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STORIA
DEGLI
ULTIMI FATTI DI NAPOLI
FINO A TUTTO IL 15 MAGGIO 1848
DIVISA IN TRE PARTI
INTRODUZIONE-RIVOLUZIONE-DOCUMENTI
PER

F. M.
SECONDA EDIZIONE

ITALIA
1849
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PARTE TERZA

DOCUMENTI


(1) Pag. 7. — Rapporto dell'I. R. Tenente Colonnello Barone Wobert diretto in data di Cosenza 3 marzo 1823 a S. E. ilsig. Generale in Capo Barone di Frimont Principe di Antrodoco.

Umanità, dovere, e prudenza mi comandano di rappresentare a V. E. che il bisogno di un rimedio efficace per la malattia consentiva di questa Provincia diviene ogni giorno più urgente.

Ogni ora giungono delle notizie da Rogliano, le quali annunziano nuove invenzioni del furore dell'Intendente; se la mela soltanto si verifica, De Mattheis è maturo per la casa de’ Pazzi. —

Gli orrori, che dietro tali rapporti si commettono contro i sospetti, e testimoni oltrepassano ogni idea umana;


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e se questi racconti non debbono riputarsi favole, noi siamo retroposti ne' secoli di barbarie, in cui un Autodafé fu riputato il più santo olocausto pel Salvatore del Mondo.

La distanza da Rogliano, ove l'Intendente ha piantato la fabbrica della sua giustizia, mi rende impossibile di convincermi personalmente della verità, e di mettere argine al furore di partito di quest'uomo, mediante delle rimostranze posate 0 serie, dietro le istruzioni di V. E.

Non vi ha che una sola voce a Cosenza, e ne' contorni. Nobili, cittadini, Sacerdoti, impiegati alti e bassi sono occupati a raccontare quei fatti, ed io rendo presentemente a V. E. l'eco della voce del Popolo.

Vecchi, donne, ragazzi ritenuti come ostaggi pe' loro parenti fuggiaschi, son duramente maltrattati, e battuti senz'alcun riguardo; delle bastonate sulle piante de’ piedi non sono rare come si dice.

I torchi de’ pollici si applicano in una maniera diabolica. Un pollice ed un gran dito del piede vengono messi assieme sotto il torchio, e l'uomo rannicchiato in tal modo è spinto avanti con un calcio, al quale giuoco le guardie di corpo del Rappresentante ed i Ministri della giustizia si divertono assai.



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Uno degli armigeri di nome Martinez fu mosso da pietà da' lamenti di un prete che giaceva tutta la notte in quella tortura a rallentargli le viti troppo compresse; nella mattina seguente egli fu eliminato e cacciato. Questi va ora liberamente attorno a Cosenza, e racconta molto, forse anche ciò che non è vero.

Altri furono spogliati nudi, di notte tempo, incatenati in croce alle mani, ed a' piedi, ed esposti sullo il cielo aperto al gelo, ed alle intemperie. Perfino a' dritti dell'ospitalità, che sono però sacri alle più selvagge orde, si mettono in beffa da quest'uomo. Egli è alloggiato presso il Sig. Morelli primo Cittadino di Rogliano, e viene lautamente trattato. La padrona di casa si sgomentò de’ gridi e lamenti delle persone martirizzate sotto il di lei tetto, e cadde in mortale convulsione; il di lei marito fece quindi all'Intendente le rimostranze le più premurose, e lo pregò istantemente di risparmiare la sua famiglia con parecchie scene di terrore, e di scegliere un altro locale fuori casa sua. Questi gli rispose brevemente, che farà ciò che gli piace, e che niuno fuori di lui era padrone in quella casa mentrechè vi dimorava, e si occupava nel servizio del suo Sovrano.

Timore, orrore, e disperazione mettono gli spiriti io orgasmo; soltanto una totale apatia, l'odio


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delle famiglie, la diffidenza e la vendetta personale impediscono che il fuoco della sedizione non si risveglia dalle ceneri, e non scoppia a viva fiamma.

Degli atti di disperazione individuale sono inevitabili. Delle famiglie intera emigrano da Rogliano, Marsi, Condenti, Martirano, Altilia e S. Mango, ne' quali luoghi l'inquisizione dell'Intendente è la più attiva, per isfuggire alla ignominia, ed a' martiri della tortura. Gli sfortunati fuggiaschi si trovano nelle montagne esposti alle intemperie, alla miseria, alla fame, alla persecuzione, ed al tradimento.

Si dice, che il Commissario Regio a Catanzaro amministra la giustizia con eguale Frassione.

In questo momento ricevo una conferma degna di fede delle precennate notizie, e mi affretto di trasmettere a V. E. questo rapporto, mediante staffetta.

(2) Pag. 17. — Gli altri sette con Antonio Caponetti condannati alla pena di morte col terzo grado di pubblico esempio, furono:

Emidio Antico, Paolo Mantricchia, Francesco d'Angelo, Giuseppe Toppeta, Giuseppe d'Angelo, Ambrosio Palma, e Burnardo Brandizi.

(3)Rtg. 18. — Napoli 10 luglio 1838-Ferdinando II ecc.


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—Veduta la Sovrana determinazione de’ cinque di questo mese con la quale Noi abbiamo autorizzato il nostro Ministro Segretario di Stato degli affari Interni ad intervenire nel nostro Real Nome alla stipula del Contratto di Società con la Compagnia Taix Aycard e C. per lo spaccio de’ zolfi de’ nostri reali Domini di là del Faro.

Veduto l'anzidetto Contratto rogato dal Regio Notaio Giuseppe Maria Pacifico di Napoli il 10 del corrente mese.

Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato degli Affari Interni;

Udito il Nostro Consiglio Ordinario di Stato; Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto siegue:

Art. 1. Il Contratto di Società rogato dal Regio Notaio Giuseppe Maria Pacifico il 10 del corrente mese per lo spaccio dei zolfi de’ Nostri Reali Domini di là del Faro tra la Compagnia Taix Aycard e C. ed il Nostro Ministro Segretario di Stato degli affari Interni da Noi autorizzato ad intervenire nel Nostro Real Nome è da noi approvato.

Art. 2. Il Nostro Ministro Segretario di Stato degli Affari Interni è incaricato della esecuzione del presente Decreto.

Firmato FERDINANDO

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QUISTIONE AGITATA IN INGHILTERRA.

Se la creazione del monopolio dello zolfo, fosse un'infrazione del trattato che esiste col governo di Napoli, tanto applicandolo ai sudditi Inglesi interessati nelle miniere di Sicilia, quanto ai sudditi Inglesi possessori di zolfo all’epoca della concessione del monopolio?


OPINIONE DEL SIG. FEDERICO POLLOCK.

Io son di parere, che il decreto il quale stabilisce il monopolio dello zolfo non è per niun riguardo un'infrazione del trattato esistente tra questo paese ed il governo di Napoli, tanto in rapporto ai sudditi Inglesi interessati nelle miniere di Sicilia, quanto riguardo ai sudditi Inglesi possessori di zolfo alla data del decreto. Il trattato mette i sudditi della corona d'Inghilterra sul piede delle più favorite nazioni, e sembra a me che non faccia nulla di più. Un decreto il quale si applica ugualmente ai sudditi del re di Napoli, ed a tutti i Forestieri senza distinzione, non può a mio credere essere riguardato come una violazione d'un tal trattato. Li 12 marzo 1840.

OPINIONE DEL DOTTOR PHILLIMORE.

Secondo le più ricevute opinioni di tutti gli scrittori di pubblico diritto, un monopolio della descritta


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natura può essere creato da ogni Stato indipendente ne' suoi propri domini senza infrazione d'alcun principio del diritto delle genti.

Senza dubbio pur tuttavolta compete a due Stati di proibire con espressa stipulazione l'esecuzione di qualunque simile monopolio pe' limiti de’ loro rispettivi domini. Tutto il punto di considerazione adunque sembra dover essere qui, se il monopolio in quistione è in qualche modo vietato dal trattato del 26 dicembre 1816, il quale nel momento regola le commerciali relazioni fra la Gran Brettagna e la Sicilia.

I soli articoli che con qualunque larga interpetrazione possono essere applicati al caso sono il 4° ed il 5.° Il primo è relativo al Commercio che può esercitarsi; l'altro ai personali privilegi che sono accordati ai sudditi Inglesi ne' domini Siciliani.

Il più che l'articolo quarto stipola si è che il commercio de’ sudditi Inglesi sarebbe posto sul piede delle più favorite nazioni, e siccome i sudditi delle più favorite nazioni, che in verità sono i nazionali medesimi, vanno ugualmente colpiti coi sudditi Inglesi per effetto del decreto di luglio 1838, così io son decisamente d'avviso che il monopolio dello zolfo non è proibito dai termini dell'articolo; e questo articolo secondo la mia opinione è tale che se comprendesse una simile proibizione sarebbe facilissimo di trovarla.

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Il quinto articolo, secondo il mio giudizio non risguarda il punto in quistione. Esso conferisce gli usuali privilegi ed immunità ai sudditi Inglesi, stabilisce la protezione della personale loro proprietà e mette i medesimi per l'uno, e per l'altra sul piede delle più favorite nazioni. Ma le miniere di zolfo non sono una proprietà personale, ma sibbene una regalia, e rispetto allo zolfo che poteva essere raccolto, i sudditi Inglesi non sono in alcun moda lesi dal decreto del 1838, altrimenti che i sudditi di tutte le altre nazioni, e quelli de’ domini Napoletani.

Sotto qualunque aspetto dunque io riguardi questa quistione, la mia opinione è, che il monopolio non essendo proibito dal diritto delle genti, né comprendendosi nel trattato esistente alcuna stipulazione su di ciò, non può vietarsi al governo Napoletano di fare qualunque regolamento ch'ei creda adatto alla produzione dello zolfo, ed alla sua esportazione dalla Sicilia, purché i sudditi Inglesi non fossero posti in una condizione peggiore rispetto alla produzione e dalla esportazione di questo genere, di quel che lo sieno i sudditi degli Stati più favoriti. Li 26 marzo 1840.

[4] Pag. 23. —Il 23 luglio la corte marziale in Cosenza pronunziò la sentenza di morte; il 25 detto fu eseguita.

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(8) Pag. 38. — Ecco in quali termini esprimevasi il decreto de’ 19 gennaio 1848 sulla stampa:

«Volendo stabilire in tutto il regno un compiuto ed uniforme sistema di revisione della stampa, sia de’ reali domini, sia dall'estero immessa, non che delle incisioni ed altri consimili lavori, e delle produzioni teatrali di ogni specie; e volendo toglier di mezzo tutto ciò che di arbitrario abbia potuto col tempo intradursi nella pratica finora osservala, e confidar il novello sistema di revisione ad apposite commissioni di chiari e distinti uomini di lettere, ed in siffatta guisa aggevolare l'incremento delle opere utili e d'ingegno:

«Letti tutti i decreti e regolamenti ecc ecc.»

(6) Pag. 49. Programma del Governo provvisorio in Reggio.

Reggio alle Province di Napoli e di Sicilia.

Fedeli alle nostre promesse, noi abbiamo innalzato i tre colori dell'indipendenza nazionale italiana, col fragoroso applauso di viva il re costituzionale Ferdinando II— Viva la libertà.

La costituzione del 1820 cosi felicemente ottenuta — cosi spontaneamente giurata, violata poscia e tradita, veniva, (senza diritto) invasa o distrutta dalla baionetta dello straniero. Quanti mai ne' trascorsi 26 anni, tentarono di risvegliarne la rimembranza,


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comprarono col proprio sangue quel martirio politico che santifica la loro memoria.

Fratelli — All'armi. Ricordiamo il sangue de’ martiri!

Il progresso della libertà civile e politica, in parecchi de’ diversi stati d'Italia, e più che in tutti, nello stato del Religioso ed Evangelico Vicario di Gesù Cristo il glorioso Pio IX, ci conferma nel sacrosanto desiderio di divenir liberi. Gloria presente e futura al Vicario Di Gesù Cristo.

Forti — per numero — unione — volontà —, noi, fedeli ai precedenti accordi — correremo su la capitale del regno, ove siamo ansiosamente aspettati. Il nostro principale pensiero è la sacra inviolabilità della persona del Re Ferdinando Secondo; l'allontanamento dalla sua persona di quei pochi maligni intriganti, che lo hanno sempre frastornato dal far il bene del popolo delle due Sicilie.

Rispetto alle persone od alle proprietà. Non è cittadino chi invilisce il nobile pensiero di libertà nella bassezza degli odii privati. Noi vogliamo l'ordine, e, guai e morte a chiunque s'attenterà di disturbarlo o di opporsi alla nostra santa risoluzione che è la Redenzione della Patria.

Noi vogliamo, al pari delle più civili nazioni d'Europa, un governo costituzionale rappresentativo


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poggiato sopra forza veramente nazionale, e con tutte quelle garantie che assicurano la libertà e l'eguaglianza di tutti davanti alla legge.

Compatriotti de’ due regni, adempite ancor voi alle vostre promesse, correte alle armi, secondate il nostro patriottismo; mostriamo all'Europa che siamo meritevoli del nome di Nazione.

Che tutti i pensieri cedano al solo pensiero di divenir liberi. Che il nostro motto sia sempre: Viva il re costituzionale FERDINANDO II — Viva La Libertà.

Reggio 2 settembre 1847.

Firmati — Domenico Muratori —Antonio Maria Pomari — Agostino Piotino — Antonio Cimino — Casimiro de Lieto — Federico Genovese Presidente Paolo canonico Pellicano.

Prefettura Di Polizia.

(7) Pag. 63:— Le grida di Viva il Re, e gli applausi in uno de’ Teatri di questa Capitale con i quali sono stati accolti alcuni atti del Governo potrebbero menare, ove fossero continuati, al turbamento della pubblica tranquillità.

Per tale considerazione il Prefetto di Polizia ordina quanto sieguc:

Gli applausi, e le grida, e gli attruppamenti per le strade, pubbliche piazze, e per altri luoghi pubblici,


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quando anche abbian per iscopo di applaudire ad atti del Governo, sono vietati, e come tendenti a turbare la pubblica tranquillità, verranno severamente repressi, e puniti ai termini delle leggi. Napoli 25 novembre 1847.

Il Prefetto di Polizia

CESARE GALLOTTI

(8) Pag. 72. — II popolo Napolitano ai cittadini della guardia d'interna sicurezza— -«Uffiziali e soldati della guardia d'interna sicurezza avete voi mai seriamente meditato sul nobile uffizio di una guardia cittadina? Avete mai seriamente meditato sullo scherno all'onor nazionale, che sotto l'ombra della divisa istessa, voi siete destinati a compiere? Dite su questo ludibrio, su questa differenza vergognosa avete mai meditato? — Molti di voi certo che sì, altri forse no, seriamente niuno ancora. Udite dunque la parola del popolo, cui voi siete i fratelli più cari, uditela, ed accoglietela, per Dio seriamente; cioè con quel convincimento profondo, irresistibile, onde i timidi diventano coraggiosi, i coraggiosi legalmente audaci, e tutti calata giù la visiera, pronti a palesarsi come il cuor detta.

A tener salde le benefiche instituzioni nazionali dagli attentati del potere e dalle violenze della forza,



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la civiltà moderna di due baluardi Cortissimi le circonda, la libertà della stampa e la guardia cittadina. L'una e l'altra garentie sociali si appellano, perché entrambe e secondo l'indole propria di ciascuna, efficacemente riescono a conservare illeso dalle nequizie degli uomini non meno che dalle ingiurie dei tempo, il palladio sacro delle istituzioni di uno stato. Ma l'uno e l'altra di queste-nobili piante, per loro intrinseca natura, non possono germogliare né vivere se non all'ombra di un governo franco, generoso, sensibile alla pubblica opinione. In governi sì fatti, per mezzo della stampa l'opinione pubblica onestamente si rileva in tutto il suo lume, ed al potere che ticnla in pregio, riesce pungolo e freno salutifero. Governo e governati camminano cosi in bella armonia fra loro. E la forza delle armi cittadine, ragionevolmente gelosa de’ benefizi politici e civili onde gode la patria comune, soccorre allora vigorosamente il potere contro ogni attentato: anzi lui stesso contiene ne' giusti limiti, perché sa che in quello equilibrio di diritti soltanto, direttamente, in tutto o in parte, consigliando o operando, ogni cittadino tien sua mano. Ora è in questo caso senza dubbio che la guardia cittadina à per fondamento il dovere, ché dovere di ogni cittadino


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si è di difendere le interne instituzioni, cui à diritto di partecipare.

Ma voi, o fratelli, ditene, quali instituzioni siete chiamati a difendere? Quale interna sicurezza siete destinati a custodire? L'onnipotenza forse della polizia; l'arbitrio posto in luogo delle leggi; il trionfo de’ ladri pubblici; il disprezzo per gli uomini onesti; l'oscurantismo in sistema? difendete forse il commercio spento; l'agricoltura derelitta; le imposte senza misura; le spese pubbliche senza limite; l'erario manomesso e sempre pazzamente vorace? voi ben conoscete in che lagrimevoli condizioni sia ridotta eia sicurezza delle persone e quella delle nostre proprietà. La vostra istituzione, o fratelli, è scherno e peggio, come tutte le nostre istituzioni: e se la stampa fosse stato possibile schernire del pari, noi già avremmo uno scherno di legge su la stampa. No, voi poi siete radunali a comporre una guardia cittadina: non siete una garantia della società, una di una setta, di un partito che si nasconde sotto il nome di Governo. Voi inscientemente aiutate a divenir più tristo il potere, che contro i tristi dovrebbe difenderci. Sotto la nobile divisa che indossate, voi siete destinati ad essere la dietro guardia de’ birrj, i complici dell'oscurantismo, la vergogna di noi che pur siamo sangue vostro.


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E con questo intendimento che siete instituiti: né altrimenti poteva avvenire, poiché garentie sociali ed oscurantismo sono nemici mortali.

Oh! fratelli, fratelli, uscite dunque una volta di questa vergogna; deponete francamente le armi, è dovere, è necessità cittadina dignitosamente deporle, ed ora più che mai, dopo l'onta sofferta alla Vigilia di Natale! Non soffrite più lungo codesto ludibrio; il vostro decoro, quello de’ vostri figliuoli, de’ parenti degli amici vostri reclamano da voi questo atto di coraggio civile. Di là dal Trento milioni d'Italiani, fatti felici per questa via, ci guardano ansiosamente: non ci mostriamo, per Dio, mono italiani di loro, figliuoli meno degni dell'Italia nostra. Non temete, (e temereste! mai il potere più che l'infamia)? È tempo già di mostrarci tutti e franchi e dignitosi cittadini. Si mostri ciascuno dal proprio posto, palesando ad alta voce i comuni bisogni, i voti comuni. E però, rendendo voi le armi, dite con nobile franchezza a chi spetta — Noi non siam birri; siam cittadini desiderosi di un viver civile adatto alle condizioni de’ tempi, alla grandezza de’ destini futuri d'Italia. Siano altri i carnefici comuni eccovi le armi: il nostro dovere non concede di renderci loro complici. — Viva Pio IX! Viva le Riforme! Viva l'Italia  e chi ti mostra degno di lei!


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(9) Pag. 76 Nella Costituzione di Sicilia del 1812 leggevasi:

«Articolo 17. Se il Re di Sicilia riacquisterà il Regno di Napoli, o acquisterà qualunque altro Regno, dovrà mandarvi a regnare il suo figlio primogenito, o lasciare detto suo figlio in Sicilia con cedergli il Regno; dichiarandosi da oggi innanzi il dotto Regno di Sicilia indipendente da quello di Napoli, e da qualunque altro Regno o provincia.»

»Placet per l’indipendenza: tutto il dippiù resta a stabilirsi dal Re e dal suo Primogenito alla pace generale chi della loro famiglia debba regnare.»

(10) Pag. 82— I Siciliani ai loro fratelli di Napoli — Fratelli! — Due volte voi parlaste la voce di verità al popolo e al re, e due volte ha trovato un eco ne' nostri cuori; Fratelli! La vostra causa è nostra. Voi chiedete giustizia, progresso intellettuale e morale, pacifiche riforme; e questo è pure l'irremovibile nostro voto. Se diversa è la cancrena politica di questa terra siciliana, uno è il bisogno che a voi ne lega: Giustizia e Progresso.

Calunniavano gli stolti nemici del popolo e del re di municipali le nostre intenzioni: il fatto li ha già smentito abbastanza. Ecco i nostri voti quali erano e sono. Noi imprecammo e imprecheremo pur sempre la



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infausta ministeriale centralizzazione; vecchio e fracido rampollo del dispotismo napoleonico; Noi invocammo, e invocheremo pur sempre, in nome della giustizia e del re, che cessi una volta quell'anarchia governativa, che da un decennio divide qui e sminuzza i poteri, e li collide di funesta paralisi nell'urto scambievole; che rende onnipotenti nel male pochi uomini oscuri, venturieri di promiscuità, e larve impotenti ad ogni bene le autorità costituite. Noi invocammo e invocheremo pur sempre un vigoroso, sapiente, e non inceppato locale governo che sieda diretto o immediato organo tra' bisogni siciliani e la suprema potenza del Principe; che equamente e palesemente amministri, con responsabilità in faccia al pubblico e al re, la Finanza siciliana, da un decennio da mani oscure dilapidata nell'ombra del mistero e della superbia. Noi invocammo e invocheremo pur sempre che la civile Amministrazione, sciolta da' ferrei vincoli della centralizzazione ministeriale, riviva nell'elemento suo proprio, allargando la sfera della giurisdizione municipale; che i preposti alla amministrazione delle Provincia sieno padri di famiglia, non sanguisughe dei Comuni, né birri; che da essi si parta una benefica vigilanza sulle pubbliche opere, su' comunali bisogni, ma tale che non inceppi i Comuni nel provvedere


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alle proprie urgenze, alle proprie utilità. Invocammo, né cesseremo dall'invocare una pubblica istruzione degna de’ tempi, né affidata, com'è, alle più abbiette e misere intelligenze, a cuori chiusi ad ogni affetto di religione, di quella religione che insegna non vivere l'uomo di solo pane, ma ed altresì del pane degli angeli, l'intelligenza e la virtù. Fremette e freme il nostro cuore al vedere nove decimi tra noi privi, come barbari, d'ogni morale e intellettuale educazione, a cui unici maestri il birro e il carnefice, unica scuola il bastone, la galera, e la forca. Un moto generoso ne spinse a creare Asili pei figli del popolo, perché Gesù Cristo insegnavano che lui stesso è che geme nei cenci del povero e dell'orfano, e ne inculcava vestire la sua nudità, satollar la sua fame, diradargli le tenebre della mente e del cuore. Volemmo Asili, e sperammo dare virtuosi cittadini al parso, amorevoli sudditi al Principe, e togliere vittime al boja. Pure gli Asili a noi venner negati. Invocammo, né cesseremo dall’invocare una legge che tolga la stampa al fluttuante arbitrio e al monopolio ministeriale, all’ignoranza di tre venduti e perfidi Revisori, a quello sfrenato arbitrio pauroso e feroce che perseguo la parola più che l'idea, che vieta finanche di profferire colla pubblicità della stampa i santi nomi di Dio, del suo vicario, di Civiltà, di Popolo,


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quasi civiltà e vangelo, voce di popolo e Dio non fosser sinonimi, e sia delitto ripetere quel che gli atti stessi del Governo e i Reali Decreti promulgano. Una legga alla stampa invochiamo, che assegni i limiti oltre i quali non sia concesso varcare, una legge che tutelando i veri interessi della religione, della politica, del costume, lasci libero il campo agli ingegni prediletti da Dio di farsi moderatori alla pubblica opinione nelle vie del progresso intellettuale e morale. E questa opinione è l'unica, la vera possanza su cui riposa il trono dei Re; per essa e con essa si regna; chi tenta comprimerla — sia pure entro un sepolcro di ferro — si prepara volontario un baratro sotto i piedi, perché essa è quel!'aria che respirata liberamente, è principio di vita, ma per violenza compressa è scoppio di fulmine che tutto distrugge.

Una guardia — nazionale o civica poco importa il nome — affidata ad onesti cittadini, che valga a reprimere le disonestà e impunite ruberie, i privati delitti, e le perturbazioni de’ malfattori, è nostro voto, e fu decreto del Re. Ciò che la ragione comanda, ed il popolo invoca, e il Re volle perché tuttavia ineseguito? — Qual è quest'occulto potere satanico che rompe la beata alleanza tra' voti del popolo e il supremo volere del Principe?


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Noi invocammo e invochiamo sicurezza reale e personale sotto la tutela di leggi, come scritte osservate; invochiamo un freno e una legge, come scritta osservata, a quell'immane mostruoso potere, che dicesi Polizia; sì ch'ella non osi attentare alla libertà individuale e alla pace di chi riposa nella coscienza delle leggi non violate, si ch'essa non ardisca con arti tenebrose, pretesto a smisurate e sordide ambizioni, disseminare occulto veleno tra il Principe e i Popoli suoi, e insinuare nell'anima del Re che tradisce, una dannosa fiducia ne' birri, nelle spie, nel cannone. Sappiano questi eredi di vecchie tradizioni, pullulate dalla melma dell'89 francese, che nella terra di Filangieri, di Beccaria, di Verri non mai tennesi o fu più sicuro il regio potere, che quando accerchiò il trono de' più generosi cultori della scienza che insegna il miglior vivere de’ popoli.

Questi, e simili — che infinito sarebbe il ricordo di tutte le nostre miserie — furono o fratelli, i nostri voti, e saranno. Ché se un perfido ministro, oggi per Provvidenza divina caduto nell'abbisso dell'ignominia, trasse argomento a calunniare di esclusivo municipalismo la nostra riluttanza alla iniqua centralizzazione ministeriale, che fu sì larga miniera a quel Verre; se egli e i suoi vili satelliti e imitatori


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ne trasser pretesto a scrollare la macchina sociale fra noi nella impotente rabbia di voler cancellata dalla carta d'Italia quest'Isola, sappiano che Sicilia senti sempre con orgoglio esser compagna alle italiche terre, e se vigorosa volle sempre e vuole illesa la propria personalità, tanto più sente esser sorella alla vostra terra nativa, e, com'essa Piglia a una madre comune, l'Italia. Sappiano che dall'Alpi al Lilibeo uno è il pensiero, uno l'affetto, uno il desio; che la nostra è causa di religione, di amore, di civile e pacato progresso; che la lega dei Principi italiani, è onesto desiderio dei popoli a tutela dei propri Re contro ogni straniera influenza. Sappiano questi nemici del Re che la potenza del trono non mai stette sopra basi pii) salde com'oggi: oggi che spontaneamente è chiamata dal libero voto dei popoli a farsi ministra di ordine, di giustizia, di legali riforme, e riparatrice dell'anarchia ministeriale. Sappiano che i nemici delle riforme e dell'ordine legale sono ribelli al Principe e a Dio, perché tentano all'uno far crollare il trono di sotto, rinnegano l'altro nel provvidenziale progresso eh' egli intima all'umanità.

Sappiano cotesti ribelli, nemici del popolo e del Re, che invano sperano appoggio a' loro tenebrosi disegni nelle armi dei nostri fratelli della milizia; quelle armi


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non saranno, come sperano, per tingersi nel sangue dei propri fratelli sol perché pacificamente chiedono giustizia, ordine, pubblico bene; solo perché vogliono il trono assise sopra il più stabile fondamento, l'amore e la felicità dei popoli. Sono uomini anch'essi que' prodi, ed hanno madri e spose, e figli, e fratelli; e nel bivio o di versar sangue con ingiusta guerra fraterna, o di tenersi inoperosi-e impotenti a pro del popolo e del vero interesse del Re, la scelta non è dubbia per essi.

Né li acciechi la stolta speranza che il terrore sia per comprimere il torrente della pubblica opinione. Quanto più fermo, quanto più calmo, e universale, tanto irremovibile è il nostro volere. Noi staremo fermi, uniti inalterabili. Sa Iddio, sa l'Europa, «an tutti se sante sono le nostre intenzioni. Iddio e il Mondo scagneranno la sentenza d'infamia sovra chi voglia sospingere questa lega di pace e di amore verso la violenza e il disordine.

Questi, o fratelli, sono e saranno gl'inalterabili nostri sensi, a voi e a tutta Italia comuni.

I Siciliani.

(11) Pag. 92 — Decreto de’ 19 gennaio 1848 sulla stampa.

(12)Pag. 96 — Un proclama Al popolo Napoletano, incominciava:


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«Popolo Napoletano, artigiani, maestri di bottega, venditori, lazzaroni, tutti fratelli nostri e figli d'uno stesso Dio, ascoltate:

«I galantuomini vedendo che tutti soffriamo ecc.»

(13) Pag. 101 — FERDINANDO II ecc. — Sulla proposizione del nostro Consiglio ordinario di Stato.

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Il ministero della Polizia generale è abolito. Le sue attribuzioni verranno riunite al ministero dell'Interno.

Art. 2. Il Nostro Consigliere Segretario di Stato dell'Interno avrà sotto i suoi ordini un Direttore per gli aff'ari di Polizia.

Art. 3. Il Nostro Consigliere Ministro di Stato Presidente Interino del Consiglio dei Ministri, tutti i nostri Ministri Segretari di Stato, non che il Direttore del Ministero e Real Segretaria di Stato della Guerra e Marina, ciascuno per la parte che lo riguarda, sono incaricati della esecuzione del presente Decreto.

Napoli 26 gennajo 1848.

Firmato— FERDINANDO


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(14) Pag. 114

È suonato l'altissimo accento,

Oh! qual gioia — qual di sovrumano!

Odo il grido d'un popol redento,

Spunta l'alba del sole italiano

Questo accento di vita foriero

Ogni labbro ogni cor ripeté,

Questo accento del nostro pensiero

Un novello battesimo egli è.

Vieni avanza, Fermando, rimira

Quanta gente d'intorno t'acclama:

A recarti sugli omeri aspira,

II suo genio il suo padre ti chiama...

E tu piangi? ah! quel pianto è sublime

Che affratella col popolo il re,

Che l'oppresso pensiero redime,

Che ti rende maggiore di te.

Viva il re! viva il re...

(15) Pag, 116 —Se ne leggono i ragguagli e gli elogi nel Giornale Costituzionale del Regno delle due Sicilie de’ tempi de’ quali scriviamo.

(16)Pag. ivi — L'alba de’ 29 gennaio di Carmelo Spagnolo — Il 21 febbraio di Simone Capodieci — La lega Lombarda di Giuseppe Lazzaro.



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(17)Pag. 132— «Parlamento Generale Di Sicilia.

Il Parlamento dichiara:

1. Ferdinando Borbona e la sua dinastia sono per sempre decaduti dal Trono di Sicilia.

2. La Sicilia si reggerà a Governo Costituzionale e chiamerà al Trono un principe Italiano, dopo che avrà riformato il suo statuto.

Fatto e pubblicato in Palermo. Udì 13 aprile 1848.

Il Presidente della Camera de Comuni—Firmato — March, di Torrearsa — Il Presidente della Camera de Pari — Firmato — Duca di Serradifalco — Per copia conforme — II Presidente della Camera de’ Comuni — March, di Torrearsa — Per copia conforme — Il Presidente del Regno— Ruggiero Settimo — Per copia conforme — Il ministro dell'Interno e della sicurezza pubblica — Calvi.»


(18) Pag. 155— Articolo secreto del trattato di luglio 1815 tra l'Imperatore d'Austria ed il re di Napoli.

(19)Pag. 161 — Le mentovate osservazioni sul censo sono estratte da un dotto articolo del marchese Luigi Dragonetti, fatto di pubblica ragione in un foglio del Giornale La Costituzione.


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(20) Pag. 176—Ecco quanto Descrive lo storico Pietro Colletta:

«Primo atto del re maggiore (Ferdinando IV) fu la cacciata de’ gesuiti, che importa esporre dal capo al fine, imperciocché il re medesimo riappellando, tempo dopo, la espulsa compagnia, ed altri mutando in favore di lei le già praticate ostilità, giova conoscere le cagioni così dello sdegno che dell'affetto.»

«È noto per altre istorie come nell'anno 1540, sotto il pontificato di Paolo III fu istituita la compagnia di Gesù a insegnare e convertire, professando per voti la povertà, la castità, l'obbedienza; come si sparse in varie parti del mondo e nelle reggie; come divenne di povera, opulenta; di infima, prima; di modesta, ambiziosa, e quante querele ella mosse o respinse.»

«Nell'anno 1755 Giuseppe I re del Portogallo, tornando dopo notturno lascivie dalla città alla reggia, fu leggermente ferito da colpo di moschetto; e ricercati gli autori e le cagioni, si scopri che molti nobili e frati Gesuiti avevano congiurato di uccidere il re per mutare padrone, corte e ministri. Parecchi nobili, di condanna, furono morti; due frati gesuiti dei meglio rinomati finirono nelle carceri, e si disse per comando del marchese di Rombai, ministro potentissimo di Giuseppe; altro gesuita, Malagrida,


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accusato nel tribunale del Santo uffìzio, dichiarato seduttore del popolo, perde la vita sul palco nella città di Lisbona; e tutti dell'ordine in un giorno imbarcati, approdarono a Civitavecchia negli stati del papa. Fu questo il primo bando a' gesuiti; venne seconda la Francia, perciocchè Luigi XV, dopo brighe di corte e allettamenti della Pompadour e decreti de’ parlamenti, scacciò la compagnia nel 1704; e tre anni appresso la sbandi dalla Spagna Carlo lII prescrivendo a' sovrani di Napoli suo figlio o di Parma suo nipote, d'imitare l'esempio.»

«Nel mezzo della notte, che fu del 5 di novembre del 1767 tutte le case gesuitiche del regno napoletano monasteri o collegi furono investiti da uflìziali del re e da genti d'armi; gli usci aperti o atterrati, ogni cella sorpresa e custodita; i frati, i servienti, i discepoli adunati in una stanza dell'edilizio; i mobili sequestrati, lasciando ad ognuno le sole vesti; e ciò fatto, tutti in truppa scortati al porto o spiaggia più vicina ed imbarcati sopra nave che subito salpò. Né fu permesso il restare a' vecchissimi e agl'infermi, tutti partendo con moti tanto solleciti, che, per dire della sola città, i gesuiti navigavano per Terracini! e non ancora la prima luce del giorno 4 spuntava.»

«Quelle sollecitudini e quel rigore vennero


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dall'esempio di Madrid, o per nascondere al popolo colla sorpresa e le tenebre spettacolo pietoso e irriverente. Gli editti che nel giorno si lessero, dicevano:»

«Noi il re, facendo uso della suprema indipendente potestà che riconosciamo immediatamente da Dio, unita dalla sua onnipotenza inseparabilmente alla nostra sovranità, per il governo e regolamento de’ nostri sudditi, vogliamo e comandiamo che la compagnia detta di Gesù sia per sempre abolita ed esclusa perpetuamente i dai nostri regni delle due Sicilie.»

(21) Pag. 178 — Questi fatti sono documentati dall'opera II Gesuita Moderno di Vincenzo Gioberti,  volume V.

(22)Pag. 180 — E' CESSATO IL COLERA GESUITICO—Oggi (10 marzo 1848) a mezzogiorno ha avuto luogo in Napoli una dimostrazione antigesuitica. Ieri sera fu fermamente gridata la loro espulsione, e questa mattina, all'ora citata, su n'é chiesto l'adempimento. Al largo del Mercatelli una immensa folla gridava Abbasso i Gesuiti. In questo frattempo i Genitori degli Alunni nel Collegio dei Nobili, sono andati colle carrozze a riprendersi i loro figli. Nel ripassare con essi, le acclamazioni furono universali.


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 Allora una Deputazione improvvisata nella folla, si è presentata ai Gesuiti, dicendo loro dia non vi era più tempo da perdere, e che la Nazione li voleva o espulsi o morti. Allora i buoni Padri e Amatissimi, fecero una verbale Protesta che Domani alle 10 in punto se ne sarebbero andati, senza portar nulla con loro. Per poco fu soddisfatto il popolo, s'intuonò subito ilMiserere e il De pròfundis. Immediatamente gli Amabili PP. Gesuiti diedero al Tramater a stampare una loro inetta inettissima Protesta, i cui sommi capi sono che essi Vogliono essere giudicali, che sanno di non aver colpa, che vogliono rendere i conii, che sono poveri, ed hanno sofferto mille privazioni perla loro mise' ria. A queste chiacchiere risponde il nome di Gesuita. La nazione non perda di mira che debbono essere assolutamente espulsi. Dove vanno? Si sappia: debbono avere la nostra approvazione. Si lasciano liberi a loro stessi i Gesuiti! Stoltezza! O vestiti o spogliati saranno sempre GESUITI. Non ci lordiamo le mani nel sangue loro, ma stieno lontani in condizione di non poter nuocere. Fermi, o Italiani, al proposito, fermi, o siamo perduti. IRREVOCABILMENTE '— DOMANI — ALLE DIECI—SENZA NIENTE—FUORI DEL REGNO.

Tutti i Veri Italiani.


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(23) Pag. 180 — Avviso «Sulle considerazioni, che la setta de’ Gesuiti è nociva ad ogni società civilizzata, essendo stati questi discacciati da Parigi, con sanguinosa guerra dalla Svizzera, e per tacer degli altri popoli inciviliti, diciamo di essere stati pure espulsi giorni sono da Genova. essendosi deliberato, che vadino ancor fuori da Napoli, o saranno cacciati dalla forza: s'avvisano tutti coloro che ànno i propri figli alla funesta educazione di que' tristi di ritirarli presto, se pur non vogliono far restare quegli innocenti fanciulli esposti al giusto furore del popolo.»

«Valga questo avvertimento per liberar chicchesia da responsabilità.»

«Napoli 10 marzo 1848. — Il Popolo Napolitano.»

(20 Pag. 183 — «Signor Generale. — L'imponenza della circostanza, e lo scopo santissimo di evitare ogni violenza che potrebbe far versare il sangue cittadino, mi obbligano a pregarla perché con la massima sollecitudine i Gesuiti tutti che trovansi in questo locale siano decentemente in carrozze chiuse, scortati dalla Guardia Nazionale e dalla Cavalleria, rinchiusi ed assicurati in un Castello di questa Capitale, o nella Darsena ove nel miglior modo e più convenevolmente possano essere collocati.»



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«Son sicuro chela cittadinanza non farà ad essi violenza, e che garantiti dalla truppa saran posti in salvo— 11 marzo del 1848.»

Tofano.

(25) Pag. 185—Oltre ai documenti riportati di sopra circa la cacciata de’ Gesuiti leggasi un articolo di Aurelio Saliceti inserito nel Contemporaneo di Roma in luglio 1818 sui Gesuiti.

(26) Pag. ivi —Avviso Importantissimo — «Si fa noto a' padri di famiglia che inviavano i loro figliuoli alle scuole dei Gesuiti e in generale a tutti i padri della Capitale, che quelle scuole saranno sollecitamente riaperte. Un'associazione di Professori vi daranno un compiuto corso di pubbliche e gratuite lezioni con metodi più larghi e adatti a' tempi, onde si vegga effettivamente da chi noi sappia che la partenza della Compagnia è stata desiderata, fra l'altro, nell'interesse della istruzione universale. I medesimi anno già invocate dal Ministero lo debite autorizzazioni e tossichè le avranno ottenute, annunzieranno con altro manifesto il giorno in cui le scuole saranno aperte. Napoli 13 marzo 1848.» — Seguono le firme.

(27)Pag. 189— «Monsignore che protestava la sua innocenza proclamando che sin da' primi giorni


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del passato dicembre erasi allontanato dalla Reggia consigliando che si desse una Costituzione al paese: Monsignore che chiamava eccessivo e dispotico il suo ostracismo incolpando il Re d'ingratitudine, agglomerando parole su parole vuote di senso e di verità: Monsignore che discese sin alla viltà delle lagrime, permise cosi che io coscienziosamente il definissi, e fui convinto di esser egli purtroppo meritevole della pubblica indignazione. Peccato che quasi sempre tali uomini debbano avvicinare i Re!!!»

«Egli dapprima, credendo di eludere la sollecita partenza, disse di trovarsi privo di mezzi ed all'intutto sfornito di danaro: ed io pregai il sottintendente che gli passasse ducati dugento. Dipoi (ritardando il Vapore a venire, mentre giunse a Castellammare alle undeci meno un quarto) si coricò, e quando gli fu imposto che bisognava partire, cadde in convulsioni o finse di esser convulso: ma ciò nulla gli valse. Fu giuocoforza che si vestisse e s'imbarcasse alla mia presenza, né mi sarei di là partito finché tanto non si fosse praticato, ciò imponendo il mio dovere cui fui sempre sacro.» Lettera di Giacomo Tofana al suo amico Girolamo Magliano.

(28)Pag. 194 — Estratto quasi parola per parola



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dal citato articolo di Aurelio Saliceti nel Contemporaneo, dove parla d'un Progetto di Legge.

(29) Pag. 197— Per documentare quanto abbiamo dello, riportiamo le parole dello stesso Saliceti scritte nel Contemporaneo su

«La Magistratura — Era in Napoli un misto d'oro e di fango, ma il fango la vinceva su l'oro quanto più si montava in alto, mentre forza di tempo, d'infamia e d'intrigo aveva già levate al sommo tutte le abbiette sozzure del 1821. Togliere il fango e lasciar l'oro, ecco qual'era il mio scopo. M'ebbi sol tempo a fare il movimento della Suprema Corte di Giustizia ed a quel movimento per l'appunto mi appello, come solenne testimone delle mie idee e della mia politica, le quali eran tutt'altro che repubblicane. Tra nuoce vi nominati o promossi eravi uno appena, il quale ebbe a soffrire per antiche vicende politiche pressochè obbliate: gli altri non solo furono sempre immuni da ogni martirio di libertà, ma inoltre i maligni li dicevan teneri de’ gesuiti. Sì, voce de’ maligni erasi codesta, perocchè quegli onorali Uomini furon sempre nel foro venerati per dottrina, e probità, ed io reputavali veri amici della libertà, perché la loro vita fu sempre mai incolpabile, avendosi avuto a guida solo il giusto l’onesto.


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Inoltre, mentre io esponeva nel Consìglio de’ Ministri dovere ogni magistrato riunire in se il triplice elemento di libertà, di scienza, e di morale: la prima parte della mia proposizione fu combattuta da tutti gli altri, e si disse doversi rispettare il pensar politico, qualunque si fosse, e doversi ricercar solo nel magistrato scienza, e morale. Manifesto coleste cose, perché sappiasi niun magistrato esser stato dimesso a causa di opinione, essere stati allontanati solo coloro, che per grave età, cagionevole salute o difetto di scienza erano inabili alla carica, nonché quelli, che per notoria infamia eran vitupero e maledizione del foro. Nel mio progetto io distingueva gli uni dagli altri, dichiarando quelli ritirati, questi destituiti, ma prevalse l'avviso doversi tutti mettere al ritiro. I tristi balzati dai lor seggi contaminati credettero, ancora una volta illudere il pubblico, dando per motivo della loro caduta non le loro patenti colpe, ma le mie idee repubblicane, e nell'ira, che rodevali. Detter fuori libelli, ricorsero alla loro antica alleata, alla calunnia, e cercarono sicarii. Io li sprezzai e sorrisi, dicendo tra me nulla più naturale, che il morso di Vipera calcata.»


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(30) Pag. 213 — Ferdinando II ecc. — Visti gli Statuti fondamentali, e la Costituzione della Monarchia;

Visti i Reali Decreti relativi alla Sicilia del giorno 6 del corrente mese di Marzo;

Considerando che qualsiasi modifica alle concessioni contenute in que' decreti per assicurare la durevole felicità de’ nostri amatissimi sudditi al di là del Faro eccederebbe i Nostri Poteri, e violerebbe l'unità ed integrità della Monarchia, e la Costituzione da Noi giurata;

Udito l'unanime parere del Nostro Consiglio de’ Ministri;

Dichiariamo di protestare, e col presente solennemente protestiamo contro qualunque atto che potesse aver luogo nell'Isola di Sicilia, che non sia pienamente in conformità ed esecuzione de’ succennati nostri Decreti, ed agli Statuti fondamentali, ed alla detta Costituzione della Monarchia, dichiarando da ora per sempre illegale, irrito e nullo qualunque atto in contrario.

Questo Atto solenne, sottoscritto da Noi riconosciuto dal Nostro Ministro Segretario di Stato di Grazia e Giustizia, munito del Nostro gran sigillo, e contrassegnato dal Nostro Ministro Segretario di Stato Presidente del Consiglio de’ Ministri,


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sarà registrato e depositato nell'Archivio della Presidenza del suddetto Consiglio. Napoli 22 marzo 1848.

Firmato FERDINANDO

(31) Pag. 230 — Protesta — II Ministero de’ 28 gennaio, come ognun sa, non diede l'opera alla formazione delle basi costitutive del decreto de’ 29 gennaio. Queste furono effetto della pienezza dei tempi ed eran manifestate dalla volontà esplicita di tutto il popolo napoletano rivelata al re per mille modi. Il re le accolse e promulgò l'atto sovrano mentovato di sopra.

Il Ministero ebbe l'incarico solo di recare in atto quel desiderio, e svolgere consentaneamente all'indole de’ tempi e dei popoli i semi racchiusi nelle basi liberamente consentite dal principe. E questo fu il primo obbligo del Ministero.

Secondo obbligo del Ministero era di risolvere la quistione sicula.

Terzo obbligo era di concorrere presentemente, e con efficacia e lealtà allo stringimento della union federale italiana.

Quatto era di prevenire le giuste esigenze del popolo per adempiere al debito proprio di ogni governo segnatamente in tempi di transizione, e non farsene imporre la legge con indugi o rifiuti inopportuni.


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A tal modo il governo ha creato i disordini e questo stato di cose, che può anzi debhe dirsi anarchia.

Il Ministero ha mancato per inerzia, per impotenza ed in parte per ragioni sospette a questi suoi obblighi. La sua ricomposizione del 6 marzo ha perpetuato questo errore e queste colpe. Tutt'i suoi membri sono perciò responsabili alla nazione delle opere loro. E qui si badi che io rispetto le persone de’ nobili componenti de’ ministeri, ma le loro opere cadono, costituzionalmente sotto la censura legale.

I. Nell'atto sovrano de’ 29 gennaio si chiudeva: 1° il germe del voto sospensivo; 2° della camera de’ pari consentita dai tempi, e quindi di nomina regia sopra terna presentabile dalla camera de’ deputati o mediante altro esperimento; 3° della camera dei deputati, in cui il censo non dovesse essere semplicemente patrimoniale, ma intellettuale, detto comunemente di capacità: ciò è si vero, che lo statuto stesso riconosce alcune categorie di eleggibili senza censo patrimoniale, come sono gli accademici dell'art. 57 comma 2; 4° degli elettori senza censo, ma. per via indiretta, affinché le assemblee elettorali non riuscissero tumultuose, e più facilmente influibili dai pravi.

Frattanto ciascun vede, come il Ministero ha


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esplicate nello statuto del 10 febbraio siffatte disposizioni fondamentali risolvendole nel modo meno rispondente alle necessità del paese e meno consentite dai tempi. Abbiamo veduto sanzionato il voto assoluto; l'elezione regia diretta de’ pari, a numero illimitato e senza fermare un minimo legale di essi; le capacità intellettuali più notorie eseluse dagli eleggibili se fosser prive di censo patrimoniale; gli elettori diretti e con censo, e infine renduto impossibile e difficilissimo l'esercizio del dritto di elezione attiva fra il tumulto de’ collegi d'un intero distretto.

Oltracciò si è conceduta la facoltà al governo con l'art. 67 di scioglimento di talune parti della guardia nazionale:. senza indicare il massimo di questa pericolosa facoltà, perciocché potrebbe rendersi vana in alcuni casi la guarentigia della guardia con l'annullarla per la massima parte a norma dello statuto che non prefigge termine di quantità. Dippiù si statuisce l'obbligo di ricomporla fra un anno, troppo lungo ed esiziale alle libertà pubbliche.

II. La convocazione del parlamento napoletano dovea esser fatta tosto: cosi la vera espressione del paese avrebbe composto solennemente e facilmente molte opinioni e conciliata la importante quistione sicula. Il Ministero non ispirava fiducia pubblica


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ai siciliani; ma infondeva diffidanza governatila. A che dunque non si è affrettata la salutare convocazione delle camere? perché i ministri vogliono assumere delle sospette responsabilità?

III. Perché il governo ha trascurato il santo nodo di unione fra' popoli d'Italia? perché si è fatto cogliere alla sprovvista dai casi? perché non avea preparato un soccorso per Lombardia, perché non ha subito spedito un contingente dopo i casi importantissimi di Austria? Mi duole di avvolgermi fra tanti obblii di doveri!

IV. Perché il governo non previene i giusti reclami del popolo? Ho forse io d'uopo di accennato i singoli casi, e non sono questi noti a tutti? L'averli trascurati o sprezzati ha creato quelle intemperanze di opinioni, che si rendono più gravi ogni giorno. L'energia, la franca lealtà del governo eviterebbero delle collisioni, che non possono non offendere la dignità nazionale in faccia a noi, in faccia all'Italia.

Sorga dunque un nuovo ministero che non divida il governo dalla nazione; e rispettando le norme dell'atto sovrano dei 29 gennaio lealmente applicandole, convochi le camere di presente che adempiano le esigenze sincere dei popoli e non crei la necessità orribile delle dissensioni civili. Rispetto ed osservanza all'atto costitutivo del giorno 29 gennaio


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che solo è il nostro statuto; protesta contro l'atto ministeriale del giorno 10 febbraio, che malamente reca in atto le norme del 29 gennaio, dichiarazione del diritto intrinseco nelle camere di esaminar se l'atto ministeriale risponda alle basi sancite il giorno 29, e finalmente pronta convocazione delle camere sopra una elezione più larga in quella dei Deputati; ecco la mia professione di fede politica interna. Guardie nazionali di provincia armate, difesa militare interna e il contingente napolitano subito spedito in Lombardia; ecco la mia professione di fede per la politica italiana.

1848, 1 di aprile. P. E. IMBRIANI


(32) Pag. 232 — Ferdinando II ecc. — Visto il nostro Decreto de’ 24 marzo 1848 relativo alla convocazione de’ collegi elettorali per la elezione de’ Deputati.

Visto il programma presentato dal Nostro Ministero in data de’ 3 del corrente aprile sulla aggiunzione delle capacità e capi d'industria e commercio di che è parola nell'articolo 1 di quel programma. Considerando ecc. ecc.

4 aprile 1848. FERDINANDO

(33)Pag. 244 —«Avviso Interessante— La nomina de’ Pari può essere dannosa al pacifico progresso ed al bene della Patria;


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può essere ritenuta dai sofismi ministeriali come un mezzo di legare le mani ai deputati e con grave danno della Nazione. Quindi ogni buon Cittadino si guardi bene di nominare chiunque alla Paria e serbi sull'oggetto un saggio e dignitoso silenzio.»

(34) Pag. 256 — MINISTERO E REAL SEGRETARIO DI STATO DI GUERRA E MARINA.

Il sottoscritto prega il Signor Colonnello Cav. D. Carlo Colonna, Comandante la Guardia Nazionale a Cavallo della Capitale, di voler rimanere inteso che un mero equivoco fu quello che indusse a ringraziare il picchetto di detto Corpo che intervenne ieri al giorno alla funzione delle visite de’ Santi Sepolcri, alla quale assistette Sua Maestà e la Real Famiglia, e lo assicura che in ogni altra occasione si avrà cura di designare le Corporazioni militari che debbono intervenirvi onde non dar luogo a dispiacimenti, e massimamente al rispettabile Corpo della Guardia Nazionale a Cavallo, che serve tanto bene la nazione ed il Re. Se gli rassegna con somma stima.

Napoli 21 aprile 1848.

Il Ministro Segretario di Stato

della Guerra e Marina.

Del Giudice.



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(35) Pag. 289 — «PROCLAMA DELLA SUPREMA ALTA MAGISTRATURA CENTRALE DEL REGNO.

Cittadini — La libertà è un frutto squisito che non si coglie tra le spine che l'accerchiano, senza far sacrificio, e cruento sacrificio! Approntatevi armati ed unitevi immediatamente alla «aera legione del riscatto appena comparirà per le vostre contrade. L'ora di farci giustizia rivendicando i nostri sacri ed imperscrittibili diritti è per sonare. Tutti i buoni si pronunziino subilo, ed a viso svelato, col loro equipaggio di guerra, si mettano tra le fila de’ prodi che capitaneranno La Sagra Legione. — I militari di qualunque arma, gl'impiegati di ogni ramo di amministrazione saranno immediatamente fucilati, se ardissero mostrare o insinuare la benché minima resistenza: se poi concorreranno co’ mezzi tutti che sono già in loro potere, al gran riscatto, sarà tenuta generosa e giusta considerazione de’ loro servizi.

Le nostre fila sono rannodale per tutto il regno; la nostra corrispondenza con tutti i patriotti d'Italia, di Francia, di Spagna, d'Inghilterra ed altri luoghi si è ricambiata, ed in accordo universale noi a momenti ci solleveremo e col ferro vendicatore sguainato atterreremo per sempre il dispotismo. Il GRANDE ARCHITETTO DELL'UNIVERSO non fu sordo


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alle lagrime di tanti oppressi, ciriconcesse la luce smarrita e noi ci riconosciamo, e c'intendiamo nel piano e nell'indirizzo delle nostre operazioni — Uno il nostro grido di allarme, perché uguale in tutti è il diritto che revindichiamo— La Costituzione del 1820!!! Alle armi alle armi; il Cielo è stanco di vedere Sovrani e Ministri spergiuri, alle armi!!! E perché ogni governo provvisorio di ciascun luogo possa comportarsi con norma generale, e comune di giustizia per tutto il regno, finché il Parlamento Nazionale Costituente non avrà emesso le sanzioni opportune, ecco le norme che sono state accettate e sanzionate universalmente.

1.° Sarà severamente punito chiunque profittando dell'insurrezione profanasse la nostra Religione Cattolica.

2.° Sarà dichiarato pubblico nemico e come tale fucilato qualunque ecclesiastico che abusando del suo sacro ministerio, eccitasse i popoli al servaggio, in qualunque modo dissuadendoli dal prendere le armi per revindicare la costituzione del 1820 solennemente giurata dal Re, da' Vescovi, dall'armata, e da tutta la nazione, e che ci è stata repressa dalle arme Tedesche per tradimento usato dal Re spergiuro, e da pochi deputati e generali infami.

3.° Parimenti sarà dichiarato pubblico nemico  e come tale fucilato ogni capitano,

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ufficiale subalterno, sott'ufficiale, qualunque persona tiene cercando di armi, che non si rivolga a sostenere la Sagri Legione e non evita lo spargimento del sangue cittadino.

4.° Qualunque cittadino concorrere liberamente a somministrare vettovaglie, ed ogni altro mezzo di sussistenza alla Sagra Legione riscuoterà il corrispondente ricevo, e sarà indennizzato e premiato come merita dal Governo a misura che se ne avrà la opportunità.

5.° Chiunque Comandante della Sagra Legione non darà esatto conto de’ mezzi, e de’ sussidi ricevuti, a chi sarà di dritto, sarà come pubblico ladro condannato a' ferri per sette anni: i suoi beni saranno confiscati a prò de’ cittadini che dovranno essere indennizzati e premiati. Se poi per aver rivolto a suo particolare profitto alcuna cosa, fosse accaduto, che la sua truppa si sbandasse per languore sarà fucilato.

6.° Chiunque profittando dell'insurrezione si rivolgesse a private vendette con omicidio: attentasse all'onore delle famiglie, violasse le altrui proprietà come promotore di guerra civile schifosa e nefanda sarà immediatamente fucilato.

7.° Tutti i militari e tutti gl'impiegati che per la causa del 1820 Sodo stati destituiti, imprigionati, esiliati, ecc.


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 se prontamente si cooperino alla revindica di quella giurata costituzione saranno reintegrati e promossi ne' loro impieghi convenientemente all'antichità di servizio senza interruzione, e saranno dal tesoro nazionale indennizzati equamente per i danni sofferti sotto la tirannia.

8.° Tutti gl'impieghi, civili, militari, amministrativi, giudiziari, e benefici ecclesiastici saranno dati esclusivamente a coloro che concorrono co’ loro mezzi qualunque alla sacra revindica della non peritura costituzione del 1820, proporzionatamente alle loro capacità.

9.° La Guardia Nazionale è sacra perché rappresenta la sovranità del popolo, ma perché gl'intrighi del governo vi ha fatto intrudere parecchi birbanti, cosi tutti i buoni e veri Guardia Nazionale vestiti della loro sacra divisa si faranno il dovere di pronunziarsi coraggiosamente per la sagra legione, come parie integrale della stessa, ed i profani qualora non deponessero le armi immediatamente saranno fucilati.

10.° La sagra legione non è che una colonna mobile della Guardia Nazionale, che ristabilita la memorabile costituzione ritornerà al suo posto.

Fratelli scuotetevi e mantenete il vostro sagro giuramento! Cittadini alle anni, disperdiamo i nostri nemici, ed una volta per sempre sorgiamo liberi!

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viva Pio IX! viva la costituzione del 1820! mora il mal governo.

Data dalla suprema magistratura centrale del regno il 1° maggio 1848.»

(36) Pag. 303 — «A M. L'AMIRAL BAVDIN — Si nous avions un gouvernement national, qui eùt la volenté et le pouvoir d'agir et de parler en notre nom, il vous aurait dit la sympathie que nous inspire votre héroïque nation. Pour nous-méme aussi bien que pour vous, nous suivons avec une sollecitude estrème le développement de votre naissante République.

Par votre héroïque révolution, vous avez enseigné aux nations opprimées que la liberté ne manque jamais à ceux qui hasard ont tout pour l'obtenir. Les événements dont l'Italie septentrionale est le glorieux théâtre, acquerent chaque jour un nouveau degré d'intérêt.

Nos droits à votre fraternité reposent sur les traditions les plus glorieuses de votre histoire. Nous trouvons, dans votre intention de fonder vos institutions sur les bases les plus larges, un augure heureux pour notre destinée future.

En exprimant ces sentiments, nous sommes doublement heureux de les confier à un représentant de la France,


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qui par ses victoires aussi bien que par ses sentimens, forme l'orgueil de son pays. Naples 9 Mai 1848.

Pour le Peuple Napolitain

G. PEZZILLO»

(37) Pag. 301 — Dichiarazione dì Giov. Andrea Romeo—«Scritti incendiar) inondano la Città; voci allarmanti vanno spargendosi nell'empio fine di turbare l'ordine e la tranquillità della capitale, solite meno de’ compartecipi del caduto assolutismo, che lo schifoso spettro dell'anarchia voglion coprire colle sante parole di libertà e di eguaglianza.

Tutti i liberali sentono il dovere di smentire altamente ciò che la stampa anonima intende attribuir loro, e perciò proclamano e danno pubblicità ai seguenti principi:

1. Questo reame dover esser tetto da monarchia costituzionale;

2. Lo statuto dover esser riformalo non dalla intemperante stolta ed ignara calca, ma da' legittimi rappresentanti della nazione, che dal popolo libero eletti, liberamente avranno a stabilire le nostre sorti.

E siccome grave e solenne sarà questa prima legislatura, cosi chi osa turbarne la calma, sovvertendo l'ordine sotto qualunque pretestò, sarà dichiaralo


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e tenuto come nemico della patria e della vera libertà.

La guardia nazionale, cui è affidato il palladio delle nostre libere istituzioni, saprà reprimere ogni criminoso attentato all'ordine pubblico: riagagliardire, se è d'uopo, le sue fila.

Napoli 13 maggio 1848.

In suo nome ed in nome di tutti i liberali e del Comitato calabrese, che a tanto lo autorizza

GIOV. ANDREA ROMEO.»

(38) Pag. 304 —«I Deputati al Parlamento Nazionale si riuniranno sabato mattino 13 maggio alle 10 di francia precise nella sala municipale di Monteoliveto in seduta preparatoria.

Ella quindi è pregata ad intervenire.

Sig. N. N.»

(39) Pag. 309 — «Prometto e giuro innanzi a Dio e sopra i santi Evangeli di professare e di far professare, di difendere e conservare nel Regno delle due Sicilie la religione Cattolica Apostolica Romana unica religione dello Stato.

«Prometto e giuro di osservare e far osservare tutte le leggi attualmente in vigore, e le altre che successivamente lo saranno nei termini della connota costituzione del Regno.


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Prometto e giuro ancora di non mai fare, o tentare cosa alcuna contro la costituzione, e le leggi sancite tanto per la proprietà, quanto per le persone dei nostri amatissimi sudditi.»

«Da noi si assicura che la qui soprascritta formola è la sola che il Re accetta, ed unicamente per quest'assicurazione e non per altro oggetto da noi si sottoscrive — Conforti — Scialoja— Dragonetti — Manna — Troya — Del Giudice—liberti.»

(40)Pag. 318—« La Camera de’ Deputati provvisoriamente riunita reputa suo debito di rende« re quelle grazie che può maggiori alla gloriosa ed intrepida Guardia Nazionale di questa Città, ed a questo generoso popolo per la dignitosa e civile attitudine che ha preso per tutelare e guarentire la Nazionale Rappresentanza. Ma essendo l'intento, che tendeva al maggior ben essere della Nazione, stato pienamente conseguito, essa crede dovere invitare la Guardia Nazionale a fare scomparire dalla Città ogni aspetto di ostilità, col disfarne le barricate, acciò si possa inaugurare l'Atto Sollennissimo dell’apertura del Parlamento, senza alcuna, benché gloriosa, pur dispiacevole ricordanza. Da Monteoliveto, il mattino del di quindici maggio 1848. Il Vice-Presidente provvisorio — Vincenzo Lanza.»


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(41) Pag. 323 — Ferdinando II ecc. — Veduto il Programma per la inaugurazione ed apertura del Parlamento da celebrarsi nel giorno 15 maggio corrente;

Considerando che circostanze imprevedute impediscono che abbia luogo la pompa della inaugurazione medesima;

Udito il Consiglio de’ Ministri;

Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:

Art. 1. L'apertura delle Camere riunite, e la lettura del discorso della Corona avranno luogo in questo giorno alle ore due pomeridiane di francia nella sala destinata a' Deputati nel locale della Regia Università degli studi.

Art. 2. Il giuramento prescritto cogli art. 12 e 13 del Programma del 13 maggio corrente non avrà luogo.

Art. 3. Le Camere cominceranno a procederò alla verificazione de’ poteri; dopo la-quale verificazione i Deputati ed i Pari daranno il giuramento secondo la formula seguente:

Io N. N. prometto e giuro innanzi a Dio fedeltà al Re Costituzionale Ferdinando Secondo.

Prometto e giuro di compiere con massimo zelo e colla massima probità ed onoratezza le funzioni del mio mandato.


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Prometto e giuro di essere fedele alla Costituzione, quale sarà svolta e modificata dalle due Camere d'accordo col Re, massimamente intorno alla Camera de’ Pari, come è detto nel!' art. 5 del programma del 3 aprile.

Cosi giuro; ed Iddio mi ajuti.

Art. 4. Il nostro ministro Segretario di Stato Presidente del Consiglio dei Ministri, e tutti i nostri ministri segretario di Stato sono incaricati della esecuzione del presente decreto.

Napoli il di 15 maggio 1848.

FERDINANDO

(42) Pag. 332 — «Napoli 15 maggio — Signor Comandante — La Camera de’ Deputati unica rappresentante della Nazione è in permanenza, ed à destinato un Comitato di pubblica sicurezza. Con questa qualità, di cui si è data partecipazione al Ministero, il Comitato le domanda, perché il conflitto tra la truppa ed i cittadini sia sorto, ed insiste perché cessi sul momento ogni violenza. — Il Presidente Marchese Tupputi — «Al Signor Comandante della Piazza di Napoli.»

«Signor Generale — La Camera ha deliberato, in vista del messaggio ricevuto dalla sua parte, che il Generale Pepe Gabriele, ed il signor Avossa


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si rechino da lei, per intendersi oralmente sul modo di ristabilire la pubblica tranquillità che tanto ora interessa al paese— Napoli 15 maggio 1818 — Il Presidente Cav. Cagnazzi — Al Comandante la Piazza di Napoli signor Generale Labrano.»


(43)Pag. 333 — PROTESTA — «La Camera de’ Deputati riunita nelle sue sedute preparatorie in Monteoliveto, mentre era intenta a' suoi lavori ed all'adempimento del suo sacro mandato, vedendosi aggredita con inaudita infamia dalla violenza delle Armi Regie nelle persone inviolabili de’ suoi componenti, nelle quali è la Sovrana rappresentanza della Nazione; protesta in faccia alla Nazione medesima, in faccia all'Italia, l'opera del cui provvidenziale risorgimento si vuoi turbare col nefando eccesso, in faccia a tutta l'Europa Civile oggi ridesta allo spirito della libertà, contro questo atto di cieco, ed incorreggibile dispotismo; e dichiara che essa non sospende le sue sedute, se non perché costretta dalla forza brutale, ma lungi dal!' abbandonare l'adempimento de’ suoi solenni doveri non fa che sciogliersi momentaneamente per riunirsi di nuovo, dove, ed appena potrà, affine di prendere quelle deliberazioni che reclamate da' dritti del Popolo,


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dalla gravita della situazione, e da' principi della conculcata umanità e dignità nazionale.

Napoli 15 maggio 1818 in Monteoliveto. »

Sieguono le firme di numero 66 deputati.


N. B. Mancano le firme degli altri onorevoli Deputati per giungere a formare il numero di 98, al quale ammontava la Camera. Una Commissione di Deputati era stata inviata al Ministero, un'altra all'Ammiraglio Francese, un'altra al Maresciallo Comandante la Piazza di Napoli, le quali nel momento, che la Camera si scioglieva, emettendo la suddescritta Protesta, non erano tornate.


(44) Pag. 340—Dalla relazione officiale de' Commissari Svizzeri, togliamo le seguenti parole:

«Passant raaintenant aux résultats de nos enquêtes l'égard d'actes commis isolément par les troupes, nous aurons à mentionner ici avant tout les vols et le pillage qu'on leur impute. Nous commencerons par faire observer ici que ce ne furent pas les troupes suisses seulement mais aussi les troupes du pays qui prirent part au combat et aux perquisitions faites dans les maisons plusieurs heures durant: qu'elles étaient suivies par la populace qui volait tout ce qui se pouvait enlever.


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Dans les journées du 15 et du 16 Mai Naples présentait l'aspect d'un déménagement général; on ne voyait que meubles, ustensiles, objets de valeur transportés d'un cóté et de l'autre. Il n'y a qu'une minime partie de ces vols qui puisse être imputée aux troupes suisses, puisqu'elles ont été sous les armes jusqu'au 18, et que, — comme les colonels le croient, — il n'a guère été possible que des soldats quittassent les bivouacs. Que lors de leur entrée dans les maisons, ils se soient emparés d'objets de prix, la preuve en est dans le fait qu'avant l'inspection de leurs lits et havresacs, sur la sommation qui leur ce l'ut faite, ils remirent des montres et des joyaux; et les détenteurs de quelques uns de ces objets eurent à subir les arrêts forcés pendant plusieurs jours; toutefois, ainsi que nous le prouve le petit nombre de réclamations qui nous ont été adressées, celui de vols commis par les troupes suisses est peu considérable et on ne peut attribuer qu'à l'esprit d'exagération qui fait le fond du caractère napolitain, les descriptions des vols énormes qui doivent avoir été commis, déprédations que les napolitains désireux de disculper les gens du pays, les soldats et les lazzaroni, ont voulu mettre à la charge des suisses. La circonstance que les vols n'ont été exercés que sur des personnes innocentes dont les habitations


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avaient été occupes violemment par les insurgés, n'a pas peu contribué à faire rejeter injustement l'odieux des ces actes sur les troupes suisses.»

«Parmi les faits existants, un seul mérite d'être relevé à savoir le pillage du magasin de M. Melanjoie, attendu qu'il résulte des interrogatoires que les portes ayant été enfoncées, le magasin fui livré au pillage, parce que les soldats haïssaient le propriétaire. C'est là toutefois un exemple unique que les événements du 15 Mai aient été mis a profit pour satisfaire une haine privée.»

«Moins favorable aux troupes suisses, est en revanche le résultat de nos informations en ce qui concerne les actes de violence qui ont èté commis. Des portes et des fenêtres ont été brisées dans l'intérieur des maisons, les habitants traités avec dureté et trainés aux corps de garde. On peut toutefois alléguer comme excuse en faveur des troupes que la maniéré dont on combattait contre elles, l'usage de fusils à vent et de projectiles de tout genre, les coups portés par des ennemis cachés, ont dù les exaspérer au plus haut point, si l'on songe surtout que le service pénible avant le 15 Mai les avait déjà singulièrement' échauffés.»

«... On a de plus reproché aux troupes suisses divers meurtres, profanations etc; cependant, malgré toutes les peines que nous nous sommes données, de tout

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les cas signalés dans les feuilles publiques, nous n'avons pu constater qu'un seul cas de ce genre et nous avons la conviction que les autres sont de pures inventions ou que du moins ils ne sauraient ètre imputés aux régiments suisses. Ce cas présente néanmoins un caractère de gravite tel que nous croyons devoir nous y arrêter.»

«... 6 a 7 soldats quittèrent inaperçus leurs compagnons qui étaient dans la cour (del monistero S. Teresa dei Scalzi) et s'approchèrent d'un corridor au premier étage. Là, ils pénétrèrent dans une cellule d'où un jeune tailleur du couvent ayant voulu se sauver par la fenêtre, un coup de fusil le fit tomber mort dans le jardin dii couvent. Environ deux minutes après, on entendit un second coup de fusil dans une cellule voisine, coup qui donnait la mort au père Rodio lequel était là tranquillement, dans son habit de moine, sans Taire mine de vouloir s'enfuir. Il tomba au fond de la cellule: le meurtrier ne se trouvait qu'à deux pas de lui en sorte que le canon du fusil devait toucher presque la victime. Le pére Rodio portait ce jour là un mouchoir de couleur autour de la tète, ayant reçu la veille un coup de crosse au menton.»

«Le meurtre du tailleur, trouve en quelque sorte une excuse en ceci que les soldats croyaient tuer on lui


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un insurgé au moment on il s'échappait par la fenêtre; quant'à la mort du pére Rodio c'est un crime inexcusable, puisqu'il devait être reconnu comme moine et ne cherchait pas à fuir.»

Rapport des délégués envoyés extraordinairement par la Confédération dans le but de s'enquérir sur les événements du 15 Mai 1848 qui ont eu lieu a Naples, au Dìrecteur federal, du 30 Juillet 1848.

(45) Pag. 341 — Ved. la nota precedente.









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