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Riportiamo l'editoriale del 5 novembre 1861 del giornale napoletano L'OMNIBUS, dedicato al generale Lamarmora.

Da questo editoriale come da altri articoli di altri giornali del tempo - non certamente di taglio borbonico bensì apertamente schierati per l'Italia Una -, si evince che la percezione di cosa stesse accadendo era chiarissima: una capitale ridotta a "Villaggio", una repressione feroce del brigantaggio, nessuna opera di governo serio delle provincie napoletane.

Non ci stancheremo mai di sottolineare la responsabilità storica e morale di questi meridionali che vedevano il proprio paese andare in malora ed in nome dell'Italia Una non fecero nulla per opporsi, se non chiacchiere da salotto.

L'unica vera opposizione "politica" venne fatta dai contadini e dai soldati sbandati che andarono ad ingrossare le bande dei "briganti".

Uno scontro che andò incontro alla sconfitta perchè le classi abbienti meridionali (ovviamente includiamo in esse anche e soprattutto quelle filoborboniche) non vollero o non seppero utilizzare sul piano politico quella enorme forza di pressione e aiutarono l'esercito italiano a prendere il controllo del territorio. Senza nulla avere in cambio, se non miserabili avanzi alla mensa del padrone.

Buona lettura e tornate a trovarci.

Webm@ster - 26 agosto 2006
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L’OMNIBUS

GIORNALE POLITICO LETTERARIO
 
NAPOLI,
5 Novembre 1861

Il Generale Lamarmora - L’Omnibus, Napoli 5 novembre 1861

NAPOLI, 5 Novembre 1861

IL GENERALE LAMARMORA

Noi non siamo uomini fatti per dar consiglio a tanto Generale: ma comechè noi vecchi, ed egli nuovo del paese, osiamo non già dargli consigli, ma dire la franca parola degli onesti, quella suggerita più da conoscenza locale e pratica, che da dottrina e presunzione.

Nell’abolirsi in Napoli una gran forma governativa, la Luogotenenza, il Gabinetto di Torino vide il bisogno di supplirvi con un gran nome italiano, il Generale Lamarmora, che con Francia ed Inghilterra sostenne la gloria italiana ed abbatté la Russa presunzione, il Generale Lamarmora d'illustre famiglia militare, e generoso e leale militare per cuore e per mente, non disse male quando pronunziò quelle parole: è anche una virtù obbedire. Egli nell'animo suo non ha potuto con quella frase non significare ch'è dovere l'obbedire non al Governo, ma alla Patria, appunto quanto crescono i suoi bisogni, e s’ingrandiscono i suoi pericoli. Ed egli lo disse chiaramente nel suo programma quando dichiarò che l’amor di patria è il supremo di ogni dovere.

Il suo sacrificio è tanto più degno di considerazione quando si ricorda ch'egli, non minore ad alcuno nè per nome, né per grado, né per gloria militare, il primo novembre a supplire un Cialdini nel governo di una sola provincia, quando costui il 31 ottobre lasciava questo paese come potentissimo Luogotenente di tutto l’ex-regno e con alter-ego. Egli conobbe tanto la posizione che non la nasconde nel suo modesto programma; ed è perciò che tutta la stampa onesta, e noi con essa, dobbiamo corrispondere a tanta generosità con leali e generosi consigli.

Si dice che Lamarmora è un uomo fermo ed intransibibile: un uomo che non conosce partiti ma che neppure propende a conciliazione. Noi però abbiamo tanta fiducia nella sua virtù che se quest’ultima parte è vera, sarà prima norma di salvezza ammettere la CONCILIAZIONE.

E’ vero che egli amministrando una sola provincia non può adottare il principio di conciliazione con vaste vedute; ma è pur vero allora che questa sarebbe una provincia modello sulle altre; ed è giusto che l’antica Capitale, fatta Villaggio, conservi almeno il suo primato di gloria, e sia di esempio a tulle le altre.

La CONCILIAZIONE fu disprezzata da tutte le Luogotenenze fino a Cialdini, e con nota premeditazione dappoiché legioni intere di uomini venuti da Torino, nostri e non nostri, col santo dato e con disegno anticipatamente stabilito destituirono tutti cacciarono tutti, tutti infamarono, calpestando ecclesiastici e regolari, e si assisero essi reggitori e numi.

Al bisogno di pane si rispose con la dottrina: alla necessità di lavoro con la scienza economica; alla esigenza dell’ordine con leggi e decreti; alla mancanza di denaro con devastazione, e quindi ai latrocinii ed al brigantaggio con meritate fucilazioni.

Dove si versò il sangue, dove gavazzarono le rapine e gl’incendi e il Clero con arti subdole cominciò sdegnato a rivoltare tutte le coscienze, la salvezza della patria si rese difficile, e dubbia per un momento la stessa unità d’Italia.

I nostri assassini adunque, i nostri pubblici malfattori, i nostri nemici pagati non furon tanto Francesco II, i briganti e l’Austria, quanto l’indegna consorteria sotto Farini, sotto Nigra, ed un poco ancora sotto il buon S. Martino. Cialdini la vide chiaramente, l'abolì, la represse, ed alle stragi ed alle morti del brigantaggio oppose, per necessità, morte e strage.

Poco poté fare per l’amministrazione, perché quasi tutta essa dipendeva dal governo centrale: ma l’amministrazione stessa si riordinava quando l'ordine veniva a ricomporsi; perché gli uomini fanno da sé pel loro maglio, ed avviano essi i loro negozii, senza aspettar leggi e decreti.

In questo stato di cose è più facile al generale Lamarmora usare la conciliazione, propugnando col suo bel nome, se non può colla sua autorità, verso il Governo centrale i seguenti capi di nostri antichi bisogni:

Primo: cessare dal sangue per quanto è possibile, ed uccidere il brigantaggio col dar lavoro al basso popolo, e più ai campagnuoli. Questi non conoscono alcun Sovrano, ma conoscono il pane che veggon mancare ai loro figli ed a fronte della viva fame si darebbero non solo al borbone, ma anche al diavolo.

Secondo: il Clero, che si mostrò sì perverso da pochi mesi a questa parte non fu tale al principio della rivoluzione e della libertà. Allora, lo diremo chiaramente in faccia a tutti, esso aspettava una chiamata, un invito, una iniziativa dai nuovi governanti: ma invece i dottoroni, venuti da Torino, lo proclamarono tutto infame, reazionario, tutto sovversivo, tutto feroce nemico di libertà, e lo destituirono, lo perseguitarono, lo spogliarono di tutto. Allora tre altri (Francesco II, Antonelli ed Austria) lo invitarono e pagarono bene, ed il Clero cominciò a predicare contro Italia e le sue libertà. Quei dottoroni intanto, non solo gavazzano tra soldi di ritiro, ma i più rappresentano la Nazione al Parlamento, e seguitano a cospirare contro tutti coloro che non sono essi e i loro amici.

Terzo: né in tanta rottura di concordia il caso è disperato. Non pochi del Clero si conservano tuttavia o indifferenti o liberali. Ebbene, signor Lamarmora, invitate e premiate questi: che questi con una casuccia e 12 scanni aprano scuole ai bambini poveri: che questi predichino ai popoli i vantaggi della liberti e dell'Italia, una e forte: che questi seggano nel confessionale del subdolo Gesuita, o del monaco lascivo, ed infondano nelle piccole menti del popolo l’abborrimento delle tirannie passate, delle torture sofferte, e la grandezza dei diritti dell’uomo.

 Quarto: sia sollecito il Generale Lamarmora a consolare le migliaia di desolale famiglie, cui si destituirono senta ragione i loro capi impiegati, o la sola ragione che i dottori di Tonno dovevano prender tutto. Metta fine con gagliardia militare a quelle vigliacche derisioni, che si chiamarono scrutinii, i quali si risolsero a nulla fare che a conservare gl’intrusi. Distrugga quella frode che si fa alla patria di tanti impiegati al ritiro per meriti ignoti o di amicizia, quando i nuovi nulla sanno fare, ed il vecchio onesto stende la mano al viandante.

Quinto: non oda in tutte queste branche le promesse del Municipio. Nulla fece e nulla farà esso, o fece soltanto il debito per lasciarlo ingoiare da ingordi appaltatori. Di 17 e 20 e 50 grandi opere, a nulla si pone mano, e l'inverno ci è sopra come voragine tremenda di fame e di gelo.

Sesto: Non oda quei caritatevoli affannosi che gli vanno a parlare all'orecchio, calunniando questo o quello, come tentarono di fare con Cialdini; ma tutto vegga e tocchi egli con mano, di tutti diffidi, ed ammetta solo le prove della giustizia e della probità terribile arma è la calunnia in questo paese, perché per un secolo il Governo passato non udiva e non premiava che la denuncia!

Settimo: Tutto dunque riepilogando, chiudiamo in queste le nostre fervorose preghiere: conciliazione fra tutti i partiti, incoraggiare il buon prete da cui dipende la coscienza, reintegrare l'onesto impiegato, energicamente attivare xxxxxx xxxx e con ciò ordine e pace, e promuovere efficacemente la Pubblica Istruzione.

Ottavo: Di tutto ciò sulla si fa mai in questo paese, perché le più belle teorie mancano di esecuzione, il perché non appena emanata una disposizione si dovrebbe aprire un registro a lettere cubitali, ed ogni giorno scorrerlo per insistere che fosse attuata ed esser severo con premii e pene, ad evitare altre promesse e burle a questo miserissimo popolo.

Egli, che è famoso organizzatore, Egli cui non isfugge il minimo dettaglio, egli solo, il Generale Lamarmora, può metter fine alla peste della indole nostra, cioè alla nessuna esecuzione in tutto.

Se la sua giurisdizione è assai circoscritta, le sue braccia assai ligate , nessun Governo al mondo può ligare la sua mente ed il suo cuore... E con ciò abbiam detto tutto!


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Articoli tratti da giornali pubblicati a Napoli tra il 1860 e il 1861








 









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