Antonio Nicoletta ci ha inviato altre risposte di Granzotto ai lettori de "Il Giornale", una del del 4 gennaio 2002 e l'altra del del 20 novembre 2001. Ringraziamo l'amico e collaboratore per queste segnalazioni, la nostra intenzione è fare di questo sito un'opera corale a cui ognuno possa dare un contributo fattivo sia inviando materiale proprio sia inviando materiale di altri - ovviamente ci riserviamo il diritto a non pubblicare nel caso vi siano impedimenti di qualsiasi natura (copyright o altro).
Le risposte di Granzotto:
Caro webmaster, ti invio un altrocontributo tratto da "Il Giornale".
SalutiSeguo con molta attenzione la rubrica La parola ai lettori che lei dirige egregiamente e con imparzialità.
Le chiedo di voler cortesemente
pubblicare la presente, anche per una sorta di par conditio, per
replicare brevemente alla lettera a firma del signor Antonio Pagano di
Torri di Quartesolo (Vicenza) pubblicata sul Giornale del 16 febbraio
scorso il quale sostiene che i piemontesi avrebbero ammazzato centinaia
di migliaia di persone tra il 1860 e il 1870.
Non conosco le fonti storiche da cui
Il signor Pagano trae le sue convinzioni, ma devo dire che tali
affermazioni sono completamente destituite di ogni fondamento, in
quanto la lotta al brigantaggio provocò soltanto circa 7.000
(settemila) morti tra I poveri briganti finanziati e mandati allo
sbaraglio da Re Ferdinando Il di Borbone dal suo esilio dorato di Roma
che, con ciò, si era illuso di poter ritornare al potere.
E’ giusto commemorare tutti I
morti di tutte le guerre ed è giusto ricordare I caduti della
lotta al brigantaggio, specie quelli meridionali, ma è
altrettanto giusto ricordare anche quei poveri e giovani soldati
piemontesi ai quali i briganti al soldo di «Franceschiello»
tagliarono la testa senza che avessero fatto nulla per meritare
quell'orrenda fine.
Il Risorgimento e l'Unità
d'Italia portarono ai meridionali la libertà e il rispetto dei
diritti dell'uomo, che erano stati conculcati sotto il poliziesco
regime borbonico: questo è il motivo per cui il Mezzogiorno
d'Italia non ha alcuna nostalgia per il Regno delle Due Sicilie,
Indipendentemente da tutte le altre recriminazioni di carattere
economico e politico che pure erano e sono fondate.
Quali sarebbero le sue fonti, caro L_? Dagli atti parlamentari risulta che nel solo anno 1863 si ebbero 2mila 413 «briganti» uccisi in combattimento, mille e 38 fucilati dopo la cattura e 2milà 768 condannati all'ergastolo (i reclusi - oltre 70mila - crearono tanti di quei problemi al governo che il primo ministro Luigi Menabrea dispose di acquistare un lembo di terra in Patagonia per farne colonia penale e deportarvi i duosiciliani). E lasciamo perdere, per carità di patria, i diritti dell'uomo.
Le dice niente la Legge Pica? Essa autorizzava la fucilazione immediata
a chi si opponeva ai piemontesi, i lavori forzati a chi dava ricetto ai
ribelli, il domicilio coatto per i sospetti. Il Diritto, un giornale
piemontese - ripeto: piemontese - scrisse che la Legge Pica
«sotto il velo di mentite sembianze nasconde uno stato
d'assedio».
L’8 maggio del 1863 (la Legge Pica era stata appena promulgata)
sir Henry Lennox dichiarò alla Camera dei Lords che sebbene
avesse attivamente contribuito all'Unità d'Italia, l'Inghilterra
non poteva far finta di ignorare «i delitti che i Savoia stanno
commettendo nell'ex Regno delle Due Sicilie».
Quando per protesta si dimise (assieme a Guerrazzi, Saffi, Cairoli) da
deputato, Giovanni Nicotera tuonò, in Parlamento: «il
governo borbonico aveva per lo meno il gran merito di preservare le
nostre vite e le nostre sostanze. È un merito che l'attuale
governo non può certo vantare. Le gesta alle quali assistiamo
possono essere paragonate a quelle di Tamerlano, Gengis Khan o
Attila».
In quanto poi alle teste mozze, legga questo telegramma inviato da un
ufficiale piemontese in servizio «antibrigantaggio» al suo
diretto superiore: «Catanzaro 13 luglio 1869 - Ill.mo Generale
Sacchi, la testa di Palma (nome di battaglia di Domenico Strafaci) mi
giunse ieri al giorno verso le sei e mezzo. E una figura piuttosto
distinta e somigliante a un fabbricante di birra inglese. La testa l'ho
fatta mettere in un vaso di cristallo ripieno di spirito, e chieggio a
Lei se vuole che la porti così per farla imbalsamare, non
essendo capace nessuno di fare tale operazione. Nel caso affermativo me
lo faccia prontamente sapere. Si sono fatte delle fotografie della
testa e se riescono bene gliene spedirò un certo numero.
Firmato: il Comandante della zona militare Colonnello Milon».
Come vede, questi valenti soldati inviati nel Meridione per riscattarlo
dalla bestiale tirannia borbonica portandovi civiltà e cultura,
non solo avevano il civile vezzo di decapitare la gente, ma addirittura
quello di conservare sotto spirito il macabro trofeo.
L'Italia è stata fatta e noi ne siamo lieti e orgogliosi, caro
Latrofa. Però è stata fatta anche coi modi e i metodi dei
colonnello Milon e siccome siamo diventati grandicelli, è ora
che se ne prenda atto.
Esempio di lotta al «brigantaggio» dell'esercito del Savoia.
Catanzaro 13 luglio 1869. Il comandante la zona militare annuncia con telegramma l’uccisione del «brigante» Domenico Palma.
«Ill.mo Generate Sacchi, la testa di Palma mi giunse ieri al giorno verso le sei e mezzo. E una figura piuttosto distinta e somigliante ad un fabbricante dl birra inglese. La testa l'ho fatta mettere in un vaso di cristallo ripieno di spirito, e chieggio a Lei se vuole che la porti così per farla imbalsamare, non essendo capace nessuno di fare tale operazione. Nel caso affermativo me lo faccia prontamente sapere. SI sono fatte delle fotografie della testa e se riescono bene gliene spedirò un certo numero. Colonnello Milon».
Ho riportato questo scritto solo per confermare un vecchio luogo comune. Non esistono «santi liberatori» in questa Terra...
Che graziosi trofei andavano raccogliendo questi apostoli di civiltà e di cultura, caro S_. Questi valenti piemontesi inviati nel Meridione per riscattarlo dalla bestiale tirannia borbonica portandovi civiltà e cultura, ivi compreso il vezzo di decapitare la gente e conservare la testa sotto spirito. E bravo il generale Sacchi. E bravo lo zelante colonnello Milon.
Il quale pare stupirsi per l'aspetto «piuttosto distinto»
di Domenico Palma, ma senza esagerare, perché sempre bifolco e
brigante era. Insomma, non proprio somigliante a una scimmia, come ci
si sarebbe aspettato da un calabrese, ma nemmeno a un confezionatore di
gianduiotti torinese. Agli occhi del colonnello, il Palma pareva giusto
un mercante di birra inglese. Non esattamente feccia, quasi.
In un libro, scritto, se la memoria non m'inganna, da Salvatore
Scarpino, una autorità sul brigantaggio, avevo letto delle gesta
di Domenico Strafaci detto il Palma, anche se mi par di ricordare che
finì i suoi giorni nel carcere di Portoferraio, con la testa
sulle spalle, si presume. Conosciuto, per la generosità d'animo
e il tratto signorile come il “brigante galantuomo”, il
Palma era uno dei capi della resistenza calabrese e in tale veste diede
filo da torcere all'esercito d'occupazione, quello, appunto, che era
venuto a portare, sulla cima delle baionette, la liberta, la
civiltà e l'allegra costumanza di conservare teste mozzate in
vasi di cristallo.
Ma era il Palma anche uno sciupafemmine e finì per pagar cara la
sua inclinazione a correr dietro alle donne. Una delle sue amanti aveva
nome Maria Brigida, brigantessa anch'ella e vogliosissima d'incastrare,
sposandoselo, Domenico. II quale non ci pensava per niente di unirsi in
matrimonio, con Maria o con qualsiasi altra.
Fatto sta che la brigantessa, inviperita come può esserlo una
donna che si sente rifiutata, mollò la resistenza, scese dalla
montagna e cominciò a frequentare un membra della Guardia
nazionale. Nella cui casa, ma guarda tu il fato, Domenico Palma
cercò rifugio dopo un furioso combattimento con i piemontesi. Al
termine di lunga trattativa accompagnata da non poche minacce,
riuscì a impossessarsi di due cavalli sui quali, assieme at
fidato compagno Vulcano, prese il volo senza sospettare che nel
frattempo Maria aveva allertato i militari (il colonnello Milon?) che
guidò all'inseguimento dei fuggiaschi. Finì male: nello
scontro 1'ex brigantessa venne colpita e mori dissanguata. Vulcano fece
la stessa fine.
Domenico Palma, gravemente ferito, fu i'atto prigioniero. Ma non
dovette sopravvivere a lungo se la sua testa, decollata, giunse al
colonnello Milon verso le sei e mezzo del 13 luglio 1869.
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