Assistiamo in questi giorni di scontri elettorali a polemiche a distanza consumate fra gruppi identitari di varia estrazione ideologica. Ci è capitato di leggere frasi di cui riportiamo un campionario esemplificativo che, sinceramente, non comprendiamo e che per quel che possa valere la nostra modesta opinione stigmatizziamo in quanto la regola d’oro dovrebbe essere “non mettere i bastoni fra le ruote” a ciò che fanno gli altri e a perseguire obiettivi comuni. Nel senso che non è necessario condividere talune scelte e le si po’ criticare garbatamente senza fra ricorso a vecchi armamentari ideologici che in un movimento identitario non si capisce a chi possano giovare se non ai nostri avversari.
Chi parla di “comunismo” e “giustizialismo” per disconoscere la portata di questa vittoria, non fa altro che fare confusione e portare acqua al mulino dei Berlusconi e dei Tremonti, di quelli che negli ultimi anni hanno accentuato ancor di più il divario tra Nord e Sud con il governo più antimeridionale della storia dai tempi di Cavour. |
Abbiamo finalmente sdoganato il meridionalismo, per la prima volta presentatosi non appiattito sulle posizioni di destra, reazionarie, ultracattoliche e “nostalgiche” che ci hanno fatto rinchiudere per anni nel mondo e del ghetto del “folkloristico”. |
…qualche “altro”, ritenendosi furbo e ben dotato, si è lanciato all’arrembaggio della sconquassata zattera partitica, facendo a gomitate con chi ben altri giochi è abituato a fare e su ben altri appoggi può contare. Un film già visto dal finale scontato. |
inutile vantarsi addirittura di queste percentuali (“ripartiamo da qui”: da dove? Da 15 voti?) |
Questa recente presa di posizione politica ha determinato la definitiva demarcazione tra Neomeridionalismo e Meridionalismo, dove i primi da 20 anni stanno tracciando una via nuova che, alla fine, consenta di riannodare il filo politico e culturale tranciato 150 anni fa ed i secondi continuano a percorrere la strada già tracciata da chi finora ha solo fallito. Il altri termini: i Neoborbonici, caratterizzati da “nostalgie arcaiche, "tradizionaliste", monarchiche e ultrareazionarie” rappresentano il nuovo; il PDS meridionalista e comunista, il vecchio. |
Se qualcosa abbiamo imparato dallo studio degli anni a cavallo del tracollo del regno nel 1860 è che i nostri nemici vinsero non perché fossero più forti bensì perché noi eravamo divisi.
Vi erano uomini di buona volontà sia nelle fila dei liberali che in quelle borboniche ma furono accantonati e messi da parte. Prevalsero i peggiori, quelli che parteggiavano per la casa sabauda da una parte e quelli che non volevano manco discutere di innovazioni dall’altra.
Si decise di metterci una pezza nel momento peggiore, nel giugno 1860 – a sbarco dei Mille avvenuto con la Sicilia ormai nelle mani di avventurieri e massoni – e si ripristinò una costituzione che aprì le galere (1) e ci precipitò nel baratro.
Il risultato di tutto ciò e dello scontro fratricida che ne seguì è davanti agli occhi di tutti, 150 di miseria e di emigrazione.
Per consolarci dei nostri errori e delle nostre divisioni ce la prendiamo con i piemontesi. Cosa avrebbero potuto fare 120mila uomini di un esercito, seppur agguerrito, contro 9 milioni di persone? Nulla. Se fossimo stati compatti e non ci fosse stata da una parte una schiera di collaborazionisti e dall’altra una schiera di gente incapace di mediare e di comprendere il nuovo che avanzava.
Oggi, dopo centocinquant’anni, grazie a decenni di lavoro incessante di poche centinaia di “nostalgici” di varia estrazione politica e alla disponibilità di potenti strumenti di comunicazione a buon mercato stiamo risalendo la china. Si son formati vari gruppi identitari, alcuni sono per tentare la via politica (il Partito del Sud lo sta facendo, chi vi scrive condivide questa scelta anche se avrebbe preferito la nascita di una coalizione identitaria e non un apparentamento) e altri non vi pongono alcuna fiducia (indipendentisti-separatisti), altri ancora ritengono che i tempi non siano maturi e che occorra ancora lavorare affinché si diffonda la coscienza identitaria (neoborbonici).
Dovremmo cercare i punti di contatto, valorizzare ciò che ci unisce, fare qualcosa in comune, pur nella differenza delle posizioni di ognuno. Invece, come mostrano le frasi riportate siamo gli uni contro gli altri armati, ci accusiamo a vicenda e pretendiamo di essere i detentori di una verità rivelata e assoluta.
Non pochi autori di parte borbonica (2) stigmatizzarono nei loro scritti il ruolo deleterio di quella che identificavano come la camarilla sanfedista che avrebbe impedito al giovane Re Francesco II di fare le scelte giuste e troviamo scrittori di parte liberale (3) che si scagliano contro la consorteria degli esuli rientrati in patria che consegnano il proprio paese senza contropartite nelle mani sabaude. Si sarebbe dovuto dare ascolto a chi voleva mediare invece che a chi rifiutava il dialogo.
Non commettiamo oggi gli stessi errori di allora, impariamo a fare squadra e a difendere e a promuovere gli interessi delle ex-provincie napolitane.
Gli amici del Partito del Sud non dimentichino mai uno dei loro cavalli di battaglia che più ci piace: “destra e sinistra per noi sono solo indicazioni stradali”. Non si facciano intrappolare nell’antiberlusconismo dilagante. E se guardiamo indietro uno dei peggiori governi per Napoli e soprattutto per la Sicilia non fu quello di Cavour (vero che non ci fu soluzione di continuità nell’opera distruttiva dei governi dittatoriali e luogotenenziali, ma è anche vero che il tessitore morì nel giugno 1861) ma quello di Francesco Crispi, il primo presidente del consiglio italiano a riutilizzare l’esercito per la repressione nelle provincie meridionali (Fasci Siciliani) dopo le stragi perpetrate con la emanazione della Legge Pica contro il “brigantaggio”.
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