Eleaml - Nuovi Eleatici



Diversi anni fa ebbi l'occasione di scambiare alcune riflessioni con Angela Pellicciari sul tracollo del Regno delle Due Sicilie e sul comportamento dell'esercito. Lei disse che restava aperto - in parte come un vero enigma - il problema dell'esercito, i tanti tradimenti, gli errori, le incomprensioni.

Personalmente credo che la questione dell'esercito non possa essere ridotta ad una pusillanimità od ai tradimenti di alcuni ufficiali, ma vada inserita nelle vicende del regno a partire dalla rivoluzione francese prima e dal periodo muratiano poi.

Senza tralasciare la Sicilia, punto cardine per la sopravvivenza dello stato napolitano dopo l'occupazione inglese. Durante la quale l'isola vide un flusso notevole di denaro legato alla corte napoletana e all'approvvigionamento delle truppe inglesi. A cui vanno aggiunte le illusioni autonomistiche legate alla costituzione del 1812, una costituzione scritta sulla falsariga di quella inglese.

Presentiamo alcune opere di ufficiali coinvolti nelle polemiche sul crollo della regno e sull’atteggiamento dei vertici dell’esercito.

Zenone di Elea – Agosto 2017

L’AUTODIFESA

DEL GENERALE RUIZ DE BALLESTEROS

per taluni fatti militari del 1860

[pubblicato nel 1868 e ripubblicato nel 1910 - NdR]
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PREFAZIONE.

Sui fatti miliari che originarono la caduta del Regno delle Due Sicilie molti libri sono stati scritti: ma, a mio parere, una storia completa e serenamente obiettiva di quegli avvenimenti non è ancora comparsa; una storia che non si tenga paga di narrare le cose seguendo la cronaca radiosa dell'epopea garibaldina; ma che, raccolte pure le notizie della parte soccombente, dia la ragion vera leali eventi e dia sugli nomini un giudizio spassionato.

La maggio parte delle opere pubblicate, vanno considerate, sempre secondo il mio modo di vedere, più come testimonianze portate innanzi al tribunale della pubblica opinione che come la manifestazione del verdetto assoluto) della storia. Intendo parlare di quelle pregevoli pubblicazioni che non hanno la pretesa di esser altro che la narrazione di cose vedute e di personali impressioni, sotto forma di diari, di memorie, di monografie.

Qualcuno si accinse a scrivere la storia militare di quegli avvenimenti, con la buona fede di raccontare il vero, ma per mancanza di fonti storiche positive non potè fare opera esatta e completa. E la mancanza di fonti storiche si verificò specialmente per ciò che riguarda, le operazioni delle truppe del Reame delle Due Sicilie, poiché, a cose finite, non esistendo più né Reame né Esercito, nessuno si curò di raccogliere gli scarsi documenti che avrebbero potuto servire per la storia militare della caduta del Regno. Forse allora non parve necessario, o non parve opportuno, o si giudicò faccenda di poca importanza; né ad ogni modo, era cosa facile; né era consentito per lo stringere di più gravi cure che l'assetto dello sconvolto stato richiedeva nella sua annessione al Regno d’Italia.

Libri pubblicati da ufficiali del disciolto Esercito delle Due Sicilie ve ne furono; ma, scarsi per quantità, sono mal noti o affatto sconosciuti, perché quegli ufficiali scrissero quasi tutti per difesa contro attacchi personali ed alcune di tali pubblicazioni non furono messe in rendita, e furono stampate per un numero ristretto di persone. Anche queste, però, sono pubblicazioni soggettive, e vanno compulsate con prudente discernimento.

La scarsità dei documenti originali e d'altre fonti storiche si rispecchia necessariamente in quasi tutte le opere che furono a tute oggi pubblicate su quel periodo fortunoso.

È notevole come il Carducci, incitato a scrivere la vita di Garibaldi, vi ai rifiutasse appunto per mancanza di documenti. Il libro fu poi scritto da Jack la Bolina (La Vita e le gesta di Garibaldi Bologna, Zanichelli, 1882), ma in testa al libro fu posta la lettera di Carducci, il quale cosi si esprime:

«Per due ragioni non potei tentare la promessa di scrivere la storia del Generale Garibaldi: 1) difetto di documenti e notizie intorno a alti troppo ime portanti: 2) difetto anche in me di cognizioni almeno pratiche di esporre alcuni di quei fatti».

Così l'eminente uomo, consapevole degli importanti doveri dello storico, declinò l'invito con quella modestia che di rado si scompagna dal vero merito. E tutti coloro che intendono scrivere di storia dovrebbero tenere in mente l'ammonimento compreso in quelle parole.

Ben venga dunque il libro, del quale si possa dire con Alessandro Luzio: «Questa è storia, non aggressione rabbiosa o apologia sperticata!»

Figlio d'un ufficiale superiore dell'Esercito delle Due Sicilie che nel 1860 ebbe parte di non secondaria importanza in alcune operazioni militari, e geloso custode della sua buona fama, credo mio dovere, ora che ricorre il cinquantenario dei fatti, di ridare alla luce un opuscolo ch'egli scrisse nel 1868 per difendersi contro gli attacchi, che gli eran mossi nella Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 del Cav. Giacinto De Sivo. E nel mentre con l'esumazione di quello scritto ignorato intendo onorare la memoria di mio padre, mi lusingo pure di portare alla storia un modesto contributo, poiché alcuni avvenimenti, che or si usa narrare sulla falsariga delle prime affrettate ed incomplete pubblicazioni, appariranno sotto diversa luce.

Pure un'altra ragione mi spinge. La contessa Eleonora Pianell-Ludolf, vedova del Generale Pianell, ha pubblicato il libro: «Il Generale Pianell — memorie (1859-1892)» — (Firenze G. Barbera 1902) il quale è la ristampa di altro libro non destinato alla massa del pubblico, già apparso col titolo: «Lettere del Generale Pianell e Ricordi famigliari» (Napoli, tip. Giannini 1901). Io non avevo letta che questa pubblicazione, nella quale il nome di mio padre si leggeva una sola volta, enunciato in questa frase del diario 1860-61 (giornata 22 agosto) tenuto dalla Contessa: «I Generali Melendez e Briganti pare che siano entrati in necessarie e momentanee trattative con Garibaldi: il Generale Ruiz vi si è opposto».

Ma nella ristampa è stata aggiunta una memoria scritta dal generale Pianell a Parigi nel 1860. In essa il nome del generale Ruiz è così malmenato che io reputo mio assoluto dovere di mettere le cose a posto, pubblicando l'autodifesa che il Ruiz fece nel 1868, e che se non fosse stata stampata trentaquattro anni prima della pubblicazione dello scritto del Pianell, parrebbe che ne fosse la risposta. L'autorità d'un nome non può valere a fare accettare alcuna cosa che al vero sia contraria.

Ritiratosi il Pianell a Parigi, corrucciato contro gli uomini e gli eventi, si accinse a scrivere gli avvenimenti che erano andati succedendo durante il breve suo Ministero. Ma egli scriveva ab irato, sotto l'impressione dei fatti che l'avevano spinto ad allontanarsi da Napoli, ed i giudizi suoi dovevano risentirne. Lasciò. lo scritto incompleto: intese egli di rinunziare a renderlo di dominio pubblico? Pare che così sia, che se altrimenti avesse pensato devo credere, per l'altissima stima che circonda il suo nome giustamente riverito, ch'egli sarebbe tornato con animo placato sui severi giudizi emessi sul conto del Ruiz, il quale certo non fu vile, né traditore; e se nell'animo del Pianell fu questa la prima impressione, non potè perdurare in lui quando i fatti delle Calabrie furono interamente noti. Sono quindi convinto che, qualora avesse destinato il suo scritto alle stampe, sarebbe ritornato sull'argomento ripigliando le interrotte sue note, ed avrebbe. aggiunto che quando Raia, giunse in Napoli, dopo aver lasciato il comando della brigata sui campi della Corona, le ragioni ch'egli espose lo giustificarono pienamente. Che s'egli non fosse stato esente da colpa, sarebbe stato confinato in una fortezza, come qualche altro Generale ch'ebbe comando in Sicilia od in Calabria, in attesa di processo; e se pure vuolsi ammettere che il Re, per singolare favore, avesse voluto essergli indulgente, non gli avrebbe però affidato altro comando. Eppure, nella campagna del Volturno non ritroviamo né Gallotti, né Melendez, né Ghio, né Vial, né Caldarelli, né alcun altro generale delle Calabrie investito di novello comando, ma vediamo il solo Ruiz un'altra volta a capo d'una brigata. Dunque non fu giudicata ignominiosa la sua ritirata sui campi della Corona; anzi, dato l'aspro linguaggio che il Ministro della guerra usava nei suoi telegrammi, facendogli balenare la paurosa visione d'una immensa responsabilità di cui avrebbe dovuto dar conto, dovette destare ammirazione la fermezza di carattere da lui dimostrata.

Per coloro che vogliono confrontare le note di Parigi del Pianeti coll'opuscolo del Ruiz, che presento ora al lettore, io faccio una semplice riflessione.

Ammettiamo pure che il Ruiz, quando disperatamente telegrafava al Ministro della guerra ed al Re che non gli era possibile avanzare in soccorso delle brigate Briganti e Melendez, perché queste erano già demoralizzate ed in sfacelo, non fosse nel vero; ma allora bisognerebbe pure ammettere che egli, nei suoi telegrammi, in luogo di riferire fatti successi profetasse fatti che ancora dovevano avvenire, poiché è indiscutibile che questi fatti accaddero.

Ed è possibile predire il futuro con tutti i dettagli ch'egli citava nei suoi telegrammi? Giudichi colui che serenamente s'accingerà alla lettura dell'opuscolo che segue.

Milano 1910.

COLONNELLO GAETANO RUIZ DE BALLESTEROS.

 

NOTA BENE

Nell'opuscolo che segue ho introdotto le seguenti varianti nella disposizione d'alcune sue parti:

a) ho messo in testa le due lettere indirizzate al direttore del giornale la Nuova Roma, mentre nella stampa del 1868 erano in coda;

b) ho messi a piè di pagina i documenti che nella stampa del 1868 seguivano il libro a guisa d'appendice;

c) ho messe in fondo al libro alcune mie note, e per far questo ho dovuto ricorrere agli spostamenti ora accennati;

d) ho aggiunto lo stato di servizio del generale Ruiz.

GAETANO RUIZ DE BALLESTEROS

COLONNELLO DI FANTERIA,

 

DI TALUNI FATTI MILITARI NEGLI ULTIMI RIVOLGIMENTI

DEL REAME DELLE DUE SICILIE

PER GIUSEPPE RUIZ DE BALLESTEROS

COLONNELLO AL RIPOSO

NAPOLI

TIPOGRAFIA DI LUIGI GARGIULO

Strada Speranzella N. 95

1868


Si riportano due lettere annunziate sul Giornale la Nuova Roma in data 19 Novembre 1867 n. 221, ed S Dicembre n. 240, del tenore seguente:

EGREGIO SIG. DIRETTORE,

Mi rivolgo alla ben nota cortesia della Signoria Sua per pregarla 'li voler riportare nel suo accreditato giornale la seguente mia lettera, del quale favore Le anticipo i ben sentiti miei ringraziamenti.

Nella vita solitaria ed oscura in cui men vivo, sperava godere ripo so e pace; invece ne fui distolto dalla lettura d'un. libro del Signor Giacinto De Sivo col titolo di Storia delle Due Sicilie, nel quale si è spesso fatta menzione di me e con oltraggio aperto alla verità e alla giustizia. Finora tacqui per aspettare che l'opera fosse compiuta, ma oggi che il quinto ed ultimo volume è venuto in luce, il mio silenzio piìc oltre protratto sembrar potrebbe acquiescenza alle cose da lui narrate.

Con la coscienza di non aver fallito ai miei doveri di soldato e di cittadino, intendo colla presente prevenire i lettori ed i miei compagni darmi, che fra non molto esporrò in breve scrittura, quali furono i fatti e quale la mia condotta durante le vicissitudini del 1860; e con essa verrò facendo note tutte le calcolate fallacie ed i velenosi giudizi di quello scrittore.

GIUSEPPE RUIZ DE BALLESTEROS

già Brigadiere ed ora Colonnello a riposo.

EGREGIO SIG. DIRETTORE,

Facendo seguito ad una mia lettera pubblicata nel suo accreditato giornale in data del 19 Novembre ora scorso num. 221. La prego a voler essere cortese d'inserire quest'altra mia, del qual favore Le anticipo i miei ringraziamenti.

La sventura ha eziandìo le sue ispirazioni! Quando io scrissi quella mia lettera già da qualche dì presentata alla Direzione di questo giornale (che pubblicasi alle 10 a. m.) per affidarla alla stampa ignorava che nelle ore tardi della sera del giorno stesso 19 novembre, in cui venne alla luce, il Sig. Giacinto De Sivo autore della Storia delle Due Sicilie, morir si dovesse in Roma. Se io avessi potuto prevedere una tale circostanza sarei stato per avventura meno acerbo nel manifestare il giusto sdegno da me represso (lui ante il non breve tempo della pubblicazione (lei cinque volumi della sua opera, in alcuni (lei quali egli erroneamente ha espressi i fatti d'armi in cui ebbi parte nel 1860. Ora mi resta a compiere il mio debito verso i lettori ed il farò con maggiore freddezza, ribattendo i giudizi dello scrittore col quale non ho alcun rancore. Ed affinché non cada in mente od alcuno che io mi fossi a ciò. deciso quando più non avevo a temere il mio contraddittore, prego di avvertire che dalle narrate cose e dal confronto delle date chiaro apparisce che la pubblicazione della lettera venne da me fatta nel convincimento che il Sig. De Sivo godesse la più, perfetta salute.

GIUSEPPE RUIZ DE BALLESTEROS.

già Brigadiere ed ora Coloni:mila al riposo.

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Avviene assai spesso nel mondo che si giudichi dei fatti e delle persone secondi) l'esito e le apparenze. Ma alla fallacia di questa maniera di avventati giudizi, il tempo e la calma riflessione fan succedere e più esatte e più ponderate opinioni. Epperò gli uomini politici possono vivere tranquilli nella pace di loro coscienza; aspettando i giudizi della storia, la quale non può, per questa ragione, portare il suo esame sui fatti contemporanei, però che le gare e le passioni tuttora vive le impedisco!) la giustizia e l'imparzialità. Tacito, sin dal suo tempo, notava le cagioni, onde lo storico si atteggia a giudice severissimo. Or che dir si vuole dello storico, sbalestrato in esilio, caldo d'ira, e che, non potendo crear bolge, come Dante, scaglia saette di fuoco a destra ed a manca, e di tutto non trova che una sola e facile spiegazione, il tradimento? La calunnia è breve, e l'esame dei fatti lungo e difficoltoso.

E' poi ti a gli storici ai nostri dì invalso un altro vezzo, quello. di discettar magistralmente di cose militari, e tributar biasimo o lode, secondo l'opinione preconcetta, o secondo il sistema della storia, che fa servire non più ad ammaestramento della vita, ma ad apologia di questa o quella dottrina politica. Se non descrivon a lungo battaglie, a mo' del Thiers, ei non è manco di volontà, sì di materia. Ma non piglian esempio dal Thiers di ponderar lungamente su' documenti autentici, de'  quali ai contemporanei non è sempre dovizia. Invece sentenziano accigliati, quasi in ogni narratore fosse l'autorità riconosciuta d'un Areopago.

Queste cose ho dovuto soventi meditare, non prima fu data alle stampe la Storia delle Due Sicilie, dal 1847 al 1861 del Sig. Giacinto De Siro, della quale non è mio proposito venir esaminando il merito ed il valore, in quanto alla veracità dei fatti e dei giudizi intorno alle persone. Ma come ei di me parla in diversi luoghi, e con non poca acerbezza, così vidi sin dal primo istante che mi correva l'obbligo di uscir dalla mia quieta oscurità, a difesa dell'onor mio, del quale ei parea quasi prendersi gioco. Però mi fu forza aspettar che l'opera fosse compiuta, essendo che sin agli ultimi fatti militari del 1860 trovato mi fossi mescolato. Rodeami, è vero, che il mio prolungato silenzio sembrar potesse rimordimento di rea coscienza, o tacita acquiescenza alle accuse. Ond'è che finita appena quell'opera, io annunziai per mezzo dei diari che avrei risposto allo storico, chiarendo i fatti, a lui non ben noti, non volendo né potendo supporre che li avesse ad arte travisati. Ma, sventuratamente, qualche dì appresso a quella mia pubblica manifestazione, il De Sivo se ne moriva in Roma. Sicché mentre io mi accingeva ad un'onesta polemica (della quale egli. dicendosi amico (lena verità e da per sé medesimo avendola provocata, non potea chiamarsi offeso) restai con rincrescimento, solo, nella palestra. Purtuttavia proponendomi io di esporre i fatti e la condotta da me tenuta con tutta chiarezza e sincerità innanzi il tribunale dell'opinione pubblica, mi confido non sia bisogno di contraddittore alle mie parole.

A chiunque si faccia a leggere la citata Storia, ei sarà chiaro, scorse poche pagine, come l'autore non trovi altra spiegazione ai fatti avvenuti per oltre mezzo secolo, se non quella d'un lavorio d'una setta. Qual essa si fosse mai, non dice, ed è da credere che intenda parlar di coloro che in generale attendessero al trionfo d'una idea politica che quella non era del governo stabilito. Taluna volta accenna, alla setta de'  Carbonari del 1820, ed è singolare che spesso v'includa coloro stessi che furono Ministri a Re Ferdinando II, ed in capo a tutti il Del Carretto che fu dall'universale stimato come acerbissimo contro quelli che avesser nudrito idee di più largo reggimento. Talun'altra dubiteresti che non ne affranchi neppure il Re, che ei trova in colpa d'aver negletto i fedeli per gl'infedeli.

Partendo da questa idea fissa, Egli rimonta sempre a quella sorgente per venir poi a dedurne come conseguenza tutti i fatti del 1860. Così è che di me, oscuro Capitano, ligio al solo mio dover di soldato, e di opinioni politiche non curante, e direi quasi ignaro, ei fa un caldo partigiano delle idee del 1848, e mi mostra caduto in sospetto del Generale Pietro Vial, del quale io ero in allora Capo dello Stato Maggiore nelle Provincie di Terra di Lavoro e Molise. Da questi sospetti del vecchio Generale d'esser io affratellato coi rivoltosi del Casertano, ei ne cava che io fossi in pena bandito dallo Stato Maggiore, e mandato a servir ne' corpi di Linea. (A)

Ove per avventura i fatti potessero essere incerti chieder avrei potuto allo scrittore da qual documento avesse tali strane notizie desunte. ché certamente il Vial non avrebbe a lui potuto manifestarle, al mondo essendo noto l'acerbo puritanismo di quel vecchio soldato. A quell'epoca egli non avrebbe tollerato a'  suoi fianchi ed alla direzione del suo stato maggiore uom qualunque di dubbia fede. Il generale ritornava dall'esilio, bandito essendo stato dalla rivoluzione, ed a peregrinar costretto di porta in porta sin'a Lisbona. Soffrire avea dovuto dovunque ingiurie d'ogni maniera, sicché all'antica intolleranza il recente sdegno, si aggiungea. Ora io men rimasi accanto a Lui, partecipe, per uffizio, di tutt'i segreti della carica, e nella sua piena confidenza. Poscia quando gli fu dato il Comando d'una divisione a'  confini, allora (della Divisione attiva essendo Capo di Stato Maggiore il Capitano D'Ambrosio) mi fu necessità di far ritorno in Napoli per la cessata missione, non per diffidenza o sospetto altrui. E taluno penserà: che ove m'avesser supposto inchinato verso i fautori di disordini di quel tempo, ed i sospetti fossero stati suggeriti dal Vial, per certo la mia disgrazia non si sarebbe limitata al perdere la missione, ed a rientrare allo Stato Maggiore nella capitale.

Posto dall'autore questo fondamento che io fossi seguace di setta, mi condannava, come ho detto, non solo al mio ostracismo dallo Stato Maggiore, ma al passaggio eziandio in pena ne' corpi di Linea. Ebbene questo fatto è del tutto falso, poiché giammai venni in pena, mandato a servire ne' corpi di Linea, ed ove ciò fosse stato sarebbesi, come era stile a quei dì, partecipato nell'ordine del giorno, all'esercito e ne sarebbe stata trasmessa la notizia ai Ministeri di Guerra e di Finanza. Da quali archivi trasse egli dunque sì peregrina notizia? Il parlare poi della. mia uscita dallo Stato Maggiore era un saltar a piò pari sopra uno spazio di otto anni. () Però che, ritornato io appena in Napoli, per dimanda, del Generale D. Enrico Conte Statella fui nominato Capo dello Stato Maggiore della suadivisione territoriale, la quale comprendeva le tre provincie di Messina, Catania e Siracusa, di fresco uscite dalla rivolta del 1848 o 49. E sarà chiaro ad ognuno, che, ove anche i sospetti del Vial non mi avessero fruttato una sventura, quelli di politica non così facilmente si dileguano. Ond'è che né il Generale Conte Statella mi avrebbe richiesto. per quel difficile uffizio, né Re Ferdinando II lo avrebbe consentito, nelle gelosie di Governo, che giustamente a quei giorni correvano. Io non usciva dallo Stato Maggiore se non nel 25 Maggio 1856 pel mio giro di promozione a Maggiore, col destino al Reggimento dei Carabinieri a piedi, il quale essendo un corpo scelto dopo la Guardia Reale, poteva tenermene pago come di nuova distinzione. Che se non fui promosso nello Stato Maggiore niun'è che non sappia come ciò avvenisse indistintamente a tutti, e che raramente lo si consentisse, o non mai, ed inoltre in quel momento dei posti vuoti non vi esistevano. Ciò era noto nello esercito e fuori, ed è meraviglia che l'ignorasse solo il De Sivo che pur di cose militari parla sì a lungo e con tanta sicomera.

Posteriormente io mi ebbi il comando del 5° Battaglione cacciatori; coniando isolato, sempre, e particolarmente allora, di confidenza e fiducia. Ed il ritenni anche in appresso, da Tenente Colonnello.

Scorsi erano in questo frattempo oltre a tre anni, quando la Sicilia nel 1860 andò in fuoco. Palermo erasi sollevata, ed alla nuova di quello inaspettato disastro buon nerbo d'insorti invase la città di Catania. Era il 31 Maggio, ed il suo presidio si trovò ad un tratto assalito dall'irruzione di bande e dall'insorgimento della plebe. I rivoltosi erano provveduti financo di taluni pezzi di artiglieria. Nello interno della città si rizzarono delle barricate, e dalle finestre, da'  campanili, dagli sbocchi delle vie si traeva furiosamente contro le Regie milizie. Durò la feroce lotta per 8 ore 112 finché il presidio composto del 5° Cacciatori e dí quattro compagnie del 14° e 15° di Linea, quattro squadroni del 1° e 2° Lancieri, e di una batteria d'Artiglieria di montagna, sgominò quelle bande, le cacciò in fuga, é represse il moto della città, col sacrifizio di 21 morti, fra'  quali il Tenente Melillo, e 91 feriti fra'  quali il Capitano Moles, ed i Tenenti Morrone e Cersosimo, tutti appartenenti al 5° Cacciatori, ignorando i dettagli di quelli degli altri Corpi. Gl'insorti toccarono perdite assai gravi. Di quel fatto luminoso; vista sopratutto la sproporzione del numero dei combattenti, fu il Real Governo assai soddisfatto. E ne palesò il suo compiacimento per mezzo del Ministero della Guerra, facendo coniare un'apposita medaglia di cui insignì tutti i combattenti. (B) Quel che per me si facesse in quel dì a me non spetta il dire; comunque tutti gli ordini e le disposizioni da me partissero. () Ma pare ch'io non fallissi al mio debito di soldato, poiché mí si dici col grado di Colonnello, con Decreto del 17 Giugno 1860, il comando del 15° di Linea Messapia, e nel tempo stesso mi si conferì la Croce di Uffiziale dell'ordine di San Giorgio. Così lontano si era da quei sospetti di dubbia fede che piacque all'autore attribuir al generale Vial, o quasi inocular al Governo.

Giungeasi intanto all'Agosto 1860, e Messina venuta in mano a'  Garibaldeschi, temer si doveva che varcato il Faro, su terra ferma si precipitassero. In quei momenti sì ansiosi e di tanto pericolo, mi fu affidato il comando di una brigata di tre battaglioni Cacciatori (1° 5° ed 11°) onde invigilar, e tener in ubbidienza la provincia di Reggio. ()

Quella destinazione non era per inc conseguita certamente in grazia di anzianità, ed era nuovo pegno di confidenza. Essa mi fu partecipata dal Maresciallo di Campo Vial; il giovane, per via elettrica da Monteleone, il 11 Agosto, mentre io stanziava in Bagnara comandante il 15° di Linea. Ed è appunto in questo luogo della Storia, ed in occasione della formazione di questa brigata, che il De Sivo indica i sospetti del vecchio generale Vial, e meraviglia e quasi rimprovera al giovane d'avermi largito lode di sperimentato braro. Eppure egli era chiaro che se quei sospetti fossero sorti in mente al Padre a ninno essere potean noti meglio che al tiglio. 11 quale in quei gravissimi istanti, e quando si immensa responsabilità pesava su lui della conservazione o perdita delle Calabrie, non avrebbe senza contrasto accettato dal governo di Napoli quella mia destinazione. Che Se poi era verso di me indulgente di favorevol giudizio, avveniva per avventura, che a lui quelle lodi da'  recenti fatti di Catania fossero suggerite. E veri pur quei sospetti: essendo sospetti e calunnie in tempi di rivolgimenti civili) il giovane generale Vial forse sapeva quel che l'autore della Storia ignorava o dimenticava cioè: i sospetti non son che presunzioni, e le presunzioni cedono innanzi al fatto. Ora, seppur fossero stati, quei sospetti già vecchi di dodici anni, cadevano innanzi al fatto della pericolosa, ma fortunata difesa di Catania.

Comunque sia, io presi il 15 Agosto il comando delle truppe della nuova brigata, meno l'11° Cacciatori non essendo ancora giunto; e mossi da Altafiumana nella notte dal 15 al 16 per Aspromonte. Mi scontrai presso le Case Forestali () in talune bande Garibaldesche, che al vedermi si dispersero, ed entrato nelle Case Forestali vi trovai talune casse di medicinali, e fasce e compresse, che furono applicate ad uso e vantaggio della brigata. () Mi spinsi, fatto riposo della notte (i soldati essendo trafelati per una marcia d'oltre a 20 ore) verso i boschi ove i nemici avean riparato. Supporli dovea colà, e snidar no li doveva ad ogni costo. Ma Mini si rinvenne, che col favore della notte cercato avevano altro scampo. I più de'  Calabresi, gittate le armi erano cautamente rientrati nelle loro case, pochi con qualche centinaio di Garibaldeschi eran corsi verso la spiaggia e sembrava volessero ricoverare in Sicilia. Non mettendo alcun tempo in mezzo per batterli mi avviai per Santo Stefano. Ma noti appena venni scorto, che essi fuggirono verso San Lorenzo. Riusciva quasi impossibile per quelli erti monti, ed attraverso folte boscaglie, il raggiungerli. Tuttavia io mi vi apparecchiava ed era già sulle mosse per San Lorenzo, allorché mi ebbi premuroso avviso dal Generale Briganti. Con esso mi avvertiva d'un prossimo sbarco di 4000 Garibaldeschi tra Bianco e Bovalino, ove doveva trovarsi giunto da Pescara l’11° Cacciatori e che poteva esser facilmente dal numero oppresso. La linea innanzi a me era già sgombra di nemici, e da una lettera intercettata, che da Reggio serivevasi al Plutino, si rilevava essere assai arduo l'accozzar anche una sola compagnia di volontari Calabri in soccorso de'  Garibaldeschi. Il pericolo più stringente era dunque quello di cui faceva cenno il Briganti, sicché mi determinai ad indietreggiare. Rifeci quindi la via per Aspromonte, ed arrivai il 19 in Pedavoli. Quivi avendo notizie, se realmente il Garibaldi e l'11° Cacciatori fossero disbarcati, le ebbi negative, sicché mi fu forza sostare, eran già tre di che i soldati si erano aggirati per quelli crini dirupi, stavan affranti da fatiche e da stenti, trovato avendo appena di che cibarsi, e non avevano quasi più calzari a'  piedi. In Pedavoli stesso mancavasi così di vittovaglie che bisognò provvedersene da'  luoghi circostanti.

Non pertanto forniti alla meglio e ristorati alquanto i soldati sul cader del giorno seguente pensava dirigermi verso San Luca, ma inoltrata appena le notte, mi pervenivano due ordini ad un tempo. Col primo il generale Melendez mi partecipava esser già seguito lo sbarco di 6000 Garibaldeschi tra Capo dell'Armi e Pellaro. Coll'altro mi ingiungea di recarmi sopra Villa S. Giovanni ed Altafiumana. (C) Non potendo in quell'ora si tarda per quelli aspri sentieri cangiar direzione, attraversar dovendo il foltissimo bosco di Moio, fu d'uopo partir al romper dell'alba, e prender la via di BagAara, più lunga, ma meno faticosa, così i soldati giunsero più freschi in Altafiumana. Collocato, colà il 1° Cacciatori, e metà del 5° non essendo arrivato l'11° mi portai solo in Villa S. Giovanni.

Qui incominciaron inaspettati fatti e sventure. Reggio era già caduta. () Conferii col Generale Briganti, ed insieme raggiungemmo il Melendez sul Piale, e quivi mentre con altri Utliziali stavamo in una casetta a consiglio, venne a briglia sciolta il Tenente Fiore aiutante di campo del Briganti con il tristo annunzio che la dritta del 1° di Linea era già stata messa in mezzo da bande nemiche. Quell'utfiziale pareva atterrito, io fui attonito, Briganti fu incredulo, Melendez si slanciò fuori per accorrere alla sua brigata, ordinandomi di ricondurmi tosto ad Altafiumana, e di aspettarvi le sue disposizioni.

Traversando a furia Villa S. Giovanni: ebbi a scorgere che il 1° ed il 14° di Linea erano perplessi e quasi prostrati d'animo. Nei vigneti laterali si vedevano già molti armati. () Non vi era da perder tempo sicché corsi a pormi a capo della Brigata in Altafiumana.

passata non era che qualche ora, quando sopraggiungean soldati ed Uffiziali del 1° e del 14° di Linea alla rinfusa, e scuoratissimi. Interrogati rispondevano buon numero di Garibaldeschi esser entrati tra le fila, e di aver fraternizzato con i soldati de'  loro reggimenti. Li raccolsi intanto, che eran 250 ad un bel circa, e li collocai alla sinistra dei Cacciatori Prevedeva una grave sciagura. Sopravveniva intanto il Fiore, con ordine del General Briganti per rimenarli a'  loro corpi. Ma essi si rifiutavano, dichiarando volersene rimanere co' Cacciatori. Il Fiore confidavami essere stata la brigata circondata, e che fatto i fasci d'armi, molti soldati per le bettole e pe' caffè sedean a mensa co' Garibaldeschi, sicché quella tener doveasi come perduta. Egli medesimo mostravasi incerto se dovesse o pur no rieder presso il suo Generale; temendo forte che l'altra del Melendez trovar si dovesse altresì nelle stesse tristissime condizioni.

Sbalordito da fatto sì inaspettato chiamai a consiglio i Comandanti Armenio e Marselli, e fatto loro noto l'accaduto dissi: che io non volea lasciar che la mia brigata venisse sopraffatta dal numero e costretta a por giù le armi. Essa componeasi de'  due soli battaglioni. 1° e 5° di circa 1400 uomini (non essendosi mai congiunto alla medesima l'11°) ed avrebbe dovuto osteggiar 6000 Garibaldeschi già inorgogliti per la caduta di Reggio, ed il disastro delle Brigate Melendez e Briganti. I luoghi stessi non eran a vigorosa resistenza opportuni. A conservarla intatta, giacché restava isolata, proposi di metterci subito in ritirata onde riunirci al grosso della Divisione in Monteleone. Lungo. la via, se inseguiti, incontrati ci saremmo in siti più adatti, a far testa, e ritardar nella sua corsa il nemico. Convennero, e tosto venne impreso il movimento, unito a me essendosi lo stesso Tenente Fiore, che non volle dividere la vergogna de'  suoi compagni.

Il tempo stringeva. Segnalai al Re ed al Ministro della Guerra quanto era avvenuto, e presi tutte le disposizioni che meglio si potevano. per mantenere lo spirito della brigata. Posi indietro quanti raccoglie, di sbandati, col proposito di recarmi su' piani della Corona, ove formato un corpo compatto de'  miei soldati, mi sarebbe stato agevole di affrontare il nemico. (D)

Ma sventuratamente né il Re, né il Ministro aggiustarono fede a quanto per me si riferiva prevenuti da altri telegrammi che annunziavano Reggio non ancor caduta, valorosa resistenza delle Brigate Briganti e Melendez.

Dal Ministro della Guerra mi si rispondeva esser non vero, quanto per me si asseriva. Briganti e Melendez resister gagliardamente: ritornassi nelle primitive posizioni. (E)

Replicai meravigliando come s'ignorasse tuttora in Napoli la caduta di Reggio, la ninna resistenza delle suddette due brigate, le scene dolorose di Villa 8. Giovanni, l'impossibilità in cui era d'indietreggiare esponendo la mia brigata ad indebitata sventura. (F)

Mi si soggiunse essermi fatto ingannare da pochi vili disertori, che la mia ritirata comprometteva le brigate resistenti, ed equivaleva ad una defezione. Il Generale Ghio, a cui, trovandosi il Generale Vial assente da Monteleone, questi ordini si partecipavano da Napoli, mi scriveva negli stessi sensi e mi comandava di riedere ad Altafiumana. Non potendo ciò eseguir e vedendo la cecità in cui si ostinavano, profondamente afflitto, altro partito, se non quello di rassegnar il comando, mi restava. E ciò quasi ingiuriosamente mi era imposto. (G)

Punto e con ragione nel vivo, mi dimisi dal comando e ne affidali le cura all'Uffiziale più anziano. (H) Dappoi mi portai in Napoli in dove non ebbi già premi, siccome il De Sivo registra nella storia, sibbene la soddisfazione di veder riconosciuta la verità di quanto da me si era con í telegrammi dichiarato, ché i disastri delle Calabrie erano ormai a tutti palesi. Chiesi non pertanto il mio ritiro che mi fu recisamente negato, con questo rifiuto indicar volendomisi che il mio oprato veniva plaudito.

Noto è poi come le cose sempre più precipitassero e come rapidamente succedessero talune sommosse popolesche, e come si prese la determinazione di abbandonar la Capitale e di raccoglier l'esercito dietro il Volturno.

Che io non fossi scaduto nella opinione e nella confidenza del Governo per gli avvenimenti di Calabria, fu in quelli stessi momenti a tutti chiaro, perocché venni nuovamente destinato al coniando d'una brigata, con che all'esercito l'approvazione della mia condotta facevasi aperta.

Le truppe avean ripreso animo. Le sortite di Capua, i fatti di Triflisco, Caiazzo e Roccaromana, avea n ridonato al soldato la coscienza delle proprie forze e della sua superiorità. Bramavasi da l'uno e l'altro campo di venire alle mani. Garibaldi intendeva a voler riacquistare il suo prestigio che ogni dì più scemava, ed impedir l'arrivo delle truppe Piemontesi. Dal nostro canto dopo l'invasione degli Stati Pontifici, la battaglia di Castelfidardo e la capitolazione di Ancona, evasi compreso il proponimento de'  nemici.

Essi avrebbero varcato le frontiere Napoletane prendendo alle spalle l'esercito. Era di mestieri dunque una giornata campale, perché„ prostrati i Garibaldeschi e riacquistata Napoli, l'esercito si troverebbe passato dalla diritta sulla sinistra del Volturno per fronteggiar il novello e più poderoso nemico. Decideasi quindi che il nerbo delle forze, sboccando da Capua, aggredite avrebbe le linee nemiche, mentre un corpo staccato prendendo le mosse da ?in lontano assalir doveva i Garibaldeschi alle spalle. ll comando del corpo principale veniva assunto dal Generale in rapo Ritucci, quello del corpo staccato dal Generale Won-Mechel. Questo corpo formato di poco più di 8000 uomini doveva impadronirsi dei Ponti della Valle, e quindi minarsi su Maddaloni e Caserta.

Il Generale Won-Mechel doveva adunque operar sulla sinistra, ed io faceva parte, colla mia brigata, di quel corpo nel quale era riposta tanta speranza della giornata.

A me non spetta il ragionar di quella del 1. Ottobre, che questo non è già il mio compito. Bensì, io debbo giustificarmi delle accuse, che all'autore della Storia (bolle Due Sicilie piacque di prodigarmi. Ei parlando delle operazioni del Won-Mechel, così esordisce contro di me.

Diè Won-Mechell 3000 uomini al Ruiz (quello delle Calabrie) avviò per Morrone salisse a'  Casertani monti, d'onde scendere a combattere Caserta. () Quel disegnarmi come il Colonnello delle Calabrie, panni uno strale avvelenato, è vero, ma che cader dovesse spuntato dalle cose giù discorse. Intanto è da osservare che da me non dipendevano 3000, ma ben 5000 uomini. Erano il 6° ed 8° di Linea con mezza batteria rigata a schietta, oltre alle frazioni del 2°, 4°, 11°, 12°, 130 e 15° di Linea o Carabinieri a piedi. () alle quali si unì posteriormente l'intero 14° di Linea () e con queste forze, meno il 14° che surrogò il 3° Cacciatori, io m'avviai da Caiazzo per alla volta di Caserta Vecchia. ()

Nè scopo a tue prefisso era il discendere a combattere Caserta, che di ciò ricevuto non aveva né comando, ne cenno alcuno. Da quelle alture, avrei dovuto calare giù, quando lo avessi avuto dal Generale Won-Mechel () se da lui superata si fosse la posizione de'  Ponti della Valle, e le alture di S. Michele. In quelle mosse, non vi ha dubbio di sorta che i più forti e pericolosi ostacoli incontrar si dovevano dalla sua brigata, però che l'unica via aperta alle artiglierie era quella de'  Ponti della Valle, dove il nemico stato sarebbe in maggior numero, e fatto avrebbe più ostinato contrasto. Lascio quindi ad altri il considerare se ben si apponesse il Generale Won-Mechel dando a me oltre a 5000 uomini, togliendo seco soltanto i tre battaglioni esteri: e se la sproporzion delle forze in cui Egli presto s'imbatté non contribuisse all'esito della giornata. ()

Ma ciò il lettore giudicherà di per sé stesso da quel che sarò or ora per dire. Da Caiazzo adunque io mossi il 30 Settembre verso le ore venti invece delle ventidue, siccome gli ordini portavano, però che camminar dovendo per erti ed aspri siti immaginai di leggieri che i soldati avrebbero sentito ben presto necessità di riposarsi. () Nè feci sosta alla scala di Torello, siccome narra l'autore, ma sibbene fuori Amorosi, ove arrivai al fine della sera. M'incolpa pure d'aver preso un altro riposo a Ducenta, e ciò nello scopo evidente di far cadere su me il peso del ritardo in quei movimenti. Ma ciò accadde perché nella sera stessa pel 30, conferito col Generale Won-Mechel, che anch'esso erasi fermato presso Amorosi, questi, datemi tutte le chiarezze necessarie intorno all'attacco da eseguirsi nel dì vegnente, m'ingiungea di aspettarlo di bel nuovo a Ducenta. Era dunque ubbidienza la mia, e non calcolata lentezza. E quel secondo convenio ebbe luogo nella stessa notte, ed in Ducenta il Won-Mechel mi ordinava di andare a Limatola, e di giungervi pria dell'alba (come di fatti adempii) per indi avanzare verso Caserta Vecchia. Egli co' suoi marciò verso Maddaloni. ()

E qui è da notare come l'autore accagioni il Won-Mechel di aver mancato di prudenza. Però che vedendo l'indugio, come ei dice, per me posto nel cammino, doveva ripigliare il Generale stesso la direzione della mia brigata ed unirla alla sua. Il che ogni intendente di cose militari farà meravigliare, volendo Egli che si congiungessero due colonne, l'una che muover doveva per la destra e l'altra per la sinistra. Ciò sarebbe stato venir meno del tutto allo scopo prefisso. E così, e con tanta leggerezza, a non dir altro, delle cose di guerra si sentenzia! Lamenta eziandio lo Storico, che il Won-Mechel stesse contento a farmi soltanto un rimprovero di mia lentezza; ma né quegli mi fè rimprovero, né farmene poteva, perché io mi era agli ordini di Lui scrupolosamente attenuto. Ma proposto come si era l'autore di riversar su di me la causa de'  ritardi, mentre esattamente si erano calcolate le ore nel colloquio avuto col Won-Mechel, continua a dir che anche a Limatola mi fossi arrestato con gli avanzi del 6° 7° ed 8° di Linea. E qui potrei far riflettere che sotto di me erano il 6° ed 8° interi, e che il 70 invece a quei dì stavasi nella Cittadella di Messina; ma sono errori che non monta rilevare, se non a far mostra come il De Sivo non abbia attinto a fonti molto pure, fattami prima colpa di frequenti indugi. Mi dà carico poi di essermi trattenuto ad attaccar non più che 250 Garibaldeschi sotto la condotta del Bronzetti. Ora vuolsi sapere che, arrivato all'alba dinanzi Limatola, siccome stato mi era imposto, io non tolsi alcun riposo. Spesi bensì il tempo richiesto a dispor le truppe, vistomi ad un tratto in presenza del nemico, che occupava le alture e dalle quali conveniva snidarlo. Difatti, con impeto assalito da ogni parte, riparò nella Torre di Morrone, nella quale disperatamente si difese. () Bisognò vincere quella resistenza, e dopo quattro ore di lotta accanita i soldati vi penetrarono, uccidendo il Bronzetti e facendo gli altri prigionieri, i quali al numero di 280 furono spediti in Capua. Ma mentre ferveva fiero combattimento contro la Torre di Morrone, io proseguiva col nerbo delle truppe la mia marcia, durante la quale ebbi a sostenere nuovi e diversi scontri, e segnatamente ai Casali; i Garibaldeschi ebbero perdite non lievi in morti e feriti e rimasero altri molti tra le nostre mani. Nè per affrettar il mio cammino era sano consiglio il lasciare indietro a me torme di nemici, ed in luoghi fortificati. Epperò così succede sempre nei casi di guerra, nei quali si porta un giudizio postumo. L' autore mi accagiona di lentezza; che cosa avrebbe detto, se in caso di rovescio, avremmo dovuto, ritirandoci, superar coloro che io. avessi trascurato di discacciar dalle mie spalle? ()

Io giunsi dunque verso le 3 112 p. m. a Caserta Vecchia, che 'mi era indicato come punto obbiettivo, e non Caserta, mai. Un solo battaglione del 6° con una sezione d'artiglieria e talune frazioni si postò sui colli che cingono Caserta Nuova, e tutte le truppe conservarono le comunicazioni tra loro.

Or qui è dove si scaglia contro di me lo storico. Si lagna che tardi m'incamminassi per Caserta Vecchia, senza tener conto delle strade da me percorse, degli attacchi da me sostenuti, e sopratutto delle quattro ore valorosamente spese intorno alla Torre di Morrone. Ei dice che arrivassi trafelato sopra Caserta Vecchia, dove non valeva più l'andare, quasi che l'esser vinto dalla stanchezza non avesse mostrato di aver io, per quanto era in me, accelerato il cammino; e quasi, secondo lui, ad un militare spettasse giudicare degli ordini ricevuti, e calcolare se valesse o no l'andare innanzi o il fermarsi.

Ebbene, un altro scrittore militare, e posto in condizione più elevata (che non era il De Sivo, per dar parere di quelle mie mosse) il Generale Ritucci Comandante in capo l'Esercito Napolitano alla battaglia del 1. Ottobre 1860: non osava accusarmi, o almeno apertamente, di lentezza. Egli dunque scrivea: che o il Generale Won-Mechel non mi avesse lasciato il tempo occorrente a quella faticosa manovra, o io mi recassi con indebito ritardo. Eppur quel dubbio, che lo scrittore poneva contro di me, il Generale in capo in favor mio par che risolva. Perocchè egli parla dell'assalto dato al Castello di Morrone con lode, e testifica che io continuassi ad avanzare, e la poca cooperazione della Divisione Won-Mechel ascrive. (K) ()

Altro e singolare aggravio Egli mi fa piscia di essermi spensieratamente nel convento de'  Cappuccini cacciato, tenendo i soldati al sereno e senza vitto, del quale andar dovettero in busca taluni Uffiziali. (L) Questo rimprovero però era, a non dir altro, ingiustissimo, dappoiché il De Sivo, nativo di tali luoghi, doveva avere cognizione che quei Casati non offrissero capacità, né viveri; che il convento de'  Cappuccini, ove non entrai che la notte, trovassesi al centro della posizione, ed era il sito più adatto per dare comandi. Quel che gli sarehhe tornato agevole di apprendere era poi questo che le truppe restar dovettero di necessità al sereno, imperocchè, trovandosi in cospetto del nemico, il quale coronava il monte di rincontro, in buon numero, io frastagliar non poteva le truppe per quelle ristrette e misere località. Il che i soldati così da se stessi consideravano che niun si mosse in cerca di viveri. Ed estenuati esser potevano dalle fatiche, non dalla fame, però che partendo da Caiazzo presi ne avevano per un giorno più non si potendo.

Stima l'autore che conosciutasi da me la non riuscita dell'attacco di Won-Mechel, io mi risolvessi a retrocedere, ed ordinassi perciò al Tenente Colonnello Musso, ed al Maggior Nicoletti di tener fermo, mentre io campeggerei altrove, e che il Tenente Colonnello Fieschi, postato sulla china di Morrone, garantir mi dovesse alle spalle.

Chi gli avesse suggerito tali cose, l'ignoro. Certo è che le chiarezze che credette per avventura avere ottenute, erano fallacissime. fatti seguirono a questo modo.

Delle 3 1/2 p. m. sino all'inoltrar della notte, quando prese le opportune cautele, entrai nel Convento de'  Cappuccini, io men rimaneva senza ricevere ordini, nò cenno di sorta alcuna.

Ciò tener doveami forzosamente perplesso, perché le ore scorreano, né sapeva in che e come contribuir dovessi a'  disegni generali, e solo ai primi albori del 2 ottobre ebbi contezza dalle spie che l'attacco alla destra contro S. Maria di Capua riuscito fosse infruttuoso, né più fortunato quello sulla sinistra contro Maddaloni. Vidi allora il pericolo della mia posizione, e l'accolti immediatamente a consiglio i Maggiori Coda e Nicoletti ed il Capitano Heymann d'artiglieria, gli altri Uffiziali superiori trovandosi sui monti verso Caserta Nuova, esposi loro quelle notizie assai tristi e la necessità di porci tosto in ritirata, poiché le forze nemiche, libere ormai di agire, tutte addosso a noi sarebbero piombate, () e mentre ciò loro proponeva mi arrivò un biglietto del Capitano Delli Franci, Capo dello Stato Maggiore del Generale Won-Mechel. Il biglietto era scritto a matita da Ducenta alle ore 5 112 del I. ottobre. Con esso mi rendeva consapevole che il Generale non avendo potuto stabilirsi nelle posizioni acquistate, avea retroceduto. Provvedessi dunque, in quel modo che meglio stimassi (M) E qui è da rammentare che il Generale in capo Ritucci afferma che l'ordine di ritirarmi non mi pervenisse se non durante la notte. I capi di corpo da me interrogati approvarono di tirarci indietro. All'istante il mio Capo di Stato Maggiore Capitano Melendez, ed il Sig. Alfiere Lopez ne avvisarono le truppe agli avamposti ed Il Capitano Heymann quelle in posizione su Caserta Nuova. Esse discendere dovevano ne' piani di Morrone per unirsi al nerbo della brigata. Queste disposizioni si effettuarono, la ritirata aprendosi coll'8.° di Linea alla destra, l'artiglieria nel centro ed un battaglione del 6.° alla sinistra. Un altro battaglione di questo reggimento con l'altra sezione d'Artiglieria e parte delle frazioni erano sopra Caserta Nuova. Piace all'autore aggiungere che io lasciassi senza sostegno le artiglierie, che andassi raggranellando per via i drappelli de'  soldati, secondo che capitavano, abbandonando gli altri.

Or di tutto ciò non Ovvi di vero ge non che quelli veniali mai mano a riunirsi alla colonna pria che s'incamminasse. E se si trovi. menomata, ciò avvenne per circostanza assai sventurata. I distaccamenti che stavano postati avanti appartenevano per lo più alle frazioni de'  corpi che furon presenti ai fatti di Calabria o di Sicilia. Inquieti. dubbiosi, e perciò men disciplinati, tali soldati ardenti a proceder in, nanzi, han bisogno del successo, e poco atti sono a resistere in caso di disastro. Nelle ritirate più del valore è necessaria la disciplina, e la. cieca confidenza ne' capi ().

Giunta intanto la testa di colonna nei piani di Morrone, corsi che non era seguita dal 1. battaglione del 6. che sotto il mi „ mando del maggiore Nicoletti, io coi miei proprii occhi visto aveva intraprendere il movimento retrogrado da Caserta Vecchia. Spedii tosto l'Alfiere Lopez per averne nuova, e così seppi come impegnato si fos0 il fuoco col nemico agli avamposti, ove eran cinque compagnie dell'8,0. le frazioni dei Carabinieri e del 15. di Linea. Il Melendez ed il Lop avean loro dato l'avviso di porsi in ritirata, le trombe ed i tamburi loro ne avean replicatamente trasmesso il segno. Invano, che i soldati delle frazioni, a vista di Caserta, udendo quell'ordine, sospettosi come erano a quel di, credettero esser traditi, ed inobbedienti al comanda si spinsero innanzi ().

Il battaglione del 6.° che era alla sinistra dell'8. scosso da subito entusiasmo ne imitò l'esempio. Le altre truppe si eran riunite alla brigata con la rimanente artiglieria. Crudelissima diveniva la mia condizione. () Fermarmi per sostenere l'incanto movimento impreso contro ai miei ordini era un disubbidire a quelli,del Generale Won Mechel speditimi sin dal giorno precedente. Era un espormi ad essere invola,) da ogni canto, era un provocare con tutta la brigata una sicura e lacrimevoi catastrofe, dappoiché partiti i Regi dai Ponti della Valle ne veniva di conseguenza che tutte le truppe delle quali disponeva allora il Garibaldi slanciate si sarebbero addosso a noi. ()

Presto la brigata sarebbe stata circondata e battuta colla perdita, delle armi, delle bandiere e delle artiglierie. In quel crudo bivio preferii la perdita di parte quella di tutti, serbando il resto a'  futuri eventi della guerra. Proseguii quindi per Limatola verso le stanze di Caiazzo. Lungo la via mi si presentarono diversi uffiziali per mezzo de'  quali il Nicoletti chiedeami soccorso, trovandosi già vivamente stretto. Risposi: deplorando l'accaduto e l'inobbedienza, non poter per lui, già forse prigioniero, mettere a cimento la salute de'  miei soldati, l'artiglieria con l'andar incontro a pericoli senza scopo. Da ció si vede che i cannoni non furono per me, mai abbandonati, che ben il nemico avrebbe potuto impadronirsene, ma dopo lungo conflitto, rubarli come dice il De Sivo, non mai.

Egli mi dipinge poco appresso con soli SOCI uomini, passando a guado il fiume sotto Caiazzo, rotto senta battaglia, gridato a morte da'  soldati. e riparando in Capua solo spaurito. Da chi avesse apprese siffatte cose, nol so; ma al certo sincero e benevol testimone non fu, perocché esse ben diversamente andarono. Pria di oltrepassare il fiume all'imboccatura della gola di Limatola, detto aveva al Maggiore Coda dell'8. di Linea, di postarsi al lato dritto della stessa per garantirne il passaggio. Alla sinistra vi eran le altre frazioni. Il Coda riluttò, rimproverandomi la perdita delle cinque compagnie del suo Reggimento che stavano, nel momento della ritirata, agli avamposti. Questo strano alterco seguiva in presenza de'  soldati, i quali perduto ogni freno di disciplina, credendo di dover essere come i compagni abbandonati, dandosi a gridar Viva il comandante Coda, corsero verso il fiume e lo varcarono in disordine il resto delle truppe, al numero di altre 2000 () e l'artiglieria il guadarono ubbidienti, serbate le loro ordinanze, e così giunsero in Caiazzo.

Di là la brigata ebbe ordine di accantonarsi in Sparanisi () E se vi furono altre grida e minacce, non è da stupire. Non v'è chi non sappia che dopo i casi di Palermo, e di Calabria. i soldati dell'esercito che vi avean preso parte, o stati vi erano spettatori, sospettavan sempre esser traditi da'  loro capi ed ogni comando o mossa, che loro non fosse chiara, a tradimento ascrivevano. L'alterco col Coda non era atto certamente a, cancellar quelle apprensioni ed a contener i più turbolenti indisciplina.

Non mi allontanai mai dalla brigata. come lo storico ha asserito fuggii solo spaurito pel Capua,Tma affranto da tante fatiche e da tante amarezze e angosce, caddi infermo non molto di poi — E perché dar non volevo appicco a sospetti o malignazioni, chiesi di curarmi nell'Ospedale di Capua. Mi si prescrisse quello invece di Teano; che erasi decretato, ma non peranco stabilito. Indi è che mi rivolsi al Re per ridurmi in Gaeta, il che mi fu consentito. (N) Maraviglia da ultimo l'autore che io venissi elevato al grado di Generale. Il che doveva convincerlo, panni, che dal Re e dal Ministro della Guerra, Casella, a cui i fatti erano noti, il mio oprato fosse stato ben altrimenti apprezzato (); che non da coloro da'  quali egli tolse la narrazione e forse suggerimenti.

Nè per me si era trasandato allo arrivo in Gaeta, di chiedere che la mia condotta venisse esaminata. Esame non facile, però che quella del Generale Won-Mechel, dovea al tempo medesimo esser vagliata. Pure la mia lo fu da quell'uomo rigidissimo ed inflessibile del Generale Casella, che tutti abbiam conosciuto. Egli adunque qual Ministro della Guerra giudicò: che niuna mancanza erasi da me commessa, che eseguito avessi gli ordini impartitimi, e che ben mi fossi consigliato a salvar la brigata, evitando di subir la fine di coloro che si erano imprudentemente impegnati. () Indi fui promosso Generale.

Lo scrittore mi chiama il Grouchy del 1. Ottobre, del che io non avrei che ad insuperbire, a dir vero, posto avendo il mio povero nome accanto a quello d'un guerriero illustre, del quale per la sciagura di Waterloo dapprima si portarono precipitosi pareri, ma poscia la storia l'ha luminosamente vendicato. Il Grouchy era comandante di un corpo. d'esercito che ove piegato avesse verso il sito ove accanita ferveva la pugna, mutate avrebbe le sorti di quella memorabile battaglia. Egli era padrone dei suoi movimenti e governarsi poteva a suo senno. E ben taluni generali gli suggerivan di volgersi, e camminar dritto là dove tuonava il cannone. lo non ero che Colonnello, capo d'una brigata e tener mi doveva, strettamente, a quanto mi era stato 'ordinato. Nè in realtà io mi rifiutai oppor esitai nello andare a Caserta Vecchia, punto, assegnatomi. E poi da notarsi che questa ricordanza, del Maresciallo Grouchy sia sovvenuta eziandio al Generale Ritucci, il quale nel dare alle stampe le sue avvertenze sul combattimento del 1. Ottobre stima che il Generale Won Mechel fosse stato il Grouchy dell'Esercito Napolitano.

E poiché sì dal De Sivo, che dal Ritucci viene citato lo stesso fatto, credo che star debbasi al giudizio del Generale in Capo dello Esercito Napolitano, anzi che a quello del De Sivo.

Io dunque mi conduceva, combattendo, e secondo gli ordini avuti sul luogo prestabilito. Giunsi bensì più tardi per gli ostacoli che incontrai. e vinsi, e dei quali pocanzi ho discorso. Nella guerra ciò succede spesso, a malgrado i calcoli più esatti, ed arrivato che io fossi anche in tempo certo cangiar non poteva i destini della giornata.

Nutro quindi fiducia e speranza che il benevole lettore, uonch& i miei compagni d'armi e tutti coloro che sanno di milizia, ponendo mento a quanto si è da me detto e narrato non mi reputeranno reo;' tanto più che io dal canto mio ho la piena coscienza di non aver fallito al mio dovere giammai. ()

N O T E

NOTA 1.

Comandava in Catania il Generale Clary, uomo piuttosto irresoluto, che in tutta la giornata del 31 maggio 1860 lasciò il carico del comando al tenente colonnello Ruiz.

NOTA 2.

In totale 24 compagnie; ma l'11. Cacciatori non raggiunse mai quella brigata.

NOTA 3.

L'8 agosto, 210 Garibaldini passarono lo stretto su barchette, al comando di Mussolino. Quest'avanguardia doveva impadronirsi per sorpresa del forte d'Altafiumana, ma la sorpresa fallì, sicché il piccolo corpo fu costretto a guadagnare la montagna d'Aspromonte. Ai 210 Garibaldini si unirono la banda calabrese del De Lieto, in numero di 120, poi altri 100 capitanati da Plutino, e poi un altro centinaio guidati da Gerace. Della spedizione facevano parte Missori, Nullo e Mario (V. Mario — La Camicia rossa — Milano, 1875).

Il Pecorini-Manzoni, nella sua pregevole Storia della 15.a Divisione Tiirr nella campagna del 1860 () dice, a pag. 123, che il «colonnello borbonico Ruiz come seppe il cennato sbarco, vi accorreva nella speranza d'incontrare i garibaldini, ma egli non seppe, malgrado le istruzioni del generale Melendez, né arrestarli, né impedire la congiunzione che più tardi ebbe luogo con Garibaldi, quando questi pochi giorni dopo sbarcò sul continente».

Qui il Pecorini cade in errore. Lo sbarco avvenne il giorno 8, e prima del 14 agosto il colonnello Ruiz non ebbe il comando della brigata e stavasene in Bagnara al comando del. 15. di Linea. Eg;i mosse solo nella notte dal 15 al 16, sicché in tutto quanto i garibaldini fecero in quegli otto giorni egli, non si trovò immischiato.

NOTA 4.

Alberto Mario, nella sua Camicia rossa, con quella bella baldanza, da moschettiere, che spira in tutto quel libro, parlando di quello scontro. ai Forestali, dice:

«Scendemmo in trenta, e, scambiate alcune carabi«nate, con una corsa alta baionetta disgomberammo il sito, e mercé della sinuosità del terreno, delle piante. dell'oscurità crescente, traemmo in salvo pecore, cerotti e pentole. Quindici al trasporto e quindici alla difesa. Non si lasciò indietro nò un'oncia di carne, né nna benda. Qual cena rapita ai cacciatori napoletani lassù! in quella solitudine senza tempo di tinte!»

Per la cena, sta bene; ma per le casse di medicinali, fasce e compresse bisogna convenire che furono abbandonate almeno in parte.

NOTA 5.

La capitolazione di Reggio avvenne il giorno 21, ed è necessario stabilir bene questa data, poiché molti scrittori hanno fatta gran confusione al riguardo. Ecco la convenzione della resa, che riporto dal citato libro del Pecorini-Manzoni, il quale, mentre cita il documento. (n. 45, pag. 411), nella narrazione è inesatto riportando la caduta di Reggio come avvenuta il giorno 22.

Ecco il documento.

Reggio, 21 Agosto 1860.

«I sottoscritti Cav. Carlo Gallotti, generale del Reale Esercito di Re Francesco II, ed il generale Giuseppe Garibaldi, comandante in Capo dell'Esercito. Meridionale, son convenuti circa la resa del Castello ed allo sgombro della città alle seguenti condizioni:

«1. Le truppe di presidio nel castello usciranno con armi e bagaglio ed onori militari, famiglie, sacerdoti ed altri del castello stesso;

«2. Le artiglierie mobili e stabili vengono escluse dal suddetto articolo, nonché animali da sella e tiro, qualunque ne siano i proprietari, dovendo uscire il solo personale con le sopraespresso condizioni;

«3. Il castello sarà consegnato conio esiste, in materiali, munizioni e viveri, mediante regolare consegna;

«4. Il bagaglio e famiglie che abitano in città saranno parimenti liberi di uscire, compresi tutti gl'impiegati amministrativi attaccati alle truppe;

«5. I prigionieri saranno restituiti con armi e bagaglio, tranne qualche arma dispersa che sarà compensata con altra;

«6. Gli ammalati nell'ospedale militare ed in quello civile saranno curati od imbarcati con armi e bagaglio a loro piacimento.

«7. Le truppe napoletane sgombreranno in giornata dal castello od andranno, a quartiere nello spedale militare ed alla Palazzina, ove saranno libere di approvvisionarsi fino all'arrivo dell'imbarco per Napoli; non saranno menomamente molestati dovendo l'imbarco eseguirsi al più presto appena verranno i vapori, per lo «che si daranno le provvidenze più energiche.

«Per il Generale Gallotti, il Tenente colonnello d'artiglieria

«Firmato: Raffaele Massane

«Per il Generale Garibaldi, il Generale di divisione

«Firmato: Nino Bixio.

Nell'epistolario di 'Garibaldi dello Ximenes (Milano — Alfredo Brigola, edit.) si trova il seguente dispaccio inviato all'Agenzia Stefani, (doc. MCCCL):

«Il forte di Reggio ha capitolato il 21, la guarnigione esce coi soli fucili e bagagli personali. Rimangono in nostro potere 8 pezzi da campagna, 2 Paixand da 80 e 6 da 36, 12 obici, 8 pezzi da posizione, 500 fucili, molti viveri, carbon fossile, cavalli, muli, ecc.

«Poco dopo in seguito a lieve combattimento fu occupata la Villa S. Giovanni dalle nostre truppe vincitrici.»

Palermo, 23 aprile 1860.

NOTA 6.

È interessante il racconto che fa il Mario del come la brigata Briganti fu indotta a metter giù le armi.

È un racconto che ha del romanzo e pare un capitolo dei Tre Moschettieri di Dumas; ma al Mario si deve credere, tenendo presente che era nel di lui carattere avventuroso correre incontro alle cose azzardate e perdonandogli l'inesattezza dello date (anch'egli mette la resa di Reggio il 22 e quindi pospone d'un giorno le date degli avvenimenti successivi). — Intendo parlare del racconto. ch'egli fa nel capitolo III. del suo libro «La Camicia rossa» (Milano — Sonzogno, 1884) del quale riporto alcuni brani.

«Alle cinque Garibaldi chiamò Missori, promosso la vigilia a tenente-colonnello:— Precederete colle guide la mia carrozza verso San Giovanni, non più d'un miglio.

«— Permettete, generale, che vada anch'io colle guide? Domandai.

«Ed ottenni.

«Eravamo una ventina. Le guide a cavallo formavano a un dipresso la guardia del corpo; leggiadri ed eleganti giovani di famiglie distinte 'dell'Italia superiore, o patrizi, o proprietari, o studenti…

«Gli aiutanti e una scorta di duecento soldati a piedi seguivano la carrozza. Noi la precedemmo al galoppo del miglio prescritto ed. e anche di due...

«In breve cominciammo a pestar la coda regia,...afferrando parecchi soldati rimasi più del necessario al vino ed all'acquavite…

«Mentre ci occupavamo (lei prigionieri, Missori, il tenente Damiani ed altri corsero a diporto sino alla vista della retroguardia.

«Ritornati ci narrarono d'averla avvicinata a trecento passi, e condussero nuovi prigionieri. Ond'io al maggiore Nullo:

«— Andiamo a vederla anche noi.

«— Vi attendo qui, fece Missori, perché di quattro miglia precorremmo già il generale.

«Nullo, il sottotenente Egisto Bezzi, io, il sergente Quajotto di Mantova e due guide, a spron battuto muovemmo a satisfare la nostra. curiosità. Alle prime case della lunga borgata di San Giovanni sovrapposta al forte la Punta del Pezzo… proseguimmo il nostro galoppo. Gli abitanti, dalla strada e dalle finestre mirando le sei camicie rosse in tanta fretta sulle calcagna delle truppe regie, opinano si tratti d'oratori al nemico. Indi a poco, girato un gomito della strada, c'imbattiamo in un corpo di cinquanta soldati, su due file, l'arma al piede, al di qua del ponte. Con impulso unanime ci avventiamo loro addosso a briglia sciolta vociando:

«— Abbasso le armi, siete prigionieri.

«Colti all'impensata, impauriti dalla tempesta dei nostri cavalli e dal tuono imperioso della nostra intimazione, quei soldati posano le armi a terra. Ma comparsa sul ponte nell'istesso momento una testa di colonna, gli arresi ripigliano il fucile. Avevamo questi di fianco, quella di faccia. Che fare? O perire fuggendo. o perire assaltando. Eravamo sei. Ciò dico ora; allora mancava il tempo da ponderare le probabilità. L'intimazione, la comparsa della colonna, la ripresa delle armi e l'avanti fulmineo di Nullo si succedettero in quattro battute di polso. Confitti gli speroni nei fianchi dei cavalli in un baleno balziamo sul ponte. Davanti alla nostra furia arresi la colonna, ed eccoci su l'altra sponda del torrente fra le braccia della brigata Briganti, distesa parallelamente alla strada sul largo della piazza di Villa S. Giovanni: presso al ponte due squadroni di lancieri, quindi l'infanteria. Col grido di riva Garibaldi, deponete le armi, venite con Garibaldi, percorriamo «la un capo all'altro la fronte della brigata a guisa di rassegna in campo di manovre. E polche gl'immobili e sbalorditi soldati uè ci ammazzano, né ci imprigionano, frenando al passo i cavalli cominciamo su tutta la linea la propaganda di ribellione.

«……………………………………………………………………………………...

«La nostra franchezza, l'inusato linguaggio, il caso nuovo di sentirsi arringati dai nemici, il nome di Garibaldi, l'arcano influsso dei tempi, la convinzione che i nostri li abbiano investiti, alcune o tutte insieme tali cause, producono l'effetto che numerosi viva l'Italia viva Garibaldi scoppiano da quelle schiere, e molti soldati ripartendosi «lane file vengono a baciarci le ginocchia, le mani, l'arcione.

«Gli ufficiali, dispostissimi a rimpolpettarci con quattro palle in petto, interdetti dallo inatteso entusiasmo dei gregari, tacciono con viso ostile. Ma avvedendosi che per poco andare la brigata ci stende la mano e si sfascia, raccolgonsi insieme in consiglio. — Succede un intervallo di silenzio. Io antiveggo in quel silenzio il tentativo fallito ed il nostro eccidio, riflettendo che i medesimi soldati si batterono accanitamente in Reggio venti ore prima…

Gli ufficiali intanto comunicarono a noi e alla brigata la visoluzione di rimettersi al voto del proprio generale per passare con Garibaldi o rimanere alla bandiere.

«E Nullo:

«— Venga il generale I Conducete qui il generale.

«— Il generale, io soggiungo, comunicherà la sua decisione a Garibaldi. Accompagnamolo a Garibaldi.

«— Il generale Briganti fu rinvenuto in chiesa, mentre recitava il rosario. Narravasi dopo che vi avesse cercato asilo nell'idea che la brigata fosse avviluppata e senza scampo. L'aspetto ed il contegno di lui smentivano, in mia opinione, la diceria…

Noi sappiamo che il generale Briganti ritornava dalla conferenza avuta col generale Melendez e col colonnello Ruiz, e non è improbabile, data l'indole dei tempi, che prima di presentarsi ai suoi fosse entrato un momento in chiesa per chiedere colla preghiera ispirazione sul modo di contenersi.

«Al suo comparire noi gli movemmo incontro con segni di rispetto.

«— Generale, fece Nullo con militare concisione, v'intimo di seguirci per trattare col dittatore Garibaldi i termini della resa della vostra brigata. Il dittatore trovasi costì dappresso alla testa dell'esercito.

«Il generale, soggiogato dall'accento, energico, dall'occhio fiero e dai baffi magiari di Nullo, ma, suppongo, ancora e veramente più dalla scrollata disciplina dei suoi che l'accolsero fra gli evviva a Garibaldi, rispose con sereno ciglio:

«— Figliuoli miei, con tutto il piacere!»

E qui basta: il cortese lettore può soddisfare la sua curiosità leggenda il resto nella Camicia Rossa. Osservo che un generale che tollera un tale linguaggio e si lascia trascinare a parlamento, per discutere l'eventualità della resa senza un'evidente ragione, si é già per tre quarti arreso. Briganti fu irresoluto, e doveva pagare qualche giorno dopo colla vita tale sua irresoluzione; ma la truppa ch'egli aveva era pessima e mal disposta e questo spiega com’egli non ebbe fiducia nei suoi, i quali poi, assassinandolo a Mileto, diedero chiaro segno che di fiducia non erano meritevoli.

NOTA 7.

Come mai il Briganti telegrafa al Vial ed al Ministro della guerra che Garibaldi aveva volato vederlo pei feriti? Ciò' è in contraddizione con quanto asserisce Alberto Mario nella Camicia rossa. E' certo che quella brigata non combatté.

Il Bandi I mille —Salami — Firenze 1903) così' si esprime a tal riguardo:

«La brigata capitolò senza colpo ferire. I soldati borbonici, vaganti qua e là, come predoni fuggiaschi, incontrarono, dopo due di a Mileto il loro generale e lo uccisero a fucilate sulla piazza dell'arcivescovado».

Il Pecorini-Manzoni (Storia della 15 Divisione Turr) dice:

«Il generale Briganti mosse timido ed irresoluto all'impresa di opporsi alla marcia di Garibaldi: la sua azione per impedire lo sbarco di Cosenz a Bagnara fu debolissima, e si limitò a poche fucilate, dalle quali cadde ucciso il colonnello garibaldino La Flotte... Al prezzo. di questa perdita e di pochi soldati, Cosenz potè eseguire il suo sbarco, ed occupare le posizioni di altura fra Scilla e Bagnara, dalle quali avrebbe potuto piombare sulle forze, che partendo da Monteleone, venissero a congiungersi con le forze di Briganti.

«Questi intanto, pervenuto colla sua brigata a Catona, si trovò di fronte al generale Garibaldi, il quale già padrone di Reggio alle spalle; ed assicurato dello sbarco di Cosenz che minacciava le spalle di Briganti, gl'impose di deporre le armi, ed il vecchio soldato napoletano, sconcertato da movimenti così subitanei che lo cingevano dai due lati, ed impossibilitato di appoggiarsi alla sua sinistra sovrastata da altissime montagne, o alla sua destra circoscritta dal mare, accettò un abboccamento con Garibaldi a Catona, dove stipulò la sospensione delle ostilità, e dove cominciò quel contagio di dissoluzione dell'esercito napoletano, che così funestamente si diffuse per tutte le truppe stanziate in Calabria».

NOTA 8.

Per riprendere le posizioni di Altafiumana la colonna Ruiz avrebbe dovuto esporre il fianco sinistro alle offese di Cosenz, che sbarcato a Bagnara, trovavasi sulla montagna: le truppe imbarcate a Pizzo; venendo dal mare, non correvano tale pericolo. L'avere il Ruiz detto, nei suoi telegrammi, che il compito di riprendere le posizioni poteva affidarsi a queste truppe, senza spiegare perché non poteva ciò fare colle proprie, fece radicare nell'animo del generale Pianell la convinzione che il Ruiz fosse in colpa (Il Generale Pianeti — Firenze, La Barbera„ 1902; pag. 63). Così avviene quando si giudica da lontano e non si conoscono completamente le cose: ed infatti a Napoli non si sapeva ancora che il Cosenz era sbarcato nella notte dal 21 al 22 sulla spiaggia Calabrese nelle vicinanze di Scilla, ed era andato ad occupare le alture, di Costa Montaiti, sopra Piale.

NOTA 9.

Il Conte Capasso non era un vile che disertava il suo posto, e le cose da lui riferite meritavano la maggiore credenza. Chi egli fosse si rileva da questo brano della Camicia Rossa di Alberto Mario, che mi piace riportare:

«... un paesano salendo le scale a salti con voce trarotta ci avverti che un picchetto di Lancieri borbonici spasseggiava, per riunirsi alla brigata… monto in arcioni e mi precipito dietro quei cavalieri… Nullo balza in sella un istante dopo, ma lo lascio indietro a perdita d'occhio. La briglia sul collo del corsiero, oltrepasso il picchetto nemico. Girato il cavallo grido ai sopravvegnenti:

«— Indietro! siete prigionieri: al quartier generale di Garibaldi?

«Un maggiore, due capitani, un medico di reggimento, quattro sergenti, otto soldati.

«Il maggiore, conte C… sguainò la sciabola.

«(E qui osservisi, pel caso che a qualcuno nascesse il dubbio che, questo maggiore conte C..., che il Mario non nomina, non si sa il perché, non sia il conte Capasso citato nel telegramma di Ruiz, osservisi che nell'aliquota di cavalleria assegnata alla brigata Briganti non poteansi trovare contemporaneamente due maggiori, entrambi conti ed entrambi aventi cognome coll'iniziale C).

«Adesso, pensai, m'infilzano. — Io ripetei immantinente, ingrossando la voce: — Indietro! soggiunsi: — Anche il generale Briganti sta in nostra mano.

«Andiamo a Garibaldi, esclamarono i soldati voltando i cavalli Alle parole e ai movimenti dei soldati, il maggiore, ringuainata la sciabola, mi disse con isforzata rassegnazione.

«— Dunque prigioniero; ho una bandiera ed è vostra.

«— La darete a Garibaldi. Italiani voi come noi, fatevi soldati della libertà. Avrete avanzamenti e combatteremo insieme gli Austriaci.

«Frattanto sopraggiunse il Nullo.

«Alla mia concione enfatica, piovuta sull'animo degli ufficiali, come acqua sulle piume di un'oca, il maggiore di rimbecco replicò con ironia signorile:

«— Gli Austriaci sono lontani ed i nostri costà dappresso. Per arrivare a quelli bisogna battere questi. Vi pare…

«Ma i sergenti facendo caracollare i cavalli mormoravano:

«Si, andiamo con Garibaldi.

«E dopo di loro i soldati. Il conte accigliato seccamente gli ammonì con queste parole:

«— Obbediremo zii comandi del nostro capo.

«L'interrogai donde venissero, e mi rispose:

«— Da una ricognizione.

«— V'ho acchiappati in tempo, amabilissimi, ragionai meco stesso: se foste riusciti alla vostra brigata, l'avreste indotta a decampare più che di passo. annunciando Garibaldi discosto con iscarsa gente. In quanto al vostro Generale, avreste, al postutto, sperato di cambiarlo coi nostri ufficiali in carrozzella.

«E al maggiore non mancava l'animo a ciò, sibbene l'appoggio del suo manipolo.

«Durante il cammino si ciarlò di politica, di guerra e perfino di letteratura. Egli si appalesò cavaliere e di molti studii.

«In fama di filibustieri, ci ascoltava con istupore, scoprendone gentiluomini.

«Garibaldi alloggiava nella casetta di un campagnolo alfine.

«Basso mi annunciò. Entrai.

«Una parola generale.

«Briganti si ritrasse in disparte a guardare alcune vecchie carte geografiche appiccicate alle pareti. Noi ci accostammo alla finestra. E Garibaldi a me:

«— Che lancieri sono cotesti?

«— Nullo ed io li facemmo prigionieri or ora con un maggiore e tre capitani».

……………………………………………………………………………….

«I soldati delle due brigate disciolte furono qual fiocco di neve in alpe che, rotolando, diventa valanga. Sul loro passaggio decomposero e travolsero seco i battaglioni di Bagnara, di Palmi, di Mileto…

«Rividi il conte C…., maggiore dei lancieri, già mio prigioniero. Mi ravvisò egli, e strinsemi la mano con emozione...

«— Perché non vi unite al grand'uomo, campione della causa buona?

«— Perché il giuramento, la gratitudine, la fede gentiluomo mi legano al mio re.

«— Tornate a casa o al campo?

«— Vo a Monteleone per congiungermi al corpo dì Vial. Persevererò finché avrò incontrata la morte. Voi morirete per la libertà, io pel dovere. Il vostro sepolcro sarà infiorato dalla lode; il mio non avrà che il compianto di qualche rara anima imparziale.

«— Io non so, ma le parole di codesto cavaliere della legittimità, di codesto paladino del dovere convenzionale, mi produssero una penosa impressione e mi destarono per lui un interesse molto affine alla tenerezza. Nel distaccarmi da esso avevo un gruppo alla gola e gli dissi addio con voce commossa.

«Pochi giorni appresso lo incontrai in altro campo sfortunato, ov'ei ripassò sotto le medesime forche caudine. Poscia riseppi checadde trafitto nella battaglia del Volturno e che venne sotterrato con calce in una fossa promiscua fra mille cadaveri. E l'indistinta sepoltura contese alle sue reliquie la dolcezza del sognato compianto.»

NOTA 10.

La maggior parte degli autori, che si sono occupati dei fatti di cui ci interessiamo, scivola con singolare rapidità sulla resa delle due, brigate, senza accennare a particolari, sorvolando sulle date. Alcuni confondono la brigata Briganti con quella di Melendez, altri non fanno neanche menzione di questi generali, e chiamano quelle truppe il corpo di Ghio, altri dànno il Vial come presente al campo di Piale. È singolare, per esempio, come il Bandi nel suo recente libro «I mille» parli solo della resa del generale Briganti, senz'accennare affatto a quella di Melendez; eppure, avendo egli scritto nel 1903, poteva fare opera più perfetta.

Così, per ciò che riguarda la data della resa, moltissimi non ne dicono niente, qualcuno la inette al 23 agosto, e la maggior parte al 22 La dissoluzione delle brigate incominciò indiscutibilmente il 22. Mettendo a confronto le varie versioni, e tenuto conto dei discordi pareri, si può ammettere che la brigata Briganti si arrese il 22, e la brigata Melendez nella prima mattina del 23. Tuttavia sono molti gli autori che dànno come contemporanea la resa delle brigate nel giorno 22.

Riportasi qui appresso la narrazione del Maxime du Camp: (Expedition des deux Siciles Sourenirs personnels — Paris, Calman Levy Editeurs, 1881), il quale è uno dei più esatti perché scrisse il suo libro su note prese durante lo svolgersi degli avvenimenti.

Parlando della vittoria di Reggio, dice che essa fu conosciuta a Messina l'indomani, 22 agosto:

«Le lendemain (22 août) seulement, nous connùmes cette victoire, mais sans aucun détail, par un dépêche de Garibaldi: «Aujourd'hui encore nous avons vaincu, Reggio est à nous!» (pag. 76).

La nuova della resa delle brigate Melendez e Briganti giunse a Messina il 23.

(pag. 77) «Cette journée du 22 août, qui à son début nous avait secué le saug par la grande nouvelle qu' elle nous apportait, s'écoula pour moi sur la terrasse de je ne sais plous quelle auberge établie dans un des grands palais qui, debout sur le qual de Messine, font face au detroit et à la Calabre. Armé d'un enorme lorgnette marine qui j'avais, tant bien que mal, accomodè sur deus pierres sur la balustrade, je gardais sans relache sur les rivages italiens. La longue còte bleuie par l'eloignement, profilait sa grève appuvée à de hautes montagnes, et bit brillaient ce et la des groupes de maisons qui sont des villages. AltaFiumana se taisait, et Torre Cavallo et e Scvlla aussi, la bavarde forteresse que d'habitude enveloppait toujours la fumée des canons. Au sommet du fort de la Lanterne, dans la citadelle de Messine, le télégraphe semblait pris d'épilepsie, il allait, il venait, il remttait, il tournait, il se démermit, il se démanchait, faisait des zigzags en l'air, anguleusement, pour soubresauts, et gesticulait comme un homme près de se nover. Nul vaisseaux napolitain e n'apparissait à la mer, où couraient les montons blancs chassès par t le vent du nord sur les bleus paturages. La croisière napolitaine, si e attive hier encore semblait s’être envolée. Les feux insurrectionnel ètaient éteints sans doute, car nul fumée ne poussait vers le ciel son noir tourbillon. Du cert à du Phare, immobilité complète, tout y paraissait endormi, nos cannons et notre armée. Le long de la grève calabraise, parmi les arbres qui verdoient sur les peutes de la montagne, à còtà d’une tourelle ronde qui est un moulin, un petit fort, e ou un télégraphe, j'apercovais des troupes d'hommes qui marchaient, puis s'arrètaient, puis reprenaient leur mute. De quelle couleur était leur uniforme? La distante m’empêchait de le distinguer, et sous le soleil éclatant je ne voyais que le miroitement des baionnettes. Des gens à cheval passaient, allants vite et comme portants des ordres. Quelquefois je fermais mes veux fatigués, je m'absorbais tout entier à prêter l'oreille; mais nul bruit lointain ne vint jusqu'à moi, et je n'entendais que la rumeur de la grande ville qui respirait à mes pieds.

«Il me sembla que deux troupes d'hommes venants en sens inverse s’arrêtaient en face l'une de l'autre: cette halte dura longtemps: puis la troupe qui venait du midi de Reggio vers Naples, se remit en mouvement, continua sa route, et disparut derrière un pli du terrain Je me fis un nombre incalculable de questions auxquelles je ne sus rien répondre. Je restai la, regardant toujours et ne comprenant rien jusqu’à ce que le soleil abattu derrière la Sicile era projeté sur le détroit l'ombre crépusculaire des grandes montagnes; j'allai au quartier général et je m'informai; on ne savait rieu de nouveau.

«Le 23, à cinq heures du matin osa vint me communiquer la dépêche suivante arrivée au milieu de la nuit.

«Le dictateur au général Sirtori. Les deux brigades Melendez et Briganti se sont rendues à discrétion. Nous sommes maître de leur arteillerie, de leurs armes, de leur bètes de somme, de leur matèriel et du fort de Punta del Pezzo t. La veille, du haut de mon observatoire, j'avais assistà aux e marches et aux pourparlers qui avaient amené ce résultat.

E sentiamo che cosa ne dice un nostro scrittore bene informato poiché potè attingere informazioni a buona fonte. E' Jack la Bolina (Vittorio Vecchj) che nel suo libro: La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi (Bologna, Zanichelli 1885) così espone i fatti a pag. 182:

«E la mattina del 22 il Generale Garibaldi con due battaglioni della. 4 prima brigata e con la seconda, marcia su Villa S. Giovanni dove concentratisi i Generali Melendez e Briganti che Bixio sborda con due battaglioni comparendo sulla sinistra di Villa S. Giovanni.

«Al fuoco dei Borbonici, Garibaldi non rispose; accontentossi dar loro ordine che deponessero le armi mentre colle abili mosse dello stratego consumato ne circonda le posizioni. Capitolarono gli uomini di Briganti a S. Giovanni, come pochi dì appresso a Soveria capitolarono quelli di Ghio.

«Rilevo un'inesattezza, o meglio una mancanza di chiarezza: il Vecchj non fa cenno della brigata Melendez; ma la si deve sottindere, avendo detto più sopra che a Villa S. Giovanni si concentravano i generali Melendez e Briganti.

Un telegramma spedito a Genova, non accenna alla data della resa, ma parla di resa contemporanea delle due brigate:

«Le due brigate Melendez e Briganti si sono rese a discrezione (a Cosenz), Siamo padroni delle loro artiglierie, delle armi, materiali e del forte del Pezzo…

«... 26 agosto (sera).

(dall'epistolario di Garibaldi dello Ximenes — documento CLVIII).

Ed ecco come Nino Bixio, nel suo rapporto al Generale Sirtori Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, riferisce l'avvenimento:

«La mattina del 22 il Generale marcia per Villa S. Giovanni con due battaglioni di Bersaglieri della prima brigata e con la seconda, a cui tengono dietro nella giornata altri due battaglioni della prima brigata. Sicure informazioni accertavan i Generali Briganti e Melendez occupare cogli avanzi delle loro truppe il paese fra Gallico e Catona.

«La mossa del generale da Reggio li fa retrocedere. Esso l'incalza e li accerchia a Villa S. Giovanni, ove poco dopo si unisce il generale Cosenz con 1600 uomini. Gli altri due battaglioni della brigata erano stati portati prima da me sulle alture a sinistra di Villa San Giovanni.

«Il Generale mandò ad intimare la resa alle truppe Napoletane e da ogni parte accerchiate, concedendo loro un certo tempo per decidere. Il primo parlamentari mentre dal tetto di una casa spiegava la bandiera bianca, fu barbaramente assassinato. Dopo questo fatto, come il Generale con semplici mosse facesse deporre le armi alle truppe Napoletane, avanzo di due Divisioni, come i forti di Altatitimara e del Pezzo fossero fatti evacuare, e come le 8 compagnie che si trovavano in Villa San Giovanni, che domandavano gli onori delle armi, le deposero, non importa dire.

Il Mariani, nel suo libro: Le guerre Ml'indipcmbp,:a italiana dal. 1848 al 1870 (Roux e Favale. Torino, P83) dice, a pag. 257, che Briganti si arrese il giorno 22 e dopo lui Melendez.

Ettore Guastalla, nella stia Biografia di Giuseppe Garibaldi (Dott. Francesco Vallardi, Milano) a pag. 22 dice: «L'8 agosto sbarco in Calabria. Il 21 vittoria di Reggio, il 22 capitolazione».

Per ultimo sentiamo il. testimonio massimo, Giuseppe Garibaldi.

Nelle sue Memorie autobiografiche (G. Barbera, Firenze, 1888) è un pò impreciso nelle date; ma con alquanta attenzione si possono tutte fissare. Difatti, così comincia il Capitolo XII – Sul continente napoletano: «Circa alla fine di Agosto 1860, e verso le 3 antimeridiane d'una bella giornata approdammo sulla spiaggia di Melito.

Ora, tutti sanno che lo sbarco avvenne il 19.

La resa delle brigate Melendez e Briganti è contenuta in questo breve periodi):

«Nella mattina (alludesi alla mattina della presa di Reggio) si perseguì il corpo di Ghio, che capitolò il giorno dopo, lasciando in nostro potere molte armi minute, ed alcune batterie di campagna. Si arresero anche tutti i forti che dominano lo stretto di Messina, compreso Suina, nelle vicinanze del quale era sbarcata la divisione Cosenz, che riunita alla divisione Bivio contribuì alla capitolazione di Ghio».

Dal complesso di quanto Garibaldi espone nei Capitoli XII e XIII, e dato per punto di partenza preciso che lo sbarco avvenne il 19 agosto, si deduce:

19 agosto — Sbarro a Meito:

20 agosto — Marcia su Reggio.

Infatti egli dice a pag. 376:

«Verso le tre della mattina del giorno seguente ebbe luogo lo sbarco, e noi marciammo su Reggio. Passammo il capo dell'Armi per lo stradale e meriggiammo vicino ad un villaggio che si trova fra quel Capo e la bella sorella di Messina. La squadra nemica osservava i nostri movimenti.

«Verso sera riprendemmo la marcia su Reggio…

«Facemmo varie fermate durante la notte… ed alle 2 della mattina assaltammo Reggio».

21 agosto Combattimento di Reggio — I forti si, arrendono — Garibaldi marcia. su Villa San Giovanni. Questo si rileva dal già citato periodo: Nella mattina si perseguì il corpo di Ghio (pag. 379).

22 agosto Capitolazione delle brigate, e ciò pure rilevasi dal periodo accennato: «… il corpo di Ghio, che capitolò il giorno dopo ecc.» pag. 379). E’ ovvio che per il corpo di Ghio qui vuolsi intendere quello costituito dalle brigate Melendez e Briganti, e su ciò non vi può essere equivoco.

E' cosa certa che la resa delle due brigate avvenne senza combattimento: su questo gli scrittori sono tutti concordi. E' vero che la brigata Melendez, quando fu circondata, fece una viva fucilata; ma i Garibaldini non risposero dalle soprastanti alture. In tutto quell'originale fatto d'armi non vi fu che un morto solo, di parte garibaldina, quello cui doveva far scudo la bandiera bianca.

Che cosa fecero quelle due brigate per impedire l'accerchiamento?

Nulla.

Dunque non era bene informato il Ministro della guerra napoletano quando il 22 agosto, alle ore 6 pom., telegrafava al colonnello Ruiz: «Le notizie che Ella ha con biasimevole credulità accolte sono interamente false ecc.»; ed era ancora ignaro del vero stato delle cose, quando così esprimevasi nel successivo telegramma delle ore 12,30 pom. del 23: «In conferma dei precedenti miei telegrammi, le fo noto, che i rapporti a me pervenuti annunciano che fin dalle 4,30 di sfumane le brigale Melendez e Briganti si battono calorosamente contro il nemico».

Il Pianell forse fondava tale asserzione su qualche falsa informazione, come quella che gli pervenne col seguente telegramma semaforico, ricevuto monco, del generale Melendez:

«23, ore 4 314 pom.

«Questa mattina, respinto l'attacco al nemico...» Rimasto interrotto per altre segnalazioni da Bagnara (V. Il Generale Pianell, Firenze, 1902, pag. 72).

Qualunque fosse il seguito di questo telegramma, bisogna conf venire che comincia con una bugia bella e buona. Le parole successive, che non sappiamo quali fossero, non potevano in nessuna maniera modificare la frase che giunse al Pianell. Dire che il nemico era stato respinto, via, è un po' troppo forte!

Raffaele De Cesare (Una famiglia di Patriotti — Ricordi di due rivoluzioni in Calabria) a proposito della capitolazione di Ghio a Soveria Mannelli, scrive:

«In non meno di trenta minuti, diecimila soldati, deposte le armi, diventarono diecimila miserabili, implorando. vita e pane… Solo un battaglione, di Cacciatori restò al suo posto, ma inerte. Era il battaglione comandalo dal maggiore Armenio».

Questo battaglione era uno di quelli che costituivano la brigata del colonnello Ruiz, ed il fatto che, in mezzo al fuggi fuggi generale fu il solo che rimase fermo al suo posto dimostra che a ragione il Ruiz riteneva che le truppe a lui affidate fossero ottime, e perciò da tenersi fuori del contatto di altre già demoralizzate, per adoperarle in futuri cimenti, perocché anche truppe scelte e col morale alto sono soggette al contagio dei tristi esempi ed in questo egli fu profeta.

NOTA 11.

S'immagini quanto doveva essere difficile e gravoso il comando d'una brigata formata così caoticamente, e come potevasi mantenere la disciplina in quelle frazioni di corpi andati in isfacelo durante gli avvenimenti delle Calabrie. La brigata del Colonnello Ruiz era la 3. brigata della 4. divisione, ed era costituita dal 6. e dall'8. di Linea (quest'ultimo appartenne già alla brigata Caldarelli nelle Calabrie): in seguito vi si aggiunsero le frazioni del 2. (già del corpo di Ghio), del 4. (già della brigata Briganti), del 12. (corpo di Ghio), del 13. (era prima a Napoli quasi in dissoluzione per mancanza di disciplina ()), del 15. (brigata Melendez), dei Carabinieri a piedi (brigata Caldarelli), E con quest'accozzaglia di truppe già scosse, non è maraviglia che avvenisse quello che avvenne.

Ma nell'esercito napoletano mancava una stabile organizzazione dei grandi comandi, e questa fu causa non ultima di tutti i disastri.

Le brigate e le divisioni furono di formazione occasionale, ed i corpi passavano continuamente dall'una all'altra unità, senza criterio definito, tranne quello dell'opportunità del momento. Quindi nessun affiatamento fra i comandanti superiori e gli altri ufficiali; ed anche degli ufficiali fra di loro e coi dipendenti gregari, poiché non era infrequente il caso che battaglioni o compagnie od anche singoli ufficiali fossero distaccati per operare con altro corpo. E quando i disastri accaddero, come quello del 2 ottobre di parte della brigata Ruiz, si gridò alla imperizia del comandante e peggio, e non si seppe scorgere il vizio organico. Toccava pure a noi, in Africa, di cadere nello stesso errore, e solo dopo Adria, quando più non c'era rimedio, ci accorgemmo dello sbaglio.

NOTA 12.

Le frazioni del 2., 4., 12, 13., 15. di Linea e Carabinieri a. piedi si unirono alla brigata con ordine del Comandante in capo, generale Ritucci, del 23 settembre, n. 184 pressante e riservatissimo.

Il 14. di Linea fu destinato dal Comandante in capo in aumentò delle truppe della brigata Ruiz; ma lo stesso Ritucci, con lettera del 29 settembre n. 119 2. carico, diretta al generale de Mechel ordinava che nel giorno 30 settembre il 14, di Linea restasse a Caiazzo, per sostituirvi il 3. battaglione cacciatori della brigata Colonna.

NOTA 13.

Dal seguente rapporto del Ruiz al generale in capo Ritucci rilevasi in quale stato di stanchezza e d'inopia si trovasse la brigata alla vigilia dell'importante operazione che andava a compiere.

Al Generale Ritucci, in Capua

28 settembre 1860.

N. 59.

Signor Maresciallo,

Mi è forza rassegnarle quali siano in atto le condizioni di questa Brigata.

Sono 12 giorni che va facendo incessanti marce, senza alcun riposo, e le circostanze hanno astretto a farle eseguire in uno stesso giorno due movimenti.

È dessa scalzata affatto, senza mutande e per aver avuto la stessa camicia per sì lungo tempo già sperimentansi le conseguenze del sudiciume.

Defatigata com'è, ha risentito maggiori sofferenze e direi privazioni dal lato. dei viveri, benché io nulla trascuri per provvedernela, e Le ne sia prova l'aver spedito in tutti i paesi, e ieri in ispecie a Pietramelara, per aver pane; poiché null'altro fu possibile acquistare.

Tutto ciò Le sarà pruova come i soldati si rattrovano, i quali per queste fatiche e privazioni già piegano alla loro comune credenza.

Queste parole sottolineate hanno un significato convenzionale e grave. La romane credenza, in quei tristi eventi, nel cervello grossolano e nell'animo indisciplinato della truppa ed anche in quello di qualche ufficiale di limitata intelligenza e di basso sentire, era che i capi tradissero.

E con la brigata così mal disposta fisicamente e moralmente, il colonnello Ruiz dovette avviarsi all'esecuzione del mandato impostogli.

NOTA 14.

Ecco l'ordine del Generale Won-Mechel al Colonnello Ruiz per le operazioni del 1. ottobre.

Comando della Colonna di spedizione

Caiazzo 30 settembre 1860

Signore — Signor Colonnello Cav. de Ruiz

Comandante la 3. Brigata — Caiazzo

Signor Colonnello!

Il Signor Maresciallo di Campo, Comandante in Capo, con S U0 Officio del 29 corrente N. 119, 2. do car. mi scrive «che attesa l'altitudine del nemico, essere indispensabile che le operazioni siano pronte. ed eseguile sen,,a venti, ritardo. Colle ferie che io ho da questo lato, ho determinato di attaccare la posizione di St. Angelo, e bosco di 8. Vile), per quindi progredire a tenore delle circostanze la mattina, del 1, ottobre alla punta del giorno: Ella perciò con tutte le forte che Le dipendono dorrò prima di giorno, manovrare ire maniera da cooperare al mio attacco infallibilmente, cercando di prendere il nemico sul fianco e distornarne la sua attenzione, senta. perdere il punto oggettivo indicato da S. M., se il complessa delle informazioni raccolte. Le presenti la probabilità di un buon risultato.

Dovendo ritirare il 6. ed il 1. Battaglione Cacciatori dalle posizioni ore si trovano sotto Caiazzo, curerà che queste sicuri occupate dal 14. di Linea, che a tale oggetto e stato spedito in anniento a codeste forze.

Più la batteria. N. 15 Févot, nel raso che Ella credesse di non potersi avvalere dei 4 pezzi di campagna, rimasti a Caiazzo, potrà farli passare sotto gli ordini del Generale Colonna, dal quale Ella ha già. ricevuta mezza Batteria di Montagna rigata.

Mi risponda sollecitamente».

Ciò premesso Le prefisso ora soltanto che Lei, Signor Colonnello, dovrà con la Brigata del lodevole Suo Comando passare il Volturno e regolare i suoi movimenti di maniera ad avere guadagnato le alture verso Caserta allo spuntar del giorno, onde cosi tenere sempre la congiunzione fra la colonna che attaccherà St. Angolo o la mia elle si getterà sopra il Ponte della Valle. (I)

È indispensabile che all'uopo, non conoscendo personalmente assai bene il terreno, si provveda di buone e fidate guide.

Relativamente alla costruzione del ponte, come verbalmente intesi dalle parti di Limatela, Ella deve, Signor Colonnello, con la mezza compagnia Pontonieri, che Le stanno a disposizione, far preparare il tutto, né vi è intanto da perdere più tempo perché si procuri subito le necessarie informazioni su quelle località.

Il Generale Comandante

de Mechel

NOTA 15.

Il Won-Mechel aveva ricevuto ordine dal Maresciallo Ritucci di agire con tutte le forze riunite.

Con foglio N. 208 del 26 settembre 1860 il Ritucci scriveva al Won-Mechel:

1. Che il Maggiore Migy faccia prontamente le sue operazioni di disarmo, requisizioni di Casse in Piedimonte, e ritorni subito verso Caiazzo, unendosi al resto. della Brigata con l'intera Colonna del Colonnello Ruiz.

2. Che Ella con tutte questo Truppe, rinforzato anche dal 14. di Linea, il quale si recherà in Caiazzo per far Brigata con le altre frazioni di Ruiz, marci con lo scopo di dirigersi ai Ponti della Valle per Ducenta, battendo la via di Roiano ed Amoroso. Le artiglierie potranno passare il fiume per dirigersi sul ponte di fabbrica sul Cadere. oppure da Caiazzo scendere verso Squilla, ove so non vi è più la scafa e non potrà riuscirle di attivarne qualcuna, vi sono dei guadi dei quali si potrebbe avvalere, facendoli riconoscere.

Superati così i detti ostacoli, vorrebbe la M. S. ch'Ella si trovasse per domani almeno sulle alture di Maddaloni, per poi scendere sopra Caserta, e così proseguire sopra S. Maria, nell’atto che la Colonna, la quale uscirebbe da Capita, si dirigerebbe sopra S. Mariti i stesa, di fronte e di fianco per S. Tammaro...

Passarono tre giorni, e, sia pel fatto che i rapporti del Von-Mechel non giunsero a Ritucci, sia per altre ragioni, le truppe di Won-Mechel non ancora munsi mosse per attuare gli ordini ricevuti. Finiti, mente, Won-Mechel così scriveva al Comando in Capo.

Caiazzo li 29 settembre 1860

Comando della 2.a Brigata — 2. a Divisione

Al signor Maresciallo Ritucci Comandante l'Esercito di Operazione in Capua

Signor Maresciallo!

Vi è propriamente della fatalità nella nostra corrispondenza.

Nel mentre le mie lettere arrivavano iersera in Capua, Ella si trovava in Caiazzo, o quando io ci venni per incontrarla questa mattina, Ella ne era partita da un quarto d'ora soltanto.

Col Signor Colonnello Ruiz mi sono inteso sopra tutto lo particolarità delle operazioni, e le cose stanno nei termini i più semplici: tutto ciò che io chieggo all'uopo si e che al Colonnello Ruiz sieno messi a disposizione i mezzi necessari per effettuare il passaggio del Volturno dalla parte di rimatela, ed una mezza Compagnia di Pontenieri (senza Pontoni), sebbene questi potrebbero essere pure utili.

Riguardo al tempo per i miei movimenti, saprò io ben combinare tutto appena che Ella, signor Maresciallo, si degnera dirmi con precisione il tempo in cui intenderà spingere le sue truppe innanzi Capua.

Nel caso stesso trovasi il Colonnello Ruiz il quale però dovrà far precedere i suoi movimenti dalla costruzione d'un ponte, ma questa si potrà calcolare...

Ed il Maresciallo Ritucci così scriveva al Ministro della Guerra:

Capua li 29 settembre 1860

Comando in Capo del Corpo d'Esercito di Operazione Segretariato 2. Carico

A Sua Eccellenza il Ministro della Guerra

Ho l’onore di rimettere all’E. V. perché si degni umiliarlo alla M. del Re (N. S.) in continuazione del telegramma in cifra diretto quest'oggi alla prefata M. S. le copie conforme di tre rapporti finalmente avuti dal Signor Generale Won-Mechel, dai quali scorgerà la indeterminazione dello stesso, ad onta dei ripetuti miei impulsi; indeterminazione che ha paralizzato me fino a quest'ora.

Per uscire però una volta da questa posizione, io vado a prevenirlo che la mattina del 1. ottobre attaccherò infallibilmente la posizione da questo lato, ai quali attacchi egli dove coadiuvare dal lato sinistro, seguendo lo istruzioni date, salvo Sovrana disposizione in contrario…

Il Tenente Generale Ritucci nei suoi Comenti sulla storia del. Cav. De Siro, in una nota a pag. 41, scrive:

«Con mio ordine del 26 settembre, e con posteriore carteggio, furono date modifiche con istruzioni più precise, ai sensi de'  Sovrani voleri, onde il Brigadiere De-Mechel agisse con tutte le forze riunite della Colonna messa sotto i suoi ordini, pel Ponte della Valle, istruzioni che cercò di eludere con indebite interpretazioni, ed alle quali istruzioni non si uniformò, ad onta delle maggiori susseguenti spieghe, e suddividendo invece le sue forze, si ridusse insufficiente a corrispondere al suo compito».

Ed a pag. 95 in una lettera al De Sivo, parlando di Won-Mechel ha queste parole:

«Ella giù diviene in qualche modo su queste colpe; ma per meglio assodare la convinzione sull'andamento dei fatti, le compiego le copie dei documenti qui sotto segnati ()

«… dai quali scorgerà bene l'impronta del suo sistema di tergiversare le interpretazioni, per emanciparsi dagli ordini e dalla dipendenza»

Ed in nota a piè di pag. 96:

«Questo suo procedere si trova ripetuto anche in Palermo, ove non mai per poco valore, o per infedeltà, egli alla testa di forte Colonna, avuto ordine di attaccare Garibaldi al Parco il 23 maggio, vi si determina il 24, offrendo cosi. agio all'avversario di eseguire la sua evoluzione col grosso della forza per la traversa di Marineo e Misilmeri, onde sorprendere Palermo, mentre egli, De Mechel, schernito, spingevasi sulle tracce di una frazione di Garibaldini con Artiglieria ed equipaggi per la Ficuzza e Corleone, fermo a pretendere d'ipse guise Garibaldi ad onta di prevenzioni avute del di costui stratagemma, e facendo anche a mancare nuove di sé al Comandante in Capo: convinto dopo più giorni di essere stato uccellato dal destro competitore, tardi ricompari in Palermo, ove avvenne tutto il dippiù che la storia ha giù assodato.»

NOTA 16.

La Brigata Ruiz doveva fare un lungo giro, prima di guadagnare le alture, sulle quali doveva far sentire la sua azione, perché non fu possibile stabilire un passaggio sul Volturno a Limatola, come erosi convenuto. Ecco ciò che scriveva in proposito Von-Mechel.

Caiazzo li 30 Settembre 1860

Comando della Colonna di Operazione — Pressante Riservata

Al sig. Maresciallo Ritucci Com. te in Capo il Corpo d'Esercito d'Operazione in Capua.

Signor Maresciallo!

Il Capitano delli Franci, Capo del mio Stato Maggiore, reduce da Capua, mi ha recato i di Lei ordini relativamente all'attacco di domani, e subito abbiamo discusso [il sig. Ruiz ed io] l'affare.

Noi faremo a tutta possa di assecondarla nell'attacco di Sant'Angiolo e di uniformarci alle di Lei prescrizioni, quantunque l'esecuzione non è delle più facili. Molte difficoltà ci affrontano e possono produrre ritardi. Così p. e. il Colonnello non avendo più il tempo materiale per costruire un ponte all'altezza di Limatola, dorrà fare un vizioso giro, approfittando del ponte da me fabbricato ad Alvignanello. Dorrà quindi passare per Amorosi, Ducenta e Limatola ecc. ecc. Peggioro ancora è la mia posizione…

Lo scrivo tutto questo, sig. Maresciallo, per sgravarmi di responsabilità, qualora io fossi ritardato nell'avanzare ecc….

Avrei desiderato ardentemente che mi fossero stati intimati gli ordini relativi in modo da lasciarmi il tempo per nettare il terreno, onde averlo libero dietro di me, e perché il Colonnello Ruiz avesse potuto eseguire le sue manovre con meno trapazzi, ma con assai più certezza di buon esito...

Osserviamo che da Caiazzo, per Al vignanello, Amorosi, Ducenta, a Limatola ci sono 28 chilometri da percorrere; e solo dopo questa marcia cominciava l'esecuzione del compito affidato alla brigata Ruiz, cioè l'ascendere, per Castel Morrone, ai monti di Caserta Vecchia. Ma perché, se fin dal 26 settembre il Von-Mechel aveva ricevuti gli ordini per l'azione, non aveva fatto riunire prima i mezzi pel ponte fra Caiazzo e Limatola, e non l'aveva fatto gettare a tempo opportuno?

Riepilogando, ecco in quali condizioni si trovava la brigata Ruiz:

1° Morale assai depresso, essendo costituita di frazioni dei corpi precedentemente battuti o comunque implicati nei disastri delle Calabrie;

2° Truppa stanca e mancante del bisognevole, che giri 1)19 ara alla coniane credenza;

3° Aveva la prospettiva di fare il lungo giro al quale si è accennato, per combattere in condizioni di fisico affranto.

È da meravigliare, se la brigata Ruiz giunse tardi e se poi le truppe, ormai prese dalla romane credenza, disobbedirono in gran parte agli ordini del loro capo e si fecero tagliar fuori che loro vergogna?

È strano poi che, a cose finite, il Von-Mechel, nei suoi rapporti, dia colpa a Ruiz di lentezza; ma chi meglio di lui, conosceva le condizioni della brigata o la via che doveva seguire? Ciò che si è or ora riferito del suo scritto al Ritucci, non costituisce forse un' anticipata difesa per tutto quanto a Ruiz avrebbe potuto accadere?

NOTA 17.

Il Von-Mechel, nel suo rapporto del 13 ottobre n. 624 al Comandante in capo, così si pronunzia stilla condotta del colonnello Ruiz:

Sulle operazioni della Colonna Ruiz ebbi già l'onore di esternare il mio parere nel rispettoso rapporto del 7 corrente N. 5fil, ed ora che ho preso conoscenza della di lui relazione, le confermo pienamente, e ripeto qui solamente che due erano gli errori incorsi, cioè lo la sua marcia lenta, essendo stato da me oltrepassato, ad onta del vantaggio dì due ore che aveva sopra di me, per cui appariva troppo in ritardo sulla platea di Caserta Vecchia: 20 di essersi attenuto troppo letteralmente allo mie istruzioni, non facendo calcolo alcuno del lungo combattimento in cui mi sentiva impegnato [intendo il fuoco dell'Artiglieria], e facendo neppure la minima divergenza a sinistra.

Questo della marcia lenta è diventato un luogo comune, di cui tutti coloro che hanno scritto di quegli avvenimenti non hanno mancato di far colpa a Ruiz, compreso il Comandante in Capo Ritucci; ma da quanto il cortese lettore è andato apprendendo nel leggere l'opuscolo di,Ruiz e dai commenti fatti finora in queste modeste note, si sarà formato al riguardo un concetto più rispondente a giustizia. E pensi pure a quelle soste alle quali Von-Mechel obbligò Ruiz, e giudichi se sia logico il lagnarsi, come fa il Von-Mechel nel suo rapporto, che questi sia stato da lui oltrepassato. E che colpa ne veniva a Ruiz so piacque a Von-Mechel di oltrepassarlo, dal momento che questi non umile conto delle differenti strade che percorrere dovevano la sua brigata e quella del colonnello Ruiz dal punto in cui si separarono, cioè da Bucante? Egli marciava per una larga e comoda strada, lungo il fondo della valle, senza dover superare dislivelli di sorta, ed il suo primo obbiettivo, i Ponti della Valle, distava da Ducenta di soli 10 chilometri (); mentre l'altra brigata doveva percorrere oltre ti chilometri solo per raggiungere Limatole ed avvenne che fin da questa località le truppe di Ruiz dovettero disporsi al combattimento e sempre combattendo raggiungere Caserta Vecchia. Se Von-Mechel voleva e (l'avrebbe dovuto volere) che l'arrivo della brigata Ruiz a Caserta Vecchia coincidesse col giungere della sua ai Ponti della Valle, doveva lasciarla partire con anticipo tale da assicurare la voluta contemporaneità nel toccare i nominati obiettivi, e doveva pur tener conto della strada più lunga che quella doveva percorrere e dei dislivelli da superare. Queste sono cose elementari, da tenersi sempre in mente ogni qualvolta si opera in terreno montuoso.

In quanto all'altro gravame fatto a Ruiz di essersi attenuto troppo letteralmente alle sue istruzioni, pare che Voti Mechel avrebbe voluto ch'egli fossesi spostato a sinistra; ma bisogna credere che Von-Mechel non abbia tenuto conto di due cose, e cioè: 1) che il colonnello Ruiz s'ebbe contro gran parte della brigata Sacchi; e questo forse Von-Mechel ignorava quando estese il suo rapporto; 2) che la brigata Ruiz giungeva a Caserta Vecchia quand'egli era già stato respinto: Ruiz giungeva alle 3 1/2 pom. e Von-Mechel a quell'ora era già stato ributtato indietro, tanto che i Garibaldini alle 4 avevano già ripresa la loro linea d'avamposti oltre Valle. () Questo rilevasi dal rapporto del colonnello brigadiere Eberhard al Comandante della 17° divisione garibaldina:

La colonna nemica che si era avanzata sulle alture verso Maddaloni dovette ritirarsi vedendosi tagliata fuori, abbandonando nelle nostre mani circa 60 prigionieri. Quindi non solo le nostre posizioni vennero rioccupate; ma circa le ore 4 pomeridiane la brigata era estesa sulla linea d'avamposti guadagnando ancor più terreno spingendo gli avamposti».

Il tenente generale Ritucci nei suoi Cementi sulla Storia del Cav. De Sivo, dopo aver riportato il brano di rapporto del Von-Mechel poc'anzi citato, fa le seguenti considerazioni: e Dunque il De Mechel dopo tanto ritardo, fino al punto d'essere da me minacciato il 29 settembre di farlo surrogare in quel Comando, ed in opposizione ai ripetuti ordini avuti, divideva la sua missione in due, assegnando a Ruiz la parte più difficoltosa, e lo abbandonava oltrepassandolo, come se il disimpegno di quella non più l'appartenesse che per dargli soccorso e questo stesso a talento di Ruiz, e non per effetto delle sue istruzioni; che il Colonnello, tra gli altri torti, univa quello di esservisi attenuto troppo letteralmente»

Qui il Ritucci, che pure non è troppo equanime, anzi piuttosto acerbo pel Ruiz, come si dirà altrove, ha trovata la giusta espressione: il Von-Mechel l'abbandonava (il Ruiz) oltrepassandolo; e quando si trovò anzi tempo impegnato (fin dalle 7 del mattino) si lagnò che non ebbe l'appoggio di Ruiz, come se questi, per recarsi sulla platea () di Caserta Vecchia, non avesse dovuto fare che una escursione di piacere e non già combattere per tutto il suo percorso.

NOTA 18.

Quasi tutti coloro che hanno descritta la battaglia del 1. Ottobre dicono che la colonna che operò su Castel Morrone-Caserta era al comando di certo Perrone, tacendo di Ruiz; altri ne fanno due distinte colonne. Il fatto sta che io non so chi si fosse questo Perrone: confesso che per quante ricerche abbia fatte, fino al momento in cui scrivo non m'è riuscito di saperlo con certezza: () suppongo che fosse uno dei comandanti delle frazioni il quale, per essere caduto prigioniero il 2 ottobre, e per essere il più elevato in grado fra gli altri ufficiali che ebbero la medesima sorte, fu creduto il comandante della colonna che operò da quella parte. Gli scrittori dei primi tempi dopo il 1860 incorsero in tale errore, e gli altri che scrissero dopo necessariamente li seguirono. Così al Perrone si dà il vanto, e da taluni il biasimo, () di aver vinta la resistenza del Bronzetti; ma io dubito che anche in questo siano esatti. Il Colonnello Ruiz non si fermò con tutta la colonna a Castel Morrone, ma, lasciatavi la truppa necessaria, marciò avanti, e devesi credere che con quelli che portò seco fosse anche Perrone, dal momento che il giorno seguente questi si trovò fra i prigionieri caduti in mano dei Garibaldini verso Caserta; mentre un altro ufficiale superiore rimase a Castel Morrone. Tale asserto è confortato dal seguente rapporto che trovo fra le carte di Ruiz.

Al Sig. Colonnello Ruiz, ed in assenza al Sig. Maggiore Nicoletti.

Dopo le operazioni di guerra praticate ieri nella contrada di Morrone, detta Collo di Cappa, per la ragione di essersi avanzata l'ora del buio mi è convenuto rimanere sul monte Morrone appunto nella stessa posizione ove era l'inimico; o polche informato sono che la colonna da Lei degnamente comandata i dopo l'aziono di guerra doveva prender posizione alle colline dette di Caserta e Vecchia ritenga per certo che farò movimento appena farà giorno.

Il presente foglio, per assenza del Sig. Colonnello è dato le istruzioni al Soldo di Cavalleria per presentarlo al comandante del 6. di Linea, il quale resta informato, per quanto ho espresso di sopra ho ordinato di non far nessun movimento, se non giungo con le mie frazioni.

Il pronto riscontro, indicandomi il sito ove potete trovarvi per unirmi alla colonna.

La truppa è senza viveri, attendo al momento da Morrone l'occorrente.

Collina di Morrone le ore 5 (a. m.) del 2 ottobre 1860

Il Comandante le frazioni

Pietro de Francesco — Magg. del 6. di Linea.

NOTA 19.

In sostanza, la sera del 1. ottobre l'unica colonna vittoriosa fu quella di Ruiz, perché le altre tutte si dovettero ritirare ed essa pernottò sulle posizioni conquistate; pure, per ironia della sorte, contro Ruiz poi si appuntarono tutti gli aculei della meno benevola critica.

Ruiz molto modestamente accenna a torme di nemici, mentre altri menerebbe vanto d'aver vinte quelle tenaci resistenze, come d'una vittoria ottenuta. Il fatto sta che egli ebbe contro di sé non piccola parte della brigata Sacchi, e l'essere stati i reparti di questa impiegati in vari luoghi, dovette, com'è naturale, ritardare la di lui avanzata. Quando Ruiz scrisse il suo rapporto non sapeva d'aver avute innanzi a sé le truppe del Sacchi; quindi non lo seppe Von-Mechel quando si lagnò di Ruiz; non lo seppe Ritucci quando nei suoi scritti rimproverò al Ruiz la lentezza; e quando questi nel suo rapporto scrisse,d'aver incontrati molti nemici in tutta la sua avanzata, trovò scettici questi suoi giudici immediati, che credettero aver egli forse esagerato per artificio di difesa. Leggasi nella Storia della 15. Divisione Tiirr del Pecorini-Manzoni il rapporto del generale Sacchi (Doc. 85); qui si riporta il riassunto che il Pecorini stesso ne fa a pag. 248.

Nè più prospere volgevano le sorti delle armi nelle posizioni del Castel Mummie e di (;rottole vicino S. Leucio dove comandava il generale Sacchi (Doe. 85).

I Regi con forze considerevoli e 4 pezzi di campagna aveano attaccato con tanta violenza le posizioni di Grottole e Castel Morrone e S. Annunziata che respinsero tino a S. Leucio il battaglione Ferraccini, il Generale Sacchi visto lo scompiglio ritirò da Grottole la 12. compagnia del 2. reggimento. e la 3. del I. perché in posizione non sostenibile, e le spinse ad occupare le colline con istruzioni di portare soccorso al battaglione Bronzetti in Castel Morione, dove questi lottava con forze cinque volte maggiori, e se non vi riuscissero occupare le colline e difenderle palmo a palmo, mentre ordinava al maggiore Ferraccini di riordinare le sue forze e tentare il ricupero delle posizioni perduto. Nel tempo stesso raccoglieva tutta la gente disponibile a S. Leucio, e la mandava sotto il comando del tenente colonnello Rossi in appoggio del maggiore Ferraccini.

Inutili sforzi! il maggiore Bronzetti con 250 bersaglieri teneva fin dall'alba Castel Morone contro una grossa colonna, fulminato dal l'artiglieria, incalzato da crescente numero di nemici, ferito, mortalmente egli stesso, la maggior parte lei suoi anche feriti, finite le munizioni, fatte le estreme difese a colpi di pietre, estenuato, circondato in modo che ogni soccorso gli era divenuto impossibile, avea. dovuto abbassare le armi, e darsi prigioniero con i pochi restanti del suo battaglione.

Il tenente colonnello Rossi arrivava quando già Castel Morone era caduto; onde si trovò di fronte con tutte le forze del nemico che cercava circuirlo. Nulladimeno egli tenne testa vigorosamente agli assalti, e cedendo ostinatamente il terreno, ritardò tino a sera riuniitarsi del nemico. Era quanto poteva farsi da valoroso soldato, ma, finalmente rigettato il Rossi, ferito e prigioniero il capitano Pontotti, prigionieri diversi soldati, il nemico penetrò nel Parco da una porticella che abbatté e che conduceva alla Vaccheria di S. Silvestro, ma non arrivò tino 'a questa posizione, ché attaccato alla baionetta dal Rossi fu rigettato fuori del Parco.

Comparando quanto sopra è esposto colla narrazione di Ruiz si deduce che quei Regi che si spinsero fino al Parco dovevano appartenere ad un riparto distaccato per molestare la ritirata dei Garibaldini e per parare a ritorni offensivi da quella parte, mentre il grosso della brigata raggiunse il suo obbiettivo di Caserta Vecchia.

NOTA 20.

In un altro suo libro Ritucci fu meno benevolo col Ruiz quantunque lo scagioni delle colpe che al De Sivo piacque attribuirgli. Inteudesi dei Suoi Gementi alla Storia del Car. De Siro dal 1847 al 1861, dove così pronunziasi:

«(pag. 45) Il nemico nulla guadagnò su di noi: le perdite furono pressoché eguali, ad onta della mal diretta e fallita cooperazione della Colonna del Brigadiere De Mechel...»

«(pag. 73)… il De Mechel è il maggior responsabile di tutto c il male avvenuto in quella giornata. Egli ebbe l'ordine chiaro di marciare con anticipo alla testa di tutta la forza messa sotto i suoi ordini, e pei Ponti della Valle scendere sopra Caserta, ed attaccare alle spalle Santa Maria quando i rivoltosi erano alle prese colle Truppe dal lato di Calma. Egli fece differire l'attacco dal 29 Settembre al I Ottobre… Egli ritardò immensamente quel suo movimento lo stesso 1. Ottobre.

«Egli staccò da sé per lunghissimo giro di Limatola e Castel Morone, la forte Brigata Ruiz, non per effetto di ordine prestabilito nel Piano di attacco, ma in opposizione di questo, nella veduta di e spingerlo solo forse a Caserta e Santa Maria, riservando a sé l'occupazione di Maddaloni, che credeva fosse più facile non so per «inali sue mire.

«… Egli fu che dopo la sventurata morte del, figlio si pose in ritirata con pochi suoi accoliti, lasciando compromesse le ritratte frazioni del 1. e 2. Battaglione, ed anche il 3., i cui comandanti e dovettero spingergli appresso un Aiutante e chiedergli istruzioni, che si contennero di porsi tutti in ritirata. E fu fissata la sua missione per la strada rotabile de'  Ponti della Valle, dietro sua protesta di non sapersi staccare dalla propria Batteria di campagna di pezzi rigati il cui distinto Capitano Févot era il suo Mentore: Batteria che non avrebbe potuto agire per altrove. Fu Egli quindi che con tante colpevoli stranezze fè mancare la sua difficile e ritardata missione, e con essa la giornata; e perciò Egli e non altro fu il vero Grouchv di quell'Esercito».

«… In un lunghissimo suo studiato rapporto, che fecemi finalmente arrivare dopo 15 giorni con antidata, non seppe contrapporre alle giustifiche del colonnello Ruiz altro, che questi non accorse al rimbombo del di lui cannone. Ma quegli noi doveva nella esecuzione delle di lui istruzioni; nò il poteva forse per la distanza e difficoltà de'  luoghi che percorreva. Pertanto non ho mai creduto Ruiz scevro di colpa: questi n' ebbe nella lentezza anche da sua parte; nel non essersi assicurato nella notte del 1 al 2 ottobre, da Caserta Vecchia, che pervenuto era alle truppe spinte innanzi, l'ordine di ritirata, ed attenderle e sostenerle, anzi che abbandonarle: ma se queste colpe hanno influito sulle perdite dei prigionieri che egli ebbe, ed a promuovere la sfiducia e l'indisciplina nei suoi dipendenti, non hanno dato causa alla abortita missione della Colonna De Mechel, e quindi alla perdita della giornata, dipesa massimamente dalla condotta e misure del Comandante superiore dilla cennata Colonna, Brigadiere De Mechel».

Negli stessi Contenti a pag. 98 leggesi:

«… Ruiz ha gravi colpe; ma più verso la sua Brigata che fece distruggere nella maggior parte, anziché verso il suo Comandante, a cui è maggiormente imputabile quella fallenza ()… E qui m'è forza rimarcare: Se v'erano antecedenti che davano motivo a sospettare di Ruiz, perché darmelo al Comando di una Brigata di frazioni già scandalizzate, che prender dovea tanta parte in una giornata decisiva?!»

Nel leggere il Ritucci si riceve l'impressione che egli, nel mentre difende l'operato di Ruiz, ad un tratto si penta e faccia sentire contro di lui la voce d'un latente rancore.

Circa l'appunto della lentezza, è stato già detto esser questo un luogo comune in cui tutti cascano, quando fanno superficialmente l'esame delle operazioni della colonna Ruiz; circa poi l'avere abbandonata parte della sua brigata, lasciandola sopraffare e cader prigioniera, diciamo subito che ciò non è conforme al vero, imperocché non mancarono a quegli sconsigliati ordini pressantemente ripetuti per ritirarsi, ed essi vi risposero con aperta disobbedienza. Ma di questo si parlerà dopo, quando avremo inteso ciò che ne dice lo stesso Ruiz nel suo opuscolo. A me piace però far risultare come negli stessi suoi Comenti il Ritucci parli in modo più conforme a verità di quell'evento disgraziato.

A pag. 53: «Altro funesto caso di sfiducia e d'indisciplina verificavasi nelle residuali frazioni della Brigata comandata dal colonnello Ruiz, che con data del 5 ottobre stesso rapportava di non poter più ritenere quel comando, perché minacciato di vita, per effetto della prigionia avvenuta il 2 alla porzione di truppa che senza ordine si spinse fino a Caserta, dalla parte di Caserta Vecchia, e ch'Egli dovette abbandonare per porsi in ritirata d'ordine del Generale De Mechel pervenutogli la notte dal 1 al 2; di che è cenno nel mio opuscolo di agosto nel 1861».

Ed a pag. 191192: «Non fa d'uopo di argomentazioni per dimostrare l'insufficienza di diecimila uomini a sorprendere e sottomettere una Capitale di cinque in seicentomila abitanti… diecimila uomini necessariamente mal corredati, che si avrebber dovuto staccare dall'Esercito operante, senza poter più tener comunicazioni… spinti con imprevidenza a rinchiudersi fra stuoli di nemici per rimanervi sopraffatti (come avvenne alle male accorte truppe della Brigata Ruiz, che furono prigioniere tra CasertaCaserta Vecchia la mattina del 2 ottobre)».

Dunque, qui Ritucci è nel vero: furono male accorte le truppe, non il comandante dal quale si sottrassero indisciplinatamente. E l'onesto retto sentire del vecchio soldato, qui parla sincero vincendo quell'avversione che altrove abbiam visto palesarsi.

E v'era motivo d'avversione fra il Ritucci ed il Ruiz? Effettivamente una polemica corse fra loro: se verrà giorno in cui uno storico imparziale scriverà la storia esatta di quella campagna, potrà forse tenerne conto: io qui cito i fatti. ()

Il Ritucci, avuta notizia che Piedimonte d'Alife era occupata da 3 o 4 piccoli battaglioni di Garibaldini, aveva disposto di attaccarli, destinandovi la brigata comandata dal generale Von-Mechel e le truppe comandate dal Colonnello Ruiz (6. ed 8. di linea e frazioni). Quindi, con foglio del 23 settembre n. 184 ne dava l'ordine al Von-Mechel, contemporaneamente inviava al Ruiz il foglio che segue ():

Comando in Capo del Corpo di Esercito d'operazione.

Movimenti N. 184 — Capua 23 settembre 1860,

Pressante riservatissima. Al Signore. Sig. Colonnello Commendatore D. Giuseppe Ruiz. Comandante la 3. Brigata della 4. Divisione. Teano.

Signor Colonnello,

Ella colla sua brigata muoverà da Teano o si unirà alle frazioni del 2. 4. 12. 13. e 15. Reggimento di linea e Carabinieri che stanno fra Pietramelara e Rocca Romana, estendendosi fino a Statigliano e non più: farà in modo da giungervi per la giornata di domani pel mezzodì al massimo: ivi si terrà in posizione, militarmente guardandosi, e stando pronto a muovere con tutte le frazioni suddette, attenderà le istruzioni del sig. Brigadiere Von-Mechel, sotto gli ordini del quale dovrà agire, con una mezza batteria di montagna rigata, che gli verrà dallo stesso Brigadiere.

Si provveda di viveri. Non manifesti ad alcuno lo scopo del suo movimento.

Fido nel suo zelo e bravura perché la sua truppa dia risultati con dissimili da quelli avuti finora.

Il Maresciallo di Campo

Comandante in Capo: G. Ritucci.

Seguiva poi nel susseguente giorno, quest'altro foglio ().

Comando in Capo del Corpo di Esercito d'operazione

Movimento N. 185 — Capua 24 settembre 1860.

Riservata. Al Signore. Sig. Colonnello Commendatore D. Giuseppe Ruiz. Comandante la 3. Brigata della 4. Divisione Roccaromana o Statigliano.

Signor Colonnello,

Di seguito al mio officio di ieri N. 184 sono a prescriverle di trattenersi costà fino al mezzodì di domani 25: se per la detta ora non avrà ricevuto ni‘ miei ulteriori ordini, ne istruzioni del sig. Generale Von-Mechel, Ella si ritirerà colla sua Brigata a Tenne, e le frazioni rimarrano com'erano fra Pietramelara e Roccaromana.

Il Generale in Capo

G. Ritucci.

Il giorno 25, Ruiz, non avendo ricevuto alcun ordine per le ore 12, ed avendolo atteso ancora per due ore, se ne torna a Teano, come gli era stato prescritto, e vi giunge alle 10 di sera. Il fatto sta che Von-Mechel aveva spedito ordine a Ruiz; ma il suo ordine era giunto in ritardo () quando questi era già partito. Egli scriveva così il 25 settembre, n. 477 () da Caiazzo:

Signore. Sig. Colonnello Comm. de Ruiz. Comandante di Brigata

Signor Colonnello!

Sebbene il mio ordine era positivo, e non mi lascia alcun dubbio ch'Ella signor Colonnello rimanga fermo nella posizione che occupa, pure, per obbedire all'ordine superiore, mi affretto trascriverLe una parte di un officio del 24 n. 192 del Comando in Capo; questo dico:

«Si accerti che Ruiz lo attenda nell'attuale sua posizione, mentre avendogli io scritto che, se per domani 25 a mezzodì non avesse avuti miei ordini, o di Lei istruzioni si fosse ritirato, potrebbe nascere un qualche equivoco, per cattiva interpretazione badi quindi a prevenirgli chiaramente di non muoversi e di ciò che deve e. faro nelle operazioni.»

Ciò premesso, le spedisco la presente prevenendola che domattina ad ogni modo ed infallibilmente succederà l'attacco a Piedimonte. Siccome però io non so a quali impedimenti Lei sig. Colonnello potrà andare soggetto nella sua marcia, La prego di farmi pervenire un di Lei rapporto questa sera in Alvignano.

Resta però inalterabilmente fissato che domani alle 9 ant. (26 settembre) tutta la Colonna devo trovarsi innanzi a Piedimonte. Io marcio in 3 Colonne, sicché è necessario che nessuna variazione io faccia alla mie disposizioni.

Il Generale

Comandante la Colonna di operazione

De Mechel

Questa lettera corse dietro a Ruiz e lo raggiunge in Teano. Ruiz, con foglio della stessa sera del 25, così risponde ()

Signor Generale,

Di riscontro al di lei foglio d'oggi stesso N. 177 pregiomi manifestarle che conformemente agli ordini del Comandante in Capo, cioè, che se per le ore 12 meridiane non riceveva altre disposizioni da lei mi fossi ritirato in Teano; non avendo quindi ricevuto alcun di lei ordine sino alle 2 p. in. di oggi, ho fatto ritorno in Teano, ove soli giunto alle 10 p. m.

Da ciò rileverà chiaramente essere fisicamente impossibile che la Brigata di mio comando per le ore 9 a. in. di domani si trovi innanzi Piedimonte. La truppa è del tutto defaticata, digiuna per la giornata ed in conseguenza non può con sveltezza affrontare una tappa di 18 miglia, per entrare immediatamente in azione: non pertanto, dopo breve riposo che darò alla brigata, la farò muovere per Piedimonte, ove noii potrà giungere prima delle 3 p. m.

Intanto ho disposto che le diverse frazioni de'  Corpi riuniti in Pietramelara e Rocca Romana, facciano tutto il possibile per trovarsi innanzi Piedimonte alle ore 9 a. in. di domani; sarà quindi della di lei bontà far loro trovare gli ordini analoghi, pel modo come dovranno disporsi. Sarà del pari della di lei saggezza lasciar gli ordini positivi per la Brigata di mio comando.

Ed al generale Ritucci Ruiz telegrafò la mattina del 26 alle ore. 1 213 a. m.:

Ieri sera alle ore 10 la truppa da Statigliano ha fatto ritorno in Teano por non aver ricevuto altra istruzione sino al mezzodì. Alle 10 112 poi di detto di è giunto l'ordine del Generale Von-Mechel che stamattina succeda l'attacco in Piedimonte, e che alle 9 dovrei trovarmi innanzi Piedimonte, ciò é impossibile perché la truppa è stanca, digiuna da ieri per difetto del Commissario di guerra () e dovrebbe fare una tappa di almeno 23 miglia per giungere a Piedimonte. Ma in ogni modo io mi inetto in movimento, ordinando ora stesso alle frazioni di Pietramelara o Roccaromana di marciare sopra Piedimonte. Mi attendo da Lei sollecite e precise istruzioni al momento.

Il Capitano Melendez dello Stato Maggiore è alla Stazione per riceversi la risposta. ()

Ritucci rispondeva telegraficamente da S. Agata, 26 Settembre ore 3 ant.

Stante quanto rapporta col disgustato telegramma dell'ora 1213 conviene che ritorni agli ordini del Generale Von-Mechel, col quale deve assolutamente porsi in relazione da Statigliano al più presto che potrà.

Ella pel mezzogiorno di ieri avrebbe dovuto avere immancabilmente le disposizioni del Generalo Won-Mechel. Badi sempre di provvedersi di viveri, destinando un Uffiziale all'oggetto. ()

Il Capo Tecnico

GAET. SORVILLO

Ecco dunque sorto fra Ritucci e Ruiz un primo attrito. Si potrebbe domandare a chi dei due ne rimonti la responsabilità, ed al riguardo osservo: se al Ritucci era sorto il dubbio che Ruiz, in esecuzione del suo ordine N. 185 del 24, ritornasse a Teano, perché non gli scrisse direttamente revocando l’ordine, anziché dare incarico al Von-Mechel di trattenerlo Che colpa si può dare a Ruiz se eseguì i suoi ordini, anzi, per maggior prudenza, li esegui due ore dopo, attendendo invano fino alle 2 del pomeriggio? ()

Ad ogni modo la colonna del colonnello Ruiz 'pel 26 si trovò a Piedimonte d'Alife. Ma ecco che il giorno dopo, 27, una disposizione da lui data origina un nuovo dissidio col Maresciallo. Questi, con suo foglio del 25 Settembre N. 194 comunicava al Generale Von-Mechel le intenzioni del Re per l'attacco dalla parte dei Ponti della Valle, attacco che il Von-Mechel doveva eseguire colla sua brigata e con quella Ruiz; con successivo foglio del 26, N. 208, (lavagli più precisi ordini al riguardo, primo dei quali quello di ritornare a Caiazzo colla colonna Ruiz, per potere di là iniziare le operazioni.

Il Von-Mechel, da Campagnano, con suo foglio del 26 settembre N. 485 () dava gli ordini al colonnello Ruiz, perché il 27 si trasferisse a Caiazzo colle sue truppe, bivaccando la notte dal 27 al 28: a Caiazzo il Mechel avrebbe dati ulteriori ordini. Ed il Colonnello Ruiz così scriveva al Maresciallo Ritucci:

Alife 26 settembre 1860 — N. 53.

Niuno attacco è avvenuto in Piedimonte come si supponeva. Le frazioni oggi sono entrate verso le ore 23, e han trovato occupato il paese da una parte di truppa del sig. Generale Von-Mechel fin dalla notte innanzi. Alle ore 24 () la mia Brigata si è fermata in Alife. Per istruzione del sig. Generale Von-Mechel domani vado ad accamparmi avanti Caiazzo con la mia Brigata.

Ho spedito un Uffiziale di Stato Maggiore dal Comandante la Colonna Svizzera in Piedimonte, sig. Aiutante Maggiore Migy. il quale mi fa sapere che domani andrà all'incontro del sig. Generale Von-Mechel. Sebbene il sig. Generale Von-Mechel ed il sig. Aiut. Magg. Migv non mi parlino se le frazioni debbano oppur no seguirli pur tuttavia credo indispensabile che Piedimonte non venisse interamente evacuata dalla truppa, o quindi vi lascio tutte le frazioni al comando del sig. Tenente Colonnello Fieschi. Egli finalizzerà le incominciate operazioni dal sig. Aiutante Maggiore Migv, cioè del disarmo, sorpresa di Cassa ecc. ecc. in quel paese e viene da nie interessato di praticare l'eguale in tutti i paesi circonvicini, senza abbandonarlo, a cominciare d'Alife come il piii grande, con proporzionati distaccamenti. ()

Ritucci rispose con 'foglio del 27 settembre, N. 226, da Caiazzo: ()

Sig. Colonnello — Mi perviene questa sera il di Lei ufficio di ieri N, 53. Sono scandalizzato come ha rimaste le frazioni in Piedimonte e dintorni in opposizione agli ordini avuti, ciò che può risultare di trista conseguenza. Il tutto a sua responsabilità. Se le resta tempo le richiami immantinente, per unirsi al Generale Von-Mechel, ed agire sotto gli ordini di questi.

Con foglio N. 56 del 27., Ruiz replica, () dicendo quali ragioni lo avevano consigliato a lasciare in Piedimonte le frazioni, concludendo:

ad ogni modo sono sempre in tempo di richiamare presso di me la forza di Piedimonte, se cosi Le piacerà dopo l'esame del mio esposto.

Ritucci ribatte le ragioni addottegli col foglio che segue, datato da Capua il 28 settembre N. 93 ()

Sig. Colonnello — Le ragioni espresse nel suo foglio di ieri N. 56 recatomi stamane dal sig. Alfiere DeSantis non sono valide a fronte della importanza delle operazioni militari; in conseguenza, se non ha ordini in contrario dal Generale Von-Mechel, richiami tutte le frazioni, e riunisca le forze, onde non incorrere ad essere battute in dettaglio.

Attendo il risultato, per mezzo del porgitore istesso del presente, della sua conferenza con Von-Mechel, cui farà sentire che sono in attenzione di suoi rapporti; nella intelligenza, che forse io attaccherò per domani la posizione S. Angelo.

Il Capitano Simonetti f. f. da Commissario di Guerra le si è spedito fin da ieri.

Il Colonnello Ruiz scrive ancora a Ritucci, il 28, da Caiazzo, con foglio N. 61 ():

La disposizione che detti di rimanere le frazioni dei diversi Corpi in Piedimonte, fu da me incontenente rassegnata in iscritto al sig. Generale Von-Mechel come del pari ne informai a voce il sig. Magg. Migy, ed Aiutante di Campo del ripetuto Generale che trovai in Piedimonte, affin di dirgli il mio operato appena l'avesse raggiunto. Alcuna obbiezione fattami sul riguardo, ho ritenuta essere stata apprezzata la mia determinazione, e per averne una riconferma vado a scriverne in questo momento di nuovo al Generale Von-Mechel.

Intanto le invio il Capitano dello Stato Maggiore alla mia immediazione. affinché possa a voce darle altri particolari che qui tralascio per sollecitudine.

E scrisse Ruiz a Voti Mechel con foglio N. 62 del 28 settembre (), e n'ebbe il seguente riscontro ():

Comando della Colonna di operazione — Amorosi 28 settembre 1860 N. 490.

Signor Colonnello!

Di replica al gradito suo foglio di ieri, sono inteso con la di Lei proposizione che (Mie le frazioni dei Regg. ti di linea di Sua dipendenza sieno accantonate con le debite precauzioni militari in Piedimonte: ingiungendo al loro Comandante di adoperarsi sempre energicamente perché non vi nascessero dei disordini. Ciò si potrà eseguire tanto più, inquantoché Ella ha ora aggiunto alla Brigata del lodevole Suo Comando anche il 14. di Linea in Caiazzo.

P. S. In questo momento ricevo il suo foglio n. 62 e ripeto quanto già detto di essere d'accordo a tenere oc, upato Piedimonte ad unta i rimproveri che gliene fa il Comandante in Capo. Del resto assunto io la responsabilità per questo fatto.

In conclusione, le frazioni furono richiamate, e presero parte alla battaglia del 1. ottobre colla brigata Ruiz; non sappiamo, non risultando da documenti, se ciò avvenne per effetto di nuovi ordini di Ritucci, o por impulso di Von-Mechel o per spontanea volontà di Ruiz. Abbiamo voluto esporre anche questo dissidio d'opinioni fra Ritucci e Ruiz, perché se ne tenga conto, come dell'altro dissidio al quale prima si è accennato. A noi pare essere nell'ordine delle cose umane che Ritucci, pur volendo essere equanime con Ruiz, sia stato influenzato nei suoi giudizi dal ricordo dei loro passati attriti; ed è per questo che la storia non potrà mai essere scritta da coloro che presero parte agli avvenimenti: questi non possono che portare le loro testimonianze; lo storico, giudice imparziale, le vaglia e sentenzia.

NOTA 21.

I fatti confermarono pienamente tale ipotesi. Fin dalle 'prime,ore del pomeriggio del 1. ottobre i Garibaldini si preoccuparono dell'avanzare della brigata. Sirtori, vedendo retrocedere i Garibaldini dalle alture di Caserta Vecchia, premurò Tiirr d'inviar subito colà una brigata della riserva; non potendo Tiirr annuire, dovendo obbedire a precedenti ordini di Garibaldi, ne dio avviso al Generale Bixio ().

Appena ristabilite le cose sulla linea Santa Maria-S. Angelo, D'inparlando con Sirtori gli diceva:

«Adesso è tempo di occuparsi di quei Borbonici che abbiamo veduti sulle alture di Caserta Vecchia».

«Presi perciò gli accordi necessari col Tiirr, il generale Sirtori mandò ordine ai brigadieri Corti ed Assaliti, di marciare con nn reggimento della loro brigata, il primo da. Aversi, il secondo da S. Angelo, per Caserta, dove si erano pure raccolti i 'Calabresi di Stocco e dove lo stesso generale Sirtori dopo date le colmate disposizioni si era recato…

«Il Dittatore che si trovava in S. Angelo, e che di tutte queste cose era stato a tempo messo in conoscenza, fece chiamare a sé nella notte il brigadiere Spangaro della divisione Turr, e gli ordinò di tener pronto prima dell'alba un battaglione della sua brigata per marciare con lui, ed altre istruzioni spedì al generale Sirtori…

«Il generale Garibaldi mandò avanti Missori con le sue guide per scoprire il nemico, quindi da S. Angelo mandò a Caserta il cennato battaglione della Brigata Spangaro, i carabinieri Genovesi, in tutto 650 uomini circa ()».

Intanto Garibaldi faceva telegrafare, da Sirtori, a Bixio perché cooperasse all'azione che preparava contro i Regi.

«Alle 4 antim. del 2 ottobre il generale Sirtori faceva partire da Caserta per S. Leucio i Calabresi di Stocco, il 1. reggimento della divisione Cosenz Brigata Assaliti, e per Cassola il 3. della stessa Divisione.

«Bixio esegui con la maggior precisione gli ordini che aveva e avuto dal Dittatore. Lasciò alla Brigata Fabrizi la custodia delle posizioni verso Maddaloni, spinse la 1. Brigata ad occupare alle spalle del nemico le alture del Monte Viro, mentre egli con la 2. Brigata e la Brigata Eberhardt della Divisione Medici, marciò diretta. mente su Caserta vecchia. La mattina alcune compagnie della Brigata Sacchi sortite in ricognizione col tenente colonnello Winkler lungo la muraglia che cinge il Parco di S. Leucio, furono attaccate da un distaccamento della colonna Perrone () e furono costrette a ritirarsi… ma rinforzate da altre truppe della stessa Brigata Sacchi costrinsero il nemico. a ripiegare...

«Intanto i Borbonici da Caserta vecchia accennavano a Caserta nuova, ma Garibaldi con i volontari condotti da S. Angelo e cori (pianti gli venivano sotto mano arrestò loro la marcia. Mentre il generale Stocco con una colonna Calabresi e il generale Sacchi con un battaglione bersaglieri Piemontesi ed un battaglione d'infanteria pure dell'armata settentrionale e due pezzi d'artiglieria che rimanevano in posizione alla porta del parco. si spingevano sulla montagna ed attaccavano la colonna nemica, e cacciatala d'altura in altura, la fecero parte prigioniera e parte la dispersero.

«In questo mentre Sacchi non perdeva d'occhio la colonna attaccata da Garibaldi a Caserta nuova, e quando vide che prendeva la montagna, mandò il maggiore Isnardi della sua Brigata, e parte della Brigata Assunti a tagliarle la ritirata e giunse a fare molti prigionieri.

«L'avanguardia di Perrone (sic) aveva potuto arrivare tino alle prime case di Caserta nuova, ma qui si trovava Sirtori e Corte e fu respinta dal 2. battaglione bersaglieri della Divisione Cosenz che era di riserva in Caserta; il restante della colonna Perrone fu fatto prigioniero dal generale Bixio che lo incalzava ai fianchi, chiudeva loro. ogni via di salvezza e li obbligava a deporre le armi, lasciando 5 pezzi da campagna e 2 obici. Pochi di quella colonna poterono salvarsi guadagnando la scafa di Limatola ()».

Dalle citazioni fatte si deduce come, nel mentre Ruiz teneva rapporto dei capi di corpo, attorno alle truppe della sua brigata si andava preparando un cerchio di ferro, sviluppantesi da S. Leucio per Caserta a Caserta vecchia e M. Virgo; e ben si appose il colonnello nell'ordinare la ritirata: se fosse rimasto in posizione, se fosse andato avanti, sarebbe stato certamente schiacciato.

NOTA 22.

Quanta equanimità, quanta dignità nel racconto di questo fatto dolorosissimo, che al Ruiz fu causa di amarezze d'ogni specie. Questo temperato linguaggio è segno evidente di retta coscienza e della convinzione profonda d'avere eseguito tutto il proprio dovere.

NOTA 23.

Non era forse da prevedersi? Ecco la conseguenza dell'errore di aver riunite tutte quelle Trazioni demoralizzate in una brigata sola. NOTA 24. L' indisciplinato avanzare contro il volere del comandante, fuori della sua azione di comando, fu con felice frase chiamato la fuga in avanti, ed ha della fuga indietro tutta l'irriflessiva foga e coni' essa conduce al disastro e al disonore. Come nella fuga indietro, in questa intempestiva corsa al nemico il vincolo gerarchico è rotto: il più bassa, il più ignorante, il meno degno è colui che dà l'esempio e gli altri sono trascinati e travolti come in un vortice irresistibile che tutto inghiotte.

NOTA 25.

Vero: nella nota 21 si è dimostrato conte la brigata si sarebbetrovata in un cerchio di ferro, ed in questo cerchio si trovarono quei disgraziati che, rotto il freno gerarchico, si gettarono pazzescamente avanti. Cesare Abba, nel sito libro Da Quarto al Volturno, (Bologna, Zanichelli 1909) ha per essi una espressione indovinata: dice che fu una gran caccia da Re. L'Abba in quel suo libro è talvolta fuori dal vero, ma nessuno gliene ta colpa. perché quelle sue noterelle egli le andava scrivendo man mano che i fatti succedevano e quelle cose che non accaddero sotto i suoi occhi, egli le notò come gli vennero all'orecchio, talora travisate. ampliate o monelle; ma per quelle che ha viste è, più che uno scrittore che descrive, un pittore che copia dal vero… Leggiamo ciò che dice a pag. 219 di quei suo libro.

« 2 ottobre verso le 11 antim.

«Gran Caccia da Re, veduta da questo cocuzzolo di Monte Caro! Un nugolo di borbonici, forse quelli che ieri dovettero passare sul. petto di Bronzetti, si vanno aggirando di qua di là, di su di gai, per quelle alture di Caserta. Vecchia, e pare che non sappiano dove andare a dar del capo. Ma da tutte le parti spunta il rosso dei nostri e fa cerchio. Quelli si raccolgono, forse vogliono piantarsi e difendersi tra quelle rovine che danno al paesaggio quel tono lamentoso di grandezza morta e di desiderio. Cosa valgono quelle schioppettate? Tra momenti ci arriva amebe Bixio. Se ne vede di qui la. fila lunga su pel monte, e la, testa tocca già l'altipiano. Partendo di qui disse ai suoi: Non mangerete finché coloro là non saran presi. — Pare che i borbonici si siano accorti ah lui: c'è un poco di scompiglio… un loro cavallo parte, corre, torna; ora hanno la via rotta anche alle spalle. Si movono, vanno verso Sant'Angelo: retrocedono… ora discendono verso Caserta Nuova; no, rimontano… Bandiera bianca! Che senso quest’urlo che riempie tutta l'aria colà! Pare un fremito della terra, tutto si smuove… i nostri corrono da tutte le parti… Un gran silenzio…

«Si sono arresi!»

NOTA 26.

La brigata era di oltre 5000 uomini: meno 2000 circa che si spinsero sopra Caserta, per cadervi prigionieri, restavano in ritirata in numero di 3000; e da questi, dedotto il Battaglione Coda, di 500 o 600 uomini, torna esatta la cifra di oltre 2000 che seguirono ordinatamente il proprio comandante.

NOTA 27.

Ecco gli ordini, dai quali risultano le successive dislocazioni della brigata:

Comando della 2. Brigata — della 2. Divisione.

Cajazzo, 3 ottobre 1860 — n. 521 Pressante

Signor Colonnello D. Giuseppe Ruiz — Comandante la 3. Brigata — Caiazzo.

Signor Colonnello!

Giusta ordine Superiore, che forse sarà diggià alla di Lei cognizione, Ella con la Brigata di Suo Comando dovrà occupare i seguenti accantonamenti: Pignataro — Pautuliano — Pulignano — S. Secondino.

La prego dunque mettersi colle sue truppe in marcia domattina per dare adempimento agli ordini suddetti del Comando in Capo. ()

Il Generale Comandante la Brigata De Mechel.

Il giorno appresso veniva emanato il seguente

Ordine del Comando in Capo del Corpo d'Esercito d'Operazione del di 4 ottobre 1860.

Sua Maestà il Re (D. G.) si è degnata nominare aggiunto allo Stato Maggiore dell'Esercito il 1. Tenente D. Giuseppe Cipriani del 1. Granatieri della 'Guardia, col destino come Aiutante di Campo presso il Sig. Maresciallo di Campo Riedenatten in Gaeta e ciò giusta quanto ha partecipato S. E. il Ministro Segretario della Guerra con Telegramma del 3 Ottobre corrente.

ALTRO

Nuovo piazzamento delle Divisioni e Brigate noi diversi accantonamenti restando con ciò annullata qualunque altra disposizione data antecedentemente.

1. Divisione — Generale Colonna

Comandante di Artiglieria sig. Tenente Colonnello Salazar.

1. Brigata Paterna3. Cacciatori

4. Cacciatori

6. Cacciatori

Pignataro, Pastorano, S. Secondino, Pautaliane e Partignano.
2. Brigata Barbalonga2. Cacciatori

14. Cacciatori

15. Cacciatori

Bellona, Vitulazio, Falchi e Camigliano
Batteria numero 11 di montagna — Pignataro.

Batteria di montagna numero 13 Bellona.

Uno squadrone dei Cacciatori a Cavallo.

2. Divisione — Marescialln Afan de Rivera Comandante l'Artiglieria Tenente Colonnello D. Gabriele Ussani

1. Brigata

Polizzi

7. Cacciatori

8. Cacciatori

9. Cacciatori

10 Cacciatori

Occupi lo Stretto fra Triflisco e Pontelatone fino a Piana

rilevandosi agli attuali Corpi

della Divisione Colonna.

Caiazzo

2. Brigata

Von Mechel

1. Cacciatori Esteri

2. Cacciatori Esteri

3. Cacciatori Esteri

Batteria N. 10 di Montagna con la Brigata Polizzi.

Mezza batteria N. 2 da piazzarsi al di quà dello Stretto di Triflisco rilevando la mezza batteria N. 6 e dipendente dal Maresciallo Afan de Rivera.

Batteria da Campo N. 15 in Caiazzo

Uno Squadrone dei Cacciatori a Cavallo.

Uno Squadrone del 3.. Dragoni sarà alla dipendenza dol Maresciallo Afan de Rivera.

3. Divisione — Generale Ecaniz

I. Brigata

Grenet

2. di Linea

4. di Linea

Formicola e paesetti contigui

I. Brigata

Ruizt

6. di Linea

8. di Linea

Sparanisi e Torrafranconisi

Uno squadrone del 3° Dragoni.

__________

4. Divisione — Generale Sergardi

1. Brigata

Marulli

1. Granatieri

2. Granatieri

Teano con un battaglione

a Venafro per operare

sopra Isernia.

2. Brigata

D'Orgemont

Cacciatori della Guardia — in Calvi

Tiragliatori della Guardia — in Capua

Batteria da campo N. 3 in Teano con una sezione in Venafro per operare sopra Isernia. Uno squadrone dei cacciatori a cavallo.

Guarnigione di Capua

Generale De Cornè Comandante le Truppe

Brigata

Liguori

Brigata

Marra

9. di Linea

10. Linea che rientrerà dagli attuali accantonamenti.

1. Cacciatori.

5. Cacciatori.

11. Cacciatori.

12. Cacciatori.

13. Cacciatori darà il servizio d'avamposto a Brezza rilevando il 1. Cacciatori.

Riserva di Artiglieria in Capua

Comandante della stessa Tenente Colonnello D. Ferdinando Ussani.

Batteria di posizione N. 1 (Antonelli)

Batteria da Campo N. 5 (Pacca)

Batteria da Campo N. 6 (lovine)

Le Batterie N. 5 o 6 alterneranno fra di loro pel servizio di tenere mezza. Batteria di posizione fuori al Poligono.

Divisione di Cavalleria Leggiera — G. le Ruggiero

2. Ussari

1. Lancieri

2.Lancieri

Negli attuali accantonamenti

Divisione di Cavalleria Pesante — G. le Palmieri

Carabinieri

1. Dragoni

2. Dragoni

3. Dragoni

Agli attuali accantonamenti

Tutti i diversi movimenti delle Truppe, avranno principio domani alle 5, del corrente, meno però la Brigata Polizzi, Brigata Paterno, e 15. mo Cacciatori, ohe debbonsi eseguire successivamente per Battaglioni, mettendosi d'accordo per l'oggetto col sig. Maresciallo di Campo Afan De Rivera ed il sig. Generale Comandante le rispettive Divisioni.

F. to Ritucci

Per Copia conforme

Il Colonnello Capo dello Stato Maggiore

Tommaso Bertolini

Al signore sig. Colonnello Ruix Comandante la 2. Brigata della 3. Divisione Sparanisi ()

NOTA 28.

La partecipazione della nomina a Generale () fu fatta al Colonnello Raiz col seguente dispaccio. ()

Ministero

e Real Segreteria di Stato

della Guerra

1. Rip. — I. Car. — N.. 954

Sua Maestà il Re (N. S.) con Real Decreto degli 8 Ottobre p. s. si è degnata promuoverla al grado di Brigadiere nel Reale Esercito.

Nel Real Nome, o con mio particolare piacere, glielo comunico per opportuna norma e governo.

Gaeta, 17 Novembre 1860.

Il Tenente Generale Ministro della Guerra

Francesco Casella.

Al Signore

Signor Colonnello D. Giuseppe Ruiz de Ballesteros

del 15. Reggimento di Linea.

NOTA 29.

Questo è il rapporto indirizzato dal Colonnello Ruiz al Generale Casella: ()

Borgo di Gaeta, 13 ottobre 1860

A S. E. Il Tende Generale C. G. C. I). Francesco Casella

Ministro Segretario di Stato della Guerra in Gaeta

Eccellenza,

Chiamato da V. E. a narrare le ragioni che àn menato la perdila di circa duemila uomini del 6. cd 8. Regg. to e delle frazioni dei corpi di fanteria di Linea vengo a sottometterle le cose seguenti.

Il 1. Ottobre corrente, tre colonne combinate per un attacco generale muovevano dai loro accantonamenti per agire sopra 8. Maria, Caserta Vecchia e Valle di Maddaloni. Le colonna del centro affidata al mio comando, composta dei sopradetti corpi, raggiunse il sito della sua destinazione in Caserta Vecchia.

All'alba del seguente giorno, Mentre mi disponeva ad attaccare il Monte S. Michele, che sovrasta Maddaloni, per aprirmi la comunicazione con la Colonna Svizzera, un avviso del Sig. Generale Won Mechel dello 5 1/2 p. m. del 1. mi istruiva della sua ritirata ne' lasciati accantonamenti.

Della colonna diretta sopra S. Maria si ebbero notizie non felici. ed il cannone il confermava co' colpi che si sentivano partire da Capua.

In quel momento stesso chiamai i Capi di Corpose loro esposi la condizione in che ci trovavamo, cioè di non avere più appoggio sulle ali, stare il Volturno a poca distanza dalle nostre spalle, impossibile lo avere rimpiazzo di munizioni (ho sempre pregato per avere quantità di munizioni caricate a schiena), non bastare il paese per le sue poche risorse ad offrirci neppure per un giorno una razione di. pane fosse anche di granone, e per ultimo non mancai tampoco di fare rilevare la importanza di custodire e salvare la mezza batteria rigata di Montagna, indi a che conchiusi con la dura necessità di battere in ritirata sopra Caiazzo, avanti dì essere attaccato dal nemico, che ingrossato da grandi forze venute la notte per ferrovia, e non avendo più a combattere te nostre ali ci avrebbe infallibilmente soverchiati. Unanime si fu il voto degli anzidetti Capi; intrapresi quindi subito la ritirata, ed il Sig. Capitano Melendez dello Stato Maggiore e l'Aggiunto Alfiere Lopez furono quelli che comunicarono un tale ordine agli avamposti. Giunto sul monte che sta a cavaliere di Caserta Vecchia, i Battaglioni dell'8. e del 6. Regg. di Linea nii seguivano o si fu allora che s'impegnò il fuoco agli avamposti, i quali invece di ripiegare sul Corpo principale, sordi al comando si spinsero nei sottoposti villaggi.

Continuai la mia marcia nel piano di Morone: foci alto onde dare campo a raggiungermi alla Sezione di Artiglieria ed allo altre frazioni, che stavano sul limitare del Bosco di Caserta. Non vedendomi seguire dagli avamposti né dal 6Reggimento di Linea spedì nuovamente l'Alfiere Lopez a Caserta Vecchia e n'ebbi in replica che tutti si erano portati a Caserta.

Non pochi individui dell'8. di Linea seguirono le orme del 6. di Linea, che marciava alla sinistra.

Fuvvi chi avrebbe voluto persuadermi ad ogni costo di muovere al soccorso de'  nostri che si battevano. Non cedetti e continuai la ritirata, perché ben calcolai la disparità delle mie forze a fronte di quelle dell'inimico.

Dal fin qui dotto V. E. rileverà che non mancamento di ordini, né di preveggenza mia, cagionarono la perdita di tanti uomini fatti prigionieri, ma l'inobbedienza la più decisa ed ostinata ai dati ordini, e questa disobbedienza, il dirò con dolore, si manifestò in tutti non esclusi i Capi, i quali ultimi furono la cagion vera che l'indisciplinatezza raggiungesse il colmo, discutendo col soldato la mia ritirata che caratterizzarono per ostinata, scandalosa ed inopportuna. e non prevalendo fra tutti che il mal calcolato sentimento di progredire innanzi ad occupare Caserta, che a loro giudizio, e non mio, sarebbe stato agevole il ritenere. Tali discussioni promossero mutinio fra'  soldati, che decisi a togliermi la vita ben tre volte il tentarono []. Stimo non superfluo porre sotto lo sguardo di V. E. copia del rapporto, che in argomento, feci al sig. Ten. te Generale Ritucci comandante in Capo, dal quale rapporto rilevansi talune circostanze non estraneo al presente.

Dopo ciò mi si potrà dire che io abbia errato, ed io, sempre pieghevole alla voce della ragione, avrò a grado che altri mi convinca di questi errori, ma tacciar non mi si potrà giammai di obblio de'  miei doveri, o di mancanza di attaccamento alla Santa Causa, che mi ha condotto in queste contrade, e che con meno rea fortuna difesi a Catania, e nelle Calabrie.

Giuseppe Ruiz, de Ballesteros.

Il generale Casella, noto per la sua rigidezza in fatto d'onor militare, esaminò la condotta di Ruiz, anche pei fatti antecedenti al 1. ottobre. e, trovatolo esente da colpa, lo giustificò in modo solenne, ordinando che dal comandante in capo dell'esercito, tenente generale Salzano, che aveva sostituito il Ritucci sul Garigliano, ne fosse data notizia ai corpi dipendenti.

Ecco il documento diretto dal Generale Salzano al colonnello Ruiz:

Comando in capo del Corpo di Esercito d'operazione personale n. 758.

Castellone 3 novembre 1860

Sig. Colonnello. — Da S. E. il Ministro Segretario di Stato della Guerra, in data del 1. corrente mese, 1. carico, n. 767, è stato partecipato quanto segue:

Il Sig. Colonnello Ruiz de Balestreros, avendo completamente giustificata la sua militare condotta. mi reco a dorere parteciparlo alt'E. V. affinché si compiaccia renderne arrisato lo interessato ed i Corpi di sua dipendenza.

Ed io adempiendo agli ordini della lodata Eccellenza Sua, mi affretto con piacere parteciparglielo per opportuna sua conoscenza.

Salzano.

Al Sig. Colonnello D. Giuseppe Ruiz de Ballesteros

Gaeta.

NOTA 30.

Vediamo ora come si scrive la storia da certi autori appassionati e quanto debbasi andar guardinghi nell'accettare le notizie, ch'essi ci offrono come la quintessenza della sincerità.

In tutte queste note non mi sono mai occupato di certo Buttà, autore d'un libro intitolato «Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta Memorie della rivoluzione del 1860 al 1861, non già perché ignorassi l'esistenza di questo libro o che non l'avessi mai letto, ma perché trattasi d'uno scrittore di mala fede. E Io dimostrerò in seguito.

E' un libro che dovrebbe intitolarsi: Storia della maldicenza fatta sugli avvenimenti del 186061 nel Reame di Napoli; perché lo scrittore ha raccolti tutti i pettegolezzi, tutte le insinuazioni, tutte le calunnie che correvano per le bocche dei maligni in quell'epoca, e le ha coordinate coll'aggiunta della propria malizia, formando così un vero libello, nel quale la ragion dei fatti è spiegata col tradimento o la viltà dei capi di truppa dell'esercito delle Due Sicilie.

Per disgrazia il libello fu letto avidamente, come accade sempre quando si fa dello scandalo e della maldicenza; e così alla prima edizione del 1875 (estratta dal giornale La Discussione coi tipi di Michele. Savastano) seguì una seconda edizione (editore comm. Gennaro De Angelis e F. i), ed anche oggi il libro è ricercato, imperocché succede di certi libri come delle belle donnine, che più dal volgo son desiderate quanto meno sono modeste.

Questo Butta, ex cappellano del 9° cacciatori, seguendo la traccia del De Sivo, ripete a carico di Ruiz le stesse maligne inesattezze, rendendole ancora più gravi coi suoi apprezzamenti velenosi. Non è mio desiderio di confutare il libello del Buttà, quantunque sarebbe cosa facile e gustosa; ma, per dare un' idea della disinvoltura colla quale questo poco reverendo signore accetta e spaccia calunnie ed insinuazioni, infamando alla leggiera anche persone di specchiata fama, citerò alcuni passi del suo libro.

«Gli scrittori garibaldini, che fregiano del nome di battaglia il fatto d'armi di Calatafimi, fanno descrizioni omeriche del loro valore, «mentre ebbero di fronte un turpe Generale a loro venduto per quattordicimila ducati, e meno di cinquecento soldati napoletani, che dapprincipio li misero in fuga (pag. 27 2a ediz.)

«Ma Garibaldi avea forse certezza che il duce napoletano si sarebbe condotto. come realmente si condusse, ove si volesse ammettere come vera la notizia, non mai smentita, e che io come semplice cronista riporto; cioè che Landi avesse ricevuto da Garibaldi per prezzo della sua condotta, una fede di credito di quattordicimila ducati, che il Banco di Napoli trovò poi falsa, perché era di soli ducati quattordici; onde ne morì di dolore sorpreso da un colpo apoplettico (pag. 282a ediz.)

«Quando la strada di porta Termini fu sicura d'ogni pericolo, e Garibaldi montato a cavallo, entrò da quella Porta. Ecco la vera parte del pericolo che si scelse l'eroe de'  due mondi, il duce supremo e della rivoluzione cosmopolita, di cui si raccontarono, e tutt'ora si raccontano meraviglie della sua entrata a Palermo la mattina del 27 maggio 1860. (pag. 572a ediz.)

«La Masa che si trovava nel combattimento di Porta Termini, vedendo i soldati, quantunque decimati, avanzarsi imperturbabili, corse al palazzo Pretorio, e disse a Garibaldi, che tutto era perduto.

«Le squadre ed i volontari del continente tutti in fuga, i soldati avanzarsi senza più trovare ostacoli, tra breve invadere tutta la città, e quindi il loro pericolo essere imminente. Il Dittatore che stava e dubbioso sulla sorte dei suoi, perché aveva inteso il fuoco della moschetteria sempre avvicinarsi a lui, udendo le notizie che gli recava La Masa, ex abundantia cordis, esclamò: «Tradimento! mi hanno tradito!»

«Stava per uscire dal palazzo Pretorio per mettersi in salvo, forse sopra qualche legno sardo o inglese, che si trovavano nel porto, e veramente a quelle persone che gli si paravano innanzi anelante e domandava:

«Qual'è la strada più vicina che conduce al porto»?

«Però prima di fuggire, perché consigliato dagli amici che lo circondavano, volle tentar di nuovo la fortuna con ottener qualche cosa dal generale Lanza, a cui mandò subito una persona fidata, «cioè il generale Letizia Fu allora che Lanza spiccò l'ordine a 4 Mechel di cessare dalle ostilità… (pag. 68 2a ediz.)

«Crispi, creato allora ministro delle finanze, essendo le sue à la baisse, trovò nel Banco di Palermo (attento Crispi) cinque milioni di ducati, pari a ventuno milioni e dueceutocinquantamila lire, monete e sonanti, più s'intende, di oro e di argento; dappoiché il Regno delle e Due Sicilie non era regno di carta, come quello dell'Italia una!

«Si vuole che il vero scopo dell'armistizio fosse stato la cessione del Banco a Garibaldi, dappoiché vi era da far contenti quelli che davano e quelli che ricevevano. In fatti fu detto e stampato che Lanza, di quei cinque milioni di ducati rosicchiò per parte sua e ducati sessantamila. Io me ne lavo le mani, vi racconto, lettori e miei, quello solamente che si disse e si stampò a quei tempi di cuccagna liberalesca; e trattandosi di denari è un affar serio; quid non mortalia pectora cogit auri sacra fames?» (pag. 732a ediz.)i

«Intanto su quella giornata () si spacciarono menzogne iperboliche, e si inventarono episodi e duelli simili a quelli della Gerusalemme liberata. Bosco e Garibaldi si fecero venire a singolar tenzone. Chi vide Garibaldi? Costui da uomo prudente e preveggente, sin dal principio della punta se ne andò sul Veloce: e buon per lui, che non venne a duello con Bosco. (pag. 1262° ediz.)

«Tutto il merito di Guglielmo Pepe, secondo i rivoluzionari, e consiste nell'essere stato un ribelle ed un disertore; del resto si conosce da tutti la sua nullità militare. Lo stesso Pietro Colletta, nella sua Storia del Reame di Napo!i, Lib. VIII Capo III fa noti gli errori del Pepe nella battaglia di Rieti e narra la sua vergognosa fuga d'Antrodoco. (pag. 1992° ediz.)

«Era in Reggio il marchese di Beaullieux colonnello Antonio e Dusmet, comandante del 14° di linea, che faceva parte della brigata del Generale Briganti. Quel colonnello ebbe l'offerta di ducati trentamila da un vecchio settario in toletta di signore. Dusmet, tipo di e gentiluomo e di vero militare, disse a quel vecchio settario: non ti rispondo colla punta dei miei stivali perché voglio rispettare la tua e canizie, vecchio imbecille!» (1) La battaglia di Milazzo.

«Bisogna riflettere, che se Garibaldi offriva trentamila ducati ad un semplice capo di reggimento, può supporsi che altre somme pagò a quei Generali che lo secondarono!... (pag. 231 2a ediz.)

«La fama strombazzava Nullo il prode dei prodi, uno dei Mille, e si raccontavano sul suo conto prodezze come d'un novello Achille. Però arrivato vicino Isernia, ed appena assalito dai soldati, fuggì...! e più non si vide...! I garibaldini condotti da Nullo — che veramente diede prove di nullità — rimasero senza capo e senza guida, e combatterono in disordine: furono stretti da ogni parte dalla popolazione che ne fece un macello». (pag. 147 2° volume 2.a ediz.)

Devo continuare? No, il cortese lettore si divertirà di più a leggere tutto intero il libro, al quale 12 rimando: vedrà quanta carità cristiana c'era in quel nobile cuore di cappellano del 9° cacciatori che non rispettò neanche mamma Eva, chiamandola la bella virago madre del genere umano». (pag. 102 2a ediz.)

Come si vede, se Ruiz è calunniato, può consolarsi che ha compagni al duolo ed è in buona compagnia.

Non mi dilungherò sulle calunnie sparse dal Buttà sul conto di Ruiz, perché il Buttà se le rimangiò tutta; ed io non avrei fatto menzione di lui in queste note, se non si fosse comportato indegnamente dopo la sua ritrattazione. Il lettore giudicherà.

Nel mentre il Buttà andava pubblicando in appendice sul giornale La Discussione di Napoli il suo Viaggio, Ruiz, giustamente irritato per le cose che a carico suo si propalavano, interessò una persona autorevole perché facesse ricredere quel prete dal linguaggio intemperante, invitandolo a rettificare i fatti e gli apprezzamenti che lo riguardavano. Questo primo passo non ebbe buon risultato, come scorgesi dal seguente brano inserito da Buttà nel suo Viaggio.

«Sul contenersi di Ruiz ne' fatti guerreschi del I e 2 ottobre, ci fu comunicata tura lettera da Caserta, nella quale si accennano alcuni fatti, designando luoghi e persone viventi. Noi benché reputiamo onestissimo chi ci comunicò quella lettera, nonpertanto trattandosi che questa non è un documento incontrastabile, ad onta che lo scrivente ci guarentisca i fatti accennati, ci asteniamo di pubblicarne il contenuto. Eppure, bisogna dirlo, Ruiz si era distinto vera, mente in Catania stando sotto gli ordini di Clary: quale contradizione dippoi egli ci offre!» (pag. 520 della 1.a ediz.)

Che maniera di ragionare! Una persona onestissinuz, dunque tale da poter essere creduta nelle sue asserzioni, gli scrive in pro Ruiz; non basta: gli cita testimonianze di altre persone viventi, che Buttà, tanto prodigo d'indagini nel raccogliere maldicenza, poteva bene interrogare: che cosa voleva di più per ottenere la deposizione suffragata da testimonianze, cioè la prova dei fatti? Ebbene, quest'uomo del Signore non pubblica, neanche per dovere d'imparzialità, la lettera ricevuta collo specioso pretesto che non è un documento incontrastabile; come se fossero stati incontrastabili i documenti ai quali attinse le sue inesattezze. Quanta elasticità di coscienza e quanta sfrontatezza! Si giudichi da questo quale fosse il malanimo di lui contro di Ruiz.

Il Generale Ruiz con maggior energia riprese le trattative col Buttà, facendogli pervenire parecchi documenti, dai quali risultava la verità dei fatti. Il cappellano Buttà allora dovette cedere e promise di fare un'ampia rettifica nella Conclusione del suo libro. Infatti, la rettifica venne ed in termini onorevoli pel Ruiz, sicché questi visse tranquillo per l'avvenire, e morì nel 1881; e proprio l'anno successivo Buttà diede alla luce una seconda edizione del suo Viaggio!

Una persona onesta e coscienziosa, specialmente un sacerdote, che cosa avrebbe dovuto fare, per essere conseguente ai termini della dichiarazione pubblicata a pro' di Ruiz? Avrebbe dovuto rivedere il testo della 1. edizione e toglierne le inesattezze e gl'ingiusti apprezzamenti, ormai riconosciuti errati. Ma bisogna dire che Buttà non avesse così delicato sentire, poiché lasciò le cose come nella prima edizione le aveva esposte; egli che pure per altri argomenti aveva introdotte aggiunte e varianti, e che dappertutto aveva ritoccato il suo libro per dargli più bella forma; ma questa sarebbe una trascuratezza, perdonabile se non scusabile, s'egli avesse lasciata nella Conclusione integra la dichiarazione già fatta nella prima edizione. E qui sta la spregevole malignità del versipelle scrittore: la dichiarazione riapparve affatto cambiata e redatta con termini che le toglievano ogni efficacia, anzi portavano innanzi nuove insinuazioni sul conto del Ruiz!

E' una cosa che rivolta ogni animo onesto; ma è la più bella prova che quel signore scriveva per animosità contro il Ruiz e che le cose da lui dette non meritano credenza alcuna.

E per mettere l'autore di mala fede alla meritata gogna presento al pubblico le due differenti dichiarazioni.

Dichiarazione contenuta

nella 1° edizione

(1875)

Conclusione (pag. 782)

I fatti che ho narrati in questo disastroso Viaggio da Boccadifalco a Gaeta, li ho attinti dal mio itinerario  scritto sul luogo degli avvenimenti, da testimonianze concordi di altri scrittori e da documenti originali inappuntabili, e senza porvi di coscienza, aggravandoli o travisandoli.

Replicate volte ho pubblicato, che avrei con lealtà modificato i giudizi miei, ove avessi avuto a legger chiaro negli stessi miei errori che, per isbaglio, avessi potuto commettere; a tale scopo chiesi de'  documenti a tutti coloro che poteano essere interessati in questa mia narrazione. E per darne una prova solenne, prima che io narri altri avvenimenti per compimento di quelli già narrati sento il dovere di esporre, ohe tutto quello ohe ho scritto circa la condotta militare de) colonnello Ruiz de Ballesteros, non essendomi trovato né in Calabria, né in Caserta vecchia, io io attinsi dagli storici contemporanei de Sivo, Morisani, delli Franci (sottocapo dello Stato maggiore dell’ esercito sul Volturno,) e da’ Contenti dello stesso Generale in Capo tenente generale Ritucci (). Ebbene or sono pochi giorni, mi furono presentati MOLTI documenti originali () che giustificano il suddetto  sig. colonnello Ruiz. Fra que’ documenti trovo un ufficio del generale in capo Balzano, che surrogò Ritucci ai Garigliano, in questi termini;

Comando in Capo del Corpo di Esercito d’operazione. - Personale n. 758. - Castellone 3 novembre 1860.

Signor Colonnello — Da S. E. il Ministro Segretario di Stato della Guerra, in data del 1. corr. mese, 1. Carico, N. 767, è stato partecipato quanto segue;

Il Sìg. Colonnello Ruiz de Balestreros avendo COMPLETAMENTE giustificata la sua militare condotta, mi reco a dovere parteciparlo all’E. V. affinché si compiaccia renderne avvisato lo interessato ed t Corpi di sua dipendenza.

Ed io adempiendo agli ordini della lodata Eccellenza Sua, mi affretto con piacere parteciparglielo per opportuna sua conoscenza — Balzano.

Al Sig. Colonnello D. Giuseppe Ruiz de Balestreros in Gaeta.

Mi si è detto, e forse mi si dirà che questa dichiarazione del Ministero della Guerra, è un possibile risultato di potenti riguardi, ove tra la farraggine delle circostanze abbia contribuito pure un tantino lo intrigo; ed io con animo sereno e franco rispondo, che il Ministro Casella non era uomo, che. nell’esercizio di ogni suo dovere lasciassesi imporre da chicchessia o rendersi strumento dei più semplice intrigo. Ruiz dovette ben dimostrare come l’ombra de'  suoi creduti torli, fosse giudicata con severità crudele; onde ottenne quella autorevole giustifica, e fu promosso a Generale. In quanto a me, a fronte di un documento tanto chiaro, e trattandosi di una giustifica, non ho esitato un momento a pormi in pace colla mia coscienza.

Sarei stato felice se avessi potuto elogiar sempre, modificare spesso ì miei giudizii a vantaggio di qualche duce e non iscovrire quelle piaghe che travolsero nel nulla la nostra diletta patria. Io non ho avuta altra pretensione che dir la verità senza amore e senza odio; dappoiché molti, che ito lodato o flagellato, neppur li conosco di vista ().

Questa mia resipiscenza servirà a porre in guardia tutti coloro che scriveranno sul conto della vita militare del Colonnello Ruiz de Ballesteros. Servirà pure di risposta agli altri che lagnarsi di essere stati da me maltrattati; se essi invece di scrivermi lettere impertinenti e villane, anonime e minacce, avessero esibiti DOCUMENTI giustificativi, io non avrei esitato a pubblicare gli stessi miei falsati giudizii, come il fo pel Colonnello Ruiz de Ballesteros, e l’avrei anche fatto in favore di un D. Liborio Romano. Ma fino che ciarle, non altro che ciarle, oppongonsi alle infingardaggini, alle nullità, alle codardie, ai grandi errori e tradimenti, l’inesorabile giustizia vuole che sia pubblico il biasimo, e vadano esecrati e maledetti i loro nomi alla più tarda posterità; e senza riguardi alle onorate canizie. ()

Dichiarazione contenuta

nella 2° edizione

(1882)

Conclusione (pag. 888 - 2. Vol.)

I fatti che ho narrati in questo disastroso Viaggio da Boccadifalco à Gaeta, Ji ho attinti dal mio itinerario, scritto sul luogo degli avvenimenti, da testimonianze concordi di altri scrittoli e da documenti originali inappuntabili.

Replicate volte ho pubblicato, che avrei con lealtà modificato i giudizi miei, ove avessi avuto a legger chiaro negli stessi miei errori che, per isbaglio, avessi potuto commettere; a tale scopo chiesi de’ documenti a tutti coloro che poteano essere interessati in questa mia narrazione. E per darne una prova solenne, prima che io narri altri avvenimenti, per compimento di quelli già narrati, sento il dovere di esporre che tutto quello che ho scritto circa la condotta militate del colonnello Ruiz de Ballesteros, non essendomi trovato nò in Calabria né in Caserta vecchia, lo attinsi dagli storici contemporanei de Sivo, Morisani, delli Franci, sottocapo dello stato maggiore dell’esercito sul Volturno e dai Comenti dello stesso generale in in capo tenente generale Ritucci (1) Ebbene, or son pochi giorni, mi si presentò UN DOCUMENTO, che è un ufficio del generale in capo Salzano che surrogò Ritucci al Garigliano, in questi termini:  

Comando in Capo del Corpo dì Esercito d’ operazione.

Personale n. 578 — Castellone 3 novembre 1860.

Signor Colonnello — Da S. E. il Ministro Segretario di stato della Guerra, in data del 1. corr. mese. 1. Carico, N. 767, è stato partecipato quanto segue;

Il Sig. Colonnello Ruiz de Ballesteros avendo COMPLETAMENTE giustificata la sua militare condotta, mi reco a dovere parteciparlo all’E. V. affinché si compiaccia renderne avvisato lo interessato ed i Corpi di sua dipendenza.

Ed io adempiendo agli ordini della lodata Eccellenza Sua, mi affretto con piacere parteciparglieloper opportuna sua conoscenza — Salzano.

Al Sig. Colonnello D. Giuseppe Ruiz de. Balestrerò» in Gaeta.

Mi si dirà che questa dichiarazione del Ministro della Guerra sia stato un possibile risultato di potenti riguardi, avendo il Ruiz in Gaeta un fratello germano Segretario particolare del Re, e che, nella farragine di quelle eccezionali circostanze poco si badò alla reità del convenuto, contribuendovi eziandio un tantin d’intrigo nella promozione di costui a Generale.

In quanto a me, malgrado gli. storici sopra citati, ad onta di tutto ciò che dice il Generale in Capo Ritucci contro Ruiz, anche nei suoi Commenti confutatorii, trattandosi di un documento tanto autorevole e chiaro, non ho esitato un  momento a pubblicarlo, per mettermi in pace colla mia coscienza. Del resto giudicheranno i lettori ().

Sarei stato felice se avessi potuto elogiar sempre, modificare spesso i miei giudizii a vantaggio di qualche duce e non iscovrire quelle piaghe che travolsero nel nulla la nostra diletta patria. Io non ho avuta altra pretensione che dir la verità senza amore e senza odio; dappoichè molti, che ho lodato o flagellato, neppur li conosco di vista (2).

Il documento giustificativo, circa la condotta militare del Colonnello Ruiz de Ballesteros, servirà pure di risposta agli altri che lagnansi di essere stati da me maltrattati; se essi invece di scrivermi lettere anonime, impertinenti e villane, accompagnate da minacce, avessero esibiti DOCUMENTI giustificativi, io non avrei esitato a rettificare gli stessi miei falsati giudizii, come il fo pel suddetto Colonnello, e l’avrei anche fatto in favore di un D. Liborio Romano. Ma fino a che ciarle, non altro che ciarle, oppongonsi alle infingardaggini, alle nullità, alle codardie, ai grandi errori e tradimenti, l’inesorabile giustizia vuole che sia pubblicato il biasimo, e vadano esecrati e maledetti i nomi di tal funesta genìa, fino alla più tarda posterità, o senza riguardi alle onorate canizie (1).

 

SUNTO DELLO STATO DI SERVIZIO

del Brigadiere Don GIUSEPPE RUIZ de BALLESTEROS

Figlio — del fu Cav. Antonio e di Donna Marianna Ferri Fai ria — Palermo (Provincia di Palermo)

Nazione — Siciliano

Età nato — 29 maggio 1812

Religione — C. A. R.

Condizione — Proprietario Stato — Ammogliato

Dettaglio di servizi e delle circostanze

2. Tenente

per aver beneficiato l’impiego


.

nel 1 Reggimento Siciliano

23 Febbraio 1827

2. Tenente

nel Reggimento Real Palermo

2 Aprile 1827

id

Principessa Fanteria

3 Aprile 1830

id

Regina Fanteria

id

id

2. di Linea Regina

1 Luglio 1833

id

5. di Linea Borbone

16 Luglio 1834

1. Tenente

11. di Linea Palermo

25 Maggio 1838

id

5. di Linea Borbone

17 Dicembre 1838'

id

9. di Linea Puglie

11 Marzo 1846

Capitano

7. Cacciatori

27 Aprile 1846

id

5, Cacciatori

30 Gennaio 1847

id

10. di Linea

23 Settembre 1848

id

2. Cacciatori

29 Gennaio 1856

Maggiore

12. di Linea

25 Maggio 1856

id

Carabinieri a piedi

13 Luglio 1856

id

5. Cacciatori

27 Luglio 1858

Tenente Colonnello

id.

20 Marzo 1860

Graduato Colonnello

15. di linea

17 Giugno 1860

Colonnello

id.

24 Luglio 1860

Brigadiere


8 Ottobre 1860

Funzioni disimpegnate

Li 30 Aprile 1842 nominato 1. Tenente aggiunto allo Stato Magg. dell'Esercito Aiutante di campo del Generale Pignatelli.

Li 27 Agosto 1842 passato con le stesse funzioni presso del Generale Stokalper

Li 10 Dicembre 1842 passato con le stesse funzioni presso S. E. il Tenente Generale Pastore Ispettore della fanteria di Linea.

Li 3 Giugno 1843 con le stesse funzioni presso il Maresciallo di di Campo Labrano sino al 27 Aprile 1846.

Li 24 Aprile 1848 nominato Capitano addetto allo Stato Magg. dell'Esercito, con ordine Sovrano partecipato con la stessa data 1. Rip. e Carico N. 2922.

Con ordine Ministeriale della Guerra e Marina della stessa data e N. nominato Capo dello Stato Mag. della 1. Brigata della 1. Div. di spedizione per l'Italia comandala dal Generale Klein.

Con Ministeriale della Guerra del 10 Ottobre 1848 1. Rip. e carico N. 9509 destinato Capo dello Stato Magg. presso il Maresciallo di Campo Palma Comandante la Divisione Territoriale delle Provincie di Terra di Lavoro, Molise e de'  due Principati.

Con ordine Sovrano partecipato allo Stato Maggiore dell'Esercito li 27 Marzo 1849. Movimenti N. 1132, passato con le stesse funzioni presso ilGenerale Vini, nominato Comandante della Div. Territoriale delle Provincie di Terra di Lavoro e Molise.

Con ordine Sovrano contenuto nella Ministeriale della Guerra del 31 Agosto 1849. 1. Rip. 1. Car. N. 7040 nominato Capo dello Stato Magg. delle truppe riunite nelle Provincie di Messina, Catania e Siracusa, comandate dalMaresciallo di Campo D. Enrico Statella.

Rientrato allo Stato Magg. in Napoli con ordine Sovrano del 4 Settembre 1853 Minist. della Guerra 1. Rip. e Car. N. 6425.

Nominato Capo dello Stato Magg. della 3. Div. del Corpo d'Esercito in Sicilia d'ordine Sovrano comunicato con Minist. della Guerra del 20 Settembre 1864 1. Rip. e Car. N. 5835.

Rientrato allo Stato Magg. in Napoli con Minist. della Guerra del 2 Giugno 1855 1. Rip. 1. Carico N. 3467.

Cessato di far parte dello Stato Magg. dell'esercito per la promozione a Maggiore.

Funzionante Comand. interino le armi nella Provincia di Catania dal 7 al 19 Novembre 1858 con approvazione Ministeriale della Guerra del 17 d. mese ed anno 1. Rip 2. Car. N. 2941.

Presidente del Consiglio di Guerra di Guarnigione in Catania, comunicato dal Comandante la Provincia Colonnello Bartolomasi ai 26 Marzo 1859 N. 281.

Con segnalazione elettrica in cifra del 14 Agosto 1860 nominato Comandante la Brigata del 1., 5., ed 11. Batt. Cacciatori nelle Calabrie. e.

Il 12 Settembre 1860 Comand. la Brigata del 6., 8., 14. Regg. to di Linea e tutte le frazioni de'  Regg. ti di fanteria di Linea.

Lasciato questo comando li 9 ott. 1860, ed entrato infermo nella piazza di Gaeta.

Campagne.

Quella di Sicilia del 1860.

Quella di Sett. ed Ott. 1860.

Azioni avute e ferite.

Quella sostenuta a Palermo al Palazzo Reale ed alla presa del Quartiere dei Borgognoni dal 16 Gennaio 1848 al 25 detto mese ed anno.

Quella sostenuta in Catania il 31 Maggio 1860.

Quella del 1. Ottobre 1860 nei piani di Castel Morone e Caserta Vecchia.

Decorazioni.

Uffiziale del Real Ordine Militare di S. Giorgio della Riunione, li 25 Giugno 1860, 1. Rip., 2. Carico, N. 3395 per essersi distinto nell'azione sostenuta in Catania il 31 Maggio 1860.

Medaglia di bronzo istituita per l'azione sostenuta il 31 Maggio in Catania.

Medaglia di bronzo della Campagna di Sicilia 1860.

Medaglia di bronzo della Campagna di Sett. ed Ott. 1860.

Meriti.

Per attestato di sovrana soddisfazione per l'attacco sostenuto in Catania il 31 maggio 1860, Graduato Colonnello e passato ad assumere il comando del 15. di Linea, partecipato con Ministeriale del 19 Giugno 1860, 1. Rip., 1. Car., N. 6375.

Nota Bene.

In virtù dei Reali Decreti 28 Novembre e 1. 7 Dicembre 1860 al 'Generale Ruiz de Ballesteros veniva riconosciuto solo il grado di colonnello, col quale fu ammesso nell'arma di fanteria dell'Esercito Italiano (R. Decreto 17 marzo 1861), e tu collocato a riposo per anzianità di servizio con R. Decreto del 12 Giugno 1861.

























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