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Fonte:
https://www.ilbrigante.it/

DIECI ANNI DOPO

Gino Giammarino

24 maggio 2010
 
LA COPERTINA DEL NUOVO MAGAZINE

Dieci anni di vita. Incredibile. Sembrano pochi, e forse rispetto all’eternità lo sono, ma quando mi volto a guardare dietro sono meravigliato io stesso dalla strada che abbiamo fatto, dalla quantità di realtà positive del nostro Sud che siamo riusciti a mettere insieme, dall’entusiasmo trovato in chi, in questi lunghi anni di resistenza, prendeva sempre maggior coscienza della necessità di fare sistema. E dico questo non per il gusto dell’autocelebrazione, mai appartenutoci, ma solo per testimoniarvi la gioia di aver condiviso con altri il proprio cammino, itinerario che partiva del fin troppo diffuso complesso di essere meridionali e dalla rassegnazione per giungere alla liberazione e all’orgoglio. Dal bollino di delinquenti, caffoni, affricani…”briganti”, per l’appunto, alla legittima autodeterminazione di un popolo figlio non di una nebbiosa patacca verde inventata, quanto di un Regno autonomo ed organizzato, certamente con tutti i limiti comuni alle nazioni preunitarie, in forma embrionale di Stato moderno.

Chi crede nel Signore sa che nulla succede a caso. E la storia scritta da questa orgogliosa testata racconta di una nascita coetanea alle celebrazioni per il bicentenario della repubblica napoletana del 1799, aprendo un fronte nel conformismo storico imposto dai giacobini grazie al dialogo e ad una onestà intellettuale (e non solo) che tutti oggi ci riconoscono. Cambiammo pelle con il vergognoso rientro in Italia dei Savoia imposto, naturalmente, a una Napoli che seppe sorprendere tutti rovinando la festa ad un casato macchiato del sangue meridionale e che, pure, non sente la necessità di chiederci scusa, oggi per ieri.

Ed eccoci all’oggi, dieci anni dopo e proprio nel ciclone delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario di quell’unità bugiarda d’Italia che, proprio chi avrebbe voluto festeggiare nel nome della retorica mitizzante filo-risorgimentale, vede sbriciolarsi davanti ai propri increduli occhi. Dieci anni dopo siamo noi a dare scacco matto ad una Torino invasa pacificamente, armati solo delle nostre giuste ragioni e rivendicazioni, il libretto rosso di Pino Aprile-Mao in mano, con un moto di Insorgenza Civile. Intanto si moltiplicano le iniziative contro celebrative che mi auguro possano mettersi in connessione ora che una sottile paura s’insinua in questo paese che non riesce a fare i conti con la propria storia né a costruire una propria identità, nonostante (o forse, proprio a causa) l’uso delle continue forzature.

Sulle pagine del Corriere della Sera due stimati colleghi, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, hanno scritto di un incontro a Civitella del Tronto tra me e Mario Borghezio descrivendolo come se fosse una trama per “disfare l’Italia”: gli è sfuggito che si trattava, invece, di un confronto tra persone che vorrebbero rifarla meglio ed organizzato -con tanti altri ospiti- grazie alla ferrea volontà di Pucci Cipriani. Fatti che risalgono a ben cinque anni fa ma che vengono (poco) casualmente raccontati, conditi con sapiente ironia, solamente oggi. Se è vero come è vero quello che sosteneva Gandhi (“Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.”), beh, allora non c’è che dire: siamo sulla buona strada. Con tutte le peggiori intenzioni di continuare a macinare chilometri. E anni, naturalmente.





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