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https://www.sudnews.it - 16/02/2004Un pensionato del Sud prende circa 1.500 euro in meno rispetto a coloro che smettono di lavorare al Nord. Nel Mezzogiorno, infatti, l’importo medio della pensione non supera i 7.500 euro all’anno.
Una cifra lontana dai 9.000 euro della media dei pensionati del Nord e
dagli 8.800 di quelli del Centro. Lo rileva l’ultimo Rapporto annuale
del Dipartimento per le politiche di sviluppo (Dps) del ministero
dell’Economia e delle Finanze, facendo riferimento ai dati del 2002.
Lo studio dimostra, infatti, come il diverso livello "storico" di
sviluppo economico e di occupazione nelle singole aree del Paese sia
ricaduto anche sulla distribuzione territoriale del numero di pensioni
e, soprattutto, sulla differenza di importo.
«Si crea così in un’area rimasta a lungo arretrata -spiega
Fabrizio Barca, capo del Dps- un circolo vizioso per cui la scarsa
ricchezza del passato genera pensioni basse in futuro. Per superarlo,
lo Stato deve intervenire con politiche di perequazione».
Mentre al Nord e al Centro l’assegno, calcolato per tutte le tipologie di prestazione, è decisamente superiore alla media nazionale, al Sud l’importo si riduce notevolmente. Fatta 100 la media italiana, infatti, nelle regioni settentrionali l’indice tocca il 106%.
Al Centro, il valore scende al 104%, restando comunque superiore alla
media, mentre al Sud crolla fino all’88%.
Anche la distribuzione territoriale della spesa previdenziale conferma
la maggiore "ricchezza" delle pensioni del Nord. Oltre la metà
del totale di questa voce va, infatti, alle regioni settentrionali
(51,7%), il 27,1% è destinato al Sud e la quota più bassa
(21,2%) al Centro.
Nel Mezzogiorno, inoltre, il rapporto tra il valore delle pensioni e il
numero dei pensionati si ribalta. Se al Nord e al Centro l’importo
supera, in termini percentuali, i beneficiari delle prestazioni, al Sud
avviene il contrario. In pratica, al Nord ci sono meno della
metà del totale dei pensionati, mentre la spesa previdenziale
è ben al di sopra del 50%.
Nelle regioni settentrionali, infatti, vive il 48,7% dei pensionati,
che però percepiscono complessivamente il 51,7% della spesa
previdenziale. Il rapporto si mantiene anche al Centro, dove risiede il
20,5% dei pensionati, che assorbono il 21,5% del totale. Viceversa, al
30,8% di pensionati meridionali è destinato non più del
27,1% della spesa complessiva.
I redditi da pensione nel 2002 (pari complessivamente a 189,3 miliardi di euro) sono cresciuti del 4,6% rispetto all’anno precedente, mentre il numero dei pensionati è calato di 16 mila unità (sono in tutto 16 milioni e 345 mila). Ma questo non ha portato un vantaggio nelle "tasche" di tutti i pensionati.
L’unica area del Paese in cui sono aumentati, ma non in modo
proporzionale, sia il numero di pensionati sia gli importi percepiti
è il Sud, dove i beneficiari sono lo 0,6% in più (erano
il 30,2% nel 2001, contro gli attuali 30,8%) e le pensioni lo 0,5%
(26,6% contro 27,1%). Nel Centro-Nord, invece, entrambi i dati
risultano in calo.
Nelle regioni settentrionali, i pensionati sono diminuiti dello 0,4%
(dal 49,1% al 48,7%) e gli importi dello 0,1% (dal 51,8% al 51,7%),
mentre in quelle centrali la riduzione è stata rispettivamente
dello 0,2% (dal 20,7% al 20,5%) e dello 0,3% (dal 21,5% al 21,2%).
Nella distribuzione complessiva della spesa pensionistica, è determinante il peso delle prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs), che rappresentano oltre il 90% del totale. Per questo tipo di pensioni, infatti, è più marcata la differenza tra le aree geografiche.
Nelle regioni settentrionali è distribuito ben il 51,4% delle
prestazioni Ivs, per un importo pari al 53% della spesa totale, mentre
in quelle meridionali, dove i beneficiari sono il 28,3%, va appena poco
più di un quarto del valore complessivo (25,7%). Le restanti
quote (20,2% di pensionati e 21,2% di importi), invece, sono destinate
al Centro. Se per il Nord, in questo caso, il dato è invariato
rispetto all’anno precedente, il Sud è ancora una volta in
crescita, seppure lieve, e il Centro in calo.
Nel Mezzogiorno, infatti, i titolari di Ivs sono saliti dal 28,2% al
28,3% e gli importi percepiti dal 25,4% al 25,7%. Mentre nelle regioni
centrali si è passati, rispettivamente, dal 20,4% al 20,2% e dal
21,6% al 21,2%.
Anche per quanto riguarda le indennità, è sempre il Nord
a raccogliere la percentuale più elevata, pari al 44,1% sia come
valore sia come beneficiari.
Una quota rilevante (32,5%) va al 31,4% di pensionati meridionali,
mentre al Centro il rapporto si ribalta, registrando un 24,5% di
percettori che ricevono il 23,4% dell’importo totale.
Al Mezzogiorno spetta, però, il record delle prestazioni assistenziali. La maggior parte dei beneficiari, infatti, risiede nelle regioni del Sud (43,2%), che assorbono fino al 42,4% della spesa. E la percentuale è in crescita.
Nel 2001 era meridionale il 42,5% dei titolari di trattamenti
assistenziali, pari allo 0,7% in meno, mentre l’importo ammontava al
42,2% del totale (0,2% in meno rispetto al 2002).
Resta, comunque, elevata la quota di assistenza destinata al Nord, pari
al 37,1% della spesa per il 36,3% di beneficiari. Ma, in questo caso,
rispetto allo scorso anno, si registra un calo dello 0,2% per entrambi
i valori. Al Centro si concentra il 20,5% sia di beneficiari sia di
importi.
Questa diversa distribuzione territoriale, si legge nel Rapporto del
Dipartimento per le politiche di sviluppo, «può essere
spiegata dal fatto che le pensioni assistenziali e quelle indennitarie
non sono direttamente correlate, al contrario delle Ivs, ai contributi
versati». «Il loro peso sul totale -sottolinea lo studio-
costituisce comunque solo il 18% del totale delle pensioni erogate e
circa il 9% dell’importo complessivo».
«I livelli di sviluppo dei territori -spiega il Rapporto- influenzano molto la capacità degli individui nell’accumulazione dei benefici pensionistici attraverso la maggiore o minore possibilità di maturare requisiti adeguati».
Il Dipartimento per le politiche di sviluppo sottolinea che,
«nella considerazione degli equilibri sul mercato del lavoro e
dell’efficacia delle politiche, vanno pertanto considerati anche gli
effetti che derivano dall’aumento della partecipazione alle
attività lavorative regolari».
E questo, aggiunge, «sia per il sistema nel suo complesso
(aumentandone la sostenibilità, attraverso la riduzione del
rapporto tra percettori di pensione e contributori), sia per il
benessere futuro dei singoli individui (aumentando il loro benessere al
momento del ritiro dal mercato del lavoro in virtù dei benefici
pensionistici accumulati)».
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