Eleaml


Il grido d'ajuto che parte dalla Sicilia ha toccato il mio cuore e quello di centinaja de' miei antichi soldati. Io non ho consigliato l’insurrezione de' miei fratelli di Sicilia, ma dacché essi si sono levati in nome dell'unità italiana, rappresentata nella persona di Vittorio Emanuele, contro la più vergognosa tirannia dei nostri tempi, io non ho esitato di farmi capo della spedizione. Io so che l'impresa in cui mi metto è pericolosa, ma io confido in Dio, nel coraggio e nella devozione de'miei compagni.

AI VALOROSI

CHE VOLONTARII

ACCORSERO

PER COMBATTERE

SULLA TERRA DEI PROCIDÀ E DEGLI ARCHIMEDI

LE BATTAGLIE DELL’ITALIANA INDIPENDENZA

QUESTE VICENDE

DEL LORO CONDOTTIERO

CON AFFETTO CONSACRO.

ANEDDOTICA POLITICO-MILITARE

DEL GENERALE


GIUSEPPE GARIBALDI


CONTENENTE LA DESCRIZIONE
DELLE  CAMPAGNE
D’AMERICA E  D’ITALIA

PER

FILIPPO FANTI



MILANO
Francesco Paglioni, tipografo editore

1860

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Sono i grandi uomini che suscitano le grandi lezioni, come saggiamente dettava un profondo ed esperto filosofo italiano; quelle sono la materia, quelli la forma. Apriamo il vasto volume della storia, leggiamo i fatti memorandi di quelle generazioni che si sono incalzate nella tomba, in tutti i secoli, in tutte le nazioni, anche nelle più lontane parti del vecchio continente, anche al di là dell'oceano, e ovunque vedremo avverarsi questa grande verità, ovunque troveremo esempii strepitosi onde appoggiarla.

L'Italia però come la nazione che è nata nella più remota antichità e che ancora non ha toccato il tramonto, come la nazione che più abbia presentato umani sconvolgimenti, l'Italia, ripeto, più che altra parte della terra ha provato questa logica e naturale conseguenza dell'ordine delle cose. Gettiamo uno sguardo nella antichità e vedremo Pittagora, questo creatore delle umane discipline, questo predecessore di Socrate e di Platone, questo colosso dell'italiana dottrina, ed appieno troveremo nel secolo in cui visse gli elementi primitivi di sua filosofia, la pratica de' suoi assiomi profondi, il frutto delle sue feconde semenze. Guardiamo Romolo, questo ben degno figlio e discendente di Marte e di Enea, questo fondatore e legislatore dell’eterna regina delle genti, e noi vedremo scritto sulla sua fronte il secolo in cui visse, noi scorgeremo nei popoli da lui retti e governati l’istessa indomita natura, l’istesso desiderio di gloria e di conquista. E Cesare, e Carlo. magno, e Solimano, e Giulio II, e Leone X, e Napoleone sono tante prove palpabili di simile verità.

Nel medesimo modo i vizii e le colpe dei popoli altra causa non sono che il riverbero dei vizii e delle colpe di quegli sciagurati che per prepotenza di dominio o per influsso morale si sollevano sopra di loro, suscitati pel martirio e vituperio della stirpe condannata a morire. Le pagine funeste dei tempi di Catilina, di Mario e di Siila, e modernamente di Robespierre, sono prove evidenti di quanto possa l'esempio dei tristi e dei malvagi sulle compatte caterve esposte alla loro azione. In quelle età siffattamente calamitose e che chiaramente manifestano a quanto può giungere questa schiatta a cui l'istessa fiera del bosco insegna umanità, in quella età sembra che la tirannide volesse germogliare sulla terra più spessa che le margheritine dei prati, che le spighe dei campi.

Sì, le nazioni sono la riproduzione morale di quegli uomini che su di loro hanno esercitato un qualche predominio; generose o malvagie, vili o valorose, esse non hanno fatto che seguire una legge prepotente, la legge del- l' esempio e della seduzione.

Noi Italiani del 1860 ne abbiamo un troppo reale esempio; il nostro spirito ha subito colla rapidità quasi direi del pensiero una simile legge. Che eravamo noi mai allorché nel 1848 il grido d'indipendenza e di libertà ci scosse dal letargico sonno dello schiavo, che destò nel nostro petto generosi sentimenti ? — Nemici famiglia con famiglia, città con città, pieni di presunzione, indisciplinati e corrotti, infedeli e traditori, sospettosi ed inconsiderati, e se le nostre voglie avessero avuto sfogo, le città e le castella nostre tosto sarebbero state tinte di sangue cittadino, per ogni dove nate sarebbero tirannie o repubbliche, ed in luogo di divenire potenti e liberi avressimo precipitato nella calamità del medio evo, i novelli Barbarossa sarebbero scesi più potenti dall'Alpi onde distruggere le nostre città, onde ardere e predare i nostri campi, onde toglierci dalle vene il sangue ed il vigore. — Quella che la generalità stimano sventura altra cosa non fu pell'Italia che supremo bene, un saggio decreto della Previdenza, che non vedendoci maturi all' indipendenza ed alla libertà pensò ricoricarci onde attendere l'ora più propizia. Ed intanto alimentava quelle menti sublimi che rigenerare ci dovevano, intanto scaldava quei cuori generosi e preparava la nazione alla suprema riscossa. E quando l'ora fu suonata, quando un grido poderoso survolò all'Alpi ed al mare, quali virtù erano nelle nostre menti, qual valore nel nostro braccio, quale amore nel cuore? — Vittorio Emanuele e Garibaldi ! La concordia ci viene da loro, la fede ci fu da loro inspirata,, l'ardire è infuso dalla loro presenza o dal loro nome, l'entusiasmo altro non ricorda che loro sono i padri ed i campioni nostri, la nostra speranza, il nostro affetto. — Essi parlano, e la loro voce echeggia in ogni petto italiano, palpitano, ed ai loro palpiti rispondono i nostri, esultano, e sui nostri volti traspare la gioja, minacciano, perdonano, benedicono e le nostre labbra esprimono le istesse passioni, gli stessi sentimenti.—Garibaldi è l'Italia, Vittorio Emanuele è l'Italia, l'Italia è nella mente d'ogni Italiano, l'Italia è la meta verso cui si sospira, su di cui chiamiamo la protezione degli uomini e di Dio.

In fatti, ecco un popolo nel più nero servaggio, inerme, smembrato, circondato di forche e di patiboli, di spie e di carnefici, circondato dal più imponente spettacolo della tirannide, da falangi compatte, da batterie sterminate, un popolo infine cui la vita è un peso, gelato nel cuore, cieco nella mente, ogni speme è per lui perduta; ad un tratto sembra riprendere nuova lena, palpita più frequente, alzala voce, grida, ruggisce, e le sue catene cadono infrante al suolo, i suoi nemici sono calpestati, la prepotenza distrutta, e bello ed irradiato di luce si solleva ad ogni grandezza, ad ogni virtù, ad ogni eroismo, e l'Europa tutta ne stupisce, ed il mondo tutto guarda con invidia tanto e si sublime slancio, lo domando a voi quale forza mortale poteva fare tanto prodigio ? Sì, la Previdenza che tutte regola e governa le basse cose, che tutto presiede, la Provvidenza aveva aiutato. -— Ma ove si manifesta, per quale mezzo questa potenza arcana agisce ? — II genio del- l'uomo, i sentimenti generosi, l'eroismo, l'idea della libertà e dell'indipendenza, ecco le forze motrici, ecco gli elementi della redenzione. E tutte queste potenze, tutte queste virtù sono l'opera del suo eletto, di quell'uomo suscitato espressamente per compire tanti prodigi. — Garibaldi, come Vittorio Emanuele, l'uomo gigante che doveva rovesciare la pietra sepolcrale e gridare Surgeatt Surgeat!

Pieno di santa aspirazione, di quel fuoco divino che sì altamente lega l'uomo alla terra che lo vide nascere, amore pieno, disinteressato, capace d'ogni eroismo e dei più duri sagriflzii; pieno di costanza, d'indomabile abborrimento ad ogni prepotenza, ardente propugnatore del diritto e dell'umanità, Giuseppe Garibaldi seguì il sentiero additatogli dalla Previdenza. — Egli gridò, e la terra d'Italia al suo grido si scosse; gridò e stuolo infinito di valorosi accorsero alla sua chiamata; gridò e la sua voce infuse il terrore e lo scompiglio nel cuore dei suoi nemici; gridò e l'uomo surse a quella vita per cui solamente fu creato, alla libertà, all'onore, scosse violentemente l'insanguinata tirannide e rovesciolla sotto i suoi piedi pieno di fiducia e di santo ardire.

La storia di simili prodigj è utile semenza da gettarsi tra i popoli onde fecondarne la virtù e l'amore.

Io m'accingo adunque a dire ciocché Giuseppe Garibaldi abbia operato, e quale nella mia debole idea i' ho concepito. Se voi, o benevoli lettori e lettrici, nobili e plebei, italiani e stranieri, non trovate il mio concetto quale al liberatore dei popoli, al salvatore della patria, al palladio dell'amore e dell'onore, a Giuseppe Garibaldi infine, a quest' essere in ogni sua parte perfettissimo, miracolo della creazione , su di cui Io spirito di Dio si è compiaciuto posarsi un istante, se non trovate il mio concetto quale a tanta perfezione si conviene, altro non avrete a censurare che la mia presunzione ed il mio ardire. — Ma se voi invece andrete contenti delle mie povere parole, se queste saranno gradite quale tributo di gratitudine e di lode, io mi chiamerò felice, mi dirò contentissimo, ed invocherò sul vostro capo ogni benedizione.

Filippo Santi.









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