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EDITORIALE - NICOLA ZITARA
Siderno, 28 febbraio 2000

A partire dei primi decenni unitari - cioe da centovent’anni - il Sud vive in una condizione di permanente mancanza di lavoro. Quella che fino a qualche decennio fa veniva chiamata "la questione meridionale", in sostanza, non e altro che inoccupazione, disoccupazione permanente e generalizzata.

Lo stato italiano e nato (1861) quando tutta l’Europa stava passando dall’artigianato all’industria e dall’agricoltura estensiva a quella intensiva. Questo passaggio ha modificato radicalmente il rapporto tra il lavoratore e il costo degli strumenti di lavoro. Prima, la produttivita era molto bassa (se confrontata con l’attuale), ma per essere un produttore bastava un attrezzo semplice, come una zappa, un martello, un’ascia, una vela. Cambiato l’assetto, sono alcuni cambiamenti epocali, fra cui:

ogni posto di lavoro impegna un capitale consistente, a volte parecchi miliardi, una cifra che nessun lavoratore possiede, o come si dice correttamente, un capitale;

la produttivita del lavoro e cresciuta e continua a crescere enormemente, di conseguenza una minoranza di lavoratori, insediati su spazi ristretti, producono quanto il marcato richiede, cioe quello che masse sterminate di uomini sono in condizione di comprare. L’esempio classico e quello delle cotonine, la cui produzione, un tempo, impegnava decine di milioni di telai e di tessitori e tessitrici, interi continenti, mentre oggi e coperta da qualche migliaio di impianti, ciascuno dei quali impiega qualche centinaio di lavoratori.

Nella sua fase genetica, il capitale e produzione non consumata, risparmio. Il risparmio puo essere volontario o imposto dallo stato. Lo stato italiano ha imposto al popolo meridionale un risparmio forzoso, in alcuni momenti fino alla fame. Il capitale cosi formato e stato consegnato nelle mani degli imprenditori e dei tangentisti padani, che se ne sono appropriati e sempre con l’aiuto dello stato italiano l’hanno enormemente allargato). Per Gramsci, che aveva capito tutto ma preferi tacere sulla convergenza d’interessi tra capitalisti e aristocrazie operaie padane, era questa, e non altro, la cosiddetta questione meridionale.

Il Sud e senza lavoro perche non controlla il proprio risparmio. Non puo usarlo per realizzare il suo passaggio a paese moderno. Questo vincolo non e interno, ma esterno alla societa meridionale e viene dallo STATO ITALIANO, che e uno stato falsamente nazionale. Esso infatti ha assolto la funzione storica di assicurare buoni profitti alle aziende e il pieno impiego dei lavoratori nelle regioni padane. Oggi lo stato di Ciampi, di Amato, di Prodi, di D’Alema, cioe sempre lo stato nordista della Confindustria, guida dette regioni - forti nei confronti del Sud, deboli invece nel cozzo con l’economia tedesca - a inserirsi nel sistema capitalistico europeo con il minor numero di morti sul campo.

Da dieci anni il Sud sta pagando il biglietto d’ingresso del Centronord in Europa. Ci sono stati anche dei costi precedenti, come la mancata industrializzazione e l’annientamento dell’agricoltura meridionale, ma verita storica vuole che essi non siano messi in conto ai partener europei, ma al reuccio FIAT e ai duchini confindustriali (giavan signori, delle Grazie alunni) che, in cambio d’arance, sono riusciti a collocare fabbriche automobilistiche e vetture in Spagna e nei paesi nordafricani. Lo stesso sire di Mirafiori e i ducetti delle grandi confederazioni sindacali, in cambio dell’industrializzazione al Sud hanno voluto quattrini, strade, citta d’arte, benessere, garanzie in fabbrica e fuori, la Scala primo teatro del mondo, il Reggio di Parma, una citta dove si potrebbe fischiare persino Pavarotti, il Milan fra i grandi della storia della civilta, la Bocconi, fonte unica dell’italico sapere, le altre le universita, la ricerca e mille altre cose ancora, non esclusa la rottamazione. Per non parlare delle glorie del Cavallino Rosso e di Luna anch’essa Rossa.

E Napoli canta. Canta la lupara.

Se non avverra un miracolo - una cosa che neanche il governatore Fazio nel suo devoto messianesimo riesce a immaginare - ancora una volta il Sud andra alla perdizione. C’e in giro per questi luoghi malfamati gente che a cinquant’anni non ha mai visto un lavoro e una paga. Dal 1975 ad oggi, un’intera generazione - quattro milioni di persone - e stata profondamente ferita. Fra dieci anni, ancora a meta della sua parabola vitale, la prossima generazione si rendera conto d’essere stata interamente bruciata.

E'un fatto ormai storicamente certo: con noi meridionali, la patria italiana e peggio del Conte Ugolino.

Il Meridione e grande tre volte la Svizzera o l’Austria, sette volte l’Irlanda, due volte il Belgio. Non siamo troppo piccoli per essere uno stato indipendente.

I lavoratori meridionali non sono di Serie B. Sono lavoratori del primo livello mondiale. Dovunque l’emigrazione li ha portati sono stati e sono apprezzati e amati. Buoni per l’efficiente Germania, per la versatile Inghilterra, per la strutturata Francia, per l’agonistico mondo americano e per l’Australia, oggi i loro figli e nipoti sono integrati e inseriti nelle classi superiori e dirigenti. Ne si puo tacere che Mario Cuomo e stato vicino a essere presidente degli USA.

Una volta indipendente, il Sud avrebbe un tasso di sviluppo di fronte al quale quello tanto conclamato della Corea sarebbe un’inezia. La classe lavoratrice inoperosa di cui dispone e tanto avanzata che in pochi anni il Sud supererebbe il prodotto interno lordo delle regioni settentrionali.

Chi leggera il saggio che segue (Tutta l’egalite) trovera una piu estesa esposizione sul tema dello stato indipendente. Tra l’altro vedra che il separatismo di cui si parla appartiene a una categoria politica nuova. Alla sua base sta l’idea neosocialista che la funzione essenziale dello stato e ancora quella che ispirava i nostri progenitori elleni e la politica delle loro citta-stato: la piena occupazione, una cosa che e tutto l’opposto dello stato-azienda nazionale (o continentale) del capitale.

Il nostro socialismo parte dalla lezione di Marx, ma va oltre, depurando il progetto di cio che esso aveva di macchinoso, astratto, disumano. Non e lontano dal liberalismo giuridico - dal diritto naturale - ma confligge con il liberismo amorale degli utilitaristi anglosassoni e con l’attuale arlecchinata globalista.

E'immorale che un uomo lavori al servizio di un altro e che quest’altro (con la scusa puerile che ha fornito macchine, attrezzi e materie prime) lo espropri in parte del guadagno che il valore aggiunto dal suo lavoro comporta nello scambio del bene prodotto.

Viviamo in mondo fatto di merci e dominato dallo scambio. Il Come gia proclamato dai giusnaturalisti la liberta di vendere e comprare e una liberta primaria. La proprieta dei beni prodotti e riproducibili, delle macchine, degli attrezzi, del danaro e del capitale liquido e fondamentale. Appartiene invece a una concezione illiberale la proprieta della terra, delle acque e dell’aria, che si configura quasi sempre come monopolio. L’acquisto e la vendita del tempo di lavoro altrui e una violenza alla natura intelligente dell’uomo, alla dignita di una specie che, si afferma, fatta a immagine e somiglianza di Dio. Un atto non tanto lontano dalla riduzione in schiavitu.

La parola economia nella mente di chi la conio voleva dire governo degli interessi domestici e familiari (della casa), oggi vuol dire governo degli interessi di un’azienda, sia essa una famiglia, una fabbrica, un podere, un Comune, una Regione, una collettivita nazionale, l’intera umanita. L’intervento dell’Ente pubblico nel coordinamento delle private attivita e oggi piu che mai inevitabile. Solo un Comune puo aprire una strada, illuminarla, adornarla di panchine, fiori e alberi, servire gli abitanti di acqua e fogna, farci arrivare i mezzi di pubblico trasporto. Oppure chiudere al traffico una via che in precedenza era aperta al transito dei veicoli. Costruire un porto, un aeroporto, assicurare delle franchigie doganali, tutelare l’incolumita di lavora esponendosi a serio rischio. E non occorre Adam Smith per capire quanto pesi sul bar, sul negozio, sulla vita quotidiana dei bambini, dei vecchi, degli adulti la capacita di dirigere dell’ente pubblico.

Non c’e economia moderna senza uno stato indipendente. Meglio degli altri lo sanno gli americani che dal momento in cui si sono liberati del Re d’Inghilterra hanno preso a bruciare le tappe per arrivare a essere la piu prospera nazione del mondo.

Non c’e economia nazionale se non presieduta e governata dall’ente stato. Lo sanno bene gli europei che, per non farsi sfruttare ulteriormente dall’incontrollata emissione di dollari inconvertibili, hanno fondato un loro stato, e per prima cosa nominato un governo della moneta del loro stato.

Basta. Siamo un grande popolo. Siamo stati alle origini della civilta occidentale in tutti i campi. L’umiliazione di essere cornuti e mazziati come Pulcinella deve finire.

Per noi. Per i nostri figli e nipoti. Per i nostri padri e avi.

Si fotta lo stato italiano, e con esso la classe degli ascari che il governo nordista foraggia per usarci come iloti della patria milanese.

Nicola Zitara


Il testo era stato scritto come saggio centrale di una rivista che non ho mai avuto i soldi per stampare. L’ho poi pubblicato come testo a se stante in mille copie. Adesso che Internet me ne offre la possibilita, lo diffondo on line. Contemporaneamente lo riprendo in mano per renderlo piu attuale.

Di quella stessa rivista avevo pronti gia due numeri. Man mano che rivedo i testi, li mettero in Internet. Nel frattempo scrivero altre cose e altri mi invieranno le loro collaborazioni. Fin che potro le inseriro sulle linee che amici generosi mi hanno messo a disposizione.


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ATTENDO
saggi, articoli, lettere, recensioni ecc.
per la preparazione dei numeri successivi.
E una risposta alla domanda:
Fondiamo un movimento strutturato ?

Nonche soldi, perche senza soldi
non si cantano messe.

Indice (di massima) del 1o numero:

Editoriale

Note di cronaca

Tutta l’egalite

Il sistema di potere

L’antico racconto orientale

Leo e 'A mugghieri du segretario di Carlo Beneduci

Letture e riletture

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Siderno, 11 febbraio 2004

Avvertenza


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"La Rivista ha facolta di decidere circa la pubblicazione totale o parziale delle collaborazioni firmate.

"Si prega di non inoltrare corrispondenza nella forma di "lettera al direttore", che pretenderebbero una risposta ad personam. La rivista non ha un'organizzazione adeguata a fornire detto servizio.

"Grazie e saluti."

Nicola Zitara


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