Ringraziamo il Dott. Giovanni Salemi per averci autorizzato a pubblicare questa appassionata lettera inviata alla Rete d'Informazione Due Sicilie di Alessandro Romano.
Caro Alessandro,
incuriosito dalla lettera dell'amico
Giovanni, pubblicata nella rubrica "le tue lettere" del sito del
Movimento Neoborbonico, sono andato a cercare quel sito
complicatissimo https://www.unige.it/centrint/Media/amedia036.html
per leggere lo scritto del prof. Dino Cofrancesco
dell'Università di Genova, intitolato: l'Italia; il
Risorgimento; l'Europa.
Il prof. Cofrancesco che immagino sia uno storico di professione e
docente universitario, con un dire magistralmente articolato, dimostra,
a parere suo inequivocabilmente, l'errore della revisione storica dei
fatti (o misfatti?) risorgimentali e lo fa con le solite
argomentazioni, certo ben presentate, con le quali, dalla data del
nostro annientamento come Stato indipendente del Sud, è stata
costruita la storia di quel periodo definito risorgimento.
Si potrebbe chiedere: di che e da che?, ma non è mia
intenzione dare inizio ad una polemica di fuoco che comunque nulla
concretamente risolverebbe. Io non sono un docente universitario e non
sono uno storico di professione, sono semplicemente un innamorato
del Sud e come tale leggo ed esamino la storia, quella manichea,
negazionista e partigiana che mi è stata insegnata a scuola e
che ancora viene insegnata e non solo a scuola, ma anche nelle
pubbliche piazze e nei palazzi del potere e la storia che
invece ho appreso scavando sotto quel mantello di menzogne che ha
sempre avuto, ed ha tuttora, il compito di omologare i nostri pensieri
e i nostri sentimenti.
Quei sentimenti che vengono a galla nella mente di ogni
meridionale quando vuole riflettere sul proprio stato e guardarsi
intorno, cercando di capire come è possibile che sia stata
demolita una costruzione di uno Stato con le sue leggi, regole,
istituzioni, commerci, industrie, scuole e quanto altro esiste in uno
Stato civile con la speciosa spiegazione che nulla era ben fatto (e
già questo è sospetto !) e al suo posto il vuoto o quanto
meno regole, leggi, istituzioni, ecc. ecc. non valide per il governo
delle popolazioni cui ci si voleva riferire.
Il prof. nel suo scritto, coinvolgendo nella critica al Regno delle Due
Sicilie anche lo Stato Pontificio, definisce tali Stati come arretrati
e privi di ogni spinta in avanti (cosa certamente non vera per quel che
ci riguarda ,ossia per le Due Sicilie) e accomuna a questi anche i
Ducati di Parma (Borbone) e di Modena (Asburgo Este) dimenticando
stranamente il Granducato di Toscana (Asburgo Lorena) .
Egli si allinea alla linea di sempre (lotta a tutti i poteri che, nel
rispetto della tradizione, riconoscevano l'autorità e
l'importanza della Chiesa, pur non essendo alieni dall'introdurre le
giuste riforme e correzioni coerenti alle popolazioni interessate) e
alla linea di oggi che vede, ad esempio, la nostra Repubblica dotata di
un inno di origine rivoluzionaria e richiamantesi nei suoi simboli
massimi alla rivoluzione francese che fu il massimo esportatore,
mediante le baionette repubblicane prima ed imperiali poi, di quelle"
virtù" quali fratellanza, eguaglianza, libertà che furono
pagate in modo pesante da tutti i popoli che ne furono investiti.
L'argomento della decapitazione del ceto colto del Sud con la
repressione della repubblica partenopea non è più
argomento che possa reggere: furono non più di cento le persone
giustiziate ( tutte per ribellione al potere legittimo e secondo le
leggi dell'epoca e con regolare processo) e non tutti grandi cervelli,
per cui mi sembrano piuttosto poche per essere il totale della classe
colta dell'epoca.
Questa asserzione è stata uno dei cavalli di battaglia degli
storici di parte liberale che parlando di quella repubblica hanno
sempre dimenticato di dire che essa, figlia di una invasione straniera,
era stata affidata ad una piccola schiera di giacobini, idealisti ma
non troppo se ci si ricorda tanto per fare un esempio di Andria o della
fucilazione dei Baccher, e che non aveva alcun seguito popolare.
Il popolo anzi aveva ben dimostrato la sua avversione ai francesi: dal
21 al 23 gennaio il popolo, i lazzaroni, resistette alle truppe
francesi con grande valore,riconosciuto peraltro dagli stessi
comandanti francesi.
Ma non voglio certo andare a competere con la capacità e
l'abilità che ha un docente universitario di storia nel
raccontare commentare e presentare fatti ed eventi storici: la
competizione sarebbe impari.
Resta però certo e sicuro un fatto: fummo conquistati, fummo calpestati e fummo trasformati in una "questione". E su questo nessuno può avanzare dubbi .
Nulla fu conservato, nulla fu tramandato, fummo solo spogliati di
quanto avevamo come Pietrarsa, Mongiana, Ferdinandea, San Leucio, le
cartiere, i lanifici, i depositi bancari, i tesori artistici, la flotta
mercantile ed ancora altro, fummo costretti all'emigrazione, i nostri
morti furono ignorati anzi vilipesi, le nostre usanze derise, fummo
studiati da scienziati positivisti piemontesi come Lombroso quali
portatori di tare costituzionali, l'arroganza piemontese si impose con
la legge marziale e con i suoi assassini che, coperti dall'uniforme
dell'esercito invasore, commisero atti che oggi sarebbero giudicati
come crimini di guerra.
Ci fu tolta sopratutto la nostra identità e la nostra
dignità di popolo già costituito in nazione da sette
secoli.
Da allora siamo sempre stati tenuti a livello inferiore: e non solo a
causa del potere nordista, perché gran parte della colpa
è da attribuire alla classe dirigente meridionale, discendente
essenzialmente da quella borghesia liberale e massone che per il
proprio interesse, e lo coltivò molto bene, distrusse tutto il
precedente edificio statale. Ancora oggi un docente di storia
dell'Università di Napoli ha definito le manifestazioni di
recupero della identità meridionale come iniziative
folcloristiche di nessun spessore culturale.
E' la massima espressione della faziosità di pura marca giacobina!
A queste osservazioni il prof. Cofrancesco oppone affermazioni
difficilmente condivisibili come quando riferisce che l'emigrazione
interna fu una fortuna per i meridionali che poterono lasciare la
propria terra per andare, dico io, a svolgere lavori umili per i
fratelli del nord o quando dice che dall'elenco telefonico di grandi
città del nord si evince che ci sono una infinità di
cognomi meridionali ossia di gente che, in seconda o terza generazione,
vive oggi bene avendo ottenuto successo nei vari mestieri, professioni,
imprese, amministrazioni e ciò, secondo lui, indica che quei
"misfatti del 1860 e seguenti" hanno creato una casa comune utile a
tutti. Il prof. che definisce "tribale" e in tono spregiativo il nostro
revisionismo storico ignora o finge di ignorare il dramma che sempre e
comunque c'è dietro l'abbandono della propria terra,senza
contare che questa, in tal modo, viene sempre più immiserita.
Non ho scritto come un docente universitario, ma ho scritto da
meridionale, con il cuore, e spero di essere stato chiaro in modo che
traspaia tutta intera la passione che ci anima e che noi chiamiamo amor
di Patria, amore della nostra antica Patria.
Un saluto a
tutti
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