Oggi, con una grande cerimonia ufficiale, si apre a Bari la vetrina del Mezzogiorno: la Fiera del Levante. Facciamo qui di seguito un discorso che ha qualche probabilità di non essere fatto.
Il Mezzogiorno d'Italia - più di 20 milioni di abitanti - è l'unico grande «territorio» d'Europa a essere sostanzialmente «debancarizzato». Non è stato così, per secoli. E non è così, nel resto d'Europa.
Dalla Scozia alla Catalogna, dalla Baviera alla Boemia ai Paesi Baschi,
tutti i grandi «territori» d'Europa hanno, di diritto o di
fatto, banche proprie. Vecchissime o nuovissime, grandi, medie o
piccole, comunque banche autoctone. Banche che dei propri
«territori» testimoniano ed esprimono, sostengono e
proiettano la vitalità economica e sociale.
E l'opposto nel Mezzogiorno. Certo molte banche sono attive nel
Mezzogiorno, ma non sono banche del Mezzogiorno. Non si tratta di una
differenza secondaria o finanziaria. Si tratta di una differenza
primaria e sostanziale: sociale ed economica, politica e storica.
Prima d'essere «unificato» (nel Nord), il Mezzogiorno aveva
un suo proprio, se pure fortemente arretrato, sistema politico; aveva
un suo proprio e invece molto evoluto sistema finanziario; era a
ridosso della rivoluzione industriale. I titoli delle Due Sicilie erano
trattati nelle principali piazze finanziarie d’Europa.
Non solo vasti settori dell'agricoltura meridionale competevano
direttamente sul mercato internazionale, ma le manifatture tessili e
meccaniche, i cantieri e le ferrovie delle Due Sicilie erano un forte
incubatore di sviluppo industriale.
Poi è venuta l'«unificazione», che ha annichilito la
società meridionale e di riflesso e per conseguenza ha
interrotto il suo processo di sviluppo. Da un giorno all'altro, antiche
e gloriose capitali sovrane furono trasformate in Prefetture, senza che
ci fosse, nel Mezzogiorno, il baricentro di una forte società
«municipale». Un tipo di società civile - questa -
che era invece presente e per compensazione sarebbe divenuta sempre
più forte, nel resto del Paese. Eliminate le vecchie strutture
politiche centrali, il Mezzogiorno si trovò invece nel vuoto:
senza il suo centro; sotto un centro che per decenni sarebbe stato
remoto ed alieno, quando non ostile; senza una base municipale.
Fu la fine del processo di sviluppo del Mezzogiorno: senza più
una sua guida, sotto una guida esterna, l’economia meridionale si
fermò. Le classi lavoratrici restarono sulla terra. O furono poi
spinte all'emigrazione. Le classi dirigenti prima, e poi altri vasti
strati di popolazione, iniziarono invece una loro speciale migrazione
interna, dentro la burocrazia del nuovo Stato centrale. Sopravvisse
tuttavia, tanto era forte, il sistema bancario meridionale, basato sui
grandi istituti di Napoli, Sicilia, Sardegna, attivi nel Mezzogiorno,
nel Nord, all'estero. E su una vasta e complementare rete di banche
territoriali.
Poi di colpo - più o meno nell'ultimo decennio - tutto è
imploso e precipitato, fino al collasso. Per cause diverse: per le
radicali mutazioni intervenute nel sistema di aiuti di finanza
pubblica, italiani ed europei; per l'occupazione «politica»
delle banche, quasi tutta degenerata, ma da quasi tutti tollerata. E
per altro ancora. Non è questa la sede per processare il
passato, ma per guardare al futuro.
L'attuale «debancarizzazione» del Mezzogiorno è
tanto sintomatica quanto problematica. Essa è insieme una prova
e una causa della sua crisi. in Europa c'è una doppia costante:
lo sviluppo si produce e si muove essenzialmente «per
territori» e tutti i «territori» hanno proprie
banche. Perché il capitale finanziario è certo necessario
per lo sviluppo ma, se anche se ne dispone in quantità
sufficiente, comunque da solo non basta. E' infatti il
«territorio» in sé che ingloba ed esprime le
conoscenze strategiche essenziali per il suo sviluppo. E' solo il
«territorio», con la sua popolazione, con il suo capitale
umano che, usando il capitale finanziario, può produrre lo
sviluppo.
Non è così nel Mezzogiorno, unica terra d'Europa in cui
le costanti sono diverse: la finanza pubblica è quasi per
compensazione storica chiamata a sostituire da fuori quella privata e
quella privata - quella che c'è - non è comunque propria
del Mezzogiorno. Il problema non è tanto oggettivo, quanto
soggettivo. Non è tanto e soltanto quanto credito si eroga ed a
che prezzo. E soprattutto chi lo eroga: con quale spirito, con quale
reale impegno.
Non sempre, ma a volte ci si può spingere con lungimiranza oltre
il gelido calcolo dei ratios. Le «leggi finanziarie» sono
certo necessarie, ma da sole non sono sufficienti. A loro volta, le
banche che operano nel «territorio», ma non sono del
«territorio», non bastano. Nel sistema manca un altro
pezzo, che non si crea e non si porta da fuori. Con promesse che creano
illusioni e delusioni che portano nuove promesse. In un’eterna novena
sociale. Fino a che non sarà il Mezzogiorno stesso a terminarla.
Il Mezzogiorno non si può rassegnare ad avere un passato, ma non
un futuro. Se ha un suo passato, può avere un suo futuro. Ed
è tempo che smetta di guardare nella sua ombra.
Sarebbe solo una tra le tantissime cose che si possono fare, cose
pratiche o cose simboliche, e queste non meno importanti di quelle, ma
ripartire dal Mezzogiorno per far rinascere nel Mezzogiorno una sua
banca, non è impossibile, è necessario.
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