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LA
CIVILTÀ CATTOLICA
ANNO DUODECIMO

VOL. XI.
DELLA SERIE QUARTA

ROMA
ALL'UFFICIO DELLA CIVILTÀ' CATTOLICA
1861.
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SOPRA LA NOTA DEL BARONE RICASOLI 

DEL 24 AGOSTO 1861

§. I. Come questa Nota si risolva in due affermazioni false.

Posciachè, come ben disse Sallustio, imperium facile his artibus retinetur quibiis partum est; non è a meravigliare che il Governo sardo cerchi di tenere in piedi il novello, e ciò non ostante ormai decrepito e cadente, suo regno d'Italia, con quelle medesime frodi e con quegli stessi articoli di giornale che furono le sublimi arti colle quali l'ha edificalo. E che la recente nota del Barone Ricasoli agli agenti diplomatici del Regno d'Italia, altro non sia veramente che un tessuto di falsità manifeste, a modo giornalistico, al solo scopo d'ingannare nuovamente la quasi ormai rinsavita pubblica opinione; ciò dovrebbe ritenersi per certo, per così dire, a priori: giacché è noto che il Ricasoli è il degno successore del Conte di Cavour, se non nelle doti di uomo di stato, almeno in quella sua arte volgare,

 da lui espressa schiettamente quando pronunziò in pien parlamento, che le note diplomatiche ora non sono altro che articoli di giornale, destinati ad esser letti, non dai diplomatici che se ne ridono, ma dal volgo che li ammira. Se non che le cose sono ora sì chiare che neanche il volgo potrà ammirare la recente Nota, o vogliam dire articolo, del Barone Ministro. Il quale, siccome finora non diè altri passi che in fallo, sia nei suoi discorsi in parlamento, dove parlò sì savio che gli convenne ritrattarsi


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in una nota ufficiale; sia nel suo combattere il Garibaldi, al quale poi dovette fare scuse e mandar deputazioni; sia. nel suo ricorrere poi al medesimo Garibaldi, al cui partito, troppo presto e troppo caldamente scatenato, egli è ora costretto di porre, almeno per qualche semestre, le remore di sua poca prudenza; così ora si accorgerà, che questa sua recente Nota, come tutte le narrazioni non poggiate sul vero, non appena le sarà posta di riscontro, con brevi parole, la verità schietta dei fatti, non otterrà altro scopo che di peggiorare la già più che mezzo disperala causa del suo partito.

La Nota, benché oltremodo lunga, si può però tutta ricapitolare in due affermazioni. La prima si è che: il brigantaggio napoletano (come dice il partito; ovvero, come dicono gli altri, la maggioranza (Il popolo delle Due Sicilie armata contro l'oppressione sarda) quanto sarebbe falso il prenderlo come una protesta armala del paese contro il nuovo ordine di cose: altrettanto sarebbe inesatto di dargli, sulla, fede delle relazioni dei giornali, l'importanza e t estensione che gli si attribuisce. La seconda affermazione si è che: è manifesta la connivenza e la complicità della Curia romana col brigantaggio napoletano; il quale da Roma tragge munizioni ed armi 1.

Or come prova egli queste affermazioni il Barone Ricasoli? Con una serie di falsità evidenti, prive perfino di quella vernice di verità che ogni avvocatuzzo volgare tenta di dare alle male cause che egli prende a sostenere.


§. II. Si confuta la prima affermazione del Ricasoli; che è, non essere le reazioni napoletane movimento politico o cosa importante.


La prima affermazione è provata in primo luogo coi casi simili; asserendo in sentenza che «siccome in lspagna. in Inghilterra,


1 Questa ricapitolazione della nota è conforme a quella che ne fa l'Opinione del 1 Settembre. «La nota del Barone Ricasoli, dice questo foglio semiufficiale, si può dividere in due parti: definisce nella prima l'indole ed il carattere del brigantaggio che travaglia alcune province napoletane: poi deduce nella seconda la necessità di metter fine al potere temporale del Papa».


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in Francia, le ribellioni dei Cariasti, degli Stuardi, dei Realisti, non fecero dubitare dell'avvenire politico di quei paesi, così ora non si dee dubitare del trionfo sardo nel regno di Napoli». Dove il sofisma è manifesto. Giacché, (volendo per ora prescindere dall'esaminare le grandi differenze che passano tra gli esempi allegali e le reazioni napoletane) se ora, dopo il fatto, non si dubita dell'avvenire politico di quei paesi, ciò non prova che non se ne dubitasse prima del trionfo liberale. E siccome il trionfo di chi vinse in lspagna, in Francia, in Inghilterra, non si vide che dopo il fatto; così sarebbe bene che il Ricasoli non cominciasse a trionfare fin d'ora, vendendo, come suol dirsi, la pelle dell'orso non ancora collo dai cacciatori. Giacché, se egli ha pel trionfo dei liberali alcuni casi che paiono fare per lui: non mancano nella storia altri casi che fanno contro di lui. E un caso illustre lo porge la medesima Spagna da lui chiamala in aiuto. Sapendosi da tutti che, quando essa era invasa tempo fa dai forastieri, come ora il regno di Napoli dai Sardi, e combatteva popolarmente contro gli invasori, questi diceano all'Europa le medesime ciance che ora le narra il Ricasoli. Se non che il trionfo fu pel diritto e non per l'invasione; e i Principi Spagnuoli tornarono sul trono e ancora vi sono, grazie a quel brigantaggio che gli invasori deploravano allora come ora il deplora il Ricasoli: ma che tutta Europa ammirava, ammira e ammirerà sempre come l'esempio più nobile di un popolo fedele e cattolico che combatte per la sua Religione, per la sua patria, pel suo Re.

Il secondo argomento si è ( chi lo crederebbe? ) la mancanza di un programma politico. Invano (dice il Ricasoli) domandereste a quei briganti un programma politico. Ma e la bandiera borbonica che i Sardi vedono spuntare sopra ognivetta, non è ella un programma politico abbastanza visibile? E le grida di Viva Francesco II che i Sardi odono risuonar sì spesso, non sono elle un programma politico abbastanza udibile? E le fratture sì frequenti dei busti di gesso del Re Sardo e del Garibaldi, che si fanno dovunque apparisce un brigante, e l'alzamento al loro luogo dei ritraili di Francesco II, non sono elle un programma politico abbastanza evidente?


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 E lo sterminio che in ogni paese, dove sorge la reazione, si fa di tutto ciò che è liberale, piemontese o garibaldino, non è egli un programma politico abbastanza palpabile? Ma forse il Ricasoli crede che non vi sia programma politico, se non che dove vi hanno note diplomatiche e discorsi al Parlamento. Solito errore de' liberali, di credere che il mondo sia nato con loro, e che dove eglino non si trovano non vi sia che il caos ed il nulla.

Il terzo argomento si è che dei generali ed uffiziali superiori rimasti fedeli al Borbone, neppure uno ha osato assumere il comando de' briganti napolitani e la responsabilità de loro atti. Il che non prova altro se non che la spontaneità veramente prodigiosa delle popolazioni che sanno fare da sé; cosa che non seppe finora fare il Piemonte: e il savio procedere del Re Francesco II, il quale, coll’inviare alcuno di quelli che ha al fianco, non vuol dare pretesti a chi accusa Roma di cospirazione. Ma i liberali sono così fatti che da tutto pigliano pretesto di malignare. Se i Generali si muovono, si grida contro Roma e contro il Re. Se i popoli si muovono senza i Generali, se ne inferisce che non v'è color politico. Come se non vi fossero altro che gli illustri e i cospicui personaggi, i quali siano capaci di colore politico. E come se un popolo pressoché intero che si arma al grido di Viva il Re, e sotto la bandiera borbonica, non fosse abbastanza vestito di colore politico. Del resto, se il Ricasoli non teme dei Generali ed uffiziali superiori, perché ne fece, per soli sospetti, arrestare in Napoli oltre a trenta, i quali furono condoni a Genova sopra un vapore e colà impediti dal ritornare nel Regno?

Il quarto argomento si è che cinque sole delle quindici province, onde componevasi il Regno di Napoli, sono infestate dai briganti: e queste sono appunto le confinanti colle frontiere Romane dove si rinforzano di armi, di uomini e di danaro. Qui ci sono tre affermazioni e tutte false. La prima si è, che la reazione sta in sole cinque province; laddove invece appare da tutti i giornali, anche sardi e ministeriali, che essa si trova nelle tre Calabrie, dove tutti ricordano i fatti di Cotrone, della Sila, del Pizzo, di Spinello, di Siderno e di Gerace: nella Basilicata dove tutti ricordano Melfi, Rionero e Barile città distrutta dai Sardi: nelle Puglie dove tutti ricordano il Monte Gargano, Viesti, Rodi, Barletta, Ostuni e Foggia:


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nella provincia di Salerno dove tutti ricordano Auletta distrutta: nella provincia di Avellino dove tutti ricordano le fazioni di Benevento, Ariano, Altavilla, Serino, Montemileto e la distruzione di Montefalcione: nella provincia di Napoli dove tutti ricordano Somma, Nazaret, Pozzuoli e i colli napoletani pieni di reazionarii: la provincia di Molise centro principale delle reazioni, secondo i Sardi medesimi: Terra di lavoro dove tutti ricordano Sora e il Chiavone, Maddaloni, S. Germano e va dicendo; e infine i Ire Abruzzi. Sono dunque, non cinque, ma tutte le quindici province del Regno dove forve più o meno la reazione. La seconda falsità si è che queste province siano confinanti collo Stato Pontificio. Giacché, di queste quindici, non toccarono mai la frontiera pontificia che sole tre; e ora non la toccano che per qualche angolo, uno solo dei tre Abruzzi, e, per qualche linea, la Terra di lavoro. Del resto non è a stupire che, essendo il regno d'Italia passato in qualche mese dall'infanzia alla decrepitezza, i suoi ministri non abbiano ancora avuto agio di impararne bene la geografia. Ed è piuttosto a maravigliare che il Ricasoli non abbia, per far più presto, argomentato invece dalla vicinanza del Regno delle Due Sicilie allo Stato Pontificio. Giacché così avrebbe spiegata la cosa in due parole, e dimostrato che, essendo questi due regni confinanti, era naturale che l'uno alimentasse le reazioni dell'altro. E procedendo così, poteva anche dimostrare che Roma fomenta le reazioni dei Drusi in Siria. Giacché chi non sa che l'Europa confina coll’Asia? La terza falsità consiste nell'attribuire a Roma la causa delle reazioni: ma questa sarà confutata più oltre.

Il quinto argomento si è che il Governo borbonico aveva per principio la corruzione di tutto e di tutti cosi universalmente e così insistentemente esercitala, che riesce maraviglioso come quelle nobili popolazioni abbiano un giorno trovato in se stesse la forza di liberarsene. Per tal modo si è formato il brigantaggio. Dove in primo luogo è da stupire che quelle nobili popolazioni, che ieri trovarono in se stesse la forza di liberarsi dalla corruzione borbonica; oggi trovino pure in se stesse la forza di liberarsi da' piemontesi loro moralizzatori.

Né è meno da maravigliare come mai sia avvenuto questo caso, che la corruzione borbonica di tutto e di tutti abbia educato


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popolazioni riconosciute per così nobili dal Ricasoli, che di nobiltà si dee intendere. Inoltre è da stupire ancora come dalla corruzione borbonica le popolazioni si siano liberale ieri da sé; e nondimeno, per impedirle dal ritornare a quella medesima corruzione, non bastino oggi oltre a settanta battaglioni piemontesi, le arsioni delle intere città, le fucilazioni di cinquanta e cento alla volta e tutti gli altri mezzi moralizzatori e civilizzatori del Piemonte moderno. Altra cosa che eccita ancora gli stupori si è che, sotto la corruzione borbonica, lutl’ il Regno di Napoli fosse quieto  tranquillo; laddove sotto la moralità sarda è tanto sottosopra, che il Ricasoli dee, per coprire la piaga, ricorrere a simili rimedii. Insomma quesl' è un argomento veramente stupendi) e al tulio degno d'un gran Barone e di un gran diplomatico.

II sesto argomento si è che: Fesercilo napoletano (salvo eccezioni) si componeva di educati dai gesuiti e da cappellani nella più abbietta e servile idolatria del Re e nella più cieca superstizione. Erano centomila; eppure non combatterono e cedettero sempre innanzi a un pugno di eroi. Si sbandarono e si fecero briganti. Si disonorarono non difendendo la bandiera borbonica: ora la disonorano facendone un segnale agli assassina ed alle rapine. Per lai modo si è formato il brigantaggio napoletano.

Dunque, secondo il Ricasoli, [esercito napoletano era maleducato, salvo eccezioni. Or bene: quali sono quelle nobili eccezioni che erano ben educate? Sono il Nunziante, il Pianelli, il De Benedictis e alcuni altri simili. E che fecero questi?Tradirono, disertarono, passarono al Piemonte: al cui vecchio esercito vennero i rossori in viso vedendosi in tale compagnia. Chi premiò questi codardi, questi vili, questi disertori, questi traditori? Chi li decorò della croce de' SS. Maurizio e Lazzaro? 11 Cavour non avea osato tanto. Chi Tosò? Il Barone Ricasoli! Ben vede ognuno qual giusto estimatore possa essere costui del valore e dell'onore militare!

L'esercito napoletano, segue il prode Barone, era educato nella più abbietta e servile idolatria al Re ed alla più cieca superstizione. Perciò appunto l'esercito napoletano non seguì alcuni suoi Generali traditori e disertori.


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Perciò si batté coraggiosamente sempre, ogni qualvolta non fu tradito dai suoi capi, comperati dal Piemonte e dal Garibaldi con moneta falsa: essendo giusto che il traditore sia tradito. Perciò si raunò a Capua sotto il comando del suo Re; e colà pose in sì grave impaccio quel pugno, di eroi, che guai se i Sardi non giungevano a tempo! Perciò quell'esercito amò meglio di chiudersi in Gaeta col Re, che non di partecipare all'obbrobrio delle nobili eccezioni. Perciò si batte ora sbandato in tutto il Regno: e si batte col popolo e pel popolo, pel suo Re e per la sua Religione. Perciò quella parte dell'esercito napoletano, che si trova prigioniera nei forti del Piemonte e nel campo di S. Maurizio, non dà veruna speranza ai suoi presenti padroni di potersene mai servire in imprese contrarie al diritto del suo legittimo Re. Ben vede il Ricasoli che la mala educazione, e t abbietta e servile idolatria al Re, e la cieca superstizione possono talvolta servire a qualche cosa. Ed ò veramente curioso che un primo Ministro di un Re, che un Barone, che un Ricasoli, osi in faccia a tutta l'Europa rimproverare un esercito per la sua fedeltà, e lodare del loro tradimento le traditrici eccezioni.

Erano centomila, dice il Ricasoli, e non combatterono. Non erano centomila, diciamo noi, e combatterono. Cedettero dinanzi a un pugno di eroi. Non cedettero; che anzi l'avrebbero, senza i Sardi, sperperato. Si disonorarono non difendendo la bandiera. Difesero la bandiera e si onorarono dinanzi a tutta Europa. Quelli che si disonorarono furono i Generali traditori, che voi, signor Ricasoli, avete decorati colla Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro. Si disonorano facendo di quella bandiera un segnale agli assassina. Non si disonorano, ricusando di servire, e combattendo anzi, il meglio che possono, un Governo che compra i traditori, premia il tradimento e biasima e punisce la fedeltà militare. Del resto ognuno può vedere la flagrante contraddizione in cui cade qui il Ricasoli: il quale accusa l'esercito napoletano di essersi disonorato non difendendo la bandiera: e insieme loda le eccezioni che non solo non difesero ma tradirono anzi la bandiera borbonica.

Il settimo argomento si è che «formano il brigantaggio i facinorosi e fuggiti dalle galere DI TUTTO IL MONDO (e perciò anche dalle piemontesi)


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gli apostoli e i soldati della reazione europea convenuti tutti allo stesso punto, perché sentono che ora si giuoca l'ultima posta e si combatte l'ultima battaglia.» Il qual avviso ufficiale, inviato dal Barone Ricasoli a tutti i guardiani delle galere e delle carceri europee, che cioè sono fuggiti i facinorosi dalle galere DI TUTTO IL MONDO, li avrà certamente fatti strabiliare. E forse a quest'ora essi hanno già contalo più volle i loro prigioni con nuova attenzione; e trovatili nondimeno, com'è da credere, nel numero ordinario, avranno chiesto se il nuovo  Ministro del nuovo regno non si sia per avventura voluto prender beffa di loro. E così forse avranno detto anche i varii governi, avvisati qui dal Ricasoli della fuga dai loro paesi di tutti i soldati della reazione europea. Del resto poco fa il Ricasoli diceva che l'esercito napoletano formava il brigantaggio: il che prova abbastanza che, secondo lui medesimo, anche napoletani entrano per qualche cosa nel combattere il Piemonte. Che poi si giuochi nel Regno di Napoli l'ultima posta, e si combatta l'ultima battaglia, questo è molto probabile. Solamente il Ricasoli erra nel credere che questo giocatore disperato sia altri che il moderno Piemonte, o meglio, la setta che se n'è impadronita e se ne serve come Sansone si servì di quell'arnese.

L'ottavo argomento si è che, non ostante le condizioni eccezionali di Napoli, vi sono rimaste in vigore le franchigie costituzionali; e che quindi il rispetto alla libertà della stampa, ali inviolabilità del domicilio, alla libertà individuale, al diritto di associazione, impedisce che si proceda a repressioni sommarie e subitanee. Ed ecco in fine un argomento convincente. Giacché, insomma, si sa che non si può pretendere dal Piemonte che vinca così subito le reazioni nel Regno di Napoli, quando questo è nel sì pieno e sì pacifico possesso di tutte le guarentigie costituzionali. Come? Pretendereste voi che non vi fossero reazioni in un regno dove vi è tal rispetto alla libertà della stampa che in un giorno solo furono violentemente soppressi tutt'i giornali conservatori? Pretendereste voi che obbedisse tranquillamente un paese, dove ci è tal rispetto all'inviolabilità del domicilio, che ormai non vi è domicilio che non sia stato violalo, saccheggiato, incendialo? Pretendereste voi che non si facesse un po' di baldoria innocente in un regno,


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dove vi ha tal rispetto alla libertà individuale che, non essendovi più luogo nelle carceri, si posero un bel giorno tutt'i carcerati sopra i vapori, e si portarono nelle isole, per far posto ai buoni cittadini che non si sapeva dove albergare? In un paese dove, in mancanza di altre carceri, si pongono gli arrestati perfino nelle sepolture? In un paese dove non trovandosi luogo sufficiente ai carcerati, né nelle isole, né nelle carceri, né nelle sepolture, è venuta alla moda la fucilazione sommaria di cinquanta e di cento alla volta senza processo e senza sentenza? E il diritto di associazione? Avete voi pensato alla difficoltà in cui è il Piemonte di vincere le reazioni, posto il suo rispetto a questo diritto di associazione nel Regno di Napoli? Questo suo rispetto è sì profondo, che ormai tutto il regno si può dire diviso in due sole associazioni, che si guardano però alquanto in cagnesco; l'una delle quali è l'associazione dei briganti, e l'altra l'associazione dei piemontesi. Ciò posto è evidente che, salva qualche rara eccezione di molti paesi bruciati, di infinite persone carcerate, esiliale, fucilate; di quasi tutte le province in cui vi è di fallo lo stato di assedio, di settanta battaglioni piemontesi che corrono il regno ardendo, saccheggiando, fucilando e carcerando, salva qualche altra simile minuzia, sono in pieno vigore nel regno di Napoli le franchigie costituzionali, e non visi procede, per l'ordinario, a repressioni sommarie e subitanee 1.

Il nono argomento poi è invincibile. In più di un anno, fra tante incertezze, fra tante ansie, fra tanti mutamenti,


1 Quanto l'Europa sia persuasa delle asserzioni Ricasoliane sopra le franchigie costituzionali ora vigenti nel regno di Napoli, si ricava dal seguente brano del Courrier du dimanche: «Un fatto dolorosissimo, dice questo giornale, determinò in modo più deciso le corti di Austria e Russia aduna protesta alla Francia. Pontelandolfo, villaggio di seimila abitami, e Casalduni, altro villaggio di quattromila abitanti, sono stati il 13 Agosto distrutti affatto dai Piemontesi. Il Colonnello Negri, dopo gli ordini del General Cialdini, mise il fuoco a' quattro lati di questi due borghi; e i fogli ufficiali di Napoli annunziarono il fatto. Noi non taceremo che in Francia il solo pensiero di villaggi distrutti nel secolo decimonono produce le più dolorose impressioni e suggerisce riflessioni gravemente disgustose».


Serie IV, vol. XI. 44 6 Settembre 1861

 


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nel pieno esercizio di una libertà nuova e larghissima, Napoli, questa immensa città di 500 mila abitanti, non ha sollevalo mai un grido di disunione, non ha lascialo estendersi né compiersi neppur una delle cento cospirazioni borboniche che vi sono a brevi intervalli nate e morte. Cento sole cospirazioni nate in un anno nella buona città di Napoli, questo al Baroli Ricasoli pare un argomento della gran quiete di quella fedelissima città! Che vuole di più l'Europa? Ecco Napoli tranquilla. Se non che, poco prima il Ricasoli avea detto che il vero brigantaggio esiste nelle province che sono intorno a Napoli; ed ancorché non l'avesse detto, tanto si sarebbe saputo lo stesso. Giacché si sa inoltre che, non solo nelle province attorno a Napoli, ma persino nei sobborghi stessi di Napoli, esiste il vero brigantaggio. Come va dunque questo, signor Barone? Tutto arde attorno a Napoli, e Napoli sola è tranquilla! Come si spiega questo fenomeno? Il Ricasoli lo spiega colla saviezza di quel buon popolo napoletano. Ma l'Europa, che sa molte cose più che non il Ricasoli, sa ancora che quella pretesa tranquillità è quella che procede dalla desolazione della solitudine e della morte. Ubi solitudinem faciunt pacem appellant, I piemontesi carcerarono nella città di Napoli più di quindici mila persone: condussero per forza a Genova, in una sola volta, più di trenta uffiziali superiori dell'esercito napoletano; esiliarono o costrinsero colle vessazioni poliziesche ad esulare presso che l'intera aristocrazia: il popolo è dato in balia ai fuorosciti di mezza Europa che, sotto il nome di garibaldini, armati di pugnali e di stili, convennero colà, sotto la protezione dei Don Liborio e dei Cialdini, come gli sparvieri alla preda. L'Europa sa ancora che nella fedelissima città di Napoli vi sono certi cannoni sui forti, certi cannoni sulla piazza Reale, certi cannoni che infilano Toledo, certi cannoni in tutti i sili, certi battaglioni sempre armati, certe pattuglie sempre in giro, certi stili sempre affilali, certa sbirraglia sempre in moto, certi argomenti in somma di unità italiana e di concordia fraterna, che, se li avesse usati il Re Francesco II, mai non sarebbero entrati in Napoli né Garibaldi nè Vittorio Emmanuele. Se non che Francesco II, da vero padre del suo popolo, per non esporsi a danneggiar la città, la cedette volentieri, e ne uscì. Provi il Ricasoli a far altrettanto.


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Ordini al paterno Cialdini di disarmare i forti, abbandonare i cannoni, partire coll'esercito per Capua, e poi ci saprà dire qual razza di plebiscito e di suffragio universale si farà in Napoli a favore dei Piemontesi. Finché non si fa questa prova, la saviezza della fedelissima città di Napoli e il suo sviscerato amore ai Piemontesi, saranno per l'Europa cose molto problematiche.

Dicasi lo stesso delle altre città principali, e di tutti i luoghi dove i Sardi sono in qualche numero e forza. Chi volete che si muova, senza cannoni e senza cavalli, dinanzi ad un esercito regolare? E qual razza d'amore ai piemontesi è questo de' napoletani, che non si conserva e non si alimenta se non che coi cannoni e cogli eserciti? Giacché in somma a tale è ridotto il regno di Napoli: che dovunque non vi sono truppe in numero sufficiente, per tutto si acclama e si vuole Francesco II. Dove poi si trovano gli argomenti della forza, colà si tace e si aspetta. Questo sa l'Europa, questo sa specialmente l'Italia, e questo nega inutilmente la Nola del Barone Ricasoli.


§. III. Si dimostra la falsità della seconda affermazione del Ricasoli; la quale si è che le reazioni napoletane sono alimentate da Roma.


La seconda affermazione della nota del Ricasoli si è che: è manifesta la connivenza e la complicità della Curia Romana col brigantaggio napoletano, il quale da Roma tragge munizioni ed armi.

E benché le cose manifeste non abbiano, secondo che insegnano i filosofi, bisogno di dimostrazione; pure il Ricasoli che, per amore di brevità, ama di provare anche le cose chiare, reca, a conforto di questa sua seconda affermazione, parecchi argomenti, i quali noi riferiremo qui fedelmente e confuteremo evidentemente l'un dopo l'altro.

E in prima ci sia lecito il far osservare che, quand'anche la Curia ili Roma e il Re di Napoli proteggessero manifestamente la reazione napoletana e quella di qualsivoglia provincia dello stato Pontificio, noi non sappiamo come, secondo il diritto delle genti, potrebbero venirne giustamente rimproverati.


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Giacché chi non sa che il preteso regno italiano è in istato di manifesta guerra col regno di Napoli e collo stato Pontificio? Chi non sa che è lecito ad ognuno il respingere la forza colla forza, e l'ingiusta aggressione colla giusta difesa? Chi non sa che non vi è altro trattato, riconosciuto dal pubblico diritto, il quale regoli le relazioni tra gli stati italiani, fuorché quello di Villafranca e di Zurigo; secondo il quale trattato il Re di Sardegna non ha legittima giurisdizione se non che sopra le antiche sue province e la Lombardia? Sarà dunque stato lecito al Piemonte l'invadere, armata mano, le Romagne, le Marche, l'Umbria, il Regno di Napoli; e non sarà lecita la difesa a legittimi Sovrani di quelle Province e di quel Regno?

Né il Piemonte ha diritto a verun riguardo dopo quello che egli fece altrui. Un tirannello cinto di bravi che, per fuggire alle galere, si rifuggirono al suo castello, è una pallida immagine di chi, circondato di cospiratori di ogni lingua e di ogni nazione, lanciò le sue truppe alla depredazione dei paesi altrui. Senza cagioni, senza nemmeno pretesti, senza dichiarazione di guerra, solo perché così piacque, si entrò violentemente nelle province tranquille; si rubò, si scannò, si carcerò, si confiscò; quanto si trovò fu dichiarato di buona presa. Partivano nel secolo decimosesto i venturieri pel nuovo mondo, e dove trovavano una terra, un'isola, un banco, là piantavano una bandiera. Ma quelli erano popoli barbari, e i venturieri intendevano conquistarli alla fede anzi che ai loro sovrani. Correano, non ha molto, il mare i Tunisini e gli Algerini, e guai a chi veniva loro alle mani; erano nelle mani di pirati e di Turchi. Ma quelli erano pirati e Turchi, e corseggiavano come in guerra dichiarata al nome cristiano. Ma ora, nel mondo vecchio, nelle terre che si dicono civili, nuovi pirati e nuovi venturieri dove posarono piantarono una bandiera, e credettero di aver così scoperto un titolo di dominio.

Codesti aperti violatori di ogni diritto delle genti, qual diritto hanno di mandare attorno note diplomatiche in accusa di altri? E qual colpa potrebbero essi trovare in chi, spogliato del suo dalle loro frodi e dalle loro violenze, eccitasse ne' proprii Stati la reazione contro la violenza e contro l'usurpazione?

Ma si assicuri il Ricasoli. Se il diritto per Roma è evidente, Roma ha altro modo di usarlo che il Piemonte.


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Giacché, se essa volesse fomentare le reazioni nelle sue Province, lo farebbe palesemente e schiettamente. Noi non sappiamo, né dobbiamo sapere, i motivi pei quali il Governo pontificio si astiene dall'usare questo suo evidente diritto. Quello che sappiamo di certo si è che il Ricasoli erra, ed erra turpemente, asserendo che, di fallo, Roma protegge le reazioni. Dove è in primo luogo da ammirare la divozione con cui il Ricasoli entra in materia. «Mi duole, dice egli, che la necessità di far compiuta questa esposizione mi costringa a ricordar persone, il cui nome, come cattolico e come italiano, non vorrei dovere mai pronunziare se non per cagione di riverenza e di ossequio. Ma non posso né debbo tacere che il brigantaggio napoletano è la speranza della reazione europea, e che la reazione europea ha posta la sua cittadella in Roma. Sopra il qual pianto del coccodrillo noi non faremo altra osservazione che il ricordare come sia mollo dubbio, in Italia e fuori, il cattolicismo del Barone Ricasoli. Egli si nomina qui cattolico ed italiano. Ma, checché sia della sua patria, è certo che della sua religione dubitano forte parecchi, i quali sostengono che egli sia miglior protestante che non cattolico: e l'argomentano da alcuni suoi antecedenti, e dal non aver mai smentito il narratosi sopra ciò da molli giornali. Quanto alla reazione europea, che ha posta la sua cittadella in Roma, il Ricasoli dovrebbe sapere che Roma da dodici anni è, a gran dispetto del Ricasoli, presidiata dai francesi; i quali vi hanno e vi usano ogni mezzo, perché la reazione europea, non solo non vi alzi, ma neanche vi possa alzare veruna cittadella. Ma veniamo all'esame delle prove che di questa cittadella reazionaria reca la noia.

 Re di Napoli spodestato abita in Roma al Quirinale e vi batte moneta falsa di cui si trovano forniti a dovizia i briganti napoletani. Falsità manifesta: giacché sopra quest'accusa, mossa appunto in Roma dai piemontesi di qui, si fece dai francesi medesimi processo lungo e minuto. I piemontesi diedero al capitano incaricato di condurre il processo (di cui è noto in Roma il nome onoralo) tutte le informazioni che vollero: sì che furono, dopo i loro falsi spionaggi, carcerati alcuni, interrogati parecchi. E la conclusione fu che quella era invenzione piemontese:


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e la sentenza, sopra ciò emanala (giova ripeterlo) da un tribunale francese, è nota in Roma e fuori di Roma. Del resto non sarà discaro al Ricasoli il sapere che appunto quel capitano francese che condusse il processo sopra la moneta falsa, parlando pochi giorni fa con un suo amico: Avete letto, gli disse, la nota del Ricasoli? No, rispose questi. Or bene, disse il capitano: sappiate che ella è un tessuto di menzogne. Io stesso dovetti fare il processo sopra la moneta falsa; e lo feci con ogni cura sopra le informazioni e gli spionaggi dei piemontesi, e dovetti convincermi che l'accusa era calunnia. Or come osa il Ricasoli invocare sopra ciò il testimonio dei francesi?. Crede egli che i francesi siano capaci di fare testimonianze false? Questa testimonianza rendono i francesi al Ricasoli che invoca il loro testimonio.,

L'obolo carpito ai credenti delle diverse parti di Europa in nome di S. Pietro serve ad assoldarli (i briganti) in tutte le parti di Europa; a Roma vengono ad iscriversi pubblicamente e prendere la parola d'ordine e le benedizioni, con cui quegli uomini ignoranti e superstiziosi corrono più alacremente al saccheggio ed alle stragi. Ma se da tutte le parti di Europa vengono a Roma, e da Roma vanno nel regno di Napoli i briganti; come si spiega poi che né il Cialdini, ne il Pinelli, né le guardie nazionali, né i battaglioni piemontesi, né le spie, né la mezza dozzina dei Luogotenenti, né veruno altro mai riuscì a cogliere un solo di questi forastieri? Come si spiega che i forastieri di tutta Europa si trovano invece, a notizia comune, nelle file dei piemontesi? Avete dunque dimenticato, signor Barone, la legione ungherese, la quale non si sa che sia stata assoldata da Roma e dal Re di Napoli? Avete dimenticati gli inglesi che combattevano col Garibaldi? Ma invece dove sono i forastieri di tutta Europa nelle file della reazione napoletana? In qual provincia? In qual terra? Chi ne colse mai uno o vivo o morto? I piemontesi arrestarono bensì parecchi francesi a Napoli; ma dovettero riconoscerli innocenti, far loro le scuse e rilasciarli. Or come osa dunque il Ricasoli consegnare ad una nota diplomatica ed ufficiale falsità sì lampanti?


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Quanto poi all'obolo carpito, è chiaro che dee cuocere al Ricasoli il vedere che, laddove egli stenta a trovare ad altissimi sconti il danaro necessario per impinguare lo vuote casse dell'erario sardo, il Sommo Pontefice trova invece nella spontanea pietà dei fedeli di che supplire ai ladronecci di cui fu vittima. Ma la sua calunniosa insinuazione, sfogo bilioso di rancore liberalesco, noi. lo possiamo assicurare che non tratterrà pur uno dei pii cattolici dal somministrare al comun padre quell'obolo di S. Pietro, che è non meno aiuto generoso ai bisogni del Governo Pontificio, che protesta dichiarata contro le empie spogliazioni consummate a suo danno.

Da Roma traggono (i briganti) munizioni ed armi quante ne abbisognano; nei confini romani col napoletano sono i depositi ed i luoghi di ritrovo e di rifugio per rannodarsi e tornare rinfrescati alla preda. Le perquisizioni e gli arresti fatti in questi giorni dalle forze francesi non ne lasciano più dubbio. Ma, prima di deporre ogni dubbio a questo riguardo, doveva il Ricasoli aspettare la relazione di ciò che produssero le perquisizioni e gli arresti fatti in questi giorni dalle forze francesi. Le perquisizioni (e non è qui il luogo opportuno da esaminare con qual diritto siano state fatte) furono fatte veramente. E tanta era la necessità in cui si trovava il buon Ricasoli che le perquisizioni dovessero assolutamente riuscire a carico della Curia di Roma, che, prima ancora di saperne l'esito, scrisse la sua Nota. Ma ora conviene che egli sappia, che le perquisizioni fatte dalle forze francesi, produssero nei francesi medesimi la persuasione che la Curia di Roma non entra per nulla nell'incoraggiare le reazioni napoletane. Le perquisizioni furono fatte nel Monastero di Casamari; si cercò perfino nelle sepolture, e non si trovò nulla. Furono fatte esatte ricerche a Subiaco, sia nell'Abbazia di S. Scolastica, sia nel Seminario e in altri conventi, c non si trovò nulla. Furono fatte nel Convento di Nemi e nulla. E ciò non basta. Entrarono un 60 sbandati nella provincia di Frosinone; subito il Delegato pontificio fece premura al Comandante francese perché li disarmasse. Vennero altri 40 a Palombara per entrare nel Regno di Napoli; tosto il Governo pontificio spedì truppa che li disarmò ed impedì il loro divisamento.


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Saputosi che nelle macchie presso Castelnuovo di Porto si erano ricoverati altri 200 per entrare nello stesso Regno di Napoli, tosto il Governo pontificio li arrestò. Questi (per tacere qui dei fatti simili ma più antichi di Arsoli e di Rauco) sono i falli accaduti in questi giorni; i quali sono noti a tutta Roma, e notissimi poi alle forze francesi: le quali debbono certamente maravigliare di vedersi citale dal Ricasoli a deporre il falso dinanzi all'Europa.

L'altitudine ostile, le parole dette anche in occasioni solenni da una parte del Clero, le armi, la polvere, i proclami scoperti in alcuni conventi, i preti ed i frati sorpresi tra le file dei briganti nell'atto di compiere le loro imprese, fanno chiaro ed aperto f onde vengano ed in qual nome gli eccitamenti. Lasciamo stare le polveri, le armi, i proclami che, quanti e come si siano scoperti nei conventi, fu veduto poc'anzi: ma e che cosa intende provare il Ricasoli coll'altitudine ostile e le parole solenni di una parte del Clero? Quali sono queste parole? Qual è questa parte del clero? Giacché insomma il Ricasoli qui non specifica nulla: e tanto possiamo credere che egli parli di fra Pantaleo, o di padre Gavazzi, come del Patriarca delle Indie, o del Vescovo di Quito. Che se egli intende parlare del S. Padre e dell'Episcopato e del clero a lui unito, perché non cita quelle parole? Perché lascia intendere in genere che esse fomentarono la reazione, senz'arrecarne in prova né un periodo, né una frase sola? Ma è probabile che il Ricasoli intenda parlare della condanna solenne e della scomunica maggiore fulminala dal S. Padre contro gl'invasori del suo territorio. Delle quali parole egli ha ben ragione di temere assai; specialmente dopo gli esempi storici delle reazioni che simili parole hanno prodotte e nei tempi passati e nei presenti. Ma queste sono reazioni alquanto diverse dalle napoletane: e contro esse non valgono né le perquisizioni, né le note diplomatiche.

Quanto poi ai preti e ai frati scoperti nelle file dei briganti, noi chiederemo una sola cosa. Erano essi (posto che veramente se ne siano scoperti) venuti da Roma o non erano anzi napoletani? E come osate maravigliarvi, Barone Ricasoli, che i preti e i frati possano procurare di trovarsi vicini a quegli armati, destinati da voi, quando giungete a coglierne alcuno, alla fucilazione sommaria, senza prete e senza Sacramenti?


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Badino però gli autori di tale scandalo che Dio non renda loro la pariglia, facendo che alla loro morte o non si trovi né prete né frate, o vi si trovi inutilmente.

Conchiude il Ricasoli la sua Nota dicendo che, noi abbiamo fiducia che di qui debba trarsi un nuovo ed efficace argomento per dimostrare ad evidenza che il potere temporale, non solamente è condannato dalla logica irresistibile del principio di unità nazionale, ma si è reso incompatibile colla civiltà e coli umanità. Ma noi abbiamo ben diversa fiducia. Confidiamo cioè che, vedendo l'Europa a quali volgari arti di falsità manifesta e di violenza brutale debba ricorrere il primo Ministro del nuovo regno, dall'una parte per tener in piedi la cadente macchina della finta unità italiana, e dall'altra per accusar Roma di quella decadenza, ricaverà da questa vista che niuno meno del Barone Ricasoli ha il diritto di parlare in note diplomatiche di civiltà e di umanità. Se pure non è civiltà l'asserire dinanzi all'Europa fatti notoriamente falsi; e umanità il radere al suolo gl'interi villaggi, il fucilare senza processo le vittime a migliaia, il servirsi insomma d'una metà dell'Italia per incatenare crudelmente l'altra metà ad un'unione abbominata. Ricaverà ancora l'Europa che il principio di unità nazionale italiana è condannalo dalla logica irresistibile di un fatto evidentissimo, qual è la reazione armata di una metà dell'Italia contro l'altra metà. Reazione terribile più ancora nelle sue conseguenze future che non nelle atrocità presenti:. giacché è moralmente impossibile che mai il Piemonte arrivi a regnar sicuro e amalo sopra province da lui sì crudelmente straziate. Che se nelle altre province usurpale dal Piemonte non si è venuto ancora a sì sensibili prove di amore fraterno e di unità nazionale; non mancano però gl'indizii dell'odio interno che i popoli cominciano a mostrare esternamente contro quel branco di cospiratori che, dopo sottrattili coll’inganno e colla violenza al paterno scettro dei loro Principi, li gettò vittima all'ingordigia del fisco, alla novità della coscrizione, all'empietà di una legislazione ostile alla Religione e ai suoi ministri. Ricaverà infine l'Europa che il poter temporale del Papa sopra Roma e sopra tulio il suo Stato, lungi dall'essere condannato dal principio dell'unità italiana, è anzi più che mai dimostrato necessario,


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e da tutti i vecchi argomenti già recati le mille volte e mai non confutati, e ancora dal principio evidentissimo delle autonomie delle singole province italiane;  le quali, dopo la breve prova di un anno, cominciano tutte a ribellarsi più o meno chiaramente contro l'insopportabile schiavitù piemontese; senza che ci sia veruna speranza che le note del Ricasoli pervengano mai ad oscurare verità si chiare od a falsare falli si palpabili ed evidenti.

Delle quali verità e dei quali fatti il Ricasoli stesso, nella sua Nota, confessa clic già cominciano a persuadersi lumini onorevolissimi, e schiettamente, per antico affetto e per profonde convinzioni, italiani; che vedendo protrarsi nelle province napoletane una lotta funesta, inclinano a credere che l'unione di esse all'Italia sia stata fatta inconsultamente, e che quindi si abbia a ritenere, fino a nuovo e più certo esperimento, come non avvenuta. I quali uomini onorevolissimi, al cui uso specialmente il Barone Ricasoli scrisse la sua Nota, avranno dovuto colla semplice sua lettura persuadersi sempre meglio della saviezza della loro opinione. E ne è chiaro indizio ciò che leggiamo nella Revue des deux Mondes del 1.° Settembre: dove, alla pagina 244, quel medesimo signor Forcade che, nel numero precedente aveva falle sì bene le parli ricasoliane, dopo letta la Nota del Ricasoli, dà al Barone ministro la seguente gentile mentila quanto alla sua seconda affermazione sopra la complicità della Curia Romana. Noi ci permetteremo di rettificare una delle asserzioni del Barone Ricasoli: certamente noi non siamo sospetti dì parzialità verso Roma: ciò non ostante non saremo ingiusti con lei: e diremo semplicemente che a torto essa è dal Ricasoli accusata di fomentare le spedizioni napoletane. E per quanto si attiene alla prima affermazione sopra la poca importanza della reazione napoletana, la Nota è pure smentita dal Deputato Ricciardi, che, dopo averla letta e meditata, scrisse ai giornali una lettera che noi leggiamo nel Nomade dei 4 Settembre: dove afferma che la reazione napoletana, lungi dal diminuire come assicurano i fogli officiali sardi, cresce anzi:a dismisura. Ecco dunque il bel frutto ricavato dal Ricasoli colla sua Nota! Persuadere i suoi medesimi partigiani dell'opposto di ciò che egli intese provare.








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