Da questa Piazza dove difendo più che la mia corona l'indipendenza della patria comune, si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie, per promettervi tempi più felice. Traditi ugualmente, ugualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure; che mai ha durato lungamente l'opera della i-niquità, né sono eterne le usurpazioni.
Ho lasciato perdersi nel disprezzo le calunnie;
ho guardato con isdegno i tradimenti, mentre che tradimenti e calunnie
attaccavano soltanto la mia persona; ho combattuto non per me ma per
l'onore del nome che portiamo. Ma quando veggo i sudditi miei che tanto
amo in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo
come popoli conquistati portando il loro sangue e le loro sostanze ad
altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore
napolitano batte indegnato nel mio petto, consolato soltanto dalla
lealtà di questa prode armata, dallo spettacolo delle nobili
proteste che da tutti gli angoli del Regno si alzano contro il trionfo
della violenza e dell'astuzia. Io sono napolitano ; nato tra voi, non
ho respirato altra aria, non ho veduto altri paesi, non conosco altro
che il suolo natio.
Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno:
i vostri costumi sono i miei costumi : la vostra lingua è la mia
lingua; le vostre ambizioni mie ambizioni. Erede di una antica dinastia
che ha regnato in queste belle contrade per lunghi anni ricostituendone
l'indipendenza e l'autonomia, non vengo dopo avere spogliato del loro
patrimonio gli orfani, dei suoi beni la Chiesa ad impadronirmi con
forza straniera della più deliziosa parte d'Italia. Sono un
principe vostro che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare
la pace, la concordia, la prosperità tra' suoi sudditi. Il mondo
intero l'ha veduto; per non versare il sangue ho preferito rischiare la
mia corona. I traditori pagati dal nemico straniero sedevano accanto a'
fedeli nel mio consiglio ; ma nella sincerità del mio cuore, io
non poteva credere al tradimento. Mi costava troppo punire; mi doleva
aprire, dopo tante nostre sventure, un'era di persecuzioni; e cosi la
slealtà di pochi e la clemenza mia hanno aiutata l'invasione
piemontese pria per mezzo degli avventurieri ri-voluzionari e poi della
sua armata regolare, paralizzando la fedeltà de' miei popoli, il
valore de' miei soldati.
In mano a cospirazioni continue non ho fatto versare una goccia di sangue,
ed hanno accusata la mia condotta di debolezza. Se l'amore il
più tenero pe' miei sudditi, se la fiducia naturale della
gioventù nella onestà degli altri, se l'orrore istintivo
al sangue meritano questo nome, sono stato certamente debole. Nel
momento in che era sicura la rovina de' miei nemici, ho fermato il
braccio de' miei generali per non consumare la distruzione di Palermo,
ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta
capitale per no esporla agli orrori di un bombardamento, come quelli
che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed in Ancona. Ho
creduto nella buona fede che il Re del Piemonte che si diceva mia
fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la invasione di
Garibaldi, che negoziava col mio governo una alleanza intima pe' veri
interessi d'Italia, non avrebbe rotto tutt'i patti e violate tutte le
leggi, per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né
dichiarazioni di guerra. Se questi erano i niei torti, preferisco le
mie sventure a' trionfi de' miei awersari.
Io aveva data una amnistia, aveva aperto le porte della patria a tutti gli esuli, conceduto a' miei popoli una costituzione. Non ho mancato certo alle mie promesse. Mi preparava a garantire alla Sicilia istituzioni libere che consecrassero con un parlamento separato la sua indipendenza amministrativa ed economica rimuovendo ad un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento. Aveva chiamato a' miei consigli quegli uomini che mi sembrarono più accettabili all'opinione pubblica in quelle circostanze, ed in quanto me lo ha permesso l'incessante aggressione di che sono stato vittima, ho lavorato con ardore alle riforme, a' progressi, ai vantaggi del comune paese.
Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto contro;
non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince
l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero. Le Due Sicilie,
salvo Gaeta e Messina, questi ultimi asili della loro indipendenza, si
trovano nelle mani del Piemonte. Che ha dato questa rivoluzione ai niei
popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese.
Le finanze un tempo cosi floride sono completamente rovinate :
l'amministrazione è un caos : la sicurezza individuale non
esiste. Le prigioni sono piene di sospetti : in vece della
libertà, lo stato di assedio regna nelle province, ed un
generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione
istantanea per tutti quelli dei miei sudditi che non s'inchinano alla
bandiera di Sardegna.
L'assassinio è ricompensato, il regicidio merita una apoteosi; il rispetto al culto santo de' nostri Padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori del proprio paese ricevono pensioni che paga il pacifico contribuente. L'anarchia è da per tutto. Avventurieri stranieri han rimestato tutto, per saziare l'avidità o le passioni dei loro compagni. Uomini che non hanno mai veduta questa parte d'Italia, o che hanno dimenticato in lunga assenza i suoi bisogni, formano il vostro governo. In vece delle libere istituzioni che io vi aveva date e che era mio desiderio sviluppare, avete avuta la più sfrenata dittatura, e la legge marziale sostituisce adesso la costituzione. Sparisce sotto i colpi de' vostri dominatori l'antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III, e le due Sicilie sono state dichiarate province di un Regno lontano. Napoli e Palermo saranno governati da prefetti venuti da Torino.
Ci è un rimedio per questi mali, per le calamità più grandi che prevedo.
La concordia, la risoluzione, la fede nell'avvenire. Unitevi intorno al
trono de' vostri padri. Che Pobblio copra per sempre gli errori di
tutti; che il passato non sia mai pretesto di vendetta, ma pel futuro
lezione salutare. Io ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e
qualunque sia la mia sorte, resterò fedele a' miei popoli ed
alle i-stituzione che ho loro accordate. Indipendenza amministrativa ed
economica tra le due Sicilie con parlamenti separati; amnistia completa
per tutt'i fatti politici; questo è il mio programma. Fuori di
queste basi non ci sarà pel paese, che dispotismo o anarchia.
Difensore della sua indipendenza, io resto e combatto qui per non abbandonare cosi santo e caro deposito.
Se l'autorità ritorna nelle mie mani sarà per tutelare
tutt'i diritti, rispettare tutte le proprietà, garantire le
persone e le sostanze de' miei sudditi contra ogni sorta di oppressione
e di saccheggio. E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permette che
cada sotto i colpi del nemico straniero l'ultimo baluardo della
monarchia, mi ritirerò con la coscienza sana, con incrollabile
fede, con immutabile risoluzione; ed aspettando l'ora inevitabile della
giustizia, farò i più fervidi voti per la
prosperità della mia patria, per la felicità di questi
popoli che formano la più grande e più diletta parte
della mia famiglia.
Preghiamo il sommo Iddio e la invitta Immacolata protettrice speciale
del nostro paese, onde si degnino sostener la nostra causa.
Gaeta 8 Dicembre 1860.
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