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Ringraziamo il Dott. Giovanni Salemi per averci autorizzato a pubblicare questa appassionata lettera inviata alla Rete d'Informazione Due Sicilie di Alessandro Romano.

Webm@ster - 28 febbraio 2006
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Amor di patria

Caro Alessandro,

                            incuriosito dalla lettera dell'amico Giovanni, pubblicata nella rubrica "le tue lettere" del sito del Movimento Neoborbonico, sono andato a cercare quel sito complicatissimo https://www.unige.it/centrint/Media/amedia036.html per  leggere lo scritto del prof. Dino Cofrancesco dell'Università di Genova, intitolato: l'Italia; il Risorgimento; l'Europa.


Il prof. Cofrancesco che immagino sia uno storico di professione e docente universitario, con un dire magistralmente articolato, dimostra, a parere suo inequivocabilmente, l'errore della revisione storica dei fatti (o misfatti?) risorgimentali e lo fa con le solite argomentazioni, certo ben presentate, con le quali, dalla data del nostro annientamento come Stato indipendente del Sud, è stata costruita la storia di quel periodo definito risorgimento.


Si potrebbe chiedere: di che  e da che?, ma non è mia intenzione dare inizio ad una polemica di fuoco che comunque nulla concretamente risolverebbe. Io non sono un docente universitario e non sono uno storico di professione, sono semplicemente un  innamorato del Sud e come tale leggo ed esamino la storia, quella manichea, negazionista e partigiana che mi è stata insegnata a scuola e che ancora viene insegnata e non solo a scuola, ma anche nelle pubbliche piazze e nei palazzi del potere e la  storia che invece  ho appreso scavando sotto quel mantello di menzogne che ha sempre avuto, ed ha tuttora, il compito di omologare i nostri pensieri e i nostri sentimenti.


Quei sentimenti che vengono a galla nella mente  di ogni meridionale quando vuole riflettere  sul proprio stato e guardarsi intorno, cercando di capire come è possibile che sia stata demolita una costruzione  di uno Stato con le sue leggi, regole, istituzioni, commerci, industrie, scuole e quanto altro esiste in uno Stato civile con la speciosa spiegazione che nulla era ben fatto (e già questo è sospetto !) e al suo posto il vuoto o quanto meno regole, leggi, istituzioni, ecc. ecc. non valide per il governo delle popolazioni cui ci si voleva riferire.


Il prof. nel suo scritto, coinvolgendo nella critica al Regno delle Due Sicilie anche lo Stato Pontificio, definisce tali Stati come arretrati e privi di ogni spinta in avanti (cosa certamente non vera per quel che ci riguarda ,ossia per le Due Sicilie) e accomuna a questi anche i Ducati di Parma (Borbone) e di Modena (Asburgo Este) dimenticando stranamente il Granducato di Toscana (Asburgo Lorena) .


Egli si allinea alla linea di sempre (lotta a tutti i poteri che, nel rispetto della tradizione, riconoscevano l'autorità e l'importanza della Chiesa, pur non essendo alieni dall'introdurre le giuste riforme e correzioni coerenti alle popolazioni interessate) e alla linea di oggi che vede, ad esempio, la nostra Repubblica dotata di un inno di origine rivoluzionaria e richiamantesi nei suoi simboli massimi alla rivoluzione francese che fu il massimo esportatore, mediante le baionette repubblicane prima ed imperiali poi, di quelle" virtù" quali fratellanza, eguaglianza, libertà che furono pagate in modo pesante da tutti i popoli che ne furono investiti. L'argomento della decapitazione del ceto colto del Sud con la repressione della repubblica partenopea non è più argomento che possa reggere: furono non più di cento le persone giustiziate ( tutte per ribellione al potere legittimo e secondo le leggi dell'epoca e con regolare processo) e non tutti grandi cervelli, per cui mi sembrano piuttosto poche per essere il totale della classe colta dell'epoca.


Questa asserzione è stata uno dei cavalli di battaglia degli storici di parte liberale che parlando di quella repubblica hanno sempre dimenticato di dire che essa, figlia di una invasione straniera, era stata affidata ad una piccola schiera di giacobini, idealisti ma non troppo se ci si ricorda tanto per fare un esempio di Andria o della fucilazione dei Baccher, e che non aveva alcun seguito popolare.


Il popolo anzi aveva ben dimostrato la sua avversione ai francesi: dal 21 al 23 gennaio  il popolo, i lazzaroni, resistette alle truppe francesi con grande valore,riconosciuto peraltro dagli stessi comandanti francesi.


Ma non voglio certo andare a competere con la capacità e l'abilità che ha un docente universitario di storia nel raccontare commentare e presentare fatti ed eventi storici: la competizione sarebbe impari.

Resta però certo e sicuro un fatto: fummo conquistati, fummo calpestati e fummo trasformati in una "questione". E su questo nessuno può avanzare dubbi .


Nulla fu conservato, nulla fu tramandato, fummo solo spogliati di quanto avevamo come Pietrarsa, Mongiana, Ferdinandea, San Leucio, le cartiere, i lanifici, i depositi bancari, i tesori artistici, la flotta mercantile ed ancora altro, fummo costretti all'emigrazione, i nostri morti furono ignorati anzi vilipesi, le nostre usanze derise, fummo studiati da scienziati positivisti piemontesi come Lombroso quali portatori di tare costituzionali, l'arroganza piemontese si impose con la legge marziale e con i suoi assassini che, coperti dall'uniforme dell'esercito invasore, commisero atti che oggi sarebbero giudicati come crimini di guerra.


Ci fu tolta sopratutto la nostra identità e la nostra dignità di popolo già costituito in nazione da sette secoli.


Da allora siamo sempre stati tenuti a livello inferiore: e non solo a causa del potere nordista, perché gran parte della colpa è da attribuire alla classe dirigente meridionale, discendente essenzialmente da quella borghesia liberale e massone che per il proprio interesse, e lo coltivò molto bene, distrusse tutto il precedente edificio statale. Ancora oggi un docente di storia dell'Università di Napoli ha definito le manifestazioni di recupero della identità meridionale come iniziative folcloristiche di nessun spessore culturale.


E' la massima espressione della faziosità di pura marca giacobina!


A queste osservazioni il prof. Cofrancesco oppone affermazioni difficilmente condivisibili come quando riferisce che l'emigrazione interna fu una fortuna per i meridionali che poterono lasciare la propria terra per andare, dico io, a svolgere lavori umili per i fratelli del nord o quando dice che dall'elenco telefonico di grandi città del nord si evince che ci sono una infinità di cognomi meridionali ossia di gente che, in seconda o terza generazione, vive oggi bene avendo ottenuto successo nei vari mestieri, professioni, imprese, amministrazioni e ciò, secondo lui, indica che quei "misfatti del 1860 e seguenti" hanno creato una casa comune utile a tutti. Il prof. che definisce "tribale" e in tono spregiativo il nostro revisionismo storico ignora o finge di ignorare il dramma che sempre e comunque c'è dietro l'abbandono della propria terra,senza contare che questa, in tal modo, viene sempre più immiserita.


Non ho scritto come un docente universitario, ma ho scritto da meridionale, con il cuore, e spero di essere stato chiaro in modo che traspaia tutta intera la passione che ci anima e che noi chiamiamo amor di Patria, amore della nostra antica Patria.


Un saluto a tutti                                          

 

Giovanni  Salemi
 
 
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 Prof. Dino Cofrancesco: L'Italia, il Risorgimento, l'Europa (Università di Genova)

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