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Signor Presidente,
onorevoli deputati,
onorevoli senatori,
signori rappresentanti delle Regioni d'Italia,
è con profonda emozione che mi rivolgo a voi in quest'Aula
nella quale ho speso tanta parte del mio impegno pubblico, apprendendo
dal vivo il senso e il valore delle istituzioni rappresentative,
supremo fondamento della democrazia repubblicana. Sono le assemblee
elettive, è innanzitutto il Parlamento, il luogo del
confronto sui problemi del paese, della dialettica delle idee e delle
proposte, della ricerca delle soluzioni più valide e
condivise.La nuova legislatura si è aperta nel segno di un
forte travaglio, a conclusione di un'aspra competizione elettorale,
dalla quale gli opposti schieramenti politici sono emersi entrambi
largamente rappresentativi del corpo elettorale.
L'assunzione delle responsabilità di governo da parte dello
schieramento che è sia pur lievemente prevalso rappresenta
l'espressione naturale del principio maggioritario che l'Italia ha
assunto da quasi un quindicennio come regolatore di una democrazia
dell'alternanza realmente operante.Ma in tali condizioni più
chiara appare l'esigenza di una seria riflessione sul modo di intendere
e coltivare in un sistema politico bipolare i rapporti tra maggioranza
e opposizione.
Non si tratta di tornare indietro rispetto all'evoluzione che la
democrazia italiana ha conosciuto grazie allo stimolo e al contributo
di forze di diverso orientamento.Ma il fatto che si sia instaurato un
clima di pura contrapposizione e di incomunicabilità, a
scapito della ricerca di possibili terreni di impegno comune, deve
considerarsi segno di un'ancora insufficiente maturazione nel nostro
paese del modello di rapporti politici e istituzionali già
consolidatosi nelle altre democrazie occidentali.
Ebbene, è venuto il tempo della maturità per la
democrazia dell'alternanza anche in Italia. Il reciproco
riconoscimento, rispetto ed ascolto tra gli opposti schieramenti, il
confrontarsi con dignità in Parlamento e nelle altre
assemblee elettive, l'individuare i temi di necessaria e possibile
limpida convergenza nell'interesse generale, possono non già
mettere in forse ma, al contrario, rafforzare in modo decisivo il nuovo
corso della vita politica e istituzionale avviatosi con la riforma del
1993 e le elezioni del 1994.
Ciò potrà avvenire solo ad opera delle forze
politiche organizzate e delle loro rappresentanze nelle istituzioni
rappresentative, sorrette dalla consapevolezza e dal dinamismo della
società civile.A chi vi parla, chiamato a rappresentare
l'unità nazionale, spetta semplicemente trasmettere oggi un
messaggio di fiducia, in risposta al bisogno di serenità e
di equilibrio fattosi così acuto e diffuso tra gli italiani.
Sono convinto che la politica possa recuperare il suo posto
fondamentale e insostituibile nella vita del paese e nella coscienza
dei cittadini. Può riuscirvi quanto più rifugga
da esasperazioni e immeschinimenti che ne indeboliscono fatalmente la
forza di attrazione e persuasione, e quanto più esprima
moralità e cultura, arricchendosi di nuove motivazioni
ideali.
Tra esse, quella del costruire basi comuni di memoria e
identità condivisa, come fattore vitale di
continuità nel fisiologico succedersi di diverse alleanze
politiche nel governo del paese. Ma non si può dare memoria
e identità condivisa, se non si ripercorre e si ricompone in
spirito di verità la storia della nostra Repubblica nata
sessanta anni fa come culmine della tormentata esperienza dello Stato
unitario e, prima ancora, del processo risorgimentale.Ci si
può - io credo - ormai ritrovare, superando vecchie
laceranti divisioni, nel riconoscimento del significato e del decisivo
apporto della Resistenza, pur senza ignorare zone d'ombra, eccessi e
aberrazioni.
Ci si può ritrovare - senza riaprire le ferite del passato -
nel rispetto di tutte le vittime e nell'omaggio non rituale alla
liberazione dal nazifascismo come riconquista dell'indipendenza e della
dignità della patria italiana. Memoria condivisa, come
premessa di una comune identità nazionale, che abbia il suo
fondamento nei valori della Costituzione. Il richiamo a quei valori
trae forza dalla loro vitalità, che resiste, intatta, ad
ogni controversia.
Parlo - ed è giusto farlo anche nel celebrare il
sessantesimo anniversario dell'elezione dell'Assemblea Costituente - di
quei "principi fondamentali" che scolpirono nei primi articoli della
Carta Costituzionale il volto della Repubblica. Principi, valori,
indirizzi che scritti ieri sono aperti a raccogliere oggi nuove
realtà e nuove istanze.Così, il valore del
lavoro, come base della Repubblica democratica, chiama più
che mai al riconoscimento concreto del diritto al lavoro, ancora
lontano dal realizzarsi per tutti, e alla tutela del lavoro "in tutte
le sue forme e applicazioni", e dunque anche nelle forme ora esposte
alla precarietà e alla mancanza di garanzie. I diritti
inviolabili dell'uomo e il principio di uguaglianza, "senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione", si integrano e completano
nella Carta europea, aperta ai nuovi diritti civili e sociali.
Essi non possono non riconoscersi a uomini e donne che entrano a far
parte, da immigrati, della nostra comunità nazionale
contribuendo alla sua prosperità. Il valore della
centralità della persona umana viene a misurarsi con le
nuove frontiere della bioetica.L'unità e
indivisibilità della Repubblica si è via via
intrecciata col più ampio riconoscimento dell'autonomia e
del ruolo dei poteri regionali e locali. Si rivela lungimirante come
fattore di ricchezza e apertura della nostra comunità
nazionale la tutela delle minoranze linguistiche.
Essenziale appare tuttora il laico disegno dei rapporti tra Stato e
Chiesa, concepiti come, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani.La libertà e il pluralismo delle confessioni
religiose sono state via via sancite, e ancora dovranno esserlo,
attraverso intese promosse dallo Stato. Presentano poi una pregnanza ed
urgenza senza precedenti, tanto lo sviluppo della cultura e della
ricerca scientifica e tecnica, quanto la tutela del paesaggio e del
patrimonio storico e artistico della Nazione. Infine, i valori, tra
loro inscindibili, del ripudio della guerra e della
corresponsabilità internazionale per assicurare la pace e la
giustizia nel mondo, si confrontano con nuove, complesse e dure prove.
Ebbene - Signor Presidente, onorevoli parlamentari, signori delegati
regionali - chi può mettere in dubbio la straordinaria
sapienza, e rispondenza al bene comune, dei principi e valori
costituzionali che ho voluto puntualmente ripercorrere? In questo
senso, è giusto parlare di unità costituzionale
come sostrato dell'unità nazionale.
Un risoluto ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione del
1948 non può essere scambiato per puro conservatorismo. I
costituenti si pronunciarono a tutte lettere per una Costituzione
"destinata a durare", per una Costituzione rigida ma non immutabile, e
definirono le procedure e garanzie per la sua revisione. Nei progetti
volti a rivedere la seconda parte della Costituzione che si sono via
via succeduti, non sono stati mai messi in questione i suoi principi
fondamentali.Ma già nell'Assemblea Costituente si espresse -
nello scegliere il modello della Repubblica parlamentare - la
preoccupazione di "tutelare le esigenze di stabilità
dell'azione di governo e di evitare le degenerazioni del
parlamentarismo".
Quella questione rimase aperta e altre ne sono insorte in anni
più recenti, anche sotto il profilo del ruolo
dell'opposizione e del sistema delle garanzie, in rapporto ai mutamenti
intervenuti nella legislazione elettorale.La legge di revisione
costituzionale approvata dal Parlamento mesi or sono è ora
affidata al giudizio conclusivo del popolo sovrano; si dovrà
comunque verificare poi la possibilità di nuove proposte di
riforma capaci di raccogliere il necessario largo consenso in
Parlamento. Esprimo il più sentito e convinto omaggio al mio
predecessore Carlo Azeglio Ciampi per l'esemplare svolgimento del suo
mandato, e in special modo per l'impulso a una più forte
affermazione dell'identità nazionale italiana e di un
rinnovato sentimento patriottico.Nello stesso tempo, nessun
ripiegamento entro confini e orizzonti anacronistici.
Come già si disse, precorrendo i tempi, all'Assemblea
Costituente, l'Europa è per noi italiani una seconda patria.
Lo è diventata sempre di più nei quasi
cinquant'anni che ci separano da quei Trattati di Roma che portano la
firma, per l'Italia, di Antonio Segni e di Gaetano Martino: e il
cammino dell'integrazione e costruzione europea cominciò
ancor prima, ispirato dalle profetiche intuizioni di Benedetto Croce e
di Luigi Einaudi, guidato dall'incontro tra i diversissimi apporti di
personalità come Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, lo
statista lungimirante e il paladino del movimento federalista, entrambi
né meschinamente realisti né astrattamente
utopisti.
La crisi che da un anno ha investito l'Unione europea non
può in alcun modo oscurare il cammino compiuto e far
liquidare il grande progetto della costruzione comunitaria come
riflesso di una fase storica, quella del continente diviso in due
blocchi contrapposti, conclusasi nel 1989.In effetti non solo si
è portata a compimento la più grande impresa di
pace del secolo scorso nel cuore dell'Europa, non solo si è
realizzato uno straordinario e duraturo avanzamento economico e
sociale, civile e culturale nei paesi che si sono via via associati al
progetto, ma si sono poste le radici di un irreversibile moto di
avvicinamento e integrazione tra i popoli, le realtà
produttive, i sistemi monetari, le culture, le società, i
cittadini, i giovani delle nazioni europee.
Non potranno arrestare questo processo le difficoltà pur
gravi incontrate dall'iter di ratifica del Trattato costituzionale:
l'Italia - dopo che il suo governo e il suo Parlamento hanno tra i
primi provveduto alla ratifica di quel Trattato - è
fortemente interessata e impegnata a creare le condizioni per l'entrata
in vigore di un testo di autentica rilevanza costituzionale.
Ci inducono a riflettere ma non potranno fermarci i fenomeni di
disincanto e di incertezza indotti nelle opinioni pubbliche da un serio
rallentamento della crescita dell'economia e del benessere, da un
palese affanno nel far fronte sia alle sfide della competizione globale
e del cambiamento di pesi e di equilibri nella realtà
mondiale, sia alle stesse prove dell'allargamento dell'Unione.
Di certo non esiste dinanzi a queste sfide alcuna alternativa al
rilancio della costruzione europea.L'Italia solo come parte attiva
della costruzione di un più forte e dinamico soggetto
europeo, e l'Europa solo attraverso l'unione delle sue forze e il
potenziamento della sua capacità d'azione, potranno giuocare
un ruolo effettivo, autonomo, peculiare nell'affermazione di un nuovo
ordine internazionale di pace e di giustizia.
Un ordine di pace nel quale possa espandersi la democrazia e prevalere
la causa dei diritti umani, e insieme assicurarsi un governo dello
sviluppo che contribuisca a scongiurare tensioni e rischi di guerra, e
ponga un argine all'intollerabile, allarmante aggravarsi delle
disuguaglianze a danno dei paesi più poveri, dei popoli
colpiti da ogni flagello come quelli del continente africano.La strada
maestra per l'Italia resta dunque quella dell'impegno europeistico,
come il Presidente Ciampi ha in questi anni appassionatamente indicato.
E in ciò egli ha incontrato, io credo, il sentire profondo
ormai maturato soprattutto nelle nostre giovani generazioni, il cui
animo italiano fa tutt'uno con l'animo europeo, e che non vedono
avvenire se non nell'Europa. La priorità dell'impegno
europeistico nulla toglie alla profondità dell'adesione
dell'Italia a una visione dei rapporti transatlantici, dei suoi storici
legami con gli Stati Uniti d'America e delle relazioni tra Europa e
Stati Uniti, come cardine di una strategia di alleanze, nella libera
ricerca di approcci comuni ai problemi più controversi e
nella pari dignità.
È in tale contesto che va affrontata senza esitazioni e
ambiguità la minaccia così dura, inquietante e
per tanti aspetti nuova, del terrorismo di matrice fondamentalista
islamica, senza mai offrire a questo insidioso nemico il vantaggio di
una nostra qualsiasi concessione alla logica dello scontro di
civiltà, di una nostra rinuncia al principio e al metodo del
dialogo tra storie, culture e religioni diverse.
Non è illusorio pensare che questa cornice degli
orientamenti di politica internazionale dell'Italia possa essere
condivisa dagli opposti schieramenti politici.Entro questa cornice
spetta al governo e al Parlamento indicare iniziative atte a
contribuire al dialogo e al negoziato tra Israele e
l'Autorità palestinese nel pieno riconoscimento del diritto
dello Stato di Israele a vivere in sicurezza e del diritto del popolo
palestinese a darsi uno Stato indipendente.
Ed è ora di mettere al bando l'arma del terrorismo suicida e
di contrastare fermamente ogni rigurgito di antisemitismo. Si impongono
egualmente iniziative volte alla soluzione della ancora aperta e
sanguinosa crisi in Iraq, alla stabilizzazione del processo democratico
in Afghanistan, alla ricerca di uno sbocco positivo per lo stato di
preoccupante tensione con l'Iran.Più specificamente, compete
al governo e al Parlamento definire le soluzioni per il rientro dei
militari italiani dall'Iraq. Oggi, non può che accomunare
quest'Assemblea l'omaggio riverente e commosso a tutti i nostri caduti,
che hanno rappresentato il prezzo così doloroso di missioni
all'estero assolte con dedizione e onore, qualunque sia stato il grado
di consenso nel deliberarle.
Onorevoli parlamentari, signori delegati regionali, se rivolgo ora lo
sguardo dal cruciale orizzonte europeo allo stato del nostro paese e al
quadro delle nostre dirette responsabilità, posso solo
consentirmi brevi considerazioni, senza affacciarmi in un campo che
è, più di ogni altro, proprio del confronto tra
diverse impostazioni e posizioni politiche.
Posso, anche qui, esprimere solo un messaggio di fiducia, senza
indulgere a diagnosi pessimiste sull'inevitabile declino del nostro
sistema economico e finanziario, ma nemmeno sottovalutando la
gravità delle debolezze da superare e dei nodi da
sciogliere. Il nodo - innanzitutto - del debito pubblico. E insieme, le
debolezze del sistema produttivo.
Le imprese italiane hanno mostrato di saper raccogliere la sfida che
viene dall'operare in un mercato aperto e in libera concorrenza e di
volersi impegnare in un serio sforzo per la crescita, l'innovazione e
l'internazionalizzazione. Esse chiedono allo Stato non di introdurre o
mantenere indebite protezioni, ma di favorire la
competitività del sistema e gli investimenti privati e
pubblici, nonché di riprendere quel processo di sviluppo
infrastrutturale che tanta parte ebbe nella crescita del secondo
dopoguerra.
Ma all'esigenza di rimuovere limiti e vincoli ingiustificati, si
accompagna quella di assicurare regole e controlli efficaci ed
efficienti.Il nostro paese non può rinunciare alle sue
grandi tradizioni in campo industriale e agricolo, che ancora si
esprimono in rilevanti prove di progresso anche tecnologico: tali da
dar luogo di recente a casi di straordinario recupero in gravi
situazioni di crisi e da animare nuove, vitali realtà
produttive. Nello stesso tempo, appare indispensabile rafforzare e
modernizzare il settore dei servizi, e valorizzare con coraggio e
lungimiranza il patrimonio naturale e paesaggistico, culturale e
artistico senza eguali di cui l'Italia dispone.
Di qui passa anche qualsiasi politica per il Mezzogiorno, le cui
regioni diventano un asse obbligato del rilancio complessivo dello
sviluppo nazionale anche per la loro valenza strategica nella nuova
grande prospettiva dei flussi di investimenti e di scambi tra l'area
euromediterranea e l'Asia. Né occorre che io aggiunga altro
a questo proposito, signori parlamentari e delegati regionali, per la
profondità delle radici e delle esperienze politiche e di
vita che mi legano al Mezzogiorno: non occorrono altre parole per
affidarvi un auspicio così intimamente sentito.
Sono più in generale le mie complessive esperienze politiche
e di vita che mi inducono ad associare con forza il problema del
rilancio della nostra economia a quello della giustizia sociale, della
lotta contro le accresciute disuguaglianze e le nuove emarginazioni e
povertà, dell'impegno più conseguente per elevare
l'occupazione e il livello di attività della popolazione, il
problema non eludibile del miglioramento delle condizioni dei
lavoratori e dei pensionati e di una rinnovata garanzia della
dignità e della sicurezza del lavoro.
C'è bisogno di più giustizia e coesione sociale.E
se un ruolo decisivo spetta in questo senso ai sindacati, posti
peraltro di fronte a un mercato del lavoro in profondo cambiamento che
richiede forti aperture all'innovazione, è interesse e
responsabilità anche delle forze imprenditoriali comprendere
e assecondare politiche di coesione e di solidarietà.
Quando ci domandiamo - dinanzi a problemi così complessi e a
vincoli così pesanti - se possiamo farcela, dobbiamo
guardare alle risorse di cui dispone l'Italia. Sono le risorse delle
istituzioni regionali e locali che esercitano le loro autonomie in
responsabile e leale collaborazione con lo Stato e contando
sull'impegno unitario della pubblica amministrazione al servizio
esclusivo della nazione.
Sono, insieme, le risorse di un ricco tessuto civile e culturale, da
cui si sprigiona un potenziale prezioso di sussidiarietà,
per l'apporto di cui si è mostrato e si mostra capace il
mondo delle comunità intermedie, dell'associazionismo laico
e religioso, del volontariato e degli enti non profit. Sono le risorse
della partecipazione di base, che le istituzioni locali tanto possono
stimolare e canalizzare.
E sono le risorse delle famiglie: come quelle che abbiamo visto in
queste settimane stringersi attorno alle spoglie dei caduti di Nassirya
e di Kabul.Famiglie laboriose e modeste che educano i loro figli al
senso del dovere verso la patria e verso la società.
Famiglie che rappresentano la più grande ricchezza
dell'Italia. E ancora, abbiamo da contare - mi si lasci ricordare la
splendida figura di Nilde Iotti - sulle formidabili risorse delle
energie femminili non mobilitate e non valorizzate né nel
lavoro né nella vita pubblica: pregiudizi e chiusure, con
l'enorme spreco che ne consegue, ormai non più tollerabili.
Contiamo infine sulle risorse che possono essere attribuite ai giovani,
uomini e donne in formazione, da un sistema di istruzione che fino al
più alto livello offra a tutti uguali opportunità
di sviluppo della persona, e premi il merito e la dedizione allo studio
e al lavoro. Da tutto ciò le ragioni di una non retorica
fiducia nel futuro del nostro paese. Il nostro futuro tuttavia
è legato anche a problemi come quelli che ormai si collocano
nel grande scenario dello spazio europeo di libertà,
sicurezza e giustizia.Resta assai dura la sfida della lotta contro la
criminalità, una presenza aggressiva che ancora tanto pesa
sulle possibilità di sviluppo del Mezzogiorno,
così come contro le nuove minacce del terrorismo
internazionale e interno.
Ci dà però fiducia il fatto che lo Stato ha
mostrato anche negli ultimi anni di poter contare sull'azione efficace
e congiunta della magistratura e delle forze dell'ordine, alle quali
tutte - avendo io stesso, da responsabilità di governo,
imparato a meglio conoscerne e apprezzarne l'impegno e lo slancio -
desidero indirizzare il più vivo nostro riconoscimento.
Certo, i problemi della legalità e della moralità
collettiva si presentano ancora aperti in modi inquietanti e anche in
ambiti che avremmo sperato ne restassero immuni. Mentre sono purtroppo
rimaste critiche le condizioni dell'amministrazione della giustizia,
soprattutto sotto il profilo della durata del processo.E troppe
tensioni circondano ancora i rapporti tra politica e giustizia,
turbando lo svolgimento di una così alta funzione
costituzionale e ferendo la dignità di coloro che sono
chiamati ad assolverla. Anche in questo delicatissimo campo, sono
esigenze di serenità e di equilibrio, negli stessi necessari
processi di riforma, quelle che si avvertono e chiedono di essere
soddisfatte. Seri e complessi sono dunque gli impegni cui debbono far
fronte la politica e le istituzioni.
L'Italia vive un momento difficile: ma drammatico, non solo difficile,
fu il periodo che l'Italia visse negli anni successivi alla fine della
guerra e alla Liberazione, dovendo accollarsi un'eredità di
terribili distruzioni materiali e morali e superare anche le scosse di
un conflitto elettorale e ideale come quello che divise in due il paese
nella scelta tra monarchia e repubblica. Prevalse allora - la prova
più alta la diede l'Assemblea Costituente - ed ebbe ragione
di tutte le difficoltà il senso della missione nazionale
comune : che fu più forte di pur legittimi contrasti
ideologici e politici.
Così, oggi, il mio appello all'unità non tende a
edulcorare una realtà di aspre divergenze soprattutto ai
vertici della politica nazionale, ma proprio a sollecitare tra gli
italiani un nuovo senso della missione da adempiere per dare slancio e
coesione alla nostra società, per assicurare al nostro paese
il ruolo che gli spetta in Europa e nel mondo. Ed è un
appello che può forse trovare maggiore rispondenza in
quell'Italia profonda, l'Italia delle cento province, l'Italia della
fatica quotidiana e della volontà di progredire, che il mio
predecessore ha voluto esplorare traendone l'immagine di una concordia
di intenti e di opere più salda di quanto comunemente si
ritenga.
Considero mio dovere impegnarmi per favorire più pacati
confronti tra le forze politiche e più ampie, costruttive
convergenze nel paese ; ma è un impegno che
svolgerò con la necessaria sobrietà e nel
rigoroso rispetto dei limiti che segnano il ruolo e i poteri del
Presidente della Repubblica nella Costituzione vigente.Un ruolo di
garanzia dei valori e degli equilibri costituzionali; un ruolo di
moderazione e persuasione morale, che ha per presupposto il senso e il
dovere dell'imparzialità nell'esercizio di tutte le funzioni
attribuite al Presidente.
Come rappresentante dell'unità nazionale, raccolgo il
riferimento ben presente nel messaggio augurale indirizzatomi dal
Pontefice Benedetto XVI - al quale rivolgo il mio deferente
ringraziamento e saluto: raccolgo il riferimento ai valori umani e
cristiani che sono patrimonio del popolo italiano, ben sapendo quale
sia stato il profondo rapporto storico tra la cristianità e
il farsi dell'Europa.E ne traggo la convinzione che debba laicamente
riconoscersi la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, e
svilupparsi concretamente la collaborazione, in Italia, tra Stato e
Chiesa cattolica in molteplici campi in nome del bene comune.
Nel momento in cui inizia il suo mandato, il Presidente della
Repubblica rende omaggio alla Corte Costituzionale, come organo di alta
garanzia che da cinquant'anni veglia sul pieno rispetto della nostra
legge fondamentale; al Consiglio Superiore della Magistratura,
espressione e presidio dell'autonomia e indipendenza di quell'ordine da
ogni altro potere; a tutte le amministrazioni pubbliche, a tutti gli
organi e i corpi dello Stato, e in particolare alle Forze Armate
italiane che si distinguono per sempre più alti livelli di
moderna professionalità ed efficienza, così come
alle diverse e distinte forze preposte con convergente impegno alla
tutela del bene essenziale della sicurezza dei cittadini. Un segno di
particolare attenzione va al mondo della scuola e
dell'Università e a quanti sono chiamati a tenerne alta la
funzione educativa.
Al mondo dell'informazione va indirizzato un convinto impegno a
garantirne la libertà e il pluralismo come condizione
imprescindibile di democrazia. Rivolgo un grato e rispettoso pensiero a
tutti i miei predecessori, personalità rappresentative di
diverse correnti ideali e tradizioni popolari, ritrovatesi nel primato
dei valori essenziali: libertà, giustizia,
solidarietà.Uno speciale ricordo per il primo Presidente
della Repubblica Enrico De Nicola, che fu simbolo di pacificazione in
un contrastato passaggio storico e al quale fui legato da rapporti di
antica amicizia famigliare e dal comune impegno, in diverse epoche, a
rappresentare in Parlamento la nostra grande, generosa e travagliata
città di Napoli.
Signor Presidente, onorevoli parlamentari, signori delegati, mi inchino
dinanzi a questa Assemblea nella quale si riconoscono tutti gli
italiani, per la prima volta anche quelli che operano all'estero, le
cui comunità hanno finalmente voce per far sentire le loro
esigenze ed attese.Non sarò in alcun momento il Presidente
solo della maggioranza che mi ha eletto; avrò attenzione e
rispetto per tutti voi, per tutte le posizioni ideali e politiche che
esprimete; dedicherò senza risparmio le mie energie
all'interesse generale per poter contare sulla fiducia dei
rappresentanti del popolo e dei cittadini italiani senza distinzione di
parte.
Viva il Parlamento!
Viva la Repubblica!
Viva l'Italia!
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