La politica dei soliti noti, dei vecchi giocatori delle tre carte. riparte, da luoghi simbolo del Mezzogiorno, all’attacco dell'unica questione che tiene banca da quando, 140 anni fa, si volle ad ogni casto l'unì(à di una penisola divisa in piccoli, spesso dignitosissimi Stati. L'occasione che ha visto l’innesto di questa riproposizione della questione meridionale: all'attenzione della nazione è, guarda caso, fornita dalle elezioni dei governi regionali del 16 aprile scorso.
La sinistra per prima si è lanciata sul vecchio osso da
spolpare, proponendo da Eboli, cm “patto meridionalista e federalista"
per il Sud ripescando e appropriandosi, proletariamente si intende, del
meridionalismo storico di personalità quali Salveminí,
Dolci e Carlo Levi. Certamente la riscossa, ammainata opportunamente la
bandiera rossa, non poteva che partire da dove si fermò quel
Cristo, sconsolato e impigrito da tanta desolante tangibile miseria,
che, di là dal Sele, tediava la vita di chi, come lo stesso Levi
annotò nel suo libro, non si riteneva “cristiano mia bestia".
Ormai è noto che dove non può il Padreterno arriva
puntuale e benemerita la mano fraterna di Bassolino, ‘o Sinnaco, ‘o
Ministro, ‘o Presidente, ‘o Rrel Da Eboli un manifesto federalista che
non vuole, non può, mettere in discussione l'unità della
nazione, anzi vuole rafforzarla per essere più visibile alle
politiche di mamma Europa. E quando si scopre che l’UE stanzia fondi
per oltre 50.000 miliardi per il Mezzogiorno non in base a progetti per
la sviluppo e l'occupazione, ma secondo il numero di disoccupati,
allora appare nitida la politica europeista di Bassolinp e compagni.
Se disoccupazione vuoi dire calamitare valanghe di miliardi da
distribuire in modo assistenziale al popolo imberbe del Sud,
neutralizzandone ogni possibile e legittima rivendicazione in termini
di servizi sociali, sicurezza e quant'altro, ben si comprende come la
disoccupazione ufficiale aumenti, refrattaria ad ogni panacea e misura
di governo.
Questo è quanta di più "innovativo” e “federalista" si
può trovare nel manifesto di Eboli: come dire della
disoccupazione la professione preferita per i meridionali. Per il
resto retoricume, politichese vecchia maniera, e tanta smania di
accaparrami i fondi europei. Purtroppo è doveroso e sconsolante
affermare che il torinese Carlo Levi capì il Meridione e i
meridionali più di ogni Bassolino, Mastella e Buttiglione del
Sud e non lo fece non in virtù di una pur grande e viva cultura,
ma semplicemente perché non nascose a se stesso e alla nazione
ciò che solo gli stupidì o i collusi non vedono e non
vogliono vedere.
Avere vacazioni diverse significa avere cultura e tradizioni diverse
che, in funzione dì una sconfessata e anacronistica unità
politica, statale e colturale, devono tradursi in strategie politiche
ed economiche diverse, non omologanti e copiate semplicisticamente da
altri. Invece la questione meridionale vive la sua attualità
solo quando viene stritolata dai movimenti elettorali delle fazioni che
si contendono il potere, per essere subito dopo, a trono conquistato,
riposta nei solito, privilegiato cassetto, meglio conservata dei sangue
di S. Gennaro.
Il solito gioco. ormai tristemente neo ed altrettanto tristemente
trascurato dai meridionali, sostenuto e amplificato dai giornali,
tromboni di regine, buoni a riconoscere e talvolta a rivelare le cause
della 'questione’ in questa “mala unità". salvo ritirarsi quando
la logica imporrebbe il termine "indipendenza" in luogo del piú
rassicurante "federalismo nell'unità nazionale".
Basta con l'illusione di una rinascita del Sud con il federalismo o con
quant'altre alchimie politiche, 140 anni di raggiri vanno oltre ogni
ragionevole sopportazione. E se Bassolino e soci ci sfottono da Eboli,
ampiamente premiati dagli elettori (è questa la triste
realtà con cui confrontarsi), da un altro luogo sacro per la
tricolorata schiatta italica riprende la stessa "questione" il Polo di
Berlusconi-Fini-Casini con il "nuovo" alleato Bossi, un tempo maledetto
figlio del Po.
E da dove poteva riprendere quota, nuova linfa, se non da Teano, luogo
simbolo di quel fatidico passaggio di consegne fra il dittatore G.
Garibaldi da Nizza e Vittorio Emanuele II? Della serie: alla vergogna
non mettere limiti.
Anche in questo caso, il popolo meridionale applaude convinto (noi
speriamo costretto) le quattro eminenze del Polo, "quatto perete
affacciat'ô balcone", che come quelli di Eboli si impegnano a
garantire sviluppo, ricchezza, occupazione e sicurezza. La Lega di
Bossi ha capito finalmente che l'unica "questione", che paga in termini
di potere e di lustro politico, è quella meridionale,
poiché è il solo vero problema che non deve essere
risolto se il Nord vuole continuare a fregiarsi del titolo di
"locomotiva del Paese".
Bossi e i suoi amici hanno capito che è meglio per il Nord un
Sud sottosviluppato nell'Italia unita a cui vendere i suoi prodotti,
piuttosto che un Nord indipendente in una Europa delle regioni dove
sarebbe a rischio la sua sopravvivenza civile ed economica.
Per questo l'incontro di Teano 2000 è, per certi versi, in
linea, contiguo, all'incontro del 1861 malgrado li separino 140 anni di
storia (e che storia!!!). Insomma "ca tu 'o chiamme Ciccio o Ntuono, ca
tu 'o chiamme Peppe o Ciro..." che la si veda da Eboli o da Teano sono
dolori per il nostro deretano.
A ogni buon conto, visto il responso che le urne hanno decretato,
almeno al Sud, Bassolino a parte, c'è da auspicarsi che un
ulteriore spostamento a Nord (vedi parlamento del Nord) della egemonia
politica provochi un salutare rigonfiamento degli attributi dei
meridionali tale da costringerli a mettere a buon partito tutte le
strategie e armi di cui da sempre, invano, ci riteniamo abile
possessori, salvo poi fare come il cane del cacciatore: " ô
mumento 'e sparà, lle vene voglia e piscià".
Frak
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