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Ringraziamo Antonio Pagano, Direttore del periodico Due Sicilie, per averci autorizzato a pubblicare la sua risposta alla lettera dell'autore di un testo in cui si nega la gravità delle stragi piemontesi nel Sud.

Webm@ster - 18 novembre 2005
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Fonte:
Periodico DueSicilie - Numero 06 2005

Le stragi di Pontelandolfo e Casalduni


Egregio Direttore, certamente, sono un convinto ed appassionato sostenitore dell'Italia unita, lo sono, così come lo sono stati i miei antenati. Ma sono amante, soprattutto di quella storia che è fatta di verità, di documenti, di nomi e di fatti precisi e concreti, e che non può essere né confusa con l'ideologia (quanto spesso faziosa!), né con i 'sembra', i 'si dice', e con le parole e le affermazioni non confortate da documenti.

Tanto premesso, proprio per amore della storia, il che vuol dire della verità, sento il dovere di confutare le sue affermazioni contenute nell'articolo «Ricordiamo le stragi di Pontelandolfo e Casalduni del 14 agosto 1861», pubblicato nel periodico Due Sicilie del 28.8.05.

Nel mio libro «Storia dei fatti di Pontelandolfo e Casalduni», giunto alla terza edizione, ho chiarito una volta per sempre, con la dovuta documentazione e quindi in maniera inconfutabile, quanto veramente avvenne a Pontelandolfo e Casalduni nei maledetti quindici giorni dell'agosto 1861.

L'undici agosto 1861 furono trucidati ben 45 soldati italiani (uno a Pontelandolfo dai briganti reazionari filoborbonici; due o tre alle contrade Minicariello e Cerquelle di Pontelandolfo dai briganti di Pontelandolfo e Casalduni; ed i restanti, fatti prigionieri dagli anzidetti, furono poi trucidati a Casalduni dai briganti di quel paese, comandati dal famigerato Pica per ordine del sindaco Luigi Orsini).

Di questa strage compiuta dai briganti filoborbonici Lei tace nel suo articolo, mettendo invece in luce, e non nelle sue reali proporzioni, la reazione dell'esercito italiano. La storia, egregio direttore, procede obbedendo ad un rigido e logico rapporto di cause ed effetti: e, perciò, non significa fare opera di storico parlare degli effetti soltanto, trascurando le cause.

Comunque, le vittime tra gli abitanti di Pontelandolfo e Casalduni (vittime certamente innocenti, in quanto non colpevoli di responsabilità personale, ed alle quali va senz'altro il riconoscimento di martiri) furono quindici: tredici a Pontelandolfo e due a Casalduni, e non «oltre mille», come Lei dice nel suo articolo, ispirato unicamente da passione di parte.

Voglio ancora precisare che nessun prete figura tra gli uccisi, come Lei, per rendere più patetico il quadro, ha detto, seguendo il ben noto cliché dell'informazione mediatica contemporanea.

Questo, egregio direttore, sentivo il dovere di precisare: non solo per confutare la faziosa propaganda secessionistica che avvelena oggi il clima politico italiano, ma soprattutto per amore della verità e della Storia. Voglia gradire l'omaggio del mio libro sull'argomento in discussione.

Gr. Uff. Dott. Ferdinando Melchiorre Pulzella, Benevento 

 

 

Egregio Gr. Uff. Dottore, Il Regno delle Due Sicilie ha perso l'indipendenza a causa dei traditori che han venduto il loro Paese allo straniero.

Lei afferma, soprattutto nel libro che ci ha omaggiato, che il suo avolo sindaco "oltre ad essere liberale, faceva finanche parte del Comitato Liberale Unitario di Pontelandolfo, del quale era stato il promotore", questo già nel 1859, quando il Re Francesco II si affannava a difendere il Reame dalle brame savojarde.

Dunque il Suo avolo, per il suo ruolo e per la carica rivestita - oggettivamente parlando - era un traditore al pari di Liborio Romano. Se, cittadino piemontese, il Suo arcavolo si fosse solamente azzardato a farlo in Piemonte, sarebbe finito sulla forca.

Dante, se l'avesse conosciuto, l'avrebbe sbattuto nell'Inferno, così come ha fatto per Buoso di Duera, traditore del Re Manfredi.

Per molto meno, per averlo solo pensato, nel regno sardo il Garibaldi e il Mazzini erano stati condannati a morte. Né oggi le cose sono diverse: ovunque nel mondo, per i traditori, si profila lo spettro della forca. Al suo avolo è andata bene, così Lei può cantarne il peana, invece che vergognarsene.

Complimenti. I Duosiciliani morti dal 1860 per oltre un decennio per mano delle canaglie subalpine e dei traditori nostrani attendono dunque ancora giustizia - non i socii del Suo antenato, da Lei definiti "innocenti", ai quali va tuttavia la nostra pietà, dato che in parecchi la giustizia la conobbero per mano dei da Lei vituperati "briganti".

La invitiamo per un solo istante a considerare le conseguenze di quell'epocale tradimento: rapina della flotta e delle ricchezze auree, perdita del baricentro economico con conseguente fuga degli investitori stranieri da allora mai più ritornati, diaspora senza fine del popolo duosiciliano, la vergogna di dover adoperare da 145 anni una moneta straniera per i commerci (la Banca d'Italia è una succursale delle banche del nord)., con la connivenza dei cosiddetti "galantuomini", traditori, ripetiamo, del loro popolo, quel popolo che avevano già tradito nel 1799, per il loro tornaconto di biechi latifondisti.

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La invitiamo per un solo istante a considerare le conseguenze di quell'epocale tradimento: rapina della flotta e delle ricchezze auree, perdita del baricentro economico con conseguente fuga degli investitori stranieri da allora mai più ritornati, diaspora senza fine del popolo duosiciliano, la vergogna di dover adoperare da 145 anni una moneta straniera per i commerci (la Banca d'Italia è una succursale delle banche del nord)., con la connivenza dei cosiddetti "galantuomini", traditori, ripetiamo, del loro popolo, quel popolo che avevano già tradito nel 1799, per il loro tornaconto di biechi latifondisti.

Lei si dichiara convinto sostenitore dell'Italia unita, non si accorge di essere stato ingannato (se è in buona fede) come lo sono stati tanti nel 1860, i quali troppo tardi si accorsero del grande inganno ordito dal sinedrio savojardo, che, con le rapine a mano armata al Sud, si è creato il cosiddetto triangolo industriale. Ma la rapina, cara Lei, non terminò allora con l'espropriazione del tesoro delle Due Sicilie e con la vendita delle terre demaniali ed ecclesiastiche, oggi continua più di allora, pensi, per esempio, a quanto denaro fluisce annualmente dal Sud al Nord solamente per effetto dell'assicurazione obbligatoria sugli autoveicoli (circa quindicimila miliardi di vecchie lire ogni anno), pensi ai supermercati pieni di prodotti allogeni. Effetti nefasti di quel tradimento.

Come possono in tali condizioni formarsi i capitali occorrenti per un decollo industriale? Occorrerebbe che i Duosiciliani di oggi comprassero maniacalmente solo prodotti del Sud. È un invito che rivolgiamo anche a Lei.

Veniamo al Suo libro su Pontelandolfo. Lei afferma di aver chiarito "una volta per sempre" i fatti che vi si svolsero in quel fatale 1861.

Dunque se altri portassero elementi confutatorii delle Sue affermazioni potrebbero, secondo il Suo punto di vista, essere accusati di mendacio, in palese contraddizione con quanto Lei, pro domo sua, afferma nella presentazione del Suo libro: "sono d'accordo con i revisionisti, quando sostengono che il giudizio storico non può considerarsi cristallizzato e codificato per sempre".

E Lei ha fatto il revisionista. Per noi la Sua ricerca è solamente un tassello della storia di Pontelandolfo. Quanto poi il tassello sia sincero e veritiero, questo è da vedersi. Lei afferma, secondo le risultanze delle Sue ricerche (che noi non biasimiamo affatto), essere stati gli uccisi dai piemontesi (non "italiani", come afferma Lei; l'esercito "italiano" era ancora di là da venire) solamente 13 a Pontelandolfo e 2 a Casalduni contro i 46 (non 45, cfr. Molfese) dell'esercito invasore.

Ci consenta al riguardo una piccola considerazione. Sembra che all'epoca gli abitanti del paese fossero circa 4500. Il battaglione di piemontesi arriva a Pontelandolfo per vendicare i 46 uccisi dai "briganti". Secondo le regole, scritte o non scritte della rappresaglia, i sicarî del Cialdini avrebbero dovuto  accoppare almeno 460 persone, invece si accontentano di ammazzarne, secondo Lei, solamente 13, dopodichè il comandante di quegli "italiani", sazio della piccola mattanza e disgustato di se stesso, contravviene, bontà sua, agli ordini ricevuti e griderebbe: "Pontelandolfesi, la nostra sete di vendetta è placata, venite fuori con tutta sicurezza, non temete, siamo vostri fratelli, non vi faremo più niente, state tranquilli, dobbiamo solamente bruciare le vostre case". Ma ci faccia il piacere, direbbe l'indimenticabile Totò.

Il Molfese afferma essere stati deportati circa 400 Pontelandolfesi, evidentemente i rastrellati dopo la rappresaglia e sfuggiti alla mattanza. Ci dica allora che fine fecero gli altri circa 4000 abitanti della cittadina.

Noi le rispondiamo con le parole contenute in una lettera di Francesco II in data 15 dicembre 1861 al Cardinale Riario Sforza Arcivescovo di Napoli una settimana dopo il terremoto che aveva colpito Torre del Greco (8 dicembre): "Torre del Greco rassomiglia a Pontelandolfo e Casalduni; meno misera sol perché non può rigettare su gli uomini l'atrocità della sua ruina", dove la parola atrocità, ponga mente, non può riferirsi alle case crollate, bensì all'umanità derelitta perita in quel tragico giorno.

Ascolti ancora: «A Pontelandolfo - scrive P. K. O' Clary in La Rivoluzione Italiana, ediz. Ares, anno 2000, pag. 518 - trenta donne che si erano rifugiate intorno alla croce eretta sulla piazza del mercato, nella speranza di trovarvi scampo agli oltraggi e alla morte, furono tutte uccise a colpi di baionetta. Propaganda borbonica?

No, perché ce ne fa fede il liberale Ferrari, il quale denunciò l'episodio a Torino, e sulla cui testimonianza Mr Cavendish Bentinck parlò alla Camera dei Comuni.

Questo, però, era soltanto un segmento del vasto quadro di orrori e di massacri». A Lei non è venuto il sospetto che i documenti da Lei compulsati relativi ai fatti di Pontelandolfo siano stati bellamente falsificati in illo tempore? Badi che tale pratica è stata ed è ancora molto comune, soprattutto quando si tratta di cadaveri di Stato.

lapide

No, perché ce ne fa fede il liberale Ferrari, il quale denunciò l'episodio a Torino, e sulla cui testimonianza Mr Cavendish Bentinck parlò alla CameraAnzi, aggiungiamo, talvolta se ne è servita persino la Chiesa, pensi per esempio al falso della famosa donazione di Costantino. dei Comuni.

Questo, però, era soltanto un segmento del vasto quadro di orrori e di massacri». A Lei non è venuto il sospetto che i documenti da Lei compulsati relativi ai fatti di Pontelandolfo siano stati bellamente falsificati in illo tempore? Badi che tale pratica è stata ed è ancora molto comune, soprattutto quando si tratta di cadaveri di Stato.

Anzi, aggiungiamo, talvolta se ne è servita persino la Chiesa, pensi per esempio al falso della famosa donazione di Costantino.

 

Ma noi, leggendo nel Suo libro i nomi delle persone commemorate sulla lapide di Pontelandolfo, abbiamo scoperto la malizia di chi ha fatto apporre la lapide, malizia che a Lei, noi lo speriamo, è forse sfuggita: si tratta, con tutta evidenza, delle vittime perite per mano di "fuoco amico", come dicono talvolta gli americani impegnati sul fronte irakeno, cioè di liberali, come i Rinaldi, uccisi dai piemontesi durante la consumazione della loro vendetta e che potevano essere accomunati, da chi ordinò la lapide, solamente con altri della stessa fazione. Dunque la lapide commemora solamente le vittime di una parte sola, le uniche degne di essere ricordate.

Non per questo vien meno la nostra pietà. Ma ricordando solamente i tredici, e non tutti gli altri periti nella rappresaglia, che liberali non erano, chi ha negato loro persino il ricordo presso i posteri li ha uccisi una seconda volta.

Questa nostra affermazione dovrebbe portarla a guardare con più attenzione al lavoro di D. F. Panella, che Lei pur cita, e ai dati del De Witt, e, se poi Le si aprono gli occhi, anche a quanto riferiscono gli storici della parte non liberale.

I savoiardi, per piegare la volontà di indipendenza del popolo duosiciliano, compirono nefandezze furibonde che forse solo il terrore hitleriano o staliniano o Pol Pot hanno superato: Scurcola Marsicana, Tagliacozzo, Catania, Montefalcione etc. Morti a migliaia e deportazioni. Nell'ultima località (Montefalcione) i fucilati furono 139 in un sol giorno (cfr. Molfese), eppure nessuna località delle Due Sicilie è diventata simbolo - come ad esempio Coventry per gli inglesi, Dresda per i tedeschi, Hiroshima e Nagasaki per i giapponesi - simbolo dell'efferatezza savojarda se non Pontelandolfo e Casalduni, segno questo che l'eccidio aveva superato perfino quelli del famigerato Manhès durante l'invasione napoleonica.

Questo fatto non Le fa sorgere qualche dubbio sulla Sua ricostruzione dei fatti? Circa il rapporto di causa ed effetti, il suo discorso è intenzionalmente paralogico, Lei "dimentica" la causa delle cause, la causa prima, come direbbero i filosofi scolastici medievali: cioè l'invasione piemontese a tenaglia, da sud col nizzardone e da nord col savojone, invasione favorita, ripetiamo, dai traditori nostrani.

Circa i preti, si ricordi che i primi ad essere uccisi erano proprio questi. Veda, alla caduta di Civitella del Tronto, la fucilazione di padre Zilli da Campotosto, secondo gli usuali ordini del criminale di guerra Cialdini: "uccidete prima i preti". E veda sopra quanto scrisse il soldato piemontese Marcolfi sui fatti di Pontelandolfo. Continui a leggerci, forse rinsavirà.

Antonio Pagano

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Periodico DueSicilie - Numero 06 2005


due sicilie  6 2005


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