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LA
CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO DECIMOQUINTO
VOL. XI.
DELLA SERIE QUINTA

ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA
1864


DEL BRIGANTAGGIO
NEL REGNO DI NAPOLI



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Fuor d'ogni dubbio una delle piaghe più cancrenose del preteso regno d'Italia è il cosi detto brigantaggio, che da quattro anni infierisce nelle province meridionali. Esso non pure corrode a poco a poco le viscere dell’infermo; ma col puzzo, che esala, avverte eziandio i lontani delle misere condizioni in cui quegli versa e dell’impossibilità di durarla a lungo. Il perché gli spasimati d'Italia si arrabattano in ogni guisa, per travolgere il significato e menomare il valore di un fallo sì eloquente, e suggerire al Governo rimedii opportuni a cessarlo. Ma che volete? Causa patrocinio non bona peior erit: La causa cattiva si peggiora col difenderla. E la ragione è chiara; giacché una tal difesa non può farsi, so non per via di sofismi e di menzogne, che sempre più ne discoprono il torlo, e sovente il difensore, sviatosi nei ciechi sentieri del falso assunto, riesce a dimostrare il contrario di quel che vorrebbe.

Cosi è incontrato recentemente al sig. Conte Bianco di Saint-Jorioz nel suo libro, intitolato: Il Brigantaggio alla Frontiera pontifìcia dal 1860 al 18631.


1 II Brigantaggio alla Frontiera pontificia dal 1860 al 1863, Studio storico-politico-stalistico-morale-milìtare, del Conte Alessandro Bianco Di Saint-Jorioz, capitano nel Corpo di Stato maggiore generale, 1864.


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Egli mosso da patria carità liberalesca ha creduto di poter usufruttuare la esperienza avuta in virtù del suo ufficio e della sua lunga permanenza sopra luogo, sforzandosi di provare che la reazione armala nel Napoletano non è stata prodotta da cagioni politiche; che essa si restringe a soli facinorosi e ladroni; che a rimuoverne il concorso per parie dei cittadini, basiti migliorare la parte amministrativa ed economica del nuovo regno, secondo alcuni mezzi che egli propone. Tornerà utile esaminar brevemente tutti e tre questi punti, stando agli argomenti e alle relazioni stesse dello scrittore.


I.

Se l'origine in generale del Brigantaggio napoletano

sia politica o no.


Dicemmo in vero studio l’origine in generale, perché ammettiamo volontieri che il brigantaggio sia potuto, in processo di tempo, deviare in parte dal suo primo proposto, e dirigersi da alcuni, eziandio fin da principio, ad intendimenti diversi dallo scopo inteso comunemente dagli altri. Ma queste, come ognun vede, sarebbero eccezioni e tralignamenti, da cui non può togliersi giudizio dell'idea primitiva e universale del fallo. Così ancora in ordine ad esso fallo, noi qui ci restringiamo al solo lato storico, senza entrare nella sua moralità; sapendo benissimo che il tentativo di riscuotersi colla forza da ingiusta oppressione, benché possa avere in dati casi da parte sua il diritto; può nondimeno anche in essi essere illecito, sia per l'improbabilità del successo, sia per la qualità dei mezzi che vengono adoperali. Determinato così lo stato della controversia, veniamo alla discussione.

Il sig. Conte di Saint-Jorioz per dimostrare che l'origine del brigantaggio non è stata politica, ricorre al solito ritornello delle condizioni topografiche ed etnografiche delle Due Sicilie, e al mal reggimento della Dinastia borbonica. «Tutto in questo paese favorisce il brigantaggio:. la povertà dei coloni agricoli; la rapacità e la protervia dei nobili e dei signori; l'ignoranza turpe, in cui è giaciuta questa popolazione;


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l'influenza deleteria del prete; la superstizione, il fanatismo, l'idolatria, fatte religione e santificale; la mancanza di senso morale pressoché totale; la nessuna elementare conoscenza dei dettami d'onore, di probità, di pudore; la sregolatezza nei costumi; l'immoralità in tutto ed in tutti;  lo spettacolo schifoso della corruttela negli impiegati, nella magistratura, nei pubblici funzionarii; la rapina, il malversare, lo sciopero e la malafede falli articoli di legge; tutto insomma ciò, che vi è di laido e di riprovevole nella umana Società, si trova in gran copia diffuso e penetrato in queste misere popolazioni... Sicché non vi è poi tanto da stupire, se le origini del brigantaggio siano antiche e quasi perdute nelle nebbie dei secoli; se sotto tutti i regni e tutte le dinastie vi furono falli briganteschi; se finalmente oggidì ancora, sotto un Governo unitario, nazionale e riparatore, vi siano numerose bande o ferocissime che scorrazzano, quasi impunemente, questa peregrina ma cancrenata parte d'Italia. La configurazione stessa del paese, coperto d'interminabili catene di montagne altissime e vasti dirupi, di macchie foltissime e di oscure, fitte e immense foreste... 1»

Quanto poi al mal reggimento borbonico, soggiunge: «Non solo l'azione dissolvente, immorale e corruttrice del più immorale e scellerato dei Governi, ma il sistema pur anco di agricoltura del paese, e la vita nomade e solitaria dei pastori e dei carbonai, che vivono su quelle cime senza famiglia, in mezzo al loro gregge od attorno al loro forno, in un isolamento selvaggio; e la vita quasi cenobitica delle popolazioni delle piccole cittaduzze, che poste sul comignolo di una roccia nuda ed aspra, lontane da ogni consorzio umano, da ogni suono di civiltà, e da ogni vista delle intellettuali grandezze, vivendo una vita miserabile e deserta ed amara, senza nessuna delle morali e materiali dolcezze che cotanto abbelliscono la vita, sono un incentivo, un istradamelo al brigantaggio.2»

Ci svieremmo dal nostro tema, se qui ci ponessimo a confutare ad una ad una le calunniose imputazioni, che il sig. Conte, per difendere la sua causa spallala, accumula sul capo della quasi metà degl’Italiani.


1 Pag. 11.

2 Pag;. 12.


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Pertanto, a tagliar corto, gl'indirizziamo questa semplice dimanda: Tutte le cause, qui mentovale, quand'anche fossero vere, sussistevano certamente anche prima dell’invasione piemontese; come va dunque che sol dopo questa esse hanno prodotto il loro effetto? Il valent'uomo crede schermirsi coll’affermare che il brigantaggio fu perenne nel Regno di Napoli: «Aprite le pagine della storia e vi troverete ad ogni piè sospinto degli atti di nefando brigantaggio sotto tutti i regni, sotto tutte le dinastie, dai Saraceni e dai Normanni, a Manhès, a Fumel e Piuelli1». Ma ognun s'accorge dell’infelice parata. Lasciando stare i Saraceni e i Normanni, per non disputare inutilmente di cose, sei ed otto secoli da noi rimote; la ricordanza di Manhès è scelta pessimamente, siccome quella che conferma anzi la ragione politica del brigantaggio. Imperocché esso sorse a que' tempi contro l'invasione francese, quando appunto la legittima Dinastia fu costretta ad esulare, e cessò col ritorno della medesima. Dal Manhès poi al Fumel tramezza più di mezzo secolo, con quattro Re successivi, Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II, e Francesco II. Ora in sì lunga durata di possesso dei legittimi principi, qual esempio di brigantaggio può allegarsi? Se alcun malvivente per isfuggire al supplizio, come accade in tutti i paesi di questo mondo, si diede alla campagna, ciò non costituì che un fatto isolato, a terminare il quale in brevissimo spazio bastò la solerzia dei carabinieri e delle guardie urbane. Citi l'Autore, se può, un sol luogo infestato dal brigantaggio, all'epoca in cui le truppe piemontesi senza intimazione di guerra, al modo degli antichi barbari, piombarono sul regno di Napoli. Per contrario appena avvenuta l'invasione, e tosto apparvero in tutti i punti del regno bande reazionarie, a combattere le quali da quattro anni vi è stato uopo adoperare un intero esercito, con a capo i più feroci condottieri2, porre in istato d'assedio permanente quasi tutte le province, spendervi, oltre il denaro dell'erario, quello altresì


1 Pag. 13.

2 Il sig. Jorioz impiega un lungo capitolo a descrivere il sistema di guerra tenuto a combattere i briganti, con divisione dell’esercito secondo le diverse zone di territorio, con triplice linea di battaglia per mutar fronte, secondo la necessità ecc. ecc. Pag. 253.


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raccolto da una questua universale fatta per tutta Italia, venire a misure non solo extra-costituzionali ed extra-legali, ma tiranniche ed inumane. L'Autore non dissimula una parte almeno dei mezzi atroci, adoperati dal Governo riparatore, per estinguere il brigantaggio. «L'Autorità militare, egli dice, deve arbitrarsi forzatamente in molte cose che non le spettano di certo, e commette un grave male per evitare di ben maggiori e più funesti1... Mi giova osservare che nel tempo eccezionale dello stato d'assedio è stato preso da quasi tutti i Comandanti Generali delle zone il disposto di far carcerare tutti i parenti e le famiglie dei briganti, colla promessa che sarebbero rilasciati in libertà, quando i briganti loro appartenenti per legame di sangue si sarebbero costituiti alle Autorità militari. Checché possa avere di draconiano e d'illegale (anche il dablen Conte se n'avvede) questa misura, e per quanto possa essere censurabile e soggetta al biasimo degli uomini di strettissima legalità e di scrupolosa rettitudine costituzionale (l'Autore ha coscienza meno meticolosa); ciò non è men vero e meno apertamente comprovato, che tale misura assoluta e dispotica fu piena di successo e di efficacia, e che mai e in nessun tempo e sotto nessun regime si sono visti tanti latitanti costituirsi volontariamente, e tanti briganti venir porgere i polsi ai ceppi (e poteva aggiungere, il petto alle palle) per far uscire dal carcere il padre, la madre, la sorella, la sposa ed i figli2.» Alla moralità di chi dareste la preferenza, o lettore; a quella di un Governo che, per avere in mano i suoi nemici, commette simili atrocità sopra degli innocenti, o a quella dei pretesi briganti che per salvare gl'innocenti spontaneamente si offrono alla prigionia ed alla morie3? Dopo un sì fiero sopruso, sembrerà tollerabile quest'altro:


1 Pag. 172. — 2 Pag. 193.

3 Simile nefandezza si e commessa dal moralissimo Governo italiano anche in Sicilia per costringere a presentarsi i renitenti alla leva. Si sono gettate in carcere le sorelle nubili e le cugine dei coscritti latitanti o fuggiaschi, protestando che non sarebbero rilasciate, se non quando i loro fratelli si fossero costituiti. Indirizziamo questi fatti alla dilicata coscienza del sig. Palmerston, il quale chiamava negazione di Dio il Governo Borbonico, perché incarcerava qualche notissimo rivoluzionario, e ora che in Italia si consummano simiglianti eccessi, dice con piglio beffardo che le cose vanno benissimo.


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«Si venne perfino all'espediente di far arrestare in una perlustrazione generale tutti quelli che si sarebbero incontrati per via, tutti gli uomini che erano nelle pagliare, tutti i pastori che guardavano armenti, e si ordinò che ogni comandante di pattuglie portasse gli arrestati ne' paesi più vicini per farli riconoscere dalle Autorità. Si sperava, così di poter arrestare qualcuno dei briganti1.» Ciò nelle campagne; e nelle città? «Intanto erasi proclamato lo stato d'assedio, e le Autorità militari, valendosi con energia delle attribuzioni che le erano conferite, arrestarono tutti coloro che erano in fama di favorire il brigantaggio. È ben doloroso il constatare che tra gli arrestati vi si contarono molti appartenenti alle guardie nazionali di quei paesi, e tra questi anche due uffiziali2.» Se il sig. Jorioz avesse sale in zucca, invece di dolersi di ciò, si dorrebbe piuttosto che un Governo, il quale pretende d'esser tenuto per civile, venga a simili misfatti; ed è certo un misfatto imprigionar cittadini per la sola fama, e sappiamo che valga la fama in tempo di rovesci politici3. Ma il dabbeuuomo procede innanzi con semplicità

 1 Pag. 306. — 2 Pag. 312.


3 Non abbiam parole che valgano a sfolgorare l’altra iniquità che coramelle il Governo riparatore; non solamente imprigionando, ma dopo la prigionia mandando a domicilio coatto, vai quanto dire a vera rilegazione, tutti quelli che esso crede favoreggiatori del brigantaggio. Né solamente uomini, ma donne, ed eziandio donzelle e pargoletti, separandole dalle loro famiglie e spesso inviando la madre in un luogo e la figliuola in un altro. Che dice di tali cose il sig. Palmerston? Chiamerà un tal Governo l'affermazione di Dio? Le cose son giunte a tale, che perfino i Deputati, benché abbiano interesse a velare le turpitudini dello stato presente d'Italia, tuttavia sono a quando a quando costretti a muoverne richiamo. Ecco come nella tornata degli 8 Giugno il Deputato Minervini parlava a' suoi Colleghi, r Voi dovete sapere che si sono condannati alla morte e colla fucilazione anche nelle spalle (il che è contro la legge) individui volontariamente presentati. Si sono condannati a morte i minori arrestati non nell'atto dell'azione, non in conflagrazione; si sono passali per le armi individui non punibili per brigantaggio, ma semplicemente di reati comuni, usurpando il potere alla magistratura ordinaria, senza che il Guardasigilli se ne prendesse pensiero... Si Sodo condannate per manutengolo di briganti con complicità di primo grado le mogli dei briganti ai ferri a vita, e le figlie minori dei 12 anni a 10 a 15 anni di pena.» Atti ufficiali della Camera, n. 734, pag. 2358.


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tanto bambinesca, che non si perita di manifestare quest'altra turpitudine del suo Governo: «L'Autorità superiore militare, che ha trasmesso all'orecchio dei subalterni ordini ricevuti ali' orecchio o in lingua sibillina, perché forse opposti a qualche articolo dello Statuto, o perché non ha posizione nettamente tracciata ed assolutamente legale, corrispondente all'ampiezza di questi ordini ricevuti e trasmessi, abbandona alla soddisfazione della legalità conculcala il male-avventuralo ufficiale inferiore che li ha eseguiti, il quale cade nelle unghie di un fisco spietato e ne esce malconcio nell'onore e fraudato nella carriera1.» Noi non facciamo commenti; ognuno vede come ogni parola di questa rivelazione getta infamia sopra la crudeltà, slealtà e ipocrisia d'un Governo che da ordini segreti, contrarii alla Costituzione e alle leggi, e poi abbandona gli esecutori al rigore della giustizia, quando ne vengano richiami! Ecco il Governo riparatore.

Ma per tornare a noi, qual prò di tanti soprusi, di tanti raggiri, di tante vessazioni, di tanto spendio d'uomini e di danari? La reazione armata, ossia il Brigantaggio, nonostante i tanti morti nei combattimenti e nelle fucilazioni in massa, dopo quattro anni tiene alta la testa né da mostra di voler cedere. Lo stesso Jorioz è costretto ad attestarlo: «Ottimi e talora operosissimi Generali non riuscirono né in Basilicata, né ucl Beneventano a nessun serio progresso in tre anni2.» Ora che cosa di simile può allegarsi sotto la dinastia borbonica? Allorché i Piemontesi vennero nel regno esisteva un sol brigante in tutta la vasta estensione del paese? Eppure la configurazione del suolo era la stessa; la vita cenobitica dei montanari, i costumi, la religione, la coltura e tulle le altre cose a cui ricorre il sig. Jorioz, erano le stesse. Come dunque allora di brigantaggio non v'era ombra, benché, come dice il sig. Jorioz, il popolo fosse straziato dal più scellerato dei Governi, e solo adesso che a quel Governo oppressore è sottenlrato un Governo riparatore, il Brigantaggio è sorto e giganteggia ogni dì più? Sarà forse il cattivo gusto dei paesani, che non sanno conoscere il loro meglio?


1 Pag. 150. — 2 Pag. 260.


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Sia pure; ma ciò nulla giova al proposito; giacché resta sempre vero che la cagione del brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo Governo. In somma la cagione di un fatto, che non si manifesta se non in un dato tempo, non può essere se non quella che in esso tempo è sopravvenuta, non già quella che si avverava anche prima, senza che però quel fatto apparisse. Ora tutte le cagioni, da cui il sig. Jorioz ripete il brigantaggio, si verificavano anche prima dell'invasione piemontese, e nondimeno in nessun angolo del regno era sentore di brigantaggio: e per contrario il brigantaggio si è subilo manifestato, appena l’invasione piemontese è stata compiuta. Dunque a questa e non a quelle si dee ascrivere il brigantaggio; e però la sua cagione è politica1. Ma il più bello è che lo stesso sig. Jorioz, dopo essersi tanto affaticato a negare che il brigantaggio napolitano sia d' indole politica, viene da ultimo a concederlo in termini abbastanza espressivi. Imperocché essendosi falla l'obbiezione di aver egli stesso diviso il brigantaggio napoletano in comune e politico; risponde così:


1 No! non insistiamo di vantaggio sopra questa dimostrazione, avendola ampiamente svolta, allorché confutammo un ragionamento simile a quello del sig. Jorioz, fatto dalla famosa Commissione stabilita dal Parlamento Subalpino per un'inchiesta sulle cause del Brigantaggio. Solamente a gloria degli onorevoli che componevano la detta Commissione, vogliamo qui ricordare l'elogio che ne tesse il nostro scrittore, giudice al certo non sospetto: «In queste precarie condizioni, e col ridicolo della inanità, che slava già a suggello della sua missione prima che da Torino partisse, la Commissione fece tutto quello che poteva fare nelle contingenze meschine ed eunuche in cui era posta. Mangiò copiosamente, bevette vini generosi, viaggiò principescamente, fece discorsi e brindisi a dozzine, ebbe applausi, ovazioni, luminarie e teatrali spettacoli, e poscia per non aver l'aria proprio di mangiare a tradimento il danaio pubblico, e darsi troppo buon tempo a spese dei minchioni contribuenti, sedè in consiglio e chiamò alla sua barra Generali, Prefetti, Colonelli, Consiglieri, Sindaci, Delegati, Giudici, Soldati, Guardie, Doganieri e Cationi, e da tutti estrasse a spilluzzico e con istento quel tanto che bastasse per fornire alla compilazione di un forbito ed eloquente discorso, da presentarsi al Parlamento italiano, sul risultato della sua missione e sul benefizio stragrande che ne hanno dovuto risentirne queste infelicissime Province.» Pag. 238.

 

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«Questo è vero; io divisi nell’esordio del mio studio il brigantaggio in politico ed in comune, e ciò per istradare il mio lettore a ben comprendere il genere della storia che io m'accingeva a narrare, perché si persuadesse che non tulle le bande combattono pel Re decaduto, e che quelle in principal modo della frontiera assumevano un carattere politico per le eccitazioni e gl'incoraggiamenti che ricevevano dal Seggio pontificale, e per la condizione delle persone che lo spingevano alla frontiera e le fornivano di stipendio, di vestiario, d'armi e di munizioni1.» Lasciamo stare la svergognata ed irriverente calunnia di attribuire al Seggio pontificale gl'incoraggiamenti al brigantaggio, calunnia che, dopo la solenne mentila datale da tutto il Corpo diplomatico risedente in Roma, non merita neppure d'essere confutala2; il certo è che, per esplicita confessione di esso Jorioz, il brigantaggio della frontiera ha carattere politico. Or il brigantaggio della frontiera è quello appunto, di cui egli assume di parlare, come apparisce dallo stesso titolo del suo libro; ed è quello di cui solo egli può parlare con conoscenza di causa; giacché egli fu sempre nello Stato


1 Pag. 326.

2 Nell'eccellente giornale Correspondance de Rome, che si stampa in Roma da Scrittori francesi, al numero 303 (Samedi 4 Juin) trovasi un ragionatissimo articolo contro l'impudenza del Mornìng Posi, organo del Palmerston, che scagliava la medesima calunnia contro il Governo pontificio. In esso articolo vien dimostrato, coll'irrefragabile testimonianza de’ fatti, tutto ciò che il Governo pontificio ha operato per impedire l'arruolamento di briganti sul suo territorio, come ha sequestrato armi e munizioni che ai briganti non si fornivano da Roma, ma bensì si spedivano da Londra e da Marsiglia, come ha imprigionali tutti i briganti, che ricoverarono sul suolo pontificio, quali per esempio il terribile Pilone, tuttora in carcere, il  Trocco co’ compagni, e Lo stesso Cipriano e Giona la Gala, per arrestare i quali il Pontefice ordinò l'abolizione dell'antico diritto d'asilo di Canemorto e di Conca, nella campagna romana, dove quelli s'erano rifuggiti. Ma ciò, che dovrebbe eccitare nel Mornibg Post, se avesse senso di onore, indignazione contro il Governo piemontese, si è l'arresto fatto dai Gendarmi pontificii del bandito Sarraconte, il quale, vendutosi a Torino, infestava la frontiera pontificia coll'incarico ricevuto di fingere d'aver a complico nei suoi eccessi il Governo pontificio. Il Sarraconte è nelle prigioni di Roma; e la Giustizia ha in mano le carte comprovanti il nefando trattato tra lui e gli agenti dell’onorato Governo italiano. Non sappiamo perché il sig. Jorioz tra i tanti briganti, da lui ricordati, ha passato sotto silenzio il Sarraconte e la sua banda. Forse un sentimento di pudore ne lo ha rattenuto.


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maggiore del Generale Covone, che comandava la zona militare di frontiera allo Stato pontificio. Singolar maniera di argomentare! Si nega che il brigantaggio in generale abbia carattere politico; e di queir unica parte, di cui l'argomentante può rendere testimonianza per propria esperienza, è costretto a confessare che il carattere politico c'era pur troppo. Noi non sappiamo quanto il sig. Jorioz sia valente nelle armi; ma il certo è che egli si mostra di esserlo assai poco nella logica, la quale avrebbe dovuto insegnargli, che piuttosto la contraria affermazione gli si rendeva almeno probabile; cioè che dal vedere il carattere politico nelle bande da lui conosciute ex certa scientia, poteva congetturarsi il medesimo delle altre, per cagioni se non identiche almeno consimili.

II.

Se il Brigantaggio esprima un concetto individuale

ovvero nazionale.

Cosa incredibile e pur vera! Il libro del sig. Jorioz è stato intrapreso collo scopo di diminuire nella pubblica opinione d'Europa il significalo del brigantaggio; e nondimeno tutto il libro da capo a fondo non fa che crescerne l'importanza, manifestando come generalmente le popolazioni lo favoriscono, non ostante i danni che ne ricevono e le crudeltà del Governo per contenerle. Egli racconta come l'opera delle milizie contro i briganti riesce sovente infruttuosa, perché gli abitanti non danno avviso delle loro comparse e ne tengono celale le tracce. Da ciò ripete l'ardito passaggio della banda di Borjes dall’estrema Calabria fino al confine pontificio, attraverso un intero esercito, ed eludendo la vigilanza di otto Generali, messi alla caccia dì lui. Noverando poi i diversi paesi o le diverse città, è costretto sovente a dire: Gli abitanti aiutano pressoché lutti i briganti, per esser poi da quelli alla lor volta taglieggiati 1. La popolazione è ben lungi dall'aver dimenticata la memoria del Governo passalo 2. Quivi esistono borbonici come in tutti gli altri paesi 3. È credula (la popolazione) manutengolo dei


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briganti ed ostile alla nostra causa1. Nobili e plebei, ricchi e poreri, qui tutti aspirano, meno qualche onorevole eccezione, ad una prossima ristaurazione borbonica2. Questa città (Sora) fu e sarà sempre il fomite più incandescente e il centro più attivo ed irrequieto ed agitalo di reazione3. La popolazione è Mia brigante o per affezione o per natura o per paura4. Le tendenze di tutti sono assolutamente pel vecchio regime5. Serba tuttora (il popolo di Tagliacozzo) ligia affezione, benché di nascosto, al cessato regime, e sarebbe pronto ad insorgere, se non vi fosse presidio atto a contenerlo6. Provincia (Terra di lavoro) proclive al brigantaggio7. Ma soprattutto muove a bile l'Autore il fatto della città di Fondi, che egli descrive in questo modo: «Nell'ultima elezione di graduati (nella Guardia nazionale) a cui ho assistito, si trattava di eliminare dalla milizia alcuni uffiziali, troppo noli per la loro avversione al presente stato di cose e per le loro non celate simpatie pei briganti e i loro padroni. Ebbene, malgrado gli sforzi dell'autorità e degli onesti, non solo tutti quelli, che si volevano eliminare, furono rieletti all'unanimità, ma per soprappiù, horresco referens, per nostro maggior scorno e stupore venne eletto a capitano della milizia nazionale certo Conte, fratello del famoso brigante Giuseppe, il mozzatore di leste8! »

Ciò dei popolani. Quanto al clero, egli lo annovera tulio inlero Ira i reazionarii. «Tutti i Preti sono nostri nemici... Non posso qui nominare tutti i preti nemici della nostra causa; bisognerebbe nominarli tutti o pressoché tulli, rarissime essendo le eccezioni9. Nell'Italia superiore e media è pur possibile fare un confronto tra i Sacerdoti onestamente liberali e i reazionarii; qui o inutile tentarlo, perché dei primi assolutamente non ve ne sono10.» Non basta, egli trova reazionarii anche tra le autorità municipali e nei magistrati. «L'improbità, la perfidia e i disonesti artifizii dei Municipi! non si arrestavano qui (a favorire cioè i briganti). Una guerra sorda, occulta, maligna, incessante, era diretta contro alle truppe di presidio nella maggior parte dei paesi di questa zona11.


1 Pag. 57. — 2 Pag. 84. — 3 Pag. 86. — 4 Pag. 89. — 5 Pag. 97. — 6 Pag. 162. — 1 Pag. 96. — 8 Pag. 51. — Pag. 206. —10Pag. 333. —Il Pag. 337.


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E venendo ai fatti, di cui fu testimonio, narra così: «Entravano i briganti in Civita d'Antimo, ma il Sindaco non se ne diede per inteso. Lasciò che a tutto loro agio vi si trattenessero tre ore, catturassero i fratelli Cerroni, schiamazzassero, bevessero, e vi fu chi asserì ch'egli stesso in loro compagnia bevesse. Fu aggredito Capodimele, bastava un lumicino che si mostrasse da una finestra (segnale già concertato), per avvertire la truppa che si trovava al piano e poco lungi. Ma il Sindaco non se ne curò più che tanto, e fu un contadino dei dintorni che il giorno appresso fece sapere ali' Ufficiale comandante del distaccamento, che i briganti erano entrati in paese e vi avevano derubali lutti i fucili della Guardia Nazionale. Il Sindaco di Cardilo eccitava Centrillo ad entrare in paese, per prendervi i fucili della Guardia Nazionale! I Segretarii dei Municipii facevano peggio — A Casalvieri si facevano passaporti falsi per favorire l'emigrazione degl’inscritti di Leva... A Santo Padre si favorivano apertamente i briganti, mandando loro i denari del Comune, notizie e viveri. — A Cardilo il cassiere pagava spontaneamente ducali cinquanta a Centrillo. — A San Giovanni si negavano quindici ducati per la festa nazionale, poco dopo se ne sborsavano cento a Chiavone, ed un mese più lardi se glie ne pagavano altri duecento cinquanta1»

Perfino dei doganieri afferma: «Sono le prime spie e i più attivi amici dei briganti attuali. Bisogna guardarli a vista perché non dieno le loro armi ai briganti. È indubitato però che in caso di un rovescio nostro, avressimo tutta questa feccia alle spalle e che primi sarebbero a rivolgere i loro schioppi contro di noi2.» Ma, senza andare per le lunghe, il lutto viene racchiuso in questa sentenza del nostro Autore: «Bisogna persuadersi infine che se in un sol luogo si avesse potuto rialzare la bandiera di Francesco li, la Terra di Lavoro e gli Abruzzi sarebbero andate in fiamme, perché il paese, non è d'uopo dissimularlo, è pessimo anziché no. È sempre il paese della santa Fede e dei briganti3.» Questa confessione è preziosa. Da chi essa è fatta? Da un piemontese; da un piemontese militare, che si trovava sopra luogo e di più nello Stato maggiore, anzi capo del medesimo4, e che,


1 Pag. 336. — 2 Pag. 169. — 3 Pag. 38. — 4 Pag. 10.


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atteso lo stato d'assedio, poteva conoscere e sapere addentro la condizion delle cose e il vero spirito politico degli abitanti. «Non iscrivo romanzescamente (cosi egli attesta di sé), pel bisogno di scrivere e d'inventare, ma incido ed intaglio dietro una miniera di preziosi ed irrefragabili documenti e dopo lunga esperienza sui luoghi, meditazione e severa disamina sui fatti, sugli uomini e sulle cose.» E notate che l'Autore ha per iscopo non di contrariare, ma di favorire il suo Governo. Or se egli contuttociò è costretto a confessare che, nelle province da lui conosciute, basterebbe l'apparire d'una bandiera di Francesco II, per sollevarle pienamente; non è egli manifesto che in coteste Province il vero voto del popolo è pel suo legittimo Sovrano, e che la sola forza ne comprime l'espressione? E se l'argomento ex analogia ha alcun valore, non sembrerà molto verisimile che lo stesso sia da dire delle altre Province del Regno, non esplorate dal sig. Jorioz?

Vero è che l'Autore per attenuare l'effetto di quella sua confessione, ci fa una nerissima dipintura delle popolazioni meridionali d'Italia, rappresentandocele come più che barbare, e però incapaci d'apprezzare il bene d'un Governo riparatore. «Qui (cioè nel regno di Napoli) siamo fra una popolazione, che, sebbene in Italia e nata italiana, sembra appartenere alle tribù primitive dell'Africa, ai Noueri, ai Dinkas, ai Malesi di Pulo-Penango1. Di ladri formicola questo bel paese; sono tanti, quanti sono gli abitanti senza eccezione2. Il brigantaggio è per ogni dove in queste province; esso si trova in lutti gli ambienti e su tutti i gradini della società; egli è nella natura e negl'istinti di questi popoli. È infiltrato, compenetrato, incrostalo nell'abitudini e nel carattere napoletano3.» Questi sono i complimenti che il cortese Conte invia ai popoli dello Due Sicilie, per ispiegare l'avversione che essi hanno al Governo piemontese, venuto a incivilirli nella maniera che tutti sanno. Ma il dabbenuomo non si avvede che lutto ciò non giova, ma nuoce piuttosto al suo assunto. Non giova; perché quelle sue imputazioni servirebbero a spiegare non a distruggere il fatto, dell’odio cioè che i popoli meridionali hanno del nuovo Regno,


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Serie V, vol. XI, fase. 343.    16 Giugno 1864.


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e dell'amore che serbano per la propria indipendenza sotto lo scettro del loro legittimo Principe. Sia pure che ciò provenga dall’esser essi, quanto a civiltà, Africani, Dinkas o Malesi di Pulo-Penango; la loro ferma volontà è d'esser lasciali a loro stessi; e niuno ha diritto di renderli civili per forza, imprigionandoli, rilegandoli, fucilandoli, e va dicendo. Dunque non resta altro al sig. Conte e a' suoi consorti civilizzatori che tornarsene in casa propria; ovvero recare i beneficii della loro civiltà in altre terre meglio disposte e più grate. Le genti napolitano non vogliono aver che fare con essi nec prope nec procul; esse dicono loro in buona favella: Andatevene; niuno vi ha qui chiamali, e niuno sa più tollerarvi.

Nuoce poi quella spiegazione ali' assunto del sig. Jorioz; perché serve sempre più a mettere in chiaro presso l'Europa quanto sia l'affetto e la scambievole simpatia tra i popoli settentrionali e i popoli meridionali d'Italia, e però quanto agevole impresa sia il volerli fondere insieme in unirà statuale. Fondamento dell'amore è la reciproca stima. Or quale stima abbiano i primi dei secondi lo abbiamo udito dal sig. Jorioz, come altra volta l'udimmo dal Generale Govone nel pubblico Parlamento, a proposito de’ Siciliani. Qual poi sia il contraccambio dei secondi verso i primi, chiunque ha visitato il Regno di Napoli ed ha avuto agio di parlare a fidanza co’ paesani, può esserne testimonio. Ciò, che i Milanesi fingevano dei Tedeschi, è un nulla a petto di quello che i popoli del mezzogiorno dicono dei loro conquistatori, scesi dal settentrione della Penisola. Essi li hanno in conto poco meno che di Ostrogoti e di Vandali, e non hanno molleggio o sarcasmo che loro non rovescino sul capo, mettendo in ridicolo il loro dialetto, i loro costumi, i loro modi, le loro leggi, la loro indole. Vedete dunque che delizia a fondere in uno questi due elementi, che l'un verso l'altro si furiosamente si attraggono, ed accozzare insieme queste due parti, che mostransi così bene armonizzate tra loro! Se la commedia dura più a lungo, si vedranno delle scene tutt' altro che gaie o alle a desiare l'ilarità ed il riso. Ma cessi Dio tanto disastro, e faccia nella sua misericordia che l'infelice Italia rientri nell’ordine per via di pacifico componimento.


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III.

Dei mezzi per migliorare la parie amministrativa ed economica suggeriti dall'Autore.


Pare che il sig. Jorioz, tocco da coscienza, si faccia ad assegnare alcune delle vere cagioni, per cui i popoli meridionali avversano il nuovo statoci cose: «Il 1860, egli scrive, trovò questo popolo del 1859, vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, lutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l'opposto1.» Oh che preziosa confessione è cotesta! Il governo scellerato dei Borboni, faceva sì che lutti fossero contenti; che tutti vivessero in sufficiente agiatezza: il Governo riparatore dei liberali ha prodotto l'effetto contrario! Se avessimo asserito noi un tal contrapposto, si sarebbe gridalo alla calunnia; ma chi oserà non crederlo al sig. Jorioz, il quale di tutt'altro può esser sospetto, che di spirito reazionario contro il Piemonte? Né egli si contenta di semplicemente affermare; viene alla prova dei falli, tessendo un paragone tra le cose, quali furono trovate nel 1860 e quali egli le lasciava nel 1863, dopo tre anni di Governo riparatore. Ne accenneremo soltanto alcune; chi più ne vuole, legga il libro.

Quanto alle derrate, ecco alcuni dei particolari che nota l'Autore. Le civaie nel 1860 furono trovate al prezzo di 2, 80; nel 1863 erano salile a 5, 20. Il vino fu trovato nel 1860 a 5, 60 la salma; nel 1863 era salito a 10, 00. La carne di bue vendevasi nel 1860 a grana 15 il rotolo; nel 1863 a grana 36. Una gallina costava nel 1860 grana 20, nel 1863 grana 55. E così discorrendo di tulio il resto. mostra colla irrepugnabile prova delle cifre il caro, a cui i viveri sono cresciuti. Onde giustamente conchiude che il minuto popolo è attaccalo propriamente nelle budello2.

Quanto alle imposte, osserva: «Le leggi di registro e bollo—dritto graduale — decimo di guerra, eco. ecc., hanno desolate queste popolazioni.


1 Pag. 385. — 2 Pag. 380.


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Contratti pochissimi; chi compra, profitta del bisogno di chi vende: non paga il giusto prezzo ed aggrava sulla proprietà l'aggravio imposto dalla legge. In pochi anni le proprietà si concentreranno appieno nelle mani dei ricchi, degli speculatori, degli usurai e dei manipolatori. I notai languiscono perché sono pochissimi gli affari. Molla gioventù, impiegata alle notarie, in ozio, vagabonda. Gli affari civili giudiziarii, da tanti che erano, scomparsi. I litiganti si spaventano delle gravi spese, a prescindere dalla sfiduciati-cala dalla presente magistratura: se possono, renosamente transigono; se non possono, arrestano gli affari. Gli avvocati e patrocinatori colle mani in mano, e così tante altre famiglie a terra. Tu vedi uomini di merito a languire. Spopolati gli studii di tanta gioventù che, approfittando delle cognizioni dell'avvocato, imparava e guadagnava pane. Ora licenziali e vagabondi; immersi per conseguenza nei dubbii guadagni del giuoco, in arti immorali, in vizii... Legge sulle successioni aperte. Un padre muore, la tenera famiglia resta. Un ricevitore, caldo ancora il feretro, si presenta imperterrito, rovista la casa, penetra i segreti, fa inventario, somma il valore della credila, calcola il diritto del fisco eh' egli rappresenta, e i lagrimanti figli, la derelitta vedova pagano una somma gravissima, e così viene strappala ai pupilli una parte della eredità che il genitore con privazioni, fatiche, pericoli, nel corso di molti lustri aveva creala a sostegno e decoro della sua onorata famiglia. Chi non sente stringersi il cuore al cospetto di una legge cotanto snaturala? Ma che quantità porta via il fisco, voi domandale? A questa interrogazione il popolo risponde: Ecco là la legge. Gli articoli sono brevissimi; leggeteli e fremete. Vedrete che con tre successioni nella famiglia stessa, che possono verificarsi anche in un anno, dalla agiatezza si balza alla mendicità qualunque famiglia1! »

Quanto ai mezzi d'istruzione così ne parla: «La pubblica istruzione era sino al 1839 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia. Adesso veruna cattedra scientifica. Per educare un figlio nella capitale sapete che cosa ci vuole? Eccolo qua.


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Ogni corso scientifico obbligatorio esige la dimora di 8 anni. Tale è l'organamento. Lo studente deve iscriversi ogni anno e pagare lire 410; le quali, moltiplicate per 8 danno lire 3280. Per mantenere un figlio nella capitale non potete fare a meno di lire 100 al mese, se sarà economico, sobrio, senza galanterie, e sono lire 1200 all'anno. Moltiplicate per 8, avrete lire 9600, le quali aggiunte alle spese d'iscrizione vi da una bagattella totale di 1.12, 880. Divedete per 8, avrete annue lire 1610 di esito per ogni figlio alla istruzione scientifica. Quante persone esistono nelle meridionali province, che possono sostenere questa spesa1?»

I popoli desiderano principalmente pane e giustizia. Abbiamo dato uno schizzo del come il Governo riparatore ha raggiustali i popoli meridionali in ordine al pane. Vediamo ora come li ha aggiustali in ordine alla giustizia; e ciò sempre colle testimonianze del signor Jorioz. La giustizia dipende dalla bontà delle leggi e delle persone che le applicano. Per ciò che spella alle prime, il sig. Jorioz confessa che esse non sono acconce. «Quando i falli provano che le leggi, che si mandano, non sono buone per le province meridionali; che le condizioni economiche di queste sono loto cacio diverse da quelle, e cosi le spirituali, le cordiali di abitudini, di costumanze, di tendenze ecc. ecc. , perché si danno e si fanno agire? Bisognava non toccare, non innovare, e lasciar correre tutto come esisteva ed appena appena accomodare il tanto necessario ai principii costituzionali2. »

Per ciò che spetta poi alle seconde, eccone il giudizio. Quanto ai magistrati municipali, dice: «Che posso io aggiungere per descrivere il zoppo, falso e riprovevole andamento delle amministrazioni municipali? Quando siedono nei Consigli dei Comuni uomini come quelli da me raffigurati, è ben facile ad intendere e capire come il disimpegno della cosa pubblica cammini 3.»

Quanto alla guardia di pubblica sicurezza, che pure è quella che La più da fare col popolo, dice: «Gl'individui che la compongono sono il fecciume di quanto avvi d'immorale e di perverso nelle fogne e nei postriboli di Napoli. Trapiantare in altre province il personale di cui si compone,


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sarebbe un voler ammorbare ed appestare l'Italia intiera, e riescirebbe oltremodo dannoso, atteso il delicato servizio che quelle guardie, pressoché ognora isolate, devono eseguire a difesa della morale e sicurezza pubblica1.»

Quanto agli altri funzionarii in ogni ramo d'ordine pubblico, ecco il bel quadro con cui ce li rappresenta; «Va, o lettore, va pure nelle Corti, nei Tribunali, nelle Prefetture, nei Segretariati, nelle Cancellerie, dovunque, e vedrai l'orrore della confusione, del disordine, e ti spaventerai delle innumerevoli stupidezze che assumendo il potere di ordini, provvidenze, sentenze e giudicati, colpiscono barbaramente il cittadino nelle sostanze, nella libertà, nella sicurezza, nell’onore, ccc. ecc. Esaminato poi dal lato morale e politico, là trovi cose incredibili ma vere... Trovi soggetti diffamati, vissuti co’ prodotti delle trappole nei caffè e nei lupanari, speculatori di giuoco d'azzardo. Un mio amico napoletano riconobbe, in un giudicato di mandamento, un ruffiano, che stando egli agli studii in Napoli, due volte per settimana si faceva trovare al caffè detto degli Abruzzesi, e lo portava in... Riscuoteva per tanto officio quattro carlini per volta. — Questo ruffiano reggeva giustizia!!!! Il riconoscimento cominciò a trapelarsi, il Giudice fu traslocato e promosso nell’alta Italia... Trovi camerieri di locande, suonatori, barbieri togati: trovi faccendieri sbrigliati, figli di ballerine e di meretrici; figli di servitori di corte, di camerieri di ministri, figli naturali dì Deputati e nipoti di Senatori, di speculatori di borsa ecc. ecc.2.» Tutti benefici effetti del Governo riparatore.

Quindi il Jorioz descrive quanto sia il malcontento della maggioranza dei cittadini; e basterà riferirne questo sol tratto: «La opinione della maggioranza conclude, che, per servire al pensiero del Governo diretto da Parigi, influenzato da parte sua anche dall'Austria, bisognava spregiare e calunniare le intelligenze virtuose ed allontanarle da qualunque ingerenza governativa ed amministrativa; occorreva scegliere esuli rinnegali, ambiziosi, inetti, servili e schiavi e concentrare nelle lor mani gl'interessi de’ due padroni, l'uno vero e l'altro figurato; l'uno maestro compositore e l'altro cieco esecutore: l'uno prepotente o minaccioso, l'altro osservante fedele3.»

1 Pag. 355. 2 Pag 373. —. 8 Pag. 376.


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Una tal dipintura, falla da un piemontese e da un piemontese al soldo del Governo, ha tulle le apparenze d'essere veritiera. Il sig. Jorioz, si è indotto a farla non per criticare il Governo, ma per poròo sulla via di rimediarvi. E quali sono i mezzi che egli propone? Per disgrazia due, che, in cambio di aiutare la conservazione del bealo regno, ne affretterebbero la rovina. Accenniamoli.

Per riparare al guasto degli impiegali, il Jorioz propone un pieno rinnovamento del personale. «In quanto tocca al gravissimo argomento della riforma dell'amministrazione e della magistratura, panni che i principii direttivi avrebbero ad essere i seguenti: Rifare da capo, chiamando a sindacato severo tutta l'opera de’ Governi che si succedettero dalla data del 23 Giugno sino ad ora: senonché l'opera rinnovatrice vuoisi pronta, efficace e definitiva1.» Ma il valentuomo non considera che con ciò il Governo troncherebbe i nervi a sé stesso. Imperocché il sig. Jorioz non può ignorare che la maggior parte dei preposti ai pubblici ufficii, sono appunto i partigiani e i sostenitori del nuovo ordine di cose. Essi furono sollevati dal fango in cui giacevano, e rimunerati con lucrosi ed onorifici impieghi, appunto perché o martiri della santa causa, o promotori occulti o palesi dell’annessione al Piemonte. Costoro, per conservare il posto e gli onori annessi, debbono volere e procurare il mantenimento dello stato presente e fare che si assodi in modo stabile e duraturo. Privarsi dell'opera di tali aderenti, sarebbe pel Piemonte un lucro cessante ed «n danno emergente. Un lucro cessante, perché difficilmente si troverebbero persone egualmente interessale per lui, e che siano disposto ad usar in suo vantaggio di qualsivoglia mezzo, onesto o disonesto che sia. Sarebbe poi un danno emergente; perché questi, vedendosi defraudati del premio dei loro meriti, si gitterebbero senza difficoltà al partito contrario, sulla speranza di buscarsi alcuna cosa ed afferrare novamente un impiego.

Rispetto all'altro male l'Autore non dissimula lo stato miserando delle Finanze pubbliche, e la prossima bancarotta a cui esse vanno incontro: «Che l'erario sia agli estremi non dobbiamo negarlo.

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Che dei milioni ci gravino, nemmeno possiamo negarlo. Che altri milioni già si afferrino, nemmeno possiamo negarlo. Che le rendile fisse e gravosissime dello Stato si spendano allegramente e si dissipino senza guardarci tanto pel sottile, nemmeno possiamo negarlo. Salta poi agli occhi anche dei più balordi il fallimento prossimo, pregno di malanni1.»

Per allontanare il più che puossi tanta rovina, che seco trascinerebbe nell'abisso il mal congegnato regno, raccomanda che si evitino i debiti nuovi, anzi si estinguano i già fatti. Ma per conseguire ciò, bisogna non solo mantenere sulle popolazioni i presenti aggravii, ma crescerne di molti altri, giacché l'annuo disavanzo è di circa trecento milioni di franchi. No, per amor del cielo, grida l'Autore: Non bisogna far debiti, ma pagare i già fatti; evitando gli aggravii2. Or come operare un tanto miracolo? Ecco il mezzo, che, dopo aver mollo meditalo, il Jorioz propone: «Noi abbiamo, egli dice, una strada senza pericoli per saldare i nostri debiti, per ristorare le forze dell’erario e per trovarci pronti a tutti gli eventi, alterando però tutte le insopportabili gravezze che ci desolano. E qual mai sarebbe questa strada? Eccola... Una sottoscrizione libera di tutto il popolo, da rimanere aperta sino alla estinzione di tutti i debiti3.» Il trovato è veramente meraviglioso; e appartiene a quel genere di medicina, che cura similia similibus. Esso consisto in una nuova imposta, da pagarsi perpetuamente, cioè fino all'estinzione di tutti i debiti, e da pagarsi inesorabilmente; giacché guai a quell'impiegato o anche a quel cittadino che ricusasse. Egli acquisterebbe issofatto voce di borbonico e di reazionario, e sarebbe trattato dal Governo siccome tale. Che te ne sembra, o lettore?

Senonché lo scherzo potrebbe finir male; perocché sarebbe facile che, il popolo già smunto ed oppresso per tanti altri capi, perdesse finalmente la pazienza, vedendo al danno aggiunta la beffa, e affrettasse in un modo o in un altro la caduta del beato regno. Onde anche questo rimedio, suggerito dal sig. Jorioz, non sembra applicabile.


1 Pag. 387. — 2 Pag. 390. 3 Pag. 391.


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Conchiusione.


Dal libro del sig. Jorioz risulta che le province meridionali nel 59 godevano prosperità di Finanze, leggerezza d'imposte, istruzione gratuita e accessibile a tutti, agiatezza pei bisogni materiali, sicché il popolo vivea contento. Tulio ciò per effetto del più scellerato dei Governi. A questo Governo, così scellerato, che faceva viver bene e contento il popolo, è sottentrato un Governo riparatore; il quale, per riparare a quei mali, ha sciupale le Finanze, ha gravalo i cittadini d importabili balzelli, ha resa scarsa e costosissima l'istruzione, ha ammiserito le famiglie facendo crescere più del doppio il prezzo dei viveri; e per soprassello ha sottoposto il paese alle angherie d'ogni genere d'una ciurmaglia d'impiegati, tali, da disgradare al confronto ogni più vii mascalzone. I popoli meridionali, essendo barbari al modo dei Malesi di Pulo-Penango, e però non intendendo la preziosità di tali riparazioni, avversano il nuovo staio di cose, e danno mano ai briganti. Onde il Governo riparatore è costretto a riparare anche a quest’altro male colla giunta degli stati d'assedio, delle deportazioni, degl'imprigionamenti, delle fucilazioni, del dispotismo militare. Non ostante queste bellissime cose, il popolo napoletano, ostinato nella sua barbarie, persiste a volere il suo legittimo principe; e basterebbe che la bandiera di Francesco secondo s'inalberasse in un sol luogo, a far si che tutti la seguitassero. Questa, a trarne il sugo, è la sostanza del libro del sig. Jorioz; il quale per ultima panacea vorrebbe che a questo popolo fosse imposta un' altra contribuzione sullo forma di oblazione spontanea.

Non polca la mal consigliala difesa riuscire a un' accusa più sarcastica e acerba contro il nuovo ordine di cose in Italia. Ciò fu agevolmente inteso dai liberali e dal loro Governo. Onde il libro del sig. Jorioz, in cambio di accattar lode, venne fieramente censurato dai giornali del partilo e dai Deputati in pubblico Parlamento, e il Jorioz, invece di promozione, come egli forse s'imprometteva, fu quasi destituito coli' esser posto, come dicono, alla seconda classe. Novello esempio del come i Governi liberaleschi amano d'essere illuminali sulle calamità dei popoli, e comportano la libertà di discussione, quand' essa per la caparbietà invincibile del vero torna a manifestazione delle loro vergogne.
















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