Grazie al professor Giuseppe Tizza, nativo di Niscemi in Sicilia e residente a Düsseldorf dal 1970, che ne sta curando la traduzione in italiano, rivive un interessantissimo libro sulla Sicilia e il Sud-Italia pubblicato nel 1962 in tedesco, che non si trova più in commercio neanche nella versione originale!
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Premessa Capitolo quinto
|
Allorquando lo sviluppo storico del Suditalia
ebbe
raggiunto il punto in cui si iniziò a parlare di un ‘Regno
delle Due Sicilie’,
si erano focalizzati in questa regione due punti che concentravano in
sé
unificavano tutto ciò che distingueva i due paesi l’uno
dall’altro: Napoli e
Palermo.
Tutte e due si trovano su golfi dello stesso
Mar
Tirreno, si guardano per così dire in faccia a vicenda a pelo
d’acqua.
Palermo è distesa pacifica sulla
pianura laddove la
Conca d’Oro innaffia la propria fertilità grazie una
pendenza naturale. Tutte
le strade della conchiglia d’oro raggiungono Palermo. Ad ovest
della città si
erige la figura tranquillo la figura architettonica del vecchio Monte
Pellegrino, ad est scorre l’amorevole catena che circonda la
Conca d’Oro, fino
oltre a Capo Zafferano. Aria tiepida e morbida soffia sulla
città e un gioco
infinitamente tenero sempre in movimento scioglie tutto ciò che
vi è di solido
nelle sue metamorfosi fino a quando il velo blu della sera ricopre le
immagini
della giornata. Una mesta malinconia si diffonde su tutto, sotto il cui
sipario
risuscitano visioni antiche.
Napoli si innalza sontuosa come un teatro su
per le
alture. E veramente ogni giorno sotto gli occhi
dell’osservatore che
guarda dal di sotto, da Posillipo verso il golfo, si compie il
più spettacolare
e grandiosa commedia che sia possibile immaginare. A sudovest si
innalza il
cono fumante del Vesuvio, su quale si erge la nuvola di vapore che va
mutando
forma e colori, in lontananza le montagne immobili movimentate della
Penisola
Sorrentina con la loro punta staccata di Capri, che punzecchiano
l’acqua
luccicante. Dall’altra parte si guarda giù nella grande
voragine piena di
crepacci di Bagnoli. Dietro ci sono i Campi Flegrei spifferanti
perennemente
zolfo e tremolanti come un vulcano. Il Golfo di Pozzuoli si estende
fino ad
arrivare alle colline che si allungano sul capo Misero. A chi in una
calda
giornata d’estate, quando l’odore dello zolfo più o
meno impregna ogni cosa, va
per le vie d Napoli, non viene risparmiato nessuno dei suoi sensi dal
focosamente movimentato e rumoroso spettacolo. Gli stessi colori del
cielo e
del mare sono legati a molto rumore interiore. A Palermo però la
confusa
convivenza viene raggiunta nell’auscultare silenzioso e
immedesimato.
Alla settentrionale cornice vulcanica di
zolfo di
Napoli fa parte strettamente il suo margine meridionale calcareo, la
penisola
di Sorrento. È come se qui un esercito di Titani, spinti
l’un l’altro avessero
spinto le proprie teste fuori dalla terra e avessero pagato il loro
ardire con
la pietrificazione. Stretti e selvaggi gole sono squarciati fra le
teste
sovrapposte l’una all’altra e fiumiciattoli selvatici
tempestano al suo suolo
verso il mare. Enormi grotte si aprono dai teschi spaccati dinnanzi al
viandante, che spaurito guarda, allorquando d’improvviso sente
penetrare in se
l’onnipotenza vacua delle grotte. Alcune di queste incavature,
che
dall’onnipotente abbassamento della costa hanno immerso la loro
base nel mare,
sono però impregnate di una fantastica bellezza. La luce azzurra
o
verde-bluastra che salendo dal mare illumina le stalattiti delle volte
dei
soffitti e delle pareti, riempie di una bella vita magica la notte
della notte
interiore della montagna. È come se gli innumerevoli organi di
stalattiti
suonassero silenziosi nella luce scintillante. Paesi e città
lungo la costa di
questa penisola sembrano secrezioni cristallizzate delle montagne.
Amalfi ed
altri luoghi sono attaccati alle montagne in modo tale che i muri
posteriori delle case in basso servono da fondamento per le facciate di
quelle
più in alto. All’interno di questi ammassi di case e
casette si dirama un
sistema di scale e di viottoli all’interno delle grotte che
servono come
strade pubbliche. Anche questo è parte della montagna
scavato, come anche
tutte le tante volte che vengono preferite ad ogni altro elemento
portante.
l’abitante di Napoli ha molto in sé di ciò che la
natura gli messo attorno. La
su allegria è così spumeggiante come i colori della sua
estate e la tristezza
così vuota di speranza come i grigi giorni piovosi. Getta la sua
rabbia con una
imprevedibilità fuori
di sé come le fumarole di Pozzuoli gettano il loro
fumo e si ammuffisce in caparbietà come le teste di calcare del
promontorio
sorrentino. La benevolenza del napoletano è spensierata. Egli
non cerca di
portar danno ai propri simili, ma quando ha raggiunto i suoi scopi, non
si
lascia disturbare il suo appagamento per nulla dal fatto di avere
procurato un
danno agli altri. La propria caratteristica è di una così
ovvia importanza, che
a lui il pensare agli altri gli sembra inutile e privo di senso.
Ciò si manifesta a chiunque in maniera
molto evidente
nel rapporto dell’uomo con determinate categorie di animali.
Dove nel mondo oltre che a Palermo si vedono
asini di
fruttivendolo che sotto il sole portano dei cappelli di feltro o di
paglia? ‘ e
il diritto di domicilio di questi simpatici animali supera i confini
del
credibile. Cavalli, muli e asini godono in Sicilia di una cura per
molti versi
eccellente, che a volte è anche commovente.
200
Anche l’equipaggiamento degli animali e
dei carri è
una testimonianza della sensibilità del Siciliano con
l’ambiente. Pianta sulla
testa e sulla groppa del cavallo ciuffi di penne rosse, tempestati di
piastrine
scintillanti e di specchietti luccicanti e quantità innumerevoli
di
campanelline suonano ad ogni passo dell’animale. I carri sono, di
sotto e di
sopra, in posti visibili ed invisibili, sono ricoperti di pitture e da
intarsi,
le ruote a forma di soli che rotolano.
E le armi valli a prendere ad Argos, i carri
da Thera,
ma vai a prenderti il carro
dalla fertile Sicilia
canta già Pindaro (Hyporchema, 106, 5
ff.)
Nei colori gialli e rossi, nei suoni delle
campanelline il Siciliano vuole rendere visibile e ascoltabile,
ciò che lui in
semicoscienza sente: per lui il mondo non termina laddove
l’occhio esteriore
arriva ai confini esteriori. Lui sente un intero mondo elementare in
aggiunta a
quello visibile, quando va per la terra baciata dal sole.
In
confronto ai carri leggeri e soleggianti dei Siciliani i
carri
napoletani colorati di rosso sono dei veri mostri che minacciano di
schiacciare
gli animali sotto il loro peso. Inoltre gli animali da tiro di questi
carri
sono nella maggior parte dei casi delle figure di martiri. Certamente
ci sono
anche a Napoli numerosi proprietari, per cui il cavallo viene subito
dopo la
propria persona, prima ancora della restante famiglia. l’ultimo
elemento della
catena è naturalmente la ‘moglie’, la propria donna.
Sulla penisola sorrentina,
dove i paesi di montagna lassù ù sono incollati alle
ripide teste delle
montagne, tanto da essere raggiungibili solo attraverso le scale con
centinaia
di gradini, là è troppo anche per il paziente asino
portare in alto i carichi
delle cose di cui l’uomo ha bisogno per il suo sostentamento:
allora tocca alla
donna, di aggiungere la sua professione alla propria. Si può
vedere
giornalmente come ragazze e donne salgono per le scale portando letame,
botti,
brocche, sacchi e altri pesi, mentre gli uomini camminano accanto o
seguono
dietro, avendo come unico peso un fazzoletto colorato sulla spalla.
Nel Siciliano invece rivive al contrario il
Cavaliere
delle crociate. Alla fin fine lui vuole che la donna, che lui nelle
cose di
questo mondo come supera uomo, gli sia da ideale come animo puro ed
elevato. In
Sicilia vige ancora oggi la tendenza a tenere lontana la ragazza dai
ciò che
altrove viene chiamata ‘vita’. Anche durante il periodo che
precede il
matrimonio viene salvaguardata con molta attenzione. Il matrimonio con
una
vedova sembra per il Siciliano qualcosa di così ridicolo, cosa
che può essere
solo un teatro e niente di vero. E difatti le donne tenute così
in disparte,
quel qualcosa che alle altre è andato perduto in cambio di una
ulteriore
esperienza di vita.
201
Come tutela della gioventù femminile
in Sicilia non ha
le stesse radici della sottomissione della donna all’interno del
popolo
napoletano, così deriva da motivi del tutto contrastanti
un’altra evidente
fenomeni delle Due Sicilie al di là e al di qua del faro.
Può succedere ad uno nel napoletano
che si può
arrivare da un paese all’altro attorno ad una testa di roccia,
senza ce
l’occhio possa riscontrare delle differenze fra i due e
ciononostante si sente
che si è è saltato il burrone: improvvisamente ci si
ritrova fra un altro tipo
di persone, che vanno incontro ad uno in modo diverso, che hanno un
altro modo
di camminare e che guarda al mondo in modo diverso. Stretti l’uno
accanto
all’altro i paesi possono mantenere le proprie
particolarità e stranezze.
Qualcosa del tutto simile sembra mostrarlo
anche la
Sicilia: una indescrivibile suddivisione in classi, quartieri, devoti
di
determinati santi, sottodivisioni all’interno delle professioni,
in uomini di
terra e di mare. Una innumerevole quantità di graduazioni, fra i
quali è
escluso un rapporto intimo, solca per intero il popolo.
Si è tentati di dire, che almeno lo
stesso spirito del
frazionamento domina le due così diverse Due Sicilie.
Però ad uno sguardo più
approfondito questo giudizio si dimostra un grande illusione. Troviamo
due
spiriti del tutto contrastanti come causa di quello che sembra del
tutto lo
stesso fenomeno.
In Sicilia è un estremo conservatorismo
che mantiene le persone sul gradino una volta raggiunto. È
presente un
incredibile senso fine per graduazioni gerarchici e il passaggio da
ordine
gerarchico all’altro è, a seconda della direzione, un atto
frivolo o un
lasciarsi andare.
Dall’altra parte però, nell’altra Sicilia, lì sono le liti interne, che producono il frazionamento. I simili si guardano in faccia da nemici per uno smisurato volere essere se stessi. Ognuno vuole significare un mondo, prima che abbia raggiunto la piena forza per tale scopo. Con tutt’altri sentimenti che a Palermo viene osservato il benestante nella zona di Napoli. Qui si viene costretti dall’esterno ad accettare dei gradini gerarchici. Interiormente ci si ribella contro, perché si cercano le cause solo negli aspetti esteriori.
Il vero mendicante napoletano non è
uno che si ritiene
sconfitto al destino, un asceta simile al fachiro
come il Palermitano, bensì incalzerà con la stessa
assenza di timidezza un
prete come il miglior primo sconosciuto.
Queste differenze, che ancora oggi per
così dire si
possono trovare per strada non possono essere trascurate
nell’osservazione del
passato storico. Esse gettano una luce in tutta la storia fino a quel
momento
in cui cessa e scompare nel buio. Ma anche questo buio ci aiutano
a
schiarire per un ulteriore pezzo e per rendere più comprensibili
alla nostra
coscienza le saghe che risalgono alla preistoria.
202
Già nei primordi dei tempi troviamo la
Sicilia
insulare come una unità, ma con due poli. Occidente ed oriente
rimasero dei
contrapposti fino ad oggi. Però era sempre un barcollare di qua
e di là delle
due forze polarizzanti all’interno del tutto.
Nel primo periodo storico vero e proprio sono
i Greci
a formare l’elemento culturale orientale e i Cartaginesi quello
occidentale,
Fra di essi ci sono i mediatori Elimi e tutti quanti vivono sul
territorio dei
popolo indigeno dei Siculi. Allorquando questo primo periodo ebbe
raggiunto il
suo apice, si impose una cultura unitaria nell’intera isola. La
popolazione sicula
come le città cartaginesi avevano accettato la cultura greca. Ma
le antiche e
profonde caratteristiche rimasero e l’inizio della paralisi della
forza
creatrice greca fu l’inizio delle perenne lotte interne, che come
un alternarsi
di alti e bassi delle due forze polari del paese crescevano e
diminuivano.
In modo del tutto diverso si sviluppò
questo stesso
periodo dall’altra parte dello stretto di Messina.
Anche qui c’erano due poli della
colonizzazione
orientale, ma da ambo le parti vi si trovavano dei Greci, ma non
curavano
nessuna comunione fra di loro. A nord, presso Kyme ‘la Cuma dei
Romani’ - nei
tempi preistorici, secondo l’antica tradizione greca
all’incirca
contemporaneamente alla colonizzazione fenicia in Sicilia -
all’incirca nel XII
secolo, avanti Cristo, si erano stabilizzati dei coloni greci di
Euboia. Questi
fondarono da parte loro Partenope nel luogo in cui oggi si trovano i
quartieri
più vecchi di Napoli nei pressi del castello dell’Uovo.
Stranamente si verificò
il caso strano, che la città madre non solo sottomette la
propria fondazione,
ma addirittura la distrugge completamente ‘ secondo quanto si
tramanda, perché
questa iniziò a fiorire un po’ troppo. Secondo un verdetto
dell’oracolo delfico
i Cumani fecero sì che rinascesse una accanto a quella distrutta
e la
chiamarono Neapolis. I Sanniti, che avevano fatto di Napoli loro
città,
costruirono al posto di Partenope una città, alla quale diedero
il nome
Palaiopolis. Le due città si unificarono più tardi in
un’unica città con una
magistratura mischiata. Kyrkeis, la città della maga descritta
da Omero, Kyrke,
era anche in questa regione, che trasbordò l’antica forma
di culto della
sibilla in tempi posteriori.
Contemporaneamente ai fondatori delle
città siciliote
l’oracolo delfico inviò altre Greci sulla costa del mare
Ionio, dove sorse una
corona di città italiote, che diedero origine alla Magna Grecia.
Queste prime
città fondarono a loro volta delle loro città sulla costa
del mare Tirreno, di
cui la sibaritica Poseidonia era quella più a nord. Questa
città, chiama dai
Romani Paestum, rimase il confine della Magna Grecia.
203
La vecchia Kyme con la sua sfera di influenza
rimase
al di fuori, una regione a parte con una cultura più antica
fondata su forme di
cultura afroditiche antiche. Le sue relazioni con le popoli parenti, ma
di
regioni di cultura straniera della Magna Grecia rimasero in senso
amichevole
che di nemici rimasero senza un minimo significato. Neanche una volta
il mondo
greco di per sé, ancor di meno la confusione delle disparate
coalizioni del
Suditalia si incanalò in uno sviluppo contemporaneo come la
contemporanea
Sicilia.
Addirittura il concetto di ‘Magna
Graecia’ rimase un
semplice nome, tutto il territorio non poté mai organizzarsi in
un'unica
essenza. Nessuna Siracusa come guida o dominatrice riuscì a
formarsi come unico
luogo. Ogni singola città avevo impiegato la massima
perspicacia, a far valere
il proprio essere per quanto più possibile. Immortale e noto in
tutto il mondo
è divenuta la relazione fra Crotone e Sibari, che vennero
fondate
contemporaneamente da coloni della stessa stirpe e inviati dallo stesso
oracolo. Alla futura Sibari, come alla città di Siracusa ancora
da fondare, era
stato profetizzata ricchezza, mentre a Crotone salute, pregi che in
seguito si
svilupparono fortemente. La smisurata ricchezza di Sibari divenne
proverbiale
come la salute di Crotone. Questa si diffuse nel mondo con la sua
famosissima
scuola medica e si manifestò nelle sue vittorie olimpiche,
il cui numero
superò quello di tutte le altre città. Fra di essi il
più grande fu il
pitagorico Milone.
Nonostante le qualità con le quali
eccellessero le due
città non si disturbassero in nessun modo, bensì potevano
completarsi,
l’inimicizia fra i vicini era incomprensibile e incontenibile.
Quando nel 510
un numero di Sibariti non volle tollerare la tirannide imposta da
Thelis, se ne
andarono a Crotone e trovarono protezione dai Pitagorici. Thelis
pretendeva la
consegna dei concittadini, ma i Crotonesi mantennero i comandamenti
dell’ospitalità. Nella guerra che ne derivò ai
Sibariti fu fatale il loro
stesso lusso: all’inizio della battaglia nelle fila dei Crotonesi
echeggiò la
musica con la quale i cavalli dei Sibariti avevano imparato a danzare.
Crotone
vinse l’esercito dei vicini e dopo due mesi di assedio distrusse
la loro città.
I Sibariti cercarono di trovare rifugio nelle loro colonie nel Mar
Tirreno, ma
l’odio dei Crotonesi era cosi insaziabile, che i
perseguitati non
poterono godere pace da nessuna parte. Dopo decenni di vagabondaggio
cercarono
aiuto ad Atene.
Pericle cercò in questa occasione
cercò di fondare una
città panellenica e invitò tutte le stirpi, a partecipare
alla comune opera. La
fondazione avvenne veramente e precisamente con la partecipazione di
dieci
stirpi. La città venne impostata del tutto secondo i nuovi
principi
dell’urbanistica, secondo cui le arterie stradali vennero tirate
dritte e si
incrociavano in angoli retti. Ottenne anche il primo codice di leggi
astratte
dell’antichità. Protagora di Abdera compose per la nuova
Sibari una specie di
codice, un filtrato costituito dalle legislazioni preesistenti delle
città
greche. ‘ A questo stesso periodo faranno risalire più
tardi i Romani l’origine
della loro raccolta di legge più ù antica, la legge delle
dodici tavole.
Al nuovo spirito, che si manifestò in
tutto ciò,
mancava però la forza a tenere insieme le dieci stirpi. La lite
che ne scaturì
fu calmata per un bel po’ dall’oracolo di Delfi, il quale
disse ai cittadini
che a nessuna delle stirpi spettava la supremazia della città e
che Apollo
stesso era il signore della città. Ma i Sibariti di prima non
abbandonarono mai
il parere che a loro, in quanto indigeni dovessero spettare certi
privilegi. Le
altre stirpi che non volevano tollerare un punto di vista del genere,
lo poterono
annientare gettando fuori dalle mura chi la pensava in questo modo.
Questi
fondarono una terza Sibari che non arrivò ad assurgere ad alcun
significato.
Thurioi stessa, perché così da
adesso in poi la
fondazione di Pericle, avvenne ad una lotta interminabile con le
entrambe le
grandi città vicine, Crotone e Taranto. Crotone, dal canto suo
in perenne lite
con Locri, era andata entrata in decadenza. La decadenza aveva preso
presto il
suo avvio subito dopo la distruzione di Sibari, quando sotto la guida
del rude
Kylon il popolo basso non volle più sopportare la supremazia
della aristocrazia
spirituale dei Pitagorici e li scacciò. Ciò avvenne nel
tempo in cui Pitagora
soggiornava nell’Asia Minore a Pherkydes. Gli ultimi due decenni
della sua
lunga vita li trascorse il saggio a Metaponto, in una casa che dal
popolo
ricevette il nome di ‘tempio delle muse’.
Taranto, la città degli spartani
Parthenoi, divenne
l’epicentro dei Pitagorici sotto Architras, amico di Platone e
contemporaneo
del siracusano Dionisio. Questo pitagorico, eccellente nel contempo
come
filosofo, fisico, uomo di stato e comandante, porto Taranto alla
massima
fioritura sotto la sua dominazione. La fama di Taranto come ricca,
altamente
colta città assurse a quella della vecchia Sibari, ma la sua
nomea come
cultrice delle arti e delle scienze superò quella di tutte le
altre città
italiote. Eppure poco anch’essa come la a lei nemica Thurioi
poté decidersi ad
appoggiare la federazione delle città achee, che si era composta
per la
necessità dei tempi.
Diversamente dai Siculi in Sicilia gli
abitanti
indigeni del Suditalia avevano conservato un forte senso di
indipendenza, che
si mostrò poco incline all’Ellenismo e formo una crescente
minaccia per le loro
città. Mentre la forza del mondo greco nel IV secolo si
disfaceva velocemente,
si svegliava l’attività delle antiche stirpi dei Sanniti,
dei Satelliti, Butti
e dei tirreni Etruschi, che inghiottirono a poco a poco le colonie
greche. La
potente Thurioi si credeva allora abbastanza forte, da potere contenere
l’attacco dei Lucani e per non dovere dividere i frutti ella
vittoria sperata
con altri confederati, disdegnato l’aiuto e l’associazione
della confederazione
ci città che si andava fondando. La conseguenza del suo senso di
indipendenza
fu non solo la perdita dell’indipendenza, ma anche
dell’esistenza. Allo stesso
modo Taranto aveva dovuto sopportare nell’anno 473 una atroce
sconfitta da
parte degli Japigern. Si iniziò, ad andare a prendere aiuto in
Grecia, in
Sicilia e alla fine ad Epicureo, inutilmente. l’intera Magna
Graecia a parte
Taranto divenne bottino degli Italici e come tale poi di Roma, alla
quale si
dovette arrendere anche Taranto, dopo che Pirro accorso in suo aiuto
dopo
azioni di guerra privi di successo era ritornato di nuovo nel suo regno
di
Epiro.
205
Nella guerra di Annibale le città
della Magna Graecia,
tranne Reggio, dopo la vittoria del grande cartaginese presso Canne
passarono a
lui, mentre Napoli rimase fedele a Roma. Roma aveva preso in grande
misura il
culto cumano ‘le predizioni sibilline svolgono un ruolo molto
importante nelle
guerre puniche - ed anche il culto di Afrodite di Erice venne
introdotto
a Roma nonostante le sue forme puniche dopo la terribile sconfitta sul
lago
Trasimeno secondo un massima dei libri sibillini. La vicinanza di culto
è molto
più forte della vittoria esteriore dei Cartaginese, più
forte delle antiche
simpatie.
Volere ricercare con il Sternengang simili
regolarità
della storia siciliana negli Italioti, dovrebbe avere meno successo.
Anche se
in forme aggrovigliate e rattrappite possono essere riscontrate, per
così dire
come foglie divenute spine, esse non sono la caratteristica per la
storia
continentale del Suditalia. Questa sta molto di più nel
irrefrenabile volere
essere se stessi dei membri che si stanno una accanto all’altro e
della loro
volontà vulcanica.
Ai tempi di Augusto secondo Strabone tutto il
Meridione greco dell’Italia era caduto nelle Barbarie con
l’eccezione di
Napoli, Taranto e Reggio, dove deboli tracce dell’antica cultura
poterono
conservarsi.
Già durante le guerre spagnole,
allorquando un
comandante romano per costruire un monumento degno delle sue vittorie,
aveva
saccheggiato il tempio di Hera di Crotone e il senato, sbalordito per
il
misfatto, ordinò la ricostruzione del santuario, non si
trovò nessuno
artigiano, che fosse stato capace di rimettere al loro posto gli
elementi di
marmo.
Anche Napoli, con la fondazione di Pozzuoli
come
piazza di commercio, venne condannata alla insignificanza.
Dopo che una parte della popolazione era stata distrutta, Napoli rimase
un
luogo di delizie dei ricchi Romani e una città che veniva scelta
volentieri
come luogo di dimora da artisti e sapienti. Il più famoso di
essi fu Virgilio,
che dai Napoletani venne visto più tardi di per sé come
patrono.
206
Per
i Napoletani Virgilio era un mago benevolo, alle cui arti deve numerose
meravigliose opere d’arte. Per tutto il Medioevo però
valse come grande saggio,
che era aeingeweiht nei segreti della
sibilla
cumana e che quindi le sue predizioni potevano annunziare la nascita di
Cristo.
Nel contesto della sibilla e della predizione di Cristo nella pittura
cristiana
e nell’esecuzione di misteri drammatici venne rappresentato fino
ai tempi
modeni. Veniva elencato fra i cristiani precristiani come Pitagora e
Platone,
che avevano esercitato la loro influenza anche nel Suditalia.
Sappiamo poco sulla storia della regione dei
primi
secoli cristiani, in cui hanno iniziato così grandi spiriti del
Cristianesimo
precristiano. In quel periodo il principio creativo artistico era
emigrato di
più verso il nord dell’Italia: Ravenna, Aquileia e Milano
fiorirono.
Il poco di cui possiamo venire a sapere del
giovane
Cristianesimo nel Sud, porta l’antico impronta del paese.
Monsignore di Giovanni
nella sua storia della chiesa siciliana giudica, che anche i Siciliani
del VIII
secolo per lingua e usanze tendevano al mondo greco che per questo
accettarono
senza tentennamenti tramite Leo l’Isauria le norme del culto
greco per l’intera
isola. Però non solo la forma orientale ufficiale del
primo Cristianesimo
trovò accettazione in Sicilia,
bensì con la
stessa intensità le tendenze di quella che era vista come
setta dei
Monotiliti, Monofisiti e soprattutto dei manichei.
La tradizione valida
oggi però lega le prime fondazioni cristiane in Sicilia alla
persona
dell’apostolo Pietro. La lotta del suo successore a Roma per la
chiesa
siciliana è comunque molto antico. Uno dei suoi culmine la
raggiunge sotto il
papa San Gregorio, al volgere del VI con il VII secolo Il papa
dal suo
patrimonio privato aveva fondato un monastero a Roma e sei nella
bizantina
Sicilia. Queste fondazioni divennero germogli del futuro Stato della
Chiesa dal
fatto che in innumerevoli lettere aveva fissato l’amministrazione
del
patrimonio, il cui utile destinò lui per la chiesa romana e
così creò una base
per l’amministrazione di quello che sarebbe divenuto poi lo Stato
della Chiesa.
Ma anche dal punto puramente clericale
San
Gregorio ebbe la sua influenza in Sicilia. Le sue ancora tenui misure
nei
confronti dei Manichei sono note, ma anche la sua grande comprensione
per le
caratteristiche conservative del paese si rileva nelle norme del culto
per la
Sicilia. Gli venne contestato per questo, di avere introdotto anche
lì forme
orientali, però lui rispondeva che lui aveva reintrodotto delle
forme antiche,
che erano state mutate senza motivi sufficienti.
207
Fino al XII secolo il papa si considerava lui
stesso
il metropolita della Sicilia. Per legare più strettamente
l’Isola al Roma, non
venne si eresse alcun seggio vescovile in Sicilia.
Mentre tutta la Sicilia era una regione
cristiana, in
cui i due poli del cristianesimo ufficiale e di quello non ufficiale
svolgevano
la loro influenza senza essere impediti da confini geografici,
dall’altra parte
del faro la cosa era diversa.
Calabria, che come la Sicilia orientale era
stata una
volta greca, divenne un eccellente centro di monachesimo greco.
La
montagna sacra a Mercurio nei pressi di Cosenza ‘ oggi non
individuabile con
certezza ‘ similmente ad Athos attirò innumerevoli
eremitaggi e monasteri,
abitati da monachi santi, che conducevano una vita esteriormente
primitiva e
ascetica secondo le regole di Basilio, mentre interiormente assursero
agli alti
gradini della scienza profana e della santa saggezza.
Sul Monte Gargano invece, quell’altura
strana anche
dal punto di vista geologico, che incrocia lo sviluppo della spina
dorsale
dell’Appennino e si attacca come ‘sperone’ della
penisola italiana, sorse il
più famoso santuario di allora, quello dell’arcangelo
Gabriele. Secondo la
legenda lì è stato annunziata per la prima volta
all’Occidente la vittoria di
Michele su Lucifero. Nell’anno dell’insediamento della
signoria degli Ostrogoti
a Ravenna il contadino Gargano, così racconta la leggenda,
allorquando seguì un
animale che si era smarrito nella montagna, trovò una grotta
illuminata ed
echeggiante dei cori degli arcangeli. Si precipitò a Sipontum
per annunziare il
miracolo al vescovo. Costui, Lorenzo Maiorano, un cugino di Zeno,
l’imperatore
di Bisanzio, l’8 maggio dell’anno 490 venne alla guida di
una solenne
processione fin sull’odierno monte S. Angelo e vi insediò
il culto per S.
Angelo. Da quel tempo ‘ tranne il periodo di dominazione araba
‘ si svolgono
ogni anno in quella data delle processioni che vanno al santuario, come
anche
per il giorno di San Michele. Già subito dopo la sua fondazione
era divenuto
meta di numerosi pellegrini.
Poco più tardi, nel 529, S. Benedetto
da Nursia fonda
sulla rocca di Monte Cassino un terzo centro religioso. Questo nacque,
come
quello dell’arcangelo, sul luogo di un tempio pagano. Benedetto
distrusse
l’ultimo tempio della zona che era dedicato a Venere ed Apollo.
Il monte Mercurio dal canto suo si trovava
nelle
vicinanze dell’antico centro de Pitagorici.
Da questi tre centri di vita religiosa
così differenti
fra di loro si diffusero gli effetti in tutto il mondo. La regola si
San
Benedetto, che in aggiunta agli esercizi fisici aveva imposto anche le
attività
fisiche, vennero accettata dai più eccellenti monasteri di tutto
l’Occidente.
A partire dalla metà del secolo VIII fino alle riforme
divenne di per sé
la regola del monachesimo latino.
208
I Basiliani di Mercurio avevano una grande
reputazione
in tutto l’Oriente. Essi ponevano la contemplazione al di sopra
di ogni altra
capacità dell’animo umano e raggiunsero una
santità, tanto che anche
l’imperatore di Costantinopoli si prostrò ai loro piedi.
Il santuario del Gargano era onorato
però nel contempo
dai cristiani di oriente e di occidente, come anche dai cristiani
ariani e
divenne vorbild di molti luoghi di
culto che
sorsero in Alsazia, in Francia, in Inghilterra e altrove e che rimasero
nel suo
contesto. In particolare stretto contatto era quello di Mont S. Michel
neri
pressi di Avrenches nella Normandia.
Nei
primi secoli del Cristianesimo le Due Sicilie raggiunse però
anche quell’altro
movimento che trasformò la morente forma di culto
dell’antichità: la migrazione
di popoli. Il monte Mercurio rimase sì una specie di magico
confine, oltre il
quale l’influenza nordica poté penetrare, e anche
lì solo in modo apparente,
solo con i Normanni. Non solo Alarico si sfracellò
lì di sua volontà,
bensì molti altri ancora dopo di lui.
I
grandi flussi di popoli nordici che si stabilirono o si volevano
stabilire in
Italia, mostrano uno sviluppo graduale delle loro capacità
creatrici di diritto
e stranamente altrettante degradanti rapporti con il Suditalia.
Le
prime popolazioni fermate da Mario, tenute come Germani, i Cimbri e i
Teutoni,
erano ancora lavine di forza di volontà, ritenuti dai Romani
dopo averli
vinti vennero ritenuti buoni per riempire dei vuoti
nell’esercito e nelle
caserme dei gladiatori.
I
Visigoti, che appaiono mezzo millennio più tardi, hanno
devastato e
saccheggiato Roma. Solo in unione con Bisanzio arrivano alla fondazione
di una
città fuori dall’Italia e precisamente nella Francia del
Sud e in Spagna.
Gli
Ostrogoti arrivano per incarico di Bisanzio e portano elementi
culturali
altamente importanti dall’Oriente in Italia. Essi vivono nella
rossa aurora del
Germanesimo e fondano un potente regno.
I
Longobardi, penetrati una generazione più tardi, hanno raggiunto
l’apice
dell’antico Germanesimo. Essi iniziano a formulare delle leggi e
diventano
pericolosi per la Romanità non solo tramite l’Arianesimo,
bensì soprattutto per
la loro forza di formazione di uno stato e del diritto, che si poneva
contro la
Roma clericale dei papi e contro la giurisdizione di Giustiniano e dei
suoi
successori spirituali.
Con
i Longobardi el forze culturali nordiche come tali erano divenute
creative.
209
Il
loro regno era stato abbattuto dai Franchi carolingi. Questo popolo, da
secoli
educato da Roma clericale, viene per incarico del papa da occidente,
come una
volta gli Ostrogoti per incarico di Zenone vennero da est. Se il
cosiddetto
ordine feudale non si vuole vedere come qualcosa di nuovo, allora
tramite essi
non venne niente di nuovo in Italia. Ma essi aprirono fresche
possibilità di
vita alla vecchia Roma, facendosi portatrice dell’impero
rianimato dal papato e
in quanto tale come protettori della chiesa romana.
Come
altra ondata i Tedeschi comandati dalla dinastia Sassone iniziarono a
venire in
Italia, come ricompositori dell’ordine distrutto e per fare
valere delle
pretese dell’Impero.
Alla
fine dal canto loro apparvero i Normanni come tardive doglie delle
migrazioni
di popoli nordici, come la prima delle ondate pervenute, come portatori
di una
volontà transumante schiuma di volontà à senza una
cultura spirituale, che
potesse essere equivalente a quella trovata.
Ognuno
di queste ondate susseguitesi una dietro l’altra penetrò
sempre più in
profondità nelle questioni del Sud. La prima venne fermata
già nel Norditalia,
la prossima a Cosenza. Gli Ostrogoti inviarono delle truppe di
occupazioni a
sud che, anche se in realtà non hanno lasciato delle tracce,
hanno lasciato dei
numeri nei libri di storia.
Solo
i Longobardi per primi fondano attorno a Benevento un particolare
ducato che
poi diede molto filo da torcere ai Franchi.
Sotto
i Sassoni iniziò la morte dei molti eserciti tedeschi nel Sud
dell’Italia, che
volevano lottare contro Bisanzio, contro gli Arabi e contro forze
locali.
Per primi furono I normanni che arrivarono oltre il monte Mercurio,
anche se
non come portatori di una nuova cultura, sempre come ricettori e fusori
di
cultura trovate in loco. E quest’ultima ondata si limitò
soprattutto al Sud.
Gli
Hohenstaufen, che vennero dopo di loro, non sono solo i loro avversari,
bensì
non possono essere più aggiunti alla fila schizzata fino adesso,
perché il loro
apporto si trova su un altro piano.
La
storia medioevale del Sud che comprende questi popoli, inizia quindi
dai
Longobardi. Erano penetrati in Italia nel 568 dopo che la pesti e
lunghi
periodi di carestia avevano indebolito l’Italia, per farvi
risvegliare nuova
vita.
Circa
due anni più tardi un certo Jettone prese Benevento e diede con
ciò origine a
quella contea, che, pur non avendo dei confini precisi, sopravvisse al
regno
longobardi per parecchi secoli. Secondo il parere di storici più
antichi la sua
vera e propria origine risale a prima della fondazione del regno nel
nord, in
quanto un resto del Longobardi che lottavano sotto la guida di Narse
sia
rimasto indietro e si sia appropriato della città di Benevento .
In ogni caso i
Beneventani hanno seguito delle proprie strade fin dall’inizio.
Confacente con
il carattere del proprio territorio avevano una più forze
tendenza dei loro
fratelli del nord a var valere il proprio essere. Così Carlo
Magno, dopo che
aveva spodestati nel 774 Desiderio , l’ultimo re dei Longobardi,
e si era posto
sul proprio capo la sua corona, dovette rinunziare di essere
riconosciuto come
signore da parte del duca di Benevento. Come segno della sua
indipendenza
chiamò il nuovo stato ‘principato’, Principato di
Benevento, non più Contea di
Benevento. Solo al suo secondo viaggio a Roma riuscì a Carlo
Magno a
costringere il principe a trattative, che terminarono con il successo
che
quesiti si fece dare in prestito i suoi territori come feudo reale. Ma
già suo
figlio litiga con Pipino, il figlio di Carlo Magno, e dopo la morte
dell’imperatore viene ripristinata la completa indipendenza.
Dal
principato di Benevento se ne distacca in seguito un altro, quello di
Salerno e
si sviluppo a spese del primo. La stessa cosa fa all’incirca
più tardi Capua.
Così
l’influsso longobardo perdura
per ulteriori due
secoli. Ma sarebbe un sbaglio pensare che abbia molto a che fare con
l’essenza
del primo, la cosa principale, l’elemento creativo culturale, gli
venne meno.
L’arianesimo
l’aveva già abbandonato uno dei primi re longobardi e
piano piano anche i
sudditi furono convertiti al cristianesimo. Ma la legge Rotharii, che
venne
annunziata a Pavia nel 643 come primo codice italiano, mantenne a lungo
la sua
efficacia nel sud come codice civile, allorquando ogni traccia della
dominazione longobarda era svanita. Le corti dei principi decaddero,
tradimento
e violenza e tutti i fenomeni concomitanti di decadenza orientale si
diffusero.
Ma
non solo il territorio longobardo si azzardò solamente in
questo periodo
a conservare l’indipendenza fra due imperi, bensì anche le
città della costa
napoletana, Gaeta, Napoli, Sorrento e Amalfi.
Queste
città e città stato conservarono l’appartenenza
nominale a Bisanzio, senza però
essere in realtà veramente dipendenti o esercitare alcun dovere
nei confronti
della Roma dell’est. Si organizzarono in diverse forme, da quello
che sembra,
sempre sotto la guida di un duca.
Amalfi
si chiamava repubblica, e sembrò per un po’, come se
prendesse lo stesso
destino di Venezia, con la quale mostrava delle vistose somiglianze. Su
una
terra povera, quasi spinta in mare dalle imponenti teste di rocce, gli
Amalfitani era dipendenti dalla navigazione e dal commercio
d’oltremare come i
Veneti insulari, che quasi nell’identico periodo si fecero notar
dal punto di
vista storico. Amalfi si mantenne allo stesso livello della Repubblica
Veneziana, addirittura mostrava per certi interessi culturali, nei
quali era
particolarmente operosa, di raggiungere un rango storico ancora
più alto di
essa.
211
Questa
lunga fila di stati esteriormente piccoli, ma del tutto importanti
ottenne la
sua indipendenza fra due imperi, i principati longobardi e, dopo
il 774,
anche nei confronti dello Stato della Chiesa appena fondato.
All’interno di
queste formazioni di stati cittadini e principeschi, perennemente in
eruzione
si trovava la rocca di Monte Cassino, con i suoi possedimenti divenuta
anch’essa una forza politica come anche conservatrice di beni
culturali in un
periodo nemico della cultura. I monasteri brasiliani del Mercurion a
sud non
erano in questo senso un potere politico, nonostante anch’essi
completamente al
di fuori dell’amministrazione civile del territorio vivevano
degli scopi
particolari, ma come poteri culturali di primo grado erano apprezzati
in tutto
l’Oriente. Da parte dei cronisti e degli storici vengono
trascurati soprattutto
i territori bizantini all’interno di questa varietà di
formazioni
politico-culturali. Però ciò avviene solo perché
non si riescono ad immaginare
le conseguenze per lo sviluppo culturale dell’Europa che
derivarono
dall’esistenza di possedimenti bizantini in Calabria e Puglia.
Durante i
principati longobardi divennero sempre di più delle imprese
private e
intrapresero delle azioni a vicenda, i nuovi impulsi culturali,
nonostante il
più sfortunato governo dei bizantini Logoti, strateghi o altri
governatori,
vennero sempre dall’Oriente.
Tutto
ciò sembra ancora più significativo in un periodo in cui
la Sicilia insulare
diventa musulmana e le libere città marinare portavano anche in
misura sempre
maggiore forme trasformate di cultura araba dell’Oriente in
Italia.
L’intero
sud a partire dal periodo dell’invasione Franca per quasi mezzo
millennio entrò
in vicendevole rapporto, amichevole e ostile,
con i musulmani. Anche adesso si compì lo sviluppo storico in
forme quasi
contrapposte da questa e da quella parte del faro.
I
Musulmani non intrapresero mai una spedizione sistematica al Suditalia
continentale, come fece nei confronti della Sicilia, che venne tirata
interamente nelle grandi regole dello sviluppo storico musulmano e
divenne
esteriormente una parte del mondo maomettano. Nello stesso tempo, in
cui
avvenne ciò, l’onda culturale musulmana era la forza
storica più forte anche
nel Suditalia continentale che ininterrottamente influenzava il paese e
il suo
destino.
212
Quella
che in generale viene presentata come storia di questo quarto di
millennio, che
seguì all’aggressione franca, per la maggior parte non
è altro che un confuso
elenco di atrocità. Questo elenco si può allungare o
accorciare, oppure anche ‘
come usavano fare i contemporanei cronisti ed epitaffisti
‘colorare i fatti a piacimento, confondere successi con
insuccessi, e nulla
cambia nel quadro dello sviluppo storico mondiale. Se si cambiasse
però
qualcosa al carattere interiore del Monte Gargano, del Monte Cassino
oppure
trascurare le influenze che provenivano dai possedimenti bizantini,
pochi ma
tenacemente mantenuti, oppure anche l’eredità decadente e
non più tenuta in
vita dei Longobardi e tralasciamo il
nascente
Comune nelle libere città marinare, allora tutto quello
che viene dopo
diverrebbe incomprensibile. In questi fenomeni si possono vedere una
parte
delle forze che manovrano la storia che, unitamente alle influenze
locali e
quelle potenti musulmane invadenti, entrarono nella storia mondiale. Il
grande
mondo era assillato da enigmi inteni, che scaturivano dal rapporto fra
papa e
imperatore, facevano rispecchiare sulla superficie la divisione che
andava
diventando sempre più insuperabile fra la chiesa
d’Occidente e d’Oriente e le
decisioni del concilio dei timonieri della Cristianità.
Una
quantità di potenze di prima, rese confuse dagli uomini,
attraversarono il
paese, non in modo regolare come dall’altra parte in Sicilia,
bensì in modo
caotico - vulcanico in una maniera così terribile, che a che
è abituato a forme
di vita moderna non riesce ad immaginare, come alla presenza di
così
incredibili sofferenze era possibile uno sviluppo dell’uomo
così intensivo.
I
tre principati in cui il nocciolo del paese, il vecchio Ducato di
Benevento si
era spaccato, erano a vicenda in interminabili faide. Ciò
facendo non si
limitarono a portare con le proprie forze la devastazione nel paese dei
vicini,
bensì coalizzarono alternamente con le città, con il re o
l’imperatore, con il
papa o con i musulmani, per poi tradire regolarmente i loro alleati,
quando i
loro servizi non sembravano più utili. Ad essi si aggiunsero le
innumerevoli
incursioni dei musulmani in tutto questo territorio, che portarono via
bottini
e prigionieri resi schiavi. Da Costantinopoli vennero inviati degli
eserciti
contro i Saraceni di Sicilia, che abitavano peggio dei Saraceni stessi.
Gli
imperatori tedeschi penetrarono con la forza dell’esercito, per
lottare contro
Bisanzio e gli Arabi e rimasero regolarmente impigliati nel paese il
cui clima
era ostile alle abitudini di vita dei loro soldati. Epidemie e carestie
seguirono immancabilmente alle devastazioni da parte delle passioni
umane.
213
Il
cittadino non era per nulla sicuro della popolazione di campagna.
Questa aveva
da sopportare innumerevoli devastazioni dei raccolti di quegli
innumerevoli
assedi. Molti, costretti da tanta necessità, presero la strada
della malavita e
resero per quei tempi la libera circolazione.
Ma
anche qualsiasi sicurezza di diritto era impensabile. Laddove semmai
veniva
tenuto o pronunziato un diritto secondo delle norme prestabilite, che
andasse
aldilà delle abitudini usuali, si ponevano in
questione tre codici
giuridici: il diritto giustiniano, quello antico romano e quello,
addirittura,
nei territori delle città libere in corrispondenza
all’essenza di queste
formazioni si andavano sviluppando delle forme di diritto
corrispondenti. Nel
perenne spostamento di dominazioni era impossibile per il singolo di
attenersi
ad una di queste forme di diritto.
Non
tanto meglio era la situazione con la coscienza religiosa.
Esteriormente il
paganesimo era estirpato e luminose città di esercitazione
religiosa cristiana
ce n’erano dappertutto nel paese, ma i più disparati
discorsi sulla fede
venivano annunciati al popolo dagli uomini ecclesiastici. Anche se
queste non
si preoccupavano di finezze logiche, lo stesso l’atteggiamento
della casta
spirituale, che si spaccava nei più disparati correnti nemiche,
doveva avere il
suo effetto.
Questa
casta minacciava di diventare la cenita di coloro che avevano
intenzione di
sfuggire alle fatiche della vita quotidiana. La chiesa e lo stato
lottavano
contro questa tendenza. Roma rifiutava ai figli dei ceti servili la
benedizione
oppure, se in mancanza di liberti per necessità veniva
effettuata, valeva lo
stesso l’ordinanza che i figli dei preti dovessero ritornare di
nuovo nei ceti
non liberi. Costantinopoli vietò al monastero di Mercurio di
offrire protezione
agli uomini, che erano in dovere in un qualche modo nei confronti dello
stato.
In
corrispondenza all’essere
del paese dai tempi antichi era rimasta nel
popolo una tendenza alla magia. Storie della chiesa o biografie di
santi
contemporanei ne sono la testimonianza, Viene, per esempio, messo
particolarmente in evidenza nella vita di San Nilo, che Nilo avrebbe
deciso di
intraprendere la vita della santificazione, nonostante gli mancassero
le
capacità di esercitare la magia e gli fossero mancati i libri
per essa.
A
queste caratteristiche particolari del paese e del popolo venivano
incontro in
grande misura delle peculiarità del movimento maomettano.
La società
araba del IX secolo era indiscutibilmente più complicata e la
sua cultura più
differenziata e molto più tesa di tutte quelle europee. La casta
più bassa
della loro umanità e i loro metodi era al di sotto di quello che
nel Sudeuropa
era di solito abituale. Fino a quando comunque si pone l’accento
su questo, si
possono vedere solo le cose superficiali e non gli effetti a lungo
termine,
perché al di sopra delle caste più basse si innalzava un
edificio in cui tutti,
anche i più raffinati segreti della cultura orientale, erano
compresi nella
rispettiva forma. Di essi non facevano parte solo i più
grandi segrete
delle scienze generali comprensibili per mezzo della ragione,
bensì anche della
scienza che voleva influenzare la volontà dell’uomo e le
forze della natura in
mpdp ‘sovrannaturale’ e richiedeva particolari
capacità e una educazione della
volontà. La religione musulmana non perseguitava la magia. Il
maomettano per
l’aspetto morale si pone nei suoi confronti all’incirca
come noi nei confronti
della speculazione in borsa. La professione non è proprio
onorevole, ma
se chi la esercita ha successo con essa, allora gode del successo
‘in onore’.
Goldziher nel suo lavoro ‘Elementi magici nella preghiera
musulmano’ dimostra
come lo stesso Maometto nel bisogno passa dalla preghiera al scongiuro
di Dio e
porta così delle pratiche magiche antiche nell’ambito
della nuova religione.
Nel
IX e nel X secolo, dunque proprio nel periodo in cui il Sud
dell’Italia veniva
a contatto intenso con gli Arabi, l’intero Islam venne permeato
da
organizzazioni occulte provenienti dalla Persia. Di esse però
è passato alla
coscienza generale solo uno delle generali esteriorizzazioni,
precisamente
l’efficacia degli Assassini. In queste organizzazioni si faceva
leva sulla
volontà dei soci componenti, per raggiungere degli scopi
politici. Per queste attività
politiche si è oggi informati sull’esistenza, anche se non
sull’essenza di
correnti del genere.
Ai
tempi in cui Wolfram scriveva il suo Parsifal attraversò non
solo lui ma anche
poeti francesi, inglesi e italiani e saggi la coscienza di queste
tendenze
nella letteratura mondiale, dopo che prima pubblicamente era vissuto
solo nella
tradizione dell’Italia Meridionale.
Questa
letteratura fa di Napoli un centro della negromanzia.
Napoli
non fu mai sotto il dominio arabo, e ciononostante uno storico del IX
secolo la
chiama una seconda Palermo. Fu in questo periodo il vescovo e Duca
Attanasio,
che dominò Napoli per ventuno anni ( 877 ‘898) nonostante
l’anatema del papa.
Prima era stato suo fratello, il duca Sergio II, che aveva portato i
possedimenti
degli Arabi al massimo. Sotto la sua egida alcune città costiere
erano entrati
a far parte della alleanza, che Napoli aveva sottoscritto con i
musulmani
subito dopo la conquista di Palermo. Allora gli Arabi si annidarono
anche per
mezzo secolo nel Garigliano, ai confini con lo Stato della Chiesa. A
ciò
rimanda il dipinto di Raffaello nei palazzi del Vaticano, che inneggia
la
vittoria di Leone IV sui Saraceni del 849, vittoria che ha dato poi
origine
alla ‘città leonina’.
215
Napoli
con la Terra di Lavoro e la striscia di costa fino ad Acropoli presso
Paestum
era un eccellente centro dell’essere musulmano. Ma accanto a
insignificanti
tentativi a Benevento e Bari erano tre i centri del genere.
Essi
erano il Monte Gargano, dove gli Arabi, allorquando i padri della
chiesa
cattolica si riunirono per l’ottavo concilio generale,
espugnarono il santuario
si San Michele e in seguito a ciò si insediarono per mezzo
secolo nella
montagna del Gargano.
Il
terzo centro, in seguito anche politicamente molto importante, era la
Calabria,
quindi il territorio attorno al Mercurio. Venne conquistato quasi del
tutto
all’incirca un decennio dopo la presa di Palermo.
In
questi terribili tempi i monasteri non furono soltanto rifugi, in cui
veniva
protetto il fuoco dello spirito, ma erano anche per la maggior parte
veri e
propri fortificazioni come Monte Cassino troneggianti su racce
irraggiungibili
oppure come Cava presso Salerno, che sbarravano delle valli di montagna
completamente selvagge e così essere in grado di offrire asilo
alla popolazione
di una ampia regione in tempi di bisogno. Papi, re e imperatori
immolarono
inutilmente i loro eserciti nella lotta del caos. I loro provvedimenti
e le
mete non erano adeguati. Gli autoctoni stessi si opponevano contro
questi aiuti,
se non si adattavano ai loro desideri. Ludovico II addirittura venne
preso
prigioniero dai Longobardi e lo rimisero in libertà solo dietro
la promessa, di
non immischiarsi più nelle faccende del Suditalia.
Un
altro lato di questi tempi lo mette in mostra un episodio
caratteristico della
vita di San Nilo.
In
uno dei tanti saccheggi dei Saraceni i monaci del santo dovettero
scappare e
tre di loro caddero prigionieri. Nilius scrisse al vescovo di
Palermo e
lo pregò di avere indietro i suoi fratelli spirituali.
l’emiro per risposta non
gli mandò solo i prigionieri, bensì nello contempo una
lettera e un cartello.
Nella lettera faceva sapere a Nilius che in futuro i suoi monaci non
sarebbero
mai più dovuti fuggire, se avesse messo quel cartello davanti al
suo monastero
e che non sarebbe stato mai disturbato se si fosse fatto riconoscere
prima ‘
perché lui, Nilius, scrive in uno stile greco così
brillante che sarebbe stato
degno di essere chiamato un servo di Allah.
Era
così grande la fama del santo non solo in tutto l’Oriente
cristiano, bensì
anche presso gli uomini di cultura non credenti.
Che
si tenesse in piedi una indelebile vita di forte intensità anche
al di fuori
dei rifugi dei monasteri, che nel corso dei secoli abbiamo tenuto
attratti gli
occhi degli imperatori d’Occidente e d’Oriente,
dei papi e dei
Saraceni, per la possibilità di giudizio dei tempi odieni
è un enigma così
grande, che le testimonianze contemporanee non vengono messe in dubbio
solo
nella loro forma, ma anche nella sostanza. Un crocevia di
avventurieri,
di tiranni e di avidi, abbandonati ai bisogni e ai furti, così
appariva allo
storico Collenuccio nel XV secolo il territorio del Suditalia in tutto
il mezzo
millennio che precedette i suoi tempi.
Se
si cerca di applicare anche se solo in minima parte alla realtà
i racconti
longobardi, napoletani, normanni e musulmani di eroi che si
riferiscono
al Suditalia, allora diviene incomprensibile, come sotto queste
circostanze ci
siano stati ancora degli uomini per coltivare le terre e per esercitare
nelle
città le professioni e il commercio. Si dovrebbero sì
fraintendere anche i in
nostri tempi e la vita nelle regioni nordiche, se si volessero capire
dalle
loro circostanze quelle apparizioni.
Il
viaggiatore, che viene verso sud dal nord, si accorge sì
che tutto il
mondo muta, ma nota raramente, che va mutando anche lui stesso. Le
molestie da
parte di servizievoli, di cui si lamenta spesso il visitatore di
Napoli, non
deriva solamente dalla perseveranza di queste persone, bensì
anche dal fatto
che si è noi stessi più facilmente influenzabili. A
Firenze un Napoletano non
ha lo stesso effetto e potere nei confronti dello straniero come a
Napoli.
Questo strano rapporto aumenta non appena si arriva nel territorio
musulmano
del Nordafrica, che non si trova solo più a sud, bensì ha
conservato forme di
cultura più antiche: la volontà dell’uomo nelle
culture meridionali e in quelle
più antiche si comporta in modo del tutto diverso che nei centri
delle moderne
culture euro-americane.
Oggi
le mete della vita che l’uomo si pone o che riprende da altri, un
parte
dell’essere umano stesso e si sente tirare via il pavimento o
rovinato
interiormente se si sente infrangere queste mete. Nel sud ci si impegna
sì con
più grande impeto per i propri scopi e si è anche
più infelici quando il
successo non si raggiunge, ma solo fino a quando non si trova un nuovo
scopo,
cosa che può avvenire l’attimo dopo. E questo si vive a
sua volta altrettanto
intensivamente come l’altro, anche se è l’opposto
del primo. Lo scopo che ci si
pone da se, si pospone nei confronti della volontà che ci
trasporta. Esso si
lega poco con l’essere umano.
Dove
la volontà agisce in tale modo, è un po’ diverso
con la fidatezza, di laddove
il pensiero personale e la volontà si tengono più
facilmente in equilibrio. Le
influenze interpersonali hanno nelle Due Sicilie un effetto molto
più forte che
nel resto d’Italia o addirittura delle regioni più a nord.
Un
detto medioevale dice di Napoli, Napoli sarebbe un paradiso, ma abitato
da
demoni. Benedetto Croce nella storia che scrive sulla sua città
paterna ha
dimostrato questa con innumerevoli fatti e giudizi del tempo queste
caratteristiche del paese per il periodo medioevale come contraddizione
a detto
popolari.
Mentre
nella Sicilia continentale le influenze interpersonali sono apparsi in
modo
così vulcanico ‘ caotico, la Sicilia mostra un legame a
leggi che sembrano di
carattere cosmico. Qui trova lo sviluppo musulmano nello stesso periodo
uno
svolgimento regolare, che ricorda ai periodi storici sicilioti-greci.
La
conclusione definitiva di questo periodo e nel contempo un nuovo inizio
la
porta l’ultima migrazione di popoli indirizzata verso il sud che
avviene
proprio nel tempo in cui si può imprimere nelle radici
napoletane per poi
riprendere il filo della storia abbandonato dagli Arabi.
Nel
1016, dopo che da pochi secoli è stato restaurato il santuario
del Monte
Gargano, incontrò il longobardo Melus una schiera di pellegrini
normanni e
allacciò con essi delle trattative per convincerli per una
rivolta contro
Bisanzio.
All’incirca
nello stesso tempo avvenne una dei tanti assalti di pirati arabi sulla
costa
salenitana. A ciò si allaccia una tradizione caratteristica: il
principe
longobardo Waimer III era pronto ad acquistare con un contributo la
ritirata
come usavano fare i musulmani. Dei pellegrini che si trovavano
lì ritennero il
sistema privo di gusto e pretesero delle armi. Con grande meraviglia
dei Salenitani
la manciata ti pellegrini misero in fuga gli arabi spaventati da una
simile
accoglienza. I longobardi videro nella vicenda non solo un modo
spicciolo per
tenere alla larga i pirati, ma ritennero un coraggio del genere utile
anche per
altri scopi. Così diedero ai pellegrini dei ricchi doni e
particolarmente degli
oggetti d’ora che facessero fa propaganda, affinché
facessero conoscere in
Normandia le ricchezze del paese ed attirare gente pronta
all’avventura.
Il
primo gruppo di probabilmente alcune centinaia di cavalieri normanni
con il suo
capo arrivò presto nel sud e si divise a Capua: una parte si
diresse verso
Salerno, l’altro andò dal rivoltoso Melus.
Molti
rifornimenti seguirono al primo, senza che fosse possibile una
approssimazione
sicura del loro numero. In ogni caso era grande abbastanza e la
qualità degli
uomini tale, che il viaggio di avventura divenne decisiva per il
destino non
solo del paese, ma anche per la cultura occidentale.
Certo
non portarono nulla di nuovo in beni culturali nel diversi rami delle
lingue,
arte, diritto, scienze o altri, ma le loro forze di vita
schiumeggianti
risvegliò la volontà di avventura, e il loro essenza di
volontà irrefrenabile
li costrinse e fuse le tendenze più tergiversanti in un modo
unico.
Le
forze di volontà fecero il loro effetto quando i cavalieri si
misero al
servizio dei diversi principi e, città e ribelli e esercitarono
anche ruberie
per strada in un modo così caotico e privo di regole che i primi
arrivati in
tutte le cronache vengono descritti come avventurieri e pirati. Solo
sotto
Roberto Il Guiscardo e suo fratello Ruggero si intravedo degli scopi
che
potrebbero portare a credere che si tratti già di una struttura
di stato che si
ponesse in tutto e per tutto al mondo.
Tutti
gli eventi successivi appaiono però ancora più
sorprendenti e diventano nel
contempo più comprensibili, se si osserva, ciò che nei
primi avvenimenti
rispecchia la multiformità,
prima che singoli
più potenti prendono a se la guida degli eventi. Allora si nota
che la volontà
di questo insieme disorganizzato è una specie di specchio, in
cui si
rispecchiano come germogli tutti i grandi eventi dei periodi
successivi
di due secoli e mezzo, che però lasciano intravedere delle
tendenze di
crescita.
Per
farsi un quadro delle forze che decideranno il destino, in cui si
avviava e
venne formato l’essere di volontà plastica normanna, basta
osservare i primi
insediamenti stabili degli avventurieri. I molti gruppi degli altri
rimasero
perennemente legati fino a quando questo germoglio primordiale
morì e si
disfece.
Caratteristico
è che la fondazione si lega un distinto normanno che per un
omicidio si era
staccato dalla vecchia comunità consanguinea. È quasi una
regolarità quasi
priva di eccezioni per le grandi fondazioni dei Normanni, che siano
state
effettuate da uomini che si erano staccati dalla società
consanguinea per una
nascita non regolare o per un fatto di sangue. In questo contesto i
colonizzatori sono nello stesso gradino di quei Greci che erano
arrivati quasi
duemila anni prima nel Suditalia.
Pagani
questi Normanni non lo sono sì. Già circa un secolo prima
i loro antenati erano
stati spinti da Carlo il Semplice, ad accettare il culto cristiano.
Tramite la
conversione ottennero la separazione della Normandia tramite il re.
Qualcosa
della concezione religiosa di Rollos, il loro condottiero di allora, i
suoi
discendenti la portarono con sé nel sud: costui durante il suo
battesimo ‘
secondo altri si tramanda per la sua morte ‘ aveva sacrificato
cento
prigionieri cristiani per rappacificarsi le vecchie divinità. Il
nuovo dio per
lui era semplicemente un altro fra le divinità pagane, che
però favoriva meglio
di quelli le sue aspirazioni politiche.
Nei
rapporti conservativi pagani verso la divinità si comprende
l’elemento principale
dello sviluppo che inizia con i Normanni in Suditalia. In ciò si
lascia già
intravedere l’atteggiamento a venire nei confronti
dell’islam e della forma
greco-orientale di esercizio religioso cristiano.
Dreugot
che aveva ucciso in caccia un cortigiano di Roberto il diavolo, dovette
fuggire
con i sui consanguinei dinnanzi alla vendetta del duca. A lui tornarono
molto
opportuna la propaganda del Suditalia. Andò con i suoi fratelli
esiliati con la
prima maraglia nel paese che offriva
nuove
avventure. l’impresa del longobardo Melus contro Bisanzio, che
diede
occupazione a molti nuovi arrivati, termine infelice, perché
Melus venne
tradito dagli altri Longobardi. Una lite in cui intervenne Enrico II,
ma che
divenne per nuove attività e per il primo consolidamento degli
avventurieri.
Al
principe di Capua era piaciuto cambiare il signore imperiale e di
prendere in
feudo il suo territorio da Bisanzio invece che dal re tedesco. In
seguito a ciò
il santo re valico le alpi e si spostò con tre armate nel sud,
dove lui come
tanti suoi predecessori rimase impantanato. Nel suo ritiro però
si trascinò
dietro in Germania il principe sleale e affidò al suo posto un
altro longobardo
il principato.
Troppo
tardi si palesò il fatto che il nuovo vassallo non solo aveva lo
stesso nome
Pandolfo, bensì aveva anche lo stesso carattere.
Il
recedente Pandolfo, divenuto di nuovo uomo libero alla morte di Enrico,
fece
perciò poca fatica a trovare abbastanza insoddisfatti che lo
aiutarono a
riconquistare Capua. Le truppe ausiliarie più importanti furono
fornite
nuovamente da un Normanno di quella famiglia esiliata Raiful, un
fratello di
Dreugot. Questi ricevette come paga un piccolo territorio ai confini
della,
dove iniziò a fondare una città che chiamo Aversa.
Un
anno dopo il suo ritorno a Capua Pandolfo assalì Napoli sotto il
pretesto di
essere offeso e minacciato con la protezione che la città
offriva ai suoi
avversari. Dopo innumerevoli e inutili tentativi per quasi un intero
mezzo
millennio adesso Napoli era di nuovo caduta per la prima volta nelle
mani di un
Longobardo, ma solo apparentemente , perché il duca Sergius che
era fuggito da
Napoli, prese a sua volta in suo servizio i Normanni di Rinolfo e
riconquistò
con il loro aiuto la città. Compensò a sua volta i loro
servizi, come ai
Capuani, con divisioni di terreni nel territorio di Aversa che andava
sorgendo
e creò ò dei rapporti di parentela con i la famiglia
Rinolfo tramite un
matrimonio. Nel contempo lo elevò alla dignità di conte,
che da questo momento
in poi viene visto come capo dei Normanni.
Conrado
il Salier conferma nel 1036 le relazioni che si sono create senza di
lui.
220
Lo stato normanno che si andava formando è in alleanza con
Napoli come duecento
anni prima lo stato arabo con Palermo.
Il
nove conte Rinolfo a sua volta lascia partire una ambasciata per la
Normandia,
sulla cui iniziativa venne in Italia un secondo più grande
contingente di
cavalieri più grande di venti anni prima. Fra di loro si trovano
i primi
Hauteville, appartenenti alla più rinomata famiglia dei Normanni
italiani. Si
gloriavano, nonostante la loro grande povertà, della diretta
discendenza del
duca Rollo. Tancredi di Hauteville nella Manche
aveva servito sotto Roberto il diavolo ed aveva ricevuto da lui un
piccolo
feudo, che non poteva sfamare però la sua numerosa famiglia.
Oltre a numerose
figlie, aveva dodici figli, cinque dal primo matrimonio e sette dal
secondo.
Poiché essi non trovano a sufficienza nel castello del loro
padre per la fame e
per il loro coraggio, seguirono tutti tranne due uno alla volta il
fratello
maggiore in Italia.
La
seconda orda di che arrivò in Puglia alla fine del quarto
decennio
dell’undicesimo secolo, trovò presto la sua prima
occupazione tramite Bisanzio,
ma questa volta non contro la Roma dell’est, ma in favore di
questa.
Michele
Paphlagonos, in nuovo imperatore di Costantinopoli, sentì la
necessità di
illuminare la sua non del tutto brillante ascesa al trono con una
splendida
impresa e di sprofondare nel dimenticatoio. Per questo scopo il suo
comandante
Maniace doveva riconquistare la Sicilia araba. I numerosi Normanni del
Suditalia gli furono altrettanto opportuni come ai principi longobardi
divenuti
timorosi, il loro allontanamento dai loro territori. LA cosa
sembrò svilupparsi
in modo favorevoli per tutti, tranne che per gli Arabi, che subirono
una grave
sconfitta in seguito all’incredibile coraggio di Guglielmo
Braccio di Ferro, il
maggiore dei fratelli Huteville.
Fu
lì che il capo longobardo dei Normanni venne gravemente offeso
da Maniace.
Dietro consiglio del furbo Longobardo i Normanni trattennero il loro
rancore e
non si vendicarono con il comandante che non aveva possedimenti.
Lasciarono in
asso Maniace e si ritirarono nella terraferma. Con un tranello di Adwin
si
stabilirono nei possedimenti di Melfi, fecero della città per
altre imprese e
derubarono in poco tempo consistenti territori della Puglia bizantine.
Sconfissero le truppe greche in parecchie lotte e deviarono la paura e
il
timore dei Longobardi eleggendo a comandante il fratello del principe.
Ma nel
1043 era arrivati al punto da potersi organizzare da solo nella terra
conquistata.
Scelsero
12 conti, ognuno dei quali ricevette una città come residenza.
Melfi divenne la
capitale dello stato normanno, che però non apparteneva ad un
solo singolo ma
alla comunità. Goffredo Braccio di Ferro venne eletto a conte
della Puglia e a
capo di questa comunità, senza però alcun qualsiasi
diritto di determinazione
sui beni divisi.
In
un convegno a Melfi con dei riti particolari vennero consacrate le
onorificenze. A ciò furono invitati anche Waimer, il principe
longobardo di
Salerno, e Rinolfo di Aversa, il vero e proprio capo dei Normanni.
Rinolfo come
tale aveva organizzato le prime imprese e aveva riservato per se una
parte del
bottino. Adesso ricevette come possedimento il Monte Gargano e il
Sipontum.
Con
ciò si è conclusa una seconda epoca e diventano visibile
in modo straordinario
le fila, che dovranno proseguire il dramma.
Si
sono cristallizzati due centri: Aversa con un trono che sviluppa un
crescente
lustro come germogliante Monarchia fondata del tutto nuova e Melfi,
senza
signore, come centro di una repubblica di dodici cavalieri con pari
poteri, dei
quali uno viene riconosciuto come capo tramite capo. I dodici cavalieri
organizzatisi fraternamente hanno il loro precedente capo ad Aversa e
si sono
presi un proprio possedimento dai Bizantini.
La
prossima tappa viene avviata tramite la morte dei due capi Rinolfo di
Aversa e
e Guglielmo Braccio di Ferro. Si Braccio di Ferro si diceva che fosse
un leone
nella lotta, un agnello fra gente pacifica e un angelo in consiglio.
Dopo la
sua morte nell’anno 1046 venne a mancare il suo essere
armonioso, che non
mostrò nessuno dei suoi fratelli. Drogo, il secondo dei fratelli
Hauteville, lo
seguì nella sua dignità. Anche Rinolfo ebbe come
successore un fratello,
Askletin, che però dopo un anno morì. Logo viene ucciso,
per disposizione del
comandante della città di Bari, un figlio del longobardo Melis,
il primo dei
Normanni, e a lui succede Humfried, il terzo fratello della casa come
capo
eletto.
Riccardo,
figlio di Askletin, un ricco e brillante cavaliere, viene eletto conte
di
Aversa, e viene tenuto al servizio ‘ oppure in prigionia . da
Drogo e accede
alla sua città solo con un grande seguito. È di una
figura così bella e un
essere coi benevolo, che, come viene raccontato, tutti i cuori gli si
aprono.
Agli
Hauteville era arrivato già prima in seconde nozze il secondo
figlio delle
seconde nozze di Tancredi. Questi sopraggiunse con una terza schiera di
cavalieri ancora più grande dalla Normandia, tutti camuffati da
pellegrini,
perché gli Italiani non volevano più fare transitare dei
Normanni, la cui fama
peggiorava di giorno in giorno.
Roberto
arrivò del tutto povero e si mise al servizio di diversi
signori, fino a
quando, dopo una impresa di Drogo in Calabria, vi venne lasciato
indietro come
capo di un piccolo gruppo. Poiché non riceveva una paga da suo
fratello,
incominciò a procurarsela di proprio pugno. Amatus dice di lui:
‘Andava laddove
riteneva di potersi procurare del pane e dove e come lui riteneva,
faceva
bottino di ogni genere: buoi da traino, giumente da allevamento,
pasciuti
maiali, anche uomini, per estorcere come riscatto pane e vino. ‘
il borgo di
San Marco presso Bisignano lo rese come centro delle scorrerie. Un
Normanno i
nome Girare gli procurò le nozze con la sua ricca zia Alberade e
lo aiutò così
ad allacciare un legame, che secondo Amatus divenne l’origine
della sua
ascesa che stava per iniziare.
222
Roberto
viene descritte come un uomo che per forza e proporzioni del corpo
superava
tutti gli altri Normanni. Il suo appellativo Il Guiscardo lo ricevette
da una
qualità, tramite la quale si distinse ancora di più, per
la sua furbizia.
Questa si legava ad una spietata durezza e una insaziabile brama di
possedere e
di arraffare, come dice anche Malaterra, lo storico di corte di suo
fratello.
Le
imprese di questo Il Guiscardo divengono presto le cose determinanti
nella
comunità di Melfi dominatala dagli Hauteville e spingono
Riccardo di Aversa a
guardare verso nord per delle avventure, che potessero tener testa al
concorrente del sud.
Inizia
una nuova fase degli eventi e come sempre causata da un evento avvenuto
fuori
dall’Italia.
Nel
1049 Enrico III designa il suo parente Bruno, vescovo di Tolone,
come
papa. Bruno, un Alsaziano della casa del duca di Egisheim, non va
però da solo
a Roma, ma porta con sé il monaco cluniacense Ildebrando. Con
ciò avvia uno dei
più grandi movimenti politico ‘ religiosi che abbia
vissuto il medioevo.
Ildebrando si era fatto a Cluny un concetto del mondo ed era pronto a
investire
tutta la sua inflessibile energia per riformare la chiesa in modo tale
ed a
rendere i suoi rapporti con lo stato, in modo che corrispondesse a
questo
concetto. La sua prima azione in questa direzione fu che spinse Bruno a
deporre
tutte le insegne papali e ad andare a Roma come semplice pellegrino,
per farsi
consacrare dopo l’elezione da parte del popolo e del clero, e poi
prendere
possesso dei poteri papalini.
Con
ciò era documentata come priva di efficacia
l’intromissione dell’imperatore
nella elezione del papa.
Il
papa, che prese poi il nome di Leone IX, iniziò ben presto ad
interessarsi in
maniera evidente per i Normanni suditaliani e si mostrava in modo
sempre più
evidente che passò dalle iniziali richiami a evitare le loro
rapine
all’intenzione di annientare questa società. Nessuno
dubita, che dietro queste
attività c’era Ildebrando, ma nessuno poteva dire con
precisione i suoi scopi,
nonostante ci siano molti motivi. l’odio contro i Normanni non
era smisurato
solo in Puglia, bensì anche nel Norditalia non si poteva far
vedere più nessun
pellegrino normanno. Dappertutto si equiparavano i Normanni con i
pirati
saraceni. Punto di cristallizzazione, ai quali si potevano attaccare le
intenzioni papali divenne la città di Benevento.
223
Allorquando
Enrico III, in occasione del suo viaggio a Roma nel 1049l
andò anche a
sud, gli venne incontro il principe normanno a Capua e ricevettero per
la loro
devozione l’investitura delle loro conquiste. Il principe di
Benevento conservò
però la sua ancestrale avversione contro l’imperatore
tedesco e Enrico,
allorquando con il suo seguito e con il papa voleva entrare nella
città, si
vide davanti le porte chiuse. l’imperatore si
vendicò per l’offesa con la
scomunica e il papa con l’interdizione che tutti e due inflissero
sulla città,
mentre il suo territorio venne donato ai Normanni.
Durante
un viaggio di Leone IX alla corte di Enrico deve ave ceduto questi
Benevento in
cambio di certi diritti su Bamberga. I Beneventani dal canto loro,
senza
consenso del loro principe, offrirono la città al papa. A
ciò si legarono per
secoli le ambizioni romane sul Suditalia.
Leo
si assicurò gli aiuti di Bisanzio e marciò con un
esercito di Italiani e di
Tedeschi verso Benevento, che veniva assillando incessantemente dai
Normanni. A
giugno accorse contro Civitade per unirsi con i Bizantini di Argyros. I
Normanni che si trovavano nella morsa cercarono di trattare, ma Leo il
Santo
aveva deciso il loro annientamento. Non rimase loro nient’altro
da fare che
intraprendere la lotta disperata. Humfred al centro, Riccardo di Aversa
e
Roberto Il Guiscardo alle ali, penetrarono contro l’esercito
papalino e il
Santo Padre da sopra le mira di Civitade dovette assistere
all’annientamento
del suo esercito. Il suo nocciolo svevo venne annientato fino
all’ultimo
uomo perché gli svevi ritennero privo di gusto, indietreggiare
di fronte a
uomini così piccoli di statura, nei loro confronti di Normanni.
Il
papa viene fatto prigioniero e i vincitori si prostrano al suo cospetto
e
implorano timorosi la benedizione sacerdotale e il perdono per il
disagio
provocato. Dopo avere ottenuto ambedue le cose, condussero appunto il
Santo
Padre a Benevento senza fargli mancare di rispetto che gli spettava e
ve lo
tennero prigioniero fino a quando ottennero sotto forma di feudo papale
ereditabile la Puglia, la Calabria e la Sicilia ancora d conquistare.
Nel
frattempo era sopraggiunta la primavera del 1056 e Humfried
accompagnò Leo fino
a Capua, da dove il papa, dopo un breve riposo, ritornò a Roma.
Lì morì dopo
circa due settimane in conseguenza delle forti scosse.
Con
incredibile evidenza viene segnata la legge del destino del paese in
questi
eventi. Ciò che vuole compiersi è già presente
sotto forma di germoglio negli
elementi.
224
Le
truppe del papa, dell’Impero di Occidente e di Oriente si
dispongono contro i
Normanni. In sottofondo ci sono gli Arabi di Sicilia che nominalmente
appartengono al regno dei Fatimidi, che in questo momento si estende
fino alla
Siria ed alla Palestina. Leone IX non viene in Svevia solo con una
truppa
imperiale di appoggio, tutta la propria famiglia si amplia per legami
di sangue
nella crescente dinastia degli Hohenstaufen, che poi si
cancellerà laddove è
iniziata la lotta secolare di tutte queste potenze.
Lo
schieramento di battaglia dei Normanni è però
l’immagine dello sviluppo passato
della loro comunità.
La
colonia di Aversa aveva organizzato la repubblica dei dodici che era
nata a
Melfi. Adesso è divenuta l’epicentro e Aversa rimanente
ala che deve fare da
contrappeso alla nuova ala in Calabria, e precisamente la sorgente
potenza di
Roberto Il Guiscardo.
In
battaglia l’esercito normanno si schierava in uno di questi
rapporti secondo
l’ordine. Le ali apportavano la decisione, sorvolavano il centro,
soprattutto
dei giovani, che attaccavano dalla Calabria.
La
vittoria dei Normanni era una straordinaria impresa del coraggio. Ma
una
vittoria esteriore contro una potenza spirituale come quella papale non
significa particolarmente molto, poiché con ciò non viene
colpito l’impulso
spirituale avversario. In effetti si vede che Roma improvvisamente con
questa
sconfitta si viene a trovare come signore feudale di tutto il Suditalia
e della
Sicilia e lascia ai Normanni la fatica di conquistare il paese sul
quale non
lascia più cadere le pretese. imperturbabile prosegue la
politica del papa,
dopo la sconfitta di Leone il Santo, il binario segnato da lui e dai
suoi
consiglieri.
Nello
Stato Normanno però continua inarrestabile quella legge di
sviluppo accennata
dai fatti.
Humfred
muore due anni dopo la decisione e designa Il Guiscardo come tutore dei
suoi
figli. Ciò segna la fine della supremazia degli antichi
Hauteville. Roberto non
tiene conto dei suoi nipoti e sottomete i baroni alla sua
volontà.
Con
ciò viene portato a termine il prossimo passo dello sviluppo.
Il
centro dei dodici cavalieri attorno a Melfi, che era sorto nel centro
del
paese, per così dire all’ombra del Monte Gargano, è
annientato dal nuovo centro
più forte di azioni, che Il Il Guiscardo aveva edificato molto
vicino al Monte
Mercurio. Questo è in diretta contrapposizione a
quell’altro edificato da
Riccardo ad Aversa nei pressi del Monte Cassino.
La
storia del prossimo periodo consiste adesso soprattutto nella
vicendevole
influenza di questi di punti. Ad ogni cambiamento nell’uno polo
ne succede uno
corrispondente nell’altro.
225
Anche
nei confronti dei monasteri assumono i due principi normanni un
atteggiamento
corrispondente. Riccardo di Aversa molesta inizialmente i Cassinesi,
tanto che
vengono inviate innumerevoli amare denunce al papa. Stefano X, il
successore di
Leone e prima abate di Monte Cassino, vuole addirittura utilizzare il
tesoro
del monastero per la lotta contro i Normanni, ma muore improvvisamente,
prima
che le sue intenzioni si possano realizzare. Presto però applica
Riccardo un
altro metodo: fa al monastero delle donazioni così grandi, che
il suo periodo
rimane come il più ricco nella storia del Monte Cassino. La
stessa cosa c’è da
dire del rapporto di Roberto Il Guiscardo nei confronti dei monasteri
greci Basiliani
in Calabria. Dopo persecuzioni iniziali vengono spinti ad uscire dalle
regole
di San Basilio attratti dalla ricchezza normanna, perché questa
prescrive ai
monaci la povertà.
Poiché
Il Guiscardo usurpò l’eredità dei suoi nipoti, Il
Il Guiscardo si vide spinto,
rubando Capua, che porta via al figlio del principe appena morto, a
ripristinare l’equilibrio. Dopo che estorto con la forza ai
Capuani la promessa
amministrazione delle torri e della porte, dall’anno 1058 si
chiama principe di
Capua.
A
ciò risponde Roberto prendendo il titolo di ‘Dux Apuliae
et Calabriae’.
A
causa di aggressioni nel territorio della Chiesa Il Guiscardo viene
scomunicato
per la prima volta, ma al Concilio di Melfi nel 1059 Nicola II conferma
e le
nuove conquiste e titoli dei due principi. Roberto presta giuramento di
feudatario e si accolla il pagamento di un censo annuale.Come segno
dell’investitura riceve il gonfalone della Chiesa.
Adesso
trova che sia venuto il momento ‘ con la scusa di una parentela
troppo vicina -
di ripudiare la moglie, alla quale deve la sua ascesa, e di sposarsi in
modo
più aristocratico. Manda degli inviati a Gisolfo di Salerno a
chiedere la mano
di Sigelgaita, la famosa sorella del principe. Gisolfo non rischia a
contrastare le insinuate minacce e da il suo consenso, non senza
però
contemporaneamente essersi assicurato, tramite il matrimonio di
Gaitelgrima,
un’altra sorella, con Giordano, il figlio del vecchio rivale
Roberto.
I
grandi successi che Roberto conseguì a sud, oppressero
però Riccardo in modo così
eccezionale, che si precipitò in una impresa che andava oltre le
sue forze.
Voleva sfruttare la confusione creatasi a Roma, allorquando, dopo la
morte di
Nicola II, vennero eletti due papi, il candidato degli Ildebrando e
quello di
Agnese, la madre di Enrico IV. Riccardo si immischiò nella
vicenda dello Stato
della Chiesa e voleva dai Romani ottenere con la forza il
patriziato come
un primo gradino per arrivare all’impero. Ma le truppe reali
sotto Goffredo di
Lotringa lo spinsero indietro e Alessandro II, il papa degli
Ildebrando, grazie
all’energia dei suoi sostenitori viene riconosciuto dal mondo.
Lui riconferma
le relazioni fondate con i Normanni. l’insuccesso è ancora
più duro,
allorquando vengono intraprese delle trattative tra Bisanzio e Il
Guiscardo
allo scopo di fare sposare una di Roberto con un principe bizantino.
226
Adesso
a Roberto non rimane altro da fare che girarsi nell’altra
direzione e misurarsi
direttamente con Il Guiscardo.
Tutti
e due si vogliono impossessare di Salerno, oltre che della ancora
troppo forte
e libera Napoli, la più lustre città del Suditalia.
Roberto si propone come
protettore di Amalfi, la sottomessa proprietà di Salerno.
Gisolfo, principe di
Salerno, si fida della parentela e della sua alleanza con la famiglia
di Capua
e le cui scaramucce con il violento cognato Roberto e lo rifiuta. Giura
addirittura a sua sorella Sigelgaita che presto indosserà
vestiti a lutto. Ma
Roberto sottomano si capisce così bene con Riccardo e assedia
Salerno così
pesantemente che i cittadini mezzi morti di fame gli aprono le porte e
lasciano
da solo il loro principe sopra nella cittadella, dove si tiene con
ostinata
caparbietà insieme ad una manciata di fedeli, fino a quando la
fame costringe
anche lui a trattare. Roberto pretende per prima cosa la reliquia che
si trova
in possesso del cognato, un dente dell’evangelista Matteo.
Gisolfo fa estirpare
un dente ad un ebreo appena morto e lo invia al suo pio cognato. Ma
Roberto
conosceva la reliquie troppo bene e offeso lascia sfogare liberamente
la sua
avidità, non prende al cognato solo il dente santo, ma anche
tutti gli altri
possedimenti, così che Gisolfo deve cercare asilo presso il suo
alleato, il
papa Gregorio VII ‘ l’ex monaco cluniacense e più
tardi suddiacono ed economo
della chiesa si era fatto eleggere papa il giorno della morte di
Alessandro II,
il 21 aprile 1073.
Tutto
intorno erano successi un numero di eventi importanti, che lasciarono
sviluppare ancora per un altro breve anno lo strano gioco di forze fra
la
Calabria e la Terra di Lavoro, prima che il destino del paese si
spingesse in
nuovi binari di sviluppo.
Nell’anno
1077, dopo la sottomissione di Salerno, dell’ultimo principato
longobardo, i
due rivali si rivolsero verso il nord per acchiappare nuovi bottini.
Per la
terza volta viene colpito adesso dalla scomunica. Gli fa però
talmente poca
impressione che Gregorio si vede costretto ad usare dei metodi
più efficaci: lo
fa scacciare fuori dal suo paese tramite un buon esercito papale.
Adesso Roberto
e Riccardo fanno di nuovo a gare per l’ultima volta a rubare come
prima.
Riccardo assedia Napoli e Roberto Benevento, che appartiene al papa, il
cui
governatore è è morto da poco. Riccardo si pente
però presto dei suoi peccati,
si rappacifica con il papa e muore. Roberto, che ha da fare in
Calabria,
abbandona anche le imprese intraprese e suo cognato Giordano, figlio di
Riccardo, schiaccia le truppe di assedio lasciate davanti a Benevento.
227
Il
principato di Capua però continuò ad esistere, a partire
dalla morte di
Riccardo, solo come un monumento della iniziale fondazione normanna. La
seconda
forma di stato che da esso derivò venne fagocitato da
Roberto Il
Guiscardo. Al potere di Roberto coalizzò però in questo
periodo un nuovo centro
di influenza.
Nella
seconda metà del sesto decennio del secolo in corso Ruggero, il
fratello minore
di Il Guiscardo, giunto con la madre e con alcune sorelle era giunto da
suo
fratello, che era divenuto già potente e ricco. Questi gli diede
un cavallo e
lasciò a lui il compito di rubarne altri. Lo utilizzò per
le sue imprese a sud
e, come era di per sé comprensibile, litigò spesso con
lui e vi si rappacificò,
quando si presentava la necessità. Ma il destino aveva prescelto
Ruggero per
grandi imprese in Sicilia, per le cui il suo essere era molto
più adatto di
quello del fratello veloce e privo di scrupoli. Ruggero viene descritto
come
brillante essere cavaliere vincente, ma ossesso da una voglia
insaziabile di
potere e dalla perenne necessità di sentirsi lodato.
In
breve successione, negli anni 1060 e 1061, i Messinesi e il traditore
arabo Ibn
Thimah vennero al di qual del faro dai fratelli in Calabria, per
ottenere il
loro aiuto contro la preesistente dominazione araba dell’isola.
Ruggero si
assume in modo particolare questo nuovo compito che gli si pone. Nel
primo
decennio tratta ancora per compito del fratello e nelle imprese
più importanti
con il suo appoggio, ma dopo la presa di Palermo nell’anno 1072
lascia a
Roberto il territorio dell’isola ancora da conquistare.
Con
il fiorire del nuovo centro inizia la decadenza di quello captano.
Ma
la catastrofe che distrugge quello già fatto e spiana la via
alle nuove
germoglianti relazioni viene provocata da eventi a Roma e a
Costantinopoli.
Dopo
la grande umiliazione, che avevano commosso il mondo,
dell’imperatore a
Canossa, il suo potere inizia a crescere e, dopo la morte del controre
Rudolfo,
la situazione del partito papale contrario diventa disperata. Gregorio
VII deve
fare la pace con i Normanni per prevenire Enrico IV e assicurarsi il
loro
aiuto. Roberto alla fine del 1080 riceve l’investitura di tutta
la proprietà
dietro prestazione del giuramento di feudatario. Un altro evento a
Costantinopoli provoca la continuazione dello sviluppo nella stessa
direzione.
228
Dopo
lunghe trattative Roberto aveva infatti inviato sia figlia nel
Gynaikeum di
Costantinopoli per farla preparare come futura moglie dell’allora
ancora
piccolo figlio di Michele VII. I Bizantini però non si sentivano
trattati bene.
Anna Comeno, che conosceva la bambina, si lamentava della sua
particolare
bruttezza. Ricevette per compenso il bel nome di Elena. Quattro anni
più tardi
Michele, al quale vengono attribuiti altri errori, viene deposto dal
trono e
viene messo nel monastero con tutta la famiglia, di cui faceva parte la
poco
bella Elena. Ciò fu molto opportuno a Il Guiscardo,
perché aveva gettato da
molto tempo lo sguardo sul trono e a volte si era attorniato di
splendore
bizantino. Fino al sigillo imitava le usanze di corte ed imperiali
bizantine. I
suoi funzionari portano dei titoli greci e laddove trova delle
organizzazioni
le lascia sopravvivere. Un impostore, che prende il posto di Michele
scappato
dal monastero, viene ricevuto da lui con tutti gli onori e viene
trattato da lui
come un vero Basileo, a cui promette di fargli avere i suoi diritti
come
parente. Gregorio VII da il suo consenso per l’impresa ed ordina
a suoi vescovi
di appoggiarlo.
Prima
però che Il Guiscardo abbia finito il suo armamento un altro
attacca Costantinopoli.
Alessio Comneno schiaccia l’usurpatore dal trono, libera la
figlia di Roberto,
alla quale dimostra tutti gli onori e svela al mondo intero la commedia
del
falso Michele del Il Guiscardo. Questi, privato dei motivi della
spedizione,
senza di essi va a Durazzo con un esercito attraversando
l’Adriatico, dopo
avere donato la Sicilia e la Calabria a suo fratello e la Puglia a suo
figlio.
Alessio
non era però un avversario inferiore e conosceva la situazione
meglio di
Roberto. Fornì ad Enrico IV i soldi per una spedizione in
Italia, vinse il
cognato che era circondato a Capua e soprattutto il suo nipote Abelardo
derubato, al quale venne facile spingere i baroni rimasti indietro
contro il
debole figlio di Roberto.
Presto
si fecero sentire le grida di aiuto degli alleati del papa e del figlio
di Il
Guiscardo rimasto verso l’Epiro. Grazie all’intervento di
Sigelgaita, che
riuscì ad incitare di nuovo gli indeboliti Normanni, ad
annientare presso
Durazzo l’armata dell’imperatore Alessio e di prendere la
città dopo circa un
anno in seguito ad un tradimento. Ma per la ribellione alle sue spalle
e
per le Mißerfolge del suo figlio maggiore Boemondo si viene
a trovar in
mezzo ad un mucchio di soldati senza Boden. Nel 1082 deve
indietreggiare e
lasciare a Boemondo le ulteriori operazioni.
La
sua immagine, il suo coraggio e i ricchi mezzi di suo fratello Ruggero
erano
grandi abbastanza per frenare i baroni della Puglia tanto da potere
accorrere
dopo due anni alle grida di aiuto sempre più disperate di
Gregor. Con un forte
esercito, messo a disposizione per gran parte da Ruggero, secondo
quanto si
tramanda da parte di molti mischiato con molti saraceni, - si spinse
nel 1084
nella Terra di Lavoro e assediò ò inutilmente suo cognato
ad Aversa. Presto
deve togliere l’assedio perché dal mese di marzo Enrico IV
è signore di Roma e
Gregorio è chiuso nel Castel Sant’Angelo. Con
l’arrivo di Il Guiscardo Enrico
si ritira e lascia Roma al suo destino. Nottetempo i soldati salgono
sulle
mura, liberarono Gregorio e lo conducano in Laterano. Dopo essersi
rifatti
delle loro fatiche con una terribile saccheggio e parziale distruzione
di Roma,
le truppe si ritirano di nuovo verso sud. Gregorio, che aveva insistito
fino
all’ultimo impassibile sul suo diritto nei confronti
dell’antipapa, termina i
suoi giorni in esilio a Salerno, la capitale di Roberto. Quivi muore
l’anno
seguente, il 25 maggio 1085. Non è stato inumato nella
cattedrale a lui
dedicata, che muore anche Roberto il 27 luglio su un promontorio di
Corfù.
Aveva attraversato di nuovo l’adriatico dopo che suo fratello
Boemondo aveva
dovuto abbandonare la lotta contro Alessio. Ma il destino non era
favorevole
alla nuova impresa. Uno dei figli di Sigelgaita era pronto al
tradimento e una
pestilenza decimò l’armata. Lui stesso morì in
seguito ad una febbre. Durante
il trasporto della salma in Italia si alza una potente tempesta e lo
butta in
mare. Solo con grande fatica poté essere ripescato.
229
Dopo
che Il Guiscardo dopo quest’ultima attacco dopo tanti anni, che
avevano
movimentato la sua vita, viene seppellito a Venosa, prende Sigelgaita
la guida
delle faccende. Suo figlio Ruggero era stato preferito a Boemondo, il
discendente maggiore di Roberto, ed era stato deciso come
successore.
Però non assomigliava a suo padre né per coraggio,
né per furbizia e dopo che
sua madre aveva seguito ben presto suo padre, iniziò il
disfacimento dell’opera
di Il Guiscardo. Lui non aveva lasciato uno stato, ma un possedimento
personale, che non era tenuto insieme da lui stesso, ma era costretto a
stare
insieme da una potenza che attaccava dall’estero.
Adesso
era tutto libero per una nuova evoluzione che partiva da un altro
centro
di potere, perché anche Giordano, che con il principato di Capua
aveva
ereditato anche l’antica inimicizia contro Roberto, morì
quasi
contemporaneamente a Sigelgaita.
Si
capisce da se che i nuovi impulsi devono partire dal centro, che era
rimasto
illeso dalle potenze dominatrici.
Ruggero,
il minore dei dodici figli di Tancredi, nel frattempo era diventato
dall’iniziale ladro di mandrie ad uno dei più potenti
principi d’Europa e
passo, non per mezzo di usurpazione, ma come tutore consigliando e
aiutando i
suoi nipoti che naturalmente litigavano per
l’eredità.
230
La
conquista della Sicilia si avvicinava al suo completamento. Questo
nuovo regno
normanno non si formò nella stessa maniera come
l’arruffata del Suditalia.
Ruggero aveva trovato in Sicilia un brillante apparato statale, ma
senza uomini
di stato, abitato da incapaci e lui crebbe in esso, conservandolo
scrupolosamente e imponendosi con giovani forze. Non ha la dura
personalità di
Roberto Il Guiscardo, bensì lascia impregnare completamente la
sua plastica
volontà delle meravigliose istituzioni che vi trova. Così
si osserva come le
iniziali azioni che apparivano avventurose si impregnano di saggezza,
sì, si
viene a formare una grande avversione contro la semplice avventura.
Disprezza i
suoi giovani parenti Boemondo e Tancredi e, allorquando abbandonano la
collaborazione
all’ulteriore ampliamento dello stato e prendono la croce,
poiché vede
abbastanza chiaro, che li spinge solo cieca piacere di avventura.
Con
Ruggero inizia un’evoluzione, i cui singoli passi rimbombano nel
mondo intero.
La Sicilia rientra di nuovo nella storia mondiale.
Il
papa Urbano II, che era stato eletto alla grande dignità da
Gregorio e divenne
portatore delle sue idee politiche, lo venne a sentire per primo.
Ruggero non è
più uno di quei smodati principi normanni, che si dimostrano
sì inaffidabili,
ma che ritornano ad essere sempre di nuovo dei servitori della Chiesa e
che
vengono utilizzati come tali. Sa organizzare la stessa Chiesa Siciliana
e sa
trattare i clericali. Urano può mantenere la pace solo con la
cessione della
legazione papale alla persona di Ruggero.
Il
destino non permette però a lui che era ascesso tanto in alto a
determinare il
suo successore. I figli pi?u grandi muoiono prima di lui e, quando lui
stesso
muore settantenne come suo fratello, rimanevano solo Simon e Ruggero,
due figli
più piccoli avuti dalla sua seconda moglie Adelasia. Lei prende
in mano la
conduzione degli affari di stato per Simon e, quando anche lui
morì, per il più
giovane ed unico erede maschile del Gran Conte.
Adelasia
fissa Palermo come sede del governo e quivi Ruggero si forma in mezzo a
sapienti arabi e alti clericali. Allorquando sua madre va in terrasanta
per
divenire regina di Gerusalemme, Ruggero, come giovane uomo con
l’aiuto
dell’emiro esperto di mondo Giorgio di Antiochia, è
già in grado di potere
prendere in mano la guida. Ruggero II non ha più niente di
avventuriero, non
gli appartiene più nessun’orma dell’antico soldato
guerriero normanno. È un
grande spirito occidentale che costruisce un regno con sicurezza ed con
conoscenza del mondo.
231
Dell’ultimo
erede di Il Guiscardo riceve lui i rimanenti diritti su Palermo e
quando questi
muore, in Sicilia è tutto pronto per potere passare celermente e
in modo
grandioso alla conquista della Puglia e della Calabria. Il papa,
l’imperatore e
i baroni pugliesi protestano e prendono le armi, quando le loro
dimostrazioni
non portano i frutti dovuti. Ma la sua tenace volontà è
più forte dei suoi
avversari. Dopo avere unito la terraferma fino ad arrivare ai confini
dello
Stato Vaticano alla Sicilia, si eleva lui stesso a re. Al suo Regno di
Sicilia
appartiene per forze di cose anche Napoli e con meraviglia del mondo la
città
orgogliosa, ritenuta imprendibile, si arrende al nuovo re.
L’unificato
Regno delle Due Sicilie, come venne chiamato più ù tardi
il nuovo regno, entra
come grande potenza nel destino del mondo. Con esso devono fare i conti
tutti i
principi latini, dall’Inghilterra a Gerusalemme, i due
imperatori, il papa e
gli Arabi.
Ma
neanche al creatore di questo potente opera permise il destino di
determinare
il suo successore. Ha il dolore di vedere andare
nell’aldilà prima di lui i
figli maggiori, sui quali aveva posto le sue speranze, e deve mettere
nelle
mani di Guglielmo, il più giovane, e come si di dovrà
costatare, il figlio meno
capace.
Guglielmo
sembrò molto come un decadente principe di stile orientale. Gli
affari di stato
gli sembravano difficoltosi e particolarmente spiacevoli gli sembrarono
le
agitazioni e i disagi delle campagne militari. Ma quando le circostanze
lo
richiesero, sconfisse con inusuale energie il suo avversario, per poi
scomparire nello stile di vita di una pascià privo di
preoccupazioni. Dietro di
lui però ci sono personalità che si preoccupano della
prosecuzione dello
sviluppo intrapreso. Gli attacchi dei due imperatori romani vengono
respinti il
papa viene anche lui costretto a confermare i vecchi accordi. Due
rivolte della
nobiltà in Sicilia si scontrano contro una così grande
stabilità dello stato,
che la continuazione dello sviluppo passa indiscusso alla successiva
fase,
preparata in modo così grandioso.
E
di nuovo muore il figlio maggiore del re prima del tempo. Guglielmo
lascia alla
sua morte, nell’anno 1166, due giovani figli, di cui il maggiore
viene
determina come successore della corona. La regina durante la sua breve
reggenza
di transizione tenta una deviazione dalla via seguita, ma le premure
umane si
schiantano contro la volontà sono responsabili per il prosieguo
del cammino
intrapreso.
Guglielmo
il Buono, il quarto sovrano, prende la sua eredità à
allorquando la sua figura
si riesce percepire come in sogno. Una schiera di altre strane
operanti
figure si stanno attorno e agiscono tramite lui nel corso delle cose
del mondo.
232
Il
paese è tranquillo durante la sua reggenza e, cosa che deve
apparire come un
miracolo, anche nella Sicilia continentale non avviene neanche una
ribellione,
e neanche dall’esterno nessuno attacca il paese. È il
tempo che si ricorderà
per secoli come un paradiso perduto. È anche l’apice
dell’unione delle Due
Sicilie.
Il
suo tempo però aveva preso anche il germoglio, che portava in
sé un nuovo
elemento per l’ulteriore evoluzione. Barbarossa per altre vie
voleva
realizzare, ciò che con la forza non era riuscito a nessun altro
imperatore o
re tedesco nel corso dei secoli. Fece il piano, di sposare il suo
figlio
maggiore Enrico con la zia di Guglielmo il Buono, per trovare in questo
modo la
via per la Sicilia. Dietro le spalle del nuovo papa questa intenzione
diventa
realtà, e a questi non rimane altro che castigare i prelati che
hanno celebrato
il matrimonio.
La
volontà di Guglielmo dopo la sua morte il regno deve andare a
Costanza, ma
anche questa volta gli eventi non si svilupparono secondo la
volontà umana.
Tancredi,
il nipote illegittimo del re Ruggero, si appropria del potere. Solo
alla sua
morte Enrico riesce a dare esteriormente validità per breve
tempo al
testamento, fino a quando anche lui viene preso dalla morte.
Il
paradiso terrestre di Guglielmo il Buono nel periodo a lui successivo
viene
trasformato in un terribile inferno, la cui furia si tranquillizza solo
quando
Federico, il figlio di Enrico e di Costanza divenuto maggiorenne,
prende il
potere.
LL’orfano
Federico era stato educato dal paese, tramite le sue forze positive e
negative
e senza una guida con delle mete precise. In lui e con lui il terribile
caos
viene trasformato in ordine. Più che mai adesso la Sicilia,
allorquando il suo
re era divenuto imperatore romano-germanico, diviene l’epicentro
della vita
politica. Le forze riunificate del paese irradiano nel mondo.
In
questo periodo il baricentro del Regno si trasferisce sempre di
più nella
Sicilia continentale. Federico II vi si intrattiene molto e muore anche
dall’Altra parte nel piccolo Fiorentino.
Anche
lui, il grande lungimirante spirito, che voleva indicare al mondo nuove
vie, fa
un testamento di cui il destino non tiene conto. Il figlio legittimo
maggiore è
morto come ribelle prigioniero. Il più giovane, Corrado, si
dimostra inadatto
ad amministrare l’eredità lasciatagli dal padre. Come suo
nonno Enrico non
riesce a mettere piede in Sicilia e così va questa
all’illegittimo Manfredi che
è del tutto concresciuto con
la Puglia. Risiede
nel posto in cui i primi Normanni avevano iniziato ad arraffare un
regno. Il
loro spirito avventuriero sembra volere rinascere di nuovo in lui, ma
su una
altro piano. Non interviene più nelle faccende terrene. Le
imprese e i canti di
Manfredi sono al di fuori del mondo che li prepara.
233
In
cambio è diventata realtà qualcos’altro:
l’altra parte dell’accordo con Leo il
Santo, ce fino ad allora era rimasto nei rami delle apparenti richieste
astratte. Si insisteva sulla legittimità dell’investitura
papale, ma si
riteneva di non dovere ritenere la feudalità, che si doveva
riconoscere con
ogni conferma, non come una realtà fisicamente piena.
Adesso,
nell’ultima fase dello sviluppo del periodo normanno-svevo del
regno, il
feudatario spirituale fa uso di mezzi terreni brutali per procurare
incisività
al suo concetto di diritto.
Non lontano dal luogo, dove Leo il Santo era stato superato dai Normanni, proprio lì, laddove gli anno estorcere l’investitura della Sicilia, Manfredi viene abbattuto dalle truppe papali. Il feudo viene ritirato e viene dato all’oscuro Carlo d’Angiò. A Napoli viene decapitato in seguito a ciò l’ultimo legittimo discendente degli Hohenstaufen. Napoli diviene però la capitale del nuovo governatore.
Giuseppe Tizza mette a disposizione del popolo della rete la sua traduzione de L’enigma Sicilia di Friedrich Häusler.
La traduzione del primo capitolo in formato pdf ( enigma1sicilia.pdf - il file in formato pdf è stato creato utilizzando Open Office - firma digitale del file pdf creato con OpenOffice) puo' essere liberamente scaricata e stampata in parte o integralmente per motivi di studio e per motivi non commerciali.
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