telegrafico, dopo averlo ritenuto parecchi giorni, lo restituì allo stesso delegato, che lo possiede tuttora. Epperò è impossibile, che l'impiegato possa giustificare tale condotta. Quindi insisto per avere una soddisfazione competente, facendone una quistione di DISONESTA, e di MALAFEDE, da cui credo, che il governo napoletano vorrà separarsi interamente. In questo momento ricevo un dispaccio del conte Cavour, con cui mi rimprovera, che da quattro giorni si parla in Europa di questa cattura, senza aver avuto alcun avviso da parte mia. Ella vede la conseguenza della mancanza gravissima commessa dallo impiegato di Gaeta... "!!!

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Senza dar peso a questo incidente, non c'intratteremo ad osservare, che se il fatto della cattura echeggiava in Europa da 4 giorni, ed il medesimo rappresentante sardo n'era tanto bene informato, che aveva iniziate già le sue trattative per la restituzione, non era di assoluta necessità attendere il telegramma del suo delegato consolare.

Il regio rappresentante a Parigi col dispaccio riportato di sopra pag. 324 è di avviso contrario per la restituzione di tali legni.

Nella pendenza della quistione sopraggiungono le gravi discussioni interne sul cambiamento di regime governativo da introdursi nel regno. A' 25 giugno un altro stato di cose è proclamato: ed a' 27 è composto un nuovo ministero. Tra i primi passi di questo, o per dir meglio, tra le prime concessioni da lui fatte alla rivoluzione, vi è quella di lasciar liberi gl'imbarcati su l'Utile, informandone i regi rappresentanti all'estero con la seguente speciosa circolare: - "Napoli 6 luglio 1860. - "Il governo di S. M. il re volendo dare a quello di Sardegna, ed a quello degli Stati uniti di America un attestato di amicizia, riserbando intatte le quistioni di principio ed i suoi diritti, ha rilasciato liberi, tanto il vapore l'Utile

, quanto la nave a vela, catturati dalla regia fregata Fulminante, unitamente agli uomini, che formano quella spedizione." - Sembra che così si volesse dar termine questo affare.

Si lasciano adunque partire i legni, e gl'imbarcati. E costoro non appena ritornati a Genova, si uniscono con altro corpo di volontari garibaldini, e formanti il numero di 1200 uomini sopra 3 navigli partono per la Sicilia a' 10 luglio. - A' 12 il nuovo ministero degli affari esteri di, Napoli si limita ad annunziare in una sua circolare: "Jeri partirono da Genova tre vapori con 1200 persone. Gente di Garibaldi ingrossa le sue forze intorno a Messina, e mostra di prendere posizione minacciosa ".

Altronde i documenti, che seguono, basteranno a spiegare in qual modo la stampa contemporanea narra il tristo incidente, sul quale la storia ha già pronunziato il suo giudizio:

I. Dispaccio telegrafico "Napoli 20 giugno: l'ambasciatore sardo ha reclamata la restituzione de' legni catturati e de' passeggieri, che erano muniti di passaporti per Malta. Lord Elliot appoggerebbe questa domanda. I capitani de' legni pretendono 26,000 ducati d'indennità. Quattro vascelli inglesi sono giunti a Napoli. " (La Patrie, 21 giugno 1860 smentisce la circostanza, che l'ambasciatore inglese appoggi tale domanda). Il giornalismo indipendente osserva sul proposito con tuono umoristico:

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- "Veramente chi non darebbe torto al re di Napoli nel volersi difendere dagli assalti della rivoluzione? Vi pare, che sia cosa da potersi tollerare, che un governo, il quale sì trova in guerra aperta con altro governo, osi catturare i legni della Potenza nemica? Non si può negare, che codeste sieno colpe gravissime dei re di Napoli! - " Ognuno comprende la ironia, e comprende pure, che nella condizione, in cui trovavasi allora il governo napoletano doveva evitare compromissioni, e complicanze ad ogni costo.

II.

Notizia dell'Observer del 1 luglio 1860. - " Il governo inglese ha ricevuto avviso da Napoli di essersi riconsegnati senza condizione

, i due battelli a vapore catturati, e messi in libertà i passeggieri, e gli equipaggi. Questi battelli erano stati catturati in pieno mare, e non nelle acque di Napoli. L'Inghilterra, l'America e il Piemonte cooperarono alla loro restituzione".

6. Rivelazione de modi come fu agevolata la invasione di Garibaldi; e come fu tentata la corruzione nello esercito. Opuscoli, e difese. Giudizio severo di un giornale estero.

" Appena giunsi in Napoli (dopo l'amnistia) i miei amici politici, ed io sentimmo, che precipuo dovere era di fare ogni sforzo affinché l'esercito napoletano rimanesse intatto: secondo me, è stata una sventura immensa la distruzione di quel bellissimo esercito. Io feci la propaganda nelle caserme, a rischio di farmi fucilare, ed a quanti uffiziali vedevo, io dicevo:

- il vostro onor militare è salvo, perché in Sicilia vi siete battuti contro Garibaldi; ora siete in casa vostra, e dovete imitare l'esempio dello esercito toscano che a' 27 aprile fece sì con la sua bella attitudine, che il Gran Duca se ne andasse volontariamente.

Gli ufficiali rispondevano: noi saremmo pronti

, ma i nostri soldati sono talmente fanatizzati, che ci fucilerebbero. -

È questa una delle principali cagioni, per cui è stata impossibile una sollevazione militare, anche pria dello ingresso di Garibaldi, che avrebbe trovata in Napoli una rivoluzione in piedi, ed un esercito intero... Ma vi pare, che senza il lavoro segreto di questi uffiziali

, senza il nostro lavoro, avrebbe potuto mai entrare Garibaldi in Napoli, città di mezzo milione d'abitanti

, con

4 castelli gremiti di truppe, ed un presidio di ottomila soldati?! -

Egli entrò solo in Napoli, perché noi liberali, con buon numero di uffiziali, gliene aprimmo le porte. (Discorso del deputato napoletano Ricciardi nel parlamento di Torino, tornata

20 maggio

1861).

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Coordinato a questa rivelazione è l'importante documento pubblicato da molti giornali, e ristampato dal giornale napoletano, il Nomade

, 27 marzo 1861, col titolo " Reclamo al parlamento italiano pe' decreti emanati dai ministro della guerra

, circa la fusione dello esercito piemontese col napoletano " pubblicazione che il giornalista dice aver fatta a premura di distinti ufficiali napoletani. - Da questo documento si ricava: - 1. che mentre Cavour accettava trattare l'intima alleanza col re di Napoli, e il Piemonte, faceva corrompere e sedurre con denaro e promesse di gradi, i generali, ed ufficiali napoletani per mezzo de' noti suoi ambasciatori, ed agenti: - 2. che Nunziante, nel tempo stesso che si atteggiava come paladino del suo re, di sottomano preparava una insurrezione militare per detronizzarlo, e spalancarne la reggia al Piemonte: - 3. che questi disegni andarono falliti per la fedeltà de' soldati: - 4. che sono enormi falsità la spontanea dedizione de' popoli, e l'entusiasmo delle milizie per Garibaldi, e per Vittorio Emmanuele; e che fu solenne impostura il plebiscito

, unico titolo, su cui il macchiavellismo della rivoluzione fonda le sue pretensioni.

All'anzidetta pubblicazione altre ne succedono, con le quali taluni degli uffiziali napoletani, a propria difesa, o a sfogo di polemiche e di recriminazioni, chiariscono le fasi di questa dolorosa iliade. Così il FERRARI in un opuscolo di pagine 39, in confutazione di ciò che intorno a lui riferisce il libro del tenente Gaeta "Nove mesi in Messina

" si sforza scagionarsi dalla taccia addebitataglisi (pag. 286 della presente cronaca): il MILANO incrimina lo stesso Gaeta di calunnia; e produce in discarico una lettera scrittagli dal generale Fergola a' 12 ottobre 1862, che lo purga da ogni imputazione, e definisce il suo arresto (pag. 288 ivi) una misura di prudenza in tempi eccezionali:

ed il PALMIERI (di cui è parola pag. 217. 228. 340.) nello anzidetto opuscolo dove accenna a' gravi errori militari occorsi ne' fatti di Milazzo e di Messina, e narra della parte da lui presa nelle campagne del Volturno e del Garigliano, fino alla disastrosa ritirata negli Stati Pontificii, ed al suo arresto nel Piemonte da gennaio a giugno 1861.

Da ultimo non è da trasandarsi il severo giudizio di un giornale estero su' luttuosi disastri dello esercito napoletano: " Ciò che avviene presentemente (1860) nel reame delle due Sicilie, ha pochi riscontri nella storia. Rare volte un esercito ha dato un esempio come quello napoletano; né pure Cortes, e Pizzarro trovarono nel Messico, e nel Perù avversarii così innocui, come li ha incontrati Garibaldi nel continente di Napoli,

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dove vediamo un esercito eccellentemente armato disciogliersi, e fuggire davanti una schiera a lai inferiore, mancante di molte cose, che egli possiede in abbondanza. - Ma il fatto, che per sino alcuni generali insistono presso il re per indurlo ad abbandonare la sua casa; che gli ufficiali stessi diano l'esempio del quanto poco importi loro l'onore della propria bandiera, è cosa senza esempio odia storia degli eserciti moderni; - né pure i cipai delle Indie ci hanno abituati a notizie come quelle, che ora ci affluiscono ogni giorno. Noi vediamo una depravazione infinita dalla vicinanza del trono, fin giù ne' tuguri della plebe. Uno de' Principi vuol farsi garantire i suoi appannaggi dal nemico capitale della sua dinastia, da Vittorio Emmanuele, ed è pronto a passare nel campo Sardo... Garibaldi deve esser dolente, che a Napoli la cosa gli sia stata resa tanto facile. - In faccia a tale nemico la sua gloria militare non può arricchirsi di alcun alloro. Ma anche a coloro, che sognano una Italia indipendente debbono sorgere gravi dubbi d'ogni specie su l'avvenire dì essa, nel trovare in una delle sue popolazioni più rilevanti un tale infiacchimento... " (Giornale Ost-Deutsch-Post... settembre 1860).

7. Colpo d'occhio su la Sicilia, dopo la invasione garibaldina; - e come giudicato il governo invasore da' deputati siciliani nella camera di Torino. - Terrore del nuovo regime.

I. " La ritirata de' regi dalia Sicilia è il segnale dello scioglimento di tutti gli ordini civili e politici: chiusi i tribunali, annichilita ogni magistratura; abolita la polizia, cercati a morte, e poi barbaramente uccisi tutti gli uffiziali di sicurezza pubblica; rotto il freno ad ogni scelleratezza; bande d'assassini sotto il nome di squadracce scorrazzanti dovunque: eccessi maggiori di quelli sofferti da' maroniti nella Siria. Memorandi gli eccidi di Bronte, e di Biancavilla. Nel primo di questi comuni, 40 de' più probi cittadini torturati, e poi massacrati, le loro case messe a sacco e fuoco, ardendovi i cadaveri dei trucidati; commesse altre esorbitanze antropofaghi benché Bronte non fosse, che di ottomila abitanti; pure non riescono a frenarvi il tumulto sei compagnie di piemontesi accorsevi; mentre non ha guari bastavano pochi soldati regi a mantenervi l'ordine! - Vi arriva Nino Bixio con due mila: bandisce lo stato d'assedio, il disarmo generale fra tre ore,

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pena di morte a chi non obbedisce; multa di once 10 (pari a 130 franchi) per ogni ora di ritardo al completo ristabilimento dell'ordine. - In Biancavilla, la plebe aizzata, e capitanata da un Biondi, in pochi giorni commette 27 omicidi su i più agiati proprietari; il rimanente de' quali per salvarsi indossa abiti da villici. - Altrove, come a Treoastagni, ed in alcuni paeselli di s. Filippo di Agirà, a Castiglione, a Noto si comincia a fare lo stesso. Un tale La Porta di Ventimiglia (1) fin dal precedente mese di aprile compromesso come corridore alla testa di una banda, commette massime esorbitanze, e si fa sostituire nel comando di essa dall'altro famigerato assassino Sante Meli, che, comunque arrestato dagli stessi luogotenenti garibaldini; pure vien liberato per protezione di La Porta divenuto ministro dittatoriale. Tanta anarchia induce lo stesso liberale Saia a dire in faccia al prodittalore de Pretis: - il vostro governo ci fa oggimai desiderare quello di Maniscalco... - "

Di fatti in Palermo si teme una reazione, sì che di fretta vi si mandano da Messina distaccamenti garibaldini, e vi si arrestano nobili, e sospetti, essendo già emigrati per Napoli, per Malta, per Roma, per la Francia fin da' precedenti mesi i più ragguardevoli, ed onesti cittadini. " (Sunto di vari giornali italiani ed esteri)

. Per trovare un pretesto, onde disiarsi di nemici privati, si fa correr voce essersi rinvenuto un notamento di quattromila agenti segreti dell'antica polizia, e si dice, che il governo di Garibaldi siasi limitato a bandirli dall'isola. " (La Libera Parola, giornale di Palermo 2 luglio 1860).

E ciò pel 1860. - Le cose peggiorano nel 1861. - " L'anarchia con i furti ed assassini si burla del governo liberatore:

i fatti recenti sono di lor natura tragici e selvaggi. - A' 9 marzo, giorno di esterminio, una banda di 80 assassini mette la città di s. Margarita a sangue e fuoco; 34 persone vi sono massacrate. - Lo stesso di a Piana de' Colli sono uccisi su la via pubblica due figli dell'infelice Onofrio Napoli. Anche nello stesso dì Girgenti ha avuti i suoi settembrizzatori in tutta la forza del termine: alcuni popolani armati hanno assalite le prigioni del Castello, ne hanno strappate 36 persone ivi detenute come sospette di borbonismo, le hanno trascinate nel Vescovado, e le hanno massacrate. Questa orgia è stata imitata da' cannibali de' vicini comuni; e per 8 giorni vi è stata spaventevole successione di rapine e di stragi. - Agli 11 presso Resuttane, tra Caltanissetta, e Cefalù, due bande, disputandosi il bottino, lottano per 3 ore, e lasciano 14 cadaveri sul luogo del conflitto.

(1) Si è veduto figurare nel corso di questa cronaca, pagine 98. 91

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- Nello stesso giorno, a' Colli, ad un miglio da Palermo, Pietro Innusa è trucidato in propria casa, e gli assassini se ne vanno trionfalmente in carrozza con le vesti macchiate di sangue. A' 13 un movimento anarchico si produce a Palermo, e fa 30 vittime, tra morti e feriti. A' 16 nell'agro di Palermo, in pieno giorno una banda di malviventi uccide i 5 fratelli de Caro su le proprie terre. Nella stessa sera, a nove miglia da Palermo, accadono maggiori eccessi della più brutale ferocia; più di 16 persone sono scannate, e la strage dura tutta la notte. - Le campagne di Brancaccio, e Ciavelli, presso Palermo, sono teatro di scene orribili: vi si uccide la guardia civica ed il Curato; vi si incendia la chiesa parrocchiale, e le case circostanti: gli agenti della Questura di Palermo non osano condursi in quel luogo di macello. - La provincia di Catania, finora tranquilla, è ora in preda ad ogni sorta di misfatti, furti, omicidi: nello stesso centro della città il terrore, e la costernazione regnano in permanenza. - A Mascalucia, comune della medesima provincia, si rinnovano a' 13 marzo gli eccidi di Bronte, uccidendovi le più distinte famiglie: la rivoluzione è nel senso del comunismo: vi si rovesciano i muri, divisi i terreni, minacciati, o colpiti a morte gli oppositori. Nel domani le stesse scene si ripetono ad Aci s. Antonio, a Paterno, a Riposto, ove le famiglie possidenti sono assassinate. In una parola, imperversa il peggiore periodo della rivoluzione francese! " (Sunto de' diarii di aprile 1861).

Innumerevoli sono le declamazioni fatte nel parlamento di Torino dagli stessi deputati siciliani nel corso delle sessioni del 1861 contro il governo invasore; e non può farsi a meno di scegliere, tra le tante: - 1. quella del deputato Bruno, che censurando le prepotenze governative, e il dissesto finanziario de' piemontesi a danno della Sicilia, dice, che le più interessanti opere pubbliche, già disposte da' Borboni, sono trascurate da' nuovi governanti di Torino; loda la istituzione tutta liberale delle compagnie darmi mantenuta da' Barboni, sotto il cui governo la Sicilia offri per molti anni l'edificante spettacolo, che furti non ne succedevano assolutamente, e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tutte le ore, senza la menoma paura di essere aggrediti e derubati come oggi abbiamo a deplorare. " (Tornata de' 4 aprile 1861 n. 53 degli atti officiali)

: - 2. l'altra del deputato Crispi: - " Credete voi, o signori, (dice egli) che in Sicilia si eseguano lo Statuto, le leggi nuove, o almeno i Codici del cessato governo? Niente affatto. Ascoltate.

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In una provincia sono saccheggiate le case rurali, incendiata una fattoria, e il padrone minacciato di vita: egli chiede giustizia, e gli viene negata. Vi è anche di più? Questo offeso è tratto dal suo domicilio, e viene confinato in altro comune, con ordine all'Autorità di non farnelo allontanare. L'offeso punito economicamente dalla luogotenenza di Vittorio Emmanuele si chiama Filippo Pancali, il comune in cui furono consumati gli eccessi anarchici è Vittoria; - Comiso è il comune, ove Pancali è confinato. La notte del 9 a 10 di questo mese la forza pubblica circonda una casa a Partinico: il proprietario Angelo Nobile salta sul tetto per fuggire: la moglie va ad aprire la porta: la polizia entra, e si da ad una severa perquisizione: un uomo della forza pubblica si accorge dalla finestra, che il fuggitivo era sul tetto, tira il fucile, e lo uccide. Un fatto simile era avvenuto in Segheria un mese prima. - Un fatto più terribile avvenne prima ch'io partissi da Palermo nelle carceri centrali della provincia, un arrestato entrando venne ucciso sul limitare della prigione. Più volte si sono sporti reclami contro gli arresti arbitrarii, senza che le Autorità se ne fossero incaricate. - A' 16 dello stesso mese essendomi presentato all'Autorità giudiziaria per chiedere d'alcuni arresti fattisi a Partinico, ed in altri comuni, l'Autorità stessa nulla ne conosceva. Rivoltomi al Questore, ed al Segretario di sicurezza pubblica, venne risposto anche nulla saperne. I nomi degli arrestati sono Patti, Timpa, Nobile, ed altri. Ebbene, o signori, il 28 novembre, giorno di mia partenza da Palermo, gli imputati non erano stati ancora rimessi al Regio Procuratore criminale. - Un altro fatto debbo narrarvi: abbiamo nelle prigioni di Palermo individui assoluti dall'Autorità giudiziaria, che la polizia tiene ancora in prigione, malgrado la loro assolutoria. Non vi parlerò della pubblica sicurezza. - In Sicilia siamo costretti ad andare sempre armati per tutelare le nostre persone, e le nostre proprietà. Nel corso d'un anno, da che vi è stabilito il governo di Vittorio Emmanuele, nel circondario di Palermo più di 200 reati di sangue sono stati commessi: per cinque sesti i processi furono istruiti contro rei ignoti: dell'altro sesto non tutti hanno avuta la meritata punizione. Non so se conoscete la celebre lettera del prefetto di Catania, sig. Tholosano al ministro Minghetti, che tutti i giornali han pubblicata: in questa lettera accusa lo stato infelicissimo di quella provincia, ed accusa altresì d'insipienza e di poca moralità gl'impiegati di sicurezza pubblica, e la magistratura. "

(Tornata de' 20 dicembre 1861): 3. E lo stesso deputato Crispi nella susseguente tornata degli 11 gennaio 1862, muovendo interpellanza su' fatti tragici


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di Castellammare del golfo, dice, che il malcontento in Sicilia è gravissimo: - 4. l'altro deputato siculo D'Ondes-Reggio (nella tornata de' 15 del mese stesso di gennaio) ripete le stesse interpellanze del Crispi, e con rammarico accenna, che cinque cittadini situo stati ivi fucilati senza essere stati sottoposti a processo regolare, e tra le altre cose, osserva: - " questi 5 di Castellammare saranno stati de' ribelli; almeno credo, che tali saranno stati, perché appunto, non essendovi ancora giudizio, io non so che cosa veramente fossero... Que' cinque dovevano avere il tempo, ed i mezzi di difendersi, dovevano essere giudicati da' magistrati, quali dalla legge sono stabiliti. Di essi era necessario vedere chi realmente fosse stato reo, o no, e se questo reo fosse colpito dalla pena dello estremo supplizio, 0 da altra pena più mite. Poteva fra loro trovarsi un minore... Coloro potevano essere innocenti; e non è questa la prima volta, che de' ribaldi s'impadroniscono degl'innocenti, e li costringono di stare in mezzo a loro con le armi alla mano; quindi poteva anche ben darsi, che fra que' 5 si trovasse non solo un innocente, bensì un uomo che fosse d'idee liberali, e ciò nullameno fosse stato trucidato Signori, crudeli, e feroci sono i selvaggi, i deboli, i timidi, gl'improbi; ma i civili, i forti, i probi, i magnanimi sono di sensi umani, vogliono la giustizia, ed anche perdonano. " - 5. E nella stessa tornata l'anzidetto Crispi in replica aggiunge molte altre accuse per arresti arbitrari, uccisioni impunite etc. etc. - 6. il deputato Contava rivela i seguenti abusi (atti officiali n. 241 pag. 918);

1. negli uffizi delle dogane di Sicilia furono nominate persone idiote ed analfabete; - 2. in Palermo i doganieri rubano, ed in Messina gl'impiegati sono uccisi, occupando i loro posti gli uccisori; - 3. in Siracusa gl'impiegati sanitari degli ospedali sono il quadruplo del numero degl'infermi; - 4. gl'impiegati in Sicilia sono enormemente moltiplicati, e sotto questo aspetto era molto migliore il governo borbonico, il quale per la luogotenenza spendeva novecentomila lire meno del nuovo governo piemontese; - 5. si danno tristissimi esempi al popolo, e questo impara il male da' governanti; - 6. per far denari illecitamente gl'impiegati a' lotti inventano giuocate ideali; -

7. non potendosi riscuotere le imposte si ricorre a percezioni immaginarie ".

- " In Marsala, come in tutti i paesi dell'Italia meridionale vi sono non pochi renitenti alla leva, che si sono dati in campagna. - In un subito, invece di essere rintracciati all'aperto, si vede bloccato il paese da 2000 soldati comandati da un maggiore, che intima al municipio di consegnare fra 10 ore gli sbandati;

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perché in caso contrario essi ed il paese ne sarebbero mallevadori. -

Da prima il sindaco si spaventò, poi fattosi animo cominciò a protestare contro quel vandalismo. Indarno! Le proteste nulla valsero: vennero intercettate tutte le comunicazioni, che danno vita al commercio, e furono arrestati proditoriamente ben TREMILA campagnuoli, mentre attendevano a' propri lavori ne' loro pacifici poderi, e vennero quindi gettati come sacchi di paglia in una catacomba non mai adoperata sotto i Borboni, dove certamente avrà a deplorarsi qualche infortunio, essendo un antro oscuro e privo d'aria... In seguito venne pregato il prefetto della provincia, perché cooperassi a far cessare quello stato violento; ma avutane conoscenza il maggiore aumentò gli arresti, le minacce, le persecuzioni, le torture de' malcapitati, come se fossimo a' tempi di Attila. - Grande è il terrore nel paese, il piagnisteo di tanti infelici che non possono guadagnarsi il pane della giornata; l'atroce spasimo de' carcerali sotterra, che esce come rombo apportatore della bufera e le grida di tante derelitte famiglie, quali prive del padre, quali del fratello e delle sorelle, le strida di tanti bimbi, che dimenandosi con le manine cercano brancolando la madre, che le allatti... ma, perché tanto strazio!... "(Movimento di Genova

21 settembre 1863).

Ma gli spiriti faziosi abborrono la storia veridica de' loro torti, e per impedire che si faccia la luce su i tenebrosi intrighi di partito, costringono al silenzio i campioni della giustizia, i quali non sono mai rassegnati a mentire. Eppure fra il coraggio, che soccombe, e la dignità che si perde, si fa talvolta udire una parola ferma, austera, insistente ad intonare il vero in tutta la sua grandezza! Tal é la solenne interpellanza del deputato siciliano D'Ondes Reggio (tornata della Camera di Torino 5 dicembre 1863, atti officiali, n. 285 pag. 1089), che narrando le atrocità governative commesse in nome del regno d'Italia su le sventurate popolazioni della Sicilia, dice tra le altre cose: - " Devo esporre a voi fatti miserandi e rei, su i quali il ministero non accetta la inchiesta! Eppure qui non si tratta di partiti politici, ma de' diritti della giustizia e della umanità orrendamente violati! I siciliani non hanno avuto mai leva militare, e ripugnano ad essere arruolati... Il governo ha fatto per la Sicilia una legge eccezionale, che è eseguita con ferocia. (Da lettura di un documento officiale, dal quale risulta, essersi dato ordine nella sera de' 15 agosto 1863 dal maggiore Frigerió, comandante piemontese nei comune di Licata, di doversi presentare tra poche ore i renitenti di leva,

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ed in pena si priva di acqua quella città di 22 mila abitanti, si vieta a' cittadini di uscire di casa sotto pena di subitanea fucilazione e di altre più severe misure, )

- In Licata dunque vennero chiusi in carcere, le madri, le sorelle, i parenti de' contumaci della leva, sottoposti a tortura, fino a spruzzarne il sangue dalle carni; uccisi i giovanetti a colpi di frusta e di baionette; fatta morire una donna gravida! - Il proclama e la condotta del militare di Licata furono imitati a Trapani, Girgenti, Sciacca, Fa vara, Bagheri a, Calatafimi, Marsala, ove fu distrutto anche il ricolto del vino, ed in altri comuni.

(Da lettura dell'ordine di altro comandante piemontese, che dispone lo arresto di tutti coloro, dal cui volto si sospetti di essere coscritti di leva,

ed anche lo arresto de' genitori e de' maestri di arte de' contumaci). Questo avveniva a Palermo: i cittadini ricorsero al prefetto, che rispose nulla sapere e

nulla potere! In una città di 230 mila anime, il capo del governo nulla sa; nulla può!?..

. Questa lunga iliade finiva con due catastrofi: la prima fu quella di Petralia; una capanna fu circondata dalla truppa, non per trovare un coscritto, ma per chiedere informazione: gli abitanti erano 3, padre, figlia e figlio, e questi tre furono bruciati vivi per non aver voluto aprire! L'altra catastrofe fu il povero sordo muto Cappello di Palermo rinchiuso nell'ospedale, e stimmatizzato con 154 ferite fatte da ferro rovente; la madre poté finalmente vedere il figlio, inzuppare un fazzoletto nel sangue di lui, dargli un pane, perché lo avevano affamato Io non ho fiducia negli agenti del governo; sono 3 anni, che si commettono atrocità innumerevoli e non fu mai punito un funzionario reo, né meno quello che fu convinto di aver fucilati 5 innocenti! né pure l'autore delle crudeltà di Calabria (Fumel) che furono denunciate in questa camera! Mi direte che le Giunte ed i Consigli municipali si dichiarano contenti del governo,. e fanno indirizzi di ringraziamento per le crudeltà commesse dagli agenti governativi?... anche il senato romano votò ringraziamenti a' Nerone che aveva uccisa la madre, e bruciato Roma!... "

Questi, ed altri fatti della stessa natura vengono confermati nella stessa tornata de' 5, ed in quelle de' seguenti giorni, da altri deputati siciliani tra' quali il Bruno dice (in quella de' 7 dicembre)" che da Torino si mandano in Sicilia funzionarii conosciuti pubblicamente come calunniatori. " - Ed il deputato Laporta, nello accennare a' 68 carabinieri uccisi in Sicilia negli ultimi due anni, pubblica, 1. una lettera del capitano de' carabinieri, che pretende dal Regio Procuratore la impunità del suo soldato Sansone I,

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il quale aveva ucciso l'innocente Giuseppe Fantazz

in Casteltermini, e vuole scusare l'omicida, sol perché costui intendeva ammazzare un altro uomo; - 2. altra lettera del generale piemontese Serpi, che, mentre fa assolvere dalle accuse di omicidi il detenuto Vito Bommarito, di Favarotta, impone poi con prepotenza militare alla figliuola di lui il forzoso matrimonio con un giovane della nemica famiglia Palazzolo; ed al fermo rifiuto della donzella, fa rinchiuderla nel ritiro di Maria della Magione. - Nella tornata del domani il deputato Mordini osserva " che gli atti del governo sardo nella Sicilia hanno la impronta della barbarie; e lo stato desolante dell'isola è tale, che i ministri non hanno osato di consigliare al re di visitarla. " - E il deputato Miceli soggiunge: - " i fatti atroci, le violenze, gli arbitri (di cui enuncia vari casi) sono l'abituale sistema dello attuale governo in Sicilia, ed anche nel continente: il governo avrebbe agito più francamente se avesse allo intutto abolito lo Statuto, come già proponeva a' ministri il prefetto di Avellino sig. de Luca! " - Nella tornata de' 9, continuando la discussione su' disordini della Sicilia, il deputato Cordova non può fare a meno di dire: " che due ragguardevoli siciliani venuti da Torino per informare i ministri su i bisogni del paese, furono accolti con molta freddezza; - freddezza, che non si trovava, si dica ad onor del vero, nell'amministrazione napoletana de' Barboni:

a tale accoglienza gl'isolani partirono mortificati dicendo: dunque è necessaria un altra rivoluzione! " - (Succedono in questa discussione scandali, minacce, e violenze tra i deputati, cosicché il presidente è costretto a coprirsi per due volte il capo, e sciogliere l'adunanza). - Nella sussecutiva tornata de' 10 il deputato Crispi enumerando le esorbitanze stesse, dice: - " l'unico vantaggio ottenuto dal governo di Torino nella Sicilia è quello di aver empite le carceri di disgraziati. " Il deputato Bixio, alludendo agli eccessi della ribellione siciliana del 1860, dice " aver veduti cadaveri arrostiti e mangiati, cuori strappali ec. " e confessa apertamente - " che la Sicilia sarebbe rimasta pacifica sotto i Borboni, se la rivoluzione non fosse stata ivi portata dalle altre province d'Italia, o sia dal Piemonte ".

La stampa indipendente deplora codeste clamorose discussioni, e le considera come una vera sventura nazionale, ed un grave pericolo per l'unità italica:

anzi il Diritto di Torino conchiude "aver ragione re Francesco II, se definisce i piemontesi come tiranni ed usurpatori del suo reame!" Vari deputali delle provincie meridionali rinunziano di far parte della Camera di Torino.

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8. Il governo subalpino nelle due Sicilie al cospetto dei parlamenti europei.

Nelle camere legislative di Francia, d'Inghilterra e di Spagna eminenti oratori hanno sostenuto in più occasioni il diritto autonomico delle due Sicilie, inspirati dall'antica sentenza, che " il forte, il quale difende il debole oppresso, è il giusto per eccellenza ".

E con maggior successo la tornata degli 8 maggio 1863 nel parlamento inglese offre il più solenne sviluppo su i fatti della Italia meridionale. - Corredati di officiali documenti primeggiano i discorsi de' deputati lord Enrico Lennox, Cavendish-Bentick, sir G. Bowyer, M. Cochrane, e M. Maguire. Le rivelazioni ivi espresse sono i corollari de' fatti finora sobriamente accennati in questa cronaca, tra cui brevi confini non è dato riportare estesamente le arringhe di que' valentuomini, e sopra tutto quella del primo, tanto più autorevole, in quanto che personalmente ha visitati i paesi, e garentisce i fatti che vi accadono. Nel discorso però dell'ultimo di essi si coordinano varie particolarità, per le quali meritano attenzione i seguenti periodi;

Dopo aver fatta allusione, con raro talento, alle deplorabili simpatie di alcuni membri del gabinetto brittannico per le innovazioni d'Italia, il sig. Maguire accenna allo scopo, cui egli mira d'accordo con gli onorevoli preopinanti: - " limitarsi, cioè, ad impegnare il governo inglese nel nome della comune umanità, perché s'interponga a prevenire la continuazione delle atrocità che si commettono nelle due Sicilie, quali il medesimo governo è in gran parte risponsabile, per avere col peso della sua influenza fatta traboccare la bilancia a pro del Piemonte, e a danno del giovane re Francesco II, lasciandolo tra le mani de' traditori... "

E continua l'eloquente oratore: - " Per me, io non credo alla italica unità, e la ritengo per una smodata corbelleria. L'Italia una è come un castello di carta, al primo urto che riceve sicuramente andrà in pezzi... Voi potete piuttosto sperare di unire le varie nazioni del continente europeo in sola nazione, anziché unire l'Italia del sud a quella del nord; e rendere i napoletani contenti di vivere sotto il giogo di un popolo, che disprezzano come barbaro, ed odiano come oppressore. - Non vi può essere storia più iniqua di quella dell'occupazione de' piemontesi nella Italia meridionale! Vittorio Emmanuele era l'alleato intimo del Papa, e del re di Napoli, gli ambasciatori dell'uno, e degli altri erano nelle rispettive corti; amichevoli relazioni si conservavano, senza esservi la minima cagione di querela.

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- Vittorio Emmanuele pretese, che l'unico suo scopo era di prevenire ogni possibile rivolta, e sotto questo specioso pretesto invase i domini del re di Napoli, e se ne impossessò con la forza delle armi, dopo averne minato il trono con una sistematica rete d'infernali perfidie... Intanto qual è il risultato? In luogo di pace, di prosperità, di contento generale, che si erano promessi e proclamati come conseguenza certa della unità italiana, non si ha altro di effettivo, se non la stampa imbavagliata, le prigioni ripiene, le nazionalità schiacciate, ed una sognata unione, che in realtà è uno scherno, una burla, una impostura".

Accennando poi all'orrendo stato delle prigioni nel napoletano, egli dice: - "se si volle nel 1851 prestar fede all'onorevole Gladstone, divenuto poi cancelliere dello scacchiere, perché oggi non crederemmo noi, e il paese con noi, al nobile lord Lennox, che nella descrizione dello stato presente delle stesse prigioni ha fatto fremere di orrore tutti i cuori in questa assemblea? "

Alle obbiezioni fatteglisi da altro oratore, potersi, cioè, considerare i denunziati abusi carcerari come irregolarità scusabili per la condizione eccezionale della Italia, al cui governo fa un merito di aver mostrate le prigioni agli esteri visitatori, il signor Maguire risponde: - " la più importante quistione, e che implica un gran principio, quello della inviolabilità della libertà umana, si agita in questo fatto; cioè, che migliaia d'individui sono carcerati senza giudizio, sol perché SOSPETTI al governo, ovvero inscii in tutto del motivo di loro incarcerazione (1). - Domando poi, qual è lo stato eccezionale d'Italia, che autorizza tanti eccessi? quando avran fine le violenze contro la stampa, lo spionaggio, che penetra dappertutto, le visite domiciliari, gli arresti arbitrari! - Io credo, che codesta eccezionale condizione di cose durerà fino a che non si dia termine una volta per sempre a codesta miserabile e sanguinaria impostura di unità italiana! Da parte mia, io son convinto, che abbia a finire con la vergogna e col disinganno ciò che è cominciato con la iniquità Si vuoi dire, che le bande armate contro il governo sardo sieno meschini gruppi di briganti: ma se fosse così, perché quel possente governo non li ha distrutti?

(1) La stampa indipendente, e la pubblica opinione si è già pronunziata su la vantata amnistia reale de' 17 novembre 1853 circoscritta da restrizioni per favorire l'arbitrio degli attuali regali delle provincie meridionali. Delle tante migliaia di carcerati, appena un 31 han potuto esser liberati dalle prigioni, mentre altre centinaia tuttodì vi entrano per mantenere l'equilibrio delle carcerazioni

, che unite alle 130 mila baionette delle truppe piemontesi di occupazione, formano la suprema legge di salute pubblica sotto l'attuale regime. Che dire poi dell'arbitraria pena de' domicili coatti, o sia deportazione!

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se fossero semplici ladri (come ce li vogliono dipingere), essi non godrebbero le simpatie popolari, senza le quali non potrebbero resistere ad un armata di 90 mila soldati! Il certo si è, che codesti ladri, o briganti, quali che sieno, hanno disfatte più volte le truppe regolari, hanno spossate le forze del Piemonte, smaccati i loro generali, rovesciati i ministeri, ed anche alterata, se non cambiata, la politica di una delle prime Potenze di Europa. - Ma noi medesimi, noi non siamo stati sempre cotanto schifiltosi a trattare con i briganti: i nostri più grandi generali (non è gran tempo) han tenuto consiglio sotto le loro tende con i capi-briganti; né Wellington ha ricusata la loro cooperazione nella penisola...

In quanto alla buona volontà

con che il governo piemontese avrebbe mostrate le prigioni del napoletano agli esteri, deve aversi in conto di favola: il ministro dello interno aveva all'uopo telegrafato da Torino alle autorità di Napoli: " non permettete a chicchessia di visitare, sotto verun pretesto, le vostre prigioni

" -

Se il nobile lord Lennox non si fosse fortunatamente già munito di permesso del generale Lamarmora, né pur l'ombra di una porta di quelle prigioni gli sarebbe stata aperta; e niuno avrebbe potuto mai udire dal suo eloquente labbro il racconto delle miserie e de' patimenti, che ci han fatto così inorridire, e che commuoveranno ogni anima generosa nel nostro paese. - Ei fu perciò al caso di poter sollevare il velo, che copre tante atrocità commesse nel nome della libertà, sotto un re costituzionale, e che sarebbero odiose anche sotto il peggiore degl'immaginabili dispotismi. La narrazione fattane dal nobile lord non costernerà soltanto coloro, che han dato il loro sòstegno morale a codesta colossale giunterìa di un'Italia una, ma giovera pure a più di una sventurata creatura, le cui membra piagate gemono sotto il peso delle catene carcerarie. In quanto a me, ho serie apprensioni per la libertà d'Italia. Nella mia opinione questa deve ottenersi mercé interne riforme di governi separati ed indipendenti, anziché confondendo insieme 7, o 8 distinte nazionalità, tenute in diffidenza l'una contro l'altra dalla storia, dalle tradizioni, da' sentimenti, dalle abitudini, ed anche dalla lingua, collocando il tutto sotto il ferreo governo di un solo; ciò che si è voluto chiamare unità e libertà. Nell'attualità io fo voti sinceri per la restaurazione de' sovrani legittimi, e perché ogni Stato d'Italia ricuperi la perduta nazionalità. Io non posso far altro, che esprimere la mia credenza, che, fra qualche anno, voi vedrete restaurato l'attico ordine di cose, senza i vecchi abusi e difetti, a' quali rimedieranno da se stessi gli antichi governi...

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Passerà qualche anno appena, e voi vedrete abolito ciò che il Piemonte sta facendo dal 1860 ".

Nel senato francese, tra le osservazioni fatte su disordini del reame di Napoli, si accenna " alla differenza che fanno oggi i rivoluzionari fra polacchi, e napoletani, chiamando questi briganti

, mentre sono vittima delle più feroci persecuzioni; e quelli insorti. Ma, è pur troppo vero, che gli uni e gli altri difendono il loro paese, la loro nazionalità, e la loro religione al prezzo de' più grandi sacrifìzi: ed i napoletani ridomandano un re

, che non hanno cessato di circondare del loro amore. " (Discorso del generale GEMEAU, senatore, tornata 14 dicembre 1863).

E nel parlamento di Madrid, con incomparabile brevità si delinea un quadro storico delle attuali condizioni della penisola italiana sotto il regime subalpino; e fra le altre verità, vi si proclama solennemente questa: " L'Italia campo vastissimo di esecrabili delitti; l'Italia paese classico di imperiture memorie, dove oggi giacciono prostrati al suolo e conculcati tutti i diritti: l'Italia, dove sono troni legittimi fatti ludibrio, abbattuti e rovesciati dalla rivoluzione; l'Italia, dove per sostenere quanto gli usurpatori hanno denominato liberalismo si stanno sbarbicando dalla radice tutti i diritti, manomettendo quanto vi ha di santo e di sacro nella terra, gettando il guanto a tutti i governi, a tutte le legittime dinastie, a tutte le monarchiche tradizioni; L'Italia, l'Italia! dove oggi sono devastati i campi, incenerite le città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza!... " (tornata de' 7 dicembre 1863, arringa lodatissima del deputato NOCEDAL).

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