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STORIA DOCUMENTATA

DELLA DIPLOMAZIA EUROPEA

 IN ITALIA DALL'ANNO 1814 AL 1861

PER

NICOMEDE BIANCHI

VOLUME III

ANNI 1830-1846


TORINO

1867


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XXVI.

Esposizione del principe di Cassaro a Sua Maestà il re di Napoli, 

relativa alla questione delle zolfatare di Sicilia.

Sire,

Napoli, 15 gennaio 1840.

Mai per faccenda sì grave per la Real Corona e per lo Stato non si è da me con tanta efficacia invocata la sovrana attenzione, come la invoco intera al presente nel sommettere a V. M. questo mio rispettoso esposto, supplicandola perché nel mio franco dire voglia ravvisare l'espressione del devoto illimitato attaccamento che nudro per la M. V. e per gl'interessi del paese; il compimento insieme di un dovere santissimo addossatomi dal mio stesso ministerio.

Cominciavano a conoscersi le pratiche già messe in opera dal signor Taix, perché a disegni di privato profitto improntando le ingannevoli sembianze del bene dei produttori, fosse riuscito ad impossessarsi del traffico esclusivo de'  zolfi della Sicilia, quando prima in settembre 1837 dall'ambasciata francese, e poscia in novembre dell'anno medesimo dalla legazione Britannica, mi vennero avanzati uffizi diretti a prevenire che si recasse ad atto il progetto della Compagnia Francese additandolo non solo fatale ai veri interessi della Sicilia, e contrario alla libertà di commercio, ma segnatamente pregiudizievole alle relazioni di traffico tra la Francia e l'Inghilterra co' dominii di V. M., e tale finalmente da violare gl'impegni assunti dal Real Governo verso quelle due Potenze, mediante i trattati del 1816 e del 1817;

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poiché, dicevasi in sostanza, malgrado il patto dell'articolo 4° di quelle convenzioni, ad una privata Compagnia nella negoziatura de'  zolfi assicuransi quei benefieii che tutti i sudditi Francesi ed Inglesi non possono del pari sperimentare, poiché le speculazioni de'  zolfi, oltre allo essere state limitate per la libertà delle produzioni, subordinaci al monopolio di un solo, mentre dall'articolo 5° detrattati anzi detti s'intendono i sudditi francesi ed inglesi nelle loro vendite tutelati dal pericolo di qualsiasi ostacolo e impedimento.

Era poi dagl'Inglesi principalmente oppugnata l'intrapresa ideata dal signor Taix pel positivo danno che da'  vincoli e restrizioni di esso ne veniva a'  negozianti di quella nazione che avean prodigato i loro capitali, la loro opera allo scavamento delle miniere; ciò sulla buona fede e riposando sopra uno stato di cose di cui nulla poteva far prevedere l'alterazione.

Incalzavano intanto le reclamazioni di quelle due missioni, a misura che i passi del signor Taix facevano scorgere più probabile e vicina l'accettazione del suo progetto.

Gli uffici de'  rappresentanti di S. M. britannica e del re dei Francesi, da me comunicati erano man mano al ministro segretario di Stato degli affari interni; ed in ultimo con lettera del 7 febbraio 1838 seriamente io richiamava la di lui attenzione sul tenore di quelle note, rimarchevoli non meno per le calde rimostranze che per le formali proteste in esse contenute contro l'atto in discorso; esortavalo a prendere ogni cosa in considerazione, sia negl'interessi de'  particolari, sia per non esporci a contestazioni con la Inghilterra e con la Francia relativamente agl'impegni risultanti da vigenti trattati; e istantemente pregavalo perché avesse tenuto proposito di questa importante faccenda nel consiglio de'  ministri avanti di proporla alla M. V. E poiché io concludeva domandando al mio collega che mi avesse posto nel grado di dare un riscontro adeguato, specialmente ad un'ultima pio vigorosa nota dell'inviato britannico signor Temple, manifestavami quegli con uffizio del 28 febbraio 1838 che niuna definitiva risposta poteva ancor darmi, ma che questo era un affare che esigeva la più matura ponderazione, e che avrebbe dovuto esaminarsi in consiglio de' ministri prima di venir rassegnato al giudizio della sovrana saggezza.

Io che, dai primi lampi che si ebbero dell'intrapresa Taix, non mi era punto fatto illusione sui dolorosi effetti che avrebbe potuto trar seco, non solo per la Sicilia, ma pe' nostri amichevoli rapporti con la Inghilterra

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e la Francia, e massime con la prima il cui commercio ne sarebbe stato più leso, alle premure fatte in iscritto non omisi di aggiunger quelle a bocca per far sempre meglio penetrare il cavaliere Santangelo della importanza con cui era da riguardarsi quel delicatissimo negozio; di tutta la circospezione onde era mestieri che il Real Governo procedesse; ed egli mi ripeteva le assicurazioni che ne sarebbe formato l'obbietto di disamina nel consiglio de'  ministri, dove al certo con piena e precedente cognizione di causa avrebbe»! potuto discutere la convenienza dell'atto di concessione in discorso, non solo nello interesse reale dei domimi oltre il Faro, ma bensì nei rapporti del traffico esterno e dei patti sanciti ne' trattati che legavano questa Real Corte verso quella di S. James e delle Tuileries. Con l'appoggio di tali assicurazioni venivami fatto di acquetare, o per meglio dire, impor tregua a'  clamori di que' rappresentanti stranieri, ispirando loro la fiducia che qualunque fossero state per essere le sovrane determinazioni, la parte, che m'incombeva di avere nel consiglio de'  ministri per la discussione della cosa, avrebbe dato campo a bene esaminarla, e porre in chiaro ogni articolo che fosse per avventura da riferirsi ad infrazione de'  trattati; infrazione per altro che da me rimpetto ad essi non era mai stata consentita.

Non senza sorpresa per verità e contro la mia giusta aspettativa, due note della legazione britannica, e dell'ambasciata francese in sul cadere di maggio 1838, mi avvertivano procedere ormai sì fattamente la bisogna per l'atto di concessione de'  zolfi, da doverlo ritener come presso che firmato dal Real Governo. Io ne scrissi immantinenti al ministro degli affari interni, e questi in replica con la data del 5 giugno 1838, mi significò che solo talune basi di questo affare erano state accolte dalla M. V.; e intanto varie considerazioni da lui mi si svolgevano come atte a consigliare per lo bene de'  Siciliani, e giustificare una intrapresa di tal natura, dicendo ancora alcun che con animo di mostrare non recar quello alcuna ferita alle convenzioni del 1816 e 1817.

Il mentovato atto intanto veniva a ricever la sovrana sanzione col real decreto del 10 luglio 1838, senza alcuna precedente discussione né in consiglio de'  ministri, né in consiglio di Stato, discussione che quando pure a voce ed in iscritto non fosse stata promessa dal ministro degli affari interni, era essenzialmente reclamata dalla natura dell'affare, e non avrebbe dovuto mai nella circostanza presente sì agevolmente trasandarsi, tostoché la Inghilterra e la Francia si eran credute nel dritto (lasciamo stare se fondato o no) di attaccare lo stesso atto

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non conveniva per certo aggravarlo del vizio di forma, e dell'assenza della maggiore possibile legalità; né saprei dissimulare alla M. V. sino a qual punto a tutto questo siasi mancato quando con esempio inaudito, si è fatto adottare una misura che avea dato luogo a precedenti reclamazioni e solenne proteste per violazione di trattati da parte di quelle due Potenze, senza che si fosse prima inteso il ministro della M. V. per gli affari esteri il cui principale attributo, il cui sacro dovere impressogli, dirò cosi, dal carattere stesso delle eminenti funzioni di cui è rivestito, sta appunto nel vegliare alla osservanza de'  trattati con altre potenze, ed a far che non sieno alterate o compromesse le buone relazioni tra la M. V. e gli altri sovrani amici ed alleati.

Quale fosse stata la sensazione che cotali fatti e i modi onde eransi passati, abbian prodotto al Gabinetto di Londra, a V. M. è noto abbastanza, né v'ha d'uopo di qui rammentare che due cose soltanto:

1° Con quanto risentimento lord Palmerston e il ministro del commercio aggredirono, siami permesso l'esprimermi cosi, il defunto conte di Ludolf alla fine di un pranzo dato da quella regina il 25 luglio 1838 alla ricorrenza del di lei incoronamento, parlandogli della condotta del Real Governo come impolitica, conculcatrice de'  trattati, ed altamente lesiva degl'interessi del commercio britannico, prendendo in fine lord Palmerston quella occasione per esprimere bruscamente al regio inviato il rifiuto, malgrado la promessa fattagliene, della cooperazione e di buoni uffici della Gran Bretagna pel noto affare de'  pirati Albanesi; rifiuto confermatogli poco dopo con ufficiai nota la quale dichiarava che il governo di S. M. britannica non sarebbe stato nel grado di più prestarsi ad ogni specie d'inchiesta della Real Corte di Napoli, prima che questa non avesse desistito da ogni sua idea di violare il trattato del 1816, col monopolio de'  zolfi.

2° L'altro oggetto da ricordare si è la nota del 12 ottobre 1838 che lord Palmerston diresse al conte di Ludolf in risposta agli uffizi che lo stesso sugli elementi fornitigli dal real ministero gli avea passato per mitigare la sinistra impressione causata dal contratto de'  zolfi, e cercare di poterlo giustificare con tutte quelle migliori ragioni che si potevano; e dopo ancora di essersi consultati dal ministero inglese gii avvocati (pubblicisti) della Corona sulla infrazione del trattato, da costoro pienamente ammessa e riconosciuta, V. M. troppo ricorda il tenore e'1 dettato di quella risentita nota, perché io abbia a richiamarla alla sua memoria. Trovandosi allora V. M in Palermo, dove io ebbi l'onore di mandarla,

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mi venne rimessa la risposta, scritta dal cavaliere Santangelo, la quale per mezzo del conte di Ludolf sarebbe stata da passarsi a lord Palmerston; e se quella risposta fosse stata per iscritto officialmente partecipata, non avrebbe mancato di porre il colmo all'esasperazione del Governo inglese, tanto più che la esasperazione per lo affare dei zolfi era alimentata e rafforzata da preesistenti disgusti per le relazioni commerciali tra due paesi.

Io mi permisi di rassegnare a V. M. talune mie devote riflessioni sul tenore della risposta redatta dal cavaliere Santangelo; e V. M. degnandosi benignamente accoglierle, poiché colla sua squisita perspicacia dovette prevedere la probabilità di una collisione con la Inghilterra e le sue gravi conseguenze, ordinava che il conte di Ludolf non ne avesse fatta altramente che a voce comunicazione a quel ministro degli affari esteri; ciò che per la malattia e sopravvenuta morte del signor conte non giunse a praticarsi.

Sorrise poscia indi a non molto alla M. V. il sublime salutare pensiero che dovea come per incantesimo sopire a un tratto ogni rancore, troncar le contestazioni e soddisfare l'Inghilterra a prezzo di accordarci i più rilevanti vantaggi che si poteano da noi desiderare. Intendo parlare dell'idea che venne coltivata al ritorno della M. V. da Palermo di comporre tutte le vertenze, mediante una convenzione di commercio; e trovandosi allora in Napoli sir Frederik Lamb ora lord Beauvale, fratello del primo ministro lord Melbourne ed ambasciatore di S. M. britannica in Vienna, mi autorizzava la M. V. ad entrare con lui in negoziato pel noto trattato sulle basi di reciprocanza e che accordando riduzioni daziarie vicendevoli, mirasse principalmente a farne ottener la rinunzia del 10 per 100 sempre per lo addietro contrastataci; e poiché non altramente devenivasi a tal concessione che facendosi intervenire un accomodamento per lo affare dei zolfi, giusta i discorsi avuti dal mentovato diplomatico anche direttamente colla M. V. si era già d'accordo per fare cadere l'intrapresa de'  zolfi, cosa di cui per altro la sperienza avendo ora rilevato abbastanza i danni indipendentemente da ogni idea di render paga la Inghilterra, la M. V. sarebbe già decisa a praticare nel solo interesse della Sicilia.

È superfluo che io qui mi faccia in tutt'i particolari a rammentare le fasi dell'uno e dell'altro negozio.

Per ciò che attiensi al trattato in coerenza delle sovrane determinazioni emesse da V. M. nel consiglio del 15 giugno 1839 e delle sovrane istruzioni, essendo venuto in Napoli il signor Mac-Gregor spedito

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dal Governo inglese per preparar il trattato, il di 25 novembre ultimo fermavansi tra me e lui gli articoli del progetto di convenzione che ne' primi di decembre umiliai direttamente a V. M. accompagnandolo di un compiuto lavoro giustificativo e ch'è stato regolarmente rassegnato alla sovrana sanzione nel consiglio ordinario di Stato del 24 andante. Sarebbe poi ozioso il ripetere ciò che abbondantemente nel cennato lavoro si è svolto su gl'immensi vantaggi di un trattato che, oltre al sottrarci dalle odiosità che ci colpiscono in Inghilterra, oltre all'accordare alla nostra marina e al nostro commercio il beneficio, prima insperato, del trattamento conforme a quello della propria bandiera britannica, oltre all'aprirci un dovizioso mercato per le nostre più importanti produzioni, ci assicura la rinunzia del 10 p. 0/0 a perpetuità, senza vincolo alcuno e senza compenso dopo i dieci anni del trattato e ci assicura di più il mai abbastanza prezzato bene di farci legare a tutte le Potenze con trattati di reciprocanza, sostituendo così al presente abituale sistema di universali ostilità commerciali, di cui noi soli diamo l'esempio fra tutt'i popoli inciviliti della terra, quello stato di pace e mutua benevoglienza che costituisce il carattere de'  naturali rapporti coi quali, al dir di un sommo italiano, le nazioni tutte son chiamate a vivere sotto la salvaguardia di Dio.

E questo è quanto al trattato: per ciò che attiensi all'articolo dei zolfi, determinata V. M. a far finire il contratto, ha voluto, abbondando in munificenza, che si fosse tentato un amichevole accomodamento col signor Taix prima di esercitare il suo sovrano dritto; ma le trattative sono andate vuote, non avendo egli mirato che a farne perder tempo senza arrendersi ad eque, ragionevoli proposizioni, di maniera che la M. V. ha preso ornai il saggio partito di por termine alla cosa, mediante liquidazione legale da farsi dei danni ed interessi della Compagnia, se vi sia luogo.

Da quando si è cominciato a parlare di un accomodamento pe' zolfi con lord Beauvale fino ad oggi è scorso quasi un anno, e questo tempo non ha fatto che raddoppiare i danni dei sudditi Inglesi interessati; in guisa che non vi sono stati ripieghi, belle parole, arti e sforzi che io non abbia dovuto por in opera per giustificare il ritardo, consolidare l'opinione della fiducia sulle sincere intenzioni del real Governo, attutire le rinascenti querimonie degli interessati, dileguare ogni mal inteso, allontanare in somma tutti i motivi che avessero potuto alterare e turbare il corso e la riuscita delle amichevoli negoziazioni.

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Ora le cose sono ridotte ad un punto che tutto può essere ad un momento definito e nel modo più soddisfacente pe' rapporti amichevoli e commerciali de'  due paesi, dato che abbia V. M. prontamente la sua sovrana sanzione al trattato e ritirata la concessione de'  zolfi alla Compagnia Taix salvo il liquidarsi legalmente un indennizzamento.

È però in questo punto medesimo a fronte della brillante prospettiva che ci è ora davanti, alla vigilia in cui siamo di raccogliere i frutti della provida saviezza di V. M., della sua illuminata perseveranza, che mi reputerei altamente colpevole se tacessi alla M. V. il grave e incalcolabile pericolo ch'è da temersi di veder tutto perduto e compromesso in conseguenza di un ulterior procrastinamento.

Sappiamo sino a qual punto il privilegio concesso alla Compagnia Taix ed Aicard abbia esaltato in Inghilterra lo spirito nazionale, quante sofferenze e quanto scapito abbia recato agli interessi de'  sudditi Inglesi, quale e quanta responsabilità questa faccenda addossi al ministero britannico rimpetto alla rappresentanza nazionale. Ora il Parlamento deve essere aperto dal di 16 del corrente gennaio, vari indirizzi di interessati nel traffico de'  zolfi erano preparati in Inghilterra per presentarsi a quelle Camere, il ministro sarà chiamato a render conto delle sue negoziazioni, e se questo avviene prima che si abbia la sanzione di V. M. al progetto di trattato, e si vegga rivocata la concessione de'  zolfi, qual fatto, qual documento il ministero inglese potria presentare che attesti il compimento delle sovrane intenzioni e lo sgravi di sua responsabilità? I sospetti che in Inghilterra non si è lasciato di nudrire sulla buona fede del real Governo diverranno agli occhi loro certezza, il ritardo finora da noi frapposto alla definizione delle vertenze sarà interpretato come un mezzo da farci guadagnar tempo eludendo le loro aspettative, e la conseguenza indubitata sarà il vedersi rotta bruscamente la negoziazione. La quistione allora sarà ridotta sul piede in cui era al cader del 1838, ed anche peggiore pe' nuovi danni de'  negozianti inglesi aggiunti agli antichi col volger di un altro anno, pe' novelli timori concepiti al veder tradite le loro già tanto lusingate speranze. V. M. in somma può vedersi sospinta in una rottura con l'Inghilterra più seria di quella che poteva prevedersi nel 1838 e che si era con tanto giudizio, con tanta dignità del real Governo, e con apparenza di tanto profitto per gl'interessi materiali de'  regii sudditi riuscito ad allontanare. Il tristo presagio verificandosi, quali esserne possano le conseguenze, è ben facile a ravvisarle.

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Ecco pronta primamente l'Inghilterra a riprodurre in campo l'idea d'infrazione di trattato; e comecché il ministro degli affari interni non sappia scorgervela, non è poi così lucida la cosa, non è certo affatto scevra di dubbi la non infrazione del trattato, come si è potuto credere; e ritenuto che l'oggetto in quistione non fosse pur che dubbio, non basta questo nelle vertenze tra nazione e nazione, le quali non han tribunale che conosca di lor litigi e decida di lor ragioni, per trarre dietro un ostile calamitoso scioglimento?

Sostenendo l'Inghilterra la violazione del trattato, qual conseguenza immediata reclamerà l'annullamento dell'atto della Compagnia francese, e lo reclamerà allora in linea di dritto e non per concessione come al presente; né limitarsi a questo la vedremmo, ma sicuramente insister del pari sullo indennizzamento delle perdite che abbian potuto soffrire i sudditi Inglesi, ed una volta aperto il varco alle pretensioni, chi può dir dove si arresteranno, e se si rivenga perfino sullo articolo de'  generosi sussidi di più milioni di lire sterline da quel Governo somministrati, durante la occupazione militare di questa parte de'  reali dominii, all'augusto avolo di V. M. in Sicilia?

Relativamente poi al trattato è naturale che quando gl'Inglesi si crederanno autorizzati ad ottenere, in forza del trattato del 1816, la cessazione del monopolio de'  zolfi, mancherebbe il fondamento onde accordare più a noi la rinunzia del 10 p. 0/0 che ora si tratta di conseguire mediante il carattere di favore che si dà allo scioglimento della Compagnia Taix. Dovremmo quindi attenderci non solo a vederci fuggir di mano siffatta preziosa concessione, e tanti altri vantaggi che ne accorda il trattato, ma eziandio a veder elargato con immenso detrimento di due paesi il campo delle commerciali rappresaglie, tanto più che l'Inghilterra verrà probabilmente ad insistere per rivendicare i torti che, mediante le bonifiche, i prodotti britannici soffrono rimpetto a quelli simili del Baltico e delle Indie introdotti con bandiera del regno delle Due Sicilie col 20 e 30 p. 0/0, di meno di dazio. — So che in fine della burrasca dovendo succeder la calma, una rottura che possa seguirne con l'Inghilterra sarebbe in ultima analisi succeduta da un accomodamento; ma è vano lusingarsi che le condizioni possano esserne cosi vantaggiose ed onorevoli come quelle che ci offrono le attuali transazioni.  — Questo è considerar le cose nel puro aspetto commerciale; ma volendosi, com'è giusto, riguardarle per poco anche sotto la veduta politica; non debbe al penetrante accorgimento di V. M. sfuggire che facendo parte del suo reame la bella ed importante isola di Sicilia, mille ragioni ed interessi

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additano il prezzo ch'è da porsi ad una salda alleanza con la Inghilterra ed alla convenienza di careggiarla e di coltivar la di lei particolare amicizia.

Non dirò poi, messa che fosse da banda la rinunzia del 10 p. 0/0 da parte dell'Inghilterra, mantenuti i vincoli che inceppano la libertà del real Governo nel trattare come meglio creda con altre potenze, in quale posizione ci troveremmo con la Francia a cui noi stessi abbiam fatto delle aperture per un trattato novello di commercio; quanto diverrebbe sempre più trista la nostra posizione verso le altre potenze tutte, le quali erano state ora lusingate dalla fiducia di veder scomparso l'ostacolo per negoziare con esse; fiducia che avea elevato una certa barriera contro ulteriori misure repressive a danno nostro, e che fra le altre cose è valuta a far rivocar da parte di V. M. e dell'imperatore d'Austria le già adottate eccezionali misure che ferivano il commercio e la navigazione dei due paesi.

La speranza sfumata interamente, delusa l'aspettativa delle varie potenze, sempre più rapidamente ci spingeranno verso quell'isolamento compiuto che ripetute fiate avevam preveduto; fatale sicuramente pei nostri interessi commerciali, e che non può riuscir poi del tutto indifferente per gli stessi rapporti di buona intelligenza ed amicizia con gli altri Governi e massime nelle attuali circostanze in cui la politica è tanto ispirata ed atteggiata dal calcolo degl'interessi materiali.

Ecco il quadro de'  mali incalcolabili che a parer mio, son da temersi laddove non 3i portasse colla possibile speditezza a conchiusione l'affare de'  zolfi e del trattato.

Sommesso che l'ho devotamente alla sovrana considerazione, V. M. col suo sublime cenno si degnerà darvi il valore che creda poter meritare, avendo io la coscienza di aver soddisfatto il debito che la mia posizione mi imponeva, e che tanto meno erami permesso di preterire, in quanto che rotta che fosse nei modi sopra narrati ogni negoziazione con l'Inghilterra, non saprei trovare mezzi onde riuscir a ripigliarla, né saprei vedere come sarebbe più per tornarmi possibile il procurar con successo un qualche accomodamento e ricondurre i rapporti tra le due Corti in su le vie amichevoli.

Difatti, dopo di aver io finora incessantemente assicurato quel Governo della sempre vicina e soddisfacente definizione delle vertenze esistenti, le mie parole ed i miei ufficii non potrebbero ormai più fondatamente ispirare quella fidanza e riscuoter quel credito che son tanto necessari! nel maneggio di somiglianti faccende.

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XXVII.

Rispettoso voto del principe di Cassavo sull'affare dei zolfi di Sicilia 

trattato nel Consiglio ordinario di Stato del 16 mano 1840.

Sire,

La storia delle nostre attuali vertenze con l'Inghilterra venne da me alla M. Y. in tutti i suoi particolari sommessa coll'umile mia esposizione del 15 gennaio di quest'anno.

Per non ripetere inutilmente le cose già dette, aggiungerò qui un duplicato di essa, e V. M. degnandosi rileggerlo ricorderà il sinistro andamento che la faccenda era per prendere in sul cadere del 1838, quando l'Inghilterra reclamava, come in esecuzione del trattato del 1816, l'annullamento del malaugurato contratto Taix,

Ricorderà ben anco come i negoziati da me impresi per autorizzazione e comando di V. M. valsero non solo a rimuovere l'aperto e stringente pericolo di coalizione con l'Inghilterra che ne minacciava, ma si avviavano cosi prosperamente che, revocando V. M. il contratto dei zolfi, ciò che per altro non ancora conveniva farsi per lo bene della Sicilia, andava cosi a render paga la Inghilterra in maniera che, dandosi a lei per concessione quel che poco avanti avea reclamato per un puro dritto, si soddisfaceva alle inchieste di quella Potenza con tutta la dignità di V. M. ed in guisa che non solo ci guarentivamo da ogni pretesa d'indennizzamento pei danni arrecati dal contratto ai sudditi Britannici, ma si poneva a profitto una tal concessione per conseguirsi da noi il trattato di commercio, il cui progetto era stato il 25 novembre del caduto anno preparato tra me e il sig. Mac-Gregor associato al sig. Kennedy incaricato d'affari; trattato che non lascierei mai di chiamare prezioso, stanteché, all'infuora di tanti beneficii che ne prometteva pel giro di 10 anni di sua durata, ci assicurava la rinunzia del 10 per 100 gratuito dopo i 10 anni, e l'annullamento compiuto del trattato del 1816; il quale se sia fatale e vincolante pe' dritti di Sovranità basta a provarlo l'imbarazzo gravissimo in cui nella questione de'  zolfi ci hanno ora sospinto alcuni patti di esso.

Questo piano di cose troppo per noi importante e vantaggioso, avrebbe avuto il suo pieno compimento come tutti i dati facevano fondatamente crederlo, quando si fossero fatte intervenire le decisioni di V. M. immediate, e prima dell'apertura del Parlamento inglese.

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Tranquilla è al certo la mia coscienza per non avere omesso di presentare ripetutamente le cose alla considerazione di V. M. sotto il loro vero aspetto, provocando vivamente e senza posa la speditezza delle sovrane deliberazioni, e per essere già pervenuti alla metà di gennaio senza aver nulla conchiuso, sottoposi alla M. V. la cennata rispettosa mia esposizione con animo di fare tutti aperti i pericoli a cui ci esponeva il nostro procrastinamento. Dissi che il Parlamento andava ad aprirsi il 16 gennaio decorso, che varii indirizzi degl'Inglesi interessati nel traffico de'  zolfi erano preparati per presentarsi a quelle Camere, che quando l'affare non si trovasse ancora definito, il Ministero sarebbe stato chiamato a render conto davanti alla Rappresentanza nazionale, e allora non potendo altramente sgravarsi dell'alta responsabilità che imponevagli questo affare, dovevamo aspettarci a veder rotta bruscamente la negoziazione; che la questione in quel caso sarebbe stata condotta sul piede in cui era nel 1838 ed anche peggiore, poiché da una banda la taccia d'infrazione di trattato (la quale a parer mio non può sostenersi essere priva di fondamento o almeno presenta fortissimi dubbii) era aggravata dall'inadempimento delle nostre promesse, comeché fino ad allora verbali; dall'altra quell'indennizzamento, che si sarebbe schivato colla via delle negoziazioni, non solo non poteva eludersi allorché si tratterebbe di domandare in linea di diritto la cessazione del contratto Taix, ma sarebbe divenuto sempre più rilevante per quanto maggiore è il tempo scorso dall'epoca del contratto sin qui.

E questo è per l'affare dei zolfi; pel trattato non omisi di far presente come, una volta che lo scioglimento del contratto volevasi dagl'Inglesi qual mero dritto, appartata qualunque idea di concessione, mancava il fondamento onde ottenersi dall'Inghilterra condizioni per noi tanto onorevoli e vantaggiose.

Superfluo sarebbe il riprodurre il quadro che pur tracciai delle conseguenze di una collisione aperta coll'Inghilterra quando ci fossimo spinti a questo punto estremo. Adempiendo cosi verso la M. V. a quanto la mia posizione, il dover mio mi comandavano, ardentemente invocava le sovrane risoluzioni colla speranza che fossero arrivate a tempo, ed a tempo pur pervenivano in quel momento.

Ma sventuratamente non indùcendoci ad addottare una decisione, cominciavano bentosto, e man mano, le mie previsioni a diventare verità.

Difatti circa un mese dopo di avere formato la mia esposizione per V. M. mi giungevano avvisi da Londra, con la data del 31 gennaio, che i già preparati indirizzi, di cui si è sopra ragionato, andavansi raccogliendo

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nel Ministero del commercio, ed erano questi coverti da un numero considerevole di firme di negozianti, manifatturieri, e interessati nel traffico in quistione; che il Ministero trepidante per essere da un momento all'altro attaccato nelle Camere, già disponeva le istruzioni da darsi a questo Incaricato d'affari Britannico, non che all'Inviato signor Tempie il quale restituivasi in "Napoli, per reclamare la immediata cessazione del monopolio Taix sull'appoggio del trattato del 1816 colle conseguenze tutte di un'infrazione di trattato; che già parlavasi di ricorrere a mezzi di coercizione in caso di rifiuto dal nostro canto.

Avvertito di tutto ciò, avanti che qui arrivassero le cennate istruzioni alla legazione Britannica, non lasciai di supplicare efficacemente V. M. perché, quando fosse stato possibile, si fosse ancora tentato di prevenire il pericolo che ci sovrastava di vedere in un punto compromesso il frutto delle nostre combinazioni, e delle nostre incessanti fatiche.

Ma dal 28 gennaio, giorno del primo Consiglio de'  ministri, in poi, tutto il tempo è stato assorbito da discussioni nel Consiglio stesso, ed in quello di Stato senza venirsi ad alcun decisivo partito. Intanto il signor Kennedy riceveva da Londra, e mi comunicava in copia, il tenore delle istruzioni colla data del 28 gennaio direttogli da lord Palmerston. In esse esprimendosi il timore che lo scioglimento del contratto de'  zolfi si fosse indefinitamente prolungato, incaricavasi la Missione di provocare prontamente misure atte ad assicurare ai sudditi Britannici il pieno godimento delle stipulazioni del trattato del 1816, violate con quel monopolio e soggiungendosi che siccome, stante la gravità del danno cagionato ai mercanti Britannici, l'affare sarebbe stato tosto portato alla discussione del Parlamento, a meno che il governo Britannico si fosse posto nel grado senza dilazione qualunque di annunziare al Parlamento di essersi imposto termine al monopolio, il Governo stesso sarebbe stato costretto di adottare misure che sarebbero state molto increscevoli, e poco di accordo colle amichevoli relazioni che si desiderava veder sussistere tra i due Paesi; si conchiudeva protestando per la pecuniaria responsabilità che il Governo di Napoli sta incorrendo verso la Gran Bretagna a causa delle perdite sofferte dai sudditi Britannici per quel monopolio, ingiungendosi finalmente al sig. Kennedy di mandare a me copia del dispaccio e domandarne una immediata risposta.

Un mese di tempo trascorso senza alcun frutto aveva già cominciato ad alterare la nostra bella primitiva posizione.

Io scorsi da lungi la procella ch'era prossima a sollevarsi nelle Camere inglesi, valutandone le conseguenze; e vidi ancora quali sgradevoli effetti

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 avrebbe potuto produrre la presentazione della nota del sig. Kennedy nei termini sovra espressi. Rivolsi dunque le mie cure a questo ultimo oggetto, sul quale solo la mia opera poteva esercitarsi. Mi sforzai e riuscii non senza difficoltà a far ritirare la nota al sig. Kennedy ed attendere alcuni giorni, e il 23 febbraio, giusta l'autorizzazione di V. M. gli diressi in forma confidenziale la nota comunicazione con cui lo assicurava che l'affare dei zolfi era risoluto, e che V. M. non lo aveva fatto che per deferenza per l'Inghilterra. (Se ne allega la copia).

Dopo quella comunicazione attendeva la Legazione da un momento all'altro la pubblicazione della revoca del contratto, e la cessazione effettiva del monopolio. Ma l'avviamento dato all'affare era ben lontano dal menare a cotal desiderato risultamento.

Giungeva in Napoli, alcuni giorni dopo la lettera da me diretta al sig. Kennedy, l'Inviato Britannico coi precisi ordini del suo governo per far cadere il monopolio degli zolfi, ed anche da lui ottenni di sospendersi per qualche settimana la comunicazione nella speranza di vedere in tale intervallo seguita la definizione della faccenda.

Cominciavano già le interpellazioni nelle Camere, come si era preveduto, e lord Palmerston nella Camera de'  Comuni ebbe luogo a qualificare il contratto de'  zolfi, come fatto interamente in violazione del trattato del 1816. Dopo di ciò, e in sul punto in cui inevitabile, imminente mi si offeriva la presentazione della nota da parte del sig. Tempie, gemendo profondamente sullo sfavorevole aspetto preso dalla faccenda, formava nel Consiglio de'  Ministri degli 11 andante il voto che in copia qui unisco, e col quale dimostrando come ogni giorno che passa rendeva con una gigantesca proporzione peggiore la nostra posizione, esternava il mio avviso per lo immediato scioglimento del contratto, e protestavami additando quali sarebbero state le incalcolabili conseguenze o di un nostro rifiuto in risposta alla nota che non potea più mancare di avanzarsi (rifiuto contrario alle assicurazioni prima verbali, e poscia anche scritte) ovvero di un'indefinita dilazione nello scioglimento del contratto.

Le discussioni in Parlamento non si arrestarono però alle laconiche interpolazioni dirette a lord Palmerston, ed alla sua risposta.

Nella Camera dei Pari calda polemica veniva promossa da lord Lyndhurst, che sull'appoggio di varie petizioni attaccò vivamente il Ministero britannico, per non avere in tutto questo tempo provveduto a far cadere il contratto de'  zolfi, sancito in manifesto disprezzo del trattato del 1816.

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Si meravigliò come nelle trattative fatte in Napoli dal signor Mac-Gregor avesse potuto farsi entrare a parte di un trattato la cessazione di quel monopolio, cosa per sua natura tale da non poter dar luogo a negoziazioni o transazioni, ed insisteva principalmente sull'indennizzamento de'  sudditi britannici, che era calcolato a 1000 lire sterline per giorno. Alle quali cose lord Malbourne sollecito di sgravarsi, come era naturale, dalla gran responsabilità che correva il Ministero, rovesciò tutta sul negoziatore Mac-Gregor la colpa di avere introdotto nel trattato clausole per lo scioglimento del contratto, procedendo senza istruzioni, e terminava assicurando che il Ministero assumeva sopra di sé il far eseguire il trattato del 1816.

Sotto l'impressione della viva polemica che agitavasi nella tribuna inglese, questo Inviato signor Tempie non ha creduto potersi ulteriormente dispensare dal passare la nota, e lo ha fatto il 15 stante, accompagnandola di un suo uffizio che qui aggiungo, colla quale dice che il sig. Kennedy sospese l'ufficiale comunicazione di quel dispaccio nell'intelligenza che la necessità di presentarlo appariva cessata, tostoché l'oggetto domandato era sul punto di essere volontariamente conceduto da S. M. siciliana.

Essendo però scorso circa un mese senza che si fossero recate ad atto le assicurazioni onde fu sospesa la presentazione del dispaccio, doveva egli darvi corso, lusingandosi che un'immediata soddisfacente risposta del reale Governo prevenisse di porre il Governo di S. M. britannica nella spiacevole necessità di ricorrere alle serie misure che gl'incumberebbe di prendere se non si mettesse immantinente fine al monopolio de'  zolfi.

Rassegnato oggi l'affare alla M. V. nel consiglio ordinario di Stato, si è discusso a quale de'  due partiti convenisse appigliarsi; resistere all'Inghilterra, ovvero accedere alle di Lei richieste. Le ragioni che si sono svolte in sostegno della prima delle cennate opinioni, di doversi cioè resistere, sono:

1° Che il cedere, da un canto recherebbe uno scapito sommo alla dignità e considerazione del real Governo, e dall'altro si esporrebbe a nuove rinascenti e maggiori esigenze dell'Inghilterra, alle esigenze ancora, comunque esagerate, di altre potenze che non mancherebbero di scaturire dato una volta l'esempio di debolezza dal real Governo.

2° Perché, ritenuto pure che le minacce venissero recate ad atto, il che non vuolsi avere per sicuro principalmente dopo il fatto della comparsa davanti la nostra rada de'  legni francesi comandati dall'ammiraglio Lalande, non v'ha poi da spaventarsi delle misure ostili

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 che si preveggono, cioè del blocco dei nostri porti, e della cattura de'  legni mercantili. Di fatti, quanto al blocco, si è divisato che, stante la estensione delle nostre coste, alla Inghilterra difficilmente sarebbe riuscito di effettuarlo. Che anche effettuandolo, lungi dal recar danno frutterebbe alle nostre industrie, poiché, chiuso l'accesso alle mercanzie straniere nei porti del regno, le prime verrebbero a prosperare esimendosi da una concorrenza ad esse nocevole.

Per ciò che attiensi alla cattura de'  legni, o troverebbero essi il modo onde tirarsi d'imbarazzo il meglio possibile, o in ultima analisi, se i proprietarii ed interessati avran mestieri del soccorso del Governo, la finanza che nei tempi ordinari intende a risparmiare, in una circostanza straordinaria impiegherà a quest'oggetto le sue risorse.

Mi conceda V. M. di sommetterle alcune mie devote riflessioni sugli enunciati motivi allegati in favore di una risoluzione in senso ostile.

Non sono io men caldo di quello che lo è V. M. medesima per il prezioso decoro della sua real Corona; ma credo che il vero modo onde custodire incolumi il decoro e la riputazione di un Governo, e preservarli da ogni compromissione, stia principalmente nell'usare verso le altre potenze tutti i riguardi e tutti i rispetti compatibili colla propria indipendenza e dignità; saper coltivare i sentimenti di amicizia e benevoglienza delle principali potenze, ponendo ogni studio per ischivare tutte le occasioni che possono ferire i loro interessi vitali, e provocare collisioni. Così, a forza di essere religioso e cauto nel rispettare gli interessi altrui, si viene a riscuotere il rispetto de'  proprii ed a mettersi per questa via al coverto di esagerato pretese e strane esigenze. 

Che se pur talvolta avvenisse che si elevino motivi di divergenza, intendersi, ravvicinarsi, venire ad equo accomodamento riesce agevolissimo ove la buona armonia ed una sincera concordia anima le due parti. Oltre di che, un procedere saggio come questo serve ancora ai dettami di una sana politica, che nella incertezza degli avvenimenti e delle circostanze, che da un momento all'altro possono sorgere in Europa, il buon umore, o il mal umore di una grande potenza può influire notabilmente sui destini di uno Stato come il nostro; massime queste che, se si fossero avute presenti quando si proponeva il contratto de'  zolfi, avrebbero sicuramente tracciato il giusto sentiero da non esporre a repentaglio la dignità del real Governo.

Prescindendo poi dalle cennate riflessioni, parmi che anche affrontando tutti i disastri e pericoli di una lotta con l'Inghilterra, allor solo potrebbe essere assicurato il decoro della Corona quando

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si pervenisse, o a vincere e farsi giuoco de'  mezzi coercitivi dell'Inghilterra, o quando questa si limitasse a mere dimostrazioni ostili, senza venire a vie di fatto, e per conseguenza retrocedendo davanti l'attitudine decisa del real Governo: ciò, malgrado il tenore delle officiali note avanzate dal Governo britannico a questa real Corte, malgrado i termini espliciti, onde il ministero inglese davanti il Parlamento ha assunto il carico di far cessare il monopolio.

Ma il primo caso, stante la immensa disparità di forza che separa i due Stati, è interamente chimerico, e non oserebbe pur lusingarsi alcuna delle più grandi potenze marittime di un resultameuto favorevole in una guerra che intraprendesse coll'Inghilterra.

Per ammettere la seconda ipotesi bisognerebbe obbliare il carattere positivo, i principii della formidabile Albione, l'interesse ch'ella deve avere a conservare la superiorità di forza marittima, non meno che il suo ascendente morale, tanto necessarii alla sua esistenza ed allo equilibrio europeo.

La lotta dunque essenzialmente ineguale non potrà avere che alla fine un esito disfavorevole pel governo di V. M., ed allora sì che costretti a piegarci alle esigenze dell'Inghilterra, le quali potranno non avere confini, subiremmo in tutta la estensione, e dandoci, in spettacolo a tutto il mondo, quel disdoro appunto che si vorrebbe ora schivare, soggiacendo tra le altre cose alla severità dei giudizii altrui che c'imputerebbe a colpa il non avere evitata una contesa nella quale non ci risparmieranno la taccia del torto dal nostro lato, e di poca lealtà; cose che realmente comprometterebbero il credito del Governo in faccia a tutta l'Europa.

3° Per ciò che concerne il blocco, rifletterei in primo luogo che nella lunghezza delle coste dei reali dominii non potrei che ravvisare maggiore probabilità di costituirsi un blocco da parte di una potenza come l'Inghilterra.

Inoltre, circa la opinione di credersi il blocco profittevole alle nostre industrie, noterei rispettosamente che mi paiono esse troppo insignificanti, perché si possa loro con giustizia, e con sano consiglio sacrificare tanti e più rilevanti interessi del paese, e di un paese principalmente agricolo. Che quando non prosperano coi dazi attuali, già gravissimi, il divieto assoluto pei generi esteri non sarà per operare mai l'incremento di quelle nostre industrie, che non abbiano veri elementi di vita e di progresso. Oltre di che come potranno prosperare queste industrie, quando con la chiusura de'  porti s'interdica loro l'acquisto di tante materie prime che si tirano dallo straniero?

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Dunque il blocco non può giovare alle industrie, ma può e deve ledere incalcolabilmente tanti altri interessi. Di fatti il fermarsi l'ingresso alle manifatture estere priverà il Governo della vistosa rendita doganale. Il traffico arrestato farà ristagnare l'esportazione del superfluo di tutti i ricchi prodotti agricoli del regno; quindi calamità pei proprietarii, e difficoltà conseguentemente nella percezione dell'imposta fondiaria.

Non saprei inoltre come, in ordine alla cattura de'  nostri legni, a questi riuscir possa lo schermirsi sì agevolmente dal cadere nelle mani de'  navigli inglesi, le cui flotte ricoprono per dir cosi tuttala vastità de'  mari, né, secondo me, per quanto fiorente esser potesse lo stato delle nostre finanze, è da credersi che senza colossali sacrifizi e senza forte scossa possa il real Governo sopperire alle immense spese, pagamenti e perdite di una lotta di tal natura.

Ma finalmente, oltre i mali inevitabili, e al certo assai gravi risultanti dal blocco e dalla cattura de'  nostri bastimenti, quanti altri mali non men calamitosi non può trascinar seco somigliante collisione, tra quali vi ha quel pericolo già additato e da non disprezzarsi per la Sicilia?

Nè tra le tante complicazioni ed eventualità, le quali non è dato prevedere, è impossibile ancora che, laddove si spingessero troppo oltre le ostilità reciproche, veggansi gli Inglesi a danno della nostra squadra rinnovare i disastrosi avvenimenti di Trafalgar, di Copenague e di Navarino.

Riassumendo quindi le cose svolte dianzi, non meno che nella esposizione del 15 gennaio, e nel parere degli 11 andante sulle conseguenze di una collisione con l'Inghilterra, e restringendoci alla ipotesi delle ostilità che non trascorrano oltre il blocco dei porti delle Due Sicilie, e la cattura de'  legni di real bandiera, io diviso che la vertenza in ultima analisi terminar debbe con non lieve disdoro di V. M., oltre i danni immensi che dovrà causare al commercio, ai proprietari, alla marina mercantile, ed alla finanza i cui sacrifizi potrebbero diventare ingenti non meno per gli effetti e per le spese di una guerra, che per le esigenze e svariate indennità, le quali potranno ripetersi dall'Inghilterra, il che all'infuora di gravare di novelle obbligazioni il R. Tesoro, potrebbe per ultima conseguenza spingere forse il Governo nella sgradevole necessità di ricorrere ad ulteriori imposte a carico de'  sudditi di V. M.

E qui infine vorrei supplicare la M. V. rispettosamente perché si degni ancora por mente alla responsabilità che pesa sul real Governo, per le conseguenze e pei mali a cui il Regno e i suoi sudditi sono esposti per uno stato di ostilità che può riguardarsi sfornito dell'appoggio

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 di una luminosa incontestabile giustizia e di un imperiosa necessità, che sono i casi ne' quali uno Stato può, e debbe talvolta sfidare impavido il confronto di forze comunque superiori, anche forse nella fiducia di rimanerne vittima.

Sommesso che ho rispettosamente a V. M. il quadro come che abozzato delle conseguenze a cui ne menerebbe il primo de'  due partiti che è quello di resistere alla Gran Bretagna, mi rimane a discorrere dell'altro che tende a comporre con Lei amichevolmente ogni controversia.

In quanto a me non posso dissimulare che la posizione delle cose, quale oggi è divenuta, non è tale da rendere possibile un accomodamento con tanto decoro di V. M., con tanta utilità del paese, e senza incorrere nella eventualità dello indennizzamento, come sarebbe riuscito due mesi fa, ed anche un mese forse.

Ma, per quanto si potessero esagerare questi inconvenienti, costituirebbero un male senza comparazione, e sotto tutti i rapporti più lieve di quello che si affronterebbe col partito violento cui voglia ricorrersi. Or nell'alternativa di due mali inevitabili, la saggezza non esita punto pel partito da abbracciarsi, quello cioè che trae seco il minor danno possibile.

Il che premesso, sono di rispettoso avviso che debba comporsi la faccenda con l'Inghilterra il meglio che ne riesca nello stato attuale, senza scostarsi dai procedimenti amichevoli, e che quindi la M. V. dando compimento alle promesse che non potrebbero onorevolmente ritrattarsi, dovesse decidersi pel pronto scioglimento del contratto Taix, nei modi da me indicati nel parere degli 11 stante, facendo rispondere all'Inghilterra che, fedele la M. V. alle assicurazioni date prima di riceversi la nota del signor Tempie, avrebbe tra un numero di giorni, che potrebbe definirsi, ripristinato il libero commercio de'  zolfi di Sicilia, e ciò nello interesse del suo paese non meno, che per deferenza per l'Inghilterra, e non per infrazione del trattato; che se dal real Governo si fosse menomamente riconosciuta, la M. V. nella sua religiosità sarebbesi astenuta di sanzionare il contratto.

Bisognerà non pertanto attendersi alla eventualità dell'indennizzamento, e potrà essere questo un punto da trattarsi, ben inteso, che qualunque sia la perdita che incontrar possa il Governo (posto pure che non si riuscisse ad esimersene) sarebbe sempre un sacrifizio minimo rimpetto a quelli che si subiranno per effetto di una aperta collisione.







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