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USCIRE DALLE SECCHE

DEL NEOBORBONISMO E DEL NEOMERIDIONALISMO

Zenone di Elea


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2 Giugno 2015

Dal neoborbonismo, inteso come patriottismo meridionale, al separatismo, il passo non è breve.

(Nicola Zitara, Il partito separatista, FORA... 8 Novembre 2007)

Neoborbonismo e Neomeridionalismo sono le due nuove facce della stessa vecchia medaglia: il tentativo velleitario che si consuma da un secolo e mezzo di risolvere la cosiddetta “questione meridionale” all’interno dello stato italiano. I risultati di questo tentativo li abbiamo davanti agli occhi.

Se soppesiamo le due facce antiche di questo  velleitarismo – il borbonismo e il meridionalismo – scopriamo quegli stessi limiti che si ritrovano ancora oggi.

Il borbonismo fin dal decennio della guerra civile oscillò tra appoggio ai briganti nella speranza di una restaurazione e appoggio allo stato italiano per tema che le proprie terre finissero nelle mani dei contadini.

Il meridionalismo fin dal suo apparire incantò soprattutto la sinistra che ne fece una bandiera per intralciare il potere della destra, poi per soppiantarla nella guida del paese – i fatti sono noti, inutile ripeterli.

Fra i due movimenti fin dall’inizio vi fu, però, una notevole differenza: l’aspirazione alla indipendenza fu una componente del borbonismo ma non meridionalismo che questo problema – a parte qualche boutade alla Salvemini – non se l’è mai posto. Parlo del meridionalismo classico.

L’aspirazione a tornare indipendenti dopo i lutti e le delusioni che accompagnano la nascita dello stato italiano è un fiume carsico che attraversa i decenni che seguono la fine del Regno ed arriva fino a noi ed è stato lasciato come monopolio a frange tradizionaliste e cattoliche. Esse sono state le custodi del ricordo del Reame. Interessante la lettura di alcune testate che si pubblicavano nella nostra capitale agli inizi del novecento, fra cui IL GUELFO GIORNALE DE L’INDIPENDENZA MERIDIONALE – giornale scovato dall'Editore D'Amico.

La sinistra si è mostrata per niente sensibile (se si escludono Zitara e qualche altro) a questa aspirazione alla autonomia e alla indipendenza.

Dopo la parentesi fascista che non ha soppresso del tutto il fiume dell’autonomismo, quando arriva il centenario, infatti, è proprio negli ambienti di destra che esso riemerge, con la nascita dell’Alfiere di Silvio Vitale e la pubblicazione delle opere di Carlo Alianello.

Sempre in ambienti cattolici e di destra, agli inizi degli anni novanta si ergono voci di resistenza al bossismo e di orgoglio per la patria napoletana (Angelo Manna, Gabriele Marzocco, Edoardo Spagnuolo, Antonio Pagano, Alessandro Romano, i Meoborbonici).

L'universalismo cattolico e i legami con la patria italiana propri di questi ambienti ha impedito finora la creazione di un movimento identitario che propugni in maniera decisa la indipendenza dell'ex-Reame.

L’emblema di questa contraddizione, tra esaltazione dei bei tempi che furono e rifiuto di gettarsi nell’agone politico, è il culturalismo neoborbonico che da oltre venti anni persegue una educazione del popolo che finora non è approdata a nulla. Non solo, ma ha condizionato la visione dell’identitarismo da parte di chi ci osserva da fuori e non fa parte del nostro mondo – questo stesso sito viene scambiato per un sito neoborbonico, lo si desume dai messaggi che ci sono giunti in tutti questi anni. Il che non ci da fastidio ma dobbiamo prenderne atto.

La polemica che, in queste ore, si sta portando avanti sui risultati alle regionali della lista civica MO (Esposito Presidente) e del Pdsud (Vozza Presidente) è un dibattito sterile in quanto non centra il cuore del problema, che si chiama mancanza di credibilità politica. Rispetto agli altri candidati ad Esposito si sarebbe dovuto riconoscere perlomeno il merito della novità, invece non è accaduto. Personalmente ho coltivato la speranza di un suo ingresso a Palazzo Santa Lucia.

Non siamo credibili, continueremo ad esserlo se restiamo prigionieri del neoborbonismo (e del suo rifiuto della politica) e del neomeridionalismo (e della sua illusione che solo la sinistra possa risolvere la “questione meridionale”).

Quella che il leghismo ha imposto all’attenzione della pubblica opinione come “questione settentrionale” può essere risolta all’interno della repubblica come essa si è configurata nel dopoguerra, lo dimostra la sopravvivenza della lega che è passata dal bossismo al salvinismo portando a casa diversi risultati, non ultimo il titolo V della costituzione regalatogli dalla sinistra di governo.

Per noi è impossibile trovare una soluzione dentro questa configurazione statuale: questo stato è nato contro le Provincie Napolitane, si dovette usare il filo di ferro dell’esercito per tenerci uniti ad esso.

Riflettete sui risultati delle urne. Il renzismo che si illudeva di aver riconquistato le praterie elettorali padane, oggi vede i suoi principali puntelli nelle regioni meridionali più importanti: Puglia e Campania. Cosa ci guadagnerà il sud da tutto ciò? Nulla, quello che ci ha guadagnato Napoli ad avere due bravi sindaci di sinistra; Valenzi e Bassolino,

Solamente un partito nazionalitario meridionale che superi neoborbonismo e neomeridionalismo potrà costringere lo stato italiano a trattare, come accadde per la Sicilia nel dopoguerra, poi si vedrà se la strada dovrà essere quella della autonomia (come auspica chi scrive)  oppure quella della indipendenza (come sosteneva senza mezzi termini Zitara).


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