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Bonache e cosche in articoli di giornali e opere, fra cui quelle di Alongi e Cutrera

Avvento dello stato moderno e criminalità organizzata

di Zenone di Elea


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La lotta alla mafia deve essere soprattutto caratterizzata da politiche di promozione sociale, promozione di occupazione, di lavoro che, molto spesso, viene offerto come un favore e che invece deve essere garantito come un diritto. (Cfr. La confisca dei beni alle mafie e il loro riutilizzo per finalità sociali di Davide Pati, Segreteria Nazionale di Libera)


10 Febbraio 2010

Questo scritto necessita di una premessa di ordine storiografico. Quando Giacinto De Sivo se la prendeva con la setta, la propaganda liberale vincente sul piano militare, politico, economico e culturale ne fece un invasato reazionario, bieco sostenitore del più nefando dispotismo – che poi equivaleva nella vulgata corrente al regime borbonico.

Per centocinquantanni non se ne è più parlato apertamente, finanche opere di illustri studiosi come I. Montanelli, M. Cervi D. Mack Smith, R. Romeo E F. Della Peruta, hanno ignorato l’importanza del contributo al Risorgimento da parte di logge massoniche.

Solo da qualche anno vi sono state delle ammissioni e addirittura da parte di taluni si è rivendicato con orgoglio, ad esempio, la appartenenza dell’eroe dei due mondi alla massoneria1.

Nel nostro articolo non si vuole assolutamente sostenere poco credibili equivalenze tra fratellanze e mafie (termine quest’ultimo che d’ora in poi utilizzeremo nell’accezione piemontese, per parafrasare Aldo Servidio, autore di un testo che vi consigliamo, L'imbroglio nazionale: unità e unificazione dell'Italia,1860-2000, Guida, 2000).

Non ci si può, però, non porsi qualche interrogativo quando ci si imbatte, nell’ottocento in storie al limite del verosimile. Ad esempio quella del poeta Giovanni Pascoli, il cui padre sembra fosse stato ammazzato da aderenti a gruppi di ispirazione mazziniana, e che ritroviamo poi iscritto, come è stato recentemente documentato, alla Loggia “Rizzoli” di Bologna il 22 settembre 18822! Altro fatto che ultimamente ci ha colpito è stato il leggere della vicenda di Filippo Carabi3, il siciliano che avrebbe dovuto attentare alla vita di Ferdinando II il 22 novembre del 1856 e che non ne ebbe il coraggio e per questo fu punito in modo atroce.

Questo per dire che la visione eccessivamente apologetica che ci hanno passato sui banchi di scuola rispetto alle attività di taluni gruppi che lottarono per l’abbattimento dei vecchi governi e per la unificazione della penisola meriterebbe perlomeno una rivisitazione critica. Checché ne pensi un maître à penser come Ernesto Galli Della Loggia4.

Secondo alcuni studiosi il fatto che tanti eventi storici siano rimasti occulti o poco chiari per tanto tempo è dovuto allo scontro particolarmente aspro che si è avuto in Italia, durante la costruzione dello stato nazionale, fra potere massonico e potere cattolico. Scontro che sarebbe tuttora in atto.

Altro elemento di confusione che vogliamo subito sfatare è la presunta filiazione delle mafie dal brigantaggio. Nulla di più falso e lo chiarisce bene, almeno per quanto riguarda la Calabria, uno studioso della ‘ndrangheta come Enzo Ciconte5.

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L’avvento dello stato moderno si è caratterizzato ovunque come assunzione esclusiva del monopolio della forza per dirimere i conflitti sociali da parte delle istituzioni preposte: le varie forze dell’ordine ed all’occorrenza anche l’esercito. Nelle società feudali il re “era” la legge, spesso in periferia la legge veniva esercitata dai suoi vassalli in suo nome ma per proprio tornaconto. Con la formazione delle classi borghesi, con la produzione di beni di massa e la necessità di spostare le merci, sorge la esigenza di formalizzare norme comuni non solo in un ristretto territorio ma in differenti territori, anche molto distanti fra loro. Per intenderci, basti pensare alle norme comuni in materia di sistemi di misurazione, esigenza già presente negli stati antichi ma divenuta improrogabile in quelle moderne. Non a caso durante la rivoluzione francese si gettarono le basi del Sistema CGS (sistema centimetro-grammo-secondo) evolutosi poi nel SI (Sistema Internazionale). Urgevano regole che permettessero alle merci e alle persone di spostarsi “liberamente” da un territorio ad un altro.

Prima di tale rivoluzione cominciano a nascere gruppi6 che spingono verso il superamento del sistema feudale, gruppi che spesso svolgono una vera e propria opera di promozione sociale nei confronti dei propri aderenti o adepti che dir si voglia. Spesso tali gruppi sono costretti ad operare in clandestinità o semiclandestinità, quindi per comunicare fra loro utilizzano codici e cifrari vari. Da sottolineare che spesso tali gruppi trovano terreno fertile soprattutto nell’aristocrazia, che cerca di coalizzarsi per opporsi alle prerogative del potere regio. Non a caso anche in Italia (come in Francia del resto) talvolta saranno dei nobili a fondare le prime logge.

Il vecchio potere feudale e il nascente potere borghese si fronteggeranno per decenni, scavalcando due secoli, il XVIII e il XIX. Con lo scoppio della rivoluzione francese lo scontro tra vecchio potere (rappresentato dal re e dalla nobiltà) e nuovo potere (la classe commerciale e imprenditoriale in ascesa) si acuisce. Dopo le guerre napoleoniche – durante le quali proliferano le società segrete in appoggio alle idee francesi – e la restaurazione del 1815, alcune idee che prima venivano sussurrate a mezza voce ora devono essere pronunciate al riparo da orecchie indiscrete, le polizie degli stati restaurati sono in ascolto ed hanno spie dappertutto.

In opposizione a tutto ciò si moltiplicano le “fratellanze”, più o meno segrete, che a volte si federano fra loro e altre volte sono in concorrenza, qualche volta muoiono per poi magari riapparire sotto nuove forme o denominazione.

Sono queste fratellanze che contribuiscono in modo determinante, nelle provincie meridionali, ad abbattere il traballante potere borbonico, spianando la strada all’eroe dei due mondi. Non a caso tutto il meridione continentale insorge e Garibaldi giunge a Napoli in treno, come "a simple traveller by railway with a first-class ticket", secondo quanto dichiarato dallo stesso in Inghilterra nel 1864, alla Camera dei Comuni.

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L’utilizzo di atti di terrorismo, di attentati, dell’omicidio per fini politici caratterizza molti di questi gruppi o sette nella fase in cui si passa dallo stato ”feudale” allo stato “moderno”. Una volta costituitosi lo stato, nella forma in cui oggi noi lo conosciamo, il monopolio della forza per dirimere i conflitti sociali diventa una prerogativa delle istituzioni preposte (esercito-polizia-magistratura) che hanno la forza militare necessaria per detenere tale monopolio.

Cosa accadde nelle regioni meridionali dopo il 1860?

Perché ancora oggi siamo alle prese con gruppi organizzati7 che utilizzano la violenza per proprio conto, magari ammantando il tutto come opera sociale – famoso a tal proposito, ma non unico, il caso di fine ottocento, quello del medico Palizzolo8, che si sistemava barba e baffi ascoltando e dirimendo controversie fra i questuanti che affollavano la sua casa.

Il mafioso che si sente il custode della legge è un collante formidabile per la coesione della organizzazione criminale e per la sua tenuta in quanto crea attorno alla organizzazione un diffuso consenso sociale. Tutto questo avviene dove lo stato non riesce ad assumere il monopolio della forza e, sinceramente, non riusciamo a comprendere come mai gli storici non tengano conto di una variabile così importante come fu quello della guerra civile fra il 1860 e il 1870 nel determinare l’atteggiamento delle popolazioni meridionali verso le cosiddette istituzioni.

Diamo una occhiata a date e numeri, invece di fare della pseudo-sociologia come fanno taluni storici nostrani e non9.

Analizziamo le date:

Nei primi anni di vita unitaria, mentre in Toscana, in Lombardia, in Emilia, nelle Marche lo stato moderno seppur fra qualche resistenza – per fare qualche esempio riferito al centro-nord, nelle Marche preunitarie operava la Società degli Ammazzerelli e il mito della civilissima Romagna (mito che a Napoli va forte anche tra appartenenti alla destra!) per chi non lo sapesse, è postunitario, prima spadroneggiavano i briganti10 – contribuisce alla costruzione di una moderna società civile, nelle provincie meridionali si svolge una guerra civile fratricida.

Lasciamo parlare i numeri altrimenti sembra fuffa borbonica:

Il tutto dura dieci anni.

Sono gli anni in cui si gettano le fondamenta dello stato unitario. Mentre al nord esso si mostra col volto moderno e garante di alcune libertà formali dello statuto albertino13 al sud si mostra in tutta la sua ferocia sospendendo14 nel 1863 le libertà civili e legalizzando rappresaglie degne di altre epoche (qualcuno dice medievali, ma noi preferiamo evitare il termine in quanto certe forme non si trovano nel medioevo ma si vedranno più avanti, nel novecento!15 – per quanto riguarda il destino dei soldati borbonici, all’indomani dell’unità, vi consigliamo di leggere I lager dei Savoia: storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali di Fulvio Izzo, Editore Controcorrente, 1999).

Decine di persone vengono condannate ad anni di lavori forzati16 solamente per aver desinato con dei briganti. E sono i fortunati! Altri per quegli stessi motivi sono stati passati per le armi o fucilati a seguito di processi sommari.

Anche se non ebbe una guerra di resistenza all’invasione, la Sicilia mostra parecchie similitudini con quanto avvenne nel meridione continentale, basti pensare alle rivolte di Alcamo, di Castellammare, di Palermo, alle feroci rappresaglie di militari come Govone17 che tagliavano l’acqua a interi paesi per prendere quattro renitenti! Poi ci si meraviglia che lo stato al sud viene percepito come distante ed estraneo. Ma facitece o piacere….

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Talune fratellanze che avevano dato il loro contribuito ad abbattere il vecchio regime invece di sciogliersi o di essere combattute da chi avrebbe dovuto farlo, ovvero lo stato nascente, si rafforzano, si mescolano, si ostacolano per salvaguardare i propri interessi. Il neonato stato italiano, è impegnato in altro, deve mettere in campo tutta la sua potenza militare per sedare la insubordinazione diffusa in tutte le provincie dell’ex Regno delle due Sicilie. Intanto, a modo loro, queste fratellanze fanno politica, utilizzando l’astio diffuso verso il nuovo potere costituito come arma di ricatto per trarne vantaggi personali o di gruppo.

Gli intrecci e le commistioni fra carbonerie, massonerie e gruppi organizzati paramilitari che ricordavano le guardiane medievali non sono stati chiariti sul piano storiografico e ci viene il dubbio che non lo saranno mai. Non soltanto perché sia oggettivamente arduo studiare delle organizzazioni che fanno della segretezza uno dei cardini della loro sopravvivenza.

Lo stato italiano, nato sotto la spinta delle classi borghesi del nord e del sud, nelle provincie meridionali era oggettivamente debole perché dovette combattere su troppi fronti, in particolare:

Senza voler qui affrontare altre problematiche, ad esempio la forte opposizione garibaldina, nelle provincie meridionali lo stato italiano fu costretto dagli eventi a fare una scelta di campo, a schierarsi a favore di chi lo aveva fondato e – coadiuvato dalla guardia nazionale (strumento della nascente borghesia) – debellò sì il brigantaggio ma non si preoccupò granché dei gruppi organizzati che lo avevano aiutato a nascere. Gruppi che non rientrarono nei ranghi, ma pretesero di farsi spazio anche a costo di utilizzare la violenza e la sopraffazione degli avversari19 o di chi si metteva di traverso dinanzi al loro cammino.

Questo avvenne in Sicilia come in Campania, in Calabria come in Puglia, dove pare che la sacra corona unita non sia frutto della modernità più recente, ma che affondi le radici anch’essa nella seconda metà dell’ottocento.

Se poi ci chiediamo come mai, finita la guerra civile, lo stato non abbia utilizzato la sua forza per domare certi gruppi e costringerli alla legalità, possiamo rispondere che la guerra civile ipotecò per sempre i rapporti fra istituzioni statali e regioni meridionali.

Per ottenere la vittoria militare sul brigantaggio un intero paese era stato saccheggiato e ci si era alleati non certo con le parti migliori della società.

Diceva un amico alla posa della lapide di finestrelle che sterminarono la parte migliore della gioventù meridionale, quella orgogliosa che non si volle piegare agli invasori e promossero la parte peggiore quella degli avventurieri e degli intrallazzatori – dando vita ad una classe politica serva del potere centrale, senza alcun legame profondo col territorio i cui interessi avrebbe dovuto patrocinare. Finanche alcuni liberali critici verso il nuovo stato italiano non riuscirono a farsi ascoltare – la persecuzione della opposizione politica meridionale borbonica e non, nei primi anni di unità, è ancora tutta da scrivere.

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Ed intanto, dietro le belle parole di “patria” e “unità nazionale”, si costruivano grandi fortune padane – come dimostra il Nitti, leggetevi il suo discorso ai giovani20 – si inventarono la questione meridionale e ogni tanto fecero qualche leggina per dimostrare le buone intenzioni di uno stato che non ha mai saputo veramente cosa fosse l’uguaglianza fra i suoi cittadini, trattando i meridionali sempre come cittadini di infimo livello.

La responsabilità dei nostri problemi di oggi è tutta del potere politico che all’indomani della proclamazione del regno trovandosi un meridione ingovernabile scese a compromessi con gruppi di affaristi e di criminali per mantenere il controllo del territorio. E così ha fatto fino ad oggi. Salvo quando i gruppi minacciano la sua stessa sopravvivenza, allora i muscoli si mostrano. Eccome!

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Scendendo sempre a patti con quei gruppi organizzati che non volle mai affrontare a viso aperto lasciando che divenissero i guardiani del territorio meridionale, lasciando che divenissero sempre più potenti, lo stato italiano ha provocato il fallimento di tutti i tentativi di cambiamento.

Facciamo qualche esempio molto vicino a noi, così è più facile intendersi – anche perché se restiamo troppo indietro nel tempo c’è sempre il solito polemista che si tappa le orecchie sbadigliando frasette di circostanza, del tipo “è roba passata”, “siamo in Europa”.

Voi credete veramente che i politici, i funzionari dello stato, non vedessero tutto ciò che accadeva davanti ai loro occhi?

Perché le istituzioni statali non hanno mai gettato sul piatto della bilancia tutto il loro peso militare come fecero con la rivolta di Reggio Calabria22?

La risposta è semplice e si chiama confluenza di interessi.

Confluivano gli interessi delle ditte del nord con quelli dei politici eletti da quel territorio e quello delle organizzazioni malavitose che “davano lavoro”, si arricchivano e si rafforzavano.

Se si permette ad un gruppo organizzato l’uso della violenza per la tutela o la promozione dei suoi interessi, poi non si possono versare lacrime di coccodrillo sostenendo che tali organizzazioni sono forti e potenti di prima! Sono state foraggiate con i soldi pubblici!

Forse siamo eccessivamente pessimisti, ma noi fino ad oggi non abbaimo visto grandi progressi nella lotta alla criminalità organizzata, essa è divenuta più potente e ramificata globalizzandosi, mentre tra chi si è opposto abbiamo visto centinaia di meridionali caduti  - battersi in una situazione del genere equivale ad essere degli eroi, come dei soldati in guerra – e tante defezioni. Si può davvero pensare che si possa vivere perennemente in guerra, rischiando la vita propria e quella di familiari o amici, senza vedere una via d'uscita? Le persone hanno un lavoro, degli affetti da salvaguardare.

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Purtroppo, le nostre son tutte vacue dissertazioni, noi oggi il problema lo abbiamo di fronte e in tutta la sua drammaticità. Ci è voluto un ministro leghista per far vedere come si potrebbe combattere sul serio la criminalità organizzata, ma anche questo attivismo antimafia ha una sua logica, una sua spiegazione. A nord sono stufi di certe invadenze e le vogliono arginare23. Per questo fanno sul serio, non si sa fino a quando.

Anche il prefetto Mori fece sul serio e la mafia si inabissò. “Calati juncu ca passa la chiena”, calati giunco che passa la piena ovvero defilati in attesa di tempi migliori. I tempi migliori giunsero con lo sbarco americano in Sicilia. Gli americani avevano bisogno di non incontrare, sul territorio che si apprestavano ad invadere, troppa resistenza e non ci andarono per il sottile. Utilizzarono elementi di “cosa nostra” che ne approfittarono per accaparrarsi posti di potere e per inquinare i partiti politici governativi e non solo.

L'influenza politica del CLN, costituitosi nelle regioni del centro-nord,  e il votare prevalentemente per la monarchia – a nostro modesto avviso – furono altri elementi a nostro sfavore, costituendo l’alibi politico per concentrare nelle regioni centrosettentrionali i soldi del piano Marshall per la ricostruzione. Come giustificazione pubblica si disse che si ricostruiva laddove esisteva già una ossatura industriale prima della guerra. Detto così  sembra credibile, ma se si segue la evoluzione politica di quegli anni e il modo in cui votarono le varie regioni italiane si comprende meglio come quella che Zitara chiama la tosco-padana abbia avuto gioco a tenerci al palo.

Per capire come siano stati gestiti gli investimenti nelle provincie meridionali, in questi decenni e come lo siano tuttora, vi rimandiamo ai testi di Gennaro Zona (COME TI FINANZIO IL NORD - Una rilettura critica dell'intervento pubblico a sostegno dell'industria nel Mezzogiorno, NORD E SUD, maggio 1997) e di Giancarlo Viesti (Mezzogiorno a tradimento, Laterza, 2009).


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1 Citiamo un paio di casi:

1) "Studi in archivi e su periodici di Edimburgo mi hanno permesso di rile­vare e confermare il versamento a Garibaldi di una somma veramente ingen­te, durante la sua breve permanenza a Genova, prima che la Spedizione sciogliesse le ancore. La somma, riferita con precisione, è di tre milioni di franchi francesi. Questo capitale tuttavia non venne fornito a Garibaldi in moneta francese, bensì in piastre d’oro turche. Non è agevole valutare il valore finanziario di tale somma. Riferito alle valute dell’epoca dei principali Stati europei, e rapportandolo al reddito na­zionale, con larga approssimazione si tratta di molti milioni di dollari di oggi". [Tratto della relazione tenuta da Giulio Di Vita al convegno “La liberazione d'Italia ad opera della Massoneria” organizzato a Torino (24 e 25 settembre 1988) dal Centro per la storia della Massoneria e dal Collegio dei Maestri Venerabili di Piemonte e Valle d'Aosta];

2) “La maggior parte di Noi che siamo nati in Italia ed abbiamo frequentato le scuole nel nostro paese, abbiamo sentito parlare di Lui e delle sue gesta sui banchi di scuola; abbiamo studiato la sua vita, commemorato le sue battaglie e osannato le sue vittorie. Per tutti gli altri, invece, Garibaldi è solo uno dei tanti eroi del passato vissuto nel secolo scorso: ma non è così. Fiumi d'inchiostro sono stati versati sui libri di testo per descriverci le gesta "dell'eroe dei due mondi" a tutti i livelli, da quello elementare fino a quello universitario. Del Garibaldi Generale, Condottiero e Politico quindi sappiamo tutto o quasi tutto: mentre del Garibaldi Massone e Gran Maestro della Loggia Massonica Italiana invece, sappiamo poco o niente.” [Tratto da "Giuseppe Garibaldi, massone risorgimentale" di Agostini Paolo and Maiorana Antonio, https://www.esonet.org/ 09/05/2002]

2 Vi consigliamo la lettura dell’interessante articolo “Giovani Pascoli esoterista e dantista” di Moreno Neri, https://www.classicitaliani.it/

3Il se promit de châtier plus tard le sicilien désobéissant; en effet, Filippo Carabi fut assassiné, cinq ans après, dans une loge de Naples, un jour qu'il y était venu sans méfiance, et ce crime a été accompli avec autant de férocité que d'adresse; les archives du Directoire de Naples contiennent les détails de l'affaire, la séquestration de Carabi en 1861, sa mise en accusation devant un tribunal secret, la torture épouvantable qu'on lui a fait subir, et le dernier supplice exécuté dans le plus grand mystère.” Cfr. Souvenirs d'un Trente-Troisième Adriano Lemmi chef suprême des francs-maçons par Domenico Margiotta, pag. 27.

4 Leggetevi l’editoriale del Corriere della Sera del 7 febbraio 2010 “L'unità d'Italia e i suoi nemici- IL RISORGIMENTO SOTTO PROCESSO” a firma del citato Ernesto Galli Della Loggia- https://www.corriere.it/.

5 Due opere in particolare affrontano questo tema, prima 'Ndrangheta dall'unità a oggi (1992) e poi Storia criminale. La resistibile ascesa di mafia, 'ndrangheta e camorra dall'Ottocento ai giorni nostri, (Rubbettino 2008).

6 Pochi sanno che in Italia, la prima Loggia massonica nacque in Calabria, nel 1723, ad opera del il Duca di Girifalco del nobil casato di Caracciolo di Napoli (Cfr. LA PRIMA LOGGIA MASSONICA D’ITALIA FONDATA IN CALABRIA NEL 1723 di Rocco Ritorto - https://www.sosed.eu/). La prima loggia di liberi muratori in Calabria, convenzionalmente riconosciuta, fu creata dall'abate Antonio Jeròcades (Parghelia, 1738 • Tropea, 1803), che fu autore dell'opera La lira focense, considerata la più alta espressione poetica di ispirazione massonica.(Cfr. UOMINI DI CHIESA E MASSONI IN CALABRIA - martedì 7 luglio 2009 - https://rdyork.blogspot.com/)

7 Nella seconda metà dell’ottocento in Sicilia troviamo gli Stuppagghiari a Monreale, la fratellanza a Favara e ad Agrigento, Fratuzzi a Bagheria, l’Oblonica a Girgenti, la Scattatiora di Sciacca, la Fontana Nuova di Misilmeri, lo Zubbio a Villabate, i Pugnalatori a Palermo, gli Sparatori a Messina, la setta dello Scaglione a Castrogiovanni. A titolo di cronaca riportiamo quanto afferma lo storico Juri Lina, nel suo libro “Architects of deception”: «Nel 1860, Mazzini creò un’organizzazione chiamata “L’Oblonica”, un nome che deriva dalla parola greca “obèlós”, che significa “spiedo o pugnale”. In questo gruppo, egli ne formò un altro più interno: una banda moderna di criminali, chiamati MAFIA, che era l’acronimo di: Mazzini, Autorizza, Furti, Incendi, Avvelenamenti».

8 Raffaele Palizzolo fu incriminato come mandante dell'uccisione del marchese Emanuele Notarbartolo, nel 1899 la camera dei deputati autorizzò il processo, nel 1901 venne giudicato colpevole e condannato, ma nel 1905 fu assolto dalla Corte d'Assise di Firenze per insufficienza di prove, probabilmente sempre grazie ai suoi appoggi importanti.

9 Per decenni siamo stati subissati di pubblicazioni che sproloquiavano di "atteggiamento diffidente verso lo Stato ereditato dai secoli passati", con sconfinamenti nelle mai del tutto superate teorie lombrosiane.

10La moderna ricerca storica fa della presenza dei briganti una costante in quasi tutti gli Stati in Età moderna e contemporanea, in quanto resistenza alla privatizzazione degli usi civici, al disciplinamento statale (tassazione, coscrizione), al monopolio sulla forza e le sovranità locali (faide, leader di borgata).

[...] Per restare sul Passatore, dovremmo datare 1846-1851, e solo alla fine si avrà una ripresa dello Stato per opera di Pio IX, col concorso degli Austriaci. Dal 1848 al 1851 si aveva avuto il maggiore allarme per via dell'assalto alle città, allorché noti benestanti vennero visitati nei loro palazzi all'interno delle mura urbane e intere cittadine furono prese, da Bagnara a Castel Guelfo a Consandolo a Brisighella a Forlimpopoli.” (Cfr. Sicurezza e criminalità. Rivolte e comportamenti irregolari nell'Italia centrale (1796-1861) di Mengozzi Dino - Franco Angeli, 1999, pag. 165)

11 Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Feltrinelli, 1964

12 Colpo d'occhio su le condizioni del reame delle due Sicilie nel corso dell'anno 1862, Anonimo 1863 - attribuito a Francesco Durelli.

13 Lo Statuto del Regno o Statuto fondamentale della Monarchia di Savoia 4 marzo 1848, noto come Statuto albertino dal nome del Re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia-Carignano, fu lo statuto adottato dal Regno sardo-piemontese il 4 marzo 1848 e fu definito, nel Preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto, «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia» sabauda. Fu redatto in francese.

14 Dopo gli arbitri luogotenenziali la legge Pica aveva il compito di mostrare il volto della legalità nella repressione del brigantaggio che cominciava a suscitare delle proteste nelle cancellerie europee.

15 “Per levar alimento al fuoco, il Governo di Torino s'appigliò al partito di arrotare per forza nei battaglioni dell' esercito italiano i soldati napolitani. Un decreto, sotto forma di Circolare del Ministero della Guerra in data del 6 Gennaio, ordina che «tutti senza eccezione i prigionieri di guerra napolitani saranno incorporati nel Reggimento, Deposito o battaglione a cui sono presentemente aggregati, per continuare la forma di servizio contratta sotto il cessato Governo» Inoltre sono egualmente richiamati sotto le armi tutti gli inscritti all'esercito delle Due Sicilie dal 1857 in qua. Un decreto di tal natura ò presto dettato e promulgato. Tutto sta in farlo eseguire. Se i 40 o 50 mila soldati napoletani ricusano l'alto onore della coccarda tricolore, come si farà a mettercela per forza? Un primo spediente per tener quieti i popoli delle province fu la minaccia che al primo segno di turbolenze ne sarebbero richiamati i soldati lasciati liberi alle case loro. L'insurrezione scoppiò in più che 200 luoghi, e i soldati non furon potuti cogliere. Si mandano da Napoli truppe di linea e carabinieri a dar la caccia ai riluttanti, ed ogni giorno se ne vedono passare, per le vie che mettono al Castel dell'Uovo e di S. Elmo; qualche decina fra due file di moschetti e di baionette Ma rifatti soldati a questo modo, si pnò egli credere che vorranno davvero servir di cuore ai loro padroni ? Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad uno spediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di tela, e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane ed acqua e una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra lo ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re! Simili infamie gridano vendetta da Dio, e tosto o tardi l'otterranno.” Cfr. LA CIVILTA CATTOLICA ANNO DUUODECIMO VOL IX DELLA SERIE QUARTA, 1861, pag. 367 .

16 Su questo sito trovate alcune sentenze tratte da: Astrea, tribunale supremo legislazione giurisprudenza militare (1866)

17 Giuseppe Govone, generale, operò nella valle del Liri e poi in Sicilia, introducendo nell’isola “uno stato di emergenza e di dittatura delle autorità militari, effettuando massicci rastrellamenti di renitenti, di sospetti, di evasi dalle carceri e di pregiudicati” (Franco Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l’Unità, pag. 280).

18 Rocco Chinnici, il magistrato palermitano assassinato dalla mafia il 29-07-1983, che dichiaratamente non nutriva sentimenti di simpatia verso l'indipendentismo siciliano, nella sua relazione sulla mafia tenuta nell'incontro di studio per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Grottaferrata il 03-07-1978 così ebbe testualmente a scrivere e ad esprimersi: «Riprendendo le fila del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall'unificazione del Regno d'Italia alla prima guerra mondiale e all'avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell'unificazione, non era mai esistita in Sicilia», e più oltre aggiunge: "La mafia ... nasce e si sviluppa subito dopo l'unificazione del Regno d'Italia". Dunque l'annessione della Sicilia al Piemonte e poi al Regno d'Italia creò le premesse e le condizioni favorevoli per la nascita e lo sviluppo della mafia. Cfr. L’isola, Anno IX - n° 11 - 1/15 dicembre 2007.

19 “La mafia non è soltanto una questione criminale fine a se stessa, ma anche economico e sociale, e lo si vede nel riciclaggio. In Italia la mafia uccide fra i malavitosi e l’Italia per bene può disinteressarsene, la mafia sta ormai nelle maggiori città italiane, dove ha fatto grossi investimenti edilizi e commerciali e magari industriali. Vede a me interessa conoscere questa accumulazione primitiva del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio di denaro sporco… Che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne, in alberghi, ristoranti, ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci, magari passate a mani insospettabili, protette, stanno i punti chiave, assicurano rifugi, procurano reti di riciclaggi e controllo di potere”

[…] Dalla Chiesa non solo non si ferma ad una lettura del fenomeno mafioso in termini puramente criminali, non soltanto fa un passo avanti dicendo che il terreno fondamentale per combattere proprio il potere mafioso è aggredire il loro e le loro ricchezze. Ma fa un passo in avanti, ha un’intuizione importantissima: parla di mafia, di criminalità organizzata come uno strumento per assicurare e garantire in modo diverso i diritti dei cittadini, primo fra tutto il diritto al lavoro. Noi viviamo ancora oggi in molti territori del nostro Paese una situazione che permette alle organizzazioni mafiose di garantire un posto di lavoro ai nostri giovani, così a Napoli, come in Puglia, in Sicilia, Calabria. Con questo suo appello, il generale Dalla Chiesa anticipa quella che possiamo definire “l’antimafia dei diritti”, delle opportunità e del lavoro vero, diverso da quello offerto dalle mafie e caratterizzato da ricatto, violenza, sopraffazione e spesso morte. (Cfr. La confisca dei beni alle mafie e il loro riutilizzo per finalità sociali di Davide Pati, Segreteria Nazionale di Libera)

20Ma poi che quanto dirò è frutto di coscienziose ricerche, di quattro anni di lavori assidui e di pazienti indagini, spero che mi varrà almeno il lungo studio. E se le mie parole saranno qualche volta aspre, io vorrei che fossero come l'aratro, il quale strazia e feconda la terra. Potrà uno sforzo di sincerità andare interamente disperso? Due cose sono oramai fuori di dubbio: la prima è che il regime unitario, il quale ha prodotto grandi benefizi, non li ha prodotti egualmente nel Nord e nel Sud d'Italia; la seconda è che lo sviluppo dell'Italia settentrionale non è dovuto solo alle sue forze, ma anche ai sacrifizi in grandissima misura sopportati dal Mezzogiorno.

[…] Perfino le spese fatte nel Mezzogiorno furono in gran parte erogate per mezzo di ditte settentrionali. Ho un elenco quasi completo dei grandi appaltatori dello Stato dopo il 1862; non figurano che pochissimi meridionali. Spesso questi ultimi sono stati poco intraprendenti, ma tante volte, quando hanno voluto essere, si sono urtati, sopra tutto nei primi anni, contro una burocrazia interamente avversa e diffidente”. (Cfr. Francesco Saverio Nitti, L'Italia all'alba del secolo XX: discorsi ai giovani d'Italia? - Pagina 107)

21Ecco perché, dicevamo all'inizio, il problema non è dato da una maggiore o minore presenza dello Stato, quanto dal suo modo di essere e di porsi. E vediamolo, allora, il modo di porsi di questo Stato, sia nella sua forma e dimensione centrale - Parlamento e Governo - che nella sua fisionomia locale - Regione ed Enti Locali. Nel suo primo modo di essere Stato centrale ed ancora centralista, esso ha ammannito alla Calabria, nel 1970, il cosiddetto e mai troppo famigerato «pacchetto Colombo», nel 1980 il non qualificabile, «pacchettino De Michelis», nel 1985 il niente.” (Cfr. Trent'anni di eccessi: diario, dal Sud, della prima Repubblica di Salvatore G. Santagata, Rubbettino 2002- pag. 112)

22 Lo aveva già usato il suo potere militare prima contro i Fasci Siciliani, poi contro la mafia siciliana col prefetto Mori, il quale si mosse secondo alcune direttrici molto chiare ed efficaci, 1) ottenere un successo clamoroso deportando nelle isole migliaia di sospetti; 2) seminare il terrore, se la mafia fa paura, lo Stato deve farne di più; 3) distinguere fra pesci grossi e pesci piccoli; 4) riaprire i processi di mafia archiviati. Nel secondo dopoguerra contro i separatisti e, in anni più recenti, ha saputo battere un terrorismo diffuso.

23 Interessante a questo proposito la relazione di Draghi nell’edizione Meeting 2009, dov’egli così si esprime: “Esiste oggi un consenso diffuso sul porre la rimozione delle esternalità negative (e l’esaltazione di quelle positive) al centro della politica di sviluppo territoriale, piuttosto che l’incentivo finanziario alle imprese, concepito originariamente come mezzo di compensazione dei fattori di contesto avversi e divenuto non di rado strumento opaco e inefficiente di allocazione delle risorse.”

















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