L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


A Nicola Zitara

di Vincenzo Carrozza

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Nord, 7 ottobre 2010

Caro Nicola, non ho avuto il coraggio di venirti a trovare in questo ultimo anno. Non avevo paura del corpo svigorito su cui stava accanendosi il male, della sofferenza che si leggeva nei tuoi più piccoli gesti;  anche bere un bicchiere d’acqua era diventato un supplizio. Ho avuto paura della grande sofferenza morale da cui eri  circondato. Dell’immeritata sconfitta che la vita ha inferto a te, alla tua famiglia. Non sono venuto al tuo funerale, sono al nord, come tu conoscevi; era la strada che spesso mi avevi indicato, perché sapevi che il meridione da poche speranze e opportunità ai suoi figli, e anche perché tu mi volevi davvero bene, conoscevi  il terribile mondo da cui provenivo, volevi che me ne allontanassi anche fisicamente. Devo però dirti, in verità, che non sarei venuto a salutarti per l’ultima volta anche se fossi stato nella nostra terra. Non sarei venuto perché tu sei stato fin dai miei quindici anni una parte importante di me stesso, lo sei ancora nonostante mi stia avvicinando alla soglia dei cinquanta. Tu in me mai morirai, almeno finché la vita non lascerà anche me e, dunque,  cosa poteva cambiare un esserci rispetto ad un non esserci.

Sei stato il primo, forse l’unico, a confortare mia madre quando mi arrestarono in un tempo ormai lontano. Sei stato il primo, e forse l’unico, a gioire insieme alla tua cara Antonia, quando fui posto in libertà. Sei stato il primo, forse l’unico, a credere in me, nelle mie capacità.

Tanto ho imparato da te. Ancora oggi cerco di leggere Gramsci con i tuoi occhi. Leggo, cerco di leggere, Samir Amin con il tuo spirito. Cerco di vedere il mondo come mi hai suggerito di fare:  privo del velo delle bugie e dell’ipocrisie che i menzogneri fabbricano, instancabili, minuto dopo minuto, ora dopo ora, anno dopo anno, per il vorace consumo delle masse. Mi mancherà il confronto con le tue geniali letture economiche dei cambiamenti sociali. La tua pacatezza, la tua civiltà di uomo davvero libero. Libertà che a niente hai sacrificato, allontanando da te tutte le tentazioni che fanno schiavo l’uomo d’ingegno: politica, danaro, facile fama.

Combattuto come sono, come tanti uomini, tra un al di là e il niente, vorrei un giorno ritrovare i tuoi occhi sorridenti altrove e dirti che molte cose sono cambiate in meglio nel nostro meridione. Vorrei dirti che il cancro delle mafie è stato sconfitto, che la nostra gente può trovare lavoro, finalmente, nella terra in cui è nata, che la civiltà è rifiorita nelle strade dove hanno passeggiato Archimede, Timeo, Zaleuco.  Vorrei dirti che vale nuovamente la pena dirsi “uomini” da noi, dove un terribile malessere sociale rende uomini gli spettri e spettri gli uomini. Che la politica si esercita per il bene altrui e non per le proprie tasche, per i propri interessi.

Forse verrà questo tempo. Nell’attesa ti abbraccio e ti chiedo di capire e perdonare la mia voluta assenza.

Vincenzo Carrozza


















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