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IL SOLE e IL PARLAMENTO due giornali nella Napoli luogotenenziale di Zenone di Elea (20 Luglio 2019)

IL SOLE – GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA

dal N. 16 al N. 29

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IL SOLE GIORNALE
POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
dal N. 1 al N. 15
IL SOLE GIORNALE
POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
dal N. 16 al N. 29


Anno I – N° 16 Napoli—Domenica 18 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

Quando il debito che un governo contrae serve per una pubblica utilità esso è utilmente contratto. Ma quando questo debito si contrae per consolidare la libertà, l’indipendenza di una Nazione, e serve ad aprire le fonti della ricchezza nazionale esso non solamente è indispensabile, è necessario.

In questa categoria si trova il novello debito italiano, e la più grande parte del debito delle antiche provincie piemontesi dopo del 1848.

Non cosi dei debiti contratti dagli altri stati d’Italia. — Essi sono serviti non per opere pubbliche, ma per impinguare i tiranni con i loro satelliti: non per sostenere e difendere gl'interessi nazionali, ma per sostenere e difendere gl’interessi antinazionali d’una potenza ch’è la naturale nemica dell'Italia. In parte questi debiti sono il ribaltamento di quella pessima amministrazione di cui siamo stati vittime per il Corso di tanti anni.

Ed ecco lo specchio di tutti i nostri debiti espressi in lire italiane e per la loro rendita.



 Provincie Rendita
Piemonte 63.836.256.05
Napoli 26.003.633.50
Sicilia 7.650,090.00
Toscana 5,865,784.00
Lombardia 7,531,158.53
Modena 811,634.42
Parma 610,453.95
Bologna 121,500.00
Totale lire 112,430,446.45

In questa enorme massa di debito pubblico le provincie piemontesi vi figurane per la metà, Napoli e Sicilia per un quarto, ed il resto per un altro quarto.

Or benché il debito piemontese sia il più vistoso pure è stato il più utile, anzi potremo dire, è stato esso solo utile.

È per effetto di quel debito che l’Italia al 1848 al 1849 ed al 1839, si è riscossa contro il giogo straniero: è per effetto di quel debito che l’Italia fu nominata ufficialmente la prima volta in Parigi in un congresso europeo e dove si riconobbe e si stabilì esistervi una quistione italiana. Infine è per effetto di quel debito che l'Italia oggidI non è più un'espressione geografica, ma una espressione politica per cui dice essere una potenza di primo ordine.

All’opposto il nostro contingente, per la maggior parte almeno, la dotazione che noi apportiamo sul debito pubblico nel bilancio italiano rappresenta un vergognoso pagamento a'  soldati austriaci. che vennero in Napoli per sostenere lo spergiuro d un re di stirpe fedifrago: rappresenta un assegno annuo a Mercenarii Svizzeri e Bavaresi: rappresenta la pessima amministrazione che produceva ogni anno un deficit sul bilancio: rappresenta vergognose disfatte e sanguinosi insulti ed umiliazioni che lo stato autonomo delle Due Sicilie riceveva da chiunque e sempre. Rammentiamoci dell'affare de’ Zolfi di Sicilia, l'affare della banca dei Tavoliere di Puglia con l'Olanda.

Per la qual cosa la nostra quota di debito comunque inferiore a quella piemontese per cifra numerica, è di quella molto più grave e pesante.

L’utilità dell’imprestito consiste nello scopo che uno si prefigge di conseguirne adoperandolo, siccome è stato detto. Il novello imprestito contratto e che forma il nucleo dei Gran Libro italiano ha una grande importanza.

Questo debito giusta il Decreto discusso e sanzionato dal nostro Parlamento è di 500 milioni che a norma del medesimo Decreto dovendo essere effettivamente 500 milioni, diremo, riguardando al prezzo di rendita del 70,50 una rendita di 334 mila609:92. Somma che unita all’antico debito delle provincie italiane dà un complessivo di 112,785,066:37 che costituirà, quindi innanzi, l’ammontare del Gran Libro italiano.

Questa somma pare spaventevole. Ed invero in sé stessa considerata è considerevolissima.

Ma la quantità del debito pubblico non si misura assolutamente in sé, ma in rapporto del Bilancio. E quindi si dirà gravoso un debito, allorché esso oltrepassa una certa proporzione.

Questa verità finanziera è per gli Stati perfettamente come lo è per gl'individui. Infatti se un indiiduo guadagna 100 e deve pagar di debiti 30 ed un altro guadagna 1000 e non paga di debiti altro che 100. è chiaro che nonostante che il debito 100 fosse pili grande del debito 50, pure il primo pagando la metà di quel che introita paga enormemente: ha un debito grandissimo relativamente al secondo il quale non paga che la decima parte di quel che guadagna.

Ora la sopraesposta cifra del nostro debito è grande per sé stessa ma è nulla in confronto del nostro bilancio avvenire.

In fatti questo bilancio secondo che risulta da tutte le legittime previsioni, come vedremo, non potrà essere meno di 600 milioni di lire.

Onde noi per vedere la effettiva altezza del nostro debito lo paragoneremo con quelli della Francia e dell’Inghilterra che sono te due più grandi potenze incivilite, e che per la causa del progresso e dell’incivilimento speriamo che staranno sempre unite in alleanza coll'Italia.




FRANCIA — Introiti 1,835,854,379  fr.
Debito 560,118,676
INGHILTERRA Introiti 66,286,995 L. It.
Debito 22,075,130
ITALIA — Introiti 600,000,000 L.
Debito 112,783,056

Da questo specchietto si vede che: Per la Francia il debito è meno del. terzo, ma un poco più del quarto degl’introiti.

Per I Inghilterra il debito è quasi imi terzo degl'introiti.

Per l'Italia il debito è meno del quinto degl’introiti presenti.

In conseguenza benché il nostro debito per sé stesso sia considerevole, pure è il minore, poiché la sua proporzione col bilancio attivo è molto tenue in confronto di quella della Francia e dell'Inghilterra. D’altra parte se noi consideriamo le cose dai lato che Ci riguarda più direttamente, vedremo che per queste proviene napolitane in uutlao quasi nullo viene cambiata l'antica proporzione! infatti gl’introiti di Napoli e Sicilia, complessivamente erano, esprimendoli in lire…………………………………………….. 152,000,000.

Il debito, espresso in lire riunendo il Napolitano


ed il Siciliano è di L. 33,653,633.

E perciò si vede che costituiva un poco più del quinto, ora col far parte del Regno italiano la sua quota parte fa si che per il debito pubblico le provincie meridionali spendono meno del quinto: dunque anche sotto questo rapporto vi sarà per noi un vantaggio avvenire.

Per tali considerazioni e per le rapportate verità finanziere incontrastabili né è derivata questa ultima deduzione perfettamente essa pure' incontrastabile. È dunque da commiserarsi la cecità e I ignoranza di coloro che si spaventano del cosi detto debito piemontese, e che balordamente van ripetendo che noi dobbiamo pagare r ed è da dispregiar sdegnosamente quei nemici della patria nostri rigenerazione, i quali ancorché comprendano la verità delle cose, malignamente vorrebbero Usufruire della balordaggine degl’ignoranti.

IL REALE ALBERGO DEI POVERI

L'Albergo dei Poveri fin dalla sua prima origine nel 1751 ebbe per scopo di accogliere o vecchi e storpii da soccorrere, o fanciulli poveri da educare. Le fabbriche di questo vasto istituto furono il prodotto delle offerte della classe più agiata di quella epoca che sommarono sino a D. 10186 l'anno: oltre ad alcune altre dotazioni dello stato: finché alla soppressione dei luoghi Pii molte rendite si accantonarono a favore del R. Albergo.

Veramente nel 12 marzo 1781 si fu in grado di attuare l'opera pia; e nel 1787 vi erano rinchiusi 883 poveri, cioè vecchi e storpii N.° 118, vecchie e storpie N.° 171, Donne 130, fanciulli 161, dei quali 75 a pagamento.

Sin d'allora però si facevano domande per soccorso, poiché i mezzi raggranellati dai D.6 di entratura, e carlini tre mensuali dall'associazione alla detta opera, dalle questue, dagli assegni del Monte Frumentario dei Banchi, e della Tesoreria e dai proventi dei Legati particolari; non sopperivano ai bisogni dell'opera poiché si faceva conto di un carlino al giorno per ogni individuo. Le offerte delle ricchissime mamimorte, del Principe d'Asporias si spendevano per le fabbriche che dal 1751 al 1787 importarono ducati 844,947:49.

È degno di osservazione che l'opera cominciò subito a dare un prodotto da potersi intitolare pia casa di lavoro, poiché gli uomini con i lori travagli dava no un utile di D.1075: 1 ½ l'anno, e le donne benché distratte in altri servizii davano D.370; 17.

Si apprendeva nello stabilimento oltre il leggere e scrivere; far dei conti, e lingua latina; vi erano l'arti, di sartori, tessitori, calzolai, salassatori, barbieri; i quali non appena istruiti, s'allogavano, inviandosene in Provincia; ne riuscivano impiegati di Banco, e professori di scienze, consentendosi loro studiarle fuori il pio luogo, e si mandavano sino a Montpellier per la Veterinaria. Sin d'allora vi s'insegnava con profitto la musica.

Il pio istituto progredi maravigliosamente per molti anni e nel 1804 vi s'installava la Fonderia di Mergheri, nel 1806 i telai di Marino Conte a navetta volante all'uso di Francia, e nello stesso anno la fabbrica di vetri, e cristalli e quella dei coralli. Nel 1826 l'Albergo raccolse gli Ospizii di Sales, dei SS. Giuseppe e Lucia, della Madonna dell'Arco, e della Cesaria e di Loreto nel 1817 e della Fede nel 1818. Nel 1817 o in quel torno l'Albergo prese veramente la forma di un'Opera, di una Amministrazione specifica con apposito stato discusso; e con una famiglia di 2000 individui bilanciava per i suoi bisogni una rendita di duc.130,000. Gli fu ancora attribuito con decreto del 1.° Giugno 1819 l'assegno di duc.20,000 annui sul doppio dazio del Bolletto a compire almeno il lato sud del parallelo gramma ideato dal Fuga, modificato dal Vanvitelli.

Stimandosi poter rendere utili sempre il disfare e due li a e sciupata; com Essi hanno bisogno di pace, per potersi raccolte nel pio istituto, nel 1816 si pensò introdursi lavori di fuso e di refe d'ogni sorta: nel 1818 le telerie – nel 1827 la stamperia – nel 1829 le sole. Ma poiché tutte queste arti e tutte qu a cui fu sobbarcato il Pio luogo non furono coordinate con quel logico intendimento di rendere il maggiore dello spesato, un vuoto di 800 fu il risultamento. – Nel 1831 si procurò di riordinare l'amministrazione e vi fu introdotto il lanificio e nel 1833 le incisioni di punzoni di stampa, ma sia per lusso di opere rifluenti ad accrescere lustro personale, sia per coprire all'occhio dello straniero il crescente pauperismo della città, la famiglia crebbe a 5000 individui con la rendita di 200,000 ducati: nel 1841 perché oppressa l'Opera da 8000 individui, con altro decreto la rendita fu portata a duc.250,000; ma per le male arti degli adepti, per quanto furbi altrettanto rapaci e disleali, l'opera si ebbe un vuoto spaventevole da minacciare l'esistenza della Istituzione.

Nel 1843 si pensò ad una riforma radicale e ad un Sopraintendente e tre Governatori si surrogò un Conisiglio di 6 Governatori; si formò un regolamento, e si stimò opportuno ridurre la famiglia, stabilendo che solo i vecchi e ragazzi della città e provincia di Na poli avessero dritto a questo istituto di beneficenza, poiché simili opere doveano essere istituite per ciascuna provincia. Nello scrutinio dello Stato attivo e passivo dall’Amministrazione per le moltiplici obbligazioni a soddisfare un vuoto di 210,000 ducati che per ammortizzare dopo molte discussioni dal novello Governo si deliberò vendere più partite di"iscritta del Gran Libro sino alla somma di D. 15000, e pegnorare 5000 di rendita, che a via di tempo si sarebbero indennizzati col risecare ogni anno ducati 2000 risultanti da D. 7000 annui di risparmio sugli impiegati e D. 1300 su diversi altri rami dell'Amministrazione. Si rivolse perciò il primo pensiero agl'impiegati e facendone una quadruplice Categoria; si ritenne come necessaria la prima Classe, mise in disponibilità la seconda col 3 del saldo da richiamarsi nel bisogno, si diede pensioni alla 3.° per equità e per giustizia, e si espulse la 4.° come un fuor d’opera.

E N.° 59 rimasero nella 1° Classe senza tener conto del ramo disciplinare, 20 nella 2.° Classe 23 nella 3. Classe, e 57 nella 4.°

Ognuno avrebbe troppo ragionevolmente sperato alla novella Amministrazione riformatrice, la quale dotta iel passato, e con uno stato discusso, che fu il secondo dopo quello del 1817, poiché nel 1827 vi fu appena un progetto, con una rendita di D.250,000 e con le norme discusse e sanzionate in Consiglio avrebbe potuto e dovuto riuscito a corto e prospero fine. Disgraziatamente l'esito non corrispose alle speranze e la discordia messa tra i Governanti da coloro, cui pur tornava utile, fu la causa principale di maggiori rovine.

Lo stato discusso rappresentava una posizione non vera, i capitali della venduta rendita non furono più appianati; l'economie fatte sopra speciali rami andarono distrutte secondando le pretese dei richiedenti; s'intrusero novelli impiegati, senza tener più conto delle classificazioni stabilite, e tra gratificazioni, ed assegni, tra anticipazioni di vistosi capitali a piccoli sconti assicurati sulla vita dei godenti ogni giorno più rovinava l’oberato patrimonio.

I fondi Urbani in un flagrante irreparabile deperi mento, mentre una buona parte delle rendite di essi era assorbita in rifazione di opere spesso inesistenti, o tassate per doppi esiti; i fondi rustici nell'estaglio, fatti segno di collusione infamissima per premio depositato di più migliaia.

L'Opera interamente fuorviata; l'istruzione distrutta; le arti venute mano a mano annientate; la famiglia demoralizzata, ammessi per alunni non più i veri accattoni,9 i vecchi o storpii ma molti per favori da tenere lo stabilimento solo per ricovero; gli alunni ignoranti ed oziosi restare nello Stabilimento per non avere game provvedere al loro mantenimento; ammogliarsi e vivere essi ed i figli a spese dello stesso; tra questi i protetti fattisi sgabello dell'altrui oppressione sono divenuti agiati, o per lo meno si sono tanto ben pasciuti del pane dei poverelli da menare una vita molto comoda e lussosa.

Per ultima rovina un debito di duc.91000 da soddisfare e due 15 mila di rendita è andata sciupata: ducati 3000 di rendita pignorata; sommanti integralmente a duc.421mila; a cui se si volesse giungere di moltiplico di 45 anni di economia divorata e che si dovea metter in serbo si avrebbero cifre favolose marere, in ducati 320,000 ed un totale di ducati 811,000 calcolati alla minima ragione del 5 %; a ciò oltre alla rendita assottigliata a ducati 235,000. la famiglia mancante del vestiario ed il Casermaggio in deperimento.

Questo era lo stato della Pia Opera nel 1860.

ONORE AL REGNO DI ITALIA

– Togliamo dal giornale danese il Dagbladet il seguito della narrazione degli onori impartiti all'inviato italiano lungo il suo viaggio:

– L'ambasciatore del re d'Italia, marchese di Torrearsa, recossi martedi mattina da Copenghen a Korsoer col convoglio straordinario. L’accompagnavano l’ajutante generale di campo di S. M. generale Fenmark, l'incaricato d’affari d'Italia marchese di Migliorati, il suo segretario cavaliere San Martino e l'aiutante di campo di S. M. capitano Moltke, addetto all'ambasciatore durante il suo soggiorno in Danimarca. Dopo essere stato a Korsoer l'oggetto di una ovazione solenne, presieduta dal sindaco della città, il marchese recossi a bordo del piroscafo Schleswig, cui S, M, il re avea ingiunto di surrogare il falcone (naviglio di minori dimensioni e di tre celerità) per trasferire l'ambusciatore al soggiorno attuale di S. M. a Soehderborg.

Passando verso mezzodì, dinanzi alla città di Svendborg sulla costa meridionale della Fionia in mezzo a luoghi amenissimi, ove la natura spiega quanto ha di più delizioso, l'ambasciatore ebbe nuove prove di simpatia, piena dell'entusiasmo che si nutre in tutta Danimarca per l'Italia. La città vestita a gran festa e adorna dei suoi colori nazionali, avea assembrata tutta la sua popolazione sulla riva; e, mentre salutava il passaggio dell'ambasciatore a nome degli abitanti, gli echi sonori delle isole vicine ripetevano nove volte un fragoroso evviva, in onore della libertà d'Italia. Lo stesso giorno alle quattro e un quarto del pomeriggio, giunse a Soehderborg, ove l'attendeva il maresciallo della corte di S. M. accompagnato dal suo cavaliere, per condurlo con un reale equipaggio al palazzo destinato a riceverlo. Vi era stabilita una guardia d'onore con un ufficiale d'ordinanza a disposizione dell'ambasciatore.

Alle cinque, l'ambasciatore fu ricevuto all'udienza di S. M. il re, in presenza del ministro degli affari esteri e della corte reale. Dopo aver presentate le sue lettere di notificazioni a S. M. intervenne l'ambasciatore a un gran pranzo di gala, dato nella sala pomposamente decorata del palazzo di città. S. M. il Re fece un brindisi in francese a suo fratello e amico il re d’Italia.

Quel brindisi proferito con entusiasmo, fu accompagnato da una triplice salva di 27 colpi di cannone, e secondo la consuetudine danese, da un fragoroso hurrà nove volte ripetute. Il marchese Torrearsa rispose a quel brindisi con un altro portato a S. M. il re Federico VII, che seguì egualmente in mezzo al fragore di una salva reale. Il domani S. M. il re si compiacque di mostrare al marchese le alture di Dybboel. Il monarca ve lo condusse colla sua propria carrozza er far gli vedere le nuove batterie, dopo di che i dintorni risuonarono d'una triplice salva dall'alto di Dybboel in onore del re d'Italia. Si ritornò alla residenza di S. M. per asciolvere.

S. M. conferì da prima la gran croce dell'ordine di Danebrog all’ambasciatore, la croce di commendatore al marchese di Migliorati, la croce di cavaliere di esso ordine al cavaliere San Martino.

Il piroscafo Schleswig ricondusse a Korsoer, l'ambasciatore, che di là arrivò lo stesso giorno, alle 10 ¼ di sera, alla stazione di Copenaghen, ove l'attendevano le reali carrozze, il domani l'ambasciatore assistette a un gran pranzo animatissimo, dato in suo onore dal ministro degli affari esterni. I giorni successivi della sua dimora nella capitale saranno celebrate da feste presso i diversi membri del corpo diplomatico. Abbiamo ancora da soggiungere che il marchese di Torrearsa sembra aver fatto la più favorevole impressione su tutti coloro che ebbero rapporti con lui; e da tutte le parti s'intende dire unanimamente che il re d'Italia non avrebbe potuto essere più felice nella scelta fatta dell'uomo incaricato a notificare nel Nord la costituzione del nuovo regno d'Italia.

Il colonnello Peard, al banchetto tenutosi in Inghilterra in suo onore, pronunciò un lungo discorso stille cose d'Italia, a cui toglia mo li seguente passo:

Io credo fermamente che il trovarsi la Venezia in mano all'Austria è un gran mezzo di consolidare il regno d'Italia, Gli Italiani ora non hanno bisogno di combattenti. Essi hanno bisogno di pace, per potersi organizzare: essi hanno bisogno, come dissi, di scuole, di ferrovie per poter comunicare, per far che le popolazioni si conoscano; essi hanno bisogno di sviluppare le risorse del paese, il bisogno di migliorare il popolo col promuovere e recare ad effetto buoni provvedimenti.

Non appena il generale Peard ebbe finito il suo discorso, l'assemblea mandò un forte e cordiale evviva all’Italia.

Lettera di ringraziamento diretta al generale Garibaldi dal Municipio di Milano pel dono del suo ritratto.

Generale!

Il Comune di Milano, che va altera di poter chiamarvi suo cittadino, accolse con affettuosa riconoscenza il dono del vostro ritratto che vi piacque inviargli fregiato del glorioso vostro nome.

È un nome che suona sgomento a tutte le tirannie, conforto a tutti i popoli che soffrono e aspettano, e poi, coi fratelli non anco redenti, siamo sicuri di acclamarlo in mezzo a novelle vittorie, quando a compiere il riscatto d’Italia ci chiamerà la voce del più leale dei Re.

Generale, fra i fervidi voti che vi circondano, aggradite quelli del Comune di Milano, e permetteteci a un tempo di confermarvi personalmente i sensi della nostra profonda devozione.

Milano, dal Palazzo del Comune, 6 agosto 1861.

MONUMENTO CAVOUR

Il sig. Williams H. Webb di Nuova York ha sottoscritto per lire cinquemila al monumento Cavour, e ne ha informato il signor ministro della mafia colla seguente lettera:

«Turin, 10 aout 1861.

«M.r le Ministre de la Marine

«Le caractère élevé et la vaste intelligence du feu comte de Cavour, aussi bien que son dévouement aux intérêts de son pays, ont produit sur moi une impression si profonde et si durable pendant mes négociations avec lui au sujet de la construction des frégates blindées à New-York, que je désire apporter mon témoignage et honorer avec ses concitoyens son grand mérite.

«J'ai par conséquent, monsieur le ministre de la marine, à vous prier respectueusement de Souscrire en mon nom pour, la somme de cinq mille francs, payable aussitôt qu'elle sera réclamée, et applicable à l’érection d'une statue en honneur et commémoration du feu comte de Cavour.

«Veuillez agréer, monsieur le ministre l’assurance de ma haute considération.

«WILLIAM H. WEBB.»

FATTI DIVERSI

– Negli Stati Uniti d'America fu applicato per la prima volta l'uso della telegrafia e della areostatica a un tempo.

Il professore americano Lowe, innalzatosi sopra un pallone in vicinanza di Washington, spedi al presidente Lincoln col mezzo del filo telegrafico il seguente dispaccio;

«Signore! Da questo punto di osservazione io domino un area di circa cinquanta miglia inglesi in diametro. La città colla sua cerchia di trincee presenta un magnifico spetta colo. Son lieto assai di spedirvi il primo dispaccio telegrafico da una stazione aerea, e vi ringrazio dell'opportunità offertami di applicare l'aerostatica ad un servigio di guerra in pro della patria.»

– Il palazzo della regina del Madagascar è un vasto edifizio di legno avente un pianterreno, altri due piani, ed un tetto elevatissimo. I piani sono circondati da larghi poggiuo li. Intorno all'edifizio vi sono pilastri di legno, alti 80 pie di, sostenenti il tetto, che riposa nel centro sopra un pilastro alto 120 piedi. Tutti questi pilastri, senza eccettuare il centrale, son fatti d'un solo albero. Quando si pensi che i boschi da cui si estraggono questi alberi son distanti 50 o 60 miglia dalla capitale, e che le strade sono così maltenute da non poter circolare; se inoltre si consideri che que sti alberi sono trasportati senza macchine, senza bestie da soma per sola forza d'uomini, s'avrà un'idea della magnificenza del palazzo che si può collocare fra una delle meraviglie del mondo. Per trasportare l'albero centrale ci vollero 5000 uomini, e per innalzarlo s'impiegarono 12 giorni.

Durante la costruzione del palazzo, 45.000 uomini morirono per causa di lavoro e mancanza di nutrimento.

– È stato pubblicato in Firenze un libretto sulla pubblica sicurezza, piccolo di mole (sono 29 facce) ma importantissimo per la materia, svolta con pacata discussione e con pieno conoscimento di causa. Esso è diviso in tre parti. Nella prima si discorre dell'antica polizia toscana, incominciando dal granduca Leopoldo I che (ottimo principe in tutto il resto) aveva una grande predilezione per le spie, le quali, lui regnate, ottenebrarono la Toscana, come le locuste d'Egitto, seguito in ciò soltanto da suoi successo. Caduta la stirpe lorenese, cadde col plauso universale anche la polizia odiatissima, a cui subentrarono i reali carabinieri, le cui incombenze politiche furono, poco stante, divise con la guardia di pubblica sicurezza.

Nella seconda parte si ragiona del numero insufficiente delle guardie di Toscana.

Nella terza, delle imperfezioni della legge onde son governate non solo le guardie toscane, ma di tutto il regno, e qui trovammo considerazioni importantissime e sensatissime, da meritare la più seria attenzione del governanti, trattandosi di cosa che altamente preme ad ogni ordine di intorno a tutti gli oggetti che sostituiscono le abitazioni cittadini. Ne facciamo dunque pro i rettori dello stato e si studino sopra anche le guardie stesse; e segnatamente gli ufficiali a cui raccomandiamo la lettura di questo discorso, quanto breve, quanto soccorso.

– Tra le amenità regalateci dai giornali clericali ci sembra meritare speciale osservazione un articolo del Monde, nel quale si dice che tutti i difensori della patria ebbero in tutti i tempi dai tiranni nome di briganti. Per verità il Monde comincia coll'attribuire alla sola rivoluzione questo brutto vizio di cangiare il significato delle parole, ma poi trascinato dal suo entusiasmo per quell'eroico Chiavone, arriva fino a metterlo in compagnia di Leonida e dei Maccabei, i quali, se non c'inganniamo, non hanno combattuto: mai la rivoluzione. Insomma per il Monde Leonida, i Maccabei, Guglielmo Tell, Lescure, Charrette, Bonchamps, Mina e Chiavone sono eroi del medesimo stampo. Peccato che il giornale clericale non abbia aggiunto alla onorevole compagnia Mammone e Fra Diavolo!

ROMA

– La Presse commenta in questo modo la recente smentita del Constitutionnel:

ll Constitutionnel apprende oggi non essere una guarnigione mista franco-italiana quella che deve surrogare il nostro corpo a Roma. Ciò poco importa.

L'opinione pubblica farà buon mercato dei mezzi ciò ch’essa vuole è il fine.

– L'Opinion nationale, ha un importante articolo del signor Guéroult sulla questione romana che comincia così:

Se si vuol credere a voci generalmente sparse, e che ricevono un certo grado di verosimiglianza dalla situazione politica, il governo francese sarebbe disposto a ritirare le sue truppe da Roma e a lasciar l'Italia pigliar possesso della sua capitale. Si studierebbero in questo momento gli accordi da concludere, le guarentigie da dare all'esercizio del potere spirituale e si aspetterebbe infine una circostanza favorevole al compimento definitivo di questa decisione capitale.

(Tutto l'articolo verte sulla necessità del ritiro delle truppe.)

– Da Parigi scrivesi alla Perseveranza:

Vi dissi che Merode aveva dato la sua dimissione, e che era stata accettata. Infatti lo fu. Ma il partito sedicente cattolico lo vuole al posto, ed egli rimane. E vi rimane per insultare di nuovo alla rancia, come infatti, avvenne nel caso del soldato francese, ferito da un soldato pontificio dinanzi all'ospedale della Consolazione.

Sembra che il governo del papa sfidi la Francia; è come non dovrebbe sfidarla, quando in tutti i suoi giornali ci annunzia con compiacenza una coalizione nordica contro la Francia? E questo si fa, si scrive, e si pubblica all'ombra del vessillo Francese Luigi XIV, per un insulto fatto ad un servo dell'ambasciata da un soldato del papa, ebbe a Punire il governo pontificio nel modo più umiliante, ed era re cristianissimo e Borbone; ora Goyon, dopo l'insulto ricevuto, si mostra in mezzo alla Corte pontificia, estende la mano ai monsignori!

Giorni sono i Gesuiti fecero in piccolo la ripetizione del fatto del fanciullo Mortara. Un bambino, che andava alle loro scuole, per nome Innocenzo Silvagni, fu da essi espulso, perché aveva scritto sui muri V. Vittorio Emanuele e quindi denunziato alla Polizia, che non si è vergognata di incarcerare un fanciullo di nove anni. Queste belle imprese, degne dei figli di Loyola, danno la stregua di quel che essi farebbero se potessero di nuovo coprire l'Italia del loro mantello nero.

NOTIZIE STRANIERE

Quando il re Carlo XV ricevette recentemente a Parigi il Corpo diplomatico avvenne un bizzarro incidente che merita di essere riferito.

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– Leggesi nel Costitutionnel che nella grande manovra data testé al campo di Chalons alla presenza del re di Svezia, S. M. svedese, traversando il campo, scortato da un pelottone di lancieri, ed alla testa di tutti i generati che gli facevano corteggio, allontanossi un istante dalla comitiva, discese da cavallo ed entrò improvvisamente in una delle tende occupate dai granatieri del 13° di linea. Un vecchio sergente decorato ricevette la visita reale con perfetta disinvoltura rispondendo a tutte le domande fattegli dal re intorno a tutti gli oggetti che costituiscono le abitazioni xxx dei soldati.

Dopo la partenza del re i granatieri del 13° erano fieri di aver veduto la loro tenda onorata da un re. Uno di essi diceva, parlando dell’aspetto e dell’aria benevola di Carlo XV: Egli ha l’aria di galantuomo come Vittorio Emanuele!

– Corrispondenza particolare dell'Opinione da Parigi del 12 agosto:

Il riconoscimento del regno d'Italia da parte della Prussia avrà luogo tra breve si crede che questo sarà uno dei primi atti del nuovo ministero Bernstorf. La Prussia si lascerà guidare dalla opinione dei liberali che vanno acquistando terreno, tanto che si può sperare non lontana una completa trasformazione in senso liberale e fa sconfitta della parte feudale può considerarsi definitiva.

La Prussia andrà probabilmente avanti con lentezza, e come essa non si è affrettata, malgrado la forte pressione delle corti del nord, a richiamare il suo ministro da Torino, così essa aspettò finora a riconoscere il regno d' Italia, atto che ora è domandato da tutti quei liberali tedeschi i quali sanno intendere la stretta connessione che esiste tra l'unità italiana e lo svolgimento delle idee moderne in Germania.

– Leggesi nel Pays del 12:

Assicurasi che una delle ragioni per le quali il re di Prussia non si è recato al campo di Chàlons, si è che, in seguito dell'attentato, fu costretta a sospendere la propria cura intrapresa per una malattia nervosa, di cui soffre da lungo tempo.

L’eccitazione prodotta dall'attentato gli rese assolutamente necessario il riposo, ed il re deve evitare tutto ciò che potesse produrgli nuove emozioni. I medici gli hanno perciò consigliato di prolungare il suo soggiorno a Baden, ove potrà tranquillamente continuare la sua cura.

– Scrivono da Parigi alla Perseveranza:

Voi esponevate, forse che dopo la lettera autografa del re di Prussia sarebbe per qualche tempo cessato il rapido affermarsi della certezza e dell'incertezza relativamente al suo viaggio; ma avvenne tutto il contrario: la qualcosa è poco lusinghiera per sua maestà prussiana. Cominciasi già a dire ch'egli non verrà neppure all'epoca da lui annunciata, si fa dunque ben poco caso d'una promessa reale, come vedete; ma, poi, si ha talmente l'abitudine, di dubitare di tutto a proposito della Prussia, che l'incertezza rinascente è scusabile.

Del resto, le circostanze medesime avrebbero, dicesi, offerto a re Guglielmo una occasione opportuna per declinare dalla fatta promessa. Di tal guisa il ritrovo dei due augusti personaggi non avrebbe più luogo né a Strasburgo, né altrove, e sempre per quella barriera di pregiudizi razionali ch'è ben più difficile a varcarsi di quella del Reno! Basta, vedremo.

– Leggesi nel Costitutionnel del 2:

Da qualche tempo parlavasi di vari cangiamenti nel Corpo doplomatico. Noi possiamo oggi annunciarli con certezza. Il generale di Montebello si reca a Costantinopoli per complimentare il sultano da parte dell'Imperatore.

Il marchese di Banneville è nominato direttore politico agli affari esteri.

Il signor Benedetti è nominato ministro plenipotenziario a Torino.

Il conte di Reculot sostituisce a Monaco il marchese di Banneville, ed il signor Danrémon sostituisce il conte Reculot a Stuttgard.

–Il più grave avvenimento politico della settimana è la risoluzione della Dieta di Agram di non mandare deputati al Reichsmath di Vienna. I fogli centralisti ne sono altamente sdegnati, e gli organi ispirati dal governo stesso, i quali non credono cosa prudente di lasciare ancora pieno sfogo alla furia, con aria supplichevole si voltano verso la fedele Croazia e con Giulio Cesare esclamano: Anche tu, o Bruto mio!... Ma Bruto non vi bada, il ferro è impugnato e deve colpire.

Certo, la decisione della Dieta croata è la lesione più grave che abbia riportata l'unità austriaca da due anni in qua. Tale decisione mentre da un canto potentemente concorre a distruggere l'opera del signor Schmerling, dall'altro carito toglie al gabinetto viennese l'ultima speranza di vedere nel seno del suo Consiglio deputati d'una parte almeno del territorio appartenente alla corona di S. Stefano.

– La Gazzetta d'Augusta e Indépendance belge parlando d'una voce, secondo, la quale si sarebbe proposto un abboccamento tra Napoleone e il re di Prussia in cui si troverebbe presente anche l'imperatore d'Austria. Si vuol annettere a questa notizia il progetto di isolare l'Inghilterra. Ma non sono che bizzarrie di corrispondenti traviati dalle voci di alleanze continentali.

– Il Morning Post accusa il re Guglielmo di Prussia di irresolutezza e ricorda che nel 1855 la regina Vittoria tenne la sua parola e si condusse a Parigi. Quel foglio crede che le relazioni fra la Francia e la Prussia sieno cattive e dice che il cambiamento avvenuto è da attribuirsi alla ripugnanza di Guglielmo di incontrarsi col re di Svezia, avversario della politica prussiana.

– Leggesi nel Pays:

Alcuni fogli tedeschi annunciano l’arrivo a Baden-Baden del signor Farini, e naturalmente la voce pubblica attribuisce la presenza di questo uomo di Stato alle pratiche che il gabinetto di Torino presso il re di Prussia per indurlo a riconoscere il re d'Italia.

Non è degno d'una grande potenza come la Prussia di rimanere in una situazione soggetta a rincrescevoli interpretazioni. Se la posizione della Prussia come potenza tedesca non gli ha permesso di incoraggiare gli sforzi dell’Italia, se intime convinzioni impedirono il re Guglielmo di dare la sua adesione alla politica piemontese, il gabinetto di Berlino deve dirsi in oggi di avere già largamente pagato il suo tributo alla sventura, e che è tempo di adempire al suo dovere di potenza europea. Il ritorno del passato in Italia è impossibile. Fino a che i capi di bande che saccheggiano il sud dell'Italia ponno lusingarsi della speranza di esser assimilati, in qualche angolo dell'Europa incivilita, a degli eroi politici, è a temere che la pace resti sbandita dalla penisola.

È ciò che la Francia e l'Inghilterra, e dopo questi due Stati, la più parte delle potenze di second'ordine, capirono.

Che la Prussia non tardi adunque a imitar quest'esempio.

– Il corrispondente parigino del Nord dice che la situazione è diventata assai buona per la causa nazionale ungherese, e che si è assai notato il viaggio che il presidente della Dieta ungherese fece ultimamente in Isvizzera, per intendersi con alcuni amici politici che dimorano in quel paese. E dopo quel viaggio che fu redatto e votato il nuovo etto d'indirizzo di Deak.

– Leggesi nella Gazzetta di Milano:

L'impressione prodotta nella popolazione ungherese secondo indirizzo Deak è profonda. A Pest la gente si abbraccia per le strade, si benedice ad alta voce la Dieta che rifiuta di riconciliarsi coll'Austria.

Una folla immensa si radunò la sera dell'otto innanzi l'abitazione di Deack per offrirgli una serenata colle fiaccole, ma temendo una dimostrazione di cui la reazione potesse approfittare, egli non volle niuna ovazione e non si mostrò neppure al pubblico. L'indirizzo intanto è diffuso a migliaia; municipio, corpo razioni e cittadini vanno a felicitar Deak per aver si bene espressi i sentimenti della popolazione, e la polizia non si mostra.

NOTIZIE ITALIANE

– Leggesi nei giornali di Torino:

Quanto agli scali dei nostri cantieri, essi sono occupati tutti da importanti costruzioni navali. Nel cantiere della Foce si stanno costruendo le pirofregate di primo rango Principe Umberto e Principe di Carignano e la pirocorvetta Principessa Clotilde, a Livorno la pirocorvetta Magenta, a Castellammare le pirofregata Gaeta e Messina e la pirocorvetta Etna.

– Leggesi nella Gazzetta di Torino:

Corre di bel nuovo la voce che il ministero della guerra venga affidato al generale della Rovere, ora luogotenente generale del Re in Sicilia.

– Al ministero d'agricoltura e commercio si sta elaborando il disegno di un censimento generale e nominativo del regno d'Italia, il quale, secondo il sistema inglese felicemente esperimentato negli antichi stati nel 1857, avrebbe luogo contemporaneamente su tutta la superficie delle 59 provincie per determinare la popolazione di fatto nella notte del 31 dicembre 1861.

– Leggesi nel Patriota:

Non so se v'abbia detto in altra mia che non è quistione per ora di cambiamento di ministero, e che, seppure ministro Minghetti volesse assolutamente ritirarsi, non sarebbe subito rimpiazzato da Rattazzi. Si parla invece del conte Pallieri, quello che fu commissario regio a Parma nel 1859.

– Si sono interpretate in diversi modi le dissensioni in seno della commissione di scrutinio per gli ufficiali dell'esercito meridionale, dietro cui ne usciva il generale Medici. Eccone la giusta versione. Il ministro della guerra, come è noto, di suo arbitrio ha esclusi dalle note ad onorificenza moltissimi nomi proposti. – Dietro ciò, il generale Medici consiglio doversi da ognuno rifiutare la decretata decorazione. La commissione tot fu di quest'avviso, Medici allora si ritirò. – Turr propone che, compiuta la pubblicazione dell'elenco dei premiati, si debba di nuovo presentare al ministero le proposte, che se il reclamo non fosse esaudito si potrebbe dagli altri fare l'atto di rinuncia consigliato da Medici. È però da osservarsi che il rinunciare alle onorificenze del ministero implica la dimissione del grado che si occupa nell'armata.»

– Da un elenco di ricompense accordato per la repressione del brigantaggio nelle provincie meridionali, pubblicato dalla Gazzetta Militare, togliamo il seguente cenno:

Carta Giuseppe, caporale nel 62 reggimento di fanteria, medaglia d'argento. Portatosi da solo sino avanti al paese ed avanti agli altri soldati un 300 passi, fermatosi, con sangue freddo rispondeva alle fucilate degli abitanti col grido: Viva l'Italia, l'Italia una! –Sotto un vivissimo fuoco inalberata la bandiera tricolore sulla casa nella quale trovavasi assediato dai briganti, sebbene ferito ad un braccio, opponeva una eroica resistenza a più di cento briganti che invasero la casa suddetta; e dopo averne ucciso tre alla bajonetta, cadeva vittima del preponderante numero degli assalitori, che lo estinsero a pugnalate. Monte Miletto, 9 luglio 1861.

Con regio decreto i corrente è stabilito quanto segue: l progetti di liquidazione delle pensioni spettanti ai militari dell'esercito meridionale dei volontari feriti combattendo nell'isola di Sicilia, od alle loro vedove od orfani, saranno dal ministero competente rimessi, cogli opportuni documenti a corredo, e per mezzo della regia luogotenenza generale nelle provincie siciliane, alla gran corte dei conti in Palermo, affinché dia intorno ad essi proprio parere.

– Con regio decreto 25 luglio scorso è stato soppresso il segretariato generale dei lavori pubblici presso la luogo tenenza dell'isola di Sicilia.

E istituita una direzione generale dei lavori pubblici la quale dipenderà direttamente dal suddetto ministro per la trattazione degli affari a questi riserbati dalle istruzioni di ramate, e per le altre materie dipenderà dal luogotenente generale dell'isola.

– Leggiamo nella Libertà di Catania del 7 agosto:

Giuseppe Castorina, Pauliddu. venditore di sigari, avuta conoscenza del prestito nazionale, corse pel primo dal ricevitore a consegnargli la somma di lire 1,250.

Come seppe però che nessun altro si era ancora presentato, invece di 1.250 ne sborsò 6, 250.

Il Castorina, amantissimo della patria, volea rinunziare agl'interessi di tale somma, ma alcuni amici avendogli fatto osservare che il Governo non avrebbe accettato una simile offerta, rispose nella sua ingenuità che egli non intendeva per niente offendere la nazione, ma sapendola in bisogno di denaro, credevasi in debito di darle tutto quello che si avea, senza trarne il menomo profitto.

E di vero era tutto quello che si avea. – Erano i risparmi di tanti anni accumulati a centesimi a centesimi.

Il Castorina è uno di quei popolati cui le persecuzioni, le prigioni e la lama sofferti sotto i Borboni non ebbero potenza di smuoverlo dalla sua fede e dalla sua ostinata speranza di vedere sorgere la patria e dormire sonni tranquilli sotto un cielo di libertà.

– Ieri (15), dice la Sentinella, pervennero fra noi a cavallo quattro bravi magiari che al richiamo della patria minacciata non poterono più sostenere la gravezza del giogo straniero. Essi si presentarono con armi e cavalli alla guardia nazionale di Monzambano, e furono rimessi tosto ai reali carabinieri, che qui li scortarono. Appartengono al 12° reggimento ulani conte Haller, quel reggimento che pur si distinse nella guerra del 1859.

Essi nel disertare erano accompagnati dal loro caporale e da altro gregario; ma. nell'atto di passare a guado il Mincio sotto il fuoco dei finanzieri (italiani), il caporale do vette retrocedere non potendo indurre il cavallo a gettarsi nell'acqua; il gregario, rimasto qualche passo indietro, venne fatto prigioniero sulla stessa riva sinistra.

Si appalesarono animati dei migliori sentimenti, e penetrati anzitutto della solidarietà dei destini italiani cogli ungheresi; dissero fra loro esservi molti che bramerebbero raggiungere Kossuth, che è tanto popolare fra loro, e che è tema continuo dei loro discorsi, massime dopo la gita a Nola, dove stanzia la legione ungherese.

Essi furono accolti ?estevolmente e regalati di denaro, rinfreschi e sigari.

CRONACA INTERNA

– Ieri i creduloni, che a Napoli non son pochi, si mostravano contristati dalle notizie di brigantaggio che qualche borbonico avea diffuse ad arte dopo averle forse attinte dallo Stendardo Cattolico di Ge nova o dall'Armonia di Torino. Fra le altre notizie c'era pur quella di dodicimila briganti che già si era no concentrati a Maddaloni dopo aver vinto su tutti i punti le truppe del generale Pinelli. Nella diffusione di queste menzogne è a supporre che coi borboni ci cooperasse pure un altro partito, al quale importa che la patria sia sempre in pericolo (o vero o immaginario) per attribuirsi prima il compito di salvarla e poi il merito di averla salvata. Non possiam dire che il brigantaggio sia finito né che sia tanto prossimo a finire: sentiremo ancora de'  piccoli fatti dispiacevoli, ad impedire i quali se non vale la più solerte vigilanza ed operosità del Governo, non arriviamo a capire di quanto potrebbe essere efficace l'opera dei più invitti rodomonti del liberalismo. Il governo è colpevole, perché con le sue irresolutezze e co' suoi indugi fece prendere al brigantaggio delle larghe dimensioni; ma ora che imponenti forze regolari attendono all'esterminio de'  briganti, ora che è organizza to dapertutto l'armamento nazionale, ora che dalle poche provincie invase dai malfattori ci pervengono le nuove delle vittorie che su di loro riportano le nostre truppe e le nostre Guardie Mobili, il destare apprensioni e spargere false notizie è opera di puro borbonismo. Chi ama davvero la patria, nel momento del pericolo lungi dal commuoverla ed agitarla, corre silenziosamente fra le file di coloro che combattono per essa, e muore per essa.

– Fra giorni sarà pubblicato dal nostro municipio il programma della festa che in Napoli sarà celebrata il 7 settembre.

La memoria di quel giorno deve durare eterna nei fasti napoletani; in quel giorno i napoletani fu rono redenti dalla schiavitù borbonica: da quel giorno le province napolitane entrarono a far parte della gran famiglia italiana: in quel giorno Vittorio Emanuele divenne di fatto il Re d'Italia; i memorabili prodigi che in quel giorno si compirono so no tutti incarnati nella persona del Generale Garibaldi, perciò il 7 settembre sarà sacro a lui, ed i napoletani ne celebreranno l'anniversario con quelle medesime feste con cui l'anno scorso accolsero il loro Dittatore.

– È a nostra notizia che alcuni personaggi napoletani, volendo sempre esercitare a pro dell'Italia la loro benefica influenza, giorni sono si presentarono al Generale Cialdini, e fattagli un'oscura esposizione degl'inconvenienti governativi, lo consigliarono a portare un pronto rimedio con nuove destituzioni e con nuove nomine d'impiegati. Anche a noi pare buono il consiglio, perché siamo convinti che una gran parte de danni del paese proviene appunto da pessimi impiegati. e pessimi ed immeritevoli cc mc sono non solo fra borbonici, ma anche fra quelli che son venuti a popolare gli ufficii dal 25 giugno in poi. Ma non mai adotteremo il sistema dei prelodati personaggi, i quali oltre ai loro consigli han presenziato pure al Luogotenente un elenco di nomi pei nuovi impieghi. Noi invece opiniamo che, un Governo che fra noi voglia premiare i liberali meritevoli, non de ve avere dinanzi altra norma che le condanne politiche, il voluminoso registro degli attendibili e i buoni organi di pubblica opinione. Il Generale Cialdini adunque faccia quel conto che crede degli elenchi presentatigli, ma sappia che il Governo ha bisogno negl'impieghi di persone oneste, le quali non saran mai quelle che brigano per farsi proporre.

– Alcuna volta ci è intervenuto di lodare la vigile operosità degli agenti di polizia pei servigi segnalati resi a pro della pubblica sicurezza e tranquillità. Ora però non possiamo non levar la voce e lamentarci della poca o niuna cura che essi mettono nel visitare le locande e qualsiasi albergo e luogo di ricovero per conoscere chi fosse la gente che vi dimora.

Sappiamo che qui in Napoli traggono in folla, come a luogo di salvezza ed impurità, i più rei e feroci reazionari, dopo che nelle provincie si sono lordati del sangue cittadino, o fatti colpevoli di rapine. Il fatto del giovane studente di Colle, che riconosceva uno di siffatti e per assicurarlo alla giustizia si face va arrestare affine d'indurre un guardia di P, S. a fare il suo dovere, prova purtroppo la verità delle nostre parole. Ci auguriamo di non aver richiama o indarno l'attenzione della questura su questo importante proposito.

DISPACCI TELEGRAFICI (Agenzia Franco-italiana)

Vienna 16.

E diffinitivamente risoluto lo scioglimento della Dieta d'Ungheria.

Berlino 16. Il riconoscimento del regno d'Italia sarà proclamato al ritorno del Re da Baden.

Agenzia Stefani

Napoli 17 (notte)– Torino 17. (11 10 ant.)

Cialdini avrebbe ricordato al Governo ch'egli non aveva accettato la reggenza della Luogotenenza di Napoli che provvisoriamente. Egli riterrebbe il comando militare, e compirebbe la sua missione di pur gare i paesi dal brigantaggio. Ma egli non poteva occuparsi del governo civile, e chiese quindi che provveggasi alla nomina del Luogotenente. Pare che le al te cure richieste dal comando militare abbiano ridotto il Luogotenente a questa determinazione. Il dissenso con Cantelli fu in occasione di una dimostrazione contro alcuni Deputati. Anche Cantelli è dimissionario. Cialdini non lascerebbe Napoli. Egli domanda solo di essere esonerato dal Governo Civile. Intanto continua nella reggenza della Luogotenenza finché il Ministro provveda.

Napoli 18 – Torino 17 (8.55 ant.)

Ragusa venerdi – 2000 insorti a Funari e Suttorina preparansi ad attaccare Cicevo e Trebigne. I Turchi distrussero tre mulini appartenenti ai Conventi Greci.

Rossicrevo. Gl'insorti ei Montenegrini avanzaronsi fino a latizia conducendo mandre rubate.

Napoli 18 – Torino 17 (8.30 pom.)

La gazzetta officiale pubblica lo scioglimento dei contratto per la concessione delle strade ferrate da Napoli all'Adriatico con Talabot. Dice che i lavori continueranno per conto del Governo. Il Ministro dei lavori pubblici partirà domani per Napoli.


Fondi piem. 71. 90 prestito 1861 71. 50.
Metall. austr. 65. 96

Napoli 17 (sera tardi) – Torino 16 (9. 15 ant.)

Roma 16. ieri in occasione della festa Nazionale dei Francesi il Papa ha impartito la solenne benedizione. Feste brillanti al palazzo dell'Ambasciata, e al Circolo militare francese: gli stabilimenti nazionali splendidamente illuminati. Goyon ha dato gran banchetto. Tranquillità e ordine dappertutto.

Pesth 16. L'ultima seduta della Dieta sarà mercoledi – un rescritto scioglierà la Dieta.

Napoli 18 – Messina 17.

Catania 17. Il ballo dato dal Municipio al Luogo tenente della Rovere riuscì brillantissimo. Il Luogo tenente parti stamane per Siracusa.

Napoli 18 – Torino 17 5.45 pom.

Roma 16. Sono riusciti vani gli sforzi della poli zia per impedire la soscrizione clandestina al monumento di Cavour che ascende finora a oltre 9000 li re, e continua.

Napoli 18 – Torino 18 (8.30 ant.)

La dimissione di Cialdini è insussistente Rimarrà al suo posto fino a che sia compiuta la sua missione. Cantelli e de Blasio hanno rassegnato le loro di missioni; ma rimarranno ai loro posti fino a che il Governo abbia provveduto alla loro sostituzione.

Notizie di Borsa

Parigi 14 Vienna – inanimate.





Fondi piemontesi 71. 60
3 0|0 francese 68. 45
4 1|2 0|0 97. 80
Consolidati inglesi. 90 7|8

Anno I – N° 17 Napoli—Lunedi 19 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI


DIARIO POLITICO

Questa volta siamo ricchi di notizie, e quel che più è, di buone notizie.

E cominciando da casa nostra, è certo una lieta notizia quella di essersi appianata ogni divergenza nel nostro governo locale. Sappiamo esser tutti d'accordo in procedere con quell'energia che ha fin ora prodotto ottimi effetti, come si può vedere dalle no tizie che d'ogni parte pervengono dalle nostre provincie dei briganti battuti da per tutto dalle truppe, dalla guardia nazionale ordinaria e dalla mobile quasi intieramente organizzata.

Nè men lieta è quella della cooperazione delle truppe francesi ai nostri confini in dar la caccia alle bande che s'organizzano sotto gli auspici pontificali. E questo, ci pare, un primo effetto dei recenti dissensi fra la curia romana e quelli che ancor la tutelano, e ci fa maraviglia che sol così tardi abbia avuto luogo. Gli arruolamenti borbonici, furon fatti finora sotto gli occhi delle autorità francesi e delle autorità pontificie, che o non videro o finsero di non vedere: scelgusi qual si voglia di queste due spiegazioni, che son certo le più benigne, e si dichiarino quelle autorità ignare o conniventi; non è difficile al certo il dire quale delle due sia la peggiore. Ormai sembra che Goyon abbia aperto gli occhi e cominci a mettere in opera le mani.

E’ confermato che Talabot lasci l'impresa delle nostre strade ferrate. A che attribuirlo? A noi pare che v'abbia dovuto avere gran parte la scelta del perso male. Comunque sia, la Gazzetta officiale del Regno annunzia che i lavori continueranno per conto del governo, e che il Ministro dei Lavori pubblici partiva il 18 per Napoli.

L'Olanda ha riconosciuto il Regno d'Italia. Eguale riconoscimento si attende dalla Prussia quando il re sarà di ritorno a Berlino da Baden: sarebbe que sto uno dei primi atti del nuovo ministro Bernstorff.

E a questo proposito diremo che i giornali molto si occupano del mancato abboccamento del re di Prussia coll'imperatore de'  Francesi, e si affaticano a trovarne i motivi. Chi vuole che la presenza del re di Svezia fosse stato l'ostacolo, chi il desiderio del monarca prussiano di avere in sua compagnia qualche altro principe germanico, chi infine lo stato di salute del re Guglielmo che richiede una più lunga permanenza alle acque di Baden. Nè contenti di ciò, già cominciano a mettere in dubbio il colloquio del 6 ottobre, o alla peggior lettura vi vogliono in terzo l'imperatore d'Austria, mentre altri dicon sapere che vi interverranno i quattro re di Baviera, di Sassonia, di Annover e di Virtemberga.

Un altro avvenimento pel quale si è menato più romore di quel che meritasse è la lettera del d'Azeglio. A noi duole certamente che un uomo di bella fama come lui ponga in dubbio il sentimento che unì que ste provincie meridionali al resto d'Italia, e ciò unicamente pel fatto attuale dei briganti. Ma chi consideri che il numero di costoro, si esageri pur quanto si voglia, è un nulla a petto di sette milioni d'abitanti; che gente che dà di piglio nel sangue e nel l'avere non ha alcun dritto né può avere alcuna influenza sui destini della patria di cui lacera il seno; lamenterà che un uomo come il d'Azeglio si lasci andare a poco ponderate riflessioni, e voglia giudicare stando da lungi le mille miglia di un paese che non conosce. Si dirà forse che la Spagna preferisse Don Carlo a Maria Cristina, l'assolutismo ad un governo costituzionale, sol perché il primo moveva guerra al governo costituito? Ed è da notare che il paragone è lungi dall'essere nelle stesse proporzioni, poiché Don Carlo aveva un esercito e Zumalacarregui, mentre qui non vi son che bande di briganti e per supremo capitano un Chiavone! E pure la Spagna liberale ebbe per se tutte le simpatie e vide in suo pro formarsi la quadruplice alleanza, e nessuno osò mettere in forse il suo desiderio di starsi unita sotto lo scettro costituzionale. Nè meno specioso è l'argomento de'  contrapposti di cui si serve l'Azegleo, dicendo che al di là del Tronto non sono, come qui, necessarii sessanta battaglioni. Se egli avesse posto mente al diverso modo onde ebbe luogo l'unione fra noi, e ai molti errori che fino a poco fa vennero commessi, e all'indole diversa della popolazione e alla diversità di reggimento fin qui sopportata, non avrebbe dal suo mal fondato paragone cavato la conseguenza che ne cava. Non è strano che cause diverse in diverse circostanze producano diversi gli effetti. Ma vorrebbe egli forse che le orde di briganti che c'infestano rappresentino un'idea? Se alcuna ne rappresentano è certo quella che si riduce ad atto nel saccheggio e nelle stragi di gente inerme ed imbelle; e se un'idea politica vi si mesce a pretesto, di qual valore ella sia ognun sel vede da quelle che le fan codazzo. Vera mente questo è il caso di ripetere col favolista: Ogni uomo che sa lettera non è savio.

Più ragionevole era stato il Matteucci una cui pri ma lettera aveva dato luogo a questa del d'Azeglio, e che ora risponde con una seconda. Di entrambe c'intratterremo in un prossimo numero.

L'agitazione ungherese e la polacca vanno tuttodi crescendo. Della seconda in particolare sappiamo, che anche altre province russe che un tempo furono unite alla Polonia, come a dire Lituania, Ucrania, Volinia, si muovono a libere e nazionali aspirazioni; che la festa nazionale venne celebrata il 12 in Varsavia a malgrado di ogni ostacolo, che in Lublino fuvvi una dimostrazione politica che produsse per le opposizioni incontrate qualche ferita. L'Austria dal canto suo scioglie la dieta d'Ungheria, costringendo così i Magiari a passare dal campo della legale discussione a quello dell'azione. E in tale stato di cose vi sarà ancora chi sogni colleganze di Austria e Russia a danno altrui, mentre hanno tanto da pensare ai casi proprii. Noi crediamo invece che tutto ciò darà il tracollo alla bilancia prussiana per farla traboccare dal lato di occidente dove le cose sono ad assai miglior partito. La Prussia vi guadagnerebbe per ogni riguardo.

DELLA BANCA NAZIONALE

Presso di noi le istituzioni di credito han fatto sempre difetto. Il governo borbonico ha sempre cercato di ostacolarne lo sviluppamento, perché la natura di queste istituzioni inspirando la fiducia pubblica dà vita all'attività industriale e commerciale delle popolazioni e lor rende perciò un certo spirito d'indipendenza, e le mette, per gl'interessi, in una certa solidarietà e comunione con le altre nazioni.

Quel governo appunto questo voleva evitare: lo stato autonomo doveva rimanere distinto e separato dal consorzio europeo affinché col commercio e col credito non si fosse importato lo spirito di progresso e di libertà che agita l'Europa tutta, e che in gran parte è il risultamento di questa vita industriale, ed economica che caratterizza il nostro secolo,

N’è conseguito perciò che lo spirito di speculazione e l'attività commerciale è quasi del tutto spento nelle nostre popolazioni.

L'attività del capitali è effimera, e la ricchezza pubblica di poca o di nessuna importanza. Invece del credito ch'è la più gran leva che sussidia il commercio.

N'è risultato uno spirito generale di malafede che ha prodotto presso di noi per lunga serie di anni tutti i suoi malefici effetti. Un paese è ricco quando i capitali stanno in perpetuo movimento di circolazione. E presso di noi la poca quantità di capitali che si è potuto offerire per il gran libro italiano, è il più chiaro indizio della povertà del paese. Ma la mancanza del credito è in grandissima parte il risultamento della deficienza di una banca di cir colazione la quale serve in tutti i paesi culti del mondo quasi come misura del credito pubblico.

Il Banco di Napoli è uno stabilimento perfettamente inefficace per conseguire questo scopo.

Esso è banco di deposito ed il suo deposito si dà in prestito, parte contro pegni di oggetti, e parte a sconto di cambiali. Per questa ragione, cioè appunto perché la natura di questo Banco è quella di Banco di deposito. Lo sconto delle cambiali non essendo fatto per impulso di privato interesse, vien corredato da una serie di fastidiose formalità che tanto danno arrecano al commercio e perciò nessun utile servigio.

In generale è oggi di generalmente riconosciuto in Europa di quanta poca utilità siano questa specie di Banche. Ed infatti le prime Banche sorte due o tre secoli fa, in Venezia, in Genova, in Amsterdam, in Napoli stesso ed altrove furono fin da principio banche di deposito e di pegnoramento. OggidI dovunque queste banche esistevano si sono trasformate in Banche di circolazione, rimanendo la sola Napoli col suo Banco di deposito come si stava trecento anni addietro!

Questa certamente è una istituzione che può avere una piccola utilità: quindi potrebbe benissimo rilasciarsi qual è nello stato attuale.

Il nostro Banco è precisamente non altra cosa che un Monte di Pietà: esso perciò è un'istituzione puramente e semplicemente municipale.

Laonde potrebbe benissimo fondarsi in Napoli una Banca di circolazione che rendesse tutti i grandi servigi al credito che simili Banche sogliono arrecare, e lasciarsi in piedi questo monte di pegnorazione e di deposito che si ha pomposamente assunto il nome di Banco municipale. Ma per fondarsi in Napoli una Banca di circolazione, sarebbe mestieri che i capitalisti napolitani accorressero ed unissero un imponente capitale.

Ma oltrecché questa istituzione per effetto della troppo fresca data di sua fondazione non godrebbe di quel credito che una lunga serie di anni gli potrebbe solo fare acquistare, pure è degno di osservazione l'altro più grave quesito dell'associazione dei capitalisti stessi.

Se presso di noi i capitali sono perfettamente in uno stato d'inerzia, come sarebbe possibile di richiamarli in vita affinché potessero creare da sè in queste province quel credito che per tanti anni è stato perfettamente escluso e di cui non se ne conosce nemmeno la natura o Al contrario vi è mestieri che la Banca di circolazione abbia una solidità e goda di un credito esemplare.

Per questa ragione sarebbe stato utilissimo che la Banca Nazionale residente in Torino, come si è estesa in Bologna, in Parma, estendesse la anche in Napoli fondando presso di noi di pianta una sua diramazione.

Questo progetto, che noi possiamo garentire si stava elaborando nel Dicastero di Agricoltura, Industria e Commercio, è importante pure sotto il punto di vista che riunendo gl'interessi dell'Italia del Sud con quelli dell'Italia del Nord crea maggiormente l'attività commerciale delle popolazioni.

Ma una Banca di circolazione succorsale di quella di Torino, non avrebbe per molto tempo quello slancio che potrebbe e che dovrebbe avere una Banca Nazionale in una città come la nostra destinata a divenire quasi l'emporio del Mediterraneo.

Una Banca succorsale avrebbe il difetto di non poter fare operazioni in grande e proporzionate ai bisogni del paese..

Perciò conciliando queste opposte osservazioni si vede che il miglior sistema perché noi avessimo una Banca Nazionale di circolazione, è quello detto da gl'inglesi del joint-stocks cioè di fondi o capitali riuniti, associati.

In guisa che, se la Banca Nazionale di Torino ha di capitale quaranta milioni, si dovrebbe portare questo capitale a cento milioni: e la differenza dei sessanta milioni ripartirla così, trenta milioni sarebbero emessi dagli antichi capitalisti, ed altri trenta milioni dovrebbero essere emessi da capitalisti napolitani i quali a questo oggetto potrebbero essere invitati.

In questo modo si sarebbe ottenuto una Banca di circolazione in Napoli, potentemente efficace a promuovere l'attività commerciale del paese, non già come succorsale di quella Banca centrale ma come una diramazione, e come nna specie di associazione che si sarebbe stabilita tra gl'interessi comuni delle diverse provincie del bel regno d'Italia.

Noi sappiamo che, come abbiam detto, questo progetto si stava elaborando nel nostro Dicastero, e sappiamo pure che un'apposita Commissione si andava a stabilire per studiarne l'importanza e l'attuabilità.

Ora noi abbiamo ferma convinzione che il paese godrà fra breve di una cotanto utile istituzione.

NOSTRA CORRISPONDENZA PARTICOLARE

Torino 15 agosto 1861.

Fra noi è spiaciuta moltissimo la polemica suscitata dal Pungolo di Napoli a proposito della capitale. Il pensiero così leggermente espresso che il governo si trasporti per quattro o cinque mesi nella magnifica capitale dell'ex-regno delle Due Sicilie troppo grande sconoscenza dell'ingente significato compreso la parola governo, è cresciuto questo significato anche dalle circostanze, per essere bene accolti. La Gazzetta di Torino, se mi appongo al vero, ha vittoriosamente combattuta la strana idea e oggimai resta solo il dispiacere che taluno, prendendo la cosa superficialmente, possa attribuire serio significato alla proposta del Pungolo. Qui si ama Napoli ed il suo popolo, si ammette, senza contrasto, la maggiore importanza della gran metropoli in confronto di Torino; dato che la questione romana non dovesse risolversi, oppure che ciò dovesse avvenire in un tempo proporzionevolmente lungo, si sarebbe anche disposto a sagrificar tutto per il meglio del paese e ad approvare la traslazione del governo; ma per ora, almeno per quattro o cinque mesi, ogni politico serio converrà che il progetto non poteva ragionevolmente con sentirsi.

Ottimo effetto ha prodotto sull'animo d'ognuno la magnifica lettera che il signor Petruccelli della Gattina spediva alla Presse di Parigi sulle condizioni delle vostre provincie. Ridotta alle sue vere proporzioni la questione del brigantaggio non è poi così imponente come i nostri nemici vogliono farla credere e come qualche volta si presenta agli occhi dei patrioti appassionati del definitivo assestamento delle cose in Italia. Sempre dolorosi, i particolari di soprusi e di infamie che si perpetrano a danno degli onesti cittadini dai reazionari, e in ogni modo da ritenersi che quanto più sono esorbitanti, tanto più presto si spunteranno e falliranno di fronte al buon senso della gran maggioranza delle popolazioni. Il resto sarà opera dei battaglioni dell'esercito dello zelo ammirabile della vostra guardia nazionale e del volontari. Si stabiliscano pure comitati reazionari a Marsiglia, si tratti pure ogni mal'arte a Roma, l'Austria si proponga pure di tenerci in allarme al Mincio ed al Po, non per questo la pseudo-Vandea italiana riuscirà a maggiori profitti della Vandea francese. Oggimai sappiamo troppo bene quanto valore debbasi attribuire a questi strepiti e non siano affatto disposti a spaventarcene, sicuri di arrivare quando che sia e colla perseveranza alla gran meta della nostra splendida rivoluzione.

Al ministero delle finanze si lavora indefessamente affine di approntare un bilancio compiuto per l'anno prossimo.

Dopo aver verificati i vari debiti ed aver stabilito con così gran fortuna il credito del nuovo regno italiano, il signor Bastogi vuol soddisfare alle pressanti istanze della pubblica opinione che esige la parificazione generale delle xxxxxx bilancio, non potrà tuttavia neanche xxxxx modificato nel senso rigoroso della parola, esistono tuttora nel regno quattro corti dei conti a Firenze, a Napoli, a Palermo e da questa circostanza non potrà farsi astrazione. L’anno prossimo non deve certo dubitarsi che l’opera dell’unificazione di fatto finanze sarà compiuta. Il signor Cordova (ministro d'agricoltura e commercio) ha impreso con lena l'opera di un censimento generale e nominativo di tutta la popolazione dello Stato.

Quantunque faticosissima e seria quest'impresa, deve ritenersi che essa sarà condotta a termine xxxxxx per la solerzia e per rispetto alla necessità che ci ricorre di conoscere noi medesimi e le nostre forze. Si seguirà il sistema inglese esperito negli antichi Stati nel 1857 e pare che la notte scelta a verificazione del il numero degli abitanti sarà quella del 31 dicembre.

Debito di corrispondente mi obbliga a dirvi una parola dello straordinario caldo che si soffre a Torino. Tutta la vita civile e politica del nostro mondo se ne risente. Per le piazze e per le strade la popolazione è rarissima. Vari cavalli sono morti di encefalite fulminante. Il centigrado è salito a 37° che vuol dire a tal grado che non si ricorda da lunghi anni. La genia dei preti fà suo prò anche di questo accidente sussurrando voci di disgrazia, ire di Dio e simili bestialità che il popolo ingigantisce fino a parlare del finimondo! Si deve ridere e piangere?!!!

UN ARTICOLO DEL CONSTITUTIONNEL

Parecchi giornali si son fatto il dovere di enumerare ogni mattina le afflizioni sopportate dalla chiesa; ma ne dimenticano una che non deve essere meno amara per essa, cioè di vedersi trascinata sulla pubblica piazza dalla mano dei partiti che la vestono e la mascherano a loro piacimento, che ora la velano della coccarda austriaca ed ora della bianca, agitano un inerte fantoccio e gridano: «Questa è la religione e questo è nostro.»

Sì, la è una grande mortificazione per la religione dei nostri padri venire difesa da uomini che parlano in suo nome il linguaggio dell'odio e che hanno la schiuma alla bocca per celebrare la madre augusta e santa dell'umanità. Il loro cieco furore e li fuorvia a segno che ci rimproverano come delitto il genufletterci innanzi alla maestà del santo padre e le parole di rispetto che usiamo nel trattare le quistioni religiose.

Nullameno in queste ire v’ha un qualche abilità, perchè è noto com'essi allontanano dalla seria discussione quegli scrittori che non si gettano ad un grossolano pugilato e come rispondendo di rado assicurano a coloro che, entrarono in lizza il privilegio, tanto da essi stimato, di parlare senza oppositori.

Che importano adunque quegli scoppi di folgore del signor Poujoulat e le ingiuriose e veementi riprensioni del sig. Riancey? Da tre giorni l'uragano rumoreggia nell'antro dei ciclopi, senza che per questo sia stato turbato il sonno della città.

Però vi vorrebbe troppa longanimità per conservare più a lungo il silenzio e per non dire quello che pensiamo su queste furibonde declamazioni la cui pazza audacia va quotidianamente crescendo.

«Chi dunque ha potuto, ha osato parlare dell'ingratitudine della Santa Sede? Bisogna figgerselo bene in mente, si grida, la Santa Sede non è ingrata, non lo è e non lo può essere. Perchè vi sia ingratitudine fa d'uopo siavi luogo a riconoscenza; la Santa Sede non ha motivo d'essere riconoscente ad alcuno, ma invece siamo noi che lo dobbiamo essere con es sa, perchè non è la Santa Sede quella che abbiamo difeso e che difendiamo tuttora, bensì il nostro patrimonio, e la croce si abbasserebbe a ringraziare la spada.»

L'esperienza c’insegna diffatti dopo la ristorazione del potere temporale nel 1849 sino agli ultimi incidenti Merode, quale fosse la simpatia che la spada francese ispirava a coloro che portavano la croce romana. L'ingratitudine era nel fatto. L'Unione ce ne offerse la teoria.

A vero dire, avremmo dubitato che si fosse osato tenere simile linguaggio in Francia, in questo paese dall'ardore generoso e dalla illuminata ragione. Che cosa è lo stato pontificio, se non un principato di ordine puramente temporale, che il papato può perdere, come potè acquistarlo? Nella sua qualità di principe temporale, il papa non differisce dagli altri principi e la riconoscenza non è un sentimento incompatibile né colla dignità della corona né col carattere dei sovrani. Come capo spirituale della chiesa xxxxx padre non deve essere riconoscente nel senso ordinario della parola ai cattolici fedeli, deve loro almeno il suo amore, ed in mancanza di questo, giustizia e giustizia ed amore che sono sono il prezzo del dovere compiuto.

Nulla vi deve! ripete l’Unione, perchè è successore di Gesù Cristo. Or bene, noi non esitiamo a dire essere questo un controsenso ed in pari tempo una bestemmia. Quale idea adunque si fanno della persona di Pio IX e del carattere pontificio i cattolici dell'Unione? Il papa non è dunque un uomo? E’ forse un Dio,.dagli occhi e dalle orecchie di pietra, che nulla deve udire, nulla ascoltare? Ma questa la è pura idolatria. Il papa è il depositario della legge della chiesa, ma non ne è l'assoluto dispensatore, perché si può essere buon cattolico e credere che il Concilio sia superiore al papa.

Anche come capo del cattolicismo il pipa è un uomo; ed a quest'uomo venerato, il cui nome deve essere simbolo di ogni virtù e di tutta carità, voi vorreste proibire il più naturale ed il più dolce di ogni sentimento, quello della riconoscenza per chi protegge il suo trono e la stessa sua chiesa? Ma se il papa è il successore di San Pietro, nell'ordine generale dell’umanità, non può essere di più dello stesso San Pietro e del divino Maestro che diede al pescatore il diritto di legare e di sciogliere. Gesù Cristo stesso si fece uomo per compiere l’opera della redenzione.

Cessi adunque l'Unione dal riprodurre questa immagine del papato, assoluto, inflessibile e sovra umano.

Nessuno deve qualche cosa a chi nulla deve ad alcuno. Giammai maligna calunnia, giammai attacco pericoloso contro la Santa Sede potevano gittare negli animi più agitazione di quella che gittarono le imprudenti teorie dell'Unione.

In riguardo di questo articolo ecco che cosa scrivono da Parigi alla Gazzetta di Milano:

Non occorre ch'io vi dica la grande impressione che ha fatto il recente articolo comparso nel Constitutionnel intorno alla quistione romana: generalmente lo si considera come un vero ultimatum, il quos ego! temuto dell'imperato re, il quale sarebbe finalmente alla vigilia di pronunciare il lungamente aspettato: basta! E davvero questa parola è urgente, poiché la nazione tutta quanta è indignata verso la impudente e cinica condotta dei preti di Roma, che all'ombra del vessillo francese insultano la Francia. Pio IX è il solo che dura impassibile in mezzo al vortice che tempesta nella breve cerchia del patrimonio di S. Pietro si direbbe che l'intelligenza del pontefice non sa più pensare che un concetto solo: la reazione trionfante. Ma questo voto del papa non sarà profetico, e la caduta del potere temporale è troppo manifestamente decretata dalla Provvidenza per poterne dubitare. È strano, ma è vero; sapere chi è il partigiano più caldo a Roma di una transazione coll’Italia? S. Em. il cardinale Giacomo Antonelli, l'ex-ciociaro di Sonnino. Egli ha fatta carriera, l’ha fatta fare a tutti i suoi, ed ora gli è venuto imiti il ticchio del riposo.

LA POLONIA

– Si scrive da Varsavia, in data del 6, al Giornale di Dresda:

«Da parecchi giorni l'agitazione va crescendo nella no stra città.

«Il magnifico giardino Saxon, che in questi ultimi tempi ha servito così spesso di teatro ai nostri giovani avidi di dimostrazioni, è stato scelto per questo uso anche ieri e l'altro ieri.

«Il primo giorno v'è stato cacciato il commissario di polizia, che vi era andato, dicesi, per conoscere alcuni stu denti che il 3 di questo mese avevano rotti i vetri alle finestre delle case illuminate per la festa dell'imperatrice. Ieri un uffiziale ha arrestato nello stesso giardino un giovinetto che vendeva alcuni canti di chiesa sediziosi, e lo consegnò ad un sergente di polizia.

«La folla, composta principalmente di studenti, lo urtò e lo costrinse a lasciar libero il suo prigioniero. L'incidente produsse tale impressione che un distaccamento di fanteria è ora schierato innanzi al giardino.

«Oggi, giorno della Trasfigurazione del Salvator, e uscita dalla chiesa di San Paolo una processione diretta per Czenstochan, celebre pellegrinaggio vicino alle frontiere di Prussia: si era progettato di collocare l'aquila di Polonia sul le bandiere. Questa circostanza aveva attirati quasi tutti gli abitanti della città; le botteghe si chiudevano e la solennità prendeva il carattere d'una dimostrazione, ma il progetto non è stato attuato.

«Si temono certamente nuovi rigori del governo.

Si scrive alla Gazzetta Crociata di Berlino:

«L'agitazione continua nelle provincie: anche nelle anti che provincie polacche, annesse alla Russia, nella Lituania, nella Volinia e l'Ukrania si fanno dimostrazioni. A Byalistok vi sono stati, dicesi, disordini simili a quelli di Mlawa, e per cui in tutta la Lituania si porta il lutto il conte Nietopolski ha mandato, pochi giorni sono suo figlio a Pietro burgo per render conto verbalmente all'imperatore della situazione di Varsavia»

L’agenzia Havas-Bullier ha i seguenti dispacci:

«Berlino, 10.

«L'agitazione conti Varsavia.

«Si scrive dalla frontiera polacca il 10.

«Una collisione è scoppiata giovedi a sera fra il popolo e la truppa pei tentativi d'impedire l'illuminazione. Una persona è stata uccisa, parecchie arrestate. La giornata di venerdi è stata agitatissima si sono formati assembramenti, che non si sono sciolti ad onta delle intimazioni dell’autorità. La truppa dopo essersi mostrata è rientrata nei quartieri».

«Berlino 11

«Il partito dell’agitazione ha ordinato a Varsavia per lunedi una gran Solennità. Si è sparso per circolari l’invito di celebrare con un servizio pubblico nelle chiese il memorando anniversario della riunione della Polonia e della Lituania».

NOTIZIE STRANIERE

— Si osserva da qualche giorno a questa parte che alle riviste militari, alle passeggiate, ai teatri, nelle Udienze infine accordate agli agenti del corpo diplomatico od a personaggi stranieri di distinzione, l'imperatore dei Francesi porta sempre la croce di Savoia.

— Monsig. Arcivescovo di Parigi, in data del 6, ha indirizzato una circolare ai parotiti della sua diocesi. in cui loro prescriveva pel giorno 15 agosto, in occasione della festa dell'imperatore il canto del Te Deum seguito dalla preghiera per l'imperatore medesimo. Ricorrendo la festa sopraddetta nel dI dell’Assunzione di M. V., l’arcivescovo ordina ai parrochi d’invocare l’assistenza di lei con queste parole:

«Per le LL. MM. IL e pel giovinotto principe, che cresce presso il trono, supplichiamo quella che regna nei cieli di rendere il suo proteggimento più e più sensibile ed efficace, di moltiplicare i benefizi ed i pegni del credito suo e della sua potenza, affinché coll'aiuto del lume divino, delle ispirazione delle grazie, della forza e delle virtù, che scendono dall’alto, la pace ci sia assicurata insieme alla prosperità ed alla dignità della Francia.

— La stampa austriaca si mostra preoccupata per le disposizioni che prese il nostro governo relative ad un aumento. della forza navale italiana. La Triester Zeitung, segnalando il contratto che venne conchiuso dal ministero con un celebre costruttore americano, e del quale abbiamo fatto cenno nel nostro giornate, non può celare la propria gelosia e si atteggia, con le seguenti parole, a consigliere del governo di Vienna.

... È chiaro che l’Austria non deve lasciarsi sopraffare dal Piemonte.

Noi non abbiamo navigli nei cantieri, mentre che il Piemonte fa costruire in questo momento sette fregate ed una corvetta di primo ordine. Non abbiamo bisogno di provare che tutti codesti sforzi sono soltanto diretti contro di noi.

— Notasi in questi giorni a Vienna che i fogli della reazione diventano sempre più audaci, e inveiscono con crescente accanimento contro i liberali: in certi crocchi si annunzia apertamente che, fra poco «il capogiro costituzionale» dei popoli sarà guarito. La splendida riuscita del prestito italiano ha prodotto grande costernazione nel campo dei duchi cacciati dai loro troni. (G. di Colonia).

— Scrivono da Parigi all’Ind. Belge:

«Corre voce per la centesima volta che una espirazione sarebbe ordinata fra l'Austria e i malcontenti italiani per una sollevazione più generale in tutte le parti delle penisole soggette al re Vittorio Emanuele, con una subitanea diversione armata dell’Austria sulle frontiere settentrionali del regno d’Italia. Per quanto sieno precisi i particolari forniti su questo preteso piano, bisognerebbe, per crederlo reale, fare astrazione da una parte dagli imbarazzi interni e ognor crescenti dell’Austria, e d'altra parte supporre che il suo governo, già crudelmente punito della sua temerità nel 1859, abbia perduto in un istante ogni sentimento di prudehza o piuttosto di buon senso: senza dubbio il Piemonte, attaccato, improvvisamente, sarebbe invasammo il Piemonte ha una riserva naturale e formidabile, Tarmata francese, e il suo intervento immediato sarebbe tanto più inevitabile che non andremmo. soltanto a difendere al di là delle Alpi l’unità e l’indipendenza d’Italia, ma più che mai l'onore e influenza della nostra dazione.»

— Scrivesi da Parigi alla Gazzetta di Milano:

Le gravi notizie che ci pervengono dall’Ungheria, tengono straordinariamente preoccupata la pubblica opinione: fiere sventurata mente che ogni speranza di conciliazione sia perduta, e che il gabinetto imperiale di Vienna sia impaziente di venire all’esperimento dell’ultima ratio regum, il cannone. Potrebbe essere per avventura la impazienza del condannato a morte che conta con ansia febbrile fi camminar dell’ago inesorabile sul quadrante, e quasi affretta chi pauroso pensiero il terribile istante della scure che gli cade sul capo. Per me sono di parere, e molti lo sono meco, che la situazione del governo austriaco sia deplorabilissima rispetto alla insorgente minacciosa idra delle nazionalità, che vanno gridando in coro dalle cento bocche: mors Austriae! Mi si afferma che il principe di Metternich avrebbe avuto incarico di domandare alle Tuileries una dichiarazione sul Monitenr, che togliesse ai ribelli ogni lusinga di aiuto straniero. Un Solferino ungherese turba i sonni di Francesco Giuseppe.

—Si legge nella Patrie:

«Egli è evidente per qualunque uomo imparziale che l’Austria giunge in questo momento alla crisi più pericolosa di: tutte quelle che avrà sofferte da un mezzo secolo, e gli uomini versati nella conoscenza degli altari politici e nell’arte delle soluzioni sono impotenti a prevedere le conseguenze che preparano gli avvenimenti.

«I fatti, quanto più le cose avanzano, tanto più si urtano gli elementi di cui è composto l’impero austriaco, e tanto più si possono osservare le anomalie, le antipatie di questi aggregati diversi di nazioni, che la forza manteneva un tempo, e che oggi sfuggono per la breccia che il potere ha creduto dover fare al sistema assoluto.

«Quando, or son diciotto mesi, il vinto di Solferino giudicò necessario di attenuare la disfatta agli occhi dei suoi popoli mediante la gratuita concessione d’un regime liberale costituzionale, un uomo considerevole di Parigi ci disse: L'Austria è finita.

— (Brano di carteggio della Gazz. di Colonia):

Vienna 10 agosto.

Ieri ebbe luogo sotto la presidenza dell'Imperatore una seduta dei ministri che durò più ore, e nella quale fu discussa la quistione ungherese. Per quanto si sa, la risposta della Dieta non muterà la politica del governo: si è piuttosto risoluti di non rinunciare al contegno osservato finora. La dieta di Transilvania sarà convocata in breve. perché proceda all’elezione dei deputati da mandarsi al consiglio dell’impero. Il governo spera che la Transilvania si pronuncierà per l’invio. Ma per quanto sia desiderabile, si credè il contrario nei circoli ove bene si riconoscono le condizioni della Transilvania e si considera un grande errore che il governo solo adesso pensi a convocar la Dieta della Transilvania, quando già la Croazia e l'Ungheria si sono espresse contro la patente di febbraio.

— I cangiamenti ministeriali a Costantinopoli, che le ultime notizie ci annunciano, suscitano alcune preoccupazioni, perché vi si intravede un cangiamento di sistema nel senso del partito mussulmano, imposto a Abdul-Azis, o da lui spontaneamente adottato, dopò alcune manifestazioni liberali.

— Parlossi nuovamente d’una alleanza difensiva e difensiva che sarebbesi conchiusa tra la Francia da una parte e la Svezia e Norvegia dall’altra. Non so nulla di preciso ancora su quest’affare che suscita le gelosie e le apprensioni della Germania. Mi dicono che il re di Prussia ri decida ad accettare i doni volontari! per lo sviluppo della marina germanica, e può darsi che questa sottoscrizione diventi una dimostrazione nazionale a favore della unità germanica.

— Il Clamor Publico di Madrid, foglio progressivo, fu condannato a una multa di 60,000 reali perché asserì che la regina Isabella è legittima-sovrana per volontà del popolo. Al contrario il Pensamiento Espanol, foglio clericale, fu multato di 400 reali soltanto, per aver applicalo a Napoleone III un nome turpe, che un uomo educato si guarderebbe perfino di proferire nell’ordinario discorso.

(Gazz. di Colonia).

AMENITÀ AUSTRIACHE

—Domenica scorsa da una finestra dell’albergo delle Torri in Verona, si partivano replicate grida: Morte ai tedeschi porci i tedeschi! ed altri complimenti di tal genere.

La gente comincia a fermarsi nella via, ed in pochi minuti la folla divien tanto compatta che alcuni uffiziali di polizia sì recano sul luogo.

— C|ii sarà il temerario che nascosto dietro le griglie ardisce levare quelle grida sediziose? I birri entrano nell’albergo, salgono le scale, vanno diritto alla stanza del ribelle per mettergli le manette e condurlo in prigione. Immaginate it turbamento dei poliziotti quando constatarono che il colpevole era un vecchio pappagallo appartenente ad un distinto personaggio inglese, sir James Keuny, il quale. seduto tranquillamente sovra un seggiolone, si godeva il piacere di quella, farsa!

I poliziotti non osarono arrestare sir James, ma si impadronirono del loquace animale, che accompagnato da buona scorta e seguito da un’immensa turba di popolo non cessava di ripetere a tutta gola: Porche spie, porci tedeschi!

L'inglese ha energicamente protestato contro l’ingiusta cattura, ed ora mette sossopra tutte le autorità civili e militari di Verona onde il prigioniero sia rimesso in libertà.

Corre voce che l’eccentrico personaggio sia partito espressamente da Londra col pappagallo da lui ammaestrato per divertirsi alle spalle dei poliziotti austriaci.

NOTIZIE ITALIANE

— Scrivono da Lecco, 12 corrente alla Gazzetta di Milano:

Jeri, accompagnati dal sig. governatore di Como, giunsero qui gli augusti principi, e si recarono a visitare il convento di Pescarenico, reso famoso dal nostro Manzoni nei Promessi Sposi, avendovi avuto stanza il padre Cristoforo, altro padre Giacomo de’ suoi tempi; e quindi passarono ad ammirare la chiesa di Valmadrera e ad esaminare i setificii dei sig. Gavazzi, lasciando dovunque indubbj segni del sagace sviluppo delle loro giovani menti e del vivo interesse che prendono alle cose più interessanti che risguardano il lustro, la prosperità e l'utilità del paese.

Dopo la refezione, alla quale vennero invitate le autorità della città, fu loro presentato, dietro sua inchiesta, il signor Dall’Oro, che ebbe ultimamente a soffrire la rovina del setificio arso dalle fiamme, ed accettarono da lui fotografia e litografia del distrutto stabilimento, confortandolo con generose parole, animandolo a finir presto la liquidazione colla Società d’assicurazione, e il concordato coi cointeressati, assicurandolo che, secondo le promesse avute il governo, per quanto sarà possibile, non l'abbandonerà nel progetto di rialzare uno stabilimento tanto utile all’industria nazionale.

Partirono quindi alla volta di Monza fra le' acclamazioni della popolazione, lieta di aver potuto salutare con grida di gioja in quei due principi i figli di Vittorio Emanuele re d’Italia.

— Il ministro De Sanctis, dice un carteggio del Corriere Mercantile, ha cominciato il suo lavoro di discentralizzazione amministrativa. Con decreto firmato ieri da S. M. è stato autorizzato a delegare ai rettori delle università, ai provveditori agli studi dello provincie ed agli ispettori delle scuole elementari dei circondari! tutte le facoltà che gli sono attribuite dai regolamenti in vigore, cioè d’ora in avanti quelle autorità cureranno al disbrigo degli affari relativi alle nomine delle varie commissioni esaminatrici, al rilascio delle patenti, ccc, insomma a tutte quelle incombenze che lino ad ora si erano disimpegnate dal ministero per quel vezzo che si ebbe sempre per lo addietro di immischiare nelle più piccole cose la mano dell’autorità governativa. Onestà disposizione dava un po’ di vita alle provincie, farà sì che gli affari saranno sbrigati più presto e con minore spesa dei cittadini, e si potrà quindi diminuire un poco quella moltitudine di impiegati da cui sono ora ingombri i dicasteri.

Pare diffatti che il signor De Sanctis voglia fin da questo mese farne il saggio, giacché si dica che l’attuale pianta del suo ministero da 76 circa individui godenti stipendio, abbia ad essere ridotta a 56.

Questa riforma, se sarà fatta coscienziosamente e senza spirito dI parte, non potrà a meno che riuscire vantaggiosa alla cosa, pubblica.

Spiace però che il ministro sembri di avere abbandonata l'idea. di mischiare il personale napoletano lasciato a Napoli nella divisione colà creata con altri impiegati dell’Italia superiore; è nello interesse generale dello stato che le amministrazioni cessino dall’essere esclusivamente piemontesi, toscane o napoletane, ma diventino italiane; e ciò non si otterrà mai finché quelle di Napoli saranno tutte di napoletani, e così per. le altre: bisogna. fare una fusione di tutte quelle razze, ed allora potremo dire davvero di aver fatta l’Italia.

Si dice che tate errore provenga da proposte venutegli belle fatte da Napoli; ma allora conveniva avere il coraggio per modificarle.

— Nell’assenza del ministro Peruzzi che si reca a visitare i lavori delle strade ferrate meridionali, il dicastero de’ lavori pubblici viene retto dal ministro generale Menabrea. (Opinione del 16)

– Leggesi nel Lombardo:

«Il marchese Trecchi è partito per Caprera con alcuni ufficiali di stato maggiore dell'esercito meridionale.

«Dicesi che ci rechi a Garibaldi una lettera autografa del re, sul cui contenuto si fanno le più svariate versioni.»

– Bixio ha offerta la sua spada al generale Cialdini. La Nazione conforto il luogotenente a secondare il desiderio del prode e leale soldato per motivi di alta convenienza politica.

– E confermato dalle comunicazioni dei giornali più giudiziosi che le trattative sugli affari di Roma già intraprese tra il defunto ministro Cavour ed il padre Passaglia, furono ora ripigliate tra quell'ultimo ed il signor Minghetti.

– Le truppe della guarnigione di Milano partiranno dentro questo mese per le grandi esercitazioni: esse si recheranno al campo di Somma, dove il gen. Lamarmora dirigerà le xxxxxx militari. Verranno allo stesso campo le truppe di Pavia e di Cremona. Un altro campo si terrà pure probabilmente presso Brescia per le guarnigioni sparse in quei dintorni.

Fra breve si aduneranno sulla Vauda di San Maurizio in campo d'istruzione tutti i soldati che via via arrivano dalle provincie meridionali.

Le terze compagnie di depositi vi si recheranno pure per attendere all'istruzione degli sbandati che colà si manderanno. Due battaglioni di bersaglieri saranno pure colà concentrati.

– Si parla di una rissa accaduta a Biella tra due ufficiali dell'esercito meridionale. La causa non era né politica, né militare: per quanto si dice nacque tra loro contesa per una donna. All'uno fu tagliata una mano da una sciabolata: l'altro rimase ucciso da due pistolettate.

– Cinque sacerdoti che in Loreto solevano tenere delle riunioni assai frequenti, allo scopo di avversare il governo con tutti i mezzi possibili, furono assaliti da dieci sconosciuti. Uno di costoro vibrò un colpo di coltello ad uno dei cinque preti. L'autorità procede alacremente, come di suo dovere, ma il fatto prova che anche fra le popolazioni delle marche le mene clericali eccitano le passioni di parte, e spingono i deplorabili eccessi.

– Scrivono da Verona, 9, alla Sentinella Bresciana:

Alcuni giornali vollero assicurare che sotto mentite spoglie convenissero in questa città Francesco ll e tre cardinali. Possiamo assicurare che individui di tal fatta non si videro mai in Verona, e che sarebbe ben meglio che tutti i nemici dell'indipendenza italiana qui convenissero, che più facilmente si potrebbe dar loro un ultimo colpo di grazia e finirla una volta con cotesti avvoltoi non ancora sazi di lacerarci il cuore e mangiarci le viscere.

«Nell'ora decorsa notte disertava, da Verona un basso ufficiale boemo, giovine da 20 anni.

«A Verona venne istituito un comitato ?igliale borbonico sotto la direzione e protezione dei gesuiti.

«Il comitato principale trovasi in casa Campagna, contrada San Pietro incarnario, il figliale nelle vicinanze del corso Bra. Quest'ultimo sarebbe tutto gesuitico.

CRONACA INTERNA

— Jersera il gran teatro S. Carlo era, contro il solito, affollato di spettatori: i palchi e la platea, per obbligo dell'impresa, erano aperti agli abbonati di 1° e 2° dispari; oltrecchè l'annunzio della prima rappresentazione di un'opera richiama sempre gran numero di gente, e iersera rappresentavasi per la prima volta la Lucrezia Borgia. Sul finire del primo atto il Generale Cialdini senza seguito e senza apparato di sorta comparve da semplice privato in uno de palchi di corte. Gli spettatori sulle prime quasi non se ne accorsero; ma poscia scoppiò tale unanime e prolungato applauso e tali grida di viva Cialdini, che il Generale commosso si alzò per più volte a ringraziare il pubblico.

Il Luogotenente delle province napolitane, al quale le cure del governo forse non permettono di frequentare i teatri, onorava iersera per la prima volta lo spettacolo di S. Carlo, e con questa inaspettata apparizione forse veniva a rassicurarci ed a smentire le male voci che da qualche giorno van spargendo i mestatori. Ci ha taluni che hanno il mandato speciale di discreditare in qualunque modo il governo centrale e farlo aborrire dal popolo napolitano. Ma questo popolo ama Cialdini, il quale è emanazione e parte del governo centrale: epperciò si deve spargere la voce che tra Cialdini ed i governo ci è un abisso, che quegli disgustosi di questo ha date le sue dimissioni, e che fra poche ore parte da Napoli. Il paese a queste false voci si commuove e si agita i cospiratori pigliano lena; e gl'italianissimi mestatori vi sostengono sul muso che con questi espedienti si fa l'Italia.

La notizia adunque delle dimissioni di Cialdini non ha l'ombra di vero: coniata a Napoli ha trovato il suo corso anche in altre città d'Italia, ed il corrispondente della Perseveranza così scrive da Torino il 15 agosto: «Le voci messe in giro di dissensi avvenuti ha il gen. Cialdini e il ministro dell'interno, e delle dimissioni offerte dal primo, sono destituite di ogni fondamento. È vero soltanto, ma ciò si sapeva già da gran tempo, che il generale Cialdini, appena pacificato l'ex-reame, e cessato il bisogno dei poteri di guerra, desidera restituirsi al comando del suo corpo d'armata, non avendo alcuna vaghezza di restare luogotenente civile.»

- Le poche misure di giusto rigore adottate contro il clero retrivo congiurante apertamente a danno dell'indipendenza ed unità italiana, han prodotto e producono tutto giorno mirabili effetti. Oltre di aver sbaldanziti i più audaci e perversi che si spacciavano desiderosi del martirio in difesa de diritti del borbone più che del temporale dominio papale – han fatte ravvedere e comprendere perfino alle fanatiche e cieche pinzochere che il clero profanava la Religione servendosene, come faceva, per fini puramente po litici. Quelle devote e quegli affiliati alla setta austro-borbonico-clericale di buona fede, che giorni fa si associavano, tenevano dietro scrupolosamente ai cenni ed alle parole del reverendissimi padri spirituali, ed erano pronti a mandare ad effetto ogni loro comando, credendo di beccarsi a così buona ragione le delizie del paradiso ora ti dicono che i padri mar stri commettevano cosa indegnissima quando si raccoglievano nelle sagrestie a leggere quei tali giornali che più non vedono la luce per ordine del popolo, quando parlavano contro il Re d'Italia, applaudiva no a Chiavone e ai briganti, e concertavano il da farsi per riveder fra noi l'odiato borbone. E tutto questo perchè il volgo giustamente reputa lecito ed onesto ciò che rimane impunito; ed illecito e ino nesto ciò che va punito. In conferma di siffatte verità viene a proposito e la registriamo con piacere ciò che avvenne giorni sono in Riccia in quel di Molise. A questo paesello che ebbe l'onore di dare tre Vescovi, si era fatto credere essere nel dovere di spianare la via alla restaurazione borbonica mercé l'opera infame del saccheggio e della strage cittadina ed era in sul punto di mandare ad effetto così reo disegno. Ma quando seppe della sorte toccata a Pontelandolfi e a Casalduni in pena della loro memorabile perfidia, fatto senno ed avvedutosi dell'inganno e del lacciuolo tesogli da quelli che si vantano gli amici e i liberatori delle oppresse e tiranneggiate moltitudini, senza metter tempo in mezzo, furiosamente si dette a trattar come meritavano sovratutto coloro che raccolgono soldati al borbone, i briganti. Dunque se vuolsi tranquillità e sicurezza pubblica fa d'uopo punire prontamente c severamente chiunque non adempie comecchessia ai proprii doveri. Se ciò si fosse praticato dal 7 settembre le meridionali provincie non avrebbero porta occasione a tante dicerie, né darebbero dolori e travagli e motivi di inquietezze al governo ed ai privati cittadini. Si pro segua almeno con crescente alacrità nella via per cui si è entrato, benché un pò tardi.

– Nella provincia di Chieti il giorno 13 andante le truppe di operazione tentarono di circuire i briganti che infestano la Majella; ma essi erano evasi dalla parte di Guardiagrele. Fu però preso il bestiame che i briganti avean predato per la loro sussistenza in tutto 38 pecore. Nel medesimo giorno i mi liti volontarii del 1° battaglione arrestarono un brigante che si recava in Rapino per raccogliere prov visioni, ed informazioni. Il medesimo fece delle importanti rivelazioni, fra le quali alcune riguardanti il signor Francesco Scurci ex-maggiore borbonico dimorante in Roccamontepiano, e chiarito complice de'  briganti: fu fatto subito arrestare.

– Ieri il comune di Quadrelle in provincia di Avellino è stato invaso dai briganti i quali vi han disarmato la Guardia Nazionale e ne han portato con loro in ostaggio il signor De Matteis. I Bersaglieri di Mugnano vi sono prontamente accorsi – Nella medesima provincia la Guardia Nazionale di S. Felice di Capriglia ha arrestato l'altro ieri un tal Antonio Troisi di Altavilla, e gli ha rinvenuto in dosso due napoleoni d'oro, molti pezzi di sei carlini ed al cune carte di corrispondenza coi briganti, coi quali ha confessato di essere stato unito per soli due giorni – Nella medesima provincia la Guardia Nazionale di Grottolella ha arrestato un tal Luigi Arciuoli; egli prima di mettersi a comandare una banda fu emisssario del comitato borbonico di Napoli presso un'altra banda e se ne aspettano importanti rivelazioni.

– Leggesi nel Penrta di Bari:

Manifestiamo il nostro compiacimento con l'onorevole Clero di Acquaviva, riproducendo l'indirizzo di esso fatto a questo Governatore Sig. Giuseppe Alasia, offerendo tutto se stesso per la gran causa italiana, ch'è pure la causa del la Religione vera – Ah, se tutt'i cleri di questa parte meridionale facessero altrettanto, la causa di Roma finirebbe come quella dell'ultimo Borbone! Il Onore al Clero di Acquaviva! Ecco l'indirizzo.

Al Signor Commendatore Alasia

Governatore di terra di Bari

Signore

il Vicario Capitolare e Clero di Aequiviva, sentendo di essere Italiani, han con i buoni nutrito sempre la speranza di unificare la patria sotto lo scettro del Re galantuomo.

Ed all'edificio non peranco compiuto dell'Italia una ed indipendente sono stati lieti di aver portato la loro pietra, sia nello svelare il Vangelo dai falsi orpelli, e nel suo candore insegnarlo ai loro cittadini, con qualsivoglia mezzo, onde come sacerdoti e cittadini utili alla Patria tornassero. Con questa divisa il Clero invia presso V”. Signoria quattro dei suoi Canonici, che interpetri de’ sensi della corporazione, cui appartengono, vengono a felicitare il suo arrivo in que sta Provincia, al cui governo fu designato. La concordia e la moderazione non sono al certo il solo bisogno della nazionalità italiana, ma l'opera sovrattutto di sviare il popolo dalle false credenze, onde la borbonica barbarie lo menava.

Però il Clero Acquavivese mentre seppe emanciparsi dal suo borbonico Prelato, creandosi un Vicario Capitolare, superiormente approvato, che avversate non lo potesse nel le libere aspirazioni, si offre compatto al servizio della comune causa con la operosità di sacerdote e cittadino.

Acquaviva li 12 Agosto 1861.

– Nel medesimo giornale leggesi pure quanto segue:

Il novello Governatore Sig. Alasia pare volesse camminare col popolo e con le forze vive della provincia, poiché sappiamo da fonte sicura che va in cerca delle intelligenze ove sono, chiamandole dalla propria casa, e consultandole sa i miglioramenti da attuarsi.

Coraggio Sig. Alasia, il Governo ha riconosciuto il novello indirizzo e comincia ad aver fede ne' popoli: voi siete su di un cammino adunque che non urtando gl'interessi della patria, non compromette la vostra situazione. Grandi cose si attendono da voi, e se veramente camminerete con le intelligenze e con gli onesti, ovunque sieno i nostri popoli, già saranno con voi, e per voi ora e sempre.




Anno I – N° 18 Napoli—Lunedi 20 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI

DELLA PARIFICAZIONE DELLE IMPOSTE

Alcuni giornali hanno ultimamente parlato sulla necessità di parificare il sistema di contribuzione che vige nelle diverse provincie italiane, e qualcuno ha sià manifestato il timore che questo fatto avvenisse, reputandolo quasi un fatto deplorabile.

Primieramente, noi osserveremo, che non potrà il sistema finanziario modificarsi senza un atto del Par lamento. In secondo luogo, la paura che ispira l'idea della parificazione, è perfettamente irragionevole, e mo stra purtroppo che taluni vogliono discorrere e decidere su materie la cui conoscenza importa gravi e profondi studii, senza avere in nessun modo una adequata cognizione di esse.

E un errore quello di credere potersi lasciare le diverse specie d'imposizioni praticare per un regno secondo diversi sistemi. Sarebbe deplorabile che il nostro governo non le parificasse.

In Francia, prima della grande rivoluzione del 1783 si verificava appunto questo fatto: alcune provincie erano tassate secondo un dato sistema, ed alcune altre secondo altri sistemi.

Ne avveniva perciò che il reddito dello stato si assorbiva in gran parte dalle spese di percezione, ed i bilanci delle diverse provincie non erano sufficienti a sostenere i rispettivi bisogni.

Se nella prossima sessione del nostro Parlamento questo importante quesito non verrà discusso, noi nelle provincie meridionali per l'anno 1862, o dovremmo stare a peso delle provincie settentrionali, o pure l'esecuzione de grandi lavori pubblici, delle ferrovie, dell'esercito, l'istruzione pubblica, ed in generale qualunque vantaggio che sarà il frutto del l'unificazione dell'Italia, saranno posposti e prorogati.

Parificare le imposizioni non vuol dire già abolire le nostre per adottarsi quelle delle antiche provincie: ma significa, il che sarà sempre effetto della discussione parlamentare, che le antiche imposizioni di tutte le provincie italiane si unificano in guisa da togliersi quelle che per accidenti fossero onerose, sia che si trovassero in questa od in quella provincia, e di adottarsi e generalizzarsi quelle che la scienza e esperienza hanno generalmente approvate.

Pare dunque a noi che la parificazione del sistema finanziere, lungi dall'essere una calamità come taluni, non troppo caldi patrioti, vorrebbero far credere, è una necessità assoluta, e produrrà un generale immegliamento per tutte le antiche provincie sia dell'alta che della bassa Italia.

In fin de’ conti tutto quello che potrebbe avvenire laddove il nostro Parlamento sanzionasse l'adozione Per tutto il Regno delle antiche tassazioni piemontesi sarebbe quello di mettersi in queste provincie al cune piccole tasse che non essendo vessatorie e che essendo generalmente ritenute presso tutti gli altri Stati di Europa non possono in nessun modo costituire un male.

Se non andiamo errati, le novelle categorie d'imposte che noi in tal caso dovremmo adottare sono le seguenti, le quali come si vede colpiscono essenzialmente il lusso, e perciò non solo non sono di nessun peso alla ricchezza pubblica, ma aumentano la pubblica attività, essendoché in generale il pagare un dritto per cose di lusso costituisce per le persone che appartengono alla classe aristocratica dei ricchi esso stesso un soggetto di ostentazione un aumento di lusso.

1.° Tassa mobiliare che colpisce le rendite.

2.° Tassa sulle vetture, carozze e cavalli.

3.° Tassa sulle professioni, arti liberali, industria e commercio.

4.° Tassa sulla vendita di bevande spiritose.

5.° Tassa sui diritti di successione, eredità ecc.

In queste tasse si riassumono a tutte quelle che figurano nel bilancio particolare dell'antico Piemonte e che nel nostro non figuravano, che in maniera perfettamente indiretta, e per cui vi dovrebbero figurare, laddove saranno ritenute, ovvero dovranno sparire affatto anche dal bilancio generale, laddove saranno reputate o inutili o dannose.

Ma in materia di contribuzione finanziera bisogna sempre considerare due cose specialmente.

1.° Che la percezione dell'imposta sia di facile di pronta riscossione, affinché del prodotto non si spenda la maggior parte per ispese di percezione.

2.° Che la tassa cada sempre sul prodotto o sul reddito e non attacchi in nessun modo il capitale, affinché la produzione non se ne esaurisca.

Ora non è evidente che a queste condizioni le ri ferite imposte non sono in nessun modo gravose?

Come potrebbero essere gravose, per esempio, le tasse che s'imponessero sulla successione? Un individuo acquista un eredità di 100 mila ducati, che ne paghi qualche centinaio al governo non gliene viene certo alcun male; e d'altronde esso non sarebbe che un legittimo pagamento che l'individuo stesso deve fare al governo il quale gli garentisce il diritto di proprietà, il diritto di successione. Non v'è tassa più giusta di questa.

Come si potrebbero del pari chiamar gravose le imposizioni sulle vetture? Una persona che possiede due o tre carozze proprie e qualche dieci o dodici cavalli, certamente spende una somma considerevole: che gravezza sarebbe quella che il medesimo spendesse una piccola quota parte a titolo d'imposizione? E tanto più è vero questo, che presso di noi tutte le carozze da fitto soggiacevano e soggiacciono ad una imposizione: invece poi le carozze de’ privati proprietarii vanno esenti da qualsivoglia imposta.

La tassa sulle professioni, sulle arti liberali, industriali e commerciali sono di tale piccola importanza per gl'individui che ne son colpiti, che si potrebbero benissimo pagare senza nessun ostacolo: all'incontro noi sappiamo che in tutta Europa vi è questa specie di tassa. E se dessa fosse gravosa, cesserebbero tutte le professioni di esercitare il loro ufficio.

Noi riverremo su di questo argomento ed analizzeremo minutamente tutte le diverse specie d'imposizioni che probabilmente dovranno, figurare nel nostro bilancio d'introito, e che noi raccomandiamo al Parlamento di presto adottare.

NOSTRA CORRISPONDENZA PARTICOLARE

Torino, 17 agosto 1861.

Non saprei dirvi con quanto dolore corresse qui la voce che il luogotenente Cialdini aveva esibite le sue dimissioni.

L'ingente numero di particolari relativi al brigantaggio che ci vengono quotidianamente annunziati dai vostri fogli, e il continuo riprodursi delle teste di quest'idra affanna tutti, benché in fondo nessuno dubiti della salute della Patria.

La necessità di un governo energico viene ammessa universalmente e il generale Cialdini si riconosce per l'uomo del l'occasione. Le sue franche aderenze per tutto ciò che dee valere al meglio della cosa pubblica, i suoi rapporti cogli uomini, anche meno governativi che rivoluzionari, ma galantuomini, che possono concorrere al fine sacrosanto di pacificare ed ordinare definitivamente le vostre provincie vengono approvati. A tale proposito devo anzi assicurarvi che venne letta con soddisfazione la lettera pubblicata dalla Monarchia Nazionale nel suo numero di ieri, quantunque non si giungesse a convincersi di ogni specialità in essa riferita.

Ieri sera la notizia della dimissione Cialdini si spacciava ancora con insistenza. Si parlava di De Blasio e di Cantelli come di avversarii del generale, si parlava di consorterie stabilite attorno al luogotenente per spiarne ed invigilarne gli atti e se ne inferivano spiacevoli conseguenze anche a carico di Minghetti.

Come stiano le cose non potrei dirvi con precisione, né meno prevedere a quale soluzione riusciranno. Certo è in tanto che il modo con cui l'Opinione di questa mattina vuole rassicurare gli animi non è soddisfacentissimo.

Dire che il generale Cialdini «avrebbe ricordato al governo che «egli non aveva accettata la reggenza della luogotenenza di Napoli se non che provvisoriamente e che egli riterrebbe il solo comando militare» non è confortar molto. Per quanto voglia credersi difficile e faticosa la missione di purgare il paese dal brigantaggio, non può a meno di far cattiva sensazione la dichiarazione implicita nelle parole dell’Opinione delle difficoltà amministrative del paese. Se le cose stanno nei termini in cui le afferma il foglio officioso, cosa farà il governo centrale? e quanto gran rumore non muoverà l'opposizione a veder indirettamente confermati i suoi reclami sulle condizioni del napoletano?

Giovedi scorso mi trovai presente ad una funzione commoventissima. Erano circa 500 reclute napoletane raccolte a prestar giuramento alla bandiera nazionale e al governo di Vittorio Emmanuele. Dopo un discorsetto di circostanza pronunciato dal cappellano del 45° d'infanteria (brigata Reggio) e la funzione religiosa, i nuovi soldati d'Italia giurarono con un entusiasmo che richiamò tutto il fuoco de'  vostri vulcani e la vivacità del vostro cielo. Molti degli astanti commossi piangevano. E da quel giorno a tutt'oggi, mi viene assicurato che non avvenne alcun'altra diserzione, in opposizione a quanto succedeva precedentemente.

Dopo un vivace scambio di dispacci, avvenuto fra la luogotenenza di Napoli e il governo del Re, pare certo che Cialdini seguiterà a tenere il suo posto finché si sia provveduto a sostituirlo nella partita civile. A qual personaggio si pensi, nessuno sa ancor dire. La posizione militare del generale sarà in ogni caso costituita affatto indipendente finché durano le circostanze attuali.

Il Contratto fra il governo e la compagnia Thalabot relativo alla costruzione delle ferrovie nell'Italia meridionale è stato annullato. I lavori tuttavia non soffriranno ritardi.

Si sono già prese le misure opportune a questo scopo.

Abbiamo fra noi di ritorno il conte De Launay, nostro ministro a Berlino con una lettera autografa del re di Prussia in risposta alla lettera scrittagli da S. M, il re Vittorio Emmanuele in occasiene dell'attentato di Baden.

S. M. il re nostro sovrano partirebbe il 14 da Torino per Firenze diretto a Napoli.

Il signor Benedetti inviato straordinario e ministro plenipotenziario della Corte di Francia presso il nostro governo è aspettato a Torino per la ventura settimana.

UN PRESIDIO ITALIANO A ROMA

La partenza del papa da Roma

Leggesi nell'Opinione Nationale:

«Mantenere il potere temporale a Roma, non è soltanto difficile ma impossibile: e l'impossibilità n è dimostrata dallo sforzo inutile che la Francia fa da dodici anni. Prendere un moribondo sotto le braccia e rizzarlo sulle gambe che non lo ponno sorreggere, facendo che eseguisca movimenti che non ponno eseguirsi, non è rendere al moribondo una forza che gli manca; è piuttosto un dimostrare fino al l'evidenza che ei più non la possiede. A Roma, da dodici anni, non facciamo altra cosa.

«Supposto che sia soppresso il potere temporale, cerchiamo indarno quale difficoltà, qual serio inconveniente sarebbe a tenere dalla nuova situazione del sommo pontefice.

«Egli non sarebbe libero, dicesi, egli non sarebbe indipendente. Ma lo è forse oggidì?  In xxxxxx di vivere sotto la protezione di Napoleone III, imperatore dei Francesi, lo sarebbe sotto quelli di Vittorio Emanuele, re d'Italia. La guarnigione di xxxx-italiana il luogo di essere francese. Che vi sarebbe di cambiato? Una sol cosa: in luogo d'essere coperto da un vano similare di potere, che non serve che a dare in spettacolo al mondo la sua incurante impotenza, il papa, ridotto alle sue funzioni pontificie, eserciterebbe senza costringimento, senza ostacoli, un potere altamente riconosciuto. Sul terreno religioso egli non ha avversarii, gl'italiani sono cattolici; Vittorio Emanuele è per lo meno sì buono cattolico come l'imperatore Napoleone: i Romani non domandano di cambiare di religione.

«Il Debats emette in proposito un'idea giustissima, vale a dire che uno dei migliori espedienti per le nazioni cattoliche, onde controbilanciare, presso il papato, l'influenza che vi potrebbe esercitare il re d'Italia per la vicinanza, sarebbe di ottenere dal papa che i cardinali, in luogo di venir scelti quasi esclusivamente fra gl'italiani, come lo sono oggidì, fossero nominati più equamente fra le diverse nazioni cattoliche, le quali potrebbero sperare di tal guisa di vedere successivamente uno dei loro nazionali salire al trono pontificio.

«In fondo e dal punto di vista veramente religioso, crediamo, giusta quanto procede, che la soppressione dei temporale non darebbe per il papato che serii vantaggi, e che se per il cattolicismo vi è un'eventualità qualunque di ringiovanirsi, una speranza di riprendere la sua influenza sulle anime, è da questo lato che bisogna cercarla. OggidI la religione soccombe sotto la politica; e gli interessi temporali sono ormai l'unica cura di quelli stessi che dovrebbero insegnarci a subordinarli alle considerazioni d'ordine morale e religioso. La soppressione sarà dunque un grande avvenimento, non solo per l'Italia, ma ezíandio per il cattolicismo e per tutto il mondo religioso.

«Forse si consiglierà al papa di abbandonar Roma; e forse questa transizione sarebbe la migliore per aver salvo l'amor proprio. Pio IX, recandosi a passare il resto dei suoi giorni in un'isola del Mediterraneo, non avrebbe la mortificazione di confessare egli stesso l'errore della sua politica passata. Il suo successore, che troverebbe Roma nelle mani del nuovo re d'Italia, potrebbe, senza umiliazione, accetta re il fatto compiuto e risiedere come vescovo di Roma, come capo del cattolicismo, nel Vaticano, ove non avrebbe mai esercitato il sovrano potere. Sarebbero così rispettate le posizioni, guarentito l'avvenire.

–  Il Debats ha un articolo nel quale dimostra la necessità che cessi il dominio temporale della Santa Sede.

L'Italia, esso dice, deve benedire ai suoi avversari: sono essi che le rendono i più grandi servigii. Credevatiu inuo certe e forse sciogliere il nuovo regno provocando dei disordini nelle provincie napolitane. A che misero capu co desti sforzi disperati? Provarono che il mantenimento del potere temporale è decisamente incompatible con dna de finitiva organizzazione dell'Italia. e ci - i La storia già lo affermava, il riflesso confermava le in formazioni della storia; ma alla dimostrazione maucava una fresca e tiovella prova. Le insurrezioni napolitane l'hanno fornita.

Da Roma partono eccitamenti. Di là gli amici del potere temporale possono alla fine comprendere sin dove vanno le esigenze loro. - L' Italia si agiterà sempre con isterili sforzi se ha nel seno il focolare che alimenta senza posa il fuoco delle guer re civili, se è sempre turbata e resa inquieta dalle mene e dalle cospirazioni difese dal potere temporale dei pontefici.

I romani, dicevasi, devono essere sacrificati alle convenien ze dei cattolici, e questa dichiarazione era già molto grave, perchè il sacrificare una minoranza agli interessi della maggioranza non è altro che dispotismo. - ggi fa d'uopo spingersi più oltre. Non sono soltanto due o tre milioni di uomini che vengono spogliati dei loro diritti per catisi di titilità religiosa, bensì una intera nazio ne, una nazione di 22 milioni che sarebbe condannata ad una eterna impotenza. - – – "nell'Havas da Parigi 14 agosto: Si vuoi offrire al papa l'isola d'fita il cambio di Ro ma. Se il papa uui accettasse volontariamente lo si sa prebbe costringere. Siate certo che si fara qualche cosa in ibreve tempo. E indispensabile per Vittorio Emanuele che tizione º - ci sia una pronta sº - - - – - a un se RSA | | NA POLEON Maleslierbes si fece vecchi boulevards esteriori. In mezzo alla via si era alzato "girci "i tiuali si é rit" d ine "il e "i" " della Maddalena ai boulevards esterni la nuova via era decorata da antenne con bandiere. I L'imperatore giunse a 5 ore meno uti quarto, acclamato dall'immensa popolazione. - La guardia nazionale e le guardie imperiale erano sente rate a destra e a sinistra.

Il pre?etto Haussmann si avvicinò all'imperatore e gli lesse un lunghissimo discorso risguardante i grandi lavori edilizi di Parigi. - - " rispose ne seguenti termini: Signori. - «L'inaugurazione di una nuova via di comunicazione non ha più oggidI nulla di straordinario, e non ne avrei fatta una pubblica cerimonia se non avessi voluto dare uta prova della mia simpatia al Consiglio municipale che si oc cupa con costante zelo degli interessi della città, della mia soddisfazione al prefetto della Senna per la sua instancabile perseveranza a raggiungere un grande scopo, e finalmente della mia approvazione a tutti coloro il cui concorso se conda sì bene i suoi sforzi. a - "i"capitale, quando sofi terminati, eccitano l'ammiraziune generale, ma durante la loro ese cuzione sollevano sempre critiche e lagnanze. Gli è perchè in siffatte imprese è impossibilè non ledere momentanea mente certi interessi; è nniladimeno dovere dell'ammini strazione di avervi riguardo, senza discostarsi dal fine pro postosi. – Questo fine, voi lo conoscete: Impriniere atti vità al lavoro, una vita nuova alle industrie ed al commer cio di Parigi, togliendo gl'inciampi che ne impedivano lo sviluppo; – proteggere la classe meno agiata; combattere il riticarimerito delle derrate più necessarie.

e A raggiungere il primo di questi risultati, il governo ha fatto un gran passo, e, voi l'udrete con placere, dopo il trattato di eliminerciò coll'Inghilterra, l'esportazione degli articoli di Parigi è quasi cresciuta del doppio..

“ Quanto a ciò che risuuarda l'amministrazione della città, estendendo alle fortificazioni la cerchia del flazio-con sumo,"mediante larghe vie, le estremità al cei: tro, essa tende a rendere eguale"in questo va - rto recinto, il prezzo di ogni cosa, esso di vitalità, luce, valore a quartieri diseredati, occupazione ad una quantità di industrie e movimento al commercio. - r -,. D'altra parte, io felicito la città delle misure prese o adottate per migliorare la sorte della classe più numerosa, Così. essa si occupa di condurre a Parigi l'acqua che si pagherà meno cara, esonera dall'imposta gli affitti al di sotto di 250 franchi; ha organizzato la panizzazione in guisa che, in caso di carestia, il prezzo del pane non potrà eccedere un certo limite; essa cerca di scemare il prezzo della carne, non soltanto colla creazione di un mercato inico, che guarentirà meglio l'interesse del consumatore; infine essi moltiplica dappertutto le chiese, le scuole e gli stabilimenti di beneficenza. - º «Per lavorare secondo il medesimi erdine di idee, vi raeebinando sopratutto tiell'esame del vostro bilancio, li ridurre, per quanto lo permettono le finanze, le imposte che pesano sulle risaterie di prima necessità. - Con ciò voi acquisterete, nuovi titoli alla mia ricono scenza, poichè, se la capitale di un grande imperº si onora con questi monumenti che rammentano la gloria " armi e attestato il genio delle scienze e delle arti, essa si onora non melio colte istituzioni che attestano una solleciti ditie incessante per coloro i soffrono e uno zelo illumi itata per gli interessi generi di questa immensa agglotne razione, vero cuore della Francia che palpita come essa per la sua gloria e la sua prosperità.».

Le parole dell'imperatore furono sovente interrotte da gli applausi.

La sera vi fu una splendida illuminazione.

Leggesi nel Havas: Il discorso che l'imperatore pronunciò ieri all'apertura del boulevard Malesherbes fu affisso stamane, di buon mattino, in Parigi. Esso fu divorato piuttosto che letto dalla popolazione operaja. - Dappertutto jeri sul boulevard Malesherbes si vedevano iscrizioni analoghe a questa: A Napoleone III gli operai costruttori riconoscenti.

LETTERA DEL DEPUTATO CONFORTI

-- Leggesi nella Monarchia Nazionale la seguente lettera del signor Conforti, che è una solenne protesta.

Pregiatissimo signor direttore

leggo nel suo riputato giornale una lettera del cav Massimo d'Azeglio indirizzata ai senatore Matteucci, la quale mi ha fatto la più penosa impressione.

Trattandosi della mia patria e del memorabile plebiscito, decretato ed eseguito durante la mia amministrazione, come ministro dell'interno, sotto la dittatura dell'eroico Garibaldi, credo mio debito rispondere poche parole.

L'autore della lettera sopra menzionata dichiara, che i governi non consentiti dai popoli sono illegittimi; né io saprei pensare diversamente; perocché i governi sono fatti pei popoli, non già i popoli pei governi. Ma non potrei ammettere, che dopo lo splendido risultato di un plebiscito, ove sorga un xxxxxxxxxxxxxx la quale vorrebbe ristaurare i privilegi e la tirannide del passato, debba di nuova convocare il popolo ne’ comizi affinché esprima la sua volontà. Questa teorica riuscirebbe ad un flusso riflusso continuo, ad una incessante agitazione, ed alla distruzione di quanto nella società vi ha di stabile e permanente.

Nè una seconda chiamata del popolo nei comizi sarebbe bastevole; perocché, agitandosi dopo un secondo plebiscito un partito avverso, bisognerebbe una terza votazione. e così via discorrendo, in tal guisa lo Stato renderebbe simiglianza di un mare senza riva né fondo, sarebbe un continuo mutare, e per conseguenza la negazione di se stesso.

Se non che il cav. d'Azeglio, comprendendo che il suo ragionamento rompeva ad uno scoglio, il plebiscito, cerca gettarlo a terra con le seguenti parole: «In Napoli. briganti e non briganti non ci vogliono, e quindi nel plebiscito ci fu qualche errore.» Al che io rispondo, che in Napoli non vogliono l'unità d'Italia solamente i briganti, i ladri, gli assassini, complici della tirannide, che sono una impercettibile minoranza in paragone del cittadini buoni ed onesti i quali antepongono a tutto la grandezza della patria.

Dirò anzi che la impercettibile minoranza del briganti che infesta quelle belle contrade è in gran parte merce importata dalla nuova babilonia, Roma, dove Francesco II, sorretto dal partito clericale e retrivo, fabbrica monete, arruola gente perduta di tutta Europa, e la spedisce nelle provincie napolitane a portarvi il saccheggio e la morte. Gli dirò anzi, che infino a che starà la Roma papale, il quartier generale di tutti i temici d'Italia, non vi sarà mai compiuta tranquillità nella penisola.

E noi dovremmo al cospetto di questi assassini, come li chiama lord Palmerston, indietreggiare ed interrogare novellamente il soffragio popolare?

A Napoli briganti e non briganti, non ci vogliono, dice il cavaliere Massimo d'Azeglio! Ora io gli domando: non è composta di cittadini napoletani, quell'ammirabile guardia nazionale, che combatte con tanto valore, con tanto entusiasmo contro i briganti, i quali in ogni scontro sono fugati e dispersi?

Non sono cittadini napoletani quei proprietari che si armano coi loro famigliari e combattono a pro della patria comune? Non sono cittadini napoletani quel popolani, i quali ricolmano di maledizione i ladri e gli assassini arrestati dalla forza pubblica?

Se i briganti ed i non briganti delle provincie meridionali non volessero l'unità d'Italia, non che i sessanta, ma i cento ed i duecento battaglioni non sarebbero sufficienti a salvarla.

Riguardo al plebiscito, posso assicurare D’Azeglio, che non vi fu alcun errore – Un milione e trecentomila cittadini votarono liberissimamente per l’unità d’Italia, al cospetto di dieci mila, i quali liberissimamente votarono contro. – Il governo di quel tempo proclamò e difese la libertà del suffragio, e minacciò di severissime pene qualunque violenza, io me ne appello ai miei concittadini, a tutti gl'Italiani delle altre provincie, agli stranieri i quali, dimorando in Napoli, rimasero stupefatti dell'entusiasmo con cui fu gettato nell'urna il voto della unità della patria.

Non parlo delle formalità che accompagnarono il voto, perocché esse furono scrupolosamente osservate. I processi verbali furono diligentemente esaminati dalla suprema corte di giustizia; i voti annoverati con la più grande esattezza ed il presidente della medesima corte, con grande solennità ne proclamò pubblicamente il risultato. Quale dunque poteva essere l'errore nel plebiscito?

Sappia anzi l'autore della lettera, che dopo la proclamazione del voto fatta pubblicamente dal presidente della suprema corte, giunsero altri verbali che aumentavano il numero dei votanti favorevoli all'unione, ma di essi non si tenne conto; dappoiché già il voto era stato proclamato. Al cavaliere d'Azeglio forse non è andata a sangue la formola del plebiscito, che volle l'Italia una ed indivisibile; gli sarebbe piaciuta forse la formola semplice dell'annessione.

Nove milioni di popoli non si annettono ad una parte d'Italia, ma la formano. Ma no: al cavaliere d'Azeglio sarebbe dispiaciuta la stessa formula dell'annessione. Infatti, nel suo opuscolo intitolato, Questioni urgenti, egli ha dichiarato prematura e troppo violenta l'unione delle provincie meridionali. Napoli dunque, secondo lui, avrebbe dovuto maturarsi ancora per alquanti anni sotto la disciplina de'  borboni. Quindi la lettera è una riproduzione del suo concetto avverso alla unione per lo meno prematura delle provincie meridionali alla rimanente Italia.

Si sappia infine che il governo borbonico non fu abbattuto né dall'esercito capitanato dall'eroico Garibaldi, né dall'esercito stanziale; questi vi hanno potentemente cooperato.

Il governo borbonico fu abbattuto principalmente dalla rivoluzione popolare. La marcia di Garibaldi da Reggio a Napoli fu preceduta accompagnata e seguita dalla rivoluzione. Egli nella capitale dell'ex reame con soli quattro suoi compagni d'arme, festeggiato da tutto un popolo. Il plebiscito fu la fedele espressione ed il compimento di una gloriosa rivoluzione.

Nelle sue Questioni urgenti egli ha dipinto sinistramente il governo della dittatura, ed insinua che in Napoli volevasi proclamare la repubblica. Una inesattezza maggiore non poteva uscire dalla penna di uno scrittore sul labbro di Garibaldi vi furono costantemente due soli parole: Italia e Vittorio Emanuele. Garibaldi, senza dubbio, era circondato da alcuni suoi di fede repubblicana, ma, ad onore del vero, nessuno di essi in Napoli pronunziò il nome di repubblica; essi vedevano che la sola soluzione possibile era l'unità d’Italia con Vittorio Emanuele re costituzionale. Il governo del dittatore può dire con orgoglio che, rassegnando il potere nelle mani del re, il giorno otto del mese di novembre 1860, presentava concordi e tranquille e piene di entusiasmo quelle provincie, che sono ora teatro di sangue e di saccheggio!

Il cavaliere Massimo d'Azeglio, bisogna confessarlo, ha renduti grandi servigi all'Italia; ma tutti gli uomini, comeché grandi, hanno tempo di riposo e di sosta; solo il progresso, questa ferrovia della civiltà, segue inesorabilmente il suo, corso.

Torino, 14 agosto 1861:

RAFFAELE CONFORTI,deputato.

MINISTRO DELLA GUERRA

Torino, 12 agosto.

Inscrizione a matricola della campagna fatta

dai Volontari dell'esercito dell'Italia meridionale.

il ministero della guerra è stato interpellato come debba essere annotata a matricola la campagna fatta dai Volontari dell'esercito dell'Italia meridionale, comandato dal generale Garibaldi, i quali passarono al servizio dell'esercito regolare, o vennero confermati nel corpo dei Volontari italiani.

Ferme rimanendo le disposizioni contenute nel dispaccio circolare 27 marzo 1861, n. 14 (p. 179 del Giornale militare), ed indipendentemente da quanto è stato prescritto colla circolare 16 luglio ultimo scorso, n. 31 (p.525 del giornale stesso), il ministero della guerra determina, che pei militari già scritti all'esercito dell'Italia meridionale, capitanato dal generale Garibaldi, i quali furono incorporati nell'esercito regolare, o confermati nel corpo dei volontari Italiani, sia fatta a matricola l'annotazione.

1. Campagna dell'Italia meridionale 1860 in Sicilia e nel Napolitano,

a tutti coloro fra essi, i quali presero parte alla campagna nell’isola di Sicilia e nel continente napoletano.

2. Campagna dell’Italia meridionale 1860 nel Napolitano,

a tutti quelli che furono presenti ai corpi nelle provincie napolitane durante il periodo di tempo di tale campagna filo alla resa di Capua (3 novembre 1860).

3. Campagna meridionale 1866 in Sicilia,

a) a tutti coloro che presero parte ai fatti d'armi avvenuti in Sicilia sino alla data del 31 agosto 1861, epoca questa approssimativamente, in cui i corpi comandati dal generale Garibaldi eseguirono il passaggio dello stretto di Messina, e sbarcarono sul continente Napoletano;

b) a tutti coloro che con documenti validi constatino aver fatto parte dei corpi che erano al blocco della città della di Messina dopo il 31 agosto ora detto, e fino allo spirare del 1860;

oppure;

4. Campagna dell'Italia meridionale 1861 in Sicilia,

a coloro che abbiano fatto parte dei corpi al blocco di Messina dal 1 gennaio 1861 a tutto il 13 marzo stesso anno, giorno della resa della cittadella.

Si reca a notizia dei corpi, tutti dell'esercito questa determinazione, acciò possa avere il suo pieno eseguimento, avvertendo, a scanso di dubbio, che non vuol essere calco lata per tutti che una sola campagna.

Per il ministro G. CUGIA.

NOTIZIE ITALIANE

– Il re, colla sua casa militare, partirà da Torino per Firenze neL giorno 14 del prossimo settembre per essere presente all'inaugurazione dell'esposizione industriale, tale almeno è il desiderio del barone Ricasoli. Pare che fino ad ora nulla siavi in contrario. Si crede che dopo Firenze Vittorio Emanuele andrà a Napoli per restarvi fino all'apertura delle camere, che avrà luogo verso la metà di novembre.

– È giunto a Torino il conte de Launay, nostro ministro a Berlino, con una lettera autografa del re di Prussia, che risponde alla lettera scrittagli da S. M. il re Vittorio Emmanuele in seguito all'attentato di Baden. (Espero)

– Ieri fu fatta una nuova spedizione di Carabinieri per l'Italia meridionale. Si calcola che in questa sola settimana siano stati inviati a quella volto oltre a cento Carabinieri a cavallo, destinati a completare le stazioni delle provincie napoletane. Moltissimi di quei paesi, mancano ancora di stazioni, e non hanno altra sicurezza, che dalle Guardie Nazionali. Però mah mano che si istruiscono alle armi, si inviano colaggiù nuovi drappelli di Carabinieri. (Movimento)

– Onde provvedere al miglior benessere degli sbandati militari ex borbonici che numerossimi adesso corrono a presentarsi alle bandiere nazionali, il ministero ha saggiamente deliberato di formare un campo d'istruzione nelle Lande di San Maurizio presso Torino, sotto la superiore ispezione del sig. luogotenente generale Decavero.

– Scrivono da Torino 12 agosto al Corr. Mercantile:

Le voci di modificazioni ministeriali riprendono il loro corso. Si vuole ora che oltre Lamarmora siano anche per entrare nei ministero, Depretis ai Lavori Pubblici, e Pepoli alle Finanze: si soggiunge poi che la radunanza avuta luogo giorni sono in casa dell'ex professore Berti sia stata appunto collo scopo di determinare questa quistione e stabilire i posti che sarebbero assegnati a ciascuno dei componenti il terzo partito. Io non so cosa siavi di vero in tutto ciò, però è certo che si matura una qualche combinazione per dare a Rattazzi una posizione nel Gabinetto.

– Sarebbe a desiderarsi che tanto il Rattazzi, quanto i suoi amici si ricordassero dei motivi che li fecero una volta uscire dal potere, e cercassero di evitare d'incorrere in simili errori. Rattazzi è al certo persona molto importante nel nostro paese, i servigi da lui prestati più d'una volta alla nazione sono considerevoli, ma sventuratamente non gode presso le popolazioni tutta quella autorità che è necessaria ad un ministro costituzionale per far accettare senza discussione le riforme che intende di introdurre nel Dicastero che gli è stato affidato. Rattazzi è tenuto meritamente da tutti per uomo di talento, ma non gode la fiducia universale.

Perché ciò? I suoi amici, commisero un tempo degli errori che furono fatali alla sua popolarità. Ora se ritorna al potere, come è probabile, il passato possa servire a tutti di esperienza per l'avvenire, ed allora a poco a poco il suo nome prenderà quell'autorità che ora gli matita presso moltissimi. Ricasoli pare l'autore di questa combinazione: egli vorrebbe inalberare un sistema di conciliazione coi terzi, xxxxue anelli di congiunzione colla sinistra. Queste disposizioni benevole verso Rattazzi sono viste di buon occhio da alte persone, le quali hanno sempre portato a quel distinto uomo di Stato una particolare affezione. L'unica difficoltà che si presenta in siffatta questione sta nel vedere se sarà dopo ciò necessario di sciogliere la Camera. Questione grave su tutti i rapporti.

– Scrivesi il 14 da Torino alla Lombardia:

Il generale Menabrea non si è dimenticato che prima dell'ultima guerra era professore di matematiche in questa Università. Ieri, quantunque ora sia ministro della marina, volle assistere ad un esame di matematiche per laurea. Il concorrente alla laurea, o l'esaminando che vogliate dirlo, era un semplice soldato di artiglierà, il quale ha superato l'esame con molto suo onore. Egli era già studente allor quando gli toccò la coscrizione, ed ha saputo, senza mancare ai suoi nuovi doveri, continuare nello studio a lui caro, sì che giova credere che verrà creato sottotenente, giusta quel decreto che invita gli studenti di matematiche ad entrare nell'artiglieria coi vantaggi che avrebbero, ove fossero stati istruiti nell'Accademia militare.

– Alcuni giornali annunciarono la formazione d'una commissione incaricata d'esaminare un progetto d'instituzione di credito fondiario, presentato da una compagnia franco-italiana.

Ragguagli precisi ci permettono di confermare questa notizia, e d'aggiungere che il ministro di agricoltura designò i signori di Salmour e Pisani senatori, Mancini, Carpi, Broglio e Galeotti deputati e il sig. Restelli, direttore della cassa d'ammortizzazione a Milano, come membri di questa commissione.

(Not.)

– Scrivono da Torino:

La quistione romana è all'ordine del giorno. Avrete notato che due del nostri maggiori periodici ne fanno oggi tema alle loro considerazioni; se non che la Monarchia nazionale conclude disperante di non saper vedere il principio della fine, mentre l'Opinione, senza uscire dalle sue prudenti riserve, adombra più fresche e più vicine speranze.

Ora, se io avessi a dirvi quel che ne penso, per me sta l'Opinione non sia stata mai meglio ispirata. Certo, il barone Ricasoli dee aver messo, così ella dice, un amore e una fe de particolare a cercar di risolvere la quistione romana, ed egli è stato in questo mirabilmente aiutato degli errori altrui; ma quello che importa è che il successo coroni le sue istruzioni ed egli abbia la gloria e la fortuna di condurci quanto prima a Roma.

– Alla Lombardia così scrivono da Torino il 14:

Oggi il deputato meridionale Miceli protesta nel Diritto contro la lettera di Massimo d'Azeglio. La risposta del signor Miceli non è senza importanza, ma sembrami ch'egli tra l'altre cose non avrebbe dovuto scrivere che «il solo Garibaldi può calmare la tempesta.» Lo stesso Garibaldi ricordò ai suoi amici che egli pure è mortale, e che non si deve riporre tutta la fede in un uomo solo. Ora supponiamo, che Iddio nol voglia, che Garibaldi morisse di mani, crede il signor Miceli che la causa italiana sarebbe perduta, che il nuovo Stato si sfascerebbe, essendo mancato quel solo, che secondo lui può calmar la burrasca? Guai alla causa il cui trionfo dipende da un solo uomo! Da tutte le parti ci vennero conforti a non perderci d'animo dinanzi alla immensa disgrazia che ci colse con la premura morte del conte di Cavour. Questo grand'uomo era utilissimo all'Italia, vorremmo averlo ancora, ma egli pure non era strettamente necessario. Allora quando un grand'uomo ha già dato l'impulso, ed è già accennato le nuove vie, per le quali dee correre in dato tempo una vasta associazione d'uomini, egli ha già adempiuto alla parte più importante della sua missione su la terra. Se al suo sparire tutto ruina, è segno ch'egli non riassumeva realmente in sé i bisogni e le virtù di quella società, è segno che era artificiale e mal fondata la sua creazione. Io per l'onore delle provincie meridionali, per l'onore d'Italia e di Garibaldi stesso, credo che il trionfo della causa italiana non possa omai dipendere solamente da lui.

– Così scrivesi da Torino alla Gazz: di Milano:

Qui si muovono serissimi lagni contro il signor Talabot per la inesecuzione del contratto, o della convenzione sancita dal Parlamento per la costruzione delle ferrovie napoletane, i lavori, contro i patti del capitolato, non sarebbe ancora incominciati, e di più si afferma che la massima parte degli ingegneri, sotto-capi e operai di qualche rilievo da lui scelti, siano reazionari di prima forza, pei quali le ferrovie napoletane non sarebbero che un pretesto; e queste voci che sono diffuse, vengono avvalorate da una corrispondenza di Napoli alla Presse, la quale afferma che gli operai stipendiati sono tali che a un dato momento saranno capaci di far sventolare la bandiera bianca e di gridare viva Francesco II. Il signor Peruzzi che sta per partire alla volta di quelle provincie, porrà riparo, giova sperarlo, a questi gravissimi abusi.

Il ministro Bastogi, dopo il brillante successo del suo prestito e gli alti segui d'onorificenza conferitigli dal re, è partito per la Toscana. Al suo ritorno, vorrebbe, dicesi, occuparsi meglio della amministrazione delle nostre finanze, la quale è, a dir vero, incerta e intralciatissima, ma ho motivo di credere che egli non terrà lungamente quel portafoglio. Cordova è sempre quello che è destinato a succedergli, e si assicura che in quel ramo di amministrazione egli ha profonde cognizioni ed è valentissimo.

– Leggesi nella Politica Italiana di Messina del 14:

La sera di domenica fuvvi gran festa da ballo al Casino dei Negozianti, in omaggio del luogotenente della Rovere che tuttavia onora la città di sua presenza. Il ballo cominciò alle 11 e si protrasse fin a giorno. Esteso era l'invito, onde la festa riuscì brillantissima. Tra i vari brindisi che infiorarono l'ora del buffet, campeggiò quello iniziato dalla bocca dello stesso Luogotenente «Al Re Vittorio Emmanuele» il quale brindisi fu eccheggiato con viva emozione dagli astanti, non che dalla voce argentina delle eleganti signore. Ieri sera grande illuminazione al teatro Vittorio, Emmanuele, ove all'alzar del sipario, comparve sul palcoscenico cinto da trofei il mezzo busto del Re d'Italia, e fu sonato l'inno reale. Fragorosi ed incessanti furono gli evviva al le Guardie nazionali delle due città sorelle, all'Italia, all'Unità, e i fazzoletti si agitavano da tutti i palchi, e la gioia più pura si espandeva su tutt'i volti.

– Leggesi nella Libertà di Catania del 14:

Quest'oggi è atteso fra noi S. E. il Luogotenente Generale del Re in queste Provincie. Avendo il Consiglio Comunale avuta conoscenza dello arrivo di S. E. in Messina, nella sera di domenica 11 corr. si riunì straordinariamente e nominò una Deputazione di tre consiglieri per invitarlo a recarsi in questa. Il Luogotenente del Re ha accettato lo invito, e si spera di averlo anche qui per la festa. La città è pronta a solennizzare questo avvenimento. La Guardia Nazionale è tutta invitata a rendere i dovuti onori. Il popolo accorrerà numeroso per manifestare le sue simpatie e la sua accoglienza. All'altro numero i dettagli.

– Leggesi nello stesso Giornale:

Nell'atto che le provincie napoletane che formano la parte più bella del Reame italiano sono infestate dal più infame brigantaggio, che stipendiato ed instigato dal Borbone di Roma giura esterminio e distruzione, la Sicilia contenta e lieta dell'acquistata libertà si consolida sempreppiù nelle sue fondamentali istituzioni, ed attende allo svolgimento della sua posizione sociale e politica con quella calma e maturità di senno che agli occhi dell Europa la fan veramente degna di aver conseguito quel viver libero e civile che una tradizionale tirannide non valse a spegnere. In Napoli il brigantaggio potè introdursi ed estendersi, ma in Sicilia non si è mai osservato alcun fatto di turpe reazione in nessuna classe di gente, che possa per avventura far dubitare della eterna avversione che i figli dell'Etna nutrono per l'abbattuta ed aborrita dinastia. Si ricorda che ad onta dell’oro che agenti stranieri sorpresi dal Governo tentavano una volta di spargere, la pubblica indignazione elevò la tremenda sua voce contro di essi, e non vi fu persona fra noi onesta e coscienziosa che non li abbia condannati al disprezzo ed alla ignominia. Il Governo però è obbligato di vegliare indefessamente alla sicurezza di queste Provincie, essendo purtroppo certo che con un'attitudine preveggente ed energica assume forza lo Stato e s'ispira fiducia al popolo.

RECENTISSIME

– La Gazzetta ufficiale del Regno del 18 annuncia che la compagnia Talabot, concessionaria delle ferrovie del Napoletano, chiese alcune modificazioni ai patti stabiliti, che sarebbero riescite di non lieve aggravio allo stato. Non avendo voluto il governo aderire a queste dimande, considerò come sciolto il contratto e assunse l'impegno di continuare egli medesimo i lavori di costruzione adoperando in essi la maggiore alacrità possibile.

– Il ministro dei lavori pubblici partiva il 18 per Napoli.

Crediamo che non va lungi dal vero che suppone che la gita dell'onorevole ministro si estende pure allo stato delle cose politiche a Napoli. (Espero)

– La Direzione Generale dei Lavori Pubblici comunica al Governatore di Reggio di Calabria che: Il Ministro dei Lavori Pubblici in seguito a domanda avuta ne ha accordato al sig. Domenico Sabatini, di Napoli, l’autorizzazione di procedere ai rilievi ed alle operazioni necessarie per istudiare due linee di ferrovia l'una da Salerno a Reggio lungo il Tirreno, e l'altra da Napoli per Castel Volturno e Terracina.

CRONACA INTERNA

– Leggiamo nell'Opinione di Torino, le seguenti parole che le scrive un corrispondente da Napoli.

«I governanti qui non procedono in quello accordo necessario in questi momenti, in cui bisogna dar forza ed autorità al governo. De Blasio ha nominato quattro suoi dipendenti ad intendenti, ne ha fatto firmare i decreti da Cialdini senza consenso del governo centrale, che a sua volta stava nominando questi quattro intendenti. Cantelli ha dimandato schiarimenti per questo procedere. De Blasio non ha risposto. A questa ragione di mancata concordia si unisce che De Blasio ha serbato le quattro buone intendenze per i suoi, ed ha mandato i nominati dal ministro in quelle pessime ed in questo momento pericoloso per governarsi da uomini affatto nuovi dei luoghi. D'altra parte il vedere Pironti e De Blasio sedere nello stesso consiglio di luogotenenza fa diminuire la loro importanza personale e prova che questo non è un consiglio armonico, quante volte gli opposti non si armonizzassero per amore del potere».

Noi invero, dopo aver letto queste parole abbiamo cercato avere chiara notizia de'  fatti, che ci pareva assai strano, per non dire altro, quel che leggevamo nel foglio semiufficiale di Torino. Siamo in grado di smentire formalmente la notizia data dal corrispondente dell'Opinione. La nomina degl'Intendenti e dei Consiglieri di governo, appartiensi al Ministero del l'Interno, e questi si trovava aver messo a disposizione della Luogotenenza di Napoli, otto Consiglieri ed Intendenti dell'Italia Settentrionale, i quali sono stati destinati a Sora, Matera, Melfi, S. Severo, Bovino, Barletta, Castrovillari. Isernia, e Cerreto. Vi erano due altri Distretti a provvedersi d'intendenti, Gerace ed Ariano, sendo stato traslocato l'Intendente di que sto ultimo Distretto in Sulmona. Per l'urgenza sono stati inviati a funzionare temporaneamente due Con siglieri di governo, e questi sull'indicazione de’ governatori per la loro idoneità.

Adunque è interamente falso quel che afferma l'Opinione che il de Blasio, violando tutto le leggi avesse cercato di collocare i suoi dipendenti, ed avesse presentato a firmare a Cialdini i decreti senza il con senso del governo centrale. Il dissenso tra il de Blasio e il sig. Cantelli, che, vogliamo sperare, sia fi nito, trae origine da altre ragioni.

– La Democrazia nel N. di ieri ha queste parole: «Le voci vaghe della dimissione di Cialdini non hanno prodotto senso alcuno in paese. Napoli si è come parata sotto l'usbergo del più freddo cinismo e vede tutto questo saliscendi governativo con un'indifferenza che mette spavento. Intanto diamo per sicuro che Minghetti ha dato la sua di missione che sarà accettata; Palmieri assumerà il portafoglio dell'Interno ed il generale Della Rovere quello della Guerra.»

La Democrazia dice la verità questa volta, e noi ce ne congratuliamo di cuore coi suoi compilatori. Sì, e vero che il paese non si è punto commosso alle voci vaghe della dimissione di Cialdini; perché un paese che incomincia ad assuefarsi alla vita politica impara prima di tutto a mettersi in guardia contro le voci vaghe del mestatori, la cui maschera di apostoli di libertà può sedurre soltanto i neonati politici. È vero pure che Napoli vede con indifferenza il saliscendi politico; ma i compilatori di giornale veramente italiano e liberale dovrebbero compiacersi di questa indifferenza, la quale significa che il popolo napolitano, dopo le convulsioni rivoluzionarie incomincia finalmente ad attendere alle sue industrie, ai suoi commerci alle sue arti, e a riporre fiducia nel proprio governo i compilatore della Democrazia per contrario si spaventano di questa indifferenza; essi dunque vogliono la rivoluzione perpetua.

Nonostante la spaventosa confessione che la Democrazia fa della indifferenza dei Napolitani, pure essa nel medesimo numero non si vergogna di annunziare, che verificandosi la rinunzia di Cialdini al potere civile, il luogotenente destinato a quest'uopo sarà probabilmente Liborio Romano (sic). Questa sì che è una notizia, la quale se non venisse dalla Democrazia, non troverebbe indifferenti i napoletani!

– Sappiamo da fonte sicura che nel di 14 di questo mese in Matrice Provincia di Campobasso vi è stato un attacco di sette briganti a cavallo, tra quali due indigeni ed un solo soldato sbandato. Il loro scopo era quello di funestare la festa del 15 agosto – Il Sindaco si oppose a che la G. N. fosse uscita ad in contrarli; ma il bravo Filippo Pupitella, solo e a piedi affrontò i briganti dietro ad un albero e tenne piede per parecchie ore, in guisa che i briganti si ritrassero feriti e battuti ed il Pupitella ne riportò due onorate ferite che forse gli costeranno la vita.

Il Pupitella, è un vecchio di 70 anni: fu condannato per causa della libertà, con Tupputi al 1820, e scontò a Tunisi la pena dell'esilio: nell'insurrezione contro i borboni dell'anno scorso egli è stato sempre uno dei più animosi essendo sergente nella colonna sannitica sotto Garibaldi.

– Ci si narra positivamente da persone degne di fede che ieri sono venute da sopraluogo, quanto segue.

Dopo l'eccidio che con sì vile tradimento fu com messo da quei vigliacchi di Pontelandolfo sui 40 soldati dell'esercito, le popolazioni di S. Lupo e di Guardia indegnate dell'atto esecrabile mossero seguendo la Guardia Mobile, per punire i colpevoli.

Essi quindi fucilarono una decina di quei colpe voli, e ne bruciarono le case.

Il resto del villaggio si trova ora in piena tranquillità: gli onesti cittadini stanno nelle loro case rispettati.

E perciò falso quello che alcuni giornali sono andati divulgando, che non vi esistesse pietra sopra pietra; è falso che gli abitanti fossero stati tutti colpiti; ed è infine falso che le truppe fossero quivi andate per vendicare i loro traditi compagni, mentre che se c'è stato qualche fatto fu commesso dall'ira e dal l'indegnazione dei vicini paesi e dalla G. M.

– Per dare ai fogliettanti clericali di Parigi un'idea alquanto esatta di quel che sono i preti retrivi di Napoli e massime quelli della Rev.ma Curia Arcivescovile, registriamo un fatto che ebbe luogo pochi giorni or sono e di cui garentiamo tutta la veracità. Un sacerdote, stato già cappellano dell'esercito de'  volontarii in Sicilia e via via in tutta la splendida e trionfal marcia dell'eroico Garibaldi – trovandosi sprovveduto delle carte necessarie per ottenere dalla suddetta curia arcivescovile il permesso a poter celebrare – ricorse ad un'astuzia. Si presentò al vicario Generale o a chi ne fa le veci, e con umili parole e quasi con le lagrime agli occhi narrò che per via, es sendo stato assalito, con altri compagni di viaggio, da quelli che dai perfidi liberali diconsi briganti, ma che sono gli eroi dell'ordine, del trono legittimo e dell'altare, ebbe con le altre poche sue cose involate anche le lettere testimoniali del suo Vescovo; e che per ciò, come martire della santa causa della restaurazione borbonica si raccomandava alla benignità della R.ma Curia Arcivescovile. Il credereste? Si ebbe le più cordiali accoglienze e reputato uno del più santi e gloriosi sacerdoti del cattolico orbe, non pure ottenne la desiderata licenza di celebrare, ma augurii di ogni felicità per sé e pei cari ed aspettati briganti.

Ecco i vostri degni colleghi o scrittori de’ fogli clericali francesi – una gente perversa di cuor.

e di mente occiecata e stupida.

– Uno de generalissimi di Francesco Borbone – Cozzitto, che à tuttavia il suo quartier generale in Collemeluccio, quantunque con un numero di seguaci che a contarli non fa bisogno delle due mani, pronunciava in sui primi giorni del volgente agosto queste parole: tra i 15 ai 20 del corrente deve scoppiare una congiura sterminatrice, dietro la quale se non riuscirà di richiamare in vita il passato, mi darò l'animo in pace – e mi presenterò. Oggi siamo ai 20 e la fatal congiura sterminatrice non ancora manda sossopra la povera Italia. Se come pare quest'oracolo venuto al Cozzitto da Roma è simile di tanti vituperosissimi e stolti che escono ogni momento dal Palazzo Farnese e dal Vaticano – speriamo che il miserabile traviato ed illuso brigante voglia serbare la sua promessa e ravveduto finir la vita tra le carceri, anziché morire per opera di qual che palla ineducata, e impenitente andar dannato per sempre.

Il Delegato Cataneo mentre il giorno 17 perlustrava nelle vicinanze di Maddaloni fu aggredito dai briganti, contro i quali egli con sei Carabinieri ed altrettante Guardie di P. S. e con poche Guardie Nazionali sostenne un vivissimo fuoco e gli riuscì di prendere il capobanda.

– Il giorno 17 la Guardia Nazionale di Nocera stando sulla riva destra del fiume verso il ponte di Rocigliano s'accorge che su l'altra sponda erano i briganti S'incominciò fra loro un vivissimo fuoco: ma i briganti si dettero tosto alla fuga trascinandosi qual che ferito.

MAURO VALENTE – DIRETTORE

Gerente responsabile EMMANUELE VACCARO




Anno I – N° 19 Napoli — Mercoledi 21 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

Mentre promettevamo di parlar delle due lettere di Matteucci, eccone venir fuori un’altra del Conforti nella Monarchia Nazionale.

Il Matteucci nella sua prima lettera, che diede origine a quella del d’Azeglio, poneva la quistione se le provincie napoletane sono si o no del regno d'Italia, se resteranno si o no unite col resto della Penisola, e con una serie di bellissime ragioni la risolveva per l’affermativa. Ebbe egli torto nel porre tal quistione? A noi par di sì, e così parve a tutti giornali che se ne occuparono; e più torto s’ebbe nel dire che ci manca sin qui nelle provincie napoletane il concorso morale della maggiorità della popolazione. Avrebbe potuto dire che un tal concorso morale si era un po’ raffreddato per gli errori commessi, che seguitando a commetterli sarebbe potuto divenire affatto freddo e indifferente per non dir peggio, e forse gli avremmo potuto menar buono questo suo modo di vedere da lontano e giudicando sopra relazioni non sempre spassionate e veridiche. Ma il negare del tutto il concorso morale fra noi della maggioranza al governo attuale, massime or che le cose van prendendo sempre migliore andamento, è un modo di vedere che si dilunga le mille miglia dal vero. Ma, lo ripetiamo, il resto della lettera, quello che espone le ragioni che gli fan credere non essere possibile una separazione, è bellissimo e degno di tutta lode. Sarebbe il vero caso di dire quod Deus conjunxit homo non separet: ché l’Italia unita è manifesto volere di Dio. Bellissima pure è la parte in cui dà saggi consigli per far comprendere e provare ai Napoletani il grandissimo vantaggio del far parte di una grande nazione.

La seconda lettera, pubblicata nella Gazzetta del Popolo, è una difesa pallida e debolissima, non già dell’opinione del d'Azeglio che non è difendibile, ma delle intenzioni di lui. Egli interpreta a modo suo la lettera, e vi legge quel che non vi è, e vi trova quello che forse doveva esserci. Ei chiude così: «Che bella cosa se imparassimo una volta a dire come gl’inglesi: che la loro flotta è insufficiente e inferiore alla francese, che l’armata è male organizzata, i che l’Irlanda è un focolare d’insurrezione, che presto o tardi l’Inghilterra deve perdere le Indie!»

Sì. risponderemo, noi l’impareremo a dire queste ed altre cose quando come l’Inghilterra saremo una nazione che non corre pericolo che altri profitti di tali affermazioni vere o false che siano, quando non avremo nemici nel cuore stesso del nostro paese, nemici alle porte che né minaccino, ma un unico nemico esterno contro cui potremo volgere tutte le nostre forze. E non pertanto, sebbene in Inghilterra si dicano senza pericolo di siffatte cose, nessuno dirà mai colà che il Regno Unito manca del concorso morale della maggiorità dell’Irlanda, né che gl’Irlandesi non vogliano saperne degl’inglesi.

La lettera del Conforti è una vittoriosa risposta. Se ad ogni insorgere di una minoranza si dovesse ricorrere a convocare i comizii per mi novello plebiscito, non vi sarebbe mai stabilità nella civil comunanza. Bellissime sono le parole: «In Napoli non vogliono l'unità d’Italia solamente i briganti, i ladri, gli assassini, che sono un’impercettibile minoranza.» Difende poi l’opera sua, cioè il plebiscito fatto mentre egli era qui ministro, e ricorda come tutte le precauzioni furono prese per la libertà del voto, libertà della quale la miglior pruova si è che diecimila votarono contro l'unità a fronte di un milione e trecentomila. Noi avremmo aggiunto che in quel tempo la maggior parte delle provincie napoletane erano in balìa di se stesse, non da altra forza tutelate che dalla guardia cittadina. Le truppe erano tutte intorno a Capua e a Gaeta, e in quelle due fortezze eran chiusi con altri quelli che poi divennero briganti o promotori di brigantaggio, e che ora esprimono il loro voto contrario col saccheggio e coll'eccidio.

Noi esortiamo i nostri lettori a leggere per intero questa bella difesa dei Napoletani che fa il Conforti.

Ben altrimenti giudicano delle nostre cose i nostri alleati. Non possiamo tenerci a questo proposito dal riferire un brano di articolo della Presse, dove richiama l'attenzione su quel luogo della circolare del Ricasoli chde si riferisce all'Italia meridionale.

«Questo luogo, due il signor Peyrat. sarà compreso e apprezzato in Francia e in Inghilterra, ove si sa bene che l’ordine e l’unione non sono i risultati immediati dell’affrancazione di un popolo e delle sue libere istituzioni. Cento anni dopo la morte di Carlo I, gli Scozzesi rispondevano all’appello degli Stuardi, e dopo il 1792, la Vandea insorse tre volte. Forse che simili insurrezioni, nelle quali, come nell’Italia meridionale, si derubarono i viaggiatori, si saccheggiarono e si trucidarono i pacifici abitanti, e si mise a soqquadro il paese hanno impedito od almeno ritardato il trionfo della risoluzione? No. I destini della rivoluzione si decidevano a Parigi, a Londra e nelle grandi città di Francia e d’Inghilterra, ed ivi trionfarono. In Italia, essi si decidono a Torino, a Genova, a Milano, a Firenze, a Napoli. Ed ivi, il loro trionfo è completo. Il resto è secondario, fittizio, e importa poco.»

E così la stampa francese prosegue a combatter con noi in quanto alla quistione romana; delle quali ecco le voci che corrono: vuolsi che l’Antonelli sia disposto a venire ad un accordo; vuolsi che il P. Passaglia abbia rappiccato le pratiche iniziate col conte Cavour e tratti ora col ministro Minghetti; vuolsi che al papa sarà proposta l’isola d’Elba invece di Roma; vuolsi infine che una soluzione non si farà lungamente attendere, e che a questa non sia estranea la gita di monsignor Nardi (latore di una lettera autografa di Pio IX a Napoleone III) al campo di Chalons, dopo avere avuta un’udienza da Thouvenel.

Vi ha taluni mi sembra vedere che l’Austria assuma un aspetto minaccioso e ingrossi sul Mincio e sul Po, e affretti le nuove fortificazioni di Mantova. A noi non pare: l’Austria ha ben altro a che pensare. Con tutto ciò non bisogna farsi cogliere alla sprovista, e vediamo con piacere ordinati campi d’istruzione nella Lombardia. Anche gli accrescimenti che riceve la flotta italiana rompono i sogni all’Austria, che vede costruire sette nuovi legni a vapore nei cantieri della Foce, di Livorno e di Castellammare, e ordinare a Nuova Vorca la costruzione di due pirofregate corazzate. Lo vede e freme, o almeno fremono i suoi giornali, come fremono per l'inaudita temerità, come essi la dicono, della dieta ungherese. Per conoscere poi a quale stato sia giunto quell’impero, incomposta congerie di cozzanti elementi che tendono a disgregarsi, bastano le più recenti notizie che se né hanno: in Ungheria vuolsi ricorrere alla forza per l’esazione delle imposte, essendo baldi gli Ungheresi nel volere usare ampiamente del dritto di resistenza; nella Boemia si è indefinitamente procrastinata la cerimonia dell’incoronazione dell’imperatore come re di Boemia. Aggiungi a questo le condizioni finanziere dell’impero, e dI poi se sia probabile un attacco sol Mincio e sul Po.

LA CAPITALE D’ITALIA

Tutti gl’italiani dall'una estremità all’altra della penisola, tacitamente o esplicitamente convengono che la capitale del nuovo Regno d’Italia dev’essere quella stessa che un di fu capitale di tutto l’impero che le armi italiane ridussero all’obbedienza.

Roma per riguardi storici. perché trovasi in una situazione centrale, e perché in gran parte il suo acquisto completerebbe il regno è la capitale naturale del regno italiano.

Per il momente però n’è forza di non pensarvi: ma è nostra fede comune che lungo tempo non potrà trascorrere e l’Italia acquisterà la sua capitale.

Transitoriamente era dunque necessario che un’altra città si costituisse per poco, centro dello Stato e punto da cui emanasse, materialmente parlando, tutta l’azione governativa, ed in cui si «convergessero tutte le forze della nazione.

Intanto se tutti sono disposti a riconoscere in Roma la vera capitale, non tutti tollerano che un’altra città, quando anche provisoriamente, né faccia le veci. E quindi si cominciò a mormorare, equabili sentimento municipale si manifestò sebbene in mia maniera molto mite.

Ma fermi nella certezza come siamo, che ben prossimo sarà l’acquisto della nostra vera capitale, pure noi non possiamo far a meno di non osservare quanto stolida sia questa gara municipale, gara che per lungo tempo è stata causa delle nostre sventure e della nostra divisione! Quali sono i vantaggi, qual è l'utilità che in sé racchiude inerente una città per il solo fatto che sia una capitale? Una città, come è noto generalmente. è un centro di consumo più o meno grande. Per quanto più è popolata per tanto attira maggiore attività e movimento nel suo mercato.

Una capitale non può avere altro effetto che quello di attirare molta gente che fa parte d’una Corte, gli impiegati ed una massa di persone che non amando il lavoro accorre presso il centro governativo per vivere a peso dello Stato.

Tutta questa gente che costituisce diciam così la dote d una capitale, vi affluisce, tanto se la città sia popolatissima quanto eziandio se fosse una piccola città. La qualità di capitale è ben distinta da quella di grande città. Questa gente dunque che affluisce «elle capitali, se questa è grande città, serve a mostrare e far spiccare maggiormente la miseria a lato dell’opulenza; se è piccola città serve ad aumentarla e crearne una città di proletari!

Oltre a questo non v’é altro vantaggio che una capitale possa ricevere.

È un errore il credere che il lusso nelle Capitali sia l’effetto della residenza del governo. Giacché le grandi città, dove la ricchezza fosse più generalmente diffusa, danno necessariamente questo risultato, comunque non siano delle capitali.

Il lusso, com’è chiaro, viene dopo che la sodisfazione delle necessità prime sia compiuta e perciò è unicamente l’effetto dell’opulenza.

È pure mi errore il credere che la qualità di capi tale renda una città più popolala: oltrecché questo ripugna ai principii più triti di economia, è evidente che Washington, capitale degli Stati Uniti, e dove risiede il governo centrale è una delle più piccole città dell’Unione. Haye, capitale dcll’Olanda è la metà più piccola di Amsterdam che è una semplice città di provincia.

D’altra parte quel lusso e quell’agglomerazione di una gran quantità di proletarii nelle capitali sono un male grandissimo.

Poiché tutte le classi consumatrici 'trovandosi agglomerate, ed alimentandosi molte specie d’industrie unicamente di lusso e perciò fondate su di una base fittizia, le quali per questo solo facilmente vanno nel nulla. tutto ciò produce una miseria generale, mio spirito di ozio, e per essi una grande depravazione di costumi, di morale, e dell'istinto al lavoro.

Questa è dunque quella utilità di cui si va in traccia?

Taluni per esempio, mostrano un gran malumori dal perché Napoli cessa di essere capitale, credendo con ciò che questa bella città perderà del suo lustro.

Ma Napoli perdendo la qualità di essere capitale non perde altra cosa che la residenza di sette od ottocento impiegati dei Ministeri e null'altro. Potrà perciò averne dolore?

Quali sono stati i vantaggi che i Napolitani hanno avuto per tutto il tempo che la propria città è stata Capitale dell’ex regno? Certamente non altra cosa, che vedere una città grandissima, di mezzo milione di abitanti, sucidamcnte tenuta, priva di qualsiasi divertimento pubblico ed ammorbata di miserabili accattoni. Ecco i vantaggi della Capitale: questi sono stati per noi.

Ora con la fusione delle provincie italiane, Napoli perdendo la qualità di Capitale, ha acquistata una rendita di più di un milione di ducati, per cui potranno crearsi moltissimi vantaggi, e moltissimi siti di delizia e di divertimento pubblico, nonché stabilimenti di pubblica utilità.

La città ripulita, ingrandita e migliorata, tutto il danno della perdita della capitale non sarà che per quei pochi impiegati, abituati al beato ozio delle segreterie.

LA QUISTIONE ROMANA La quistione romana si avvicina a gran passi al definitivo suo scioglimento.

L'Independance Belge ha in proposito un importante carteggio che riproduciamo per intiero dall’Espero.

Eccolo:

«Si fan le meraviglie generalmente della lentezza del generale Cialdini nel piano di operazioni che debbono ridonare la pace al regno di Napoli. Io credo poterne spiegar la causa. L'illustre generale col colpo d’occhio militare che lo distingue ha facilmente riconosciuto che la radice del male è Roma, e che era impossibile mettere un termine al brigantaggio senza occupare il territorio, sul quale le bande trovano un rifugio, e possono sempre riorganizzarsi.

«Egli ha dovuto consultare il governo per sapere se all'occorrenza, e quando né fosse ben dimostrala la necessità, egli potrebbe varcare la frontiera pontificia. Naturalmente era impossibile al barone Ricasoli il rispondere in modo preciso a questa dilicata quistione senza precedentemente aver iniziati negoziati diplomatici che appena sono riusciti nel momento in cui vi scrivo. Ma finalmente è stato riconosciuto che la Francia non poteva lasciar compromettere l’opera della nazionalità italiana fondata mediante il suo concorso materiale a Magenta e a Solferino, e poscia costantemente appoggiata dal suo concorso morale.

«Ora egli è evidente che la nazionalità italiana non potrà costituirsi definitivamente finché sarà interdetto al nostro governo di spegnere il focolare di reazione e di guerra civile che esiste sul suolo italiano istesso.

«In conseguenza è stato dichiarato al barone Ricasoli che, se le necessità della guerra conducessero il generale Cialdini sol territorio pontificio, egli non avrebbe a temere la opposizione delle truppe francesi. Ordini sono stati dati al generale conformi a questi accordi internazionali, e le grandi operazioni non tarderanno a incominciare.

«E’ facile prevedere che, se la bandiera italiana si mostrerà su! territorio ancora sottoposto alla dominazione della corte di Roma, le popolazioni non potranno contenere il loro entusiasmo, e la bandiera nazionale sarà per forza, e per così dire, fatalmente innalzata sin nella stessa Roma, ove l’armata francese sarà necessariamente ridotta a proteggere la sola persona del papa.

«Così gli sforzi tentati a Rohia per agitare il mezzodI d'Italia e restaurare Francesco II avranno per conseguenza la caduta definitiva di quanto avanza del potere temporale.

«Non passerà molto, e voi vedrete svolgersi gli avvenitiva di quanto avanza del potere temporale.

«Non passerà moto, e voi vedrete svolgersi gli avvenimenti nel senso che vi ho indicalo.

«Intanto le notizie che ci giungono sono necessariamente un po' confuse e quasi contradditorie, non potendo il governo rivelare il segreto di questi negoziati e trovandosi costretto a calmare il pubblico impaziente. Ma non bisogna preoccuparsi degli incidenti: il nodo gordiano sarà fra poco tagliato

I FOGLI CLERICALI

— Il corrispondente della Perseveranza, cosi scrive. da Parigi:

I fogli clericali di Ogni specie sentendo mancare il terreno sotto di sé, e vedendo approssimarsi il momento in cui la piena pacificazione dell’Italia darà la più splendida smentita a tutte le loro machiavelliche invenzioni, s’appigliano come i disperati a tutti i piccioli fatti che possono ancora dar materia alle loro menzogne ed alle loto calunnie. Non si tirà un colpo di fucilò nell’Italia meridionale senzaché essi non cerchino di farlo credere un fuoco di battaglione; e se le truppe italiane perdono un uomo, è un reggimento intero che perì. Se non si leggesse che il Monde di stamane e non fossimo edificati da lunga pezza circa la tattica abituale di quel partito, il quale non si sostiene che colla menzogna, si crederebbe che Cialdini, battuto, annichilato, senza truppa, senza munizioni. se la dia a gambe in faccia alla formidabile insurrezione di tutte le provincie napoletane, insurrezione che domani s’impadronirà di Napoli, ove riporrà Francesco II sul trono! La Scrittura parlò degli ultramontani allorché disse: oculos habent et non videbunt; e non vedranno perché non vogliono vedere. Eglino sono abbastanza tinti, abbastanza sfortunati, abbastanza spogli di speranza per inspirare pietà, e tuttavia, tale è la loro iattanza. La loro presunzione nella sventura, cito irritano o fanno ridere, mentre altri nella loto posizione si farebbero compiangere. Potete dunque esser sicuri che qui non si crede una parola de’ loro pretesi dispacci napoletani, secondo i quali l’insurrezione sarebbe trionfante su tutta la linea. È troppo recente la memoria delle notizie che propagavano quando Garibaldi era a Napoli, e dei dubbi ch'essi esprimevano a riguardo della partenza dell’eroe italiano alla volta della Sicilia, allorché la Sicilia era già tutta conquistata.

IL GENERALE CIALDINI A NAPOLI (Dall'Opinione)

Nel foglio di ieri ci siamo ristretti a pubblicare le notizie che avevamo ricevute da Napoli, intorno alla pretesa demissione del generale Cialdini. Ora aggiugneremo alcune osservazioni.

Il generale Cialdini aveva accettato la missione di recarsi a ristabilir l'ordine nelle provincie napolitane gravemente compromesso dall’orde de’ briganti, assoldali da Roma. Ufficio essenzialmente militare ninno avrebbe potuto compierlo meglio di lui, che ha la fiducia del soldato e che tante prove ha date di operosità e di energia.

Ma, egli sobbarcandosi a quest’impresa, non prevedeva la demissione del colle di S. Martino e per conseguenza il raso ché al comando militare sarebbesi dovuto congiungere il governo civile.

Pure egli ha condisceso ad assumere anche la reggenza della luogotenenza ed i suoi atti come governatore civile vennero encomiati non meno di quelli da lui compiuti come comandante del sesto corpo di armata.

A noi imporla assai di tener conto dell'appoggio che il generale Cialdini ha conseguito in Napoli, perché esso è la risposta più eloquente che far si possa a coloro che stando qui in Torino, senza punto conoscere le condizioni di Napoli, e mossi da considerazioni secondarie, gli danno colpa di cercar appoggio in un partito troppo spinto e che finora non ha operato d’accordo col partito della maggioranza.

Non fa mestieri di avvertire che questa accusa muove da un concetto interamente falso dei doveri di un luogotenente del Re e che non potrebbe esser ammesso dal governo, il quale dee aver viste larghe e sa che il generale Cialdini non è uomo da lasciarsi sopraffare da fazioni o da consorterie.

Il generale Cialdini si è egli cattivato la fiducia delle popolazioni? E’ egli riuscito finora nel suo intento di liberare le provincie da’ briganti che le infestavano e di invitare a concorrere alla pacificazione del paese tutte le forze liberali, tutti gli elementi del partito nazionale? Niuno può contestare il suo successo. E questo fatto tanto importante spiega l’impressione dolorosissima che aveva prodotta in tutti la notizia corsa della sua dimissione.

Egli non è uomo da ritirarsi nel mezzo del cammino. Percorre risoluto la via finché arrivi alla meta e questa meta la raggiugnerà. Il governo ha riposto in lui intera fiducia; la nazione lo considera come l’uomo più adatto a ridonar la quiete e l'ordine alle provincie napolitane. Fiancheggiato dall’opinione pubblica, egli non poteva pensare a troncare l'opera sua; poteva bensì ricordare al governo che non aveva accettata la luogotenenza senonché provvisoriamente, ina giammai abbandonare il coniando militare e neppure stabilire un termine al suo ufficio civile.

Noi ci siamo affrettati, in seguito d’informazioni di Napoli della cui esattezza non possiamo menomamente dubitare, a smentire la voce della sua demissione, perché questa voce, accolta da’ liberali con dolore e sgomento, porgeva. pretesto agli uomini appassionati, e che si regolano secondo la logica di partiti esclusivi, a condannare il ministero e quasi a rallegrarsi che si trovasse in novelli impacci.

Egli fingono di non avvedersi che gli impacci sarebbero meno pel ministero, che non per la nazione, la quale soffre e dei repentini cangiamenti e delle incertezze che gli accompagnano! Ma il ministero non può esser guidato che da un sol pensiero, ed animato che da un sol sentimento verso il generale Cialdini, il quale comò ha adempiute le sue promesse, così soddisfarà la comune aspettazione.

Le lettere di Napoli ci annunziano esser insorto qualche dissenso tra lui ed il conte Cantelli. Noi non ci meravigliamo di queste discrepanze. Ve né hanno in condizioni più facili e menu gravose: come si pretenderebbe di evitarle a. Napoli? Ma perché furonvi dissidi, non capitali, non irreparabili, tra di loro, sarebbono eglino scusabili se rinunciassero all'incarico che hanno ricevuto dal governo? Noi comprendiamo che chi è in disaccordo col governo chiegga di ritirarsi e rassegni le sue ile missioni ma il generale Cialdini è in perfetta armonia col ministero, dal quale ebbe la più ampia libertà di azione, e noi non giustificheremo mai color che per dissensioni lievi suscitate fra di loro esclusivamente, abbandonassero una posizione, la quale se non è scevra di fastidi, non è neppure senza gloria.

Se adunque al conte Cantelli è venuto in pensiero di dare le sue demissioni, non può essere senonché pel timore gli era entrato nell'animo il generale Cialdini domandasse di esser esonerato dalla luogotenenza per discorde parere manifestatosi con lui, la qual cosa prova come il conte Cantelli apprezzi l'influenza che il nome, l’intelligenza e l’autorità del generale Cialdini esercitano sugli animi e la necessità ch’egli rimanga al suo posto.

Il governo, come era suo debito, non aveva che a valersi del suo potere moderatore, invitando entrambi a posporre privati dissensi di ben lieve importanza al grande e supremo interesse della patria.

Che giova il tacerlo? Si è stanchi di questo avvicendarsi di luogotenenti e di questa instabilità de’ superiori impiegati. I popoli desiderano la quieta, bramano la istituzione d’un governo ordinato e regolare, solido e forte, e quando vi ha un uomo che soddisfa a’ bisogni loro. e promette quei beni a cui anelano, non si può vincere la commozione ohe si d»sta in lutti alla notizia ch’egli sia per ritrarsi dalla difficile palestra.

Il governo non dee dimenticare che se il generale Cialdini ha assunto il compito di affrancare le provincie Napolitane dai briganti che le travagliano, non ha però accettata che transitoriamente la luogotenenza. Egli dee quindi occuparsi della grave quistione, esaminare se convenga conservare od abolire le luogotenenze, facendo entrare anche le provincie napoletane nell’organismo amministrativo, Ma frattanto la nazione può star tranquilla che il generale Cialdini compierà la sua missione. Noi abbiamo veduto ciò che egli ha fatto in poche settimane, abbiamo veduti i briganti accerchiati e battuti: li abbiamo veduti ristretti a pochi comuni e villaggi, per guisa che il colpirli è divenuto più facile, abbiamo veduto rincuorarsi gli abitanti, le guardie nazionali animate da comune coraggio, i Liberali tutti radunarsi intorno a lui e sorreggerlo; abbiamo udito acclamarlo ed applaudirlo.

Il generale Cialdini era quindi l’uomo richiesto dalle presenti condizioni di Napoli e se il governo lo ha invitato a conservare col comando militare anche la luogotenenza è la più splendida testimonianza, che potesse rendergli dell’assegnamento che fa in lui e della fiducia che nutre verso di esso. Ed egli corrisponderà a questa dimostrazione, perché egli non si lasca signoreggiare da pensieri e da affetti che non siano rivolti al bene della patria.

NOTIZIE ITALIANE

—Leggesi nella Gazzetta ufficiale del Regno del 17:

I concessionarii delle strade ferrate da Napoli al Mare Adriatico riuniti in Parigi il 10 del corrente hanno deliberato di rinunziare alla concessione, se il Governo del Re non consentisse a modificare i patti stipulati nella Convenzione del 12 maggio 1861 approvato colla Legge dei 21 luglio successivo sulle seguenti basi:

1. Esonerazione dal rimborso del capitale occorrente alla costruzione della strada ferrata da Ancona a San Benedetto del Tronto che si costruisce a spese del Governo in ordine alla legge dei 25 luglio 1861.

2. Proroga del rimborso dei 30 milioni di anticipazione governativa, fino ad epoche posteriori alla completa attivazione dell’intiera rete concessa.

3. Esonerazione dalla corresponsione dell’interesse su detta somma pattuito in ragione del 6 per cento fino a tanto che gl’Interessi cui il Governo riuonzierebbe, ascendano alla complessiva somma di quindici milioni da rifasciare ai concessionari a titolo di sovvenzione.

4. Proroga di tre mesi all'attuazione delle linee da S. Benedetto del Tronto a Candele e da Napoli a Eboli.

5. Riserva di dare un grande sviluppamento ai lavori quando la pubblica tranquillità sia assicurata nelle Provincie attraversate dalle linee concesse.

I concessionari si dichiaravano pronti a costituire immediatamente una Società anonima qualora queste condizioni fossero stato accettate come basi di una convenzione da sottoporre ai Parlamento.

Il Governo del Re non ha creduto conveniente di aderire a queste dimando, e nello accettare colle debiti riserve la delta rinunzia, ha dato le disposizioni opportune perché sieno continuati i lavori già iniziati ed Altri né siano intrapresi su varii punti delle linee già studiate.

Il Governo del Re il quale ha assunto l’impegnò solenne dinanzi alla Nazione di compiere nel più breve termine possibile la comunicazione ferroviaria tra le Provincie meridionali e le altre d’Italia non risparmierà cure di sorta per assicurare il soddisfacimento di questo desiderio e bisogno della Nazione.

Il Ministro dei Lavori pubblici parte domani affa volta dello Provincie napoletane e siciliane.

— Il corrispondente torinese della Perseveranza si mostra fermamente convinto che «non siamo stati mai tanto vicini a Roma quanto lo siamo ora: non già, ben intesa, che sia da sperarsi alcuna conciliazione tra l’Italia e il papato, ma gli è appunto perché la convinzione della impossibilità di questo accordo è entrata finalmente nell’animo dell’imperatore e nella coscienza della Francia. Noi riacquisteremo dunque la nostra capitale legittima, se non colle benedizioni del pontefice, col consenso della civiltà e col placito del sentimento universale.

— Dalla Nationalités si annuncia che il signor Benedetti giungerà a Torino coi primi della ventura settimana. Lo stesso foglio ripete che la crisi ministeriale a Torino è imminente e sarebbe già scoppiata se non fossero assenti parecchi ministri.

— Al Corriere dell'Emilia scrivono da Torino che Minghetti cedendo all’opinione pubblica si ritira, e che per ora sarà supplito dal Conto Paglieri come pure il ministro della guerra sarà Della Rovere volendo Ricasoli che restino il Bastogi ed il Peruzzi per completare i loro progetti. Ci sorprende che anche il ministerialissimo Lombardo grida che si liberi il paese della sospensione d’una crisi. Si legge in quel periodico: Quest’oggi, diffatti, dietro decisione presa in seno del Consiglio dei ministri, veniva offerto al generale Della Rovere Luogotenente del Re in Sicilia, il portafogli della guerra. Ignoro, finora, se il Della Rovere abbia o no accettato.

— Leggiamo nell’Avvis. D'Alessandria (14):

Venne fatto nel forte della Bormida un esperimento relativo alla produzione della luce elettrica per parte della direzione dei parchi con macchine ed apparecchi preparati nei laboratori! della medesima. Il tenente colonnello conte Riccardi né fu il preparatore e il direttore, e venne aiutato dall’opera del signor Scala, contabile nei magazzini. Credesi che lo scopo fosse quello di conoscere la distanza sino a cui si possono scorgere i segnali. Se questo problema Si giugno a risolvere potrà arrecare immensi vantaggi nella prossima guerra per la libertà di Venezia, potendo colla luce elettrica l’esercito far conoscere i suoi movimenti all’armata di mare. Presenziarono a tale esperimento il generale di divisione Caldesina coi suo stato maggiore ed il colonnello Pescetto, direttore del Genio, con gli ufficiali addetti a tale ufficio.

— Leggesi nel Movimento: Un amico scrive da Collalto ove si recò per affari, che i corpi francesi, disarmarono a Veroli, a Frosinone ed a Vallecorsa alcuni drappelli di briganti che andavano ad ingrossare le bande di Terra di Lavoro.

— Il giorno 15 corrente, nei dintorni di Monza, vennero arrestati dalla guardia nazionale dieci soldati napoletani disertori, vaganti per la campagna. Mentre cotesti sciagura ti venivano condotti a Monza scongiuravano la guardia nazionale a lasciarli andar liberi, assicurando che non avrebbero più tentata la diserzione: quando videro inutile ogni preghiera, presero ad inveire contro un camerata che li aveva spinti al mal fare.

— L'arrivo di disertori ungheresi a Genova, dice il Corriere Mercantile, è continuo; ieri sera poi coll’’ultimo convoglio né giunse un drappello assai più numeroso, fra cui parecchi di cavalleria. Vennero alloggiati nell’ex Convento delle Interiane, e col primo imbardo saranno inviati a Napoli per essere incorporati nella legione ungherese.

Questa mane alcuni di essi erano in via Asso rotti attorniati dai refrattari borbonici. che li guardavano stupefatti. Si dice che uno degli ungheresi dicesse a'  napoletani in cattivo italiano come i loro camerata, disertando nei domini: I pontificii, sieno da tutti sfuggiti, che a Verona pigliano bus se dai borghesi e sassate dai ragazzi, che gli stessi militari austriaci li disprezzano e nelle caserme li costringono a fare i servizi più umilianti; che infine molti vennero sotto posti alla punizione delle legnate per lievi furti, per modo che non pochi quando il possono, ripassano il confine sebbene sappiano di andare incontro a severe punizioni.

— L'amministrazione della casa di Loreto invitò a pranzo il console francese nel giorno 15; vi ebbero brindisi e frequenti evviva ed all’Imperatore, al Re ed all'Italia.

— Si erano fatte correre delle voci di tentativi reazionarii Italie Marche, che avrebbero dovuto succedere il giorno 15. Ora le notizie che di là ci giungono assicurano che la quiete non fu mai turbata, è che si è completamente calmata quella apprensione che s’era sparsa fra la popolazione.

— Scrivono alla Gazz. di Torino:

V'ha in tutta Toscana e sopratutto in Firenze un partito il quale colla massima scaltrezza ed attività si adopera, non solo a raccoglier firme per la protesta contro l'occupazione francese a Roma, ma ezíandio a spargere fra la popolazione certe voci che tendono a mantenerla in una continua agitazione perché, secondo ciò che dicono gli adepti a questi partiti, fra breve si dovrà tentare un colpo su Roma, ed allora tutti dovranno tenersi pronti al segnale.

— Da una lettera di Roma citata dal Lombardo ricaviamo le seguenti notizie:

La salute del papa, malgrado l’eccessivo calore di questi giorni, pare che vada migliorando. Egli radunerà quanto prima un nuovo concistoro per la creazione dei cardinali. Dal marzo 1848 a questa parte egli ha già nominati 50 cardinali, dei quali 15 sono morti. Attualmente i cappelli cardinalizi disponibili sono 12. Fra i candidati si citano il patriarca di Venezia, monsignor Ramazotti (moribondo) e monsignor Sacconi, ex-nunzio apostolico a Parigi. Si dà per positivo che monsignor Chigi, ora nunzio a Monaco, verrà inviato nella stessa qualità di nunzio apostolico alla corte di Francia.

— Si ha da Civitavecchia. 12 agosto;

Il generale De Goyon è nuovamente ritornato ili questa città, probabilmente per curare la sua salute guasta dall’alterco avuto con monsignor de Merode.

— Da qualche settimana in qua ogni vapore che giunge da Napoli reca molti nobili e signori, che per troppa affezione al fu governo borbonico, e per essere immischiati nelle cospirazioni reazionarie sono allontanati da quella città. Alcuni di essi proseguono per Marsiglia, ma la maggior parte va a Roma ad ingrossare la cerchia dei comitati reazionari. Ieri sono giunti e partiti subito per Roma il generale Ulloa e il duca Riario Sforza con famiglia.

La scorsa notte giungeva qui da Montalto un gendarme a cavallo con dispacci pressanti per questo monsignor delegato. Si ha fondato motivo di credere, che esso recasse l'annunzio dell’arrivo in Orbeteilo di molta truppa italiana e soprattutto di cavalleria e artiglieria, li partito nero né è rimasto costernato ed impaurito.

— Scrivesi all'Opinione da Venezia:

Altra occasione di dimostrare i suoi sentimenti alla causa nazionale si presentò alla nostra popolazione nelle prediche festive che dal pergamo della basilica di S. Marco in Venezia teneva settimanalmente l’ab. Zinelli, canonico di detta patriarcale. Questi, innestando agli argomenti sacri politici commenti, fomentava le malvagie passioni. turbava le coscienze. falsava i fatti, e chiamava l’ira di Dio sugli autori e lor complici del gran misfatto pel quale s’avea spogliato il sommo pontefice, e si tentava ogni mezzo per cacciarlo fino dalla città eterna e dal soglio di S. Pietro. L’uditorio. composto quasi per intero di povere femminelle e di devoti dominicali, i quali non assistono alla predica per sapore che vi si dica, ma per avervi assistito e santificata così con un’opera devota la domenica, stette da prima maravigliato a udire le strane novelle, poi si commosse a doloroso risentimento, e finalmente una domenica al prorompere delle solite invettive abbandonò il fazioso oratore e la profanata basilica. Si fu in que’ giorni che un ignota mano colpiva di notte tempo il Zinelli d’una h fiata, la quale però non gli recò rilevante danno, ma solo la rottura delle lenti degli occhiali e una leggera contusione, immune l’occhio ed integra rimanendo la vista. Tale fatto gli servì di testo aita predica di domenica successiva; ma la descrizione del suo martirio non produsse guari l'effetto dei primi giorni sovra un pubblico più curioso che benevole, e dai primi in gran parte diradato.

— Altre lettere che giungono dal Veneto fanno una pittura straziante della misera condizione in cui si trovano quelle popolazioni: il loro stato è così triste da temersi non siano condotte dalla disperazione a qualche alto intempestivo. La fortuna dei privati è ridotta alla metà del valore che aveva un 7 ad 8 anni fa, e noli si trova che difficilmente a vendere beni stabili.

La popolazione per la continua emigrazione essendo diminuita quasi di un quarto a Mantova, a Verona, a Vicenza, a Venezia. ecc., intere case sono disabitate! Le vessazioni della polizia, le angario del militare sono enormi: le imposte quasi superano il reddito! Come vedesi, la posizione dei poveri veneti è affatto sconfortante, eppure si mantengono fermi, saldi nella fede verso V. E., e tutto sprezzano piuttosto che far la pace coi loro oppressori.

— Scrivono da Catania:

Un tentativo di reazione clericale ha destato le nostre risa per non dire la nostra indignazione. Avvertito il governo che un reverendo padre del convento del Carmine manteneva corrispondenze reazionarie si diè alle analoghe ricerche e furono rinvenute lettere compromettenti e liste nelle quali sono indicali i nomi soltanto d’individui catanesi mancando però di cognomi. Il governo si è assicurato di cotali documenti, e della persona del Frate. Noi lo abbiamo sempre predicato e lo ripetiamo.

Reazione in Sicilia è lo stesso che negar l’evidenza di un assioma, ma che questi burattini in zimarra, i quali si valgono del pulpito e del confessionile, debbono ostare al godimento del nostro riscatto noi non lo patiremo giammai, e bisogna raccomandarli alla indignazione della intera nazione.

Si avvedano da questo ed altri fatti quei rappresentanti del popolo così teneri pei clericali, che la libertà non potrà mai fruttificare, fino a quando questa cancrena morale renda inferme le belle membra d’Italia. Noi né pubblicheremo il nome e i connotati appena la giustizia criminale si sarà accentata pienamente del reato.

CRONACA INTERNA

— Ierisera in tutti i caffè in tutti i luoghi di riunione, appena letto il Giornale Ufficiale, si gridò unananimente: Viva Cialdini. Il Giornale conteneva una lettera del Generale al Sindaco di Napoli che noi qui sotto riportiamo:

Illustrissimo signore,

Sento il debito di manifestare al patriottico Municipio di questa illustre Città la mia molta riconoscenza per l'iniziativa da lui presa onde l'anniversario dell’entrata in Napoli del Generale Garibaldi venga celebrato con quella solennità, che a sì grande e fausto avvenimento si addice. Ciò facendo codesto Municipio precorreva i voti del paese, esaudiva i miei desiderii, e secondava le intenzioni del Governo del Re.

L’arrivo in Napoli del celebre Dittatore, innanzi a cui uh esercito ed una dinastia andavano fuggenti, fu il più mirabile fatto che la sagacia e la temerità abbiano mai compiuto. fu il fatto più fecondo di risultalo, che la storia della Rivoluzione ricordi e racconti.

Ogni cuore che palpiti per la libertà della patria nostra, ogni anima che senta l’amore d’Italia, ogni uomo che di liberale ed italiano abbia nome, si associerà riverente a quella festa, che festa della Nazione intera diventa e non di Napoli sola.

Ai nostri nemici, ai vinti borbonici soltanto potrebbe sorridere l'idea di turbarla con qualche sconcio disordine. Facciano pure. Le baionette della Guardia Nazionale e delle Truppe di Linea sapranno far rispettare la dignità della festa, e sapranno dar senno a chi lo avesse perduto.

La prego illustrissimo signor Sindaco, di partecipare i sensi della mia gratitudine all’Eccellentissimo Municipio di Napoli e di gradire l'assicurarla della mia distinta considerazione.

Napoli 19 agosto 1861.

Il Luogotenente Generale del Re

CIALDINI.

— I briganti delle provincie di Avellino e di Basilicata, incalzati da ogni parte per l’opera indefessa di quelle Guardie Mobili e dei soldati regolari, si erano raccolti in gran numero nell’antico castello di Lagopesole posto nel circondario di Melfi. Si erano ivi trincerati aspettando, come loro si era fatto sperare, imminente insurrezione di tutti i paesi limitrofi. Invece sono stati circondati dalle Guardie Nazionali di quei medesimi paesi le quali aiutate dalla truppa li hanno interamente disfatti. Son rimasti sul terreno 150 briganti; e pochi che potettero scampare rifugiandosi nel bosco di Castiglione furon presi dalla Guardia Nazionale di Lacedonia. Dei nostri alcuni feriti e 4 morti. L’attacco fu diretto dal Generale Pinelli.

Questa lieta notizia iersera fu tosto rattristata dall'altra che Campochiaro e Guardia Reggia nel circondario d'Isernia erano state invase dai briganti, e che altri paesi posti alle falde del Matese eran pure minacciati. Ma giunge sul momento un telegramma che annunzia, a Campochiaro essere accorsi i soldati, i quali han messo in fiamme quei pochi palazzi entro cui si erano trincerati i briganti. Nuove consimili aspettiamo pure da Guardia Reggia.

Il fatto di Lagopesole è tale da lare sperare che le due province di Avellino e di Basilicata non saranno, più infestate da altre bande, e così tutta la forza ivi disseminata potrà riversarsi sul Matese, ove pare che stia il nucleo dei brigantaggio.

Vorremmo però che il potere civile secondasse il militare in energia e solerzia. In tal guisa soltanto si potrebbero prevenire quei disastri parziali. che non formeranno di certo una bella pagina della nostra storia. Per esempio, il parroco di Arnia verso Sorrento domenica dal pergamo ha predicato l’imminente ritorno di Francesco II. Se questo fatto a nostra notizia, non lo può di certo ignorare il potere civile; e così essendo. Perché a quel reverendo non si mandano i dovuti complimenti per mezzo dei carabinieri?

—Se son vere le nostre informazioni si sarebbe formata qui ih Napoli una piccola società di mestatori irrequieti e scrocconi i quali vanno spacciando e sostengono con fronte alta e impavida, perché non ebber mai pudore, che essi mediante la somma di duc. 36 sono in grado di ottenere dal governo concedi a tempo indefinito per tutti i soldati del disciolto esercito, che vennero richiamati e che tanto travaglio e sudore costarono alle truppe ed alle guardie nazionali per indurli a fare il proprio dovere. Vorremmo che il Segretario generale di Polizia, cavando profitto da queste poche parole, si desse con ogni zelo a ricercare chi siano i siffatti, sicuri che egli troverà de’ borbonici matricolati a cui sa duro dismettere il vezzo passato in natura di vivere a spese de’ gonzi — e di gettare sul governo nazionale Tonta del vendere e comprar favori.



Anno I – N° 20 Napoli — Giovedi 22 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

Molti sovrani e diplomatici sono in viaggio. Tralasciando i secondi, di cui abbiamo fatto cenno, e notando solo che la Presse dice giunto Nardi a Chalons ed il Pays dice che non v’è giunto, faremo cenno dei primi. Il re di Prussia e il re dei Belgi si sono scontrati ed hanno avuto un colloquio a Ma venne. È molto probabile che i due sovrani, di ambo i quali si attende il riconoscimento del Regno d'Italia, né abbiano tenuto parola. In fatti mentre già sapevamo le intenzioni del monarca prussiano su questo particolare, ora la Patrie ci fa conoscere che il sig. de Vries, ministro degli affari esteri del Belgio, ha confidenzialmente annunziato al ministro del Re d’Italia in Brusselle che il Belgio in breve riconoscerà il Regno d’Italia. L’imperatore delle Russie da Mosca è passato in Crimea, dove va a visitare le truppe ch$ vi sono stanziate; ed un dispaccio recentissimo che vien da Parigi e informa che sarà il 10 settembre a Parigi per assistere all'inaugurazione della chiesa greca colà istallata. È difficile por d’accordo questa notizia con quella della cattiva impressione prodotta a Parigi da un articolo del J. de S. Peterdboùrg riguardante il Regno d’Italia; ma comunque sia, è da notare, se sono vere queste novelle che dà il telegrafo, che i monarchi prussiano e russo si avvicinano anche moralmente e fisicamente a Napoleone III; mentre qualche giornale, sebbene la Patrie lo smentisca, annunzia che dopo il colloquio di Strasburgo, l'imperatore dei Francesi viaggerà per la Germania in compagnia del monarca prussiano. Anche le regine sono in viaggio: quella d’Inghilterra è andata ad incontrare il re di Svezia a Spithead, e si è recata con lui ad Osborne; l’imperatrice di Austria è giunta a Corfù; e non sappiamo qual via abbia preso il già "principe Carlo di Toscana per andare a Roma a sposare una già principessa delle Due Sicilie. E finalmente senza parlare di altri sovrani e principi che sono in viaggio, anche del sultano si annunzia una prossima visite a Parigi e a Londra.

 Ma quelle che con vero piacere annunziamo si è la probabilità di aver fra noi il nostro Re. il Re d'Italia, che dopo aver visitato in Firenze l'esposizione italiana ed assistito alla sua inaugurazione verso mezzo settembre, si recherebbe in Napoli per rimanervi lino alla riapertura delle camere.

Anche importantissima ci sembra la notizia che l'agenzia Franco italiana oggi appunto ci arreca, che Lavallette andrà a prendere il posto del duca di Grammont a Roma. Dei mutamenti avvenuti nel personale diplomatico francese, questo se vero, sarebbe il più significante: se non altro vorrebbe dire che la Francia vuol dare altro indirizzo alle sue relazioni politiche e temporali con quel poco di regno papalino che ancor rimane e che finora ha trovato molta simpatia nel Grammont.

Di Russia abbiamo novelle smentite della congiura da un lato, novelle conferme della medesima dall'altro. Quelli che la dicono vera, e fra questi è I Italie, aggiungono nuovi particolari, fra i quali quello della parte che si dice avervi avuta la granduchessa Elena, a cui è stato imposto un esilio forzato, onde è aspettata a Parigi. Si hanno pure notizie di varie rotte che le truppe russe hanno avute da parte di quei del Caucaso, che levansi di nuovo minacciosi contro i loro conquistatori.

Anche l’insurrezione del Montenegro va prendendo più ampie proporzioni, e dà molto da fare ai Turchi, mollo dà pensare agli Austriaci. Ma i giornali si limitano a dar notizia degli scontri che hanno luogo coi primi, anzi che esaminare il merito della quistione.

È di bel nuovo in campo la questione della successione al trono di Grecia, poiché vuolsi che il re Ottone sia risolutissimo di abdicare. Il principe Adelberto rifiuta per non rinnegare il cattolicismo. La regina Amalia, di Oldemburgn, vorrebbe qualcuno dei principi della sua casa. Ma perché, domandiamo, un principe tedesco dovrà reggere il popolo greco? E sopra tutto poi un principe che non ha mai dato pruova di amare le libere istituzioni? A noi sembra che questa sarebbe bellissima occasione di mettere in pratica il dritto riconosciuto del suffragio universale. Se il trono di Grecia è vacante, o a parlar più giusto sta per vacare, il popolo greco si elegga il proprio sovrano.

Si parla di nuovo del raffreddamento tra Francia od Inghilterra, e si vuole attribuirlo alla costruzione dello navi corazzate o al molto fervore che notasi in Francia per la trasformazione della sua flotta. Le rimostranze su di ciò di lord Palmerston han forse fatto procrastinare nell'impero francese l’organamento della riserva navale. Se così fosse, non vi sarebbe più motivo a rattepidamento nelle relazioni fra quei due stati.

Piuttosto è da porre attenzione ai motivi non lievi per cui l'Inghilterra si lamenta del gabinetto di Washington, e che il Moniteur espone in una sua corrispondenza da Londra. Il governo federale vuol percepire i dritti di dogana sulle navj provenienti dai porti che sono ili attuai possesso dei confederati; ed il sig. Lincoln, non potendo effettivamente bloccare quei porti. vorrebbe dichiarare che essi cessino dall’essere porli. Come ognun vede, queste disposizioni feriscono nella sua parte più sensibile la commerciante Inghilterra dalla quale tutto si ottiene con un trattato di commercio che a lei torni vantaggioso. ma che diventa fiera nemica quando son vulnerati o pur tocchi i suoi interessi commerciali.

L’ITALIA

Il Borbone stando in Roma ed i clericali mandano briganti nelle province meridionali che compiono atti vandalici, e sperano in questa guisa ripigliare la mala signoria; i sapienti partigiani dell’ex tiranuello di Napoli aspettano con ansia le armate austriache e ad ogni colpo di cannone veggono già una. flotta dell’Austria che move verso questi lidi a distruggere l'unità nazionale. Gli oppositori radicali del governo non lasciano m»i il dolce tema delle ingiustizie, dell’iniquità, de’ furti, degli assassini, della consorteria e de’ ministri. Veggono distrutta l’Italia se il potere non va nelle mani loro; ché nessuno invero avrebbe maggior senno a tenere in mano le redini del potere.

Lasciamo pure che i partili e le passioni vengano a tumulto e si calunniino a vicenda, lasciamo pure che inique e codarde speranze si ridestino, l’Italia oramai costituita a nazione, non pel. senno e il volere di pochi faziosi scttarj, ma per concorde aspirazione di un popolo intero, l’Italia ha già ripreso coscienza delle sue forze, e prosegue vittoriosa nella sua via.

Per poco si guardi la carta geografica di Europa. L’Austria tenta invano di comporre ad armonia le diverse nazionalità dell’Impero. L’Ungheria si agita e minaccia di sorgerle contro. La Croazia e il Tirolo non sono tranquilli. La Venezia volge gli sguardi alla sua gran madre, ed aspetta ansiosa la sua liberazione. Due anni fa l’Austria reputava i onnipotente; ella resisteva a tutte le legittime aspirazioni de'  popoli; ella anzi che concedere la più lieve riforma avrebbe versato torrenti di sangue. Ed oggi l’Austria s’inchina alla voce de’ popoli, al nuovo dritto che andrà attuandosi in Europa, l’Austria concede una costituzione, prende le forme di libero governo, ed è costretta a parlare in nome della libertà, e l’Austria ipocrita annunzia che già una gran mutazione è avvenuta nella sua monarchia. Chi ha operato questi fatti, chi ha fatto mutare le condizioni interne di questo impero destinato a perire? Questa opera l’ha compita quell'Italia, che parecchi anni or sono il ministro di Vienna chiamava una espressione geografica. I nostri nemici noi li abbiam vinti non solo a Balestro ed a S. Martino, noi li abbiam vinti ancora colla civiltà costringendoli a farli divenir liberali, ad imitarci, sperando in questo modo di potersi salvare.

Guardate la Russia, La Polonia si agita, ella cena ridestarsi a nuova vita, i cannoni e le prigionie non valgono a domare quel popolo generoso, e questa speranza, questa fede chi ha destata in quel popolo? La rivoluzione Italiana, quell'Italia che costituendosi a nazione, commove l’Europa e fa sentire la sua influenza nelle più lontane parti del mondo.

La Grecia e l’Oriente si agitano ancora, dovunque al nome dell’Italia si commuovono i popoli, e si rinnovellano le speranze nazionali.

Il nome di Vittorio Emanuele e di Garibaldi si ode ripetere in Polonia, in Ungheria, in Atene, dove vi è un popolo che voglia conquistare la sua indipendenza, ricuperare i suoi dritti.

Noi siamo alle porte di Roma, e che che né dicano i nostri avversarli, noi entreremo in breve nella città eterna. La caduta del potere temporale del Papa, è la più grande opera che possa compiere l'Italia, la quale in questa guisa ponendo fine al medio-evo inizia una nuova èra, torna regina la terza volta.

Chi non sente a questo spettacolo commnoversi l’anima?

Il 1848 noi incominciammo la rivoluzione con una sublime utopia, sperando che il papato volesse mettersi a capo del movimento Nazionale. Il sogno venne meno, ed il papato non potette ritornare a vita; ma da quel giorno il potere temporale del Papa venne meno, da quel giorno l’Europa si avvide che il potere temporale de’ papi era già finito; da quel giorno dovette il Papa Re, circondarsi di eserciti stranieri, prolungando in questa guisa la sua agonia.

Oggi da Roma ci vengono i briganti, in Roma si cospira contro l'Italia già pressocché tutta libera, in Roma conviene andare al più presto possibile per compiere la nostra civile rigenerazione.

Il nuovo dritto de’ popoli oramai dal campo delle idee è sceso in quello delle convinzioni e de'  fatti, tutta Europa liberale grida contro la Francia che ancora tiene le sue schiere in Roma, e si rende quasi complice delle iniquità clericali. Perché noi ci facciamo aggredire, senza rispondere con le armi agl’insulti, senta prendere l’offensiva? Potrebbe la Francia in buona fede impedirci d’inseguire, fino a Roma i briganti che devastano queste province? La prudenza vuol essere congiunta all’audacia e noi speriamo che il governo voglia seriamente meditare questo fatto e rotto ogni indugio, passare il confine, e prender la volta di Roma.

L’occasione è propizia, i popoli sono stanchi, l’Europa è già apparecchiata ad udire un di o l’altro questo fatto, l’opinione pubblica in Francia ci è favore vole, l’imperatore de’ Francesi non potrebbe obliare che i preti l’abborrono più di quanto odiano il nuovo regno d’Italia. Coraggio dunque, avanti, a Roma.

DUE PAROLE DETTE ALLA LUCE DEL SOL.

I

Sentiamo vivo dolore reggendo di quali obbietti si viene occupando la stampa giornalistica, oggi che la più nefanda delle sette, che sia mai stata in Italia e fuori, non lascia nulla intentato per falsare le nostre nazionali aspirazioni, e così svisate sotto il velo della più impudente ipocrisia, propagarle nel seno delle più influenti nazioni di Europa. Il volerli riassumere in poche categorie, essi si riducono, al non mai soddisfacente rimpasto ministeriale, al continuo disputarsi de’ portafogli delle presidenze!, dei comandi militari, ai varii indirizzi politici, ai programmi governativi e alla eterna vertenza della provvisoria capitale. Cose degne si del più alto interesse, ma nelle circostanze in cui attualmente versa questo povero paese, tali da uccidere l’ammalalo invece di sanarlo.

Del che a convincere pienamente coloro, che senza prevedere la trista influenza che esercita sullo spirito pubblico delle province la quistione amministrativa, se ne permettono la più dubbia e sconfortante discussione, dovremmo poterli introdurre in certi segreti convegni per far loro vedere e toccar con diano le risa e il tripudio che si fa sulle giornalistiche scissure e sugli eterni dispareri politici che si menano attorno per l’ex-reame.

Di grazia, quali sono gli ostacoli che noi di presente abbiamo di fronte. e che bisogna soprattutto vincere fortemente e presto? Se non andiamo errati, di certo che è il brigantaggio, la soluzione di Roma, e la reazione sorda dei paesi. Dunque gli è questo triplice chiodo che pel momento bisogna con tutta l'energia e a più non posso, battere e ribattere. Avvegnaché, laddove il brigantaggio non tenga fin dalle radici estirpato, se Roma non cessi di essere il rifugio di quanto v’ha d’immorale e di nefando nella penisola, se la reazione non si strozzi d’un sol colpo e iii modo definitivo, noi avremo un bel chiacchierare intorno ai difetti organici di amministrazione, avremo un bel ridire, che qui le cose procedano a maraviglia verso il loro finale rassodamento.

Ora vincere questi ostacoli pel lato che è concesso alla stampa, e al potere individuale de’ singoli cittadini a sventare le arti, che la setta borbonico-clericale vien con molta finezza di malizia, e con ogni ribalderia mettendo in opera, è giuocoforza che gl’italiani, qualunque sia il grado di abilità che loro concesse natura, riuniscano le forze del senno. e direi quelle della mano ancora, e piombino non alla spicciolata e a riprese, ma tutti insieme e indefessamente addossò ai vili. In questa guisa la pubblica opinione raccolta qua e là dalla stampa, e dalle legaci dimostrazioni, sì mostrerà non quale si sforzano dI farla sembrare gli occulti e palesi minatori dell'Italo rinnovamento, debole, vacillante, ricreduta e pentita, ma qual è veramente forte, sicura, decisa, irremovibile. Si strappi là maschera a que’ giornalacci, che ci hanno abbastanza deturpali in faccia all'Europa: l'esempio degli studenti napolitani che ha riscosso le simpatie delle provincie e di chiunque abbia durato qualche travaglio, o senta un palpito pel santo nome di patria libera, sia anco una volta imitato nelle altre città della penisola. A nemici dichiarati ci vuol guerra aperta e instancabile. Al governo centrale, nonché ai governi locali si gridi a gola aperta, meno programmi e leggi e circolari, e maggior còpia di fatti energici e risoluti. Al Cialdini finalmente che proceda innanzi alla pronta attuazione del suo programma, qui universalmente applaudito, con quell’agir da prode, che gli è sì proprio, e che tanti bei titoli meritarono alla nostra eterna riconoscenza. A coloro, cui la sua militare energia non andasse tanto bene pel naso, faccia sapere anche militarmente che sono ipocriti, e che covano nel cuore la totale rovina del paese. Giacché, guai se anche questa fiata la si desse per vinta ai tristi. Chi potrebbe prognosticare dove la nostra faccenda andrebbe a finire?

Laonde a scongiurare questo timore, che non manca di fondamento, oltre ai mezzi di cui possa il governo disporre, due forze, ambe morali, sono, a nostro senno, necessarie; la pubblica opinione scevra d'ogni opposizione per parte degli stessi nazionali, e l’unanime e forte volere de’ liberali. Queste due cose rassodate e fatte, per continuo mirare ad un medesimo scopo, giganti, cesseranno ogni ragione di dolerci pe’ falsi giudizii che all'estero alcuni personaggi altolocati di quando in quando si lasciano scappar di bocca. Anzi se è vero che là si cerca da qualche gentiluomo fuorviare il punto della quistione napolitano, e trarne non si sa bene, qual pro’, noi gli faremmo vedere con l’argomento della parola e de’ fatti, che qui hon si dorme; che ora. più che mai., si sta in molta veglia, e non tanto sulle agitazioni interne, quanto sulle apprensioni esterne.

E qui giacché ci cade molto a proposito, non torni discaro a nessuno, se ci permettiamo di fare le nostre più alte maraviglie coll’onorevole signor Bowyer, il quale ha osalo, certo coll’universale disapprovazione degli stessi suoi connazionali, condannare la politica italiana, e calunniare gli abitatori del napoletano, asserendo che i popoli d'Italia meridionale si dolgono e si pentono dI aver (ascialo cadere il Borbone e di essersi assoggettali al Piemonte!!! — Con quanta buona coscienza. usurpate voi, signor Bowyer, il sentimento di 9 milioni di uomini, e in nome loro pronunziate nel primo Parlamento di Europa un mendàcio così solenne?

I popoli d'Italia meridionale non sentono nel loro cuore altro pentimento per la caduta del Borbone, che questo; di non aver rotti e posti sotto i calci gli ultimi fautori, bruciate su i roghi dell’ira nazionale le carni, e seppellite le ceneri nelle viscere più profonde della terra, Credemmo che anche coloro che servirono al Borbone e non passarono per lavacri della nostra civile rigenerazione fossero italiani e sentissero nel petto un poco d’amor di patria: credemmo. che nati sull’istessa terra. cresciuti all’influenza dell’istesso purissimo cielo, dividessero top noi almeno in secreto le stesse speranze, gli stessi dolori, e fossero del pari che noi capaci di respirare un aura di vera libertà, dopo una stagione sì lunga di tirannide. C’ingannammo, è più che vero. Ma da ciò non doveva seguirne, che voi vi aveste ad arrogare il diritto di elevare a principio teoretico d’internazionale politica gli effetti d’un errore suggeritoci dalla moderazione, onde credemmo avanzare alla conquista de’ nostri sacri diritti, e da’ sentimenti di umanità, che ci consigliavano a stringer fratelli, quanti sortiti aveva» la culla tra 1’Alpi e il mare. Nemmeno dovevate permettervi di sorprendere la coscienza Europea col falso presupposto di esserci noi assoggettali al Piemonte!!! Perdonateci, signore, se vi diciamo, che qui non avete parlato da senno, e ci sembrate di venir proprio dal mondo della luna. Gl’Italiani versarono il sangue al grido di queste due grandi parole «Italia e Vittorio Emmanuele» e l’ultima stilla di questo sangue illustre, giurate sulla nostra parola di onore, sarà sparso per questa sublime sintesi politica, e non, per altro. Anzi perché altri resti sempre più convinto intorno al pentimento che voi ci attribuite per la caduta del Borbone facciamo sapere, che se domani su i cantoni delle strade di tutta Italia vedessimo scritte queste parole, l'Impero e la pace, è sotto firmato Vittorio Emmanuele, non potremmo che gioirne immensamente, tanto è forte il convincimento che abbiamo della lealtà di questo principe e del suo amore per l’Italia e per la libertà dei suoi popoli; per lo contrario non fremeremmo che di rabbioso sdegno, se invece vi scorgessimo il programma anche più libero che mente umana possa concepire non firmato da quel sovrano. (continua)

IL MINISTRO BASTOGI A LIVORNO

— Leggiamo nei. Bersagliere di Livorno:

Domenica scorsa alle ore 8 di sera, la musica della Guardia Nazionale recavasi sotto l'abitazione del Ministro delle finanze ove trattenevasi per vario tempo a suonare, esprimendo così un gentile sentimento di compiacenza per la di lui presenza fra noi. Il ministro che in quel momento non trovavasi in casa, diresse nel giorno appresso al Comando della Guardia la seguente lettera.

«Sig. Colonnello pregiatissimo

«La banda Nazionale volle domenica sera fare un cortese saluto al Ministro delle Finanze del Regno d’Italia. recandosi sotto le finestre della mia casa, dalla quale esce sendo uscito, non mi fu dato ringraziarla. Prego perciò Vostra Signoria Illustrissima porgere a tutti que’ Signori che hanno voluto in tal guisa darmi testimonianza delle la loro benevolenza le mie più sincere e distinte grazie.

«E in questa occasione mi piace manifestare in quale e in quanto grande estimazione io tenga la Guardia Nazionale, di cui Ella è ben degnamente Colonnello. Essa, cole me in ogni altra Provincia d’Italia, ha fatto ottima prova. Essa ha saputo in mezzo a tempi procellosi man tenere inalterato l’ordine pubblico, senza il quale sarebbe stato malagevole proceder risolutamente nell’arduo cammino dell'Italiano Risorgimento, e senza il quale ben più malagevole ancora sarebbe giungere adesso a gloriosi metà.

«Tenuto saldo l’ordine pubblico si mantiene ferma la fede nei futuri nostri destini, e si dà mano a quelle grandiose opere per le quali deve crescere l’industria, fiorire il commercio ed al lavoro non venir meno il capitale ed il credito, strumenti ambidue potentissimi, de’ quali ha d’uopo per sodisfare ai privati bisogni ed alle pubbliche necessità.

«Per le quali cose non scarsa lode sarà dovuta alle Guardie Nazionali, se fra breve andare l’Italia potrà ristorare le sue finanze, ed esplicare tutte le forze produttrici che in se copiosamente racchiude, ed io sarò fiero se quella della città dove nacqui sarà fatta in ogni tempo segno di nobile emulazione.

«Mi pregio frattanto, signor Colonnello, dichiararmi con distinta stima.

«Livorno, 14 agosto 1861.

«Suo devot. servo

«Pietro Bastogi.»

Giovedi 15 agosto giorno natalizio del primo Napoleone, e che la Francia ha destinato a celebrare la festa di Luigi Napoleone III per ordine del Console di Francia veniva celebrata solenne Messa con Te Deum nella chiesa della Madonna. A questa funzione ne intervennero S. E. il ministro delle finanze dei regno in forma privata, il governatore della città, il nominato console con tutti gl’impiegati del consolato, numerosa ufficialità della guardia nazionale e buon numero anche di quella dell’esercito, oltre i moltissimi sudditi Francesi di ambo i sessi dimoranti in Livorno. Una compagnia di detta guardia con la blinda musicale decoravano la religiosa cerimonia, la quale sott’ogni rapporto riuscì solenne, e gradita anche ai numeroso popolo che si affollava alle porte e nei dintorni del tempio.

Dopo tale funzione là ufficialità della guardia nazionale preceduta da dite dei suoi maggiori, uno dei quali, i| signor conte Federigo de Larderei, disimpegnava le funzioni (h colonnello per la assenza di Livorno del titolare signor Cav. Nardini Despotti Mospignotti, si recò riunita alla dimora del prelodato console francese, ove dopo essere Stata cortesemente accolla dal medesimo. e dopo che il nominato maggiore De Larderei ebbela a lui presentata, questi a nome della stessa ufficialità fo invitava ad accogliere l'omaggio che essa, dopo avere invocato nel tempio le benedizioni del Cielo sopra l'Imperatore dei Francesi, il cui governo, ei rappresentava fra noi, e l'Imperiale Famiglia, veniva a fargli, in quel giorno solenne, per la Francia; ed assicurandolo che non sarebbe mai venuta meno negli animi degli Italiani là gratitudine verso il generoso Alleato per aver tanto contribuito alla nostra patria rigenerazione lo pregava a far sì che tali sentimenti della guardia nazionale di Livorno fossero da lui fatti giungere lino a Parigi, e chiudeva col grido di viva l'imperatore, da tutta la ufficialità ripetuto con vivo entusiasmo.

A tali parole il signor console dette la seguente replica che riportiamo nella lingua in cui fu pronunziata onde ne possa essere maggiormente apprezzata la importanza.

Monsieur le Major, Messieurs les Officiers.

Je suis profondément touché de la démarché que vous faites en ce moment auprès de moi et je vous en remercie.

Je serai heureux de transmettre à Son Excellence Monsieur le Ministre des affaires étrangères l'expression des vœux que vous formez pour le bonheur de LL. MM. l'Empereur, l’Impératrice et du Prince Impérial. Je puis d'avance vous donner l'assurance de la gratitude du Gouvernement de l' Empereur.

Votre visite, Messieurs, a d'autant plus d'importance a mes yeux, que retrempés par une élection nouvelle vous représentez la belle, bonne et brave population de Livourne, au milieu de laquelle je suis heureux de vivre depuis près de deux années.

Pendant ce temps, Messieurs, bien souvent j'ai entendu annoncer è jour, presque à heure fixe, une emente, une révolution et cependant la paix de la cité n'a point été troublée.

Ce résultat, Messieurs, est dû a deux causes principales. – La première c'est le bon sens, l'intelligente de la population Livournaise. – La seconde c'est la discipline, l'union, la concorde, le bon esprit qui animent la Garde Nationale de Livourne. Votre attitude, Messieurs, encourage et soutient les bons; elle désarme, elle épouvante les mauvais.

Persévérez donc et quelles que soient les épreuves qui vous attendent dans l'avenir, vous les surmonterez facile ment, surtout si, au moment du danger, vous poussez avec enthousiasme ce double cri qui a conduit nos armées réunies à la bataille, è la victoire, ce cri que nous allons répéter ensemble.

«Vive le Roi, Vive l'Empereur.»

Dalla abitazione del Console Francese la Ufficialità della Guardia si portò con lo stesso ordine a quella sig. Ministro delle Finanze per porgergli ossequio.

Questi dal momento del suo arrivo in Livorno, già da noi annunziato nel passato numero, ebbe dai suoi concittadini in mille maniere manifestata la stima profonda che seppe universalmente meritarsi per le importantissime leggi proposte, e per la grande operazione finanziaria a benefizio della Nazione con tanto senno e con si stupenda prova di esperienza condotta, che gli valsero larghe onorificenze dal Re, il plauso di tutta la stampa sana ed intelligente, e, diciamolo francamente, la gratitudine Nazionale. E qui ci sia permesso di confortare il sig. Ministro a ricambiare quella estesa fiducia che l'Italia, e specialmente il paese ove ei nacque, manifestamente riposero in lui che in modo sì splendido incominciò la sua diplomatica carriera, col rimanere lungamente nell'alto suo ufficio, e col procedere innanzi animoso nell'intrapreso cammino, onde il nuovo sistema finanziario, da lui sapientemente iniziato, abbia, mediante successive opportune leggi e adatti provvedimenti tutta intera la sua esplicazione. Così facendo ci corrisponderà interamente all'aspettativa della Patria, e ne avrà maggiormente il plauso e la sincera riconoscenza,

Giunta la Ufficialità alla casa del Ministro e ricevuta cortesemente da questo, il Maggiore Conte De Larderel pronunziò le seguenti parole:

«Signor Ministro:

«Ho l'onore di presentarvi gli ufficiali della Guardia Nazionale.

«Se per noi tutti e uri onore di avere nella nostra città il Ministro delle Finanze del Regno d'Italia, siamo più assai lieti di vedere in lui il nostro concittadino che si è saputo procacciare la stima del nostro amato e valoroso Re, ed acquistar fama onorata in tutta Europa.

«Noti aggiungerò a queste maggiori parole, perché quelle pronunziate, quantunque brevi, dicono assai, e debbono riuscire, perché schiette, gradite a coloro che vincoli di antica e sincera amicizia stringono a molti di noi e che ih altri tempi fu milite Egli pure, come ora noi siamo, della Guardia Nazionale.»

Il Ministrò in uno stato di vivissima commozione rispose:

«Alle brevi e schiette parole dell’onorevole faciente funzione di colonnello della Guardia Nazionale, rispondo egualmente brevi è schiette parole: le Sono veramente grato agli attestati di benevolenza e di stima che la Guardia Nazionale mi dà, come il paese mi dette nel più breve ritorno nella città ove tutti nascemmo. Le onorificenze delle quali il Re mi insigniva, le ritengo più che a me alla mia città natale compartite. Il buon esito di quello ch’io feci più che a me, al senno del Parlamento ed al Re deve attribuirsi. Per quanto vasto sia l'ingegno dell'uomo, esso rimane sempre al di sotto dell’altezza e della gravità dei tempi, nei quali se molto fin qui conseguimmo a vantaggio della Nazione, non po’ che difficoltà ancora rimangono a vincersi per raggiunti geco interamente il fine che ci siamo proposti.

«Qualunque suggerimento mi venga da miei concittadini, sia pel vantaggio particolare della città nostra, sia a riguardo del ben’essere dell’Italia in generale sarà da me sempre gradito ed accetto come una prova di quella e stima e di quella benevolenza che dà essi mi furono largamente attestate.

«Del resto mi permetterete che tornando io tra breve nella temporaria capitate del Regno riferisca ed esterni i vostri sentimenti di affetto all’Italia e dI venerazione al Re Vittorio Emanuele, a quel Re che per due volte pose a cimento la corona e la vita pel trionfo della causa d’Italia.

Indi percorse il circolo degli ufficiali, si trattenne affabilmente con essi, stringendo a molti la mano, mentre questi si accomiatavano da lui.

Dopo breve intervallo di tempo il nominato Console di Francia recavasi in forma pubblica ad Ossequiare il Ministro delle finanze.

Nelle ore pomeridiane lo stesso Console dette uno splendido banchetto al quale furono invitati i Maggiori della Guardia Nazionale, e nella sera fino a notte inoltrata le di lui sale furono aperte a scelta conversazione, mentre nella sottoposta via la musica della detta Guardia suonava scelte sinfonie, alle quali andavano spesso uniti i plausi e gli evviva del popolo circostante, all’imperatore, alla Francia, al Re ed all’Italia.

NOTIZIE ITALIANE

— Il re Vittorio Emanuele è sempre nelle sue villeggiature reali, ora a Pollenzo, ora a Racconigi, ora a Moncalieri. Per esposizione straordinaria che avrà luogo in Toscana, si recherà a Firenze, e poscia a Napoli. La presenza del re in questa capitale non può far che un buonissimo effetto. (Gazz. di Torino)

— I numeri 155 e 156 della raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d’Italia contengono: il primo, la legge del 21 ultimo scorso luglio che approva la convenzione colla Società Adami e comp. per la costruzione di ferrovie nelle provincie meridionali, napolitane e siciliane; ed il secondo, la legge del 25 stesso mese di luglio che approva la convenzione coi signori C. e L. Wanderrest e comp. e Leonardo Sacerdote, per la costruzione d’una strada ferrata da Ancona a S. Benedetto del Tronto.

— Stante i numerosi arrivi di truppe napoletane sbandate in Napoli, nella quale città accorrono a fare atto di sottomissione, sappiamo essersi molto assennatamente determinato di formare un deposito generale di esse truppe nella Landa di San Maurizio, ove verranno esercite nell’istruzione secondo le nostre teorie, e saranno posteriormente ammesse nei varj corpi del R. esercito. (Gazz. Militare)

— L’egregio ufficiale telegrafico signor Enrico Villa è partito per Parigi incaricato dal nostro governo a farvi alcuni studi su due nuovi sistemi di telegrafia de'  quali uno è d’invenzione del prof. Caselli.

—S. E. il Governatore Pasolini è stato chiamato da Milano a Torino, credesi coll'intendimento di invitarlo ad assumere l’amministrazione civile di Napoli. (Pers.)

— Scrivono da Torino alla Gazz. di Milano:

Kossuth è di nuovo a Torino, e siccome passano di qui alcuni disertori ungheresi e si veggono spesso ufficiali di quella nazione, così, anche senza saper nulla di preciso, molti vanno inventando combinazioni politiche d’ogni fatta. Se sia poi vero che Kossuth debba visitare un alto personaggio, e se questo possa avere qualche importante risultamento politico, lo ignoro. Ma ben sapete che si può anche domandare ed ottenere udienza per cose particolari: e oltre a ciò è inutile notare che in un governo costituzionale è necessario che i ministri dirigano essi la politica.

— Dicesi che allo scoppiare della lotta in Ungheria, Garibaldi vi prenderà parte. Si pretende ch’egli abbia invitati alcuni de’ suoi più fidi a seguirlo. Il generale è stato ammalato a Caprera, ma ora sta meglio e può montare a cavallo se è necessario.

— Il generale Tùrr conduce in moglie la figlia della principessa Weiss Bonaparte. È una giovinetta di 17 anni, di rara bellezza che accoppia a nobili sentimenti una perfetta educazione.

Il gen. Tiirr faceva quest’oggi comunicazione del suo matrimonio al principe di Carignano che ha una particolare predilezione per l’illustre magiaro. (Lombardo).

— Togliamo dalla Presse:

... A Roma l’anarchia è al colmo. Avvi scissura non solo fra il popola e il governo, ma eziandio fra i consiglieri del papa. Il cardinale Antonelli fece vani sforzi per abbattere monsignore di Merode. Questi se la intende col papa e ride degli altri ministri. R de eziandio della. Francia, speriamo che noti riderà a lungo.

— Scrivono da Parigi all’Opinione:

.... Io sono d'avviso che il nuovo ritardo che si oppone alla pronta soluzione della questione romana avrà per conseguenza di preparare una soluzione più completa.

Il gabinetto francese, io so da buona fonte, è convinto che il mantenimento dello stato presente, benché tanto poco conforme alla legittima impazienza degli Italiani, condurrà la quistione a tale maturità da permettere all’Italia di raggiungere la mela senza sforzo, senza scossa, senza sacrifìzj e senza molta opposizione da parte delle potenze europee.

Queste sono le opinioni dominanti in questo momento nelle nostre sfere governative.

— Si lesse nell'Indépendance belge una corrispondenza nella quale si diceva che in seguito alle considerazioni presentate dal generale Cialdini, il barone Ricasoli avrebbe ottenuto dal governo imperiale la dichiarazione che le troppe comandate dal generale Goyon non si opporrebbero alle truppe italiane se queste, ad estirpare assolutamente il brigantaggio si trovassero costrette a varcare i contini presenti del territorio pontificio.

L’amore che quel giornale di Brusselles porta da sì gran tempo alla causa italiana gli ha fatto accogliere troppo facilmente una notizia che non è punto vera. (Opinione)

— Il Municipio di Firenze ha saviamente deliberato di concedere la magnifica Villa di Poggio Imperiale al sig. Augier, uno dei principali locandieri di Firenze, dorante il tempo dell'Esposizione, col patto che detta Villa fosse ammobiliata e data a pigione a prezzi discreti.

Ora sappiamo che il sig. Augiersi propone di crearvi una quantità d’alloggi signorili, istituire corse regolari di Omnibus, dare feste a pagamento, e ogni sera la banda musicale. Noi vorremmo che questa cosa fesse divulgata in tutta Italia affinché i forestieri potessero averne per tempo cognizione, e dal sig. Augier ci aspettiamo un servizio regolare e corrispondente alla solennità delle feste che si preparano tra noi per il mese di settembre. (Nazione)

CRONACA INTERNA

— Ci scrivono da Cosenza, da Catanzaro e da Reggio, che il 7 agosto giungeva a quei Governatori il seguente dispaccio del Segretario Generale del dicastero dell’interno e Polizia;

«Chiamateti i presidenti dei Collegi giudiziari! e di accordo con essi proponete per consiglieri di governo uomini intelligenti, probi e conosciuti per specchiate opinioni liberali».

Saggio provvedimento fu questo del De Blasio; le prime autorità di una provincia non possono che proporre le persone più idonee e più convenienti della provincia medesima. Egli mentre in tal guisa si liberava dall’assedio dei postulanti e di coloro che fanno il mestiere di proporre e raccomandare persone, rinunziava ad ogni dritto che la carica gli conferisce di scegliere da se gli uomini da impiegare. Con la prova di questi fatti incontrastabili non sappiamo comprendere come si possa dire che il De Blasio mira a porre in impiego i suoi nipoti e parenti. Eppure il Popolo d'Italia lo affirmò! Sarebbe ornai tempo che si ponesse un termine a queste meschine gare personali, che non hanno altro pregio che di tradire il vero e prolungare l’errore.

— Quel che si è detto del trionfo morale riportato dal Governo italiano col prestito, lo stesso può dirsi, nelle debite proporzioni. del municipio napolitano: nell’uno e nell’altro caso non trai tarasi di un fatto soltanto amministrativo ma risollevasi una quistione altamente politica. Il municipio napolitano adunque ha già coverto il suo prestito di due milione e mezzo di ducali per due terzi ossia per quella parte desti nata i soli banchieri di Napoli; per Poltra parie destinata ai particolari le offerte han triplicata la richiesta. Il fatto valga di risposta ai municipali, ai sofisti, ai neri, ai rossi ed ogni altra specie di reazionari, i quali non ancora si stancano di andar dicendo che Napoli non voglia assoggettarsi a nido sacrifizio per diventare una città italiana.

— A conferma di quanto siamo venuti spesso ripetendo. che cioè il brigantaggio non potrebbe esistere se nei paesi non trovasse elementi di simpatia, ci pervengono sul momento due fatti di diversa natura. A Guardia Reggia, comune del circondario d’Isernia, essendo giunto l'annunzio che una banda di cento briganti si approssimava, i pochi liberali son fuggiti e tutti gli altri cittadini sono usciti trionfalmente a ricevere i loro confratelli briganti, e nel rientrare iu paese si sono uniti a questi nel saccheggio delle case dei liberali. Per contrario, a Monteverde, piccolo paese nella provincia di Avellino, all’approssimarsi di una banda di 200 uomini i capi di quella guardia nazionale, misurata la loro impotenza a resistere, a suono di campane han sollevata tutta la popolazione, la quale armata di falci e di scuri non solo ha respinto dal paese i briganti, ma li ha anche inseguiti fino all’Ofanto. Se il governo di Napoli avesse badato a mandare nelle province governatori liberali, e se questi avessero curato di affidare nelle mani dei veri liberali la sorte de'  municipii, ora non si deplorerebbero tanti disastri.

In proposito e come un avviso alla solerte questura di Napoli soggiungiamo, che un tal Perrotta arrestato dai briganti, dopo essersene miracolosamente liberato assicura che in un sol giorno ei vide arrivare nelle valle di Avellino otto emissarii che da Napoli recavano dispacci ai briganti.

— Sappiamo che il giorno 19 nella Fabbrica de’ Tabacchi a S. Pietro Martire l’Ispettore signor Onorati ha sorpreso due casse di sigari e tabacchi del peso di circa mezzo cantajo: le dette casse formavano parte del deposito che quegl’impiegati tuttodI accumulano per nutrire il controbando vergognoso che quotidianamente e in proporzioni ingenti si fa di que’ generi di privativa del Governo. Sappiamo eziandio che l’integerrimo Ispettore voleva, com’era suo debito, farne oggetto di serio rapporto, ma che si tentò, ignoriamo con quale risultato, ogni modo di dissuadernelo da quella caterva d’impiegati de’ quali non poche avevano interesse ai silenzio. A noi è noto la severa onestà del signor Onorato; ma a lui estraneo al paese e nuovo agli uomini tra i quali l’ufficio lo ha collocato, è mestieri diciamo che non v’è solerzia ed energia che basti per contenere nei limiti do’ proprii doveri quel grande aggregato di uomini che per lunga abitudine e mala tolleranza si fanno lecito violarli impunemente, il paese sa bene su quale estesissima scala si esportino tuttodI e per tutt’i modi dalla Fabbrica di S. Pietro Martire i tabacchi confezionati e mani fatturati in tutte le specie diverse. Noi poi sappiamo che così grande ed illecita esportazione è dovuta ad una organizzazione perfetta, la quale tanto più è funesta nello interesse del Governo e del paese, quanto più è difficile sciogliere. Il Governo è tempo che ci provveda; è tempo che provvedano per la parie loro gli uomini preposti alla Direzione suprema di quell’Amministrazione. A questi uomini il paese raccomanderà sempre solerzia, energia e giustizia. Di tolleranza ne abbiamo già troppa; ora giustizia vuole che si sia severi. La condanna che avrà colpita nel segno sarà approvata da quanti amano da senno la giustizia ed il paese.

— La Direzione dei telegrafi del compartimento di Napoli ha dato fuori un annunzio di subasta pei lavori tipografici di cui ha bisogno, subasta che avrà per base l’offerta della tipografia delle Belle Arti, e gli oblatori dovranno essere muniti di una polizza di 500 ducati.

Si domanda se la detta tipografia abbia presentato essa pure una polizza di quella somma, e come va che essa prima di ogni altra abbia saputo i bisogni di quella direzione compartimentale.

A noi pare che sotto ia maschera della concorrenza aperta a tutti, si voglia favorire esclusivamente quella tipografia delle Belle Arti. La somma richiesta di 500 ducati è tale da allontanare dalla subasta tutte le tipografie napoletane, ad eccezione forse di un pajo che sono le più ricche. Or perché inni si dà pane a preferenza alle più povere? O per meglio dire, perché la concorrenza non dovrà essere aperta a tutte?

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Leggesi nella Fata Morgana di Reggio: Son venuti ordini superiori perché si proceda alla formazione non solo della quarta Compagnia di G. Nazionale mobile in questo Capoluogo. e delle terze Compagnie nei due distretti di Palme e Gerace; ma eziandio dona la facoltà di ricevere tutti coloro si potranno presentare.

Non tarderà giusta l’avviso ufficiale di venire fra noi per prendere il comando di tutta questa forza il sig. Damiano Assanti. Colonnello Brigadiere uno dei valorosi dell’Esercito.

Ad animare la gioventù della nostra Provincia perché concorra ad arrollarsi non mancarono le calde insinuazioni dell’Autorità Governative, e noi non sappiamo astenerci dall’incuorare tanto i giovani atti alle armi, quanto i buoni liberali, i quali mettano in opra tetti i loro metti, per ispirare a’ nostri giovani entusiasmo e patriottico zelo.




Anno I – N° 21 Napoli — Venerdi 23 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
L’ESERCITO

Non sappiamo se chi legge sarà amico del Governo e della sua amministrazione, o voglioso di novità audaci e difficili, od anco fidente in restaurazioni malaugurate e impossibili: basta eh ei sia cittadino onesto e sincero amatore di verità e di giustizia, perché lo invitassimo a fare con noi questa considerazione. Di tutto quello che da dieci mesi ei è passato sul capo, di uomini, di eventi, di terrori, di speranze, non v’è, certo, alcuno che ristrettosi nella sua coscienza non abbia talvolta gridato: l’esercito italiano è una meraviglia di coraggio, di disciplina, di compostezza e moderazione civile. In verità non mancarono i tristi di stuzzicarlo in varie guise, non gli furono perdonati pericoli, disagi, fatiche d’ogni natura; ed ora che a uno sciame di uomini perduti la vita non par buona ad altro che a toglierla altrui, o a gittarla in opere obbominevoli, quanto coraggio, quanta abnegazione, quanta temperanza non mostrano questi prodi, che combattuto le guerre di Crimea e d’Italia, si son dovuti acconciare a dare il nobilissimo lor sangue in mischie ignorato ed ignorabili, qui colti a tradimento, là trucidali in modi barbari fuori d’ogni ragione di guerra! Per fermo il ritorno dei caduti dominatori è impossibile; pure allorché molti scellerati alzano quella odiosa bandiera e sotto di essa spogliano, ardono, uccidono inermi e viziano donne (tanto è fatale che quella bandiera sia il segno della corruzione e dello sterminio!); chi ci è guarentigia salda e sicurtà agli animi travagliati e dubbiosi, se non questo esercito valoroso e modesto, affaticalo tanto ed infaticabile sempre?

Noi napoletani siamo tenuti per poco disciplinabili, non fosse che da taluni che ci volevano disciplinare a lor modo; abbiamo, è vero, molte colpe, molta corruzione, molti abusi a farci perdonare o a dismettere, e forse abbiamo talvolta il torto di gittar tutto addosso al governo il carico di molti mali le cui cagioni s’avrebbero per gran parte da attribuire a noi medesimi; ma vaglia il vero e onoriamoci pure di questo, chi ha osato mai, chi osa dir solamente una parola di biasimo o di scontento, verso un solo ufficiale o soldato dell’esercito; quale uomo nei crocchi privati o qual giornale ne sparla? O al contrario chi è che non lo loda, non lo riverisce, non lo benedice? L’esercito pe’ napoletani è come Garibaldi: niuno ne dice male, e guai a chi li tocca; e l’uno in verità vale l’altro.

Noi non scrivemmo queste parole per fare un articolo o dire una cosa nuova. Ma se al vedere una mano di bersaglieri o una pattuglia di granatieri ti balza il cuore e ti senti rassicurato e commosso, volemmo dire queste parole perché le crediamo fedeli significazioni de’ sentimenti do’ nostri concittadini: vennero fuori come il cuore e la lingua dava, e potriano tener luogo di evviva e di benedizioni. E abbiam ferma fede che, fuori dei tristi, nessuno non s’unirà con noi a gridare, in cuore suo: Viva l’esercito di Re Vittorio Emanuele!

DUE PAROLE DETTE ALLA LUCE DEL SOLE

II

Inutilmente dunque i fautori dei principi spodestati d’Italia perdono il tempo in disputare del colore politico del brigantaggio che ci travaglia. Il più grande risultato, che dispute di questa natura possono impromettersi appresso la pubblica opinione, si riduce a un ridicolo concetto che ingenererebbe nell’animo di tutti gl’intelligenti d’Europa, colui che si facesse a sostenerle sul serio, e il discredito politico della nazione che lo appoggerebbe. E che miseria, in vero, non è il richiamare l’attenzione di qualsiasi culla nazione sul colore che han potuto o potranno domani assumere le bande di briganti, e poi conchiuderc, verbigrazia, che dunque le provincie napolitane dopo aver rovesciata una dinastia, contro la quale hanno sempremai protestato con inaudita fermezza, sieno ora scontente dell'attuale ordinamento politico? Ciò significa, o che del fatto nostro altrove se no sappia tanto poco quanto nulla, o che anche tra le nazioni più liberali il dispotismo conta dei difensori, e la causa dei popoli dei nemici. E come no? Perché non fermarsi sullo slancio, sull’abnegazione, sulla instancabilità, onde le guardie nazionali dappertutto muovono alla caccia di queste orde di malfattori dal politico colore? Perché non prendere a seria disamina il correre volontario della gioventù napoletana tra le file del nuovo armamento nazionale, che in men di quindici giorni ha dato al paese una truppa, che il Borbone non potè sperare nel corso di un anno e a forza di leva e di lusinghiere promesse? Avremmo voluto, che qualche uomo di stato si fosse trovato in Barletta, all’arrivo dei catturati reazionarii o a Bari, presente alla dolorosa scena che si compiva all'arrivo dell’arciprete Tanzella, per sentirsi a drizzare i capelli sul capo, e ghiacciare il sangue nelle vene, alla vista di un popolo, che furibondo chiedeva il sangue dei cospiratori a danno della sua nazionale esistenza. Saranno barbarie si, e facciamo voti che non se né ripetano gli esempli, ma nella loro abusiva e condannevole procedura provano a tutta evidenza, quanto bene sieno qui appresi il borbone e i campioni della sua causa, e quanto bene a capello ci sia stato appiccato il pentimento che proviamo per la loro caduta.

Il perché senza tante castronerie di colori e non colori politici non sarebbe stato meglio occuparsi della sostanza della cosa? Imperciocché così facendo si sarebbe venuto a capo, che tra noi e i briganti v'ha quistione di vita e di morte, di proprietà e di onore: quistione sociale e non politica. Quindi piuttosto da lodare che da riprendere la condotta del governo; il quale negli attuali rigori esercita un dritto che non gli può essere né vigilato, né limitato da riguardi internazionali; giacché un governo che nella scelta dei mezzi, onde assicurare la vita e i beni dei sudditi, si lasciasse imporre da estranea influenza, mostrerebbe chiaro di aver perduto la coscienza di se stesso, e disconosciuta l’importanza d’ogni ordinamento civile.

Qui, in Italia, più che altrove il governo vuol essere, il più che si possa, interpetre della pubblica volontà, e la volontà pubblica si è già pronunziata in modo assai categorico «morte ai nemici d’Italia». Sian essi briganti nella campagna, sian preti in Roma, sian borbonici ne’ paesi. A questa impresa gli Italiani non debbono aspettare dal governo che un semplice moto direttivo, avvegnaché l’operare sociale, sotto il quale titolo va compresa la pubblica sicurezza, e l’incolumità politica e civile, non appartiene esclusivamente al capo, ma a tutta la moltitudine de’ socii. Uccidere coloro che ci uccidono, non è tanto il dovere d’un governo, quanto il diritto dell’uomo considerato anche come semplice forza cosmica, intollerante d’ogni opposizione diretta colla sua esistenza. Uccidere coloro che tramano un eccidio, di cui forse la storia del mondo non né segnerebbe l’eguale, non è tanto un fatto politico, quanto d’umanità. Chi più innocente di Cristo? Ebbene, eminentemente profetica e divina fu la sentenza di chi disse «che era pur mestieri che uno morisse pel popolo, affinché non avesse a perire tutta una gente». La quale sentenza nel concetto letterale mirava a un bisogno nazionale, figurativo d’una necessità generale di tutto il genere umano. Fatta quindi la debita estimazione tra cosa e cosa, il diritto di salvare il tutto a danno delle parli scenderà difilato da’ sommi principii della ragione universale.

Le notizie che tutto giorno ci vengono da Roma, ci assicurano che là è un pezzo, che si lavora per un colpo decisivo. Che dunque si aspetta? Che l'Europa vada in fiamme, eh? Potrebbe darsi che siamo pronti a provarci. Che il legittimismo la vinca? Non siamo pronti a permetterlo. Noi non riconosciamo altro di legittimo, che la volontà del popolo quale elemento legale del diritto delle nazioni. Il popolo italiano à formolata la sua volontà ne’ termini sopraindicati «Italia e Vittorio Emanuele» è uopo perciò acconciarsi ad accettarla. Con l’Italia e Vittorio Emanuele dateci quel consiglio che vi piace, che raccoglieremo di buon grado. Senza l’un de’ due ci troverete sordi e fieri. Si vuol far del Papa una divinità sulla terra? Si faccia; ma con l’Italia e Vittorio Emanuele. Senza di essi non siam disposti a far nulla di tutto ciò. Anzi un Papa che non sapesse esistere, se non a condizione che in Napoli perdurasse il Borbone, e altrove i principi spodestati, troverà in noi una invincibile ripugnanza a credergli e a riverirlo. Invece un Papa che benedicendo all’Italia si sarà riconosciuto con Vittorio Emanuele sarebbe l’idolo de’ nostri cuori. Ei sarebbe quindinnanzi condotto al Vaticano non più sulle spalle di quattro agenti materiali che non intendono il principio che li muove, ma su quelle di 24 milioni di spiriti, compresi vivamente dall'eccellenza d’un essere umano dalla cui fronte balena più splendido il raggio della supremazia di amore. Dal momento, che calpestando l’italica dignità, ci avrà gittati nella desolazione d’una cupa è letale disperazione Ei finirà di regnare sugli animi; e. quandanche la forza arrivasse a piegare i corpi all’obbedienza d’un dominio, che non ci fidiamo di consentirgli, l’animo sarà lontano da lui quanto l’un estremo della terra si discosta dall’altro. Imperciocché allora Egli avrà fatto palese al mondo, non gli star così stretti al cuore gl'interessi del cielo, come quelli della terra. Di lui, Dio buono noi permetta, avverrà quel che S. Agostino aveva asserito degli Ebrei rispetto agl’interessi dell'eternità «che temendo di perdere i beni temporali con questi perdettero anche i beni spirituali».

Adunque si sollevi un grido! Sia unanime dall'Alpi al Libeo; sia forte; echeggi nel Valicano come il rombo fragoroso di vicina procella; che più lo senta, e né scongiuri le rovine che seco trarrebbe. Sì, Beatissimo Padre, salvate l’Italia; salvate la religione di cui siete il capo augusto e vivete. I secoli benediranno al vostro nome allora veramente pio.

NOSTRA CORRISPONDENZA PARTICOLARE

T’orino 19 agosto 1861.

All'inquietudine che aveva preoccupato il pubblico per la notizia de’ dissensi radicali sorti fra i personaggi della luogotenenza di Napoli e tra il generale Cialdini e il governo si è sostituita la fiducia nei rimedii che verranno posti in opera per ovviare ai danni di questo nuovo emergente. E prima di tutto potete credere che fu sentita con compiacenza l’intenzione del Generale, di Cantelli e di De Blasio di tenersi fermi ai posti rispettivi finché il governo abbia provveduto altrimenti. Di conforto anche maggiore la espressa dichiarazione fatta dal Cialdini di voler rimanere in ogni caso alla direzione delle cose di guerra. Astrazion fatta dei particolari motivi che possono aver indotto il prode generale ad esibire le sue dimissioni per la partita civile, qui si è persuasi che il fatto produrrà dei buoni effetti sia perché ha un significalo dI discentrazione, sia perché l'argomento delle armi nelle vostre provincie è attualmente cosa rude ed involuta da doversi ritenere che qualunque galantuomo ne ha da occuparsi a dovizia senz’altri imbrogli.

Rimane che il governo nel costituire indipendente il poter militare dalla Luogotenenza ed a scanso di altri inconvenienti determini con qualche precisione i rapporti che devono indispensabilmente legarlo agli ordini ed alle autorità politiche ed amministrative e trovi il personaggio che voglia assumerne it carico. Un dispaccio particolare dell’Unità Italiana di jeri pretende che la persona a cui il governo pensa sia il signor Pasolini attuale governatore di Milano. Quantunque la Perseveranza d’oggi confermi il fatto posso assicurarvi che nessuno sa ancor niente delle determinazioni del governo e che il fatto nei termini in cui lo annunzia l'organo mazziniano, non è vero.

A mettere un pò di buon’umore ne’ nostri circoli era valsa anche la notizia data dal corrispondente torinese dell’Independance Bèlge, secondo il quale it governo francese, persuaso che ogni sforzo contro il brigantaggio riuscirà a poveri effetti se non si permette ai nostri soldati di salire alle radici del male, avrebbe risposto alle istanze del Barone Ricasoli che qualora le necessità della guerra spingessero il generale Cialdini sul territorio pontificio egli non avrebbe avuto da temere l’opposizione delle truppe francesi. Disgraziatamente questa notizia è disdetta stamattina dalla corrispondenza parigina dell’Opinione che tuttavia ritiene prossima la soluzione della vertenza romana.

Cosa significa la flotta inglese nelle acque di Napoli? Se non erro, nessuno Stato in Europa è in questo momento più interessato dell’Inghilterra al buon esito degli affari italiani. Dato che l'Austria possa soccombere alle pressioni che la stringono da tutte le parti è rigorosamente necessario per gli inglesi che l’Italia si costituisca forte. La Patrie veramente si affrettò a dichiarare che la stazione della flotta britannica a Napoli non sarà di lunga durata e che d’altronde essa bianca di ogni significato politico; ma noi conosciamo la Patrie e teniamo più a giudicare dalle condizioni delle cose che dalle sue asserzioni. Qui si crede che le navi inglesi nel porto di Napoli intendono ad influenzare sul morale delle reazioni che in certe eventualità potrebbero figurare anche più seriamente.

Tutti fanno plauso alla risoluzione del governo che non volle sottomettersi alle nuove pretese dei concessionarii delle strade ferrate napoletane. Gli ordini che si sono spediti immediatamente da Torino perché i lavori non soffrano interruzione, la conosciuta attività e bravura dell'Ispettore generale e commissario straordinario sig. Bella, e la speranza che i capitalisti italiani vogliano coraggiosamente e generosamente unire i loro sforzi a quelli del governo — tolgono ogni timore di conseguenze serie per questo accidente. Del resto nel fatto avvenuto è compresa la più splendida prova che I impresa come si era combinata dal governo colla compagnia Thalabot non era affare di rompicolli come taluno asserì.

L'Olanda ci ha riconosciuti — e della Prussia si dice che riconoscerà quanto prima il regno italiano. Anzi una corrispondenza che fu riprodotta da molti giornali dipartimentali francesi, il riconoscimento di questo secondo stato avrebbe già avuto luogo e non mancherebbe più se non la comunicazione officiale.

Oggi si aspetta il signor Benedetti ministro di Francia presso la nostra Corte.

CIRCOLARI DEL MINISTRO DI AGRICOLTURA E COMMERCIO

Il ministero d’agricoltura e commercio ha diretto la seguente circolare ai signori governatori, intendenti generali e prefetti delle provincie del regno, relativa alle notizie dello campagne:

Conoscere lo stato delle campagne nelle diverse stagioni e la riuscita delle singole raccolte delle annate agrarie, e uno degli oggetti che specialmente debbe occupare l’attenzione di questo ministero di agricoltura, industria e commercio.

Per raggiungere ora convenientemente questo scopo, il sottoscritto ravvisa opportuno che in ciascun provincia del regno vengano compilate delle relazioni periodiche, corrispondenti alle tre principali divisioni dell’annata rurale.

A tale effetto egli si rivolge ai signori governatori, intendenti generali, prefetti, e gli invita a raccogliere, con quei mezzi che crederanno migliori, siffatte notizie agrarie, a volerne compilare tre volte all’anno una relazione, a volerle trasmettere tosto a questo ministero.

La prima di tali relazioni dovrà essere fatta all’aprirsi della primavera, e verserà sullo stato dei seminati vernini, e sul ripigliare della vegetazione, superato l’inverno, nonché sulle condizioni in cui si compiono le sementi e le piantagioni che sogliono operarsi in detta stagione.

La seconda ( La relazione di quest’anno sarà compilata e spedita al ministero appena ricevuta la presente circolare.) cadrà immediatamente dopo la trebbiatura del frumento; darà contezza della riuscita di questa raccolta, e di tutte le altre anteriori o contemporanee; discorrerà dei seminati estivi, e delle condizioni in cui si operano le lavorazioni della terra.

La terza avrà luogo allorché saranno compiute le raccolte autunnali, e in questa si darà conto delle raccolte stesse, le quali comprendono tutte quelle fatte dopo il frumento, e si darà notizia delle circostanze in cui si sono operate le seminagioni che ricorrono nella stagione.

In ciascuna delle dette tre relazioni si terrà conto delle circostanze meteoriche che fossero riuscite favorevoli o dannose all’agricoltura, si farà conoscere lo stato del bestiame domestico, si denuncieranno le epizoozie che avessero invasa la provincia, indicando i mezzi curativi e preventivi adoperati, e riusciti efficaci; si darà contezza delle malattie dei vegetabili e dei rimedii usali per combatterle, e si avrà cura di far conoscere i miglioramenti che in qualsiasi ramo dell’industria rurale si fossero introdotti in ciascuna provincia, e i bisogni ai quali l’agricoltura locale più urgentemente domandasse che fosse provveduto.

Torino, 15 agosto 1851.

Il Ministro CORDOVA.

IL DEPUTATO DE BLASIIS

Il sig. Francesco de Blasiis deputato del collegio di Città S. Angelo ha testé indirizzato ai suoi elettori una sennata lettera, nella quale dopo aver esposti gli obblighi esistenti tra elettori ed eletti ei fa una specie di resoconto di quanto s’è fatto in questa prima riunione del Parlamento italiano.

L'esposizione dei fatti non avrebbe potuto esser più veritiera né più coscienziosa. Animato da nobile orgoglio nazionale ei smentisce con prove e con fatti evidenti le basse calunnie che un partito senza nome ha cercato di lanciare contro l’operato della rappresentanza delta nazione. Soddisfattissimo del passato ei guarda con animo sicuro l’avvenire del paese, alla cui prosperità tutti gl’Italiani deggiono concorrere; e qui rivolgendosi ai suoi concittadini abruzzesi, il sig. De Blasiis dice:

«Date pertanto voi esempio agli altri di saper pazientare con animo forte, di saper trovare in voi stessi la principale forza per tutelarvi, e di saper provocare e raddoppiare l’efficacia dell’aiuto governativo con la docilità e con la fiducia, non già verso il tale o tale altro uomo che governa, ma verso quel Re leale, nel di cui nome si governa, verso il patto costituzionale che rende il governo non altro che l’espressione della rappresentanza nazionale, e verso quella necessaria prevalenza che la pubblica opinione, quando è rischiarata, non illusa, coscienziosa, non traviata, finisce sempre col conseguire ne’ governi sinceramente liberali».

Quindi termina con queste parole:

«Volgendo a voi queste mie franche e sincere parole, io aspiro, o elettori, a completare per quanto è in me il sacro dovere assunto quando accettai il vostro mandato; dappoiché il compito de’ rappresentanti della nazione io lo credo dippiù ed alterno; da una parte cioè credo che essi debbano con assiduità e con fermezza far prevalere presso il governo i giusti desiderii delle popolazioni rappresentate, e dall’altra debbano saper parlare a queste nelle occorrenze il linguaggio della verità e della saggezza; sicché servano come di anello intermedio, assicurante ai popoli la mano soccorritrice del governo ed al governo la fiducia e l’appoggio de’ popoli.»

LA PRETESA DIMISSIONE DI CIALDINI

— Così scrive alla Nazione il suo corrispondente di Torino in data del 18:

Oggi si sono fatte tante ciarle in Torino a proposito della notizia della dimissione del generale Cialdini, da farne andar matto un povero corrispondente, il quale sia animato dal desiderio di non vendere ai lettori delle frottole. Dopo aver interrogato molte persone, sono venuto nella persuasione che il generale Cialdini, se desidera di essere sollevato dal peso dell’amministrazione civile, che egli ha assunto per devozione alla patria, non è uomo da rinunciare al compimento della missione affidatagli di pacificare le provincie napolitane né abbandonerà il governo militare di quelle provincie se non ad opera finita. Gli amici del governo negano assolutamente che da parte de’ ministri siano state fatte rimostranze a Cialdini per la fiducia da lui riposta in alcuni uomini del così detto partito d’azione, ed a questo proposito devo confessare che già fia molti giorni rivendo io espresso alcuni timori ad una persona che sta in intimi rapporti col ministro dell’interno, né ebbi in risposta che. io aveva torto di temere e che Cialdini era uomo da non lasciarsi trar fuori dal retto sentiero dai consigli di chicchessia.

Questo vi dico, perché si va sussurrando nei calle di Torino che tra Cialdini ed il ministro Minghetti è sorto grave dissenso a questo riguardo, e che ieri vi fu per così dire un consiglio permanente di ministri, nel quale fu deciso di instare perché Cialdini rimanesse al suo posto, ma rompendo ogni relazione cogli uomini del partito di azione. Per una di quelle stranezze di cui abbiamo tanti esempi in questa lunga campagna dell’opposizione contro il ministro dell'interno, si dà risolutamente tutta la colpa a Minghetti, quasi la sua voce fosse preponderante nel consiglio dei ministri, ed a lui solo si dovesse attribuire la decisione presa in unione ai suoi colleghi. Ma e il barone Ricasoli, domanderemo noi, e gli altri ministri sono essi muti, non hanno essi una volontà? E' questa domanda l'avremmo potuta rivolgere molte volte a quest’ora ai signori dell’opposizione, dei quali questo solo ci fa maraviglia, che essi non abbiano pensato prima a prevenire questa considerazione, e siansi tanto largamente fidati nella dabbenaggine del pubblico.

Del resto, come io vi diceva, le notizie da me raccolte da persone che devo credere degnissime di fede, mi pongono in grado di credere inesatto quanto si è detto di un preteso dissenso tra il ministro dell'interno età il Luogotenente generale di Napoli, in quanto all’accettare il concorso degli uomini onesti del partito di azione.

ANCORA DI THALABOT

— Scrivono alla Nazione da Torino:

La notizia della rinuncia dei signori Thalabot alla impresa delle strade ferrate napolitane non fece dispiacere ad alcuno. La Camera ed il paese avevano subito quel contratto a malincuore, credendo di obbedire ad una inesorabile necessità, piuttosto d'indole politica che d'indole economica. Se il governo con quei trenta milioni che doveva dare in prestito alla società può intanto, dar mano ai lavori e spingerli alacremente, non ci lagneremo della risoluzione del signor Thalabot.

Insomma, il governo provvegga a non lasciar mancare il lavoro nelle provincie napolitane, e speriamo che e governo e parlamento, fatti accorti dall’esperienza, vorranno in avvenire essere più guardinghi, dall’una parte nel proporre, dall’altra nell’accettare un contratto, il quale non poteva aver fino ad un certo segno una scusa se non nelle condizioni eccezionali in cui si trovava il regno di Napoli.

Avete veduto sulla Gazzella Ufficiale i motivi commerciali, passatemi la frase, che determinarono lo scioglimento del contralto Thalabot. Or ecco quali sarebbero, secondo alcune voci, i motivi politici: la società che stava componendosi veniva costituita nella sua grande maggioranza dai più dichiarati avversarii della causa italiana; legittimisti, murattiani, clericali, austriaci, e il resto dell'eletta schiera. Pare ci soffiassero per entro anche un poco l’ex-re di Napoli, e il governo Papale: insomma trattavasi di un vero nucleo di nemici, cui si sarebbe attribuita una legittima sfera d’azione nel bel mezzo del nostro paese. Costoro si sarebbero trovati a capo di una vera e numerosa armata, composta di circa settemila persone, tra manuali, operai, impiegati ec. ec. Come è facile immaginarlo, il Governo avrebbe veduti la cosa di cattivissimo occhio, ma finché un contratto lo vincolava, gli era d’uopo dissimulare; però ai primi dissensi insorti avrebbe di gran cuore accolta l’occasione per mandare il tutto in fumo, comprese le più o meno supposte cospirazioni borbonico-clericali-legittimiste.

NOTIZIE ITALIANE

— La sera del 19 giungeva a Torino S. A. R. la principessa Pia reduce da Pegli; la stazione della ferrovia di Porta Nuova era elegantemente addobata per riceverla.

— Leggesi nel Lombardo:

In occasione d’un déjeuner dato dal re giorni sono ai suoi compagni di caccia sulle Alpi il re stesso, dopo aver fatto versare nei calici vino di Marsala, portò un brindisi a Garibaldi e ai suoi garibaldini. Tutti gli stanti fecero coro, poscia risposero col grido di Viva il re galantuomo, Viva il re d'Italia.

—Si è parlato in questi ultimi giorni, dice la corrispondenza torinese del Corriere Mercantile, che il conte Trecchi avesse avuto una missione da Vittorio Emanuele per Garibaldi. Fino ad ora tale notizia non si è verificata: pare però che a giorni il Trecchi si recherà effettivamente a Caprera, non per indurre il generale ad abbandonare il progetto di portarsi al 7 di settembre a Napoli, come taluni fanno le viste di temere, mentre egli non vi ha mai pensato, ma sibbene per altro motivo. Il Trecchi è stato fino ad ora a Valdieri a cacciare con Vittorio Emanuele e. S;M. gode buonissima salute, occupata tutto il giorno a percorrere quelle montagne. Ha posto il suo piccolo campo nella località denominata La tomba di Merlino: la più larga ospitalità è usata verso coloro che capitano alla tenda reale: parte della caccia viene consumata sul luogo e parte distribuita al sottostante stabilimento balneario o mandalo in dono a parecchie notabilità politiche. Nel primo giorno il re ha ucciso 14 camosci, nel secondo 9, nel terzo 11; come vedete, la strage fu piuttosto abbondante. La presenza di Vittorio Emanuele in quelle montagne è una vera provvidenza per quelle povere popolazioni.

— Il ministro Peruzzi, partito da Torino la sera del 19 per visitare lo stato de’ lavori delle strade ferrate dell’Italia centrale e meridionale, è arrivato il 20 a Firenze.

Il ministro Bastogi ne è partito per far ritorno a Torino.

— Il signor Benedetti, ministro plenipotenziario di Francia, arriverà a Torino probabilmente nel principia della prossima settimana.

— Il governatore Pasolini il 19 lasciò Milano per essere assunto al governo generale delle provincie napolitane. I poteri puramente civili già esercitali dal conte di San Martino verranno a lui delegati. Per tal guisa, il generale Cialdini cesserà d’essere investito della luogotenenza civile e darà opera unicamente alle cose militari. Alcune attribuzioni del governo locale saranno concentrate in mano alla suprema autorità amministrativa, che risiede in Torino. Questa trasformazione tende a subordinare il governo locale per mezzo della regolare dipendenza gerarchica a quello centrale. La separazione del potere militare dal potere civile lascierà maggior agio al generale Cialdini per dirigere le operazioni già intraprese contro i briganti che infestavano la Lucania e le Puglie, e che vòglionsi proseguire con pari energia nei due Abruzzi e nella Terra di Lavoro su tutta la lunga linea del confine pontificio.

— Leggesi in una corrispondenza della Nazione da Torino:

Il generale Della Rovere ha risposto, insistendo nelle preghiera di lasciarlo al suo posto in Sicilia. Non è orgoglio, che lo ispira, ma la coscienza che l’opera sua è assai utile in questo paese. Ora poi si tratta di condurre a compimento le operazioni di leva, di affrontare la parte più difficile e delicata di esse, cioè l’allontanamento dei giovani coscritti dalle rispettive famiglie; e si tratta inoltre di organizzare la regolare percezione delle imposte, l’uno e l’altro di questi argomenti potrebbe suscitare una qualche commozione, che reclamerebbe l’azione di un governo forte e rispettato.

Tutte queste ragioni non convincono però ancora il Governo, il quale considera che per quanto importante si voglia ritenere lo stato della pubblica sicurezza in Sicilia, l’argomento che tutti gli altri supera di gran lunga, è certamente l’organizzazione dell’esercito. Egli è in questo, che è riposta la nostra difesa, la nostra forza il nostro avvenire. Bisogna pensare all’esercito prima che a tutto il resto: ché l'amministrazione attuale, provvisoria, di transizione, può durare più o meno a lungo senza immenso danno dei paese.

Il ministero non ha preso alcuna deliberazione, ma interrogò il Della Rovere acciocché indicasse, pe| caso che S. M. lo eleggesse ministro della guerra, un successore della luogotenenza di Sicilia che gli sembrasse opportuno.

—Si mantiene la voce, dice il Patriota, che nel mese di settembre la quistione romana farà un passo non indifferente. Si pretende da molti che il papa lascierà l'Italia e si

bilmcnte concepito da monsignor De Merode. ministro delle armi, belga, come è noto.»

— A quanto si assicura, i generali Cialdini e Pinelli credono di poter venir a capo della missione di reprimere il brigantaggio pel mese di settembre. Appena pacificate le provincie napoletane, i reggimenti che ora trovanti colà verranno a riposarsi nell’alta Italia; ciò si crede possa avvenire nel mese di ottobre.

—La corrispondenza dell’Indépendance belge riguardante l'assenso accordato dalla Francia all’Italia di perseguitare le colonne brigantesche sull’attuale territorio pontificio è inesatta. È bensì vero che, forse un mese fa, il predicente del consiglio fece presente al gabinetto delle Tuileries quanto fosse lesivo del diritto delle genti che sul lembo estremo del confine romano, come nel convento di Casamari e a Subiaco, si trovassero forti depositi d’armi e vi si ordinassero, a piena cognizione del governo pontificio e sotto gli occhi della Francia, le turpi masnade destinate a recare la guerra civile nel vicino territorio italiano, ed espresse la necessità in cui si sarebbe trovato di spingere l’esercizio della legittima difesa sino agli ultimi confini imposti dalla necessità. Gli è appunto in seguito a tali reclami che ebbe luogo un certo risveglio nella polizia francese e che si operarono perquisizioni e sequestri nei due siti indicati, si procedette all’arresto dei famigerati De Giorgi e Merenda, e fu più severamente sorvegliato il confine. Ma, dopo questo fatto, posso assicurarvi che non vi fu alcun nuovo negoziato fra i due gabinetti.

—Ieri mattina (18), dice il Corriere Mercantile, transitavano nelle vie della città un 30 briganti borbonici ammanettati ad uno ad uno e scortati da una squadra di reali carabinieri che li condussero al forte della Specola, Dicevasi che essi appartenevano alla banda sconfitta a Pietralcina dal maggiore Rossi, che vi restava ferito, e presi colle armi alla mano. Ciò basti a smentire le voci dei fogli reazionarii di fucilazioni in massa eseguite dai comandanti delle nostre truppe. I suddetti 30 briganti marciavano brontolando con sguardo provocante: le loro fisionomie erano truci. La maggior parte indossava qualche avanzo d’uniforme, e taluni portavano ancora la giberna ad armacollo.

— Posso dirti, cosi il corrispondente torinese della Perseveranza, che le relazioni tra Francia e Italia non furono mai così intime o cordiali come lo sono ora, e che la quistione romana è ormai virtualmente risolta nel senso unico reclamato dalla civiltà e dalla salute della nazione italiana. Forse ci converrà adoperare ancora per poco una paziente prudenza, ma questa virtù non sarà l’ultima prova del nostro senno, né il minor titolo al conforto della simpatia e della stima dell’Europa. Pregiudicare colle improntitudini le vittorie sicure, comunque lungamente aspettate, non può né deve essere il carattere distintivo della politica italiana. Osare e attendere a tempo è la divisa della nostra redenzione.

—Il giorno 19 giunse a Torino colla ferrovia di Genova un convoglio di bass’ufficiali di fanteria provenienti da tutti i reggimenti dell’esercito, divisi in quattro compagnie con tamburi ed ufficiali. Appena discesi dalle vetture, attraversarono la città dirigendosi al campo di San Maurizio. La loro forza è di quattrocento uomini, e servirà alla prima formazione dei quadri per l’organizzazione dei battaglioni provvisori che debbono ordinarsi appena sia giunto al campo il contingente dei soldati ex borbonici che vollero profittare dell’amnistia Cialdini.

— Scrivono da Firenze il 17 corrente al Corriere Mercantile:

«Il piccolo nucleo o chiesetta dei febbricitanti purissimi che qui esiste da qualche giorno si mostra più attivo che mai nel procurare soscrizioni per l’immediata occupazione di Roma. Pare che il comitato di Londra si voglia servire di questo documento per un tentativo, giacché certi sedicenti tribuni vanno insinuando nel popolo che presto si vedranno grandi cose essendo tutto preparato per un gran colpo decisivo su Roma. Saranno, se volete, millanterie di partito, ma mi consta positivamente che le stesse voci si fanno correre nell’Emilia, e che parecchi noti arruffapopoli sono affaccendatissimi. Quanto alla Toscana, voi sapete che non è terreno guari adatto per progetti avventati e sgangherati.

«E però mestieri che il governo non tolleri nei suoi rappresentanti la inerzia e la fiacchezza, sicché lo scoraggiamento s’insinui nelle popolazioni a tutto profitto delle sette. È un fatto che il sistema lemme lemme si verifica pressocché dappertutto, per modo che ai confini i pubblici funzionari lasciano ché i disertori se ne vadano allegramente al di là del Po senza la minima molestia. Il governo, lo sappiamo, è abbastanza forte, ma non per questo deve assistere quasi impassibilmente al lavoro dei partiti inteso a scalzarne le fondamenta,»

— Erano disertati da Livorno otto granatieri napolitani, avevano presa la via di Maremma perocché presso le foci della Cecina una barca doveva aspettarti e pittarli sulla riva romana; ma aspettarono invano la navicella: pressali da! pericolo vollero impadronirsi a forza d’una barca peschereccia, senza prima fare i conti e pagare l'oste. Ma l’oste erano i marinai, i quali, aiutati da contadini armati di vanghe, coi remi li accerchiarono, sì bene che ne arrestarono sei nonostante fossero armati di daghe e baionette. Quei disertori avevano caduno un 150 svanziche, prezzo del loro reclutamento nelle file merodiane. È inutile dirvi che furono assoldati qui dal partito clericale. Ma credo non vi dispiacerà conoscere un aneddoto che interesserà molto i fogli clericali. L’altra notte fu fatta una perquisizione nel convento de’ Trinitari Scalzi di questa città. Questi frati scalzi sono tutti napoletani, e pensate voi se al loro ceffo da lazzaroni non ne accoppiano tutta l'ignoranza e la superstizione e quindi se non abbiasi a temere delle loro mene presso la plebe ignorante, fra cui si aggirano accattando! Ma il popolo ne fece loro una bella; volle canonizzare tre nuovi santi italiani, e quindi trovando vuote tre nicchie nella facciata della Crocetta, loro chiesa, vi collocò dentro cadauna un busto di questi, e tuttora vi si veggono: sono i busti di Vittorio Emanuele, di Cavour e. di Garibaldi.

—Sobillata da emissari e dall’opera dei cosiddetti comitati di provvedimento, l’associazione mutua degli operai di Parma si è tramutata in società politica. Parecchi cospicui cittadini che vi appartenevano quali membri onorari, accortisi dell’artificiosa trasformazione contraria allo statuto fondamentale e ispirata da principii incompatibili colle istituzioni che li reggono, protestarono con una dichiarazione stampata di non voler più far parte dell’associazione. A capo della protesta veggiamo il sindaco, il comandante della guardia nazionale, parecchi ufficiali della medesima e i più notevoli commercianti.

— Scrivono da Torino in data 16 agosto al Debats:

Si parla nuovamente dei movimenti che farebbe l’armata austriaca in Venezia; ma il governo non che il pubblico sono perfettamente convinti che questi movimenti si riducono semplicemente a un simulacro destinato a richiamare le nostre truppe sul Mincio. Nessuno se né dà pensiero, e non si ritirerà da Napoli un solo battaglione. Da un mese in qua si sono inviati a Napoli 14 battaglioni che, con quelli che già vi stavano, formano un effettivo di 71 battaglioni. Questa forza è considerevole senza dubbio, senza aver nulla di straordinario, e sarebbe molto insufficiente se il paese stesso non le offrisse un valido appoggio.

CRONACA INTERNA

— Iersera alla Taverna della Noce presso Nola si raccolsero circa trenta briganti. Si recarono per tendere un agguato o per prepararsi a qualche aggressione mattutina: ma al loro svegliarsi si son trovati circondati dalla forza di Nola. Si sono resi a discrezione, epperciò hanno avuta salva la vita, tranne cinque di essi i quali alle 10 a. m. di oggi sono stati fucilati perché ergastolani evasi dai luoghi di pena.

— Solamente nelle contrade del Matese il brigantaggio continua ad avere un aspetto alquanto minaccioso, ma nella provincia di Caserta ed in quella di Avellino non è più tale da destare gravi inquietudini. Le Guardie Mobili sono vittoriose in tutti i punti, e lo spirito delle popolazioni è buonissimo là dove le infernali suggestioni dei Retrivi furono a tempo controminate dalle persuasioni dei liberali e dalla sagacia delle autorità provinciali e comunali: sono da deplorare disordini ed eccidii dove le benemerite autorità han sonnecchiato, se pure non cospirarono anch’esse coi reazionari. Né questo nostro sospetto deve destare le meraviglie quando è un fatto risaputissimo che un buon numero de’ nostri amministratori civili non dettero mai in tutta la loro vita il menomo indizio di amore alla patria ed alla libertà e per conseguenza di avversione al Borbone. Chi per l’unità d’Italia e per la gloriosa dinastia di Savoja non senti nel suo cuore mai un palpito, da quale sentimento può attingere la forza ed il coraggio di sterminare i tristi nemici dell’Italia e del suo Re? Epperò noi non ci stancheremo di ripetere per le mille volle che ad estirpare fin dalla radice ogni elemento di reazione, più dell'opera militare fa d'uopo dell'opera delle autorità civili.

— Siamo assicurati che è giunto da Torino approvato il progetto del signor Pironti di alcune riforme nel personale giudiziario. Sono circa quaranta nomi, un solo destituito, altri al ritiro, ed altri ancora traslocati.

— Sappiamo pure che in breve uscirà una riforma nel personale de’ consiglieri di Governo. Nella scelta si terrà conto della pianta organica, e quindi. saranno pochi i nuovi scelti, sendo il numero dei consiglieri di governo maggiore di quello che stabilisce l’organico.

— Leggeri nella Guida di Aquila:

Ci gode veramente l’animo nel pubblicare il seguente Ordine del Giorno dell’illustre e prode Generale Chiabrera. Sarà pel fatto ricordato ancora una volta chiaro, qual distanza passi tra il valore del soldato che combatte per l’amore di libertà e di patria, e la brutale ferocia dei compri satelliti del dispotismo!!

ORDINE DEL GIORNO

Sono lieto di portare a conoscenza della Brigata un fatto che altamente la onora.

Il giorno 13 del volgente mese mentre la 2. Compagnia del Trentacinquesimo Reggimento comandata dal distinto ed operoso Capitano sig. Grillanti perlustrava nei boschi verso il Gran Sasso d’Italia, circa 90 briganti provenienti da Voltigno si dirigevano sopra S. Lucia.

Di ciò avvertiti gli otto individui qui sotto nominati che erano stati lasciati di servizio, menò il Foriere ed il Sergente che erano rimasti ammalati al quartiere in Calascio, unitisi a 12 militi della Guardia Nazionale di Calascio e ad altri di Ofena in tutti sommando a circa 49 uomini, uscirono decisi di andare ad attaccarli, ma avvisati del pericolo e del gran numero, la Guardia Nazionale si ristette, meno il prode milite Nazionale sig. Niccolo Vespa che volle accompagnare nella pericolosa impresa il Foriere Risso Giuseppe, Sergente Tedeschi Angelo, Caporale Renacci Alberto, Soldati Filippi Luigi, Zetta Giuseppe, Faule Pietro, Gaggino Angelo, Durando Francesco, tutti della predetta compagnia, che animosi si slanciano su quei vili assassini i quali stante il poco numero degli assalitori, non si decidono a fuga come è loro uso, che anzi gli attaccano e gli stringono da ogni parte.

Ma quei nostri bravi, calate le bajonette, si gettano su quella vil masnada, si aprono un varco e presa una buona posizione si difendono. Quattro volte i briganti li attaccano quattro volte sono respinti, fino a che vedendone diversi ei loro fra morti e feriti si danno a precipitosa e disordinata fuga.

Serva un tal fatto d'esempio, mentre non mancherò di farne relazione ai superiori, onde, esser messi sotto gli occhi di S. M. per le debite ricompense.

Aquila lì 16 agosto 1861.

Il Magg. Gen. Comand. le Truppe

CHIABRERA.

Sappiamo che furono proposti per le medaglie d’argento ai Valor Militare, compresoli bravo Milite Nazionale Vespa.




Anno I – N° 22 Napoli — Sabato 24 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

Abbiamo un’altra lettera del d’Azeglio che sembra voler mettere un termine a questo già lungo epistolario e ad una quistione che a nostro credere non doveva mai esser messa in campo. Si può questionare sul modo e sui mezzi di rimediare agli errori commessi onde affrettare la perfetta unificazione di tutte le parti d’Italia; ma il voler far credere problematica la volontà in modo sì, splendido manifestata con fatti eloquentissimi e con liberissimi suffragi, è tal cosa che solo si può scusare con un fosco intervallo d’atrabile in chi se la fece, sfuggire dalla penna.

E questo a un dipresso dice la lettera del d'Azeglio, che pubica la Nazione di Firenze, ripetendo quasi la spiegazione datane dal Matteucci. La lettera era confidenziale e non era destinata alla stampa. «Avrei poi creduto che se gli atti di una vita intera non bastavano a mostrare che io desidero l’Italia unita in nazione, almeno si facesse alla mia intelligenza l’onore di crederla capace a capire che è meglio essere 24 milioni che dodici: la questione verte sui modi onde ottener l'intento.»

Segue dicendo che ha scritto una lettera senza pensarci, e crede che a ognuno sia libero in questa maniera, cioè come s’usa fra amici, di dir quel che diavolo gli passa per la testa. Son queste proposizioni indegne di un uomo qual è d’Azeglio: val meglio il poter vantarsi, come Vergniaux di non aver mai scritta una lettere, che scriverne senza pensarci; e se è lecito fra amici scrivere qualunque cosa passi per la testa, non ci pare che in questa inconsiderata licenza possa andar compresa cosa di tanta importanza qual è l’avvenire della nazione a cui si appartiene, della quale non dovrebbe trattarsi in iscritto se non con pavore e tremore, e non con spensierata leggerezza. Conchìude, come il Matteucci, augurando all’Italia la libertà di trattare le quistioni politiche sotto tutte le forme. Sta bene che ci sia tale libertà; ma con questa non vorrà il d’Azeglio che venga meno la libertà di fremere all’udire porre in questione, non dall’Armonia o dalla Settimana, ma da un d’Azeglio, la verità e la possibilità dell'unione dell'Italia tutta in una nazione.

Una corrispondenza da Parigi alla Gazzetta di Colonia annunzia come prossimi a compiersi due fatti di grandissimo rilievo. lo scioglimento della camera dei deputati in novembre seguito da nuove elezioni; un rimpasto nel ministero. In quanto al primo, vuolsi che sia desiderio di Persigny. e che l’imperatore ne sia persuaso: e certamente se qualche passo di grande importanza per l’Europa si dovesse compiere, l'imperatore non mancherebbe di fare un appello al paesi per avente l’appoggio morale. Del secondo le voci che corrono son vaghe: Rouhar uscirebbe dal suo ministero, rimanendo ministro senza portafoglio; Cbasseleup Laubat prenderebbe quello del commercio; la Ronderò le Nourry quello della marina: non pare che tali cangiamenti ancorché avessero effetto, avrebbero un significato politico.

In Inghilterra par che ritorni in campo la quistione della riforma elettorale. L’anno scorso, quando Lord Russell fece la sua proposta alle camere su questo importantissimo argomento, tutti i liberali riconobbero ch«le classi operane erano rappresentate in modo assai insufficiente; ma osservarono al tempo stesso che introducendo questo elemento in grandi proporzioni ne verrebbero ad essere assorbiti e come affogati nei numero coloro che rappresentano la proprietà e la capacità intellettuale. Così rimase allora sospesa quella proposta, che ora si vuoi ripigliare alla prossima sessione, concedendo gran parte nel potere politico alfe classi operarie, a quelle ben inteso che hanno una occupazione regolare e che pagano imposte. Già per antica legge del paese, chiunque paga le tasse dirette ha il dritto di suffragio: ora non si tratta che di dare una maggiore estensione a questo dritto che fin qui in Inghilterra si era cercato di restringere.

La Presse di Vienna ci dà in compendio il disegno del ministero austriaco per appianare tutte le quistioni e soprattutto la quistione ungherese, disegno a cui altro non manca che il suggello della riuscita che ci sembra assai problematica.

«Quanto alle intenzioni future del Ministero rispetto all’Ungheria, sembra vi sia l'intenzione di ripor mano a un progetto del predecessore del conte Forgach. L’Ungheria verrebbe governata da un Ministero parziale ungherese responsabile, con qua competenza rigorosamente determinata, ufficio principale del quale sarebbe d’introdurre un’amministrazione ordinata in luogo dei Comitati e di dar opera entro alcuni mesi ad una riconvocazione della Dieta. L’elezione poi d’una nuova Dieta non impedirebbe le discussioni del Consiglio dell’impero, né provocherebbe la proroga; il governo accetterebbe la rinuncia degli Ungheresi di parteciparvi, rinuncierebbe all’espediente delle elezioni dirette e dichiarerebbe il Consiglio dell’impero qual è al presente, Consiglio completo. Così farebbesi anche rispetto alla Croazia; e poiché in Istria fu già ordinata una nuova elezione della Dieta, non rimarrebbe incertezza se non per la Transilvania, la quale è dubbio se sia per inviare deputati al Consiglio dell’impero. Così pare che il Ministero abbia fiducia di veder raccolto pei primi di settembre a Vienna un Consiglio dell’impero formalmente completo, che possa decidere le quistioni di finanza.»

Il Constitutionnel aveva avuto l’audacia di dire che l’Austria aveva fatto inutili tentativi per conchiudere un prestito. Ora la Gazz. Uffìc. di Vienna afferma che non ce n’è niente; che alcune case bancarie nazionali e straniere hanno fatto delle offerte all’amministrazione delle finanze, ma questa le aveva ringraziale, prima perché le entrate ordinarie bastano pei bisogni, e poi perché quell’amministrazione non vuol far nulla senza l’assentimento del Consiglio dell’impero. A noi pare che, poiché bastava la prima di queste ragioni, la seconda rivela che qualche cosa ci sia di vero quanto a progetto d’imprestito. Domandiamo poi se si è inteso mai che una casa bancaria vada ad offrire il suo denaro senza esserne richiesta, ed aggiungi, a chi non né ha bisogno.

SULLA RENDITA DEL REGNO D'ITALIA

La somma totale che tutte le antiche provincie italiane, comprendendo anche quelle di Roma e di Venezia, producevano agli stati era di poco più elevata di 559 milioni di lire.

Questa massa di valori che per sé stessa sembra ben considerevole, effettivamente non è che meschina. se vuolsi mettere in confronto agli altri Stati di Europa, e se vuolsi tener conto della ricchezza rispettiva.

L’Inghilterra senza contare per nulla le risorse coloniali, con un estensione pari a quella d’Italia, e con un numero di abitanti di pochissimo eccedente quello degli abitanti d Italia da un prodotto alle sue finanze di più di 1650 milioni di lire italiane, vale a dire tre volte il reddito del nostro stato.

La Francia con un terzo più di popolazione dell'Italia e di estensione di suolo produce alla sua finanza più di 1825 milioni di franchi, cioè molto di più di tre volte il nostro reddito, e un poco meno di quattro volte.

Se dunque l’Italia si confronta con la Francia e l'Inghilterra, si troverà essere inferiore per la relativa forza economica.

Per converso, se l’Italia si paragona con le potenze orientali e nordiche di Europa si troverà essere più ricca e più potente, se si eccettua la Prussia.

La Prussia con circa un sesto di meno dell'estensione del suolo italiano, e con una popolazione eguale ai tre quarti della popolazione complessiva d Italia, non dà alle sue Finanze più di 491 milioni, cioè circa un ottavo di meno del reddito italiano.

L’Austria con un’estensione di suolo poco meno del doppio dell'Italia, e con una popolazione almeno un terzo di più dell'Italia non percepisce che un reddito di 746 milioni, cioè poco più di un terzo del nostro.

La Russia più di sei volte l'estensione italiana, e almeno il doppio degli abitanti non ha d'introito che circa i tre quarti di più.

Cosicché l’Italia, questa sesta potenza di primo ordine, è meno ricca della Francia e dell’Inghilterra, è ricca quanto la Prussia ed è più ricca dell'Austria e della Russia.

Imperocché la ricchezza d'uno stato in gran parte può e devesi valutate dalla floridezza delle sue finanze.

Ma noi Abbiamo comparato Io stato finanziere d’Italia, calcolando i redditi diversi degli antichi suoi stati. Or è evidente che questa valutazione è provvisoria: essa non può dare che un valore il quale se pure per qualche altro anno resterà lo stesso, in avvenire non Io potrà in nessoun modo.

L'Italia riunita in un sol Regno, forte e compatto di 25 milioni di abitanti con più di 99 mila miglia quadrate della più fertile terra del mondo, circondata da tre mari, nel centro a quel Mediterraneo ch’è stato sempre il focolare dell’incivilimento e della ricchezza non potrà necessariamente parlando stare indietro alle due più ricche potenze occidentali.

Ed in vero, la rendita degli stati, è un risultamento diretto della ricchezza dei paesi; quanto più ricca è una contrada, per la bontà e fertilità del suolo, per l'attività industriale e commerciale degli abitanti, per la situazione propizia al traffico, tanto più grande potrà essere il reddito nazionale d’un governo.

E la ricchezza nazionale non può prendere quello slancio e quell’ampiezza cui da natura fu-fornita, se agli ostacoli che vi si oppongono, vi si aggiunge l’ostacolo grandissimo che per effetto della divisione politica se conseguita, cioè il frazionamento in piccoli stati.

In tal caso, come è avvenuto per noi in Italia per lo passato, e come avviene attualmente per più della metà della Germania, le barriere doganali moltiplicate, gl’inceppamenti protettori localizzando l'industria, le vie di comunicazione limitate agl’interessi locali parziali e municipali, e per aggiunta rose di poca utilità per mille specie d’inceppamenti, come non ultimo è quello de’ passaporti, tutto ciò, diciamo, produce un ostacolo grandissimo allo sviluppo generale della opulenza nazionale.

La ricchezza delle nazioni unicamente ed assolutamente è fondata sui la più ampia e più facile circolazione possibile di tutti i valori.

Laonde qualunque cosa si opponga al libero svolgimento di essa. non può produrre necessariamente altro effetto di quello, cioè di diminuire la produttività nazionale, e di inaridirne le fonti.

L’Italia quindi nel 1861 non solo ha ottenuto il più gran bene che potesse desiderare, l’acquisto della propria nazionalità. Ma eziandio ha acquistato le fonti vere e reali della sua ricchezza. Per noi l’unità d’Italia vuol dire l'incominciamento di un'era novella di Ricchezza Sociale. Un principio di attività industriale ed economica, un generale benessere per tutti gl’individui.

Una volta che il novello Regno sarà stabilmente consolidato, ed avrà preso un indirizzo ordinario, la ricchezza pubblica sarà ampiamente sviluppata, e le finanze italiane, si aumenteranno in una proporzione rispettabilissima.

Il progresso naturale degl'Italiani accoppiato a quello che ne risulterà nell’unione in un solo stato dovrà necessariamente produrre un aumento nelle finanze, straordinariamente considerevole.

Se intatti, la somma complessiva che l’Italia aveva nei venti anni addietro era appena di 330 milioni oggidI è stata salita fino alla cifra di 560 milioni circa, cioè quasi raddoppiata nonostante la divisione politica ed amministrativa di questo paese, e dietro le esposte ragioni che dopo dieci anni l’Italia avrà un reddito se non eguale almeno prossimo ai due terzi di quello che la più ricca potenza del mondo, l’Inghilterra, percepisce.

I diversi redditi delle province italiane, risultano dal seguente specchietto:




Piemonte (1860) 159,551,000
Lombardia (1860) 74,646,000
Prov. Romane (1858) 76,519,000
Parma (1857) 9,600,000
Modena (1857) 8,180,000
Toscana (1858) 39,938,000
Napoli (1860) 109,429,000
Sicilia (1860) 30,000,000
Totale L. 599,174,000
Dal quale specchietto, se si volassero esaminare le cose, rapportando popolazione, e estensione di terra, principali, se non unici elementi di confronto, si rivelerebbe che di tutta Italia le provincie più ricche, come quelle che possono fornire una maggior quota parte alle finanze, sono le provincie piemontesi, dove la libertà vi alligna da molto tempo, mentre che le provincie più povere sono Napoli e Roma dove la tirannia ha avuto maggior campo di esercitarsi.

Dalle quali cose noi trarremo un utile insegnamento, che maggiormente confermando i principii della scienza, ci attesta che gli Stati per quanto sono più liberi ed inciviliti, per tanto sono più ricchi e più potenti.

L’ARTICOLO DELLA PATRIE

Ecco l'articolo della Patrie segnalatoci dal telegrafo:

«Quanto alla situazione generale di Napoli, essa è sempre la stessa. I telegrammi annunziano costantemente che tutto è finito, e costantemente tutto ricomincia. Tuttavia c'inganniamo: vi è un nuovo fatto che non dovrà sorprendere i nostri lettori, fatto che si doveva attendere, e che senza dubbio non mancherà di esercitare una certa influenza sugli avvenimenti: vogliamo parlare della presenza della flotta inglese nella baia di Napoli.

«Una lettera che noi pubblichiamo dà alcuni particolari sull'arrivo delle navi inglesi, il loro numero, quello degli uomini, dei cannoni e l'attitudine che hanno assunta. Si vede che in seguito ad una evoluzione, per lo meno singolare, delle navi inglesi compariscono nella baia di Napoli, appunto in un momento in cui sembra che il bisogno di un soccorso qualunque si fa sentire dai piemontesi (?!): si vede pure che il comandante della squadra non potendo risolversi a lasciare un solo giorno i suoi soldati e marinari senza esercitarsi, ha domandata l'autorizzazione di far discendere a terra i suoi uomini, che son tornati a bordo, ma che potevano certamente ricominciare il loro esercizio la dimane.

«E questa la terza volta, se non c'inganniamo, che il caso o il bisogno d'esercizio fa trovare vascelli inglesi in certi paraggi molto agitati.

«La prima volta era a Marsala. Si rammenta che un ufficiale inglese, che aveva dimenticate a terra le sue mutande fu causa che i vapori napoletani non poterono cannoneggiare il piccolo bastimento di Garibaldi.

«La seconda volta, all'assedio di Gaeta, mentre l'assedio andava per le lunghe, alcuni marinari inglesi, giunti colà per caso, si dettero la distrazione di bombardare la cittadella. Finalmente oggi questi medesimi soldati e marinari vanno nelle provincie napolitane a darsi ad un esercizio divenuto loro famigliare.

«Accanto a questi concerti mascherati. a queste intervenzioni surrettizie si osserverà un altro fatto abbastanza significante.

«L'imprestito italiano che è stato, come si è visto, sottoscritto al di là della somma domandata tanto che si son dovute ridurre le domande del 40 o 45 per 100; che è negoziato a Parigi, ove ha avuto un leggiero aumento, quest'imprestito, il più solido soccorso che possa darsi al governo di Vittorio Emanuele, non è negoziato alla borsa di Londra.

«Abbiamo chieste informazioni alle fonti più competenti ed ufficiali ma nulla indica che l'imprestito italiano sia negoziato sul mercato inglese.

«Quando l’indipendenza italiana è stata minacciata, la Francia apertamente al cospetto del mondo, ha sacrificati cinquanta mila uomini e cinquanta milioni per quella grande causa.

«L'Inghilterra ha dichiarato da principio che non intendeva sacrificare un uomo né uno scellino.

«Essa ha mantenuta la parola. Soltanto, siccome prevede che fra breve potrebbe ricavare un gran vantaggio dalle relazioni che pensa di stabilire col nuovo regno, essa si adopera in maniera da darsi il merito d'un intervento mascherato, sul quale l'Europa chiuderà gli occhi, e che non le sarà costato, come essa disse, né un uomo né uno scellino.

In tal guisa i suoi utili sarebbero netti, e si lascierebbe volontieri l'onore dell'impresa. Non è stato sempre così?»

ROMA

L'Opinione riceve le seguenti due corrispondenze da Roma, sulle quali richiamiamo l'attenzione de’ nostri lettori:

Roma, 10 agosto.

Entrati una volta nelle vie delle tirannidi un passo trascina l'altro, e si giunge fino al punto di non risparmiare quei medesimi che o partecipano, o si riguardato come i cardini del potere. Noi abbiamo in questi giorni una prova in quanto accadde al cardinale De Andrea, prefetto della Sacra Congregazione dell'Indice, di quella Congregazione cioè che ha per istituto principale castrare e proibire i libri che non piacciono troppo alla Santa Sede. E cosa ben naturale che il libro di monsignor Liverani, non solo non abbia piaciuto, ma abbia anche terribilmente disgustato la corte romana, il papa che non è come si crede il re, ma l'organo di detta corte, chiamato a sé il cardinale De Andrea, gli ordinò di far mettere all'Indice quel libro funesto. Il cardinale umilmente rispose che immaginando già come quel libro potesse cadere sotto le censure ecclesiastiche, lo aveva fatto preventivamente esaminare da reputati teologi di Roma; ma che questi avevan risposto non potersi quel libro mettere all'indice, conciossiaché nulla contenga di avverso né alla morale, né alla religione. Il papa come, al solito, rispose aspramente ed incivilmente al cardinale, contro il quale già da lungo tempo soffiavano copertamente i gesuiti, e i loro aderenti del Vaticano: bisogna poi anche sapere che l'ottimo Pio, da che ha cominciato a dimenticare il Vangelo ha pure dimenticato affatto il Galateo, che negli anni suoi giovanili, quando frequentava la società di nobili dame, conosceva a sufficienza, quindi ora assimila spesso un frasario tutto suo particolare, specialmente quando è irritato: e così dinandò al padre Giacomo, che cos'era quella commedia dei sacramenti amministrati al conte Cavour, frase che ha fatto il giro di tutte le bocche romane. Non fa dunque meraviglia se anche con minore urbanità trattò il cardinale prefetto dell'Indice, al punto di costringerlo quasi a dare la sua dimissione. Infatti se sono bene informato, il cardinale mandò la sua rinuncia il giorno 24 luglio, motivandola sulle seguenti ragioni: 1º Perché la corte romana senza le volute formalità voleva mettere all'indice il libro del Liverani. 2° Perché non mediante la prefettura dell'Indice, fu proibita l'opera del canonico Reali, stampata a Ravenna. 3° Perché il santo padre, per sua parzialità verso i RR. PP. gesuiti, ha tolto alla decisione della Congregazione dell'Indice unico tribunale competente, una causa di sua spettanza e che da oltre 30 anni si agitava innanzi ad essa congregazione: e ciò perché questa ha sempre deciso in disfavore della famosa Compagnia, pronunciando il giudizio tutti i più dotti ecclesiastici di Roma. Il giorno 2 agosto, il papa accettò la rinuncia, e pare che ad istigazione sempre dei gesuiti nominerà a successore del De Andrea il tedesco cardinale Reysach.

Giacché ho nominato disopra il padre Giacomo, non voglio lasciare di dirvi che il papa lo lasciò partire sospendendolo a divinis, e togliendogli l'amministrazione della sua parrocchia. Non vi garantisco che si dia seguito a questa misura, ma vi do per positivo che il papa così gli disse, adducendone per ragione che il detto frate era in ogni caso o un birbo o un asino.

Quattro giorni fa nel cortile del Quirinale piovevano piatti: essendo il cielo sereno, e non parendo effetto di meteora alcuna, uno dei più arditi gendarmi pontificii osò alzare lo sguardo, e vide che i piatti volavano dalle finestre della sala, ove pranza la famiglia reale di Napoli, e udI inoltre un accompagnamento di grida femminili. Erano le regine e le principesse che terminavano una piccola differenza di famiglia. Grande sventura è che la Clorinda di Gaeta abbia preso tanto gusto pei combattimenti, a tale che adoperi i piatti quando le manchino i cannoni, con grave danno dell’ex-regina madre e scandalo delle cognatine. Il giorno seguente vi fu pranzo di riconciliazione, o a dire meglio di tregua, nel quale pranzo fortunatamente non volarono i piatti. Così il cardinale Antonelli, prefetto dei palazzi apostolici, non ebbe a registrare un danno di più, ai tanti che la distruggitrice famiglia borbonica arreca alle suppellettili pontificie, e fra gli altri ad un quadro di Guido Reni sfondato a colpi di baionetta dai RR. principini che si divertono a fingere i soldati, e che presero un santo barbuto per Garibaldi.

Abbiamo un’altra affluenza di belgi, franco-belgi e legittimista d’ogni nazione. Sembra che costoro contassero sulle reazioni di Napoli e venissero in aiuto. Si sa che De Merode è il centro e il pagatore di costoro. Intanto malgrado le ingiurie allo imperatore e gli schiaffi morali di Goyon, il prelato belga sta al suo posto, e se sono bene informato vi sta appunto perché il papa vuole così. E questo sia in risposta ai giornali ufficiosi di Francia, i quali cercano di separare la solidarietà fra il papa e De Merode.

Poveri ingenui! valeva ben la pena di occupare per dodici anni Roma, senza poi cavarne il frutto di conoscere Roma e la corte romana.

Roma, 16 agosto.

I giornali francesi e italiani hanno tanto parlato (troppo anche) dell'incidente famoso fra Goyon e De Merode; ma nessuno ha potuto rilevare i particolari che io sono in grado di darvi sul modo come si sapesse a Parigi subito, e co me il generale fosse vittima di una destrezza del cardinale Antonelli. Dovete dunque sapere che il duca di Cadore vidde Goyon per combinazione pochi momenti dopo la baruffa col prelato belga, e da lui, inquieto come trovavasi, ne ebbe il racconto per filo e per fondo coll'aggiunta che ave va intenzione esso generale domandarne soddisfazione al cardinale Antonelli. Cadore, tornato all'ambasciata senza perdere un minuto di tempo, spedi per telegrafo un lungo dispaccio in cifre a Parigi narrando l'accaduto. Goyon in vece andò la sera da Antonelli, il quale si mostrò in apparenza turbatissimo, e lo assicurò che avrebbe egli rimediato a tutto, che però esigerà da lui la parola d'onore di lasciar passare 24 ore prima d'informarne Parigi. E Goyon promise. L'accorto cardinale peraltro già sapeva che Cado re avesse inviato un lungo dispaccio, e, sebbene in cifre, potea ben supporre che fosse il rapporto del fatto. Il generale, preso a questo laccio, andò tutto lieto all'ambasciata, e partecipò a Cadore il suo colloquio col cardinale e la sicurezza di ottenere una luminosa soddisfazione, per la data parola di soprassedere 24 ore a scriverne a Parigi. Ma Cadore gli significò tenesse, com'era giusto, la sua parola, ma quanto al tacersi la cosa a Parigi era ormai impossibile, dacché esso ne aveva dato parte per telegrafo. Goyon cadde dalle nuvole: tornò dal cardinale immediatamente; ma que sti all'udire che Cadore aveva già telegrafato, prese senza indugio la conveniente posizione. Fu dolentissimo: se Cadore non avesse tentato lo scandalo, disse tutto compunto, l'affare sarebbe stato sopito in famiglia, e con reciproca soddisfazione subito. Ma adesso col rumore che ne farà la stampa libertina, rappresentandolo in proporzioni tanto maggiori del vero, come fare? Si disse animato del migliore spirito, delle intenzioni le più benevole, ma avergli per buone ragioni domandato una sospensione di 24 ore, ed il generale stesso gliel'aveva consentita, ecc. ecc. Chiamar, lui stesso giudice, se collo scandalo che andava a sollevarsi, il santo padre, la Santa Sede avrebbero potuto agire dignitosamente, convenevolmente, liberamente? Nondimeno prenderebbe gli ordini da sua santità.

- Il buon generale sta attendendo la soddisfazione, e vi giura che se Cadore non avesse commessa l'imprudenza accennata dal cardinale Antonelli, questi, uomo d'onore, perché glielo avea promesso, quella non si sarebbe fatta attendere che pochi istanti. Confessate che bisogna essere molto ingenui!.

Il governo pontificio fa un bel lavoro. Cambia le cartelle del famoso prestito dei 45 milioni contratto al tempo di Lamoricière contro titoli del vecchio consolidato e colle date tutte anteriori al 1855. Lo scopo di tale operazione è di mettere al sicuro, secondo le proprie vedute, quel debito, caso mai un giorno il regno d'Italia, come giustizia vorrebbe, non lo riconoscesse.

NOTIZIE ITALIANE

– Il corrispondente della Gazzetta di Milano così scrive da Torino:

È inutile che vi esponga con quanta soddisfazione sia stata accolta la notizia che Cialdini rimane al suo posto, fermo di compiere e condurre a buon fine l'opera intrapresa, e come in questo difficile lavoro lo accompagnano i voti di tutti gli onesti; Ricasoli è di lui pienamente soddisfatto, questo io posso accertarvi con tutta sicurezza.

– La Gazzetta ufficiale del regno pubblica due decreti con cui vengono istituite due connessioni composte di funzionari distinti, di membri del Parlamento e di cittadini preclari, per esaminare il progetto di legge per l'imposta sulla ricchezza nobiliare, e studiare il problema della perequazione dell'imposta fondiaria fra le varie parti dello Stato col minor possibile aggravio dei contribuenti.

- Da un carteggio torinese al Corriere Mercantile togliamo i seguenti brani: Sono in trattativa due convenzioni postali: l'una colla Svizzera e l'altra colla Grecia: si sarebbe in ambedue adottata la reciprocità dei vaglia postali; questa innovazione sarà al certo di grande utilità pel nostro commercio. Mamiani ha avuto grande parte nella conclusione di questo trattato, sebbene avesse al suo arrivo in Atene trovata già iniziata la pratica.

- Si sta elaborando un progetto di legge da essere presentato alla nuova sessione del Parlamento, relativamente ad una riforma sulla tassa delle lettere. La tassa attuale verrebbe portata a centesimi 10 per le lettere affrancate e la sciata di centesimi 20 per le altre. In tal modo il sistema dei francobolli verrebbe ad acquistare un grande sviluppo e si crede che fin dal primo anno l'introito salirebbe all'altezza degli anni precedenti.

– La Gazzetta di Francia annuncia la morte della principessa di Montléart. Ella era ava del Re Vittorio Emanuele.

Vedova di Carlo Emanuele Ferdinando duca di Savoia Carignano. Maria Cristina sposò nel 1800 il principe di Mont léart ed abitava a Parigi da parecchi anni.

– Il capitano Mosti arrivato a Torino da Napoli ha recato la conferma che il generale Cialdini conserva col comando militare anche la luogotenenza.

Finora non si conosce ancora chi succederà al conte Cantelli. Si è parlato del conte Pasolini, governatore di Milano; ma non crediamo che questa notizia sia fondata. (Opinione)

– Il marchese Caracciolo di Bella, inviato in missione straordinaria a Lisbona, è stato ricevuto il giorno 17 in udienza ufficiale da S. M. il Re Pedro, e dopo è intervenuto al pranzo di gala a corte. (Opinione).

– Il conte Brassier de St-Simon, ministro plenipoten ziario di Prussia a Torino, ha dato oggi, 20, un pranzo in onore del conte De Launay, ministro plenipotenziario d'Italia a Berlino, ora in congedo temporario. V'intervennero i ministri ed il corpo diplomatico.

– Scrivono da Torino:

La missione, ovvero lo scopo della presenza della flotta inglese nel golfo di Napoli è tuttavia per noi mortali allo stato di mistero: v'ha chi trae lieti agurii da quel fatto, e ne induce perfino la subita soluzione della eterna questione di Roma: v'ha chi più facile ad essere soddisfatto, attribuisce tutto ciò ai movimenti di una evoluzione, e vi hanno i paesi i quali s'avvisano che quella flotta sia per impedire le truppe francesi, le quali, non riuscendo Cialdini nella sua missione, entrerebbero nelle provincie napoletane..... Ai giorni venturi l'ardua sentenza.

– A quanto ci viene assicurato, una nuova pianta numerica del ministero della guerra deve essere stata sottoposta alla firma di S. M.

Secondo la medesima, sarebbe istituita una direzione generale del reclutamento, con tre divisioni pegli affari delle leve, ed una per la matricola. La divisione fanteria verrebbe suddivisa in due, cioè una pel servizio attivo, ed altra per quello sedentario. – Egualmente sarebbe suddivisa in due la Direzione generala delle armi speciali, e qualche al tra innovazione radicale dovrebbe essere portata nell'organismo d'altri ufficii e divisioni, (Gazz. Mit.)

– Il diplomatico incaricato dal Portogallo di recare a Torino l'atto di riconoscimento del regno d'Italia sarà il ministro attualmente accreditato presso S. M. il re dei Belgi. Quanto all'Olanda, corre voce che, per domanda di questa potenza, lo stabilimento dei rapporti diplomatici sulla nuova base si farà senza sfarzo di speciali ambascia tori e, per così dire, in famiglia.

– Noi crediamo sapere che una delle prime operazioni di Benedetti sarà di porre le basi del nuovo trattato di commercio e di navigazione tra la Francia e l'Italia.

Quel trattato, si afferma, sarà stabilito su condizioni quasi identiche a quelle del trattato conchiuso tra la Francia e l'Inghilterra.

– Il conte Pietro Bastogi, di ritorno dalla sua gita a Livorno, ha ripresa la direzione del ministero delle finanze.

Il comm. Menabrea, ministro della marina, parte per Parigi. (Nationalites)

–A Biella un capitano dei volontari sig. Zanotti da Bologna venne trovato giorni sono ucciso in una strada remota da due colpi di pistola: sulle prime credevasi che fosse in seguito ad uno scontro seguito tra il medesimo e certo Quirici toscano, tenente nello stesso corpo, che trovava si pure ferito in una mano, ma dopo severe indagini rilevossi che venne il capitano assassinato dallo stesso Quirici i per gelosia di donna. Una prima relazione aveva lasciato supporre pur anco che la morte del Vanotti fosse stata operata per animosità contro i volontari da gente del paese.

Risulta oggi che la ferita del Quirici fu prodotta dallo scoppio di una delle due canne del revolver, mentre questi proditoriamente, a quanto pare, faceva fuoco sul misero compagno. Il Quirici fu arrestato in un colla donna, causa di quell'omicidio.

– Il Palazzo dell'Esposizione di Firenze è stato la mattina del 20 visitato dal Commendatore Ubaldino Peruzzi, ministro dei lavori pubblici, il quale, esperto com'è nel l'arte delle costruzioni, si mostrava maravigliato della grandiosità dei lavori condotti a sì buon punto in soli 50 giorni, e pienamente appagato del modo ingegnoso col quale l'antica stazione della Strada Ferrata è stata trasformata in tempio delle Arti e Industrie Nazionali.

– Scrivono la Roma alla Nazione:

Francesco II, per la grazia del Vicario di Dio, re dei briganti, ha finalmente trovato chi lo conforti nelle sventure, e faccia rialzare i fondi delle sue abbattute speranze. Il confortatore questa volta si chiama Massimo d'Azeglio, nome onorato e venerato da tutta Italia, e caro a quanti uomini onesti hanno amato la patria nostra. Tuttavia chi non va soggetto ad aberrazioni e debolezze? il buon Massimo senza volerlo, e forse senza nemmeno immaginarlo, ha rialzato lo spi rito dei Borboni e dei Clericali: la sua lettera al Matteucci li ha ravvivati nelle speranze. e tanto che sognano già fra due o tre mesi al più essere in Napoli, ed aver distrutta l'unità italiana; dimenticando che in Napoli non v'è il buon Massimo d'Azeglio, ma il generale Enrico Cialdini ben noto all'ex-eroe ed all'ex eroina di Gaeta; il qual generale ha dietro a sé tutto il popolo, e tutte le guardie nazionali dell'ex regno, senza contare quei buoni soldati che hanno già conosciuti i borbonici e i clericali a Castelfidardo, ad Ancona, a Capua, al Garigliano e a Gaeta. Intanto gli Ex si gonfiano d'insolenza, prova ne sia quanto ieri avvenne al generale Girolamo Ulloa, già glorioso difensore di Venezia, e poi per cagioni di delusa ambizione, passato per tutti i partiti sino a terminare borbonico. Costui dunque, allontanato per consiglio del governo da Napoli, è venuto in Roma, e si è messo col fratello, che sta al servizio dell'ex re; e ieri al palazzo Farnese, mentre l'Ex montava in carrozza, supplicò l'onore di potergli baciar la mano: il fratello trasmise i Francesco II la sua preghiera, ma Francesco, da vero borbone, che avrebbe tre giorni prima a mani giunte implorato di entrare fra i suoi Girolamo Ulloa rinfrancato e ringalluzzito per la lettera del Massimo con tutta l’insolenza borboniana, senza nemmeno degnare d'uno sguardo il supplicante la flotta inglese nel golfo di Napoli è tuttavia per noi supplicante, disse al cocchiere «via» e partì di galoppo, lasciando a piedi confuso ed umiliato chi ebbe per tanti mesi confusi e umiliati i battaglioni austriaci, ed era prima di questo stato considerato come una gloria italiana.

– Scrivono all'Espero da Palermo:

Sono le due del mattino il gran caldo, le zanzare e lo scoppiettare delle fruste mi svegliano: risolvo di scrivere.

– Oggi è giorno dell'Assunta, e qui e invalso il barbarissimo uso di romper le teste della gente a forza di batter le fruste e le scuriade dalla vigilia della festa sino a tutto l'ottavario. Così i Borboni educavano questo popolo! Aggiungete poi che quest'anno è inferocita l'iconomania, perché dovunque, in tutti i canti della città, il partito clericale, per ravvivare la fede a modo suo, favorisce le festività le quali cominciano col chiasso di grossi tamburi che ti assordano lungo il giorno, e terminano con un terribile artifizio di fuoco a migliaia di bombe. In cosiffatto modo qui si onorano le immagini, che con voce greca chiamano cone.

Direste che i popoli che furono soggetti a lunga servitù amano i rumori come i bambini; purtuttavia anche il po polo palermitano è buono e molto intelligente, solo dovrebbe essere meglio guidato. Ed in politica il popolo la pensa meglio di certi proteiformi suoi tutori, teneri di ciò che essi chiamano diritto della Sicilia, cioè dell'autonomia, che in vece è avversata dalle aspirazioni universali.

Checché ne dica il famoso Raffaele nella sua Unità politica, per la Sicilia autonomica non dovete intendere nemmeno Palermo, bensì una casta di gente in Palermo interessata nella conservazione degli antichi abusi, la quale il governo centrale, o, per meglio dire, il signor Minghetti ha avuta la debolezza di accarezzare e di onorare, credendola potente,

E questo non è stato l'ultimo degli sbagli del signor Minghetti.

La Sicilia infatti, massime nella parte d'origine greca, la pensa assai diversamente, e vuol essere italiana, e non riconosce quindi altro diritto se non quello di appartenere alla famiglia italiana. Le dimostrazioni che la guardia nazionale di Palermo ed il luogotenente generale del re hanno ricevute e ricevono in Messina e Catania ne sono evidentissima prova.

Solo queste provincie sono scontentissime pei favori accordati a coloro che non hanno alcuna influenza sulla massa della popolazione, e che non hanno altro merito che quel lo d'aver combattuto la prevalenza delle idee unitarie.

CRONACA INTERNA

– Le notizie che ci pervengono da ogni parte concordano nel dimostrare che il brigantaggio vada sempre decrescendo. Il governo riprende ovunque il suo vigore. Nelle Puglie, nelle Calabrie e nei Principati avvengono arresti e numerose presentazioni di sbandati: negli Abruzzi il provvedimento dei piantoni presso le famiglie degli sbandati incomincia a produrre ottimi risultati. Nelle menzionate province l'ordine pubblico non è menomamente turbato. Nella vicina Terra di Lavoro i recenti successi di quelle Guardie Mobili, e frequenti arresti di briganti, e le belle no tizie che si ricevono dal confine pontificio hanno tal mente rianimato lo spirito pubblico di quelle popolazioni, che tutti si armano al grido di Viva Vittorio Emanuele, tutti spiano i movimenti delle persone sospette, le quali sono tosto denunziate alle autorità civili e militari. Dal confine pontificio si ha che i Francesi stanziati a Ceprano il giorno 21 arrestarono cinque briganti, che dal nostro confine, voleano passare nel romano, e 60 ne arrestarono presso Frosinone che dal romano voleano entrare, nel nostro.

Merita di essere riportato un telegramma del Governatore d'Avellino pubblicato nel Giornale ufficia te di ieri: esso dice: «La notte del 16 una banda di briganti attaccò Teora; ai primi colpi delle sentinelle della G. N. tutto il paese fu in armi. Donne, fanciulli, vecchi, preti, tutti accorsero alla difesa; ed al suono delle campane i contadini, lasciati gli abituri campestri, con falci e scuri attaccarono i briganti alle spalle. Questo contegno veramente ammirevole fugò quell'orda di malvagi, per qualche tratto anche inseguiti da più animosi.»

Anche i Procuratori Generali pare che incominciano a risvegliarsi dai placidi sonni che han dormito durante il pericolo della patria: il negoziante Buonocore arrestato giorni sono dalla Polizia come reazionario, quando stava sul punto di esser messo in libertà perché mancavano le prove del reato, si è visto invece tradotto al carcere di S. Francesco a disposizione del Procuratore Generale della G. C. Criminale di Napoli, il quale già istruisce un regolare processo.

Per quel che riguarda le operazioni militari contro i briganti, pare che sia riuscito di intercettare le comunicazioni tra le varie bande che infestato le provincie di Avellino e di Caserta, dalle quali per ogni giorno disertano individui e si presentano ai autorità. Non si può dire lo stesso delle orde raccolte sul Matese la tuttora si mostrano minacciose ad alcuni paesi delle province di Molise e di Benevento; vero è che in alcune borgate trovano amiche popolazioni o pronte al saccheggio ed alla rapina. Il fatto però di Pontelandolfi di Casalduni e di Guardiareggia farà metter senno a qualche altro paese reazionario.

I briganti cogli abitanti di Guardiareggia profittando della favorevole posizione che occupavano credettero di far resistenza alla truppa che dal basso del monte gli assaliva, ma presi alle spalle dalle Guardie Nazionali di Sepino e di Vinchiaturo e messi fra due fuochi non tardarono ad inginocchiarsi implorando misericordia. Non sappiamo quel che i vincitori avessero fatto, ma in Campobasso correva la voce che Guardiareggia fosse stata distrutta, e la stessa cosa dicevasi pure di Cusano e Pietraroja, altri paesi reazionarii. Anche Morcone è minacciato, ma gli abitanti son preparati alla resistenza: le principali vie sono barricate, ed è notevole che la guardia del paese è specialmente affidata a 70 ex-soldati borbonici.

- Nella provincia di Campobasso, per cura dei l'ex maggiore delle Guardie Mobili Errico Beneventano si è aperta una colletta in benefizio di coloro che si segnaleranno nella persecuzione del briganti.




Anno I – N° 23 Napoli — Domenica 25 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

L'articolo della Patrie. che i nostri lettori già conoscono nella ma integrità, intorno alla presenta della flotta inglese nelle acque di Napoli, articolo per se stesso di massima importanza, né acquista se è possibile una ancor maggiore quando si metta in relazione con altri fatti, come a dire gli armamenti marittimi che si spingono a tutto potere in Inghilterra, le cerimonie che colà si fanno all’arciduca Massimiliano, e che l’Austria prende per moneta sonante, l’annunzio di un prossimo trattato di commercio fra l'Italia e la Francia, le storielle che si sono raccontate sulle relazioni del Barone Ricasoli colf Inghilterra. Tutto ciò concorre a dimostrare che l’Inghilterra tende a riacquistare in Italia quell'ascendente che ha in gran parte perduto per non averla favorita se non col non far niente; e ci pare nell’articolo della Patrie leggere il grido di sdegno di chi vede che un altro tenti torgli il frutto di lunga fatica nel momento che sta per coglierlo. Forse il desiderio e inganna, ma noi crediamo che anche questo incidente concorrerà ad affrettare per parte della Francia la soluzione della quistione romana, perché altri non gliene tolga il vanto e né raccolga il premio.

Della quistione romana si può raccogliere qualche cosa dalle seguenti notizie. Nardi non fu ricevuto dall'Imperatore. Benedetti ha ritardato di qualche giorno la sua partenza per Torino. Il Patriota annunzia che il papa in settembre se né andrà a Liege.

Molte cose si son dette intorno alle vere cagioni dello scioglimento dei contratto Thalabot, e noi pure abbiamo detto la nostra opinione, confermata da quella di parecchi giornali, cioè che vi avesse gran parte la scelta del personale. Ora il Corriere Mercantile ne dà una più semplice spiegazione, vale a dire che la società Thalabot non abbia trovato capitali. A questo proposito è notevole quello che un giornale portoghese il Jornal io Commercio dice, intorno al sig. Salamanca, uno dei componenti di quella società. «Salamanca è oggi uno dei primi impresarii di ferrovie del mondo. In Europa ed in America tiene per conto suo più di 3000 chilometri in costruzione; e senza dubbio, quali fatti, quali documenti,, quali pruove si possono addurre per sospettare che sia istrumeuto 0 manipolatore di idee o pensieri politici suoi o altrui? Lungi da ciò, colui che tiene a suo carico sì vasti interessi da amministrare, mal può occuparsi in combinazioni politiche, sempre complicate e di risultati assai rischiosi e quasi impossibili ad effettuare. La sua neutralità al contrario, in mezzo alle più eterogenee condizioni politiche in Europa, è conosciuta in tutto il mondo. Amico partcolare del cardinale Antonelli, contratta in Roma le ferrovie degli Stati Pontificii. Intimamente legato con Cavour, ottiene la concessione di estese linee nel Piemonte e nel Regno d'Italia. Con Francesco II era impresario delle linee di Napoli; detronizzato questo sovrano, Vittorio Emmanuele ratifica il contratto. In Ispagna, sebbene sia nemico personale del generale O’Donnell, è tra i principali azionisti delle linee da Madrid ad Alicante, costruisce le linee da Saragozza a Pamplona e da Granata a Campillo». Negli Stati Uniti contratta 600 chilometri dI ferrovia, e colà gli concedono i privilegi e i dritti di «cittadino americano.» Con queste parole, come ognun vede, il foglio commerciale lusitano ha inteso fare un elogio dI Salamanca e di quelli che a lui somigliano. A noi pare che l’effetto sia riuscito contrario all'intenzione.

Una lettera di Giorgio Bowyer a lord Palmerston inserita nel Timer, e una corrispondenza da Roma pubblicata nell’Universel vengono opportuni a provare con quanta ragione noi ci dolevamo che Massimo d’Azeglio si fosse lasciato uscir dalla penna quella malaugurata lettera. Quei due campioni borbonici dicono presso a poco le medesime cose che dice il d’Azeglio, il quale non si troverà certo contento d vedersi in così trista compagnia, sebbene abbia preso le mosse da un punto molto diverso. Intanto il Timer non ha mancato di rispondere vittoriosamente alla lettera che inserisco, come l’Opinione all'articolo dell'Universel.

Parlammo precedentemente del prestito che si dice voler fare l'Austria e della smentita data dalla Gazzetta del Danubio al Costitutionnel. Ora l’Independance Belge viene in nostro soccorso, facendoci conoscere che Brentano tratta un prestito coi capitalisti inglesi di sei milioni di lire sterline per conto del governo austriaco.

I DECRETI DI GRAZIA E GIUSTIZIA

Il giornale ufficiale di Napoli di jeri l'altro pubblica un decreto del di 8 agosto, in cui sulla proposizione del Ministro guardasigilli per gli Affari Ecclesiastici e di Grazia e Giustizia, sono stati posti al ritiro 18 Magistrati di Napoli, fra cui due Capi di Ripartimento. Queste riforme giudiziarie erano aspettate, e molte altre né verran fatte.

Quando al Parlamento Nazionale s’incominciò a discutere della Magistratura napoletana, vi furono parecchi deputati i quali gridarono allo scandalo orribile, e dissero cosa intollerabile di veder ancora sedere al potere quegli uomini che aveano giudicato sotto i Borboni nelle più gravi cause politiche, e il più delle volte senza prova alcuna, avevano condannato i migliori cittadini. Non mancarono invero altri deputati che difesero la Magistratura napoletana, ma i più convennero che si dovesse porre mano ad una seria riforma.

Invero, dicono parecchi, questi magistrati sono imperdonabili. Essi obliarono che Ferdinando di Borbone non avea avuto il coraggio di annullare la costituzione data, ed intanto punivano colpe le quali avrebbero dovuto esser giudicate dal Senato. In questa guisa si resero complici delle iniquità e nefandezze borboniche, e non alla giustizia, ma servirono i disegni rei e la vendetta personale di un esoso principe. L’accusa invero non è lieve e certo una riforma ben fatta tornerebbe di grande utilità all’universale.

Il sig. Pironti si è messo a questa opera, e siam certi che proseguirà, ché di energia non manca.

Però non vogliam mancare di fare alcune osservazioni, le quali a noi sembrano gravissime. È vero che le amministrazioni in generale non sono oggi in guisa ordinate da rispondere all'esigenza de’ tempi ed a’ bisogni del pubblico; ma di cattivi impiegati vi ha copia non solo fra gli antichi, ma anche fra’ nuovi. Conviene adunque una volta per sempre togliere quanto vi ha di guasto ed inetto, e sostituire uomini intelligenti e onesti, ma quando questa riforma si è compiuta non bisogna tornarci più sopra.

Nessuna cosa è più molesta e nociva all’andamento degli affari quanto il tenere l’animo de’ publici funzionarj sempre sospeso pel pericolo della destituzione e del ritiro. Nessuno allora sendo sicuro del fatto suo, pone gran cura nell’adempiere il proprio dovere. Nessuna cosa è tanto poco utile quanto il venir creando ogni giorno nuovi impiegati i quali non a vendo pratica degli affari, fanno che le pubbliche amministrazioni vadano a rilento, ed il più delle volte perché poco educati alla vita della disciplina, indugiano lungo tempo pria di andare alla loro destinazione, e adoperano i mezzi per restare nelle province natie. I guasti che producano questi fatti ognuno li sa, onde conviene porvi un rimedio..

Noi vorremmo invero che il governo fosse molto scrupoloso, nella destituzione de’ vecchi impiegati, ed anche più nella creazione de’ nuovi. Noi vorremmo che gli uomini del potere non obliassero che magistrati non s’improvvisano, non vorremmo che per andare appresso ad una idea sistematica, si avesse ricorso ad un rimedio peggiore del male.

Conviene che il governo faccia una volta per sempre un severo e giusto scrutinio delle persone de’ pubblici funzionari; che mandi via gl’inetti ed immorali, che premii i buoni, che scelga con gran diligenza i nuovi — È necessario che il governo tenga presente coloro che per lunghi anni sono stati in ufficio, e con onore ed operosità hanno adempito il proprio dovere.

Una volta compiuta questa riforma, non bisogna pensarci più. É necessario allora dire: chiunque da oggi in poi non avrà adempiuto al proprio dovere sarà punito; ma non ritorneremo più sul passato, non faremo nuovi scrutini e nuovi tagli. I nuovi impiegati saran creati co’ concorsi.

In questa sola guisa si potrà porre fine all’anarchia che regna ancora nelle diverse amministrazioni dello Stato.

I DUE PARTITI (Dalla Venezia)

Quella grande sciagura italiana che fu la morte del conte di Cavour ispirò una certa fiducia ai partiti, che rialzato il capo e facendo sembianza di es sere forti per quanto sentano la propria debolezza, tentere bero mutare l'indirizzo politico della nazione, voluto e difeso dalla grande maggioranza del popolo. Alcuni che conoscevano l'acuto ingegno e il profondo accorgimento dell'illustre Ministro, videro nella morte di Lui la morte di un avversario pronto a difendersi da qualunque parte gli si volgessero accuse; altri, più deboli di vista, ignari dei veri sentimenti ond'è animato il popolo italiano, credevano che nel Conte Cavour fosse, per così dire, incarnata l'Italia, onde la prematura sua morte avrebbe naturalmente portato il disfacimento di quel regno di ventidue milioni, che Egli avea presentato all'Europa come un fatto compiuto, da non si potere altri menti disconoscere che mediante una grande e oggi quasi impossibile crisi europea. Di qui, adunque, la cresciuta agitazione dei seguaci del profeta; di quì l'affannarsi continuo di gente che per ogni guisa e con ogni più vile pretesto fa opposizione sistematica al governo, e anche alla stessa nazione, vituperando il Parlamento, la sola legittima rappresentanza del popolo. Di qui le rinate speranze dei retro gradi, stretti in comitati, soccorsi da una grande parte del clero, governati dagli ordini antonelliani e di Francesco Borbone. Di qui, finalmente, lo scalpore e le febrili declamazioni dei periodici degli uni e degli altri; quali dipingendo inetto il governo pre sente a condurre a fine la grande opera dell'Unità d'Italia con una politica vincolata dalla diplomazia; quali dimostrando, a forza di cavilli e di astruserie, impossibile il regno d'Italia, prossimo il ritorno del l'antico stato di cose, necessario per il bene e per il trionfo della religione, avversata e combattuta dai pre tesi liberali italiani. A chi legge la Democrazia e il Popolo d'Italia di Napoli, e la Nuova Europa e il Contemporaneo di Firenze, il Diritto e l'Armonia di Torino parrà certo impossibile che le cose possano andare più oltre, che un governo sì cieco, sì debole, sì venduto allo straniero possa avere la pretensione di camminare di conserva col popolo per raggiungere il completo riscatto d'Italia. Eppure l'Italia ormai va, le difficoltà, inseparabili da ogni ardua impresa vanno poco alla volta vincendosi; eppure il popolo non si commuove a tanto strepito di rimproveri e di accuse, a tanto diluvio di eccitamenti a deviare da quel cammino che lo condusse nel volgere di breve tempo dalla schiavitù alla libertà, dall'appartenere a un piccolo stato al far parte di una gran de nazione.

E per l'esperienza delle passate sciagure che l'Italia del 1861 non vuol far capo a nissun patto agli errori dell'Italia del 1849. L'Italia oggi non crede alle parole del profeta, che i suoi adepti dipingono come il martire della causa italiana: noi si scuote ai suoi eccitamenti, alle sue proteste, alle sue petizioni, perché ne conosce lo scopo, perché ormai sa prevederne le conseguenze terribili. Nè alle patetiche perorazioni del partito clericale l'Italia porge ascolto maggiore: ogni studio posto a turbare le co scienze, a confondere la religione con la politica, la Chiesa con lo Stato, è venuto meno dinanzi al saggio contegno del popolo, che vuol rendere a Dio ciò che è di Dio, a Cesare ciò che è di Cesare. L'Italia, risorta a libertà, aborre dall'un partito e dall'altro: essa ha un Re che mise in cimento la corona e la vita per compiere il voto fatto sulla tomba del Magnanimo Carlo Alberto; ha un Parlamento, che provvede ai bisogni, alla prosperità della patria; ha un esercito forte e agguerrito e sempre vittorioso, che è pronto a difendere la libertà e ributtare lo straniero ovunque si presenti. Con le declamazioni irate del profeta, coi piagnistei bugiardi dei clericali, con le discordie invano seminate dall'uno e dagli altri, l'Italia potrebbe precipitare a rovina, tornar sotto le efferate tirannidi dell’Austria; noi potrebbe già compiere l'opera del nazionale riscatto.

Non faccia maraviglia, del resto, se dei due partiti capitanati da Mazzini e da Antonelli preferimmo parlare insieme ponendo l'uno accanto all'altro. Conosciamo le divergenze che esistono tra essi; ma lo scopo loro è il medesimo, studiando ambedue di sostituirsi al governo presente per imporre alla nazione la volontà dei meno. E forse, sarà alla loro insaputa, i due partiti s'aiutano scambievolmente, anche per quell'incontrastabil principio che gli estremi si toccano. Fatto è che essi servono egregiamente la causa dell'Austria, lieta, di seminare zizzania in Italia, e vaga sempre di rinnovare i fatti di Novara.

Ma l'Austria, Mazzini, l'Antonelli e tutti i loro adepti si ingannano: l'Italia costituitasi nazione per mezzo della volontà popolare sprezzerà sempre le mene di qualunque partito, perché i partiti politici quando la nazione è fatta, non sogliono avere altro scopo che quello di preferire il bene individuale al bene e alla prosperità della Nazione. Che i seguaci del profeta si agitino, che gli scrittori della Nuova Europa si affannino a chiedere e a strappare firme su petizioni inutili; che i clericali raddoppiino le loro propagande, accrescano i loro conati; tutto è vano oramai; un grido solo esce dalla bocca di ognuno: ITALIA UNA E VITTORIO EMANUELE RE.

UNA VIA SENZA USCITA

Nel Courrier du Dimanche troviamo un articolo che si asserisce scritto da un uomo di stato francese e del quale si vuol mostrare che la spedizione a Roma intrapresa dalla repubblica di Francia nel 1849, essendo stato il frutto di un equivoco, doveva infatti condurre ad una strada senza uscita, qual è quella in cui il governo francese trovasi ora impegnato.

Questo articolo, notevole certamente per alcune acute osservazioni, conchiude nel seguente modo: Certamente è una triste politica quella che vuole contentare tutti quanti; ma è però una pessima situazione quella di non accontentar nessuno.

E però bisogna confessarlo, ora vi ha ovunque accordo nel malcontento come vi ha accordo per dimandare la fine dell'occupazione. I cattolici ed i liberali, la Francia e l'Italia, il papa e Vittorio Emanuele, Francesco II e Garibaldi sarebbero unanimi a salutare la partenza delle nostre truppe; mentre quelli che si credono gli abili, che pretendono guarentire tutti gl'interessi e non fanno che tutti comprometterli, fanno spreco di arguzie per immaginare una soluzione e schermire colla logica delle cose.

Tre sistemi sono a fronte:

Alcuni animi onesti ma ingenui persistono a cercare la salute del papato in una rigenerazione politica. Ma il papa si pronunciò colla voce del cardinale Antonelli: – Esso non transigerà, non farà nulla, assolutamente nulla. – Ogni riforma pertanto, almeno per il momento, è dunque impossibile

Altri, senza tener conto delle difficoltà che si moltiplicano, vorrebbero il mantenimento dell'occupazione nella lusinga di qualche correttivo nell'atteggiarsi dei cardinali e nelle disposizioni del popolo romano. Ma ecco ormai 12 anni che si attende: la Francia è ormai esausta di pazienza, la cattolicità di rassegnazione ed i cardinali stessi sembra che vogliano spingersi all'estremità. il mantenimento delle truppe è dunque impossibile.

Finalmente i più arditi dimandano il ritiro delle truppe.

Fra essi sono, da una parte, i cattolici spavaldi che sperano risorgere in una commozione generale; d'altra parte gli amici dell'indipendenza italiana, che vogliono finirla con degl'inutili temperamenti. I primi ritornano alla tattica dei retrogradi d'ogni regione, i quali, troppo deboli per vince re, collocano un'ultima speranza negli eccessi dei vincitori.

Il loro organo più famoso, il Monde, ha un bel minacciarci della collera di 200 milioni di cattolici, i quali restano, dice esso, coll'arma al braccio; noi non crediamo che siano per decidersi di portarla alla spalla. Può darsi altresì che essi contino un po' sull'Austria per riempire il vuoto occasionato dalla nostra partenza da Roma. Sarebbe comodo senza dubbio per l'Austria di coricarsi nel letto ancor caldo del soldato francese, avventura di cui non ha l'abitudine; ma noi non abbiamo a temere la realizzazione di questo fenomeno. L'Austria è ancora passabilmente occupata in casa sua; e siccome il suo ingresso in Roma sarebbe per la Francia un segnale di guerra, non vi ha timore che il gabi netto di Vienna voglia ricominciare il giuoco di Solferino.

Che adunque lo sappia bene: se noi abbandoniamo Roma, la sola bandiera italiana potrà rimpiazzare quella francese.

Ma in allora verranno le resistenze aperte del papa, l'inquietudine nella chiesa, lo smembramento della cristianità.

Ora se i cattolici in armi, convocati dal Monde, non sono ancora in caso di entrare in campagna, la politica deve all'incontro tener gran conto dei cattolici profondamente feriti nella loro fede, dolorosamente allarmati nella loro coscienza. Non si gettano al vento gli avanzi d'una grande istituzione, antica da 10 secoli, senza che ne risultino numerosi e terribili gemiti; e se noi non siamo commossi dalle minaccie, non possiamo sfuggire a qualche gran fremito di compassione o di indignazione. Il ritiro delle nostre truppe diventa dunque altrettanto impossibile che il mantenerle colà.

NOTIZIE ITALIANE

– Se siamo bene informati il ministro dell'interno avrebbe già compiuto le leggi transitorie amministrative alle quali fu autorizzato dal Parlamento e le avrebbe trasmesse al Consiglio di stato per avere il suo parere intorno alle medesime. (Opinione)

Il marchese di Torrearsa è arrivato sera del 21 a Torino di ritorno dalla sua missione presso le corti di Svezia e Norvegia e di Danimarca, molto soddisfatto delle testimonianze che s'ebbe di simpatia all'Italia.

Con lui è pur giunto il marchese Migliorati incaricato d'affari presso le corti suddette, il quale ottenne un congedo temporaneo.

– Leggesi nella Perseveranza:

A Roma, il partito nazionale va facendo tutti i giorni nuovi proseliti nel Clero, e si vuole che al Vaticano si consideri con paura e si riguardi come contagiosa l'apostasia Politica di alcuni porporati. Il Santo Padre avrebbe pensato di ristorare l'equilibrio con una grossa infornata di cappelli cardinalizi da dispensarsi nel prossimo concistoro, i cui titolari sono preconizzati fra i preti e frati più devoti al soglio pontificio. Sarebbero tra questi, alcuni generali di ordini claustrali. Pio IX non vuol lasciarsi venir l’acqua addosso e disponendo pel futuro conclave una maggioranza retriva, Si prepara una vittoria d'oltre tomba.

Si pretende che anche il cardinale de Angelis, il feroce arcivescovo di Fermo, l'ordinatore del brigantaggio nell'Ascolano abbia scritto a Roma, dal suo soave esiglio di Torino, una lettera piena dei sentimenti più concilianti per questa povera Italia. La fonte mi è sospetta, non della notizia, che vi guarentisco vera, ma della lettera, e direi quasi senza guardare più in là che gatta ci cova.

Scrivono da Torino al Corr. Merc. di Genova:

Pare che l imperatore dei Francesi sia disposto a terminare la quistione romana; ma i torbidi del Napolitano gli legano un po' le mani. Se vere sono le informazioni statemi date a tale riguardo, pare, che le trattative fra il nostro e il governo di Francia si continuino alacremente, è che, finiti gli affari di Napoli, si darebbe mano alla soluzione.

Kossuth da alcuni giorni trovasi in questa città; da assicurazioni avute da personaggi altolocati in Francia nutre speranza che se l'Ungheria potrà mantenersi tranquilla fino alla prossima primavera, a quell'epoca sorgeranno tali complicazioni da dare vinta la causa della sua patria contro l'Austria. Ora si procura d'impedire che si facciano delle imprudenze. Dall'andamento delle cose vedrete, che la Die ta ed il paese seguiranno a puntino questo consiglio, man tenendo però viva la resistenza contro il governo di Vienna, Queste informazioni che mi furono date ieri combinano perfettamente con quanto oggi mi raccontava un maggiore del nostro genio militare reduce da due giorni da Parigi, Nei crocchi politici e militari parigini si crede fermamente alla guerra per la prossima primavera. Tutti desiderano, che la questione romana venga sciolta al più presto per da re a noi il tempo necessario per preparare una buona armata. Quel maggiore poi osservò una completa rivoluzione nell'opinione pubblica a nostro riguardo: a poco a poco la nostra causa ha fatto molti proseliti: e notate che avendo egli fatta la guerra di Crimea e quella del 1859 trovasi in grado di frequentare persone altolocate nell'armata france se: nel partire da Parigi sentì ripetersi più volte: au revoir au printemps.

– Scrivono da Torino alla Lombardia:

Corre voce che vi sia stato grave pericolo di una rivolta in mare sopra una nave dello Stato che aveva ciurma non tutta genovese, e che trasportava soldati borbonici fatti prigionieri o che si erano spontaneamente consegnati. Dicesi che il capitano accortosi che qualche cosa si mulinava, né potendo fidare che in pochi genovesi e sardi, finse che la macchina fosse guasta e che bisognasse appoggiare a terra per rimediarvi prontamente. Venuto a terra diede non so quali avvisi e provvide in modo che ogni pericolo fu tolto; ma si acquistò la certezza di un complotto per impadronirsi della nave e condurla non so bene se a Civitavecchia o in altro porto. Già molto danaro era stato speso per sedurre una parte della ciurma, sì che, se la cosa è vera, io voglio credere che non si chiuderà, come suol dirsi, un occhio, ma si procederà severamente come impone la legge.

– Leggesi nel Corriere Mercantile:

Scortati da un forte distaccamento di truppa, giunsero altri 250 ex-soldati borbonici appartenenti alle bande brigantesche. Notiamo che tutti i convogli di ex-soldati che vediamo attraversare la città con scorta di militari o di reali carabinieri, sono di coloro i quali vengono fatti prigionieri nei combattimenti; mentre coloro i quali si presentano spontaneamente, sbarcano senza scorta e vanno soltanto con un ufffciale ed un foriere alla testa; questi ultimi poi son lasciati liberi, e son coloro che vediamo passeggiare cenciosi e seminudi per le nostre vie (sdraiati poco decentemente in via Assarotti con incomodo assai grave degli abitanti), finché loro non giunga l’ordine di recarsi alle rispettive destinazioni, mentre gli altri sotto in istato d'arresto e vigilati.

Ci viene riferito che gli ultimi 250 arrivati appartenevano per la maggior parte alla numerosa banda Cipriani (il più audace capo-brigante di Terra di Lavoro) attorniata ultimamente a Cancello dai nostri bersaglieri e guardia nazionale e fatta prigioniera col suo capo.

– L'Armonia recando l'annuncio di nuove offerte in denari pel santo padre, fra cui dobbiamo notare quella di 1000 franchi del conte Luigi Confalonieri Strattman di Milano, mette per articolo di fondo un fervorino, che è proprio il «vengan denari e al resto ci penso io», di D. Basilio. Eccone un saggio: I bisogni del santo padre crescono sempre, e così dee crescere la carità de suoi figli. Avanti, dunque, avanti sempre (giù denari!). Celebriamo le feste, di Maria Santissima nostra madre e celebriamole col man dar soccorsi (giù denari!) al padre comune, a Pio IX, che l'ha tanto glorificata. Ora si avvicina la Natività della Vergine, che è l'8 settembre. Noi vogliamo solennizzarla con nuove ed abbondanti obblazioni (giù denari ! ) al sommo pontefice.

Non è finita.

«Mostriamoci grati a Maria e onoriamola collo spedire un abbondante sussidio (ancora!) al vicario del suo figlio, che è povero e bisognoso anche del necessario.»

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CRONACA INTERNA

– La Settimana cui un atto di giustizia pubblica fece tacere, ora, ripreso animo, ricomincia le sue pubblicazioni. E ricominciandole fa principio da una lunga tirata sentimentale, nella quale adulando Cialdini, si lagna dell'illegalità dell'atto che la fece tacere e della colpa del governo, parla dell'innocenza del giovani che le diedero sì aspra lezione, parla con ridicola eccezione della purità delle sue intenzioni, del patriottismo del suo scopo, dell'insistenze de'  suoi associati perché riprendesse le sue pubblicazioni, e non tace, al solito, della consorte ria. Per la Settimana son consorteria quelli che non voglion l'Italia, che non vogliono i Borboni, che vogliono l'autonomia di Napoli. Insomma il borbonico giornale ricomincia colle stesse parole con cui ha finito, e per le quali fu fatto finire. Non si dovrà dunque maravigliare se un'altra volta sarà obbligato colle stesse vie a tacersi; né si lagni che a Napoli non ci è libertà, anzi è bene che sappia che la libertà di volere i Borboni non se le può concedere.

Crediamo bene che i suoi associati abbiano insistito per riaverla, perché sappiamo che cosa è la Settimana, e quali sono i suoi associati. Già di questi alcuni sono in carcere, altri, cavallereschi militari, sono a Genova; altri, compreso l'eminentissimo Riario, sono a Roma, ed altri, comunque sieno ancora in Napoli, non saremmo maravigliati di sentire che uno di questi giorni non vi sieno più, come non saremmo maravigliati di sapere che anche il Chiavone che la Settimana ha dichiarato eroe, e paragonato a Garibaldi, fosse fra suoi associati o fra i suoi scrittori se sapesse leggere e scrivere. Del resto i suoi scrittori li conosciamo, sappiamo le loro vite e quel che han fatto sotto i Borboni, ne conosciamo i pubblicisti ei letterati, e speriamo che nella loro squisita prudenza civile, non si mettano al caso di procurare una seconda dimostrazione di studenti.

– Sono oramai smentite tutte le voci delle dimissioni del Generale Cialdini. Egli conserverà i poteri militari e civili. Non è a dirsi quanto il paese sia lieto di un tal fatto. Il generale Cialdini ravvivandone le speranze, ha ridonato a napolitani tutta la loro ordinaria tranquillità, che era stata turbata dalle mene dei reazionarii, dall'urlo dei falsi profeti. Le incontra stabili prove di coraggio, di disciplina e di amor patrio, per cui il nostro esercito si è sempre segnalato, ci dispensano dal dire quanta solerte cooperazione trovino i poteri militari di Cialdini nei valorosi ufficiali e negli intrepidi soldati messi al suo comando.

Ma non possiamo tacere che per quel che spetta ai poteri civili, il Luogotenente del Re è soddisfatto della cooperazione che gli presta il nostro Segretario Generale dell'interno e Polizia, il quale oltre ad attendere con indicibile alacrità al disbrigo degli affari dipendenti dal suo Dicastero, spiega tale energia e sagacia nello scoprire e nel punire i reazionari ed i malfattori, che da pochi giorni in qua è notevole il miglioramento che si è ottenuto non solo nella situazione politica ma anche nella pubblica sicurezza. Queste nostre parole non potrebbero essere smentite da altri se non che da quei pochi tristi i quali si pascono di disordine e vorrebbero che niuna autorità stesse al potere più di due giorni. Per quel che riguarda la polizia della città di Napoli e suoi dintorni, il Questore sig. Aveta ha dritto di partecipare a quella giusta lode che noi ci siamo creduti nel dovere di retribuire al sig. De Blasio.

– Ieri un distaccamento di truppa, avendo a vista quell'orda di briganti che da qualche giorno si ripara sulla montagna di Somma, non seppe frenare l'impulso di correre ad attaccarli. Ma il numero maggiore dei nemici e la loro favorevole posizione rendettero vano il primo assalto dei nostri valorosi soldati; i quali però non vollero retrocedere dalla incominciata impresa e dopo una breve sosta, incominciarono di nuovo e con maggior vigore ad arrampicarsi per quelle balze mentre dalle soprastanti vette venivano delle vivissime scariche di palle. I briganti furono finalmente raggiunti e sette di loro cadevano trafitti dalla baio netta dei nostri: cinque rimanevano prigionieri, gli altri si disperdevano per quei dirupi. I cinque prigionieri dopo un'ora eran fucilati nel paese di Somma ad esempio di quegli abitanti che sordi alla voce della ragione e della legge alimentano il brigantaggio e talvolta ne ingrossano le file.

– Per ordine del governo centrale, ieri il Segretario Generale del Dicastero delle finanze di Napoli ha messo a disposizione dell'ingegnere Bella un milione di lire. L'ingegnere Bella è incaricato a dirigere i lavori delle strade ferrate meridionali, a cui s'incomincia a metter mano da domani. Il ministro dei lavori pubblici partito da Torino per sorvegliare appunto questi primi lavori, è giunto iersera in Napoli.

– Con nostro compiacimento torniamo ad annunziare che il municipio di Napoli ha coperto interamente il suo prestito di due milioni e mezzo di ducati. Una società si è sottoscritta per un milione e mezzo e l'altro milione si raccoglie per soscrizioni pubbliche. Siamo certi che il Municipio vorrà subito porre mano a lavori di pubblica utilità e vorremmo invero che s'incominciassero i lavori nelle Fosse del Grano, ché quel sito oggi è in tale condizione da far vergogna non diremo ad una città di primo ordine, ma a qualunque siasi piccolo villaggio.

– Ai molti fatti occorsi di questi giorni, e che hanno rianimato lo spirito pubblico in Napoli, è da annoverarsi l' arrivo della flotta inglese nel nostro porto, l’offerta che il capitano dell'Ermouth fece a Castellammare di tutte le sue truppe, e la voce sparsa di una nota inglese al governo di Francia per la cessazione dell'occupazione di Roma. Niuno de giornali autorevoli ed accreditati fa menzione di una nota cosiffatta. Solo nel Corriere Mercantile troviamo una corrispondenza da Torino, nella quale si legge quanto segue:

«Il fatto occorso a Castellammare fu veduto di male occhio dalla Francia. Luigi Napoleone teme che l'Inghilterra non voglia prendere una parte attiva nel Mezzogiorno della Penisola per controbilanciare l'influenza francese in Italia. E certo che l'offerta fatta colà dal capitano dell'Earmouth di porre a nostra disposizione, in caso d'attacco per parte dei briganti, tutte le sue truppe, ben inteso per umanità, prova che quella Potenza crede giunta l'ora di uscire da quella riserva tenuta fin qui a nostro riguardo. L'aumento poi della flotta inglese a Napoli viene in con ferma di questa opinione, ed inquieta assai l'Imperatore. Tutto questo è tenuto qui di buon augurio per noi, potendo la nuova attitudine dell'Inghilterra nella questione Italiana accelerare la decisione di Luigi Napoleone sulla soluzione da darsi a quella di Roma».

– Sappiamo che la speranza più bella dell'invilito e degradato partito borbonico, l'eroe della Settimana il glorioso ed invitto Chiavone è rientrato nella sacra terra dell'inviolabile asilo di Romolo, perché l'aria delle natie montagne profanata dall'alito di libertà e resa pesante e insoffribile dal puzzo della polvere della truppa di linea e delle guardie nazionali, minacciava di farlo morire asfissiaco. Terra di Lavoro col mancar di Chiavone è rimasta pressocché sgombra dalla peste brigantesca. Possiamo ancore dar buone novelle della Provincia di Molise, ma per difetto di tempo siamo costretti a farlo dimane. Fra le altre cose pubblicheremo i nomi e diremo i particolari delle prove di valore e del coraggio di alquanti militi della Guardia Nazionale di Frosolone nell'assalire un'orda di briganti che da quei monti cercava di riunirsi con le bande del Matese. Uccisero il capo di essa il famigerato Luigi Mainelle e ne ferirono gran parte.

– Tra i più lodevoli provvedimenti del Generale Cialdini contro il brigantaggio ricordiamo con piace re quello della nomina di alcuni uomini d'arme pre posti al comando delle Guardie Mobili delle province. Con generale soddisfazione fu accolta la nomina del Generale Fabrizi qual comandante delle province di Terra di Lavoro, di Molise e di Basilicata. Il colonnello Tripote fu destinato al comando degli Abruzzi; abbiamo sott'occhio un proclama di lui ai cittadini e guardie nazionali degli Abruzzi, dal quale estreghiamo le seguenti parole:

«Se vogliamo che l'Italia si faccia, noi dobbiamo coordinarci e disciplinarci. Noi servendo il Governo, difendiamo un Re Galantuomo Cittadino più che ogni altro, ed i dritti della Nazione intera – Il Re, lo sappiamo, nell'ora del pericolo è sempre il primo ad incontrarlo, noi ne dobbiamo seguire l'esempio: ricordiamoci che senza il nome di Vittorio Emanuele, senza la forza, non potremo giammai ottenere l'Unità e la liberazione dell'Italia.»

– Da qualche giorno è giunto in Cosenza il generale Assanti, mandatovi dal Cialdini per sopraintendere alla formazione delle compagnie di Guardia Nazionale mobile. Di lui così parla il Calabrese, pregevolissimo giornale di Cosenza: «La presenza di chi ha indossato la mobile divisa che ricorda il glorioso nostro riscatto, dell'uomo tenace in quei veri principii d'indipendenza e di libertà, che cominciò dal pro pugnare nella eroica ed infelice difesa della Venezia, e seguì nel lungo esilio, ed in nuove e più splendide pugne suggellava, è per noi fortissimo argomento di bene sperare, onde fiduciosi attendiamo il compimento dei suoi atti quali che sieno».

– Leggesi nella Guida di Aquila:

Ci prestiamo con piacere alla pubblicazione dell'indirizzo rivolto dal Municipio di Tagliacozzo all'Egregio Cavaliere. Franchini, Maggiore del 1° Battaglione dei sempre prodi e valorosi Bersaglieri.

«Al sig. Enrico Cavalier Franchini Maggiore del 1. Battaglione Bersaglieri – Il Municipio di Tagliacozzo saria colpevole d'ingratitudine se non dicesse una parola di lode a chi ne ha meritate ben mille. I bravi Bersaglieri del primo Battaglione qui stanziati da più mesi hanno acquistato colla loro condotta tutti i titoli alla nostra riconoscenza. Guidati da Superiori nei quali non saprebbesi dire se spicchi, in più eminente grado il valore o la gentilezza, comandati dall'energico Maggiore Franchini, il di cui fuoco non cede a quello dell'Etna, e del Vesuvio, nella loro permanenza in queste contrade han dato non interrotte pruove di coraggio, abnegazione, ed indefesso attaccamento ai propri doveri, sobrii, onesti, cortesi nel conversare civile, divengon leoni ove trattatisi di affrontare pericoli. Ciascun individuo passato il giorno in incessanti fatiche alterna le notti fra l'ordinario servizio dei posti di Guardia, e le pattuglie di perlustrazione. Eppure non un atto d'intolleranza, non una voce di lamento odesi mai da quei giovani petti, che ogni giorno più animosi e robusti sotto l'ardente canicola tornano alle usate fatiche di modo che più che di umane diresti formati di metalliche tempre. Siano queste poche ma sincere parole testimonio di meritata lode, e di sentita gratitudine ai valorosi Bersaglieri del primo Battaglione.»

«Tagliacozzo 4 agosto 1861. Pel Sindaco Il 2° Eletto: Luigi Vacca.»

Ecco come rispondeva il Maggiore:

«Bersaglieri I. Corpo d'armata – Al sig. Sindaco del Comune di Tagliacozzo – Tagliacozzo 5 agosto 1861 – Nel gentile e compitissimo indirizzo, che Ella per parte di questo degno Municipio mi trasmetteva in lettera 4 andante N. 396 vi rinvenni specchiati i buoni, e leali sentimenti di cui quello fu sempre animato, e nel porgere infiniti ringraziamenti per parte di tutti i sig. Ufficiali, Sotto Ufficiali e Soldati, dal mio canto le soggiungo che non sarò mai per venir meno nei doveri che il Governo e del Re mi prefisse, quali sono quelli di tutelare le perso ne e proprietà, purgare queste infelici contrade dalle orde e assassine, e prezzolate che le infestano, e procurare così agli ottimi cittadini quella pace e quella tranquillità che da un anno circa venne sbandita. Nell'ardua intrapresa mi abbisogna il concorso di tutta la buona popolazione mediante il quale mi riprometto di ottenere ben presto lo scopo a cui noi tutti tendiamo: Italia una e libera, rispetto alle leggi. – Il Maggiore comandante il Battaglione – FRANCHINI.»

MENZOGNE BORBONICHE

Oggi la pubblicazione del nostro giornale si è ritardata perché non abbiam voluto defraudare i nostri lettori di due perle borboniche che or ora ci arrivano. Dei due sotto scritti proclami, l'uno è dei Napoletani ai Siciliani, l'altro è dei Siciliani ai Napoletani: l'uno porta la data di Napoli del 22 agosto, l'altro la data di Palermo del 25 agosto. Come ben si comprende né l'uno è fatto a Napoli, né l'altro a Palermo: né i Napoletani né i Siciliani ci pensavano neppure in sogno. Sono due proclami stampati nelle tipografie pontificie, e destinati ad essere distribuiti, oggi quello de'  Napoletani in Sicilia, e fra qualche giorno quello dei Siciliani in Napoli.

Dopo l'esperimento del brigantaggio riuscito vano, meno male che la camerilla borbonica del Vaticano incomincia ad appigliarsi a certi altri espedienti i quali non solo non recano danno a chicchesia ma fanno anche ridere. I Siciliani sanno a prova che se v'ha Napoletani che parlino ad essi di restaurazione borbonica non altri possono essere se non quelli che bombardarono e saccheggiarono Palermo, Carini, Messina, Catania. Come mai la parola dei napoletani di questa risma può trovare ascolto presso i Siciliani? E come mai potrebbe trovar eco fra noi la voce reazionaria dei Siciliani, se dalla Sicilia ci vennero sempre i primi sintomi della nostra comune rigenerazione, se dalla Sicilia ne venne il grido di Italia e Vittorio Emanuele? Questo tranelluccio borbonico dunque è abortito prima di nascere. Non pertanto, per alleviare la fatica dei pochi cospiratori, distribuiamo anche noi i proclami, e li pubblichiamo forse prima di loro – Eccoli:

I NAPOLITANI AI SICILIANI

Noi vivemmo sempre fratelli, fummo per sangue, per leggi, per indole, per costumi fratelli nelle prospere vicende, fratelli nei momenti supremi del pericolo, fratelli nei godimenti della pace, fratelli nel l'ardor delle battaglie, e sempre fummo stretti per dolce collegamento di vincoli comuni. Noi avemmo una serie di Sovrani, che furono del nostro bene sol leciti e bramosi, che la nostra Patria innalzarono ad un grado di floridezza e di ricchezza, da non farci invidiare la sorte dei popoli più avventurosi di Europa; una marina potente, oggetto di giusto orgoglio, e che estendeva per tutti i mari il nostro commercio; una politica sempre franca e sicura che non impallidi e non indietreggiò mai in faccia a quelle Potenze che brigavano a far traboccare sulla bilancia la ragion del più forte su quella del diritto. La Corte dei nostri regi, se folgoreggiò da secoli per lo splendore esterno non meno risplendette per le domestiche virtù e la nobiltà dell'esempio, che era nell'animo nostro potente ad imitare le eccellenti virtù dei Regnanti.

Ora che v'è che ci ravvisi? Siam fratelli, e v'à tra noi li comune ha la causa col nostro nemico! Siam fratelli e ha chi il suo al braccio dell'inimico con giunge per lordarne nel nostro petto di sangue la mano spietata? Chi più ci ravvisa?.. Non più nostra la flotta, non più esercito, non leggi all'indole nostra conformi, non più ornamento di soglio, non retaggio di rare prerogative, non culto di religione, non do vizie, non calma dello spirito pubblico, non movimento di commercio, non reciprocanza di fede, non guarentigia di vita e di sostanze, non amistà, non più un sorriso, ma tutto spira il cupo silenzio del sepolcro, chi più ci ravvisa fratelli? e ancor vi saranno tra noi dei dissidenti come se non fossimo tuttora abbastanza disingannati?

Noi amammo ed amiamo la patria, ma purché non ci si getti nel vortice delle passioni, né ci si lasci in affannoso esilio l'amatissimo nostro Re; noi amiamo l'Italia, ma purché non addivenga oggetto di compassione all'Europa; noi aneliamo alla grandezza di questo Italico paese ma purché non si conculchi la religione di Cristo, che è fra tutto l'ornamento più insigne, né sì proscrivano i nostri Vescovi, i nostri Sacri Pastori con fulminanti esecrati Decreti.

Insorgiamo adunque, ma tutti concordi e non con quell'odio brutale, che solo è foriero di sangue e di strage; ma con quella nobile indignazione che dà segno di grandezza d'animo, e che sarà chiaro a tutti i monarchi d'Europa che se questa terra fu contaminata con nefandi tradimenti ne sentimmo l'orrore; e ne vogliamo cancellata la macchia. Tutti insorgiamo, ma con quell'alterezza che dispiega la coscienza del nostro conculcato diritto e che col solo imponente a spetto farà conoscere alle milizie del Re Piemontese, che non è più per loro la purezza di quest'aere, e che invece di quest'azzurro sereno cielo sono loro serbati gli orridi burroni e le aspre gole del monti. Egli regni, che a noi non cale, ma si tenga la guardia delle gelide nevose Alpi, e libera ci lasci quest'aere spi rare di vita. Niun di noi più fissi il volto nel volto del nemico, se non per fargli intendere, che noi più non vogliamo servaggio, e che abbiamo già unanimi innalzata la bandiera di una temperata libertà sotto l'ombra del nostro legittimo Re.

VIVA FRANCESCO II.

VIVA I POPOLI DELLE DUE SICILIE

Napoli 22 agosto 1861.

Il Segretario

Il Comitato di Napoli

O. S. Q. G. D.

I SICILIANI AI NAPOLETANI

Comuni furon sempre i nostri palpiti, comuni i nostri voti, e i più ardenti sospiri, né mai ci la sciammo traviare, a segno da disconoscere in voi quei nostri fratelli, cui volle natura congiunti, e al cui legame il volgere dei secoli, e il sentimento vivace della Nostra religione, aggiunse un sacro in frangibile nodo. Che se mai tra noi vi fu chi volse al nemico benigno lo sguardo, chi sleale gli porse la mano per aggravarci sul collo un ferreo giogo co tanto indegno, fu universale nel fondo del nostro cuore il grido di esecrazione; un ignoto fremito tutti c'invase; inorridimmo, ed una voce arcana ci risuonava nel petto, che a concordia ci richiamava, ed invitavaci ad agire tutti uniti, tutti compatti, perché quando universale è la sciagura è una colpa è un delitto verso la società il non cooperare a mutare il rigore dell'avversa fortuna. Noi seguimmo tutte le vostre fasi, ogni vostro dolore, ogni vostro gemito, ogni vostra stilla di sangue versata, era per noi una acerba ferita, che dal seno strappavaci l'anima.

Noi giurammo, nel silenzio del nostro infortunio sotto la gravezza e l'oppressione di tanta tirannide, il nostro ed il vostro riscatto; e senza parlare, e senza guardarci in viso, il concetto della nostra dignità il supremo bisogno di rimetterci in calma ci spingeva invincibilmente tutti ad una medesima meta, tutti ad uno stesso fine. La violenza rende più pertinace la volontà, il ferro comprime ma non discioglie i vincoli della natura, e l'odiosa dominazione che si regge assiepata dalle baionette e strozza nella gola la libera parola e vieta lo sfogo di un caldo affetto al Nostro Sovrano Francesco II degno rampollo di tanti regi il lustri che ci governarono sapientemente, nostra delizia e nostro non Rege, ma padre, perde ogni giorno terreno, sempre più vacilla, inevitabile n'è il crollo e l'armi che ne formavano il baluardo non servono che a farne più rumoreggiante l'ignominiosa caduta. Anche noi deploriamo la cecità del satelliti di un Re che al suono di aspre catene illudevaci col nome di libertà. Anche noi compiangiamo quei tristi che a loro si rannodarono, ma quelli più non sono nostri fratelli, se non quando si saranno disingannati e quando amica ci porgeranno la destra; noi tutti innalziamo festanti un grido: viva i nostri Napolitani fratelli, viva i nostri prodi che con noi giurarono sul venerando altare della Patria l'indisolubile patto di scacciare da queste contrade il nemico, viva i nostri fratelli, che con noi proferirono il solenne giuramento di vederci immediatamente sciolti da quel Re subalpino, che tiene sì a vile i suoi popoli da venderli infamemente come un armento di pecore imbelli, né mai più potrà la storia, potrà la candida Croce della Sabauda Dinastia lavare la macchia di Nizza e Savoja che addivennero oggetto di baratteria, come se di mercato fosse vilissima merce, e di società ignobile rifiuto, Viva Francesco II Nostro Padre e Re, Viva i fratelli Napolitani.

Palermo 25 agosto 1861

Il Segretario

Il Comitato filiale della Sicilia

N. G. L. S. C.


Anno I – N° 24 Napoli — Lunedi 26 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

Una circolare del Ministro di agricoltura, industria e commercio ai sigg. governatori, intendenti generali e prefetti del Regno d’Italia gl’incarica di fargli conoscere le presenti condizioni economiche dei monti frumentarii e delle casse di risparmio attualmente esistenti, esponendo i miglioramenti che ciascun consiglio di amministrazione credesse applicabili ai rispettivo stabilimento. Da ciò ci auguriamo vedere in breve migliorate fra noi le prime di quelle istituzioni, che il passato governo creava per poi abbandonare alle dilapidazioni e alle rapine; fondarsi le seconde che tanta influenza si hanno sulla prosperità materiale e sul miglioramento morale delle classi inferiori del popolo.

Le condizioni dell'Austria, specialmente dopo lo scioglimento della Dieta Ungherese di cui i nostri lettori già conoscono e i termini o i motivi dai dispacci telegrafici. continuano ad occupare il giornalismo, e tutti i più accreditati giornali prevedono imminente una crisi in quell’impero«sia che si ritorni all’assolutismo, sia che si pieghi ad accondiscendere a più ampie concessioni. La percezione forzosa delle imposte è forse a quest'ora incominciata nell’Ungheria e nella Transilvania, e non è dubbioso quali effetti debba produrre l'uso della forza. È tale la debolezza in cui l’Austria è cadute, malgrado il suo grande spiegamento di truppe, che ha dovuto dichiarare la sua neutralità negli affari dell'Erzegovina, e tollerare che il principe della Servia annunziasse che prenderà le difese dei Montenegrini contro le truppe turche comandate da Omer Bascà. L’alleanza coll’Inghilterra di cui tanto si è parlato nel banchetto dato colà all’arciduca Massimiliano non è altro che un desiderio, e ben notò il Constitutionel che a quel banchetto non interveniva nessun ministro della regina.

Un articolo dell’Economist rimprovera all’Inghilterra la sua condotta per rispetto all’Ungheria, e dopo aver notato che Palmerston, Russe!, Gladstone, si affliggono di veder l’Austria ostinata a ritener la Venezia mentre che a malincuore vedrebbero in pericolo i domini austriaci al settentrione delle Alpi; dopo aver lodate il contegno serbate dall’Ungheria e mostrato l’incontrastabilità del suo dritto; termina con queste parole: «I nostri uomini di stato non vogliono dare alcuna sorta d’ajuto perché né teli mono le conseguenze. E possiamo quindi dolerci che a l’Europa soglia accusare il nostro egoismo, la nostra doppia e diversa misura di approvare o disapprovarti secondo la natura dei nostri interessi? Noi meritiamo tali rimproveri. Noi miriamo con indifferenza una delle più nobili lotte che il mondo abbia mai veduto, e facci riamo auguri! perché il governo tirannico che n’è la cagione sia il vincitore e riesca nei suoi intenti. Ma è da sperare che l’indirizzo del sig. Deak, e il contegno della dieta ungarica nell’adottarlo, possano risvegliare dal torpore e valgano ad ispirare in alcuni de’ nostri uomini di stato sensi più umani e suggerire parete di simpatia e di ammirazione.» Finalmente è da notare, poiché a Parigi sì è menato tanto romore di un articolo del Journal de S. Peterbourg contro il Regno d’Italia, che lo stesso giornale ne contiene un altro in cui si biasima l’Austria del contegno da lei tenuto verso l’Ungheria; questa almeno ci assicura un telegramma del 21 da Parigi pubblicato nel Diritto. Se il primo articolo ebbe per probabile ragione l’alleanza francoscandinava che la Russia vede di mal occhio, il secondo può probabilmente attribuirei ai tentativi dell'Austria por avere mi appoggio in un’alleanza inglese. Ma ci vuol altro che articoli per aggiustare lo stato di cose che le aspirazioni nazionali, soprattutto in Ungheria e in Polonia, hanno crealo all'Austria e alla Russia

Il Reno ci fa conoscere una nuova taso in cui par che sia entrato l'affare del Marrócco il sig. Drummond Hay, ministro inglese, si sta maneggiando in Mequmez perché il Marrocco accetti dal governo inglese la somma necessaria per pagare il suo debito alla Spagna, giusta il trattato di Vad Ras; quindi gli Spagnuoli sgombrerebbero Tetnan, e gli inglesi occuperebbero Tangcr finché fossero rimborsati. Una volta occupata Tanger, aggiunge quel foglio, gli Inglesi non la lascerebbero più, o ne farebbero una nuova Gibilterra dall’altra parte dello stretto. È vero che un foglio ministeriale dice che negli articoli riservati di quel trattato fu detto che in nessun tempo Tanger sarebbe occupata da truppe straniere. Ma il Contemporaneo che dà la stessa notizia e fa le medesime osservazioni, note molto bene che se l'imperatore del Marrocco non ha osservato i patti pubblici del trattato, si riderà molto più dei patir riservati.

Il vescovo di Cordova ha pubblicato una circolare che proibisce la vendita delle opere di Sue e la distribuzione di un catalogo librario dove quelle opere son comprese. Nella Corogna. in occasione di una missione di gesuiti, si sono bruciati alla porta della chiesa maggiore l'Ebreo Errante, i Misteri di Parigi alcune novelle di Dumas e altri libri simili. Ecco a che è ridotta la povera Spagna ai nostri dì! In altri tempi, nel 1761, avendo la curia romana proibito il libro di Mesenqui Esposizione delle verità cristiane (sei cardinali votarono contro cinque, né si tenne conto del voto di Tamburini infermo in favore del libro), l’inquisitore generale D. Emmanuele Quintaoo Bonifaz fece pubblicare in Ispagna il breve pontificio che lo proibiva senza che il re né fosse informato, e non avendo poi voluto sospendere per qualche giorno tal pubblicazione, fu bandito dalla corte e dai siti reali, e solo fu levato il bando allorché chiese perdono a S. M. L’anno seguente venne fuori una prammatica ed una cedola con cui si riordinò che quindi innanzi non si desse corso a breve rescritto o carta pontificia che stabilisse legge o regola generale senza che costasse essere stata veduta da S. M., e che i brevi e bolle di affari tra privati si presentassero al consiglio per permettersene l'esecuzione; inoltre che l’inquisitore generale non pubblicasse editto alcuna emanato da Roma, né alcun altro espurgatorio di libri, senza procedere all’udienza dei loro autori e senza le altre diligenze prescritte h Benedetto XIV nella bolla Sollicita et provida. Eppure allora vi era il Santo Officio. Eppure allora Roma si teneva indipendente.

Debito di cronisti ei impone di non passar sotto silenzio che il Times non crede ai sanguinosi fatti d’arme che han luogo fra i due eserciti americani. Le troppe dell’una e dell’altra parte, esso dice, si scagliano reciprocamente dalle più forti fortezze senza che un sol uomo perda la vita, ed una gran battaglia campale in cui entrato da ambe le parti 150.000 combattenti ha fine con un timor panico ed una fuga di oltre a venti miglia.

«La marcia del grande esercito a del Potomac, letta nei fogli americani. si assomiglia in parodia a quella di Serse verso l’Ellesponto. Non avremmo mai immaginato, né ancor lo crederemmo so non ne facessero testimonianza gli stessi Americani e il nostro corrispondente che vi fu presente, che 75,000 patrioti americani imprendessero una fuga di venti miglia nell’agonia della paura benché nessuno gl’tnseguisse, o che altri 75.000 patrioti americani si astenessero dall'inseguirli per non essere ben informati della paura con che fuggivano... Tutto ciò che i giornali del settentrione si limitano a dire su questo particolare, è che si rallegrano molto che il nemico non giungesse a comprendere la paura che avevano i fuggenti.»

Or tutta la ragione che si può addurre di questo umorismo fuor di luogo del giornale inglese in cosa sì dolorosa, si è il voler rispondere alle minacce dei fogli americani federali contro l’Inghilterra di volerle togliere il Canada, perché aveva riconosciuto egualità di dritti tra le due parti belligeranti. Però termina in modo filantropico consigliando ad ambe lo parti che cessino dal farsi guerra e si riuniscano, (piantonane fosse per far quella guerra tremenda di cui minacciano l’Inghilterra.

UN ARTICOLO DEI POPOLO D'ITALIA

In un articolo del Popolo d'Italia di ieri intitolato molto strepito per nulla, dopo di averci narrato in qual guisa ebbe principio un incidente fra il Luogotenente Cialdini e il sig. Nicotera, così prosegue.

«Il brigantaggio dura. Le guardie mobili in tutto l'ex Regno non sommano in tutto a 8 mila uomini, e non vi è mancanza di buona volontà. Ma il principio della nazione armata, è sempre agli occhi dei nostri Padri Coscritti una eresia, un'abominazione, un sagrilegio. Resti debole l'Italia; ma chi non giura sull'evangelio del Minghetti non riceva un fucile. Vi sono Comuni che armerebbero a loro spese la loro guardia nazionale, e non possono ottenerne il permesso.

Noi amiamo la libera ed onesta discussione, onde vogliam dire alcune parole al Popolo d'Italia. Egli afferma che le guardie nazionali mobili sono 8 mila e noi possiamo dirgli che sono anche in maggior nu mero, e che ogni giorno si vanno organizzando nuove compagnie, le quali fanno buona prova. Ma ponia mo per poco che sian vere le parole del Popolo d'Italia, è colpa del governo se non vogliono accorrere le guardie mobili? È indubitato che il decreto o ministeriale che sia, prescrive che debbono essere 12 mila uomini di G. N. mobile, quelli che si vanno organizzando in queste provincie meridionali; or se non accorressero i volontarii, di chi sarebbe la colpa? E evidente (secondo il Popolo d'Italia) del governo, e di Minghetti. Intanto il democratico giornale, dopo di aver detto che le guardie Nazionali mo bili non sommano a più di 8 mila uomini, esclama che il principio della nazione armata non si vuol riconoscere, e che agli occhi del Padri Coscritti il dir questo è una eresia – Sia benedetta la logica – Se voi dite che le guardie nazionali mobili non si possano organizzare, e che sono in assai poco numero, e tutto questo non potrebbe spiegarsi altrimenti se non col dire che nelle nostre provincie non vogliono volentieri battersi, come volete poi creare la nazione armata? Ma che intende il Popolo d'Italia per nazione armata? Chi impedisce a tutti coloro che amano vera mente il paese natale di accorrere sotto le armi? che l'indichi il Popolo d'Italia e noi gliene saremo grati.

Il giornale conclude affermando che vi sono comuni che armerebbero a loro spese la G. N. e non possono ottenerne il permesso: invitiamo il Popolo d'Italia a dirci i nomi di questi comuni. Se il fatto è vero, uniremo anche noi le nostre parole a quelle del Popolo d'Italia; ma se il prelodato giornale non ci darà i nomi di questi comuni, dovrà permetterci di credere non vere e interamente gratuite le sue parole.

IL CORPO DE' MACCHINISTI DI MARINA

Parecchi giornali della nostra Città hanno alzato la voce contro un regolamento fatto a Torino dopo insinuazione del sig. Bayma, Direttore delle macchine del dipartimento marittimo meridionale, regolamento che offende questa nobile corporazione.

L'antico corpo de'  macchinisti napoletani era organizzato in tre classi. I primi macchinisti avevano un soldo mensuale di ducati 50, soprassoldo ducati 25, ducati 15 trattamento e razione, assimilati per onorificenza a primi Tenenti, vestendone l'uniforme se condo il modello. I secondi macchinisti avevano un soldo mensuale di ducati 3, soprassoldo di ducati 6, ducati 12 trattamento di tavola e razione, assimilati a secondi Tenenti.

I terzi macchinisti avevano un soldo di ducati 22 mensuali, soprassoldo ducati 4, trattamento ducati 9, assimilati agli alfieri.

Gli alunni di prima classe avean soldo di duc. 18 e quelli di 2° dodici.

Ora secondo il nuovo regolamento venuto da Torino, i capi macchinisti avrebbero il soldo mensuale di ducati 60 col grado di Luogotenente. I macchinisti di prima, seconda e terza classe, con paga giornaliera, con assimilazione alla bassa forza, e con la ferma di 4 anni. Gli alunni con paga giornaliera assimilati alla bassa forza e la ferma di 10 anni....

Questo regolamento a noi pare ingiusto e vogliamo sperare che il ministero della marina vi voglia porre riparo. Invero se vi ha corporazione nel nostro paese che meriti tutta la stima del governo si è certamente quello della marina che tanto utili servizi ha reso al paese, e che l'è serbato un assai splendido avvenire. Intanto i giornali frementi non lasciano di alzare alto la voce, e pigliando argomento da questo errore del governo, gridano al finimondo, alla consorteria che si stende dall'uno all'altro capo d'Italia, che con edificazione del martiri cerca distruggere tutto l'eroismo de popoli!!

Questi giornali col ripetere spesso paroloni vuoti ed inconcludenti, finiranno col rendersi ridicoli.

Il governo ha mostrato in tutto di avere in gran pregio la marina napoletana, e se i macchinisti per un tristo errore sono stati mal considerati, di tutti gli altri si è migliorata la condizione e gl'ingegneri costruttori di 3° classe che aveano il soldo di duc. 25 al mese, secondo i nuovi decreti, son giunti ad aver ne 45 e 50. Ma i prelodati giornali veggon sempre il male, del bene non ne fan motto – Giustizia democratica.

LA FRANCIA E ROMA

L'Opinion Nationale ci reca un terzo articolo del sig. Guéroult:

La Francia e Roma, da cui traduciamo alcuni brani. L'autore, dopo aver dimostrata l'inutilità di qualunque tentativo di transazione per lo scioglimento della questione romana, soggiunge:

Non si otterrà nulla dal papa, il cardinale Antonelli lo disse a Gramont. E se mancasse pure tale dichiarazione ufficiale, il buon senso lo avrebbe proclamato abbastanza. Quan do si parte da opposti principii, non si può giungere ad una conclusione comune. Qualunque accordo sarebbe un inganno. Attendere una transazione è mostrare di non compren dere la prima parola della situazione..…

Ma se pure una transazione fosse possibile, la Francia dovrebbe ben guardarsi dall'intervenirvi, perocché qualunque transazione sarà feconda di recriminazioni. Se essa ha il buon senso di restarvi estranea, potrà, al caso, far intendere la sua voce per modificare la prima soluzione nel sen so dell'equità e della protezione degl'interessi religiosi. Se, al contrario, essa fosse parte contraente in un trattato necessariamente manchevole, il suo intervento non sarebbe che una complicazione di più aggiunta alle altre.

La Francia non ha ora che un'unica parte da compiere: quella di ritirarsi. Essa ha voluto modificare il potere temporale, e non v'è riuscita. Essa ha voluto arrestare Vittorio Emanuele in una via che doveva esser fatale al poter temporale, ma sentì in sé stessa di non poterlo, di non doverlo fare. Dunque la sua presenza a Roma non ha più né ragione né scusa; essa è un incoraggiamento alla guerra civile, al brigantaggio; prolungando il suo soggiorno, essa diverrebbe responsabile, dinanzi l'opinion pubblica, di tutti i delitti che si commettono nel mezzodI della Penisola. In nome della morale internazionale e della dignità della no stra bandiera, noi domandiamo il richiamo delle nostre truppe. Noi non abbiamo il diritto di aggiungere, per nostro capriccio nuove difficoltà all'opera già sì laboriosa della ricostituzione d'un gran paese. Noi abbiamo riconosciuto il regno d'Italia, ma non già coll'idea di suscitargli degli ostacoli. La Francia ha un interesse pressante, immediato a che la questione italiana sia risoluta. o un solo uomo può oggi risolverla regolarmente e pacificamente Vittorio Emanuele. Ma se noi suoi alleati, gli impediamo, non si sa perché, di compiere l'opera sua, noi lo indeboliamo, noi miniamo il suo potere, noi lo screditiamo nell'animo de'  suoi sudditi, i quali gliene sapranno male di quelle che diranno sue debolezze verso la Francia.

UNA CRITICA ALLA POLITICA INGLESE

L’Economist, in un articolo intorno all'Ungheria, biasima la politica seguita dal governo e dagli uomini di Stato inglesi nella contesa fra l'Austria e quella nazione.

Noi consideriamo, esso dice, siccome vergogna per l'Inghilterra che i suoi uomini di Stato, tuttoché liberali, non abbiano maggior simpatia per quel popolo. Noi vogliamo concedere, a modo d'argomentazione, che sia desiderevole per l'Europa di confondere le varie provincie dell'impero austriaco in un insieme perfetto ed unito; noi vogliam con cedere, ciò che è impossibile, che questa cosa possa essere posta in atto e compirsi. Che ne viene da ciò? L'Inghilterra dunque non saprà vedere questa vertenza ungherese che dal lato dell'opportunità politica? Se l'Inghilterra si trovasse in somigliante condizione che farebbe? vorrebbe ella sacrificare tutte le sue libertà storiche alla sicurezza europea o all'equilibrio europeo? E se l'Inghilterra giudicasse, di che noi non dubitiamo, aver più doveri verso di sé medesima, che verso la sicurezza o l'equilibrio dell'Europa, sarebbe cosa onorevole per i nostri uomini di Stato l'essere ciechi alle stesse considerazioni in favore dell'Ungheria? sarebbe cosa onorevole per essi il negare ogni segno di simpatia ad un popolo che prende rimpetto all'imperatore d'Austria un'attitudine di cui non si trova esempio che nella nostra stessa storia inglese? sarebbe cosa onorevole il dire parole che mirano ad incoraggiar l'Austria nelle sue usurpazioni sui diritti degli Ungheresi? Lord Palmerston, il conte Russell, il sig. Gladstone, si sono dati affanno di mostra re al Parlamento che si affliggono di veder l'Austria ostina ta a tener la Venezia, ma che a malincuore vedrebbero in pericolo i dominii austriaci al settentrione delle Alpi, onde sperano che le contese fra la corona imperiale e l'Ungheria possano essere accomodate. Qual diritto abbiam noi di giudicare una controversia, la più costituzionale e storica dei tempi nostri, sopra principii come questi? Il diritto dell'Italia di costituirsi a nazione è assai valido; ma non è, né moralmente né costituzionalmente, più indisputabile che quello che ha l'Ungheria di esigere dalla corona imperiale l'adempimento intero d'un contratto che ogni re ungherese giurò di mantenere.

Ma i nostri uomini di Stato veggono un gran pericolo per l'Europa se la Francia, se la Prussia o la Russia usurpano alcuna parte dell'impero austriaco, e credono che questo pericolo seguirebbe se l'Austria perdesse le sue provincie unghariche. Così credendo, chiudono eglino gli occhi ad ogni altra considerazione o riguardo. Non vogliono pur sa pere che l'Ungheria è nel diritto, che opera con temperanza, con più calma, avvedimento e senno che l'Inghilterra stessa farebbe in somigliante congiuntura. Se sapessero tutte queste cose sarebbero costretti d'offerirle il loro aiuto morale. Ma e' non desiderano dar alcuna sorta d'aiuto, perché ne temono le conseguenze. E possiamo quindi dolerci che l'Europa sia in uso di accusare il nostro egoismo, la no stra doppia e diversa misura di approvare o disapprovare, secondo la natura dei nostri interessi? Noi meritiamo tali rimproveri. Noi miriamo con indifferenza una delle più no bili lotte, che il mondo abbia mai veduto; e facciamo augurii perché il governo tirannico che n'è la cagione, sia il vincitore e riesca ne' suoi intenti. Ma è da sperare che l'indirizzo del sig. Deik, e il contegno della dieta ungarica nel l'adottarlo, possa risvegliare dal suo torpore la nazione, e valga ad ispirare in alcuni del nostri uomini di Stato sensi più umani e suggerire parole di simpatia e d'ammirazione.

NOTIZIE STRANIERE

– Il Morning-Herald ha messa in giro la notizia di negoziazioni tra Vienna e Parigi circa la cessione del Veneto, dandone questi ragguagli, comunicatigli dal suo corrispondente parigino:

«Si dice che il gabinetto di Vienna fece conoscere le sue buone disposizioni a entrare in un accordo convenevole per conseguire questo scopo desiderabile. Non ho i mezzi d'assicurarvi fino a qual punto questa notizia è fondata, ma ciò che qui si pensa generalmente è che il principe Metternich che che un abbonamento coll'imperatore, mercoledi scorso, prima della partenza di S. M. per Chàlons, è partito immediatamente per Vienna, recando con sé le condizioni del governo francese relativamente a questa transazione.»

«Alcuni fogli di Parigi credono soltanto prematura questa notizia. La Presse vi fa invece questi com meriti:

«I fogli stranieri ritornano colla notizia, già le tante volte annunciata e le tante volte smentita, di negoziazioni iniziate tra i gabinetti delle Tuilierie e di Vienna, per ottenere lo sgombramento della Venezia. Comprendiamo che il governo francese miri ad effettuare le sue promesse sì conformi al voto nazionale, traducendo in fatto compiuto le memorabili parole: «L'Italia libera fino all'Adriatico!» ma non crediamo che speri di riuscirvi col mezzo di negoziazioni diplomatiche.»

– Leggiamo nel Monde:

Da diverse parti giunge la notizia che la flotta inglese a Napoli presti mano forte a Cialdini. L'Inghilterra vien in soccorso dei Piemontesi nel momento che sentonsi sfiniti e incapaci di resistere alla collera di tutto un popolo! Gli è un principio d'intervento armato. Evidentemente l'Inghilterra vuol disputarci l'influenza in Italia. Prenda piede a Napoli, e si vedrà se sarà facile di farnela sloggiare! Cialdini che si dice italiano e chiama lo straniero, non mostra che di troppo, quanto la causa cui serve, sia stranisce all'Italia!

Il corrispondente parigino dell'Independance belga afferma che la lettera del papa, di cui sarebbe latore mons. Nardi, è la risposta a una lettera dell'imperatore de francesi nella quale si impegnava il papa a far cessare uno stato di cose incompatibile colla presenza a Roma della bandiera francese. Era un vero ultimatum, non soddisfacendosi al quale le truppe francesi sarebbero partite.

L'imperatore dei francesi, dice un carteggio del Cor riere Mercantile, si prepara alla guerra: questo è un fatto, quindi ha bisogno di far cessare lo stato anormale in cui ci troviamo a causa di Roma, perché possiamo aver campo di organizzare ed accrescere la nostra armata e così prestar gli un aiuto efficace nella conflagrazione europea che a quell'epoca potrà succedere. A sostegno poi di tutto ciò, vi dirò che, giorni sono, un generale d'artglieria, stato da poco creato ufficiale d'ordinanza di S. M., udI in buon luogo accennare la previsione che nel marzo venturo avremmo nuovamente, secondo ogni probabilità, tirata fuori la sciabola.

– Scrivono dal campo di Chalons al Constitutionnel che la mattina del 18, dopo la grande messa del campo, a cui assistevano l'Imperatore, il principe imperiale, il ministro, della guerra, il generale Fanti, il prefetto della Marna, la Casa militare di S. M., e numeroso corteggio di generali e di ufficiali, l'Imperatore ricevette la visita di parecchi ufficiali esteri, e consegnò poi la croce della legion d'onore ad un capo arabo che si trova al campo.

La mattina del 19 ebbero luogo le grandi manovre annunciate, le quali durarono dalle ore 5 alle 10. Le truppe furono ammirabili, e rientrarono assai soddisfatte, benché avessero percorso in media da 16 a 18 chilometri. L'Imperatore fu assai contento delle manovre, che offrirono a tutti gli astanti il più dilettevole spettacolo.

Il principe Guglielmo di Baden è giunto al campo.

– Scrivono da Parigi:

Per quanto io mi cerchi non so in giornata trovare cosa che valga ad esservi raccontata. L'imperatore a Chalons non si occupa che di esercitazioni militari, e Parigi è vera mente deserto. Il generale Fanti mandato dal re d'Italia a Chalons è l'oggetto delle più simpatiche accoglienze, tanto da parte degli ufficiali generali che da parte di Napoleone III. Anche un fratello del viceré d'Egitto è stato alcuni giorni al campo. E quanto a visite principesche, si annuncia per certissima quella del sultano Abdul-Azis a Parigi e a Londra dove si stanno vendendo al presente degli stupenti e ricchissimi gioielli che appartennero al serraglio imperiale. Ci sono dei monili e dei braccialetti del più gran valore, e dei mazzi intieri di fiori formati artisticamente di gemme.

Si presume che le finanze del nuovo imperatore ottomano si avvantaggieranno di qualche milione da codesta vendita.

– Così scrivono da Parigi alla Lombardia:

Qui si è molto preoccupati di quanto succede nelle provincie meridionali italiane, che i giornali reazionari ci d pingono col più neri colori. Udimmo però con piacere che il generale Cialdini, popolare in Francia per bravura militare, per coraggio e per patriottismo, sta fermo al posto difficile e scabroso confidatogli dal governo. V'accerto che nessuno dubita della buona riuscita che dovrà coronare il suo zelo e la sua esperienza, ma, se è facile comprendere il perché la stampa legittimista e clericale ingrandisce a progetto i pericoli, c'è bene a meravigliare delle geremiadi della Patrie sui mali che apporta il brigantaggio nel mezzodI d'Italia, sul sangue che Cialdini è costretto a spargere.

Si può chiedere alla Patrie, se sinceramente ella pensa che il governo francese adoprerebbe mezzi più miti nel caso che il partito clericale e legittimista riuscisse a raccozzare bande di briganti, non importa in qual dipartimento della Francia? Si potrebbe chiedere che cosa ha fatto Pelissier nell'Algeria? Ogni mezzo di repressione sarebbe legittimo apparentemente ai suoi occhi, e i più vigorosi sarebbero considerati da questo giornale come i migliori. Perché dunque questo biasimo fuor di luogo, che si muterebbe necessariamente in elogio se il fatto incriminato succedesse in Francia e non in Italia?

– Dicesi che l'Imperatore, dopo le grandi manovre al campo di Chalons, ove trovansi varie notabilità straniere, tra le quali il general Fanti, si recherà a passare alcuni giorni a Plombières; di là andrebbe ad Eaux-Bounes per ritrovarvi la moglie, e con lei ripartire per Biarritz.

– In Inghilterra tutta la stampa si scaglia addosso alle sciocchezze dette a Roebuck dinanzi allarciduca Massimiliano. Ecco quel che scrive l'Examiner:

«Johnson dice che uno dei maggiori vantaggi della riputazione di aver talento è il privilegio che essa conferisce di dir delle assurdità. Il signor Roebuck ha recentemente fatto un largo uso di questo privilegio, così largo che la gen te comincia a chiedere se non abbia tirato cambiali superiori al credito che ha.»

– Il Court Journal dice che il successore in Londra del conte Bernstorff sarà il barone di Schleinitz.

– Il re di Svezia è ora in Inghilterra, ove fu accolto cordialissimamente dalla Corte e dai ministri. Alla stazione della via ferrata di Londra fu ricevuto dal principe Adalberto, e si è recato quindi a Windsor a visitarvi la regina. Il giorno seguente fu al campo di Aldershot, e si mostrò meravigliato dall'atteggiamento delle truppe inglesi, e specialmente della cavalleria, che giudicò la più bella che avesse mai veduto. Sua Maestà ha quindi visitato il Museo bri tannico, il Palazzo di cristallo, l'arsenale di Woolwich, e le altre cose più ragguardevoli della capitale e de'  luoghi suburbani. Il 16 stava, per lasciar l'Inghilterra alla volta di Lubecca e della Svezia. (Morn. Post).

– Don Giovanni di Borbone continua la sua propaganda per aprirsi la via al trono di Spagna. È noto ch'egli aprì la soscrizione a un prestito per ottenere il suo scopo. Il Siècle avea osservato in proposito che «anche i principi legittimi non indietreggiano dinanzi ai mezzi rivoluzionari».

Ora il barone G. Guillemot, che si soscrive mandatario di S. A. R. il principe don Giovanni di Borbone ha colto il pretesto di rispondere al Siècle per dir di nuovo a tutto il inondo che don Giovanni è il principe più liberale del mondo, e non intende giungere al trono che per espressione del volere del popolo. È un progresso anche questo.

Ecco alcuni brani di quella lettera:

«Don Giovanni, cacciato, spogliato dai Borboni di Spagna, ma edetto dai Borboni d'Italia, per le sue idee liberali, leso nelle sue proprietà dai Braganza di Portogallo, offeso nei suoi sentimenti di padre dall'Austria che gli ritiene i suoi figli per sottrarli a un'educazione troppo indipendente, don Giovanni non crede più che al popolo le cui simpatie gli sono più care di qualunque cosa.

«Ecco quali idee presiedettero alla nascita dei progetti formati dal principe, idee serie tanto quanto la soscrizione organizzata dalla casa bancaria di Londra, l'unità. Anche una volta il principe non vuol riuscire che mediante il po polo; è al popolo che ei chiede i mezzi di arrivare fino ai gradini d'un trono su cui non porrà il piede che in nome del voto popolare..

(Perseveranza)

– Finalmente anche l'Ostdeutsche Post confessa la vanità delle speranze di un'alleanza coll'Inghilterra:

....Noi siamo troppo poco entusiasti, per credere sia già pronta un'alleanza tra l'Austria e l'Inghilterra. Al contrario l'assenza di Palmerston in una festa data in onore d'un parente della sua regina e l'assenza di Granville provano che il governo inglese non ha ancora abbandonato il suo principio, vale a dire la sua diffidenza verso l'Austria.

Palmerston stesso piegò già le tante volte a sinistra e a dritta che in lui dovea divenire naturale la diffidenza verso gli altri. Tra l'Inghilterra e l'Austria sta la quistione italiana.

In essa quistione l'Inghilterra fu già incoerente a se stessa. L'Austria non può esserlo. Non può permettere che ai trattati subentri la corrente delle nazionalità, perché altrimenti le si domanderebbero una, due, anzi parecchie pro vince. Non la legittimità di questo o quel principe straniero, non Roma e Venezia, bensì l'esistenza stessa del nostro territorio è quella che ci pone in discordia col nuovo regno d'Italia; e gli Inglesi, del resto avarissimi quando si tratti del loro dominio territoriale sono generosissimi coi beni altrui. L'Inghilterra diverrà nostra alleata, ma solo allorquando la foga delle circostanze riuscirà a dominare certe fluttuazioni nello spirito popolare dei Britanni. In tanto dobbiamo limitarci a noi stessi. Dobbiamo riporre le nostre speranze non nelle straniere alleanze, bensì in noi stessi, nel nostro popolo.

– I membri della Camera dei deputati di Pest stanno per offrire a Deak un magnifico album contenente i ritratti di tutti i suoi colleghi. La sola legatura costerà non meno di 400 fiorini.

A Praga, i mercanti di stampe esposero il ritratto del fuoruscito russo Hertzen, che redige in Inghilterra il Kolokol, ossia la Campana. V'è sempre gran folla innanzi al ritratto del celebre democratico. Questo fatto è caratteristico, ma la polizia pose già termine a quell'entusiasmo, facendo sequestrare i ritratti rivoluzionari. (Pays)

–Dell'indirizzo di Deak furono stampate 300.000 copie: ogni più piccolo comune ne riceverà un numero da distribuirsi e leggersi pubblicamente. Ne fu poi fatta la traduzione, in tutte le lingue.

– Luigi Napoleone può essere soddisfattissimo degli omaggi a lui tributati la sera del 15 agosto in questa città e in tutti i paesi ove si parli polacco Jeri a Cracovia la poli zia avea ammonito contro le dimostrazioni, non così nei luoghi di campagna, motivo per cui la sera del 15 agosto s'illuminò dappertutto in onore di Napoleone. La polizia e il militare ebbero in quell'occasione un grave compito. Durante la notte si arrestarono diciannove tra i più caldi pro motori di luminarie, fra cui alcuni nobii...

Parteciparono alle dimostrazioni specialmente i nobili.

Molti di essi giunsero dai dintorni più o meno lontani per contribuire il loro obolo onde festeggiare l'imperatore dei Francesi. La maggior parte di essi ritornarono subito ai loro paesi, contenti di aver cooperato ad un'azione ostile al governo. (Cart. della Gazz. D'Aug.)

– Leggesi nell'Ost Deutche-Post, in data di Vienna,16:

Alla Gazzetta d'Augusta da pretesa buona fonte fu scritto poco addietro, che non a Chalons, ma in un castello re nano avverrebbe fra non molto un convegno del re di Prussia coll'imperatore Napoleone, al quale prenderebbe parte anche l'imperatore d'Austria. Ma invero non v'è necessità alcuna di ricorrere a buone fonti per sapere, che fra tutti gli espedienti immaginati a giustificare la mala riuscita della visita tanto progettata, quello di cui parliamo è il più in felice, poiché di visite amichevoli fra i dominatori d'Austria e di Francia non può in questo momento neppur parlarsi.

– La Presse ha ricevuto una corrispondenza da Costantinopoli con tali particolari da farci credere imminente la caduta dell'Impero Ottomano:

«Questa lettera, dic’essa, giustifica pienamente le nostre apprensioni sull'avvenire delle riforme in Turchia: La razza maomettana è incapace di civilizzazione. La diplomazia europea dovrà rassegnarsi in breve a considerare l'uomo malato dell'Imperatore Nicolò come un uomo morto.

Non sarebbe forse fuor di proposito l'occuparsi del regola mento della sua successione.»

NOTIZIE ITALIANE

– Leggesi nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 23:

«S. M. l'augusto nostro re questa mane alle 10 112 ha ricevuto ufficialmente il ministro plenipotenziario presso la corte di Berlino conte de Launay incaricato da S. M. Guglielmo I, re di Prussia, di rimettergli una lettera autografa in risposta a quella che, per ordine di S. M. Vittorio Emanuele II, gli aveva lo stesso conte Launay presentata a Baden nella circostanza ch'egli ebbe prodigiosamente salva la vita contro il noto orribile attentato.»

– A quanto dice la Monarchia Nazionale, l'onorevole Bastogi ha nominato otto nuovi ispettori generali nell'amministrazione centrale nelle finanze.

«Sappiamo, dice lo stesso giornale, che il conte Enrico Falconcini, deputato al parlamento, è stato incaricato di recarsi a ricevere sopra luogo dalle amministrazioni comunali e provinciali le notizie statistiche cui si riferiva la circolare del ministro dell'interno sulle spese obbligatorie. Il conte Falconcini sarà accompagnato nella sua missione da un impiegato superiore del ministero dell'interno, da un computista dello stesso dicastero, e finalmente da un segretario particolare.»

– Scrivono da Torino al Corriere Mercantile:

Questa mane ebbi un lungo colloquio con un nostro ufficiale superiore dello Stato-maggiore reduce da ieri soltanto da un lungo viaggio per istruzione, intrapreso in Inghilterra, Germania e Francia. Anch'egli mi riferiva che tanto in Germania che in Francia si crede ad una guerra nel prossimo anno. Le popolazioni Tedesche poi ne sono vivamente preoccupate, prevedendo che l'esito non sortirà molto felice per loro. I loro Governi armano del loro meglio le fortezze ritenute per le chiavi del paese; ma non hanno molta fiducia nei loro mezzi di difesa. Egli ha avuto occasione di fare il confronto fra le armate dei due paesi, e m'assicurava che lo stesso esercito Prussiano è inferiore al Francese come 1 a 20. Fu oltremodo soddisfatto del campo di Chalons, ove ebbe occasione di vedere e stringere la mano al bravo gen. Mollard, che parlando con vera effusione di cuore dell'Italia, fece i più fervidi voti perché una nuova guerra la potesse rendere completamente libera. Visitò appuntino quell'accampamento di oltre 30,000 uomini di tu le armi, e rimase meravigliato del modo con cui era tutto disposto. Inoltre mi disse che si stann.

facendo delle esperienze tanto sull'Artiglieria, quanto sul Genio. Il generale Fanti, che a quest'ora trovasi sul luogo, esperto quale è nelle cose della guerra, saprà, ne son certo, mettere a profitto il tempo che passerà a Chalons, e rilevare quanto potrà essere anche utilmente introdotto nella nostra Armata.

Il generale barone Solaroli aiutante di campo di S. M. italiana incaricato di presentare a S. M. il re di Svezia il collare della S. Annunziata, è arrivato a Stoccolma. Egli vi attende il ritorno del re Carlo XV. che trovasi ora a Copenaghen.

– Scrivono all'Italie che, volendo Napoleone III essere precisamente informato della situazione reale in cui si trovano le nostre provincie meridionali, ha colà inviati parecchi suoi agenti segreti, per seguire d'appresso gli avvenimenti, e farne esatto rapporto. Il corrispondente ha cura di accertare che lo scopo di questa misura è tutt'affatto favorevole all'Italia ed al governo italiano..

– Il corrispondente torinese del Journal des Debats scrive:

Parlasi di nuovo di certi movimenti che l'esercito austriaco farebbe nella Venezia, ma tanto il governo, quanto il pubblico sono perfettamente convinti che tali movimenti altro non sono che una finzione diretta a far richiamare le nostre truppe sul Mincio. Nessuno se ne dà pensiero, e da Napoli non verrà ritirato neppure un battaglione. Da un mese incirca se ne spedirono colà quattordici, i quali uniti a quelli che già vi si trovavano, formano un effettivo di 71 battaglioni; forza certamente rimarchevole, sebbene non esagerata, e che sarebbe insufficiente se il paese stesso non le prestasse il più valido appoggio.

– Ne si riferisce come cosa certa, che cinque cappellani dei reggimenti stanziati in Toscana furono arrestati per mene reazionarie. Pare che questi signori tentassero di se durre i nostri bravi soldati, incitandoli alla diserzione. Se questa notizia è vera, noi facciamo plauso a chi li ha scoperti. I mestatori, i traditori della patria, voglionsi inesorabilmente punire in questi difficili momenti, e ciò tanto più quando si coprono sotto la maschera dell'ipocrisia. (G. del Popolo)

– Scrivono da Mantova,17, alla Sentinella Bresciana:

Gli ospedali militari della città non sono abbastanza capaci per contenere il numero veramente straordinario di ammalati, che quotidianamente sono costretti a ricoverarvisi.

Si dovette fissare ospedali anche fuori della fortezza.

Il governo procede alla vendita di vino, riso e formentone, generi avariati per la mala cura, e raccolti prima per approvvigionare la città.

Un generale di divisione qui stanziato e di nazione ungherese vende cavalli, carrozze, mobilie, bianchierie; dicesi che intenda dare la sua dimissione per recarsi a coadiuvare in patria alla causa nazionale, che di giorno in giorno prende un carattere più serio ed allarmante.

– Rilevasi dalla Gazzetta di Modena che entro il prossimo venturo settembre, sarà in istato di essere aperto il tronco di ferrovia da Bologna a Marzabotto,e pel prossimo venturo maggio l'altro tronco in continuazione da Marza botto a Vergato. Si augurano più rapidi progressi di questa linea che dovendo congiungere il Mediterraneo all'Adriatico, ha tanta importanza pel regno italiano.

– Carteggio del Movimento. Civitavecchia,19 agosto.

Jeri col vapore delle Messaggeries s'imbarcarono per Malta il generale Glicher ed altri ufficiali napolitani. Decisamente sembra, che vogliano tentare l'annunziato sbarco in Sicilia: e qui dicono francamente che fra due mesi al più Francesco II risalirà sul trono.

– Scrivono alla Gazzetta dell'Umbria da Roma:

Lo spirito riformista si va sviluppando anche nel sacro collegio. Non pochi cardinali sono stanchi della situazione ed esternano opinioni che disgustano il Vaticano. Per controbilanciare questo partito il papa farà dieci cardinali nuovi, dei quali cinque saranno esteri, e cinque fra i più feroci prelati sanfedisti, per esempio un Quaglia, un Bedini, un Sacconi, un P. Mura, rettore della Sapienza e simili.

«Credo sia consiglio dell'arcivescovo di Fermo, che da Torino scrive a monsignor Fioramonti, di dire al papa di non farsi più illusioni, che tutto è finito, che è d'uopo faccia un qualche grande atto. Ogni speranza di conciliazione è finita; subiranno la situazione che gli verrà imposta. Ma sembra che non sarà poi tanto disgraziata, perché un cardinale diceva ieri l'altro ad un mio amico: e Non staremo poi tanto male quando si crede.»

Io credo che diverranno tutti santi Ermolao del buontempone; si potranno dedicare più comodamente alla vita parassita, quando non avranno altro pensiero che di mangiare e bere.

– Nella notte del 20 a 21, un grosso legno è comparso alle viste di porto d'Ascoli e ha scambiato con razzi molti segnali con alcuni complici che l'attendevano a terra. La guardia nazionale fu subito sull'armi, e spiegò il più grande entusiasmo per difendere il territorio italiano e la bandiera della libertà. Conviene credere che i traditori dell'interno, vista la mala parata, abbiano segnalato agli ospiti aspettati che tornava meglio riprendere il largo, infatti, nel mattino del 21, il naviglio dei congiurati si scorgeva in alto mare, a gran distanza dalla riva. Una cannoniera si è tosto messa in crociera tra S. Benedetto e Porto Fermo. Del resto, la nostra polizia conosceva già da un pezzo queste macchinazioni, e sorvegliava attentamente le coste. Si sa che la ridicola spedizione, la quale intendeva di parodiare la sublime e gloriosa del nostro Garibaldi, doveva partire da Trieste. Essa si componeva di Napoletani disertori dell'esercito italiano, i quali dai comitati clericali erano stati prima avviati verso quel porto per ordinarvisi e tenersi pronti alla grande impresa. Il legno che portava questi pseudo argonauti doveva avere al suo bordo parecchie migliaia di camicie rosse, destinate a camuffare le stolte plebi in falsi garibaldini, e rendere incerti i colpi del fucile italiano. L'Austria, da quella gran furba che è, avrà favorita l'impresa, non tanto per speranza di vederla riuscire, quanto per levarsi d'attorno questa canaglia, con cui ella stessa non osa contaminar le sue file, e mandarla difilata al macello. Lasciate fare adesso alla stampa retriva per allargare i contorni del quadro e invitare tutti i servitori del diritto divino a versare una lagrima sulla fallita crociata.

– Sulla terribile e miseranda catastrofe dei poveri soldati del 36.º reggimento di linea a Pontelandolfi, scrivono da Napoli all'Italie:

«Il povero tenente Caccia ed i suoi 39 soldati, accolti prima con bandiere tricolori, e poscia massacrati dai briganti di Pontelandolfi e di Casalduni, furono vendicati.

«I 350 bersaglieri del colonnello conte Negri, occuparono al passo di corsa e incendiarono, dopo una breve ma viva fucilata, i due villaggi. Si lamenta la morte di qualche innocente, ma i soldati perdettero il loro sangue freddo alla vista dei cadaveri dei loro compagni mutilati nella maniera la più oscena, e la testa del Caccia piantata su d'una croce. l briganti, prima di uccidere le loro vittime, loro avevano tagliata la mano destra, ad istigazione di un arciprete, il quale diceva che erano scomunicate le mani che avevano combattuto contro il papa; poscia avevano trascinato gli sventurati prigionieri a coda di cavallo, avevano loro cavati gli occhi, e li avevano abbruciati. La terribile pena inflitta per rappresaglia a Pontelandolfi si comprende adunque, se non si vuole scurarla.»

Noi non insinueremo alle prodi, quanto generose nostre truppe, soggiunge la Gazzetta militare, di imitare siffatta barbarie, ma chiederemo solo se la civiltà europea può permettere che in nome d'un papa, sedicente vicario di Dio, si commettano in questo secolo atti così nefandi, di cui non crediamo si trovino esempi neppure fra gli Irochesi, i Cafri e gli Ottentotti.

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– Michele Chevalier ha annunziato a Dublino il trattato di commercio tra Italia e Francia.

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CRONACA INTERNA

– Jersera comparve in S. Carlo il generale Cialdini, ed al suo primo apparire fu salutato da uno scoppio fragoroso e prolungato di applausi. In teatro c'era pure il ministro Peruzzi, il quale questa mattina si è recato al gran palazzo della posta; e dopo averne visitato attentamente tutte le officine, di alcune delle quali ha biasimato l'angustia ed il disordine, si è congratulato con gl'impiegati dell'ampio e regolare sviluppo che quell'amministrazione da qualche giorno va prendendo.

– Mercé la rigorosa attitudine delle autorità, gli sbandati si van presentando da per tutto, ed ove non si presentano vengono arrestati dai carabinieri. Da Napoli si mandano lodi agl'Intendenti di varii circondarii per le molte presentazioni che di recente sono ivi avvenute: noi invece troviamo in questo un argomento di biasimare quelle autorità: perché non han fatto prima quel che fanno ora? Ci volea tanto per ottenere da loro l'adempimento dei proprii doveri? Non sappiamo chi sieno quei signori Intendenti; ma certo appartengono alla schiera degl’impiegati nominati sotto il beato sistema della conciliazione, sotto il sistema cioè che sconoscendo il vero merito, favoriva i borbonici, i murattisti, gli schiamazzatori di piazza e gl'intriganti di qualunque specie.

– Ieri i carabinieri s'introdussero nelle prigioni di Castel Capuano a farvi una perquisizione. Vi rinvennero otto stili e quattordici coltelli.

– L'altro ieri per ordine del generale Pinelli nel cimitero di Nola furono fucilati Pasquale Napolitano, Angelo Panarelli e Carmine Simonelli, riconosciuti per individui della banda armata che la sera del 18 uccise in quelle vicinanze il milite Carmelo Gentile.

La mattina del 21 il Colonnello del 10° reggimento per ordine superiore ha sciolta e disarmata la Guardia Nazionale di Visciano, in circondario di No io, per sospetto di connivenza coi briganti; ora si pro cede ad una rigorosa istruzione di processo per ciascun milite. Anche la Guardia Nazionale di S. Egidio è stata sciolta e disarmata.

Presso Avellino la sera dell'altro ieri una comitiva di otto briganti ferirono il contadino Miche le Sicardi da cui pretendevano una grossa somma di denaro. Alle grida accorse immantinente la Guardia Nazionale di Valle, di Torretta e di Mercoliano che alle spalle dei fuggiaschi briganti fece una scarica di fucili. Ieri si è trovato il cadavere di un brigante ucciso nella fuga. Il 23, una banda respinta da ogni piccolo comune della provincia di Avellino si provò ad assalire il villaggio di Quadrelle, la Guardia Nazionale le oppose vivissima resistenza.

– A S. Giacomo nel circondario di Sala le Guardie Nazionali ieri vennero a conflitto con una comitiva di briganti, dei quali ne furono uccisi quattro e tre ne rimasero prigionieri. E a deplorarsi la morte di un sergente della Guardia Nazionale.

– La banda a cavallo che infesta il circondario di Melfi è ridotta a soli 15 briganti, dei quali la sera del 17 andante ne furono uccisi due dalla Guardia Nazionale di Maschito.

– In provincia di Foggia la banda di Minelli non fa altro che ricattare. I lancieri che perlustravano nel territorio di Serracapriola uccisero due briganti, in dosso ai quali si trovarono delle carte, che han cagionato l'arresto di parecchi cittadini creduti pacifici ed indifferenti. Sul Garcano si procede rigorosa mente all'arresto di tutti coloro che presero parte ai saccheggi di Vico e di Vieste. Fu pure arrestata presso Biccari la Colomba Quagliana, di cui i preti del Gargano voleano fare un'altra Giovanna d'Arco, ma che dai briganti fu sempre riguardata per quella prostituta che era.

– Anche dalle province di Benevento e di Molise ci pervengono buone nuove. A Benevento si sono presentati tutti gli sbandati di Padula e di S. Croce di Morcone. Nella provincia di Molise si procede rigorosamente all'arresto dei reazionarii: quelli di Monteciffone sono tutti arrestati.

– Negli Abruzzi gli sbandati eransi raccolti sulla Majella. Le truppe e le Guardie Nazionali circondarono quel gran monte, ed impedirono che vi salissero armenti e pastori. Gli sbandati presi dalla fame han dovuto arrendersi e sono stati tutti tradotti a l'escara, da dove saranno imbarcati.

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– Nostra corrispondenza da Campobasso.

Luigi Mainella uno di quei soldati fieramente borbonici, che ebber, cioè, prontissime le gambe alla fuga, la mano al saccheggio ed alla strage degli inermi e il cuore deturpato e rotto ad ogni maniera di nefandezza, al primo grido che si levò fra gli appassionati del buon tempo antico, di dover rimettere in trono il degnissimo rampollo del 1° e 2° Ferdinando a furia di rapine e di massacri civili, pieno di baldanza e col tripudio di chi spera arricchire e salire in fama di bravo e glorioso difensore dell'altare e del trono, si recò a far bella mostra di se tra i seguaci dell'onorando Cozzito. Ma ricevuta costui quella memorabile umiliazione di rimaner ferito e di veder caduti al suolo alquanti de'  suoi eroi dal cuor di leone, ed altri ir fuggiaschi a guisa di timidi e vilissimi conigli, per opera di soli 12 guardie nazionali di Vastogirardi, il Mainella tenendosi egli più abile e più fortunato nel poterla fare da generalissimo ed aver quando che sia l'onore e la singolarissima e dolcissima consolazione di dire all'adorato Padroncino: ecco io ti rimetto sul trono dei carnefici napoletani, con pochi della dispersa banda Cozzitto, fermò la sua dimora sulla natia montagna frosolonese. Quivi, raggiunta la sospirata meta di venir salutato capo de'  banditi, o a creder suo e dei goffi e turpissimi borbonici – capitano de patrioti veri indocili e intolleranti del gioco straniero quantunque onorato da buon numero della rispettabile canaglia che ripone ogni vanto e prodezza e gloria nello spogliare ed uccidere chi vuol lasciarsi spogliare ed uccidere, pure minacciato del continuo e bersagliato una volta dalle palle della valorosa G. N. del limitrofo comune di Civitanova, che perlustrava quei monti, non osò mai scendere a fatti positivi con tetto di metter le mani addosso a solinghi viandanti.

Ma sentendo di non poter più sostentar la vita, da quell'egregio buffon che era, si risolvette di raggiunger coi suoi le orde del Matese. Se non che, la notte di domenica 18 agosto, saputasi in Frosolone la pre sa determinazione di Capitan Mainella, 7 militi della Guardia N., ma di quelli che hanno per motto vincere o morire, e che diedero prova più volte di non mentire e di non aver per vanità prescelto così fatto motto, corse o volonterosi ad incontrare la non piccola schiera del saccheggiatori omicidi, e dopo di aver risposto con pochi colpi di moschetto al vivissimo fuoco che si ingegnavano di scaricar loro ad dosso i proscritti, con la baionetta li mettevano in piena rotta ferendone molti, e lasciando sul suolo freddo cadavere colui che si vantava l'invitto ed invincibile: il non mai compianto e lodato abbastanza Luigi Mainella. E perché il pubblico non ignori chi siano gl'intrepidi ed ardenti patrioti che fecer mo stra di tanto coraggio, valore ed abnegazione; e il governo nazionale li premii come giustamente faceva sperare, congratulandosi con esso loro, l'intendente d'Isernia Sig. Loquis, registriamo i loro nomi.

Domenico Prioletta Campaniello; Berardino Pacicco; Giuseppe Scacciavillano fu Donato; Giovanni Palangio fu Pasquale; Domenico Fazzana; Rosato Colaneri; Nicola Fazioli Tribunale.

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ERRATA CORRIGE

Nel Nº. di ieri al primo paragrafo della cronaca interna, ove è scritto con ridicola eccezione leggasi con ridicola unzione; e più sotto ove è scritto che non vogliono l'Italia, che vogliono l'autonomia, leggasi che vogliono l'Italia che non vogliono l'autonomia.




Anno I – N° 25 Napoli — Martedi 27 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

La Gazzetta Ufficiale del Regno pubblica due decreti che ci riguardano. Col primo si dispone che le merci straniere introdotte nei depositi delle dogane di Napoli e Palermo possano essere riesportate senza pagamento di diritti doganali, tranne il diritto di ostellaggio, e si dà facoltà al governo ad aprire simili depositi doganali in altri porti delle provincie meridionali. Col secondo si stabilisce una sede della banca nazionale in Napoli ed un'altra in Palermo, e delle succursali in Aquila, Bari, Catania, Catanzaro, Chieti, Cremona, Foggia, Messina, Pavia, Reggio di Calabria e Sassari.

Quando in Inghilterra il parlamento tace ed il ministero è un po' vacillante, la diplomazia si mette in movimento, la flotta prende il largo in varie direzioni, e si va a caccia di qualche fatto d'importanza che si possa presentare alla riapertura delle camere con plauso universale. Quindi non ei li maraviglia che alcuni giornali annunzino che lord Palmerston stia per lasciare il potere, quando vediamo Drummond Hay porsi mediatore fra Marrocco e Spagna, quando vediamo una flotta poderosa nelle acque del Tirreno offrire non richiesta il suo aiuto agl'italiani, quando corre voce che si sia domandato alla Francia lo sgombro di Roma. Certo sarebbe un bel colpo il presentarsi alla camera dei comuni coll'annunzio dell'occupazione di Tanger o dell'ultimo crollo dato al potere temporale. In mancanza di ciò, una piccola conquista nel Giappone non sarebbe da disprezzarsi, e già qualche passo si è dato con questo scopo.

Per noi, da qualunque lato ci venga il bene, non mancheremo di esser grati; ma ci dorrebbe che questa gara di venisse cagion di disturbo tra Francia ed Inghilterra. Già il telegrafo, che ci fece conoscere la richiesta dello sgombro li Roma, ci dice ora che la Francia domanda all'Inghilterra per qual motivo le sue navi stiano nel golfo di Napoli.

Se il telegrafo c'informa del vero, la risposta è facile dal r una parte e dall'altra, e le due potenze non avrebbero che a porsi d'accordo per lasciarci agire liberamente.

Dicevamo ieri delle lagnanze mosse dall'Economist pel contegno serbato dall'Inghilterra nella quistione di Ungheria. Ora siamo lieti di leggere nel Morning Post, organo di lord Palmerston, un articolo in cui è pienamente riconosciuta la ragione dell'Ungheria. Vi si nota come l'indirizzo di Deak dimostrasse false varie asserzioni del rescritto rea ie, e quindi esclama: «È veramente deplorevole vedere un e monarca abbassarsi al segno di entrare in dispute di tal genere collo stesso suo parlamento, affermando fatti e principii privi di ogni verità, ed essere quindi costretto a vedere combattuti i suoi argomenti e a ricevere lezioni di dritto costituzionale. Niente di così umiliante all'autorità a regia è mai avvenuto nella nostra storia, neppure ai tempi di Giacomo II.» Il detto giornale non vede altro mezzo per conservare l'integrità della monarchia austriaca che nel riconoscere il Consiglio dell'Impero a Vienna e la Deta d'Ungheria a Pest come due assemblee indipendenti fra loro ciascuna delle quali governi nei limiti dei suoi dominii.

Se questo consiglio fosse seguito, l'Austria dovrebbe rinunziare all'unitarismo, e non tarderebbe poi a vedere simili pretensioni da parte delle altre nazionalità comprese nel l'impero. Sicché anche il consiglio del Morning Post è uno di quei rimedi disperati che si propongono per mali estremi.

Si rinnovano le voci, e molti giornali le ripetono, di trattative proseguite dalla Francia per la cessione del Veneto. La Parie riportando tale notizia, vi aggiunge: «Senza smentire del tutto questa asserzione, possiamo assicurare che nulla, ci autorizza a crederla esatta.» Ecco rin responso sibillino che può dar luogo a molti commenti, ne lasciamo la cura ai nostri lettori.

Una corrispondenza da Parigi all'Independance Belge si versa sulla lettera autografa di Napoleone al Pontefice, e sull'altra che il Pontefice invia a Napoleone per mezzo di monsignor Nardi. Nella prima si segnalavano intrighi e fatti intollerabili che accadevano in Roma e di cui l'opinione pubblica in Francia si mostrava molto commossa, terminando collo sperare che Pio IX saprebbe far cessare uno stato di cose incompatibili colla presenza del vessillo francese in Roma.

Una lettera da Nuova Jorca al Debats in data del 7 corrente parla del motivo che ha potuto indurre il principe Napoleone al suo viaggio in America, dove ha pranzato con Lincoln ed ha visitato gli accampamenti sul Potomac. Alcuni giornali americani vogliono che il principe aspiri alla corona degli stati del mezzogiorno, e giungono a dire che la separazione di quegli stati sia opera dell'imperatrice di Francia, del papa e della regina di Spagna collegatisi tutti e tre per formare un regno ad uno dei principi detronizzati d'Italia. Non comprendiamo come seriamente si possano stampare cose di simil genere, che appena sarebbero comportabili nel Fischietto o nell'Arlecchino. Intanto il tele grafo ci annunzia, in data del 25 da Parigi, che il principe Napoleone, d'accordo coll'ambasciatore inglese, ha ottenuto una tregua fra le due parti belligeranti. Esso ci annunzia pure da Nuova Jorca, in data del 14, nuove sconfitte toccate dai federali.

Il 25 giugno si annunziava da Tamanariva (Madagascar) l'imminente morte di quella regina, e la guerra che ne seguirebbe per la successione tra il figlio e il nipote di lei.

L'UFFICIO TOPOGRAFICO DI NAPOLI

La stampa e i Deputati hanno principalmente la missione d'illuminare il paese facendo intendere l'utile vero della Nazione, e non accarezzando di troppo i pregiudizi e gli errori popolari. Disgraziatamente questo non avviene spesso appo noi che ancora i di versi partiti si calunniano a vicenda, senza cercare quelle oneste e leali discussioni, che tanto utile possano arrecare al paese.

Molti Deputati napoletani, forse memori troppo de gridi della piazza, si sono mostrati assai ingiustamente autonomi e municipali, e sono stati i soli Deputati che al primo Parlamento italiano siano apparsi troppo vaghi della spenta autonomia.

Si dice, ed a ragione, da’ Deputati di Napoli vogliamo strade e lavoro; ebbene, abbiatele, rispondesi, ma pe' lavori, per le strade ferrate convien pagare, convien porre nuove imposte, ed ecco a questo si alzano gridi spaventevoli e si protesta contro le imposte nuove. Si ripete ogni giorno, vogliamo l'arma mento; si risponde anche noi desideriamo armare il paese; or le provincie Napoletane per sodisfare ad ogni anticolor debito, debbono dare 36 mila reclute. Ed ecco all'annunzio di queste parole alzarsi un altro grido spaventevole, e quelli che prima volevano l armamento, affermano poi non dover dare Napoli i 36 mila soldati.

Si presenta un progetto per costruire un porto nel la Spezia, e i Deputati napoletani gridano ad alta vo ce, proponendo 12 porti nell'Adriatico e nel Tirreno. Si risponde a que’ porti si provvederà da qui a poco, oggi convien fare il necessario, voi avete avuto una gran rete di vie ferrate, nell'altra sessione legislativa dopo di avere fatti gli studii necessarii, vedremo a quali porti si dovrà porre mano nell’Italia meridionale. Ma tutto questo, ch'è esattamente giusto, non pare tale a parecchi Deputati del Napoletano.

Si propone all'approvazione del Parlamento la spesa di 500 mila lire per l'esposizione Nazionale che avrà luogo in Firenze, ed ecco sorgere Deputati napoletani a gridare che in Napoli vi è bisogno di pane e di lavoro, che a Firenze non si mangia e veste panni, e quindi biasimano il governo perché pensa a queste corbellerie.

Si approvano le ferrovie per l'Italia meridionale, ed una grande stazione che avrà sede in Napoli. Si progetta intanto di migliorare la stazione delle vie ferrate di Torino, e solo qualche Deputato napoletano si oppone a tutto questo. Vedete che giustizia e che logica municipale!

Si sopprime un'accademia in Napoli, e certo noi non approviamo il modo col quale il Segretario della Luogotenenza di Napoli compiva quel fatto, ma ella era argomento poi da levar tante grida? Un Deputato Napoletano si alza, e con rettorici colori dipinge il lutto della scienza per la spenta Accademia di Napoli, che chiama una delle prime in Europa, scordandosi che questa Accademia fondata per illustrare Pompei ed Ercolano dal 99 in qua, non ha trovato maniera di condurre a termine un solo volume.

Si riforma il collegio militare di Napoli, ed ecco sub to sorgere Deputati napoletani a protestare contro l ingiustizia. Si afferma che da quel collegio è uscita infinita schiera di guerrieri famosi, d'invitti eroi che i simili non si son visti. E pure tutti coloro che avevan pratica in quel collegio affermano che da 12 anni in quà tutta, l’opera de Borboni era stata volta a distruggere, ad annientare l'istruzione e lo spirito militare di quel collegio; ch'è troppo risaputo quanto odio portassero i borboni alla scienza e ad ogni civile progresso.

Domandiamo noi: è vero amore municipale questo che si manifesta ne' Deputati di Napoli, o invece è ingiusto amore del pregiudizii e degli errori popolari?

Giustizia vuole che si dica che il governo è stato molto cauto in distruggere o modificare quelle istituzioni che onoravano il paese e di questo ne sia chiara pruova l'Ufficio topografico di Napoli.

Con decreto de'  1 agosto è riordinato il nostro Ufficio topografico che fa parte dello stato maggiore; e gl'ingegneri, gli uffiziali, i disegnatori ed incisori che vi avean parte, sono stati considerati ed onorati secondo il loro valore.

Noi torneremo domani più particolarmente intorno a questo argomento.

NOSTRA CORRISPONDENZA PARTICULARE

Torino 25 agosto 1861.

Le lettere di Massimo d'Azeglio e del Senatore Matteucci si alternano e si moltiplicano maravigliosamente con poca soddisfazione del pubblico. Nessuno contesta i meriti dei due personaggi, ma tutti credono che questo incidente profitterà poco ad ambedue. Lo sciupio di professioni di fede che lo scrittore del Nicolò de Lapi, il distinto artista.

l'integerrimo cittadino fa, in contraddizione con qualche atto della sua vita politica e il gran dolore che il Matteucci vuol far apparire per l'avvenuto abuso della lettera confidenziale del suo amico, mentre non profitano al pubblico, non fanno che accrescere le tristi impressioni che si sono prodotte allora della prima lettera venuta in luce nelle colonne della Patrie. Dalla parte del Matteucci non si sa intendere come sia avvenuto l'abuso, dalla parte del d'Azeglio si capisce anche meno come in una lettera destinata a rimanere inedita si possa scrivere intorno alle proprie convinzioni l'opposto di ciò che se ne sarebbe detto in uno scritto destinato alla pubblicità. Se in questo affare può desiderarsi qualche cosa, è che la si finisca. Tanto il d'Azeglio che il Matteucci hanno diritto alla riconoscenza e alla riverenza d'Italia, non diluiscano le loro dignità in polemiche, ed in osservazioni poco concludenti e non dubitino che la coscienza pubblica, affidata al loro patriottismo, si ricorderà in ogni caso ed unicamente dei loro meriti.

In testa a quasi tutte le corrispondenze di Francia di questi ultimi giorni avrete letto un nome. Quello di Monsignor Nardi prelato domestico di S S. latore di un'autografa del Santo Padre a Napoleone III.

Come argomento di curiosità e per i gran successi a cui potrebbe riuscire questo prelato ambiziosissimo, non dubite che aggradirete i seguenti particolari che riguardano il suo carattere e la sua vita. Avendo avuto il pxxxxxx di conoscerlo personalmente posso informarvene con accuratezza.

Nato a Vazzola, nella provincia di Treviso Veneto, studiò nel seminario di Ceneda, fu professore nel ginnasio di S. Catterina a Venezia e quando ottenne d'essere nominato auditore di Rota, insegnava diritto Canonico e Statistica nella Università di Padova. Fin dai suoi a fini primi dimostrò una memoria straordinaria se non un ingegno profondissimo. Dello studio fu amante sempre. Studiare per ostentazione, oltreché per ambizione di comparire. Passeggiando, facendosi trarre in carrozza. a casa e fuori leggeva sempre. E, cosa non ordinaria, lo studio gli invigoriva la salute robustissima. Diceva le sue lezioni di statistica senza sussidio del testo in moltissimi casi e faceva strana pompa li memoria nel ricordare con precisione un infinità di cifre.

Espositore non inadorno, ma sopratutto faceto, sapeva far aggradire alla scolaresca anche le ghiacciate discipline dei canoni. La sua scuola era sempre frequentatissima. Motteggiatore arguto otteneva effetti sorprendenti con una parola; insomma era un tipo di professore per erudizione, per modi e per imponenza della persona. Pubblicò varii scritti e monografie. Il suo testo di diritto canonico ad uso dei suoi discepoli, la sua opera sulla Verità della Religione e i molti suoi scritti statistici gli ottennero dal governo austriaco in carichi speciali. Quando alla sua vita politica c'è da ridir molto. Nel 1848 le sue dimostrazioni patriottiche gli valsero la prigione, ma bisogna pur credere che qualche caso sia nato, perché al momento della ristaurazione austriaca egli fosse rimasto nel suo posto e si mostrasse poi sempre zelante propugnatore ed esecutore degli ordini che giunge vano da Vienna. Disposto a sagrificar tutto per satollare l'ambizione di salire, molto probabilmente egli non dubitò rinnegare anche la coscienza. Il fatto è che agli ultimi tempi egli era maleviso ed odiato da quanti amavano la patria. Se deve credersi alla vox populi il Professore abate Nardi era fin d'allora poco di buono. Quanto tutti se l'aspettavano meno e stavano a vedere qual fine avrebbero avute le manovre a cui si destreggiava nei suoi rapporti con Vienna egli fu nominato Uditore di Rota. Evidentemente da molti anni egli anelava alla capitale del mondo cattolico, e fu gran soddisfazione per lui l'esservi chiamato. Come fu a Roma si atteggiò a prete nel senso rigoroso della parola e poiché conosce e parla molte lingue ed aveva già benemeritato dalla setta con quel suo gesuitico barcamenare e coi suoi scritti, non tardò ad esser riconosciuto persona che poteva giovar molto. Di chinarsi e di baciare egli non ha fatta carestia, colse ogni occasione per mettersi in evidenza, iniziando la soscrizione per un monumento ai caduti pontificii di Castelfidardo, confutò in senso retrivo l'opuscolo Laguérroniere la Francia, Roma e l'Italia e così si cattivò l'opinione di quei tanti uomini di Roma; e salire lo vediamo.

Della sua vita privata molti aneddoti potrei raccontarvi, ma mi limiterò a due. A Padova egli frequentava la casa di una contessa P.... rispettabilissima persona. Una sera che l'abate si trovava solo colla signora si lasciò andare a qual che cosa di meno che onestissimo, perché la dama indignata trasse il campanello e come entrò il cameriere – il signor Professore desidera uscire, disse. E al signor Nardi, che in cuor suo bestemmiava la sua poca fortuna col gentil sesso, toccò uscire come un cane scottato. Tutto si seppe e si rise varii giorni del caso. L'abate tirava diritto come non si trattasse d'affar suo.

Un'altra volta in occasione d'un alterco avuto con un suo collega, l'attuale diplomatico del S. Padre si bevve senza molto scomporsi del prete la cui coscienza è da darsi ai cani. E così, sprezzando e irridendo tutto quanto non combinava co’ suoi interessi, egli salì dove lo vedete.

Qui a Torino nulla di nuovo. Il caldo insistente opprime tutti.

Il deputato Falconcini ha ricevuto incarico dal governo di recarsi con altri impiegati a ricevere dalle amministrazioni comunali e provinciali le notizie statistiche a cui si riferiva la circolare del ministro dell'interno sulle spese obbligatorie.

Si fanno mille diversi commenti a proposito del viaggio che il colonnello Trecchi aiutante di S. M. deve far a Caprera. I più credono che esso non debba avere importanza politica.

MICHELE CHEVALIER ED IL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Alla seconda seduta del congresso che si tiene in Dublino pel progresso della scienza sociale, il celebre economi sta francese Michele Chevalier ha pronunciato un magnifico discorso in cui sviluppa le teorie della libertà di commercio tendenti all'applicazione d'un sistema amministrativo e commerciale uniforme a tutti gli Stati d'Europa. La lunghezza di quel discorso non ci permette che di darne alcuni passi principali:

Non si potrà mai incoraggiare abbastanza il commercio internazionale, ha detto l'eminente oratore, perché aumenta la ricchezza e la prosperità delle Nazioni che vendono e di quelle che comprano. Questa opinione che si fa ogni giorno più potente, e che i governi cominciano ad adottare, dopo essere stata sepolta nei libri tanto tempo come destinata a divertire i dotti; quest'opinione non acquista tale autorità se non perché le Nazioni cambiano tra di loro di sentimenti, rinnegano gli odii antichi e si dispongono ad unirsi d'una stretta amicizia. La libertà di commercio dormirebbe se le classi superiori non sentissero la verità delle parole di Voltaire: Ogni guerra europea è una guerra civile.

«La libertà del commercio e dei cambi unisce i popoli perché dimostra loro quanto hanno bisogno gli uni degli altri. Il trattato di commercio tra la Francia e l'Inghilterra sarà vantaggioso a molti altri Stati, perché è destinato a portar la rivoluzione nel sistema doganale del mondo intero. Si cominciò già a conchiuderne uno simile tra la Francia ed il Belgio, e fra qualche settimana un altro sarà pronto tra la Francia e lo Zollverein, od almeno tra la Francia e la Prussia.

«Infine fra poco tempo senza dubbio vedremo una convenzione commerciale tra la Francia e quel giovane regno, chiamato a sì brillante avvenire, e che la nobile ed intelligente spada di Napoleone III e la patriottica perseveranza di Cavour hanno fatto sorgere dalla tomba d'Italia.»

Gli Stati legati assieme dai trattati internazionali forme ranno un centro di propaganda di liberi scambi che finirà col persuadere i più retrivi. Ma le modificazioni che si introducono nelle tariffe doganali d'Europa non sono che un primo passo verso un ideale di economia politica larga e liberale. L'opera elevata da tanti uomini eminenti in Francia ed in Inghilterra col trattato di commercio, non è finita; ci sono altre conquiste da fare, altri servigi da rendere al commercio.

Questo non sarà veramente libero sino a tanto che i pro dotti non arriveranno direttamente e senza ostacoli nelle mani dei compratori d'ogni paese, e che non si saranno modificate certe leggi, certi regolamenti ed usi antichi. Ciò renderebbe famigliare l'idea che lo straniero non è un nemico, ma un cliente che consuma i nostri prodotti. Egli si eleva contro la legge che rifiuta allo straniero il diritto di comperare delle terre. Queste dottrine non tendono a diminuire il vero patriottismo; perché Cicerone rendendo o maggio alla propria patria che egli chiamava il mondo, ama va quell'altra sua patria che chiamava Roma.

LA FLOTTA INGLESE A NAPOLI

– Leggesi nell'Opinion Nationale:

«L'arrivo della flotta inglese nel golfo di Napoli è oggetto di numerosi commenti. Questa flotta, dicesi, debba essere aumentata da altri bastimenti: essa presenterà allora un totale di 790 bocche da fuoco e andrà ad ormeggiarsi a Napoli, Castellammare e Baia.

«L'influenza inglese guadagna evidentemente terreno nel Regno d'Italia, da noi fondato sui campi di battaglia di Magenta e Solferino. Gli è un fatto che potrà bensì darci qualche rincrescimento, ma che il governo francese è padrone di far cessare quando esso lo vorrà.

«Noi scontentiamo, irritiamo l'Italia; l'Inghilterra mette a profitto le nostre incertezze ed i nostri sbagli. Essa adempie al compito suo, e la sua flotta, senza tirare una cannonata, guadagnerà su di noi una gran vittoria se proseguiamo a bordeggiare sterilmente fra il papa e la rivoluzione.

«Ci sarebbe tuttavia facile di conservare in Italia quella popolarità che siamo minacciati di perdere rimanendo più a lungo nella situazione intricata ove ci troviamo.

«Il richiamo delle nostre truppe trasformerebbe una situazione che si va guastando, e le nostre relazioni commerciali, rese più attive mercé la riforma delle tariffe doganali, rafforzerebbe l'alleanza per mezzo del potente vincolo degl’interessi industriali.»

LA FRANCIA A ROMA

– La Patrie pubblica un articolo intitolato: La Francia a Roma, nel quale s'argomenta di dimostrare che il richiamo delle truppe francesi da Roma nelle attuali circostanze avrebbe il triplo risultato d'indebolire la potenza morale della Francia, di compromettere il Papato, e d'abbandonare l'indipendenza italiana ad inevitabili pericoli.

Le ragioni che adduce la Patrie per dimostrare il suo assunto, hanno una tale debolezza che cadono da per se stesse.

Nel mentre che tutti i giornali della Francia non fanno altro, in ogni circostanza, che esortare il Governo francese al richiamo delle truppe da Roma, perché il soggiorno del le medesime nella città eterna, non fa altro che compro mettere l'onore e la dignità della Francia, donde mai la Patrie ravvisa essa un indebolimento della potenza morale della Francia, se questa lasciasse liberi gl'Italiani" a loro piacimento i fatti loro? I continui urti che avvengo no fra le autorità francesi e ponteficie, con scapito dell'onore della Francia, non sono essi motivi piucché sufficienti per indurre l'Imperatore ad abbandonare il potere tempo, raie del Papa al suo inevitabile destino? Questo potere non può più reggersi, per quanta protezione la Francia gli accordi; esso deve cadere, e inesorabilmente. (Corr. Merc.)

NOTIZIE STRANIERE

– Leggesi nella Patrie:

Alcuni giornali inglesi hanno annunciato che furono intrapresi dei negoziati per la cessione della Venezia al Regno d’Italia.

Senza smentire tutta affatto questa voce, noi possiamo assicurare che per ora non conosciamo nulla che ci autorizzi a crederla esatta.

Si è sparsa la voce, e una parte della stampa se ne è fatta l'eco, che l'Ambasciata francese a Roma sarebbe bentosto ridotta ad una semplice Legazione, e che il sig. Bourée sarebbe destinato a rimpiazzare il duca di Gramont. Questa notizia è completamente falsa, e noi possiamo smentirla formalmente.

In quanto concerne Bourée, egli è partito da Parigi, ma non va a Roma per rimpiazzare Gramont.

Non è ancora designato il diplomatico che avrebbe il posto di quest'ultimo, se fosse richiamato.

– Leggiamo nel Bollettino del Debats:

Gli affari d'Italia sono oggi più che mai quelli di Francia e d'Europa. Le buone o le cattive notizie che giungono da Torino o da Napoli hanno il loro inevitabile contraccolpo a Parigi, a Londra, a Vienna, a Berlino, a Pietroburgo. Nulla di più semplice di più naturale, e, possiamo aggiungere, nulla di più indifferente che i giornali ultramontani e legittimisti si sieno impossessati delle difficoltà sopraggiunte a Napoli per istruttarle nel senso dei loro desideri e delle speranze loro, perché è molto tempo che le violente declamazioni ed i sinistri presagi di questi giornali non hanno più il potere di turbare od inquietare; ma che un giornale che passa ancora per officioso, nullostante sia stato sconfessato tanto spesso dal Moniteur, che la Patrie, per chiamarlo col suo vero nome, si faccia da qualche giorno il portavoce del Monde, dell'Union e della Gazette de France, per commentare le notizie d'Italia sotto il punto di vista reazionario, per dipingere la situazione di Napoli con i più oscuri colori, e che ironicamente accusi il Constitutionnel di «impassibilità» (serènité), ecco quello che ci meraviglia e che ci sembra deplorabile; perché, non temiamo di dirlo, v'ha in ciò una causa di inquietudine per l'opinione pubblica. Assumendo simile atteggiamento, tenendo simile linguaggio, noi siamo d'avviso che la Patrie non segua che le sue particolari ispirazioni.

Le meraviglie del Debats le facciam finire noi annunziado che le corrispondenze che da Napoli vanno alla Patrie non sono compilate da altri che dal corrispondente dell'Union:

L'Opinion Nationale nella sua rivista politica, dice che il Regno di Napoli e l'italia non avrà pace se non se quando la bandiera di Vittorio Emanuele avrà rimpiazzata la francese sulle rive del Tevere. Che ne dice la Patrie che teme e per l'onore della Francia e per la sicurezza della nazionalità Italiana!

– Le voci circa il richiamo del signor de Gramont dal suo posto d'ambasciatore a Roma sono tuttora persistenti.

Erasi soggiunto che avverandosi il richiamo, l'ambasciata sarebbe trasformata in semplice legazione e affidata ad un incaricato d'affari, ma la Presse smentisce questa voce.

Quanto alla prima asserzione, quella del richiamo del signor de Gramont, ciò che potè richiamarla in vita si è che sembra affare deciso che il Sig. de Lavalette non tornerà più a Costantinopoli. Da ciò si è arguito che egli potrebbe scambiare quel posto con quello di Roma, mentre il signor di Gramont recherebbesi a Vienna ed il signor de Moustier a Costantinopoli.»

L'Indépendance dice che si parla sempre di un abboccamento di Napoleone III colla regina di Spagna.

– Il Mord dice che il Sultano nel mese di ottobre si propone di fare una visita all'Imperatore dei Francesi e alla Regina d'Inghilterra.

Varii giornali esteri hanno annunziato che il sig. Kisseleff, ambasciatore russo a Parigi, doveva essere cangiato.

Questa notizia è completamente inesatta.

– La Camera di Commercio della Francia, con lettera del Direttore delle Dogane in data 19 agosto, fu informata che fino a tanto che non si stipulino nuovi aggiustamenti per regolare le relazioni commerciali tra la Francia e il Regno d'Italia, il trattato di commercio del 1850 colla Sarde gna sarà esteso a tutte le parti dell'Italia riunite sotto lo scettro del Re Vittorio Emanuele.

– Scrivono da Parigi all'Independance:

Il ricevimento di Nardi al campo di Chalons mi fornisce l'occasione di ritornare sulla lettera autografa scritta dal l'Imperatore al Papa, tre settimane or sono, a proposito del dispiacevole incidente accaduto tra Merode e Goyon.

L'imperatore esponeva nei migliori termini al sovrano pontefice i sentimenti di rispetto ch'egli professa per il capo della Chiesa. S. M. enumerava i servigi che il governo francese era stato fortunato di poter rendere al governo pontificio, ed aggiungeva essere suo più fermo desiderio di poter continuare la protezione dei suoi soldati alla persona del Papa.

Nullameno la lettera verso la fine segnalava al sovrano pontefice gl'intrighi e i fatti intollerabili che succedevano a Roma, a sua insaputa, dei quali la pubblica opinione in Francia era molto commossa. L'Imperatore, esponendo que sto stato di cose, terminava la sua lettera esprimendo la speranza che Pio IX saprebbe far cessare uno stato di cose incompatibile colla presenza della bandiera francese a Roma, assicurando, in queste condizioni, la conservazione dello statu quo attuale.

Questa lettera può essere stata interpretata in differenti termini dagli uomini di partito; ma è evidente che, malgrado le attenuazioni della forma e le formole di devozione e di rispetto per il capo della Chiesa, essa ha un carattere eccessivamente minaccioso per l'autorità temporale del Papa, e che essa costituisce un mettere in mora di dover acconsentire ai reclami del governo francese, se la corte di Roma vuole conservare la protezione delle baionette francesi.

Checché ne sia, le pratiche di Monsig. Nardi e la lettera autografa di Pio IX accomoderanno ancora gli affari per qualche tempo, e tutto induce a credere che noi stiamo per traversare un periodo di statu quo in questa delicata quistione di Roma.

– Il Morning Post ha ricevuto dal suo corrispondente di Parigi il seguente dispaccio:

«Si sta attualmente negoziando un trattato di commercio fra lo Zollverein e l'Inghilterra.

«Il trattato concluso fra la Francia e l'Inghilterra dà occasione per rimodellare quasi tutti gli atti che regolano le relazioni commerciali fra i differenti Stati. «Non esiste alcuna difficoltà fra la Francia e l'Inghilterra intorno alla frontiera del Senegal.»

– I giornali inglesi annunziano il resultato della lotta elettorale che li preoccupava da alcuni giorni. Ciò che dava alla lotta un carattere particolare d'importanza e di vivacità, è ch'essa aveva per teatro il distretto meridionale di Lancashire, ove è situata la città di Manchester, centro e focolare del partito radicale. La vittoria è rimasta al candi dato tory, signor Turner, che ha definitivamente vinto il suo competitore liberale o piuttosto radicale signor Cheetham. Nella città stessa di Manchester, il signor Cheethana aveva ottenuto la maggioranza; ma gli altri collegi elettorali hanno fatto pendere la bilancia in favore del candidato Conservatore. (Debats)

– Nel banchetto tenuto recentemente a Dublino dal lord mayor, Lord Bronghan de Vaux, rispondendo ad un brindisi fatto in suo onore, fece una sorta di digressione sui vantaggi della pace. «Se la pace fosse rotta, disse, l'Inghilterra sarebbe la prima a soffrirne, e poi la Francia. Se vi so ino due paesi che hanno un interesse al mantenimento della pace, sono essi, perché nella pace possono essere della maggiore utilità l'uno per l'altro, e nella guerra farsi più male l'uno all'altro che alcun altro paese del mondo.

– Leggesi nell'Ost-Deutsche Post:

La pubblicazione del rescritto che doveva accompagnare il decreto di scioglimento della Dieta ungarica sembra dover subire qualche ritardo. Mentre ieri si sosteneva che giovedi verrebbe spedito a Pest, e venerdi sarebbe comuni cato alle due Camere del Consiglio dell'Impero, oggi sentiamo sollevare dei dubbi su questo proposito.

– Leggiamo nell'Opinion Nationale:

Grande è l'incertezza che regna a Pesth e forse non è minore a Vienna. Si parla del progetto che avrebbe concepito il governo di rimettere, dopo lo scioglimento della Dieta, le elezioni ad un tempo molto lontano, mentre che a termini della costituzione del 1848, devono aver luogo durante i tre mesi successivi. Tratterebbesi di dichiarare eziandio che il consiglio dell'impero, così com'è composto, e competente per tutta la monarchia.

Codesta pretesa sarebbe tanto esorbitante che non potremmo sul serio attribuirla al gabinetto di Vienna. Il signor di Schmerling volle dotare l'Austria di un governo costituzionale e parlamentare e le intenzioni che gli si attribuiscono sono la negazione stessa del sistema che vorrebbe far prevalere, perché tratterebbesi semplicemente di trasportare nel consiglio dell'impero l'antico regime assoluto e di affidare ai centralisti tedeschi il diritto di dettar leggi all'Ungheria, alla Croazia ed a tutti i paesi slavi dell'Austria.

– Il movimento della Polonia russa si estende e guadagna la Polonia prussiana, e l'austriaca. Lo spirito di resistenza, dice la Gazzella d'Augusta comincia a manifestarsi nel ducato di Posen, e i canti rivoluzionari risuonano in tutte le chiese, e in tutte le scuole. Nella Polonia austriaca, è stata celebrata la festa dell'imperatore dei francesi, i liberatore d'Italia, con illuminazioni e pubbliche dimostrazioni di gioia. La polizia ebbe a far molto. Furono arrestate le persone che avevano preso l'iniziativa di queste dimostrazioni.

NOTIZIE ITALIANE

– Pubblichiamo il Real decreto 18 corrente col quale la Banca Nazionale è autorizzata a stabilire due sedi, una a Napoli e l'altra a Palermo e parecchie succursali sia nelle meridionali, sia nelle settentrionali province.

Con questo decreto si provvede allo sviluppo del credito ed agl'interessi del commercio nazionale finché, radunato il Parlamento, si possa compier l'opera, autorizzando l'aumento del Capitale della Banca.

A nostri tempi le grandi quistioni politiche non si scompagnano dalle economiche e le rivoluzioni politiche più feconde sono quelle che meglio giovano agli interessi economici.

L'Italia divisa politicamente ed economicamente dee ora unirsi e congiungersi così nell'ordine politico come nell'economico, ed il decreto relativo alla Banca Nazionale considerato anche sotto questo aspetto, promette ottimi risultati. Esso è il seguente:

Art. 1. È approvata l'istituzione di una sede della Banca nazionale in ciascuna delle città di Napoli e di Palermo in conformità della dimanda fatta dal Consiglio superiore della Banca in rapporto alle deliberazioni degli azionisti del 12 novembre 1860, e 26 marzo 1861.

Quelle due sedi comincieranno le loro operazioni di commercio non più tardi del 1° novembre prossimo.

Art. 2. È parimente approvata in conformità della di manda che sopra l'instituzione di una succursale di detta Banca in ciascuna delle città di Aquila, Bari, Catania, Catanzaro, Chieti, Cremona, Foggia, Messina, Pavia, Reggio di Calabria e Sassari.

La succursale di Messina dovrà essere aperta al pubblico contemporaneamente alla sede di Palermo, e dal giorno di simile apertura decorrerà l'obbligo alla Banca di aprire in ciascuno dei mesi susseguenti una almeno delle altre succursali.

Art. 3. Ciascuna di dette sedi e succursali della Banca sarà retta secondo il disposto dell'art. 3 degli statuti della Banca approvati con decreto reale del 1° ottobre 1859.

Art. 4. Per l'occorrente aumento del capitale sociale della Banca sarà provveduto con legge; nella quale verrà pure stabilito il numero delle azioni della Banca per l'acquisto delle quali avranno la prelazione i capitalisti napolitani e siciliani.

– Sulla proposta del Ministro per la pubblica istruzione con decreto degli 11 agosto S. M. s'è degnato nommare Cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro l'egregio artista napolitano sig. Michele de Napoli, direttore del l'Istituto di Belle Arti di Napoli.

- La R. fregata Euridice, sulla quale sono imbarcati gli allievi delle Regie Scuole di Marina di Genova e di Napoli buona salute.

– Nei Capi-luoghi dipartimenti militari sarà nominato un Vice Quartier-Mastro, il quale sotto la diretta dipendenza dell'Ufficio d'Intendenza militare terrà le scritture dei crediti aperti, ed avrà in quanto agli acconti ai Corpi e Stabilimenti militari le attribuzioni stesse, che dal regolamento 15 dicembre 1852 sono assegnate al Quartier-Mastro per l'Armata.

Potrà similmente essere nominato un Vice Quartier Mastro in quelle Divisioni militari dove l'importanza del servi zio ne dimostri la necessità.

– Ieri son partiti 800 circa militari napoletani e briganti. I primi in num. di 550 circa vennero avviati nelle lande di San Maurizio ove se ne trovano già parecchie migliaia a far gli esercizi sotto il comando del generale De Cavero; gli altri, i quali partirono scortati, sono mandati a Fenestrelle per ivi venire istruiti sui doveri del soldato italiano, e disciplinati. Sentiamo che costoro lordarono i muri dei cameroni ove erano alloggiati d'iscrizioni turpi con un'ortografia chiavonesca, degne di loro e della causa che avevano preso a difendere.

– Scrivono da Torino, 22 agosto al Cittadino d'Asti:

Tre battaglioni di Bersaglieri sul Bolognese e molta parte del 3.º Corpo d'Armata ebbero ordine di tenersi pronti alla partenza da un momento all'altro. Quale sarà la loro destinazione? E che la linea del Po, verso la quale gli Austria ci vennero facendo in questi ultimi tempi movimenti notevoli, abbia bisogno d'essere più guardata? – E invece che pelle provincie napoletane s'abbisogni di maggiori forze per tentare qualche colpo decisivo? – Od infine, ciò che può essere anche più probabile, vuolsi dare il cambio a molte truppe le quali, recatesi nelle provincie napoletane appena dopo la campagna delle Marche, non ebbero dopo quasi mai più una settimana di riposo? Accenno tutte le eventualità possibili, che sono valevoli a di a spiegazione di quel movimento di truppe; ma cosa potete immaginare, lo faccio con tutta riserva perché non vorrei che dalle mie parole altri traesse argomento ad immaginare qualche affar grosso dove non è.

– La Monarchia Nazionale riporta una lettera del deputato Napoleone Scrugli, contrammiraglio. la quale fa conoscere un nuovo atto generoso di S. M. il Re:

Signor direttore

Gli atti magnanimi del Re inspirano nei popoli fiducia ed amore. Quello, che testé spontaneo nasceva dall'animo bello di re Vittorio Emanuele, mi spinge con sentita ammirazione a mostrarlo agl'Italiani perché, possano meglio conoscere ed amare chi avvicinato sinora non avesse il Re galantuomo, convincersene e sempre più apprezzare quelli che il conoscono.

Appena avuto il Re sentore che la signora Francesca Zumtobel, ottagenaria, vedova del tenente colonnello cav. de Mellot, antico commilitone savoiardo di Re Vittorio Emanuele I, si viveva in Napoli vita meschina, ha ordinato che dalla sua particolare borsa le fosse pagata la somma di mille lire italiane, incaricando me, che la conosceva, farle detta somma, con sicurezza, a lei pervenire.

Userebbe quindi, sig. direttore, a me somma grazia, al l'universale son certo, non lieve compiacimento, se col pregevole suo periodico volesse questa mia render pubblica.

Con sensi di alta stima riesce grato ripetermi Suo devotissimo servo

Deputato NAPOLEONE SCRUGLI.

Contrammiraglio.

– Il 1° del prossimo settembre sarà aperto il tronco di strada ferrata da Bologna a Forlì.

– Leggesi nel Corriere delle Marche:

Fino dallo scorso lunedi la nostra Guardia Nazionale ha intrapreso a perlustrare le campagne circostanti: a tale scopo una compagnia forte di un centinaio di uomini circa, si pone in viaggio sulle prime ore della notte, e rientra in città nel mattino seguente. Questo ulteriore servigio della Guardia Nazionale all'ordine pubblico, viene altamente ap prezzato da ogni classe di cittadini, che in essa scorge sempre più una delle più forti e benefiche istituzioni del governo, rappresentativo.

– Leggiamo nella Concordia di Girgenti:

Siamo in grado di poter annunziare, e lo facciamo con grandissimo piacere, che in gran parte de Comuni della nostra Provincia gli allistamenti per la leva sonosi già formati, e che negli altri vanno pur formandosi, senza alcun disturbo o al un inconveniente.

Ciò è dovuto per fermo al buon senso delle nostre popolazioni, alla loro docilità nell'obbedire alla legge, al loro attaccamento al nuovo ordine di cose. Tuttavia è debito nostro rendere in proposito i meritati elogi alla illuminata preveggenza dell'autorità superiore della Provincia, alla ben salutare efficacia de'  Consiglieri di Governo che trovansi in giro, non che da ultimo all'operosa solerzia delle autorità locali.

– Ci scrivono da Venezia 20 agosto:

L'altra sera per festeggiare il natalizio dell'imperatore, il governo voleva far percorrere il gran canale dalla musica militare in una gran barca addobbata ed illuminata. Ordini furono emanati perché quali astri minori seguissero il maggiore, a tre barche inferiori cioè le gondole degli impiegati, dei militari, della polizia, molte delle quali da essa a ciò noleggiate e riempite di spie, perlustratori, gendarmi tra vestiti, ecc. Nè mancarono gli avvisi d'intervenire, alle numerose famiglie straniere che qui soggiornano.

ll corteo partì dagli approdi della piazzetta, ma giunto presso al ponte di ferro, mentre d'intorno s'udivano sonori fischi, e succedeva un getto non di coriandoli ma di frutta marcie, ed anche di qualche pezzo di mattone sopra quello stu lo di imperiali gondole, non si sa come, furono tagliate le funi colle quali la gran barca era unita ad un vaporetto che la rimorchiava, e siccome coll'aiuto di questo saliva contro corrente, fu trascinata indietro dalla corrente del l'acqua, percorrendo così suo malgrado, e con furia incomposta lunghissima via.

Non saprei descrivervi la confusione prodotta dall'inaspettato evento in quelle gondole affollate intorno alla gran barca, la quale andò a terminare la sua precipitosa corsa poco lungi dai giardini di Castello.

– La Gazzetta del Popolo ha il seguente cenno sulla Camorra:

È noto che la Camorra esisteva su vasta scala nell'esercito borbonico, e contribuiva potentemente ad accrescerne la demoralizzazione. Per ciò non è da stupire se dovendo richiamare sotto le armi una parte di quell'esercito, non si possa evitare nella folla dei soldati l'introduzione di qualche Camorrista.

Si deve bensì raccomandare vilissimamente a tutti i superiori militari d'essere inesorabili su questo punto, affinché la peste della Camorra non acquisti per cosi dire la cittadinanza anche nell'esercito italiano.

Si dirà forse che questa nostra apprensione è affatto gratuita, perché il carattere dei soldati settentrionali basterebbe da sé solo a rendere impossibile una tanta pernicie.

Ma se ciò è vero in gran parte, non lo sarebbe poi intieramente, se non vi concorre la più attiva e rigorosa vigilanza dei superiori.

Sappiamo d’un ospedale militare dove una dozzina di soldati e bass'uffiziali napolitani erano già riusciti a stabilire un principio di Camorra, ed anche alcuni de’ nostri settentrionali s'erano lasciati imporre per modo che se tal volta giuocavano, chi guadagnava pagava il tributo al Camorrista precisamente come a Napoli!

Dicesi che un soldato toscano fosse il primo che non volesse saperne di rassegnarsi a questa tirannide settaria di bassa sfera, e i superiori avvertiti poterono prendere i provvedimenti opportuni ad impedire d'ora in poi la ripetizione di simili scene.

Intanto qualche tentativo di Camorra avea già potuto aver luogo, e questo è grave, perché assolutamente bisogna che il nostro esercito vada immune da quella peste.

Nessuna vigilanza di superiori, nessun rigore di legge sarà mai soverchio in questo intendimento.

CRONACA INTERNA

– E’ prossimo a pubblicarsi il decreto della leva per le provincie napolitane.

Corre voce che quanto prima sarà soppresso il Dicastero di Polizia a Napoli, e che vi rimarrà nna sola direzione affidata ai Generale Arnulfo.

Dicesi che il cor. Strada vada governatore a Foggia, di dove il conte di Bordesone sarebbe trasferito a Bergamo.

– S. M. il Re ha accettata la demissione del conte Gerolamo Cantelli. E noto come egli non avesse a Napoli un ufficio speciale, ma fosse unicamente destinato presso il luogotenente per coadiuvarlo nella parte amministrativa. Questo incarico è stato affidato ora temporaneamente al cav. Visone, intendente generale di Piacenza, il quale però conserva il suo posto. (Opinione)

– Tutto quel finimondo che il corrispondente dei Popolo d'Italia un mese fa preconizzava da Catanzaro non si è poi verificato. Cotal corrispondente, innamorato forse dalla lettura di quei giornali che trattano la politica con lo stile or dell'Apocalissi ed ora delle Lamentazioni, volle anch'egli provarsi a farla da profeta minore, non curando che quelle frasi poetiche calunniavano le popolazioni delle Calabrie, e mantenevano vive le speranze dei reazionarii. Le insurrezioni delle Calabrie sono rimaste nella fantasia del corrispondente del Popolo d'Italia, e le poche comitive di briganti non han mai preso aspetto politico. Non è a dirsi poi con quante unanime entusiasmo quelle Guardie Nazionali si son mostrate pronte a reprimere le mene di pochi, e con quanta prestezza si sieno colà organizzate molte compagnie di Guardie Mobili. Sul momento arriva la notizia che la Guardia Nazionale di Reggio comandata dal valoroso Mandalari, dopo due ore di combattimento presso Laureana ha interamente disfatta una di quelle comitive, prendendo prigioniere il capo.

Nei giorni del disordine, quando tutti i nuovi leviti, servendoci delle belle parole di D'Azeglio, avean trasportato a Napoli le loro mobili tende, il cosidetto inno di Garibaldi fu adottato dai mestatori per simbolo d'anarchia e per motto di ribellione. In tal guisa fu facile incolpare come nemici di Garibaldi tutti coloro che aveano il dovere di reprimere ogni anarchico movimento. Ma quei tempi non poteano durare: la luce è fatta, e l'inno di Garibaldi è rima sto fra noi come la più cara memoria. Chi ora non si sente palpitare il cuore a quelle note è un borbonico, un austriaco; e tale dev'essere il Liebler, direttore del privato istituto messo nel palazzo Calabritto: egli ha impedito ai giovanetti affidati alle sue cure di suonare e cantare l'inno di Garibaldi. Si faccia sapere al sig. Liebler che se egli è un tedesco, i giovanetti che educa sono italiani.

Tutti i giornali secondo le loro vedute speciali hanno dato un giudizio intorno ai decreti di Grazia e Giustizia ultimamente pubblicati nel giornale Ufficiale di Napoli, il Popolo d'Italia è andato oltre. Ha voluto fare delle osservazioni intorno ai Signori Volpicelli, e Tenore quali consiglieri del Segretario Generale del Dicastero di Grazia e Giustizia: noi abbiamo sempre stimati come buoni patriotti, onesti ed! da chicchessia in fatto di tanto interesse. La memoria del testé defunto cav. Tenore è troppo cara all'Italia anzi all'Europa intiera da poter meritare il biasimo del Popolo d'Italia: l'illustre botanico è morto Senatore del Regno d'Italia, rimpianto da tutti i buoni e tutta la stampa ha mostrato il dolore per la perdita di un tanto uomo.

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L'egregio signor Annibale Ranuzzi governatore di Chieti ha indiretto ai Chietini le seguenti nobili parole, le quali son ben meritate da quella popolazione, che ha mostrato dal tempo della rivoluzione finora tanto patriottismo e tanta energica nell'armamento contro il brigantaggio.

ABITANTI DELLA PROVINCIA DI CHIETI

Il Governo del Re mi chiama ad un'opera che mette alla prova le forze mie.

Assumo l'arduo ufficio di Governatore di questa Provincia, e vengo fra Voi coll'animo di consacrarmi ai vostri bisogni e ai vostri interessi.

So di affidarmi ad un popolo del quale mi sono noti gli spiriti generosi e il carattere aperto. Io ne invoco da questo momento la fiducia e il concorso.

Ad un governo che sa e vuole fondarsi sulla giustizia e sull'onore, non può fallire lo scopo. Voi lo seconderete, ne son certo, nei salutari divisamenti, e nei forti propositi.

Sarebbe il primo esempio nella storia che ad un Potere il quale si inspiri a così nobili principii, venisse meno il suffragio della coscienza pubblica.

Questo suffragio che le terre meridionali offrivano già spontaneo ed universale, mi è caparra di ciò che io posso aspettarmi da Voi, mi assicura del bene che noi potremo compiere insieme.

ABRUZZESI

Le tradizioni della libertà sono antiche fra Voi che la rendeste sacra per solenni prove e per augusti sacrifizi. La patria che non dimentica, ricorda pure i vostri sforzi, quando noi italiani divisi nelle opere, uniti solo nelle comuni sventure, potemmo finalmente risorgere, stretti ad un patto e ad una bandiera, attorno a quella gloriosa dinastia di Savoja, cui Iddio la manifestamente affidata l'impresa dell'italiano riscatto.

Di tal guisa le generose speranze di un tempo costituiscono in oggi una luminosa realtà; e le generazioni pronte a succedersi nell'avvenire benediranno il nome intemerato del Principe che avrà per sé la gloria imperitura di avere loro assicurato il patrimonio più sacro di un popolo, l'indipendenza e la unità nazionale.

Chieti, ii 21 agosto 1861.

Il Governatore

ANNIBALE RANUZZI.

L'AMICO DELLE SCUOLE POPOLARI

Togliamo dalla Libera Parola giornale Torinese il seguente brano con cui quell'accreditato periodico giudica e raccomanda al pubblico il giornaletto ebdomadario che noi pure giudicammo favorevolmente e raccomandammo a nostri lettori.

L'amico delle scuole popolari è il titolo di un giornaletto ebdomadario che da poco tempo si pubblica in Napoli. Chi conosce lo stato deplorabile della istruzione primaria nelle provincie meridionali sotto i cessati governi, sa quanto sia il bisogno di tutto creare colà sotto questo riguardo, e, per poco si rifletta che le inveterate abitudini sono difficili a sradicare, è facile a comprendere quanti ostacoli vi siano a superare. e quanti pregiudizi da combattere.

Il governo aprì una scuola magistrale, chiamando a dirigerla valenti e zelanti professori; e fece bene. Il governo con poco ragionevole precipitazione nominò una turba di ispettori, ignari affatto la maggior parte d'ogni metodo pedagogico; e fece male.

Ispettori e maestri però concorsero volonterosi alle lezioni loro impartite da professori provetti nell'insegnamento magistrale, ed è a sperare che le scuole popolari si diffonderanno e prospereranno nelle province meridionali e centrali d'Italia nostra, come già sono ovunque diffuse e prosperano nelle settentrionali.

Dopo il glorioso passaggio di Garibaldi che chiamava a libertà quelle provincie, sorsero in Sicilia e nel napoletano a migliaia i giornali politici, che con maggiore o minor enfasi giudicano di tutto e di tutti; ma nessuno, a nostro giudizio, può riuscire a fare tutto il bene che ridonderà dall’opera modesta e quasi ignorata dell'Amico delle scuole popolari, il quale seguendo la via tenuta nelle antiche provincie dall'istitutore, riuscirà ad agevolare moltissimo l'opera degli insegnamenti primari, alla quale in grandissima parte è affidato il compito di far apprezzare il nuovo ordine di cose a quelle popolazioni che non devono più ricordarsi delle immoralità dei cessati governi, se non per abborrirle e renderle impossibili in avvenire.

Dai primi numeri che abbiamo sott'occhio di questo ottimo giornaletto bene auguriamo dei progressi che farà, e facciamo voto perché abbia ovunque a maggior possibile diffusione.

Dall'Aporti riceviamo il seguente giudizio intorno lo stesso giornale:

Anche in Napoli si è risvegliato un movimento negli stu di pedagogici. Oltre non pochi altri giornali, che vi si rivolgono in tutte le occasioni, l'amico delle scuole del popolo di recente fondato, è una bella pruova di quanto amore regni in Napoli per siffatto studio. Gli ultimi numeri ci fan comprendere ciò che attualmente si sta facendo in quelle contrade, abbandonate per si luogo tempo all'ignoranza a Par delle nostre, onde la istruzione elementare mercé le scuole magistrali stabilite in ogni provincia, e col moltiplicarsi ovunque le scuole serotine, e gli asili infantili.

Noi auguriamo che in tutta la penisola crescano sempre più di numero questi giornali che insieme col governo devono collaborare all'intero risorgimento intellettuale e morale degl'italiani. Auguriamo che i più grandi intelletti, come già parecchi hanno fatto, si alzino sempre più scendendo ai fanciulli ed al popolo; si alzino diciamo, perché questo è alzarsi davvero, misurandosi la gloria della scienza dalla utilità che produce. Dai grandi combattimenti politici è grandezza maggiore scendere sull'arena della popolare educazione, perché ivi al lampo dell'ingegno va commista la pura, la gentile fiamma del cuore. Milton, dopo di aver com battuto per la repubblica, dopo di aver propugnato ne suoi scritti politici i più grandi principii della libertà, si accerchiava di fanciulli, con amore educavali, e per essi scriveva; in queste ore forse meglio che tra la le lotte della patria, si temprava il suo ingegno; e certamente, di più serene gioie s'allegrava il suo cuore.




Anno I – N° 26 Napoli — Mercoledi 28 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

I nostri lettori ci condoneranno d'intrattenerci un poco sull'articolo della Patrie, a cui non ci pare che il Corriere Mercantile abbia risposto per le consonanze. Dice quel malaugurato articolo che in questo momento che bande d'insorti percorrono le provincie meridionali mal si consiglierebbe alla Francia di riguardare come sciolte le difficoltà italiane. Or noi non vogliamo alcerto che le riguardi come sciolte, ma che le sciolga, o per meglio dire che ce le lasci sciogliere colla partenza delle sue truppe. Dice che la partenza di quelle truppe sarebbe il segnale di più funeste agitazioni. Noi crediamo al contrario che essa le farebbe al tutto cessare. Donde hanno origine tali agitazioni? Dov'è il quartier generale dei briganti? Forse la sola Patrie l'ignora. Forse essa sola non conosce che da Roma vengono alle bande i capi, il denaro, la gente, le armi. Disseccata la fonte, i rivoli che ne derivano sarebbero presto esausti.

Col partir delle truppe francesi, resti se vuole il pontefice, non resteranno certo un sol minuto i Borboni e i borbonici, gli Antonelli e gli antonelliani. Donde dunque prenderebbero le mosse coteste sognate più funeste agitazioni?

Davvero che lo scrittore di quell'articolo non avea seco nel mo mento dello scrivere il senso comune. E come mai la partenza delle truppe francesi da Roma abbandonerebbe l'Italia al movimento rivoluzionario e aprirebbe i consigli del re ai partiti estremi? O questo è un altro sogno, o non com prendiamo che cosa si voglia dire la Patrie. Il movimento rivoluzionario che avrebbe luogo a Roma, partendo i Francesi, sarebbe quello stesso che ebbe luogo nell'Emilia, nel la Toscana, nelle Due Sicilie: i popoli con libero voto si unirebbero al Regno d'Italia, e l'Italia avrebbe la sua capitale; i partiti estremi, che già non osano levar la testa che in qualche giornale o nelle bande dei briganti, ne sarebbero ridotti a perfetta impotenza. Vero è quel che segue dicendo la Patrie, che quella partenza esporrebbe il papato nel suo potere politico ad una certa rovina, che la Francia dee prevenire per non aver poi a ripararla. Ma questa appunto e la quistione: è il potere politico del papato che non dee più sussistere, né la Francia ha obbligo di prevenirne la rovina, come non avrebbe certo il dovere di ripararla. Se la Patrie vuol discendere in questo campo, se vuol difendere il potere politico o temporale del papa, passando nelle file dei giornali clericali, lo faccia pure, ma allora dovrà confutare quanto finora si è scritto su questo argomento e che ormai e penetrato nella coscienza di tutti gl'Italiani. Non ci pare che l'impresa sia facile. Più facile è l'asserire, come fa la Patrie, contro ogni legge di senso comune, che la Francia rimanendo a Roma protegga l'Italia contro le fazioni che l’agitano. Noi asseriamo invece che la permanenza delle truppe francesi in Roma protegge di fatto contro l'Italia le fazioni che l'agitano.

Ed una di tali fazioni avrà finito omai di far variazioni sul tema della cessione della Sardegna, che finora le è servito come arma di opposizione. La smentita che ne reca il telegrafo come fatta dal Moniteur, è così chiara, esplicita e categorica, da non lasciar più luogo a dubbio alcuno. Es sa dice che non solo non esiste convenzione alcuna intorno a tale cessione, ma nemmeno l'idea di entrare in alcuna trattativa su tal proposito venne mai al governo imperiale. E pure tale è la caparbietà di taluni oppositori, che non ci farebbe maraviglia di veder di innovo messa in campo la storiella del progetto trovato da Ricasoli fra le carte di Cavour e della comunicazione datane a sir Hudson. E perché costoro non dovranno credere, anziché al Moniteur organo officiale del governo francese, al sig. Roebuck così tenero dell'alleanza Anglo-tedesca.

Intorno a questa alleanza in modo assai diverso la pensa l'Ost-Deutsche Post, il quale sebbene creda che il brigantaggio di Napoli sia utile all'Austria perché le dà tempo di farsi degli alleati, non crede gran fatto che fra questi si possa ancora trovar l'Inghilterra, argomentandolo dall'assenza di ogni ministro alla festa data in onore dell'arciduca Massimiliano. Aggiunge che il governo inglese non ha ora dismessa la sua diffidenza verso l'Austria, e ci pare che dia nel segno, quando aggiunge che fra l’Inghilterra e l'Austria sia la quistione italiana. Tutte le speranze di quel giornale per questo riguardo stanno in un cangiamento di ministero che rimovesse lord Palmerston dal potere. «Intanto, conchiude, dobbiamo limitarci a noi stessi; dobbiamo riporre le nostre speranze non nelle straniere alleanze, bensì in noi stessi, nel nostro popolo.» E noi ci contenteremo di domandare: Dov'è questo suo popolo in cui l'Austria dee riporre ogni speranza? Ma non tarda a contraddirsi quando poi parla dell'accordo intero che esiste tra i gabinetti di Vienna e di Berli no, e di un prossimo abboccamento fra i due sovrani, al l'occasione del quale «l'Alemagna tutta vedrà con sodisfazione ristabilirsi sulla base di una libertà costituzionale quel cordiale accordo che è sussistito per sì lungo tempo fra i due monarchi assoluti dei due stati.» Adunque secondo l'Ost-Deutsche Post un accordo che ora già esiste nella sua interezza, sta poi sul punto di ristabilirsi!

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L'UFFICIO TOPOGRAFICO DI NAPOLI

L'ufficio topografico di Napoli (che come ognun sa avea il carico di far le carte geografiche e topografiche del Regno) ebbe in tutti i tempi dotti ingegneri topografi che resero importanti servigi ed onorarono la scienza. Ma i borboni che reputavano lor gloria unica premiare gli sgherri, non solo non migliorarono mai la condizione degl'ingegneri addetti all'ufficio topografico, ma per l'odio grande che portarono alla scienza sotto qualunque forma si manifestasse, li disprezzarono insultandoli.

Il professore di geodesia che dovea esser sempre un uomo chiarissimo e che non potea pervenire a quel posto senza essere già molto innanzi negli anni, logoro da pazienti e laboriosi studii, avea appena il mensuale soldo di ducati 50, che con le ritenute veniva poi anche meno. Gl'ingegneri di prima classe avean 40 ducati al mese; quelli di seconda 38, quelli di terza 18. Nella stessa guisa erano pagati gl'incisori ed i disegnatori, e il numeroso personale de'  contabili avea una così tenue mercede che non si sarebbe data al più umile inserviente.

Riordinato l'ufficio con decreto del 4 agosto, e addivenuto parte dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, diviso in due sezioni, gli uffiziali del Genio e i giovani ingegneri hanno avuto il grado di uffiziali nello stato maggiore; di più è istituito temporanea mente un corpo d'ingegneri geografi dello stato maggiore, in cui son compresi tutti coloro che non han potuto prendere parte attiva nell'esercito.

Perché si vegga con maggior chiarezza il disegno che ha avuto il ministro della guerra nel riordinare l'ufficio topografico, ci piace riportare la relazione che precede il decreto.

SIRE!

tra le istituzioni speciali che esistevano nel ramo di guerra dell'ex Governo delle Due Sicilie e per le quali non si è ancora provvisto alla regolare loro ammissione nell'ordinamento dell'Esercito italiano, si annovera l'Ufficio Topografico di Napoli, il quale, sotto la dipendenza e direzione del Corpo del Genio e con una costituzione tutt'affatto particolare, attende ai lavori che concernono la formazione e pubblicazione delle carte di quel Regno e lo arricchì in passato di molte opere assai pregevoli.

L'utilità di un provvedimento non era certamente meno sentita in questo ramo di servizio che in molti altri pei quali il Dicastero di guerra ha già sottoposto all'Augusta firma di V. M. le disposizioni di un parziale riordinamento, che anzi Essa rivestiva caratteri di maggiore urgenza ancora dalla specialità degli incarichi e dalla importanza dei lavori che gli vengono affidati, i quali sono del massimo interesse non meno per l'Amministrazione della guerra che per tutte le altre Amministrazioni del Regno, Se non che volendo procedere in simile bisogna con quella maturità di consiglio che il Governo ha sempre cercato di associare alle disposizioni legislative che debbono condur re alla desiderata unificazione del Regno, pur rispettando le utili istituzioni delle singole frazioni d'Italia, era d'uopo anzitutto di assumere le più minute informazioni sull'ordinamento, sul modo di funzionare e sui lavori in corso nel l'Ufficio Topografico di Napoli, e sentire gli uomini competenti in materia, onde vedere quale miglior via fosse a seguire per conservare dell'antica istituzione le parti veramente lodevoli e coordinarle col sistema vigente nelle antiche provincie per questo servizio.

Il riferente continuando le pratiche già iniziate dal suo predecessore, il quale affidava al riguardo una missione speciale in Napoli al Generale Capo dell'Ufficio Superiore dello Stato-Maggiore,trovasi ora in grado di sottoporre alla Reale firma una serie di disposizioni che, a suo credere, raggiungono il desiderato scopo, e spera che la M. V. accordando le la Sovrana sua sanzione soddisferà non meno alle esigenze di un importante ramo di servizio che all'aspettazione del pubblico nelle provincie meridionali, dove l'Ufficio Topografico è giustamente tenuto in molta considerazione per i lavori pregevoli eseguiti e che sta eseguendo a vantaggio di tutti i pubblici servizi.

L'attuale Ufficio Topografico in Napoli consta essenzialmente di un personale militare direttivo appartenente al Corpo del Genio, di un personale civile facoltativo composto di ingegneri, di un personale artistico composto di disegnatori e incisori, di un personale amministrativo composto di contabili, e in ultimo di operai addetti alle officine.

Chiamando l'Istituto a far parte dell'Ufficio di Stato Maggiore, ma quale sezione separata in Napoli, e destinando ai vari impieghi stabiliti nella pianta organica del primo gli individui che hanno comuni coi suoi personali le attribuzioni ed il servizio, quali appunto sono i disegnatori e incisori, non si fa che uniformare i nuovi provvedimenti al gran principio unificatore che è base dell'ordinamento generale del nuovo Regno, mentre si assicurano ad un tempo agli individui stessi rilevanti vantaggi pecuniari quali si chiariscono nel confronto dell'antico col nuovo stipendio; quindi per questa parte il Decreto è giustificato dalla natura istessa del servizio che si vuol riordinare e dall'interesse degli impiegati al medesimo addetti.

Non così agevole per contro era di provvedere con eguale regolarità di forma al collocamento del personale addetto all'Ufficio Topografico che non trova il suo posto corrispondente nella pianta organica dello Stato-Maggiore, quali appunto sono nell'ordine facoltativo il professore di geodosia e gli ingegneri; nell'ordine amministrativo i contabili.

E’ evidente infatti che se il professore e ingegneri oradetti possiedono un'istruzione scientifica eguale a quella degli uffiziali di Stato-Maggiore cui sono affidate nelle antiche provincie le operazioni geodetiche e topografiche sul terreno, i calcoli relativi, ecc., non hanno però né le cognizioni militari, né i titoli richiesti dalla Legge sull'avanzamento degli uffiziali per esser ammessi nel Corpo di Stato Maggiore col grado che loro competerebbe per anzianità di servizio.

È evidente in secondo luogo poi che i contabili non troverebbero collocamento alcuno nello Stato Maggiore perché non esistono in pianta simili cariche.

E siccome per altra parte è indispensabile di conservare entrambi questi personali all'Ufficio Topografico di Napoli, sia per assicurargli i mezzi di adempiere al suo incarico, sia anche per non privare d'impieghi molti individui che si segnalarono per passati servizi, così si doveva necessariamente istituire, almeno in via temporaria, due categorie d'impieghi per far posto a simili individui, assegnando al personale facoltativo su quello artistico e contabile dello Stabilimento una superiorità che è dovuta alle sue cognizioni ed alla specialità del servizio e migliorando per tutti la condizione pecuniaria. A questo scopo provvedono gli articoli successivi del Decreto, 1, 5, 6, ove si dispone per l'aumento ai quadri dell'Ufficio Superiore di Stato-Maggiore di un personale di ingegneri topografi, di un altro di contabili stipendiati come attualmente, il primo sul Bilancio dello Stato ed il secondo sui proventi dello stabilimento, destinati però sia l'uno che l'altro di questi due personali a non essere rifornito con nuove nomine, ma bensì ad estinguersi col cessare degli attuali titolari onde lxxxxxione venga progressivamente a confondersi con quella croata dal Decreto organico 24 gennaio 1861.

Importando da ultimo che nulla sia alterato, almeno fino a miglior epoca, in ordine al modo di funzionare all'Ufficio stesso, al suo interno ordinamento onde si trovi in grado di continuare i lavori intrapresi e prestare al pubblico i servizi che gli ha reso in passato, specialmente colla sua stamperia e tipografia, diviene indispensabile di conservare in via transitoria il sistema e amministrazione ivi esistente abbenché differisca essenzialmente da quello dell'Ufficio superiore di Torino, ed a ciò provvedono gli articoli 7, 8, 9, 10, 11.

Quando la M. V. sia per riconoscere l'opportunità dei vari provvedimenti che si vennero segnalando per la riunione dell'Ufficio Topografico di Napoli al Corpo di Stato Maggiore dell'esercito, il riferente la pregherebbe di apporre la Reale Sua firma al presente Decreto.

Onde si vegga la differenza dei soldi dall'antico al nuovo organico, basta solo il riferire un articolo del decreto. Il professore di geodesia ha secondo il nuovo organico lo stipendio annuo di 4600 lire, e 10 d'indennità giornaliera di campagna, l'ingegnere geografo di prima classe 4000 lire all'anno, e 7 al giorno d'indennità di campagna, quelli di 3a 3000 II all'anno e 7 al giorno d'indennità di campagna.

Gl’incisori e i disegnatori e i contabili hanno tutti raddoppiato il soldo.

Solo una cosa si ha a notare in questo decreto. Il corpo degl'ingegneri geografi è destinato a perire quando non saranno più in servizio gl'ingegneri attuali. Or molti affermano che per l'utile della scienza conveniva perpetuare questa classe, però che gli uffiziali dello stato maggiore per periti che vogliono essere, non saranno mai dotti in geodesia, ch'è scienza difficile e che ha bisogno di essere coltivata senza avere altra distrazione. La sentenza a noi par vera, ma a tutto questo si potrà ben provvedere nell'avvenire.

NOSTRA CORRISPONDENZA PARTICOLARE

Torino 25 agosto 1861.

Come avviene nella vita ordinaria che quando si desidera o si teme molto una cosa, si è disposti ad attribuire ad ogni accidente meno importante che vi si riferisca un valore che effettivamente non è, così nasce oggi della questione romana. Ogni buon italiano desidera ardentemente la definitiva insediazione di Vittorio Emmanuele in Campidoglio; tutta la penisola guarda alla sua capitale e si ripromette dal possesso della medesima grandi vantaggi; tutti anelano a veder cancellata quella trista figura politica che è il potere temporale. Di qui, gli sguardi di quanti si interessano ai destini della patria sono rivolti alla Città eterna, a ciò che vi succede e alla linea di politica che gli stati accennano voler seguire per definirla. Si nota tutto, si tien conto di tutto e comunque la lunga esperienza abbia scemata la fede nella verità dei commenti, voi ne sentireste di ogni genere, dappertutto e in ogni momento.

Cosa non si è detto e non si continua a dire sulla missione di Monsignor Nardi a Parigi? Qualche corrispondente potè asserire di conoscere fino il contenuto dell'autografa del S. Padre che il prelato dovea recapitare a Napoleone III.

Sarebbe stata una lettera umile, contrita e piena di espressioni riconoscenti. Il Pontefice nonché lagnarsi dei danni patiti, si mostrava soddisfatto di quanto il governo francese ha fatto per lui, e unicamente lo interessava a provvedere alla dignità e alla libertà del Capo della Chiesa. Come ve dete, se si potesse credere a questa lezione avessimo di che confortarci. Il Papa avrebbe fatto divorzio colla sua camarilla, e si sarebbe ridotto quasi sulla buona strada.

Non sarebbe tutto quel che vogliamo, ma non può negarsi che sarebbe un vantaggio considerevole.

Ma ahimè! che talun altro scrive: non aver la missione di Monsignor Nardi significato politico di sorta, la lettera non esser mai esistita e doversi ritenere parto di fantasia tutto quanto si è detto in questo rapporto.

In pochi casi si sono dette e disdette cose senza che la verità venisse a galla.

Appena ieri sera noi leggevamo di nuovo nella corrispondenza parigina dell'Italie «poco importa che il delegato pontificio abbia o no ricapitata la famosa lettera o la tenga ancora nel suo portafoglio. Il fatto è che la lettera esiste e che di fronte al fatto non ci sono smentite né officiose né officiali che possono prevalere.»

A chi credere? Lascio a voi deciderlo. lo mi sento assolutamente incompetente e seppur dovessi emettere la mia opinione lo farei portando la questione in un campo pre giudiziale. Possibile, dico io che questa magica lettera debba aver tutte le virtù che gli ottimisti se ne sono ripromessi? E, seppur esiste, non sarà più probabilmente una di quelle solite freddure da sacristia che emanano dal gabinetto particolare di S. Santità? E d'altronde, le ragioni di questa benedetta questione romana non potrebbero dedursi più seriamente e con maggior soddisfazione dalle con dizioni generali dalla politica europea, di quello che lo si possa da semplici parole? – Io, dico, e per me special mente, la penserei a questo modo.

Quando vedo tutta la stampa francese, tolte poche eccezioni, cospirata a protestare contro la prolungazione del l'occupazione francese"quando vedo che anche a Parigi non si può a meno d'intendere le gravissime conseguenze che possono derivare dal prorogarla: quando non posso a meno di ritenere che come non abbiamo bisogno di Napoleone, egli ha bisogno di noi, per neutralizzare con efficacia i molti nemici che ha in Francia e fuori, trovo di che confortarmi assai più che non potrei sperare da una lettera di S. S. La massima ragione per ritenere che Roma ci sarà rilasciata fra breve è compresa per opinione mia nei precedenti di Napoleone che è solidalmente interessato con noi al buon esito del movimento italiano. L'Italia e la Francia imperiale sono la rivoluzione, sono l'epoca nuova contro l'Europa del 1815, e all'una e all'altra importa essenzialmente tenersi unite per ragion di esistenza. Se per le espresse dichiarazioni dell'Austria, per l'attitudine ostile della Spagna e per motivi di gelosia contro l'Inghilterra l'imperatore insiste a trattenersi in Roma, un pò va giustificato perché Roma potrebbe essere una grande occasione di intervento per la vecchia Europa, e un pò va com patito per riguardo alle convenienze che gli sono imposte dalla politica tradizionale della Francia. Ma non dubitate che a Roma egli resti un momento di più dell'indispensabile. Se lo facesse tradirebbe gl'interessi della rivoluzione di cui è capo naturale, comprometterebbe l'avvenire della propria dinastia che in buona parte dovrà riconoscere la sua sicurezza dai destini d'Italia, e comincerebbe a prestar colore di programma ragionevole a quello dei patriotti più caldi che non dubiterebbero fin d'ora di assalire Roma colle armi. Di questo, nulla nascerà certamente ed io e voi ne siamo certamente convinti. Abituati a veder il nostro movimento farsi largo contro ogni ostacolo, con maravigliosa fortuna e rapidità, ci duole questa sosta; ma se penseremo che tutte le circostanze concorrono a far credere che essa non sarà più lunga, avremo di che consolarci. Un tantino di pazienza e un bel dI che non può esser lontano ci saremo! Non dubitatene.

La Gazzetta di Torino nel suo numero d'oggi pubblica il seguente dispaccio particolare:

Firenze, 24 agosto (sera)

«Il giornale la Nazione annuncia essere partita da Roma nella mattina del 23 una banda di 500 reazionari vestiti con uniformi militari provvisti nel ghetto.»

«La banda è diretta verso i contini della Toscana.»

CIRCOLARE DEL MINISTRO DELL'INTERNO

Il ministro dell'interno, comm. Minghetti, ha indirizzato ai signori governatori, intendenti generali, e prefetti, alle deputazioni o amministrazioni provinciali nell'Emilia, nella Toscana, nelle Marche, nell'Umbria, nelle provincie napoletane e nella Sicilia, la seguente circolare, per la compilazione di una statistica delle spese obbligatorie che pesano sui bilanci delle varie provincie.

«La legge comunale e provinciale pubblicata il 23 ottobre 1859, nel periodo dei pieni poteri, ed estesa per conseguenza alle antiche provincie e alla Lombardia, fu poscia accolta in tutte le provincie del regno, tranne la Toscana, ma con alcune modificazioni.

«Di queste modificazioni, la più importante si è quella che riguarda l'art. 241 di essa legge così concepito:

«A partire dal 1° gennaio 1860, le spese obbligatorie, già poste per legge o per regolamenti a carico delle divisioni e provincie, sono addossate allo Stato. – L'erario nazionale sarà compensato di dette spese mediante un adeguato aumento alle contribuzioni dirette.

«Questo articolo recava una sostanziale mutazione nelle leggi, nelle abitudini delle provincie italiane; imperocché la maggior parte di esse erano solite ad amministrare da se medesime con più o meno larghezza certi interessi loro proprii di strade, di acque, d'istruzione, di beneficenza.

Ora l'articolo predetto toglieva loro quest'amministrazione e la concentrava nello Stato.

Le disposizioni adunque di questo articolo e il cambiamento ch'esso induceva nel sistema amministrativo non potevano a meno di eccitare nelle popolazioni e in coloro che le governavano, prima delle annessioni, un sentimento di ritrosia o per lo meno di esitazione. Da ciò avvenne che il dittatore dell'Emilia differì l'applicazione dell'articolo 241, da farsi in appresso con altri provvedimenti; i commissari straordinari delle Marche e dell'Umbria stabilirono che i bilanci provinciali si facessero come per lo innanzi, e quello dell'Umbria esplicitamente mantenne intatte le attribuzioni dei Consigli provinciali; finalmente il prodittatore nelle provincie siciliane, e il luogotenente nelle provincie napoletane più ricisamente soppressero nella pubblicazione della legge l'articolo medesimo. Donde la conseguenza che l'accentramento dell'amministrazione provinciale nello Stato ebbe luogo soltanto nelle antiche provincie e nella Lombardia, e che nelle altre provincie del regno l'amministrazione provinciale e le spese obbligatorie competenti alla provincia rimasero regolate dalle leggi e dalle norme fino allora vigenti e fra loro diverse.

Qual sia il mio concetto intorno a tale materia, è manifesto dai progetti di legge che ebbi l'onore di presentare al Parlamento, il 13 marzo 1861. Secondo le mie proposte. le attribuzioni della provincia in fatto d'opera pubbliche, d'istruzione, di beneficenza, di materie sanitarie, forestali, ed agrarie, sarebbero grandissime, ed inoltre la deputazione provinciale diverrebbe autonoma e indipendente, salvo quel la suprema vigilanza che non solo sulle provincie, ma sovra i comuni eziandio e sopra tutti i corpi morali appartiene per mio giudizio allo stato, siccome quello che solo rappresenta gli interessi di tutta la nazione.

«La costituzione normale della provincia, diceva io nel presentare le leggi sovraccennate alla Camera dei deputati. la costituzione normale della provincia è l'idea capitale dei progetti che ho l'onore di sottoporvi, imperocché io credo che la provincia debba esercitare un ufficio importantissimo nell'ordinamento amministrativo d'Italia.

«La libertà provinciale, congiunta colle libertà comunali, è la vera salvaguardia del regime costituzionale.» Ma di questo, come degli altri concetti che in quelle proposte si contengono, giudice sarà il Parlamento; e i lavori già molto innanzi condotti dalla Commissione della Camera elettiva danno fiducia che al riconvocarsi di essa sarà questo uno dei primi argomenti della discussione.

Ora, come io già fornii ai membri del Parlamento molte notizie distinte in diversi opuscoli, che servissero allo studio di questa importante materia, così parvemi potersi mettere a profitto l'intervallo che corre durante la proroga della sessione, per raccogliere altri dati non meno utili né meno opportuni alla chiara ed esatta cognizione.

Lo scopo della presente circolare è dunque d'invitare le deputazioni o amministrazioni provinciali a somministrare tutti i dati di fatto relativi ai loro bilanci, e specialmente alle spese obbligatorie che sono a carico della provincia loro, desumendoli dal bilancio del 1859, formato prima dei gran di e felici mutamenti avvenuti, ed aggiungendovi poscia i risultati del bilancio del 1861, onde poterne istruire un confronto. Vero è che taluni di questi dati potrebbero già desumersi da statistiche pubblicate o da atti esistenti presso il ministero; ma essi o sono manchevoli in alcuna parte o riguardano epoche diverse per le varie provincie o difetta no degli allegati necessarii; cosicché tornerà vantaggioso, per non dir necessario, il rinnovare questo studio sopra una base unica e pel medesimo periodo di tempo.

Il lavoro che io chieggo dovrebbe essere preparato con ogni accuratezza e diligenza nel termine di un mese, dopo il quale termine sarebbero inviate dal governo in ogni capoluogo di provincia a persone delegate espressamente per raccoglier le informazioni preparate, chiedere gli schiarimenti opportuni, coordinarle insieme in una tabella che avranno già delineata, e pubblicarle infine in un volume che sarebbe distribuito ai membri del Parlamento all'epoca della sua riconvocazione.

E perché la cosa riesca al possibile completa e precisa, sarà cura dell'amministrazioni provinciali di seguire questo metodo.

A. – dare un brevissimo cenno per ciascuna categoria di spesa delle regole legislative ed amministrative attualmente vigenti nella provincia e degli effetti più notevoli di queste regole.

B. – rispondere categoricamente alle seguenti domande:

1. Quali sono gli uffici della provincia, e quali le spese corrispondenti, allegandovi l'elenco degli impiegati col titolo, coi numero, colle attribuzioni, con lo stipendio, col dritto al riposo ed alla pensione. Si aggiungeranno speciali indicazioni circa le norme che regolano il diritto al riposo e la concessione delle pensioni agli impiegati dell'amministrazione provinciale, avvertendo pure se per avventura esisto no a tal fine fondi o casse particolari.

2. La provincia ha proprie strade provinciali? quale è la lunghezza e la larghezza, quali le spese ordinarie di manutenzione per chilometro? quali gli uffici tecnici incaricati della direzione, della sorveglianza, della esecuzione e del sindacato o collaudazione? Si aggiungerà un cenno della relativa loro importanza economica. E si dirà pure se rimangano a saldarsi rate di lavori stradali già compiuti, se vi sia no impegni presi per la continuazione di lavori in corso, e finalmente se vi sia un piano di compimento della rete stradale della provincia;.

3: Vi sono lavori idraulici a carico totale o parziale dell provincia? quali le regole per ordinare e compiere questi lavori, per ripartirne e riscuoterne le spese.

4. La provincia ha istituti d'istruzione pubblica? quanti e quali.

5. Mantiene in tutto o concorre in parte al mantenimento di manicomi, di ricoveri per gli esposti o pei mendici, e di altri istituti di beneficenza? Quali sono le norme per le ammessioni, per la competenza passiva e pel rimborso? Si noterà se unite a tali ospizi vi siano scuole professionali, e quale la spesa relativa a carico della provincia.

6. Vi sono spese sanitarie a carie della provincia? quale ne è la natura?

7. Vi sono spese relative alla amministrazione forestale, e quali sono? Sarà utile che si accennino gli ordinamenti forestali locali, e se i medesimi hanno in realtà prodotto risultati vantaggiosi.

8. Vi sono spese relative al culto? – ai monumenti di antichità e belle arti? – agli archivii? – S'indicherà, quanto a questi, la natura e lo scopo dell'archivio, per la cui conservazione concorre la provincia.

9. Vi sono spese relative alla statistica? Si dirà se questa è generale o soltanto locale.

10. Vi sono spese relative alla telegrafia, alla posta, alle carceri.

11. Contribuisce la provincia alla spesa per la residenza del rappresentante del governo e pel corredo di essa?

12. Quali spese sostiene per il casermaggio dei reali carabinieri? quali per gli uffici giudiciarii? per gli uffici di sicurezza pubblica? – per altri uffici governativi?

13. Vi sono altre spese non contemplate nelle precedenti categorie? 14. Di tutte le spese finora indicate, quali sono le obbligatorie, quali le facoltative? – quali, nell'una e nell'altra classe di spese, le ordinarie, quali le straordinarie?

15. Come sopperisce la provincia alle spese obbligatorie? – come sopperisce alle spese facoltative?

16. Quale è la tassa fondiaria principale pagata nella provincia al governo? A questo riguardo si distinguerà fra l'estimo urbano ed il rustico; e si noterà se nella provincia vi abbia alcuna parte di estimo dichiarata esente da tasse.

17. Quali sono i sopraccarichi o centesimi addizionali imposti dal governo sulla proprietà stabile, rustica ed urbana.

18. Quali sono i sopraccarichi o centesimi addizionali imposti dalla provincia sulla proprietà stabile rustica ed urbana? quale è il metodo che segue l'amministrazione provinciale nel riparto di questi sopraccarichi?

19. Vi sono altre tasse dirette governative sulle quali la provincia abbia diritto d'imporre centesimi addizionali? Quale è la natura e l'ammontare di queste tasse a favore del governo?

20. Quali sopraccarichi o centesimi addizionali impone la provincia sopra queste tasse?.

21. Vi è alcuna tassa propria e speciale della provincia?

22. Vi ha egli un fondo comune istituito dal contributo di più provincie ovvero una amministrazione consortile per servire ad interessi comuni a più provincie è Si distingue ranno in tal caso accuratamente le spese e le rendite appartenenti al fondo comune, secondo le dimande sopra indica te; si noterà eziandio chi amministra questo fondo.

23. Quale è il sistema di percezione per la provincia, quali agenti essa adopera, e quale è la spesa correlativa?

24. Si fanno spese, per le quali competa ordinariamente rimborso dal governo e dai comuni.

Le risposte a tutti questi quesiti saranno date colle cifre del 1859 e del 1861, e corredate di osservazioni che abbiano tutto il necessario svolgimento. –Le cifre saranno tutte ridotte in lire italiane.

Alle risposte ed alle osservazioni si aggiungeranno gli al legati relativi:

1. agli uffizi provinciali ossia al numero, alle qualità ed allo stipendio degli impiegati, come si è detto più sopra;

2. agli istituti di beneficenza e di educazione; e intorno a questi, oltre le avvertenze più sopra riferito, si darà uno specchio del numero medio degli ammessi ed un ragguaglio della spesa giornaliera per ogni individuo;

3. alle strade provinciali ed agli altri lavori pubblici.

A compimento dellavoro si farà un riepilogo dei titoli dei bilanci 1859 e 1861 coll'ordine tenuto nella loro formazione.

I capi delle provincie sono incaricati di trasmettere copia della presente alle amministrazioni o deputazioni provinciali, di pregarle a volersi adoperare con ogni solerzia al fine desiderato, e di ringraziarle anticipatamente dell'efficace concorso che sono certo di ottenere dal loro zelo e dal loro amore al pubblico bene.

Il ministro

M. MINGHETTI.

LA FLOTTA INGLESE A NAPOLI

Il corrispondente parigino dell'Italie dice che l'Austria si è vivamente commossa della presenza della squadra inglese a Napoli e chiese spiegazione a Londra le quali produssero una certa tensione. L'Inghilterra avrebbe risposto di non capire le suscettibilità dell'Austria, dacché la Francia occupa Roma da 12 anni e che in ogni caso l'Inghilterra liberale non poteva non simpatizzare coll'Italia affrancata e non prestargli al bisogno un concorso attivo contro la reazione.

Quanto alla Francia, essa vede con simulato dispiacere lo sviluppo che piglia in Italia l'influenza inglese, e questo fatto potrebbe contribuire molto a spingere il gabinetto delle Tuilerie verso una soluzione radicale.

Sul medesimo argomento così scrivono da Parigi all'Opinione:

La presenza della squadra inglese nelle acque di Napoli, dà luogo alle più esagerate interpretazioni. In certe sfere si cerca di presentare tal fatto come un intervento, se non effettivo, almeno tra poco probabile e si vorrebbero provocare le suscettibilità nazionali della Francia, per indurla ad esigere dal governo inglese l'allontanamento dei suoi legni.

Senza esaminare qual grado di verosimiglianza possa avere tale ipotesi, come la Francia, che mantiene un'armata permanente a Roma ed interviene da così lungo tempo in Italia, come oserebbe dire all'Inghilterra non avere dessa il diritto di ancorare alcuni suoi bastimenti nelle acque di Napoli.

Il vero motivo di queste recriminazioni verso il gabinetto inglese sta in ciò, che il partito borbonico clericale il quale fomenta il brigantaggio nell'Italia del mezzogiorno è spaventato, perché teme che l'Inghilterra presti un appoggio qualunque, anche morale, ai piemontesi, che sono per loro stessi pericolosi, senza bisogno di essere appoggiati. Gli ulttramontani procurino di rassegnarsi, perché la squadra inglese non si farà paura dei loro lamenti. Del resto poi la situazione non è tale, quale vorrebbero che fosse. Quand'anche gli inglesi mettessero a disposizione del gen. Cialdini un certo numero dei loro soldati, ciò proverebbe ben poco un intervento, perché non si tratta di politica, non essendovi nel regno di Napoli due partiti alle prese tra loro.

Da una parte vi sono dei briganti e vi hanno altri dall'altra che non vogliono divenir vittime loro. Non sarebbe adunque intervenire, ma prestar mano alla giustizia ed alla legge.

UNA LETTERA AL CONTE CAVOUR

Il ministro degli altari esteri della repubblica del Paraguay ha diretto la seguente lettera a S. E. il conte di Cavour, ministro degli affari esteri di S. M. il Re d'Italia:

Assunzione, 5 luglio 1861.

Ho l'onore di segnare ricevuta a V. E. della sua nota del 23 marzo testé scorso, indirizzata allo eccellentissimo sig. presidente della repubblica, colla quale ella gli diede il fausto annunzio che S. M. Vittorio Emanuele II ha assunto il 17 dello stesso mese, in seguito al suffragio universale dei popoli, consecrato dal voto unanime del Parlamento nozionale, per sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia.

S. E. il presidente della repubblica, al quale una tale partecipazione riuscì oltremodo gradita, mi ha dato l'incarico di far giungere le cordiali sue felicitazioni a S. M. Vittorio Emanuele Il Re d'Italia, mentre rallegrandosi del rinascimento della nazione di V. E., si compiace nella fiducia che sempre più s'accresceranno e consolideranno le amichevoli relazioni e gli interessi commerciali che di già felicemente esistono fra i nostri paesi.

Nell'eseguire gli ordini del mio governo, prego l'E. V. d'accogliere i sensi dell'alta mia considerazione.

FRANCESCO SANCHEZ.

NOTIZIE STRANIERE

– Riceviamo da Lisbona le seguenti notizie telegrafiche.

Il Re è partito il giorno 22 per Oporto per l'esposizione ed ha invitato il marchese Caracciolo di Bella a recarvisi.

Egli vi andrà domenica 25. S, M. il Re prima di partire lo ha decorato della gran croce dell'ordine del Cristo. Il sig. Barbolani è stato nominato commendatore.

Il Re ha espresso all'inviato di S. M. Vittorio Emanuele la sua simpatia per la causa italiana ed espressi i suoi voti pel suo completo trionfo. (Opinione)

– Si scrive dall'Opinione a Parigi:

Il momento non è forse tanto lontano in cui l'Ungheria vedrà cominciare risolutamente l'opera della sua emancipazione. La nuova disposizione presa dalla Dieta e l'ordine dato dalla corte di Vienna di impiegare la forza per la riscossione delle imposte, sono senza dubbio il segnale di un'era novella per questa generosa nazione, che mostrò tanta simpatia verso la causa italiana.

– Il corrispondente parigino dell'Italie parla dello scoppio d'un'insurrezione in Ungheria in relazione con un at tacco al Mincio, la quale combinazione però sarebbe stata scartata per l'insistenza del governo italiano di voler sciogliere anzitutto la quistione romana. L'Ungheria aspetterà ancora per dare il tempo all'Italia di prepararsi.

Quel corrispondente parla inoltre delle grandi commissioni d'armi del governo italiano pel quale lavorasi in parecchi degli arsenali di Francia.

– Leggesi nella Gazzetta di Milano:

Pare realmente che il gabinetto di Parigi se l'intenda tanto col principe del Montenegro, quanto col principe Michele di Servia, e per conseguenza anche colla Russia che dà a quei principi gli stessi incoraggiamenti della Francia.

La Gazzetta austriaca infatti osserva che l'Austria si trova in quest'affare assai imbarazzata dovendo evitare un intervento francese e russo.

– La regina d'Inghilterra arrivò il 22 a Dublino, S. M. si recò immediatamente al castello del viceré d'Irlanda.

– Leggesi nella Gazzetta di Milano:

La supposta alleanza austro-inglese svanisce tutti i giorni sotto i ragionamenti della stampa, come neve al sole. La Gazzetta del Danubio organo di Bechberg è la sola che tenti ancora di rilevare l'importanza della gita in Inghilterra dell'arciduca Massimiliano: nondimeno essa s'affretta a dire che questa gita è affatto privata. Gazzetta del Danubio avrebbe dovuto dirlo prima, non ora che a tutti è chiaro che la speranza d'un ravvicinamento è sfumata. Indizio o conseguenza del tentativo potrebbe essere la voce d'un prossimo abboccamento tra il re di Prussia e l'imperatore d'Austria. L'Ost-Deutsche Post vien oggi a dirci che da qualche tempo si fanno sforzi di cercare tutto ciò che possa produrre la discordia tra le due grandi potenze della Germania, e che questa vedrebbe con piacere il ristabilimento dell'accordo fra i due sovrani, sulla base d'una libertà costituzionale.

– Il ministro della guerra austriaco, Degenfeld, rispose così a un'interpellanza direttagli per un progetto di ridurre l'esercito per via di congedi.

«La Camera mi troverà sempre disposto a dare tutti gli schiarimenti, spiegazioni e informazioni concernenti l'amministrazione militare, in quanto le circostanze lo permettono. Ma riguardo all'interpellanza Mortl, mi permetto di chiedere alla Camera di contentarsi di questa dichiarazione: che i congedi, di cui si tratta, sarebbero certamente stati accordati, se le circostanze d'Europa lo avessero permesso.

– Scrivono da Parigi alla Lombardia:

M'assicurano che il governo francese ha chiesto al principe della Tour d'Auvergne a Berlino, ed al marchese di Moustier a Vienna, schiarimenti sull'associazione nazionale tedesca. I rappresentanti della Francia inviarono rapporti che attribuiscono alla società nazionale l'importanza considerevole e crescente ch'ella ha infatti, e certamente aumenterà col propagarsi sempre più in Germania delle aspi razioni all'unità nazionale.

– La Gazzetta del Danubio dichiara falsa la notizia che si voglia concedere all'Ungheria la istituzione di ministri responsabili per l'interno, per la giustizia e per la pubblica istruzione. L'istituzione di questi ministri, dice il giornale ufficioso, condurrebbe senza ritardo al sistema federativo.

I due membri ungheresi associati al consiglio dei ministri sono già abbastanza.

– La Triester Zeitung ha il seguente dispaccio da Pesth, in data del 22 corrente: Nella tornata d'ieri della Camera dei deputati Deak presentò la proposta di una protesta contro lo scioglimento della Dieta, e raccomandò di affrontare con pazienza e sen za allontanarsi dalla stretta legalità, le prove alle quali sta per andar incontro la nazione. Il progetto di protesta di Deak venne accettato dalle due Camere.

Nella Camera alta Majlath fece un lungo discorso nel quale egli spiegò gli atti degli uomini di stato ungheresi dopo il 20 ottobre, esaminò il diploma d'ottobre e la patente di febbraio, e parlò della necessità dell'esistenza dell'Austria congiunta all'Ungheria. Col tempo, egli disse, si troveranno le forme opportune, perché gli interessi che abbia mo comuni coi paesi ereditari possano esser trattati in comune.

– Pest, 23 agosto è cominciata qui in Pestli la esecuzione militare delle imposte. Ad Arad vi fu un conflitto, con parecchi feriti. Deak alla minaccia di Haller (commissario regio e latore del rescritto) di adoperare la forza, rispose di troncare ogni discussione. Fu Haller che ebbe la missione di sciogliere la Dieta, e che lo eseguì.

NOTIZIE ITALIANE

– Si scrive da Monza, il 22 corrente, alla Lombardia.

«Questa notte alle ore 12 giunse in questa città S.A.R. la principessa Maria Pia accompagnata dai reali suoi fratelli i principi Umberto ed Amedeo, che eransi recati ad incontrarla a Milano.

«Furono a riceverla allo scalo della ferrovia le autorità civili e militari, la guardia nazionale e la truppa di questo deposito.

«La popolazione accolse S. A. R. con vivi applausi, richiamando con fiaccole la via dove passò ed illuminando le Case.

– Un cannoniere, monco d'ambe le braccia per una palla di cannone all'assedio di Gaeta, trovavasi di questi giorni a Torino. Giuutane la novella a S. M., fece chiamare e sé il prode cannoniere, e proprio moto ordinava gli venisse raddoppiata la pensione che gli spetta.

Questi atti di sovrana munificenza non sotto né nuovi né rari in Vittorio Emanuele e ben il sanno i gloriosi avanzi di Palestro e di San Martino. (Gazz. di Milano)

– Corre voce accreditata che siano state chieste spiegazioni dalla Francia all'Inghilterra sulla presenza della squadra inglese nelle acque di Napoli.

– Il generale Fanti era aspettato il 24 a Torino torno da Chàlous.

– Si annuncia pure per lo stesso giorno l'arrivo del generale Lamarmora.

– É pubblicato, il secondo elenco delle ricompense per la campagna dell'Italia meridionale accordate agli uffiziali e bassa forza dei corpi di volontari.

Al tenente colonnello Missori venne accordata la meda glia d'oro al valor militare, ai maggiori militari Vincenzo Orsini, Gaetano Sacchi, De Milatz e al colonnello Dezza la croce di officiale dell'ordine militare di Savoia, a 29 ufficiali superiori la croce di cavaliere, a i altri la croce di cavaliere dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzata. Le medaglie d'argento al valor militare conferite in questo elenco sono 169, le menzioni onorevoli 358.

Si scrive la Fenestrelle al giornale l'Eco dell'Alpi Cozie del 24 corrente:

«Un nostro corrispondente ci scrive che il forte ed il paese fu per un istante in grave apprensione. I soldati che appartenevano alla disciolta armata del Borbone, i refrattari, ed altri cotali avevano ordito una trama che poteva avere dolorosissime conseguenze. Trattavasi di occupare i siti più importanti della fortezza ed impadronirsene. Fortuna volle che in tempo ancora per impedirla questa negra trama fosse scoperta. Si presero quindi dall'energico ed intelligente comandante del forte e dalle autorità locali, ricorrendo anche sollecitamente a quelle del capo-circondario, le misure più opportune. Speriamo che questo deploraibile avvenimento rimanga isolato, e non abbia, in grazia del provvedimenti presi, alcuni luttuosa conseguenza.»

CRONACA INTERNA

– il Ministro Peruzzi, che è in Napoli, si occupa indefessamente dei lavori pubblici che vanno ad in cominciare tra noi. Egli farà anche un giro per le provincie. Ci gode l'animo nell'annunziare che due compagnie di capitalisti, una a Napoli e l'altra a Bari, si sono formate per intraprendere i lavori della ferrovia per le Puglie: quella di Bari si obbligherebbe pel lungo tratto da Foggia ad Otranto.

Già sono stati dati gli ordini perché i lavori della Stazione di Napoli sieno continuati, e sia messo mano a parecchi tronchi, dei quali gli studii sono già compiuti, così nel versante Adriatico, come nel Mediterraneo. D'altra parte, è stato disposto perché si traprendessero degli studii per i punti più difficili della linea, e si rivedessero quelli che gl'ingegneri della compagnia hanno già fatto.

È stato già messo a disposizione dell'ingegnere Bella un milione di lire, per continuare i lavori della stazione.

L'ingegnere Colli è già nelle Calabrie per fare gli studii delle linee concesse all'Adami.

Né sole le strade ferrate formeranno l'oggetto delle cure il ministro Peruzzi. Egli intende promuovere le risoluzioni della Commissione, chiamata a formare un progetto per il porto di Napoli. La legge che stanzierà i fondi per questo porto. sarà la prima clic vorrà presentare quel ministro all'assemblea nella prossima sessione.

D'altra parte, egli vorrà disporre, anche, perché i lavori delle strade ordinarie sicuro continuati e meglio sviluppati. Per queste strade, il nostro particolare bilancio ha già dei fondi stanziati. Noi crediamo che il dar mano a farla compiere, occuparvi moltissime braccia, sia cosa del più grande rilievo, e d'immenso interesse economico e politico. Il lavoro, che la costituzione delle strade ordinarie, potrà fornire in ogni provincia, servirà quanto i battaglioni, a dissipare il brigantaggio, così perché occuperà molte braccia, come perché agevolerà le comunicazioni e i commerci.

Sappiando anche ch'egli ha già disposto perché sia dato principio prontamente alla costruzione dei due ponti sul Volturno e sul Sele.

Noi abbiamo grandissima fiducia nel ministro Peruzzi. Egli è uomo di immensa capacità e pratica, e di grandissimo vigore di animo. Quello che vuole fa, e non vi ha opera pubblica che egli non voglia.

– Il Popolo d'Italia di ieri parla di una adunanza operaia, di proposte discusse ed accettate, di regolamenti cc: Questa mattina alle pareti di Toledo leggevasi la protesta di un'altra società operaia la quale si dice la sola e la vera che esista in Napoli, contro l'altra proclamata dal Popolo d'Italia, che prese il titolo di Madre di tutte le associazioni di mutuo soccorso degli operai del Napolitano. Noi non sappiamo chi abbia ragione, solo diciamo, che se queste son davvero delle società di operai, la prima cosa a cui dovrebbero pensare i presidenti onorarii e proprietari sarebbe quella di infondere ai componenti l'amore al lavoro, e poscia, se c'è tempo, occuparsi delle proteste. Oltreacciò se le dette società si chiamano di mutuo soccorso, perché quella di cui parla il Popolo d'Italia ha destinato una porzione del denaro raccolto alla deputazione che va a Caprera, ed un'altra per la festa del 7 settembre? Se i pellegrini di Caprera ci andassero a proprie spese, e se per la festa del 7 settembre ci contentassimo di quello che fa il municipio, molti operai poveri potrebbero essere sovvenuti, e così la società non darebbe una mentita al suo titolo di mutuo soccorso. A che serve poi quel titolo di MADRE DI TUTTE LE ASSOCIAZIONI DEL NAPOLITANO? Perché addossare tante cure ai poveri presi denti, segretarii e cassieri, i quali alla fine non per soldo, ma per sola filantropia esercitano le loro funzioni? Non sarebbe meglio che ogni città d'Italia avesse la sua società di mutuo soccorso senza essere né madre né figlia?

La disfatta toccata or son pochi giorni alla banda di briganti che infestavano le vicinanze di Somma, lungi dall'essere una severa lezione pei capi del partito tenebroso, ha raddoppiato il loro zelo fino a far e dei limitrofi paesi, ed a tale oggetto per più volte vi si è recato di notte il capo della menzionata banda, un Vincenzo Barone, uomo astutissimo e formidabile presso quella gente pei tanti misfatti che a lui si attribuiscono. Iersera finalmente venne a notizia della Polizia che il Barone era aspettato a Somma, e che la casa ov'egli ricovravasi colà, dopo aver tenuto un conciliabolo reazionario, era quella d'una vecchia pinzochera messa fuori dell'abitato. Fu ordinato perciò alla Guardia Nazionale dei dintorni di recarsi in Somma per la mezzanotte e di circondare la detta casa. Si picchiò e fu tosto aperto dalla vecchia che con un rosario in mano biascicava paternostri; le fu richiesto del Barone, ed ella disse di non sapere chi fosse. Il capitano delle Guardie ordinò che la perquisizione s'incominciasse da un vecchio armadio messo ad un angolo. A questo comando, le porte del l'armadio s'aprirono e ne uscì fuori la spaventosa figura del bandito, con una pistola impugnata: voi cercate Barone e Barone son io, egli disse e sparò. ll suo colpo non ferì alcuno, ma di 27 fucili, che dal l'uscio dalla finestra e dal mezzo della casa gli sta vano spianati contro partì una scarica simultanea che crivellò in tutti i versi quell'immane corpaccio, i questa una terza lezione per gli abitanti di Somma.

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– Leggiamo nella Guida di Aquila:

Pubblichiamo con piacere il seguente Ordine del Giorno i cui trevi ed energici sensi che rivelano e il maschio co raggio del soldato ed il vero amore alla Patria ed al Re Galantuomo troveranno eco piacevole in ogni cuore italiano.

ORDINE DEL GIORNO

17 agosto 1861.

Ufficiali, bassufficiali, Caporali e Militi della Quinta Compagnia mobile, oggi è terminata la vostra Organizzazione, domani passerete agli Ordini del sig. Maggiore Comandante le Truppe del Circondario; per sua cura si compirà la vostra educazione Militare a condurvi sulla via dell'onore, ma prima di lasciarvi permettetemi d'indirizzarvi queste brevi parole.

In pochi giorni spontanei, e volenterosi accorreste sotto la bandiera del Re Galantuomo, il primo Propugnatore dell'Unità ed indipendenza Italiana, di quel Re che forma l'ammirazione della generazione presente, e lo sarà delle future.

Ricordatevi che la Disciplina è la sola e vera base delle Milizie Costituite, e senza questa non avvi Esercito, ma turbe senza nerbo, senza forza, e senza onore.

Se mai v'incontrerete un giorno col nemico, pensate che fu in Capitano dei Bersaglieri che vi organizzava, e che il grido di guerra di questi generosi Figli d'Italia fu, e sarà mai sempre Avanti... Avanti... Avanti sempre!!! che numero nemico mai sgomentava, e mai venne meno ne' pericoli il loro coraggio.

Imitateli!!.

Militi, lasciatemi la dolce speranza di dividere un giorno la gloria vostra, che sarà pure gloria mia, e fate sia sempre per me orgoglioso il dire – Questi figli della Marsica, ben meritarono del Re e della Patria.

Viva l'Italia, Viva Vittorio Emmanuele.

ll Capitano della 2.º bersaglieri.

Organizzatore.

FATTORI.




Anno I – N° 27 Napoli — Giovedi 29 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

Un'altra lettera del Matteucci ci arreca la Nazione di Firenze, che omai potrebbe essere l'ultima. Essa non presenta il minimo interesse, poiché il Matteucci non fa altro che difendersi dalla taccia d'indiscrezione datagli da quel giornale, spiegando o per meglio dire ripetendo che l'indiscrezione di pubblicare la lettera di Massimo d'Azeglio non fu da lui commessa, ma da un altro in suo danno.

Comunque sia, ci duole che nuovi deplorabili fatti vengano a comprovare il torto del d'Azeglio, mostrando come lo stato eccezionale delle nostre provincie, si vada facendo comune alle altre, sicché se non vi si pone pronto riparo, le cose saranno nelle stesse condizioni al di qua e al di là del Tronto. Vero è che per le energiche misure prese dal nostro luogo tenente e la bella cooperazione della truppa, della Guardia Nazionale, della Guardia Mobile, dei carabinieri, di tutto il paese insomma, va ogni di più di minuendo il numero e l'ardire dei briganti, che parte rimangono uccisi nei conflitti, parte corrono a nascondersi o a porsi in salvo nelle terre pontificie, parte si presentano parte sono imprigionati, e i pochi che ancora restano non tarderanno a subire la stessa sorte.

Ma i giornali ci annunziano la comparsa di bande armate nell'Emilia, nelle Marche, nella Toscana; sicché invece di cercare una causa speciale per le provincie napoletane, è da cercare una generale per tutte le provincie che confinano con quelle ancor soggette al papa, che dalla corte romana sono trasformate in una spelonca di ladri, e Roma in particolare è ritornata ad essere l'originario asilo di ogni specie di malviventi sotto l'usbergo delle truppe francesi. Serva questo di lezione allo scrittore della Patrie, e sappia che da Roma si armano e si pongono in movimento le bande che saccheggiano, incendiano, trucidano vecchi, fanciulli, donne, dovunque giungono in numero soperchiante o trovano gente inerme, fuggono e si disperdono dovunque trovano resistenza. Ed ora, come dicevamo, si veggono comparire al di là dei Tronto, come si ha da lettere di Bologna, Modena o di Firenze pubblicate nella Monarchia Nazionale.

Anche la Nazione parla della partenza da Roma pei confini della Toscana di una banda di 500 briganti organizzati militarmente, il che coincide con quel che si legge nella Nuova Europa di un colpo disperato che si vuol tentare a Firenze in occasione dell'esposizione italiana che colà avrà luogo.

Di monsignor Nardi varie sono le voci che corro no: chi lo dice a Parigi e chi a Chalons, chi ricevuto immediatamente e chi non ancor ricevuto dall'imperatore, noi preferiamo di prestar fede al Monde, che in cose simili dovrebbe essere bene informato, il quale smentisce formalmente la visita di monsignor Nardi al campo di Chalons, smentisce che sia stato ricevuto e nega che sia latore di una lettera del papa per Napoleone. Tanto meglio. Par certo però che monsignor Chigi nel corso di settembre prenderà il posto di monsignor Sacconi come nunzio apostolico a Parigi. L'uno vale l'altro.

ll clero polacco non pare che voglia seguire l'esempio del clero romano. Par che l'influenza papalina non abbia alcun potere sopra di esso, e che sia formato di altra razza di uomini. Il clero di Varsavia ha diretto a tutto il clero del regno di Polonia un indirizzo pieno di sentimenti patriotici, e che si conchiude: «In nome di Dio e della libertà, in nome del sangue innocente che fu versato, vi scongiuriamo, o fratelli, di ben meditare la gravità di tempi e non rallentare di zelo. Riunito in concordia le varie classi sociali; siate mediatori tra i contadini e i nobili nell'importante quistione di proprietà che oggidI si agita: ciò non vi sarà difficile, perché la nobiltà è pronta ad ogni sacrifizio.»

L'attenzione rivolta a quistioni e a fatti che più da vicino ci riguardano, non debbono farci trascurare quelli che han pure un grande interesse euro peo e che valgono se non altro a mostrarci quale sia l'agitazione che quasi in tutte le nazioni si osserva.

Di tal genere è l'annunzio che dà il Daily News, e che dice proveniente da lettere particolari di Amburgo, che il re di Danimarca abbia risoluto di por da banda le stipulazioni del trattato di Londra e di scegliere per suo erede il re di Svezia invece del principe di Glucksburg. Se ciò fosse vero avremmo in prospettiva, non più una lega scandinava, ma un unione scandinava. Bene osserva il corrispondente che da Londra scrive all’Independance Belge, che la coincidenza di questo annunzio colla visita del re di Svezia alle corti di Parigi e di Londra gli dà un certo grado di probabilità. Il Globe, non nega che possa essere ma si affatica a mostrare che l'Inghilterra non l'appoggerà.

Prima di lasciar l'Europa non è da passare sotto silenzio l'avviso che ci dà il telegraafo di una conferenza tra Cowley e Thouvenel annunziato dalla Patrie il dI 27. Forse più tardi potremo riferire quali congetture si facciano sopra le cose che ne han potuto formare l'oggetto; ma non è certo avventato il credere che le cose d'Italia non vi hanno dovuto rimanere estranee.

Nuovi fatti d'armi in America ci vengono annunziati dai dispacci telegrafici; ma i telegrammi spesso si contraddicono l'un l'altro, spesso sono mai tra smessi o male interpretati, spesso mancano di data per regolare la cronologia degli avvenimenti. Noi leggemmo in alcuno di essi la notizia della morte del generale Lyon e della rotta delle truppe federali da lui comandate; gli ultimi dispacci invece ci parlano del medesimo generale come vivo e vincitore.

Ora si danno notizie di una battaglia seguita a Dunc Spring: sono tali e tante le contraddizioni che in esse regnano, che noi preferiamo di attendere ulteriori ragguagli sperandoli più esatti e veridici. Si giunge a confondere i nomi de luoghi con quelli dei generali, rinnovando il fatto di colui che trasformò Dunquerque in D. Cherche!

UN PROVVEDIMENTO ECONOMICO

Nel numero 16 del nostro giornale pubblicammo un cenno storico dello stato economico del Real Albergo dei Poveri mostrando come in un quadro l'economia di quel pio Stabilimento. Da quel cenno risulta come sono stati insufficienti tutti i mezzi tentati in varie epoche per ordinare economicamente, e perciò anche moralmente quell'istituto. Le spese favolose di amministrazione che appaiono nello stato discusso, la miriade d'impiegati, che come sanguisughe succiano quel sangue dei poveri possono diminuirsi immensamente col provvedimento, che noi proponghiamo.

Se si pone ben mente a tutte le amministrazioni di pubblica beneficenza, oltre ad una spesa di moltissimi impiegati che queste sono obbligate a soste nere, vediamo che i beni tanto rustici quanto urbani sono in uno stato di depreziamento sensibile: basta solo guardare in Napoli; palaggi della S. Casa degl'Incurabili che sono crollanti: alcune masserie in quel di Torre del Greco non trovano da molti anni coloni, che volessero prenderle in fitto per lo stato miserabile in cui si trovano. Solo il privato può aver cura della sua proprietà, migliorarla sempre, giacché egli vi si attacca come ad una parte essenziale della sua civile esistenza: i corpi morali dovendo servirsi di persone estranee alla loro esistenza per quanto coscienziose esse possono essere, non sono mai tali da prendere una cura grandissima di quella proprietà.

Dovendosi poi distrarre gran parte di quelle rendite pel sostentamento di tanti impiegati non trovate mai bastevoli il denaro per sopperire ai bisogni veri e reali dello stabilimento, che sono i morali: quelli per cui quel tale istituto è stato impiantato: ed ecco come soffre lo scopo morale per i bisogni materiali, che di giorno in giorno si fanno maggiori..

E poi è forza anche il dirlo, acciò i nostri governanti si facciano una giusta idea del paese che essi governano. Alla congregazione di Vertecoeli per esempio nei tempi andati quando si doveva creare il governo, per legge fondamentale di questa congregazione dovevano tutti i confratelli raccogliersi in assemblea generale, ed a voti segreti dovevano eliggere la Banca: il credereste? da giorni precedenti si apparecchiava una tavola, ove imbandivasi un pranzo lautissimo (a spese della congregazione già 'intende), le carrozze erano pronte fuori la Chiesa, sicché compiutasi la cerimonia quel giorno era passato in un beatissimo vivere. Come si conoscevano prima quelli che dopo dovevano essere eletti? e quelli che anticipavano quelle spese dovevano per fermo avere grande probabilità di riuscita per azzardare un paio di centinaia di ducati.

È anche intervenuto nel reale Albergo dei Poveri, che si sono presentate al governo di quello stabilimento delle spese fatte per accomodi: gli uomini di quel Governo ne hanno ordinato la perizia: i periti hanno portato il loro giudizio col diminuirne la spesa: ma volendosi verificare tutto cogli occhi proprii dai Governatori non si è trovato né l'accomodo, né il luogo designato per quell'accomodo.

Noi conosciamo essersi fatte molte dimande dai particolari, i quali vogliono acquistare questi beni: le singole amministrazioni potrebbero in tal modo solamente ristorarsi dei danni ricevuti dalle passate gestioni; le proprietà saranno migliorate, la città abbellita e molti operai troverebbero anche il lavoro.

Per impedire tutti questi furti, tante malversazioni noi proponghiamo al Governo luogotenenziale ed in ispecie al Segretario Generale dell'Interno e Polizia, che vogliamo proporre al Governo Centrale una legge, con la quale questi luoghi di pubblica beneficenza sieno autorizzati a vendere tutti i fondi rustici, ed urbani comprando invece rendite sul gran Libro; in tal modo semplificando le amministrazioni s’impediscono i furti, l'ozio di tanti impiegati, che vi sono a spese degli stabilimenti di pubblica beneficenza, e le proprietà saranno certamente migliorate.

Noi invitiamo tutta la stampa a porre ben mente a questo nostro provvedimento, disaminarlo attentamente, acciò si faccia il maggior bene possibile dei paese; ed insistere energicamente presso il Governo, che dia tali disposizioni da poter pur una volta migliora re le nostre condizioni interne, ordinare queste provincie in modo da poter dire all'Europa, che noi sia mo stati ben degni di civili riforme, perché abbiamo saputo ordinarci nell'interno secondo giustizia ed equità.

Una sola difficoltà potrebbe a noi opporsi, dove mandate voi tanti impiegati che certamente non avranno come campare la vita? possono costoro tutti ritirarsi coll'intiero soldo: questo è il minimo che ne potrebbe venire a queste amministrazioni, dove i furti sono spaventevoli anzi favolosi: e xxxxxx determinato tempo certamente questi impiegati xxxxxxranno, ed allora la rendita potrà tutta interixxxxxxnarsi per il fine, cui è stata destinata.

Pubblichiamo il manifesto che il di sig. Raffaele Lanciano ha diretto ai suoi elettori, perché siamo certi che i nostri lettori lo ammireranno quanto lo abbiamo ammirato noi. La chiaroveggenza ed imparzialità con cui questo nuovo deputato espone la presente situazione d'Italia ce lo fanno fin da ora salutare uno dei primi rappresentanti della nazione.

AGLI ELETTORI

COLLEGIO DI MANOPPELLO

ELETTORI

Il solenne attestato di fiducia che mi avete dato mi ha profondamente commosso, e debbo perciò esprimervi tutta la mia gratitudine. Ma il titolo di onorevole non giunge a nascondermi a me stesso, né può essere a me argomento di orgoglio e di vanità, e son certo che meglio vi sareste avvisati se di esso aveste fregiato altro nome che del mio fosse più meritevole per ingegno e per virtù d'animo. Non vale dissimularlo: grave è il compito che mi si affida, e, novizio nei pubblici negozi, sento le difficoltà che incontrerò nell'acclimarmi in mezzo al tempestoso aere dell'aula parlamentare: solo quindi per rendere l'omaggio dovuto alla volontà del popolo io son pronto a spezzare il ristretto cerchio delle mie abitudini ed accetto il mandato che mi conferite.

Io son chiamato, o elettori, a dare al vostro pensiero una forma determinata ed una parola: non è possibile che io vi rappresenti senza un punto di contatto tra me e voi, senza un accordo almeno rispetto alle idee fondamentali.

Intendiamoci adunque.

La nazione italiana è nello stato nascente: ecco il concetto che informa l'attuale situazione. Si tratta dell'essere e del modo di essere di un gran popolo è quistione da un lato del compimento dell'unità nazionale, dall'altro dell'interno ordinamento.

L'Italia non è ciò che deve essere; alla sua corona mancano ancora due gemme, Roma e Venezia.

Roma, che come Roma dei Cesari compendiava una volta l'intera civiltà, come Roma dei Papi ne è addivenuta oggi la negazione. Si richiesero ben dieci secoli per com piere questo miracolo di barbarie, e per far della temuta Regina del mondo il ludibrio delle nazioni. Ma ora Roma è chiamata a novella vita: scopo delle aspirazioni di 27 milioni di uomini liberi, sdegnosa di una larva di grandezza, sta per riannodare il filo spezzato della sua gloriosa esistenza.

La presenza dei Francesi in Roma non ha nulla di ostile per noi; e già LUIGI NAPOLEONE riconoscendo il Regno Italico consegnava virtualmente Roma agli Italiani. Se la Francia come cattolica deve proteggere gli interessi religiosi, come amica di civiltà non può permettere che la sua bandiera serva di sicuro asilo ad uomini facinorosi, le cui mani sono grondanti di sangue fraterno, né che più a lungo si conservi un provvisorio pieno di pericoli per l'Italia, la quale separata dal suo centro naturale, sta come un corpo la di cui linea di gravità cade fuor della base. Bisogna aver fede nella Francia e nel grand'uomo che la governa. Chi ha stabilito il principio del non intervento, chi pose l'Italia in condizione da poter bastare a se stessa º i sangue di cinquantamila Francesi ha fecondato il nostro terreno e solo dopo la battaglia di Solferino Napoleone potè dire agli Italiani: io ho infranti i vostri ceppi, fate voi il resto.

Guardiamoci dal giudicare con leggerezza Colui che ben può essere denominato la Sfinge della diplomazia moderna. Ma l'enigma non oltrepassa il lato accessorio, e l'oscurità dei contorni non giunge a nascondere ciò che si trova nel fondo della sua politica. LUIGI NAPOLEONE non può distrugger se stesso; figlio della rivoluzione, conosce purtroppo che per sostenersi deve trarre la forza necessaria da elementi nuovi, ed opporre il diritto che sorge dalla matura delle cose a quello della conquista, il diritto della nazionalità e del suffragio popolare a quello fittizio della legittimità. Ciò che ad occhi che non vanno al di la di una spanna sembra lentezza ed ostacolo, non è che un procedere misurato ed accorto e quale viene richiesto dalla singolarità dello scopo.

La questione Romana deve essere composta moralmente, non già con mezzi violenti.

Un Papa esule, un Papa prigioniero, ecco i due possibili risultati della violenza, ecco i due possibili risultati della violenza,

i Ne e che possono figolla, stria non l l0il Soilo dell'adriati qu ar hto grandi, i bilincite 10 delle cento città sorelle - che il spfiri i S. ºsser e do: l'impeto generoso dei volontari glia si frangerebbe ai piedi dei baluardi di Mai --- -- i" a è uno stato - - "

do: l'impeto generoso dei volontari come onda in faccia allo scoglio si frangerebbe ai piedi dei baluardi di Mantova e di Verona. L'Italia è uno stato militare potentemente organizzato, e sul suo territorio, sotto il primo Napoleone, gli eserciti ripullulavano in proporzione delle sconfitte.

Ebbene sia questo un momento di grande apparecchio, e la guerra si intimi solo quando l'Italia è ordinata e non s'illuda sullo stato delle sue forze.

La nuova xxxxx ha offeso al di fuori gli interessi del partito austro-clericale, e nell'interno quelli dei piccioli tiranni, e di quanti erano vili istrumenti di tirannide. Essa ha dunque a combattere nemici interni ed esterni, e del suo ben può dirsi:

Iliacos intra muros pugnatur et extra.

Ma i nuovi governanti credettero potersi adagiare securi sovra un terreno minato, ed arrestarono a mezzo corso una rivoluzione di cui avrebbero dovuto impadronirsi non per schiacciarla, ma per dirigerla e compierla senza le incompetenze di piazza, con ordine e prudenza. Il funesto sistema di conciliazione dettato da una poco esatta conoscenza delle condizioni di queste province meridionali, ed inaugurato col Farini ha dato i frutti, quali dovevano attendersi, Si pretese l'impossibile: gli odii nudriti per tanti anni e le lunghe offese non potevano estinguersi e cancellarsi improvvisamente, né coloro che avevan deposto un comando che per essi era un particolare privilegio, spesso ereditario, e di cui usufruirono ad oltranza, potevano assistere con indifferenza al sarcasmo de'  loro oppressi, e senza volgere nel l'animo il pensiero della riscossa. Il governo scontentando gli uni, avversando gli altri, abbandonato in una parola da tutti i partiti, doveva cadere e cadde nella impopolarità, di cui i tristi non tardarono a profittare. La reazione verme preparata sopra una vasta scala, e mentre nelle città si co spirava impunemente, un brigantaggio feroce, ma vile, infestava le campagne. La macchina governativa mal servita da antichi o deboli impiegati si agitava senza scopo, e senza un novello indirizzo la sua rovina sarebbe stata inevitabile.

Ma il proclama dell'invitto Cialdini è giunto a tempo: esso è la fede nel partito liberale, e con esso l'Italia è salva.

L'unità nazionale è surta combattendo e come una nuova Pallade è uscita armata dal capo di Giove. L'atteggiamento marziale è in lei un carattere originario, indelebile, ed è perciò condizione indispensabile della sua esistenza e della sua grandezza avvenire. Il governo italiano, se intende la propria missione, deve adoperarsi alacremente a mettere in piedi un poderoso esercito, ed organizzare tutte le forze nazionali in tal modo, che all'ora del pericolo l'intero Paese possa sorgere come un solo uomo. Un popolo, che non sia di schiavi, deve avere una volontà autonoma, indipendente, ma la parola non acquista autorevolezza senza un esteriore apparato di forza.

Una flotta proporzionata ai bisogni deve essere di eguale premura, e non difficile ad ottenersi nel bel Paese che il Mar circonda e l'Alpe. Munita l'Italia di coste estesissime sulle quali a dovizia trovansi disperse popolose e floride città, ha tal numero di uomini pratici del mare che niun paese al mondo forse può vantarne l'eguale. Lo sviluppo delle forze marittime viene imposto dalle contingenze di una crisi non lontana. Il taglio dell'istmo di Suez farà quanto prima cambiar faccia al commercio europeo, il quale abbandonando la lunga linea del Capo tornerà a percorrere le antiche vie: l'Italia che, per la sua giacitura, è il piede dell'Europa tuffato nelle acque del Mediterraneo deve es sere il suo organo principale. Le navi di Genova e di Venezia, sotto l'impulso della nuova vita, porteranno il vessillo tricolore ai più lontani lidi; e su quella stessa onda, che le ire municipali facevano un dI rosseggiare del loro sangue, s'incontreranno per giovarsi reciprocamente, e formare la grandezza della comune patria.

Il popolo non deve essere gravato d'imposte oltre del bisognevole, nè il tesoro pubblico è destinato a procurare gli ozii beati ad nna classe privilegiata. Mille impieghi senza scopo pratico dovrebbero abolirsi, molti pingui stipendi ridursi. Con ciò non intendo di raccomandare il sistema dei piccoli impieghi, che non basta a fornire il pane giornaliero, e che deve riuscire costantemente alla corruzione ed al furto. Esso gittando nella società uno sciame di vampiri, che non sangue ma oro dimanda dal popolo è un mezzo che ben poteva reputarsi necessario secondo la logica dei Borboni, ma non si comprende come potesse avvantaggiar sene un governo illuminato.

L'azione governativa deve essere organica, ed il progresso civile anche esso e travaglio di riduzione della varietà all'unità. Da un lato favorire la produzione tanto nell'ordine materiale che nel morale, cioè stabilire banche, casse di risparmio, comizi agrarii, scuole industriali, rendere libero l'insegnamento, il commercio, ed arbitre le amministrazioni xxxxx interessi; dall'altro lato fare che le differenze

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col mezzo del vapore, che i diversi popoli d’Italia stringessero in una sola famiglia, e rendere più sensibili all'impronta di identità nazionale che natura ha scolpiti le nostre fronti dall'Alpi al mare, ecco in quale modo deve manifestarsi.

Tali, Elettori, saranno le norme dalle quali sarà regolata la mia condotta politica. Forte della mia convinzione, guardo immobilmente fisso al vantaggio della patria e della sua Provincia, io porterò in mezzo ai rappresentanti un libero pensiero, ed indifferente per le persone, impassibile per le cura dei partiti, terrò il mio voto esclusivamente al servizio dell’Italia.

RAFFAELE LANCIANO.

IL BRIGANTAGGIO NELL'ITALIA MERIDIONALE

La Presse ha un articolo sulle condizioni del brigantaggio nell'Italia meridionale. Eccone il passo più importante.

La cospirazione borbonica non ha radici nell'Italia meridionale. Questa cospirazione esiste soltanto a Roma, ove si mantiene per la complicità del governo pontificio, e questo governo esiste solo perché noi lo proteggiamo. In conseguenza lo stato dell'ex re di Napoli ci rende, anche nostro malgrado, indirettamente responsabili, Francesco II non andò a Roma per cercarvi la tranquillità dell'esilio: vi mena una vita tutt'altro che con quella dignità e con quel riserbo che fanno rispettare la sciagura, quand'anche meritata. Vi si rifugiò per dirigere più da vicino, più comodamente e con più efficacia la cospirazione dei suoi partigiani.

La corte di Roma che non è in aperta guerra col governo italiano, fomenta la guerra indegna che Francesco II fa a questo governo nostro alleato.

l giornali legittimisti ed ultramontani parlano talvolta di diritto di ospitalità. Questo diritto interpretato nel suo più largo significato, è violato da Francesco II. Nella città ove trovò un asilo, ed ove non ha alcun diritto di sovrano, l'ex re esercita ogni giorno apertamente atti da sovrano: batte moneta, concede passaporti, organizza bande d'invasori e li paga con la falsa moneta da esso fabbricata. Il governo italiano, a cui l'evidente complicità del governo pontificio darebbe il diritto di andare a Roma per farsi giustizia, si limita ad una protesta contro la violazione dei principii elementari di dritto pubblico e si appella alla giustizia del go verno francese. È impossibile che la sua voce non venga ascoltata, che finalmente non si riconosca la legittimità della sua protesta.

Or fa qualche tempo, abbiamo ricordata la dichiarazione di Francesco II, colla quale abbandonando Gaeta, impegna vasi non solo di evitare «qualunque nuova effusione di sangue ma di non provocare verun'altra agitazione nel regno.» Mancando agli obblighi solenni da esso presi, abbassandosi a far la parte di cospiratore, Francesco II perdette ogni di ritto ai riguardi che non avrebbero mancato al re vinto che sopportò degnamente la sua caduta. Ora non gli si deve che giustizia stretta e sommaria.

Se il nostro governo, per considerazioni che d'altronde sempre meno possiamo comprendere, crede di dover ancora impedire al governo italiano di cacciare da Roma i cospira ori che stabilirono in questa città il loro quartier generale, li scacci almeno egli stesso, od almeno li sorvegli per finirla colle loro macchinazioni. Lo può, lo deve.

– Sull'istesso argomento così scrivono alla Nazione da Torino:, Ricevo una interessante lettera da un ufficiale superiore appartenente ai corpi di operazione nel napoletano, sulla natura della lotta, che colà si sostiene dalla nostra truppa; ve ne riferisco qualche brano:

«I fatti di brigantaggio che si verificano in queste provincie sono tutti piccoli, e presi isolatamente, ad eccezione di sei o sette, non hanno importanza. Ciò che ne costituisce la gravità è la loro moltiplicità e soprattutto la connivenza delle popolazioni rurali, e in alcuni luoghi delle autorità municipali e della Guardia Nazionale medesima.

Quando voi leggete, per esempio, che 300 briganti si sono presentati in un dato paese e l'hanno messo a sacco, oppure vennero respinti, i immaginazione di chi legge gli pre senta una schiera più o meno ordinata e una lotta regola re; ma nulla è vero di ciò; non sono che 20 o 30 soldati sbandati e briganti di professione che colla speranza del saccheggio si sono fatti seguire da un'orda di contadini armati di falci e di forche, e che se hanno indizio di resistenza se la danno a gambe, se no, commettono ogni eccesso contro l'inerme paese. Tale è il brigantaggio che non avrebbe importanza o valore politico, se non fosse diretto dal clero e secondato dall'inerzia dei liberali, che le passate amministrazioni ebbero il torto di deprimere ovunque, talché sono avviliti, e il governo ne ebbe riputazione di debole ed ingrato, e i reazionari s'inorgogliscono, e gli indifferenti che sono sempre i più a questi se ne andarono mano mano accostando.

» Questo stato di cose deve essere sempre presente a chi legge le notizie di Napoli, e spetta ai giornali spiegarlo. Qual è il lagno continuo dei nostri soldati? Che faticando enormemente, e facendo miracoli d'abnegazione e di zelo, non giungono quasi mai a trovare i briganti, che si dileguano al loro apparire, e la più parte ritornano alle loro case e si atteggiano a pacifici agricoltori. Quindi perdendo la pazienza spesso ne fanno una rastrellata, e ciò non tanto i nostri quanto le guardie nazionali, che hanno le passioni vendicative del paese, e li fucilano senza formalità, potete credere talora con quanta giustizia!»

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– Si scrive da Berlino all'agenzia Havas:

Assicurasi nei circoli ben informati che la Prussia è per riconoscere effettivamente fra poco il regno d'Italia. Naturalmente i gabinetti di Vienna di Monaco e di Dresda hanno fatto tutti gli sforzi per distogliere il nostro governo da questo passo, e dicesi che il re Giovanni di Sassonia si sia recato a Baden non per altro che per agire sull'animo del re in questo senso. Tuttavia tutto si prepara pel riconosci mento, e si assicura che il conte di Launay il quale ha parlato col re, ultimamente a Baden, abbia ottenuto a questo riguardo formali assicurazioni.»

NOTIZIE ITALIANE

– Si scrive da Valdieri alla Sentinella delle Alpi del 25 agosto:

«Giovedi 15 S. M, il Re col suo seguito scende l'accampamento per assistere alla messa nella cappella qui vicina. Ignorando l'amministrazione delle Terme di Valdieri l'arrivo del Re, non ha potuto fare molti preparativi per accoglierlo come si sarebbe desiderato, tuttavia si adornò l'atrio della cappella stessa con tappeti e fronde la semplice iscrizione

Salve o Re d'Italia.

Finita la messa il Re partiva fra gli evviva degli abitanti delle Terme.

– L’affare dei temuti moti nella provincia di Ascoli pare che si riduca ad un vero pettegolezzo. Il comandante militare avrebbe ritirata da Ascoli temporariamente la guarnigione senza concertarsi prima coll’autorità civile; l’Indipendente allora ha telegrafato a Torino che temeva il finimondo. La truppa ritornò e trovò che tutte le cose erano nell'ordine il più perfetto.

– Le comunicazioni ferroviarie d'Italia sonosi cresciute in un tratto di 80 chilometri da Bologna a Forlì sulla via d'Ancona. Gli esperimenti riuscirono pienamente soddisfacenti, e la corsa inaugurale avrà luogo al 1° settembre.

– L'Havas-Bullier pubblica il seguente dispaccio:

«Il signor Coello, ex ministro di Spagna presso la corte di Torino si reca in quest'ultima città assieme a sua moglie e alla sua famiglia per stabilirvisi de te. Questa determinazione dell'antico ambasciatore è tutta privata e non ha alcun significato politico.»

– E’ stata firmata dal ministro d'agricoltura e commercio e da quello delle finanze la concessione in favore dei signori Thompson e Compagni per lo stabilimento di un'officina metallurgica e un golfo di cariaggi nel golfo della Spezia.

– Dall'Independance Belge togliamo le seguenti notizie:

«Il governo italiano ha noleggiati in Francia sette od otto piroscafi che dovranno concorrere al movimento di truppe e al trasporto del materiale da guerra sul litorale delle provincie meridionali.

– Il ministro dell'istruzione pubblica ha diramato una circolare ai rettori, delegati straordinari, provveditori ed ispettori scolastici, in cui, nel partecipar loro le nuove attribuzioni conferite, spiega le ragioni che lo hanno determinato al discentramento.

Il ministro osserva che nelle amministrazioni, più le ruote si moltiplicano e più lento e impacciato riesce il lavoro.

La soverchia tutela è l'origine di questi mali. L'onorevole De Sanctis vuole condividere la responsabilità, perché, senza questa, il sentimento del dovere nei subalterni rimane inerte; e se non si rifiuta d'obbedienza si nega però sempre il concorso spontaneo e più efficace del buon volere e dei lumi.

Il ministro tocca di alcuni inconvenienti che possono trovarsi nel suo sistema, ma conclude saviamente che le cose umane non vanno regolate come un orologio, e che non è necessario che nello stesso giorno ed alla stessa ora s'insegni lo stesso libro e la stessa dottrina a Palermo come a Torino.

Quello che importa è l'unità dell'impulso e dell'indirizzo.

Quand'anche il principio avessero a correre errori ed a commettersi abusi, questo non farà che prepararci a quella circolazione della vita pubblica, senza cui né le intelligenze si svegliano né i caratteri si formano.

– Leggesi nel Corriere Mercantile del 27:

Quest’oggi verso le dodici il 12° reggimento di fanteria traversava la città recandosi al Molo Vecchio ove s'imbarca alla volta di Napoli

– Sono aspettati a Torino un inviato del re di Danimarca ed uno del re di Portogallo, latori della risposta del loro rispettivo sovrano alla notificazione della proclamazione del regno d'Italia.

– Il generale Solaroli si recherà da Stoccolma a Copenaghen per presentare a S. M il Re di Danimarca il collare dell'ordine dell'Annunziata.

- Pare che s'invieranno altre truppe richieste dal generale Cialdini per completare il suo piano di simultaneo attacco a tutti i punti occupati dai briganti. Il generale ha mostrata la fiducia di compiere la sua missione entro il mese di settembre. (Gazz. di Torino)

– Sono prossimi alcuni cangiamenti nel personale dei governatori che ultimamente furono inviati nelle provincie napoletane. (Idem)

– Il marchese Torrearsa reduce dalla Danimarca e dalla Svezia si è lodato co’ suoi amici dell’accoglienza che gli venne fatta ed affermò come in que’ due mesi il nome solo d'Italia desti una classica ammirazione e il più vivo entusiasmo.

– Alla Gazzetta di Milano, così scrivesi da Torino il 20:

Jeri, con una di mia conoscenza, il ministro Bastogi parlando di politica e più specialmente della quistione romana, avrebbe proferito le seguenti parole, che io vi tra scrivo quali mi furono riferite: «Posso assicurarvi che siamo alle porte di Roma». Peccato che il sig. Bastogi non sia ministro degli affari esteri, perché in tal caso le sue parole su quest'argomento avrebbero un significato che attualmente non si può loro attribuire

– Per le notizie che abbiamo cinquecento reazionari partiti da Roma la mattina del 23 si sono avvicinati ai confini del Regno per la parte dell'Umbria; nulla indica peraltro che essi abbiano, almeno per ora intenzione di oltrepassarli e di tentare così un colpo di mano, il quale sarebbe tanto audace quanto stolto.

Annunziammo ieri come il Governo, non appena ricevuta la notizia della partenza di quel corpo, che ora sappiamo composto in parte di napoletani e in parte di Bavari, comandato dal colonnello Lagrange, prese gli opportuni provvedimenti onde la frontiera toscana, verso la quale sembrava si volessero dirigere, fosse guernita e siam lieti di aggiungere come da Orbetello a Radicofani vi sieno truppe le quali saprebbero far pagare caro a que’ miserabili il loro folle tentativo. Anche dalla parte dell’Umbria vi sono truppe bastanti a tenerli a dovere.

E volesse il Cielo che le pazze imprese degli Antonelli e dei De Merode spingessero quel briganti a sconfinare, perché sarebbe questa una ottima ragione per porre un termine a tutte le cospirazioni che si ordiscono in Roma contro il Regno d'Italia. Non crediamo peraltro che codesta gente sarà si stolta da avventurarsi in una impresa di tal fatta. (Nazione)

– Scrivono da Rimini (17 agosto) alla Sentinella bresciana:

«Ieri il vapore rimorchiatore l'Indipendente lasciava a Fane da circa 250 tra ex-soldati borbonici e briganti che le nostre truppe fecero prigionieri a Loia ed Avellino, ed il restante dell'inonorato carico, cioè altri 218 rinnegati italiani, venivano in oggi sbarcati in questo porto Canale e consegnati nella caserma di San Bernardino. Durante il viaggio, e precisamente nelle vicinanze d'Ancona, 7 o 8 tentarono la fuga gittandosi in mare; ma, avvertiti da qualche colpo di fucile che giuocavano una cattiva partita, si lasciarono raggiungere da una scialuppa e quieti quieti ricondurre a bordo del vapore.

Qui si fermeranno fino al giorno 20 per essere quindi raccolti in Alessandria e per dar luogo così agli altri che si aspettavano. Non so se questa strada sia la più breve, ma ad ogni modo ritengo che la visita di tanti sgraziati, laceri, avviliti, deformi, nelle mani della giustizia, possa inspirare qualche salutare riflessione ai molti che in questi paesi credettero e credono che si possa fare e dire impunemente a scapito della buona causa. Persuadetevi; qui vi è dello spirito italiano, è vero, ma vi è anche del gran marcio, e se il governo procederà con giustizia sì, ma con qualche rigore i buoni respireranno una volta i deboli non cederanno alle continue seduzioni dei tristi, ed il partito del disordine anziché aumentare ogni giorno finirà col dissolversi, o per lo meno col non nuocere tanto.

CRONACA INTERNA

– Con nostro rincrescimento abbiamo conosciuto essere giunto il disordine nel Collegio Vittorio Emanuele ad uno stato deplorabile, pare che in mezzo a quei giovani non più s’intenda che cosa sia morale, osservanza, silenzio, od esattezza di studio. I professori veggendo avvicinarsi il tempo del pubblico esperimento si trovano in un vero imbarazzo, giacché non sanno come provvedere, acciò il pubblico esame riesca in qualche modo soddisfacente: o sia stato il metodo sbagliato, o la poca assistenza dei professori, o la mancanza dell’applicazione dei giovanetti, certo è che non ancora sino a Sabbato p. p. s'era presa una determinazione per i pubblici esami. La stampa tutta intera ha gridato sempre per il mal governo di questo Colleggio, e pure si sono visti non solo sostenuti gli autori di quei disordini, ma anche promossi. Questo pare che sia l'insulto maggiore che possa farsi alla pubblica opinione. Il cattivo risultato degli studii può rimediarsi cambiando il metodo, ed i professori neghittosi, ma il concetto della moralità una volta perduto come può ristorarsi? Noi non volevamo aggiustar fede all'esistenza di questi fatti: ma persone di quel colleggio ce ne hanno dato le più certe assicurazioni.

Abbiamo anche conosciuto essere stato da qualche settimana destituito un prefetto di questo colleggio. il quale essendo professore universitario nel Veneto, per la causa italiana dove emigrare dal suo paese: arruolandosi fra i volontari e facendo con Garibaldi tutta la campagna di Sicilia, e di Napoli; per campar la vita questo illustre patriota si contentò fare il Prefetto, ma quel Direttore adendo letto sul giornale il Paese, un articolo, che rivelava i bisogni del Colleggio; credè il Veneziano autore di quell’articolo, e ciò fu sufficiente perché questi fosse destituito, ed oggi vive assai miseramente. Noi insistiamo presso chi di dritto che non dia tanto facile ascolto a tali rapporti, ma che li esamini ponderatamente prima di dar fuori un giudizio.

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— Il signor Aurelio Finizio ha fatto stampare nella Democrazia una sua lettera, nella quale dichiara non esser lui l’autore di un articolo, pubblicato nel medesimo giornale, contro la presente amministrazione del grande Ospedale degl’Incurabili. La dichiarazione del Finizio è giunta a tutti inaspettata, tanto da far ricorrere alla mente del benigno lettore il proverbio che dice: excusatio non petita accusatio manifesta. Ma meglio riflettendo su quella lettera si vede chiaro che il Finizio non vi ha avuto altro intendimento che quello di divergere l’attenzione del pubblico dalle vere cagioni che han prodotto la sua destituzione da chirurgo ostetrico degl’incurabili. Molta arguzia d’ingegno ha mostrato il signor Finizio nel voler far credere che la sua destituzione fosse avvenuta per vendetta dei governatori sdegnati contro l’autore di un articolo. Ma noi non potendo credere capaci di tanta bassezza le stimabilissime e ragguardevoli persone che ora governano l’Ospedale degl’Incurabili, ci siamo informati del fatto, e da tutti i medici e chirurgi dell’Ospedale, che a coro applaudiscono a quanto il governo ha disposto contro al Fittizio, abbiano saputo che questi è stato rimosso dai suo posto perché la sua intrusione avvenuta per favore borbonico arca violato lo statuto fondamentale dello stabilimento ed era stata una ingiustizia commessa in danno di tanti altri professori. La violazione e l’ingiustizia doveano essere riparate e questo han fatto e van facendo gli Amministratori degl’Incurabili.

- Dalle Calabrie si ha che un orda di briganti avendo occupati i comuni di Spadola e Brognaturo, minacciavano lo Stabilimento di artiglieria della Monna. Mossero tosto le forze di guardie nazionali e truppe che dispersero i briganti, molti di essi non trovando scampo nel bosco Lacina, occupato dalla guardia nazionale, caddero prigionieri. Questo fatto sgomentava gli sbandati di altri comuni i quali sonosi tutti presentati. Senza numerare i briganti di second'ordine che sono arrestati in provincia di Catanzaro, è notevole la presentazione di quattro capobanda, Luigi Cimino, Bruno Lucente, Saverio Ammirato e Saverio Chiodo, il primo di costoro munito di salvacondotto da quelle autorità ha fatto cader nelle mani della giustizia molti malfattori e moltissimi sbandati.

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— Da Sora in data del 17 agosto cosi si scrive alla Guida:

Si dà come cosa certa che il p. Chisciotto Borbonico Bosco sia stato arrestato dai Francesi a Veroli o a Subiaco. Ogni giorno si rinvengono morti dei briganti per le chine delle montagne sinora 45.

— Giovedi sera 22 del corrente vedemmo, dice la Guida di Aquila, con emozione e piacere il sig. Francesco de Roccis Sindaco di Navelli alla testa dei soldati sbandati di quel Comune, i quali ricoverti della gloriosa Bandiera Italiana che uno di loro imbrandiva allegri e festanti venivano a presentarsi per essere inviati a raggiungere i loro fratelli d'arme sia nell'Italia Superiore, sia dove meglio stimerà il militare comando. Possa il nobile esempio del Sindaco di Navelli trovar molti imitatori!

Nostra corrispondenza da Foggia del 25.

Stimo ci riuscirà piacevole saper ciò che avvenne xxxxxxxx in Roseto, circondario di Sansevero, xxxxverte in iscena di gaudio ciò che doveva essere un’orribile catastrofe.

I Rosetani fatto minacciati da una aggressione di briganti, i quali avean già desolato Montefalcione. A queste minaccie si aggiunsero pure quelle di Vito e fratelli Capobianco anche essi di Roseto e nemici acerrimi del proprio paese, perché non lo potean tiranneggiare a loro agio,facendo credere di farlo saccheggiare da truppe che essi stavano assoldando.

Il paese ne fu allarmato poiché nel passato novembre fu saccheggiato da Garibaldini pugliesi per conto degli stessi Capobianco, e pagò una tassa di ducati 5,000 al generale della colonna peuceta sig. Liborio Romano. Il paese stava perciò tutto in armi.

Nella notte del 12 di questo mese le sentinelle avanzate verso l'una antimeridiana, scovrirono un drappello di gente armata che veniva alla lor volta. Era la truppa stanziata nel vicino comune di Alberona e che accorreva ad aiutare Roseto minacciata da briganti. Fatalmente da Rosetani fu creduta essere la gente assoldata da Capobianco, e tutto il popolo fu in armi. S'intimò a soldati di fermarsi a buona distanza dal paese, e fatto giorno, la plebe non volle ricredersi del suo inqualificabile errore, avendo veduto a guida della truppa un tal Giuseppe Mancini di Alberona famoso satellite di Capobianco. Il Sindaco conscio dell'identità della truppa cercò ma invano persuadere il popolo a riceverla nel paese, per il che pregò il capitano che la comandava a tornare in Alberona per ivi attendere l'invito di venire in Roseto dopo che il popolo si fosse persuaso a riceverli non come nemici ma come fratelli. Vi acconsentì e tutto cessò per quel giorno. Ma la mattina del 14 la truppa istessa volle tornare in Roseto per occuparla.

Il capitano fece sapere a quel Sindaco la presa determinazione, esortandolo ad assicurare il popolo a nulla temere ed a riceverli come amici. Questo ufizio fu letto in publico, ma da Rosetani fu tenuto come un inganno. Non valse a dissuaderli l'assicurazione de’ preti e de’ buoni cittadini. Si sonarono le campane a stormo e tutti animati si disposero a combattere la truppa. La quale volle avanzarsi e fu ricevuta a colpi di fucile. Sorpresa dell'audacia, e vedendo non poter vincere una massa di più di 2,000 armati, ordinatamente si ritirò,lasciando però un segno di sua valentia ai Rosetani poiché mentre nessun soldato ebbe menomamente a soffrire, tre contadini rimasero feriti, di cui uno è già morto.

Tornati in Alberona i soldati chiesero rinforzo al Maggiore Boetto che comanda varie compagnie di linea in Volturara ed una di bersaglieri. Questi stabili l'occupazione di Roseto ad ogni costo.

Saputosi il fatto dal Maggiore della Guardia Nazionale di Lucera, questi spontaneamente si recò presso il governatore offrendosi come mediatore tra i Rosetani ed il sig. Boetto. Avutone il mandato condusse le cose in modo che i Rosetani deposero le armi, e riunito il Clero, i più distinti cittadini e tutti gli uomini del paese uscirono ad incontrare la truppa. Ognuno portava un grosso ramo di ulivo talché sembrava camminasse un bosco. Alla vista della truppa che si ravvicinava, i Rosetani dividendosi in due ale per dare il passaggio ai gloriosi soldati, si prostrarono tutti a terra.

Piangendo a grosse lagrime accusarono il loro torto, si dissero ingannati, e battendosi il petto chiesero grazia e perdono agli ufficiali e soldati in nome di Vittorio Emanuele.

La scena riuscì commovente tanto che se ne leggeva l'impressione fin su volti abbronziti del soldati. Il valoroso Maggiore Boetto la generoso dichiarossi a nome di tutti contento della ricevuta soddisfazione e pronunziando il perdono ordinò a tutti di entrare in paese. Non posso descrivere la gioia con cui i Rosetani fino allora incerti del lor destino accolsero la parola del perdono: le grida di evviva al Re, alla Truppa ed all'Italia assordavano l'aria in mezzo all'agitarsi continuo le rami d'ulivo e delle bandiere tricolori.

Cosi si entrò in paese, ove tutte le donne inginocchiate sulle soglie delle case alzavano le braccia al cielo ringraziando Dio del ricevuto perdono ed implorando mille benedizioni sopra i soldati.

Schierati i militi ognuno si affrettò a recare rinfreschi alla truppa, che tutto rifiutò tranne una moderata razione divino per segno di fraternità e per non mortificare quei paesani. La truppa fu acquartierata in un sol sito, e li uffiziali presero informazioni per sapere se la resistenza fosse stata cagionata da cattivo animo reazionario, ma furono tosto persuasi che la cosa stava ben altrimenti.

Ora tutto è armonia, ognuno è contento, e Roseto sarà uno de'  Comuni del Regno più fedeli ed ubbidienti al magnanimo nostro Re. Dopo due giorni di dimora in Roseto il bravo Maggiore Boetto lasciando una compagnia per meglio consolidare l'ordine stabilito partì col restò di sua colonna per Biccari.

In tutta la provincia la truppa è generalmente amata: gli uffiziali specialmente sono trattati come fratelli. L'elemento clericale ingaglia ogni progresso, ma sono sicuro che presto perderà ogni prestigio. Il brigantaggio è in decadenza e spero quanto prima annunziarvi il totale esterminio di questi mascalzoni.

UN CONSIGLIO ALLA COMMISSIONE

NOMINATA DAL SIG. DEL GIUDICE

Questi abbenché dimissionario per zelo ha voluto nominare una commissione per esaminare il personale dell'amministrazione di acque e foreste. Astenendoci dal lodarne l’insediamento ch’è in se stesso buono, avrebbe potuto ritardare egli stesso le promozioni ultimamente fatte per sottomettere quei nomi al giudizio della Commessione. Questa avrebbe veduta che un tal A. ora promosso, nel 29 fu rimosso per indicatezza, nel 32 fu messo in un bosco nel quale era minore, la forza del male che poteva fare: avrebbe pure veduta la commessione che sono stati destituiti, e ritirati impiegati sul conto dei quali i Governatori, autorità certo competente, hanno bene riferito.

La Commessione, fra i quali vi è un De Siervo, un del Giudice deputato saprà fare il suo dovere, e vorrà leggere gl'incartamenti. Dalla lettura vedrà l'invasione costante sotto tutti gli aspetti dell'ex Dicastero sulla direzione di Acque e Foreste. Noi li sappiamo tutti: sappiamo pure i nomi, che ora tacciamo per non prevenire il giudizio della Commessione: ma come prova di questa invasione citeremo un fattarello. Un impiegato dell'ex-Ministero E. P. (di nuova nomina) voleva largire una donna per nome P. M. sul fondo delle ammende forestali, ch'è per legge destinato alle gratificazioni dell'impiegati. Era esaurito il fondo, ma non la voglia della protetta e del protettore, perciò fu invertito l'articolo destinate alla mobiglia dell'amministrazione, ed a Marzo passato furono pagati duc. 18. L'impiegato istesso, incensurabile sol perché di nomina recente è stato assalito dalla stessa signora, e quindi non ha guari novello ordine di novella somministrazione, che si è fatta gravitare sullo stato discusso. La corruzione dunque da su va giù. La Commessione, perché composta di Napoletani, e quindi consapevole dei fatti nostri vorrà fare buon viso a questo consiglio.

Il Martirio politico a ragione è divenuto moneta contante, quindi tutti si vogliono far martiri: il passato governo emise una gran copia di titoli politici, e perciò molte condanne o gravi o lievissime, molte persecuzioncelle; ma se la Commessione vorrà leggere i processi, vi troverà nel fondo o semplicemente il delitto comune, o questo accompagnato a qualche sogno politico. Alla prima categoria appartiene un certo C. impiegato nell'Amministrazione. I liberali veri, cioè coloro che han preposto la patria alla loro vita, ed ai loro beni, quando saranno separati dagli altri saranno molto più gloriosi, perché si troveranno più pochi di numero. Ricordiamo infine che in questa amministrazione vi è un tale C. col soldo di duc. 6 al mese, il quale per aver regalati duc. 200 ebbe negli ultimi tempi del Borbone quel posto: la sua capacità è proprio zero.




Anno I – N° 28 Napoli — Venerdi 30 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

Altre truppe s'imbarcano per recarsi in Napoli, e farla finita una volta coi briganti. Qualche giornale annunzia che a tale uopo siansi noleggiati dei piroscafi francesi; noi invece sappiamo che vi si adoperano vapori italiani. Ma a proposito di briganti, anche questa è da contare: le terre che stanno ancora sotto il giogo del papa e dell'Austria non ne vanno esenti, tanto si è propagata la mala sementa. In fatti ne dintorni di Castellaro, Vilimpenta e Roncoferraro si è formata una banda di briganti, tutti disertori napoletani, che delusi nelle loro speranze per le promesse ricevute dai comitati reazionarii, scorrazzano per le campagne e con minacce estorcono viveri e danaro. Che ne dirà il d'Azeglio? Questi non sono certo al di quà del Tronto, ma sibbene al di là del Po.

Sono stati nominati commendatori dell'Ordine de'  SS. Maurizio e Lazzaro i generali Nunziante, Pianelli, Negri, Polizzi, Bixio, Medici, Turr e de Benedictis.

In telegramma da Parigi reca: «La notizia data dal Siècle che il nostro governo voglia sostenere il potere temporale del papa è smentita.» Bisognava dire da chi, e speriamo che la smentita venga dal Moniteur. Ma vogliamo credere che vi sia pire errore nel nome del giornale a cui si dà la smentita, poiché non ci pare che possa essere il Siècle. Forse sarà la Patrie che si è unita in lega coi clericali. Più ci fa senso l'altra notizia telegrafica che il Pays annunzii avere il governo assicurato agli ambasciatori che manterrà l'occupazione a Roma: ci auguriamo che il Pays questa volta sia male informato, o che il telegrafo abbia ommesso qualche circostanza importante. Potrebbe, per esempio, aver taciuto il fino a quando quell'occupazione sarà mantenuta. Intanto l'Imperatore ha aumentato di molto lo stato maggiore della flotta, ed altro aumento si promette per l'anno venturo.

Si è pubblicato in Ispagua un opuscolo del sig. Gullon che ha menato molto rumore. Esso è diretto a provocare l'unione in un sol regno di tutta la Penisola Iberica, ma incorporando il Portogallo alla Spagna. Se avesse proposto il contrario, cioè l'assorbimento della Spagna nel Portogal lo. forse avrebbe trovato maggior favore presso gli uomini ragionevoli. Come mai uomini amanti della patria e della libertà potrebbero pensare a porsi sotto il giogo di chi ha in se incarnato l'assolutismo? Vedete un po' la differenza: il Portogallo non solo ha riconosciuto il Regno d'Italia. ma ha dato le maggiori prove di simpatia per esso onorando la persona del rappresentante del suo Re presso quella corte.

La Spagna invece, o per meglio dire la corte spagnuola (poiché la nazione la pensa ben altramente), non solo non l'ha riconosciuto, ma non lascia intentata occasione per osteggiarlo. E forse che il Portogallo non è potenza cattolica come la Spagna? E forse che la Spagna non ha un go verno liberale, almeno di nome, come il Portogallo? Né vale il dire che interessi di famiglia vietino, alla Regina di Spagna di riconoscere un fatto che ha mandato giù dal trono i Borboni di Napoli e di Parma; ella ben sa che per lungo tempo questi suoi cari parenti non riconobbero la sua sovranità, e che non solo diedero asilo al conte di Monte molino, ma nel dargli moglie riconobbero in lui il titolo di Re di Spagna. E anche dopo averla riconosciuta non mancarono di somministrar danaro pei tentativi che i pretendenti e quel trono fecero per toglierlo ad Isabella II. Come vorreste adunque che i liberi Portoghesi si sottomettessero al ferreo giogo che oggi pesa sul collo agli Spagnuoli? Ne volete una pruova?

In una settimana, dice il Contemporaneo, è stata inflitta a lui una multa di 20.000 reali, è stato sequestrato il suo foglio quattro volte, ed annunzia che tiene tredici cause pendenti per delitti di stampa; il Pueblo è stato condannato a due multe per la somma di 22,000 reali; si è incriminato un articolo della Esperienza; il Clamor pubblico ha sospeso le pubblicazioni per le multe a cui è stato condannato, e forse il Pueblo farà lo stesso; contro il direttore della Ilustracion di Malaga il fiscale ha chiesto la pena di dodici anni di carcere, l'Eco de Estremadura è stato sequestrato; il Porcenir di Granata ha dovuto sospendere le sue pubblicazioni come foglio politico per provvedersi di un nuovo editore responsabile. Evviva la libertà della stampa in Ispagna!

Intanto i Borboni di quel paese van crescendo di numero, poiché l'infanta D. Cristina moglie dell'infante D. Sebastiano, il 20 agosto ha dato alla luce in S. Ildefonso un reale infante di cui non conosciamo ancora il nome.

Ci annunzia il telegrafo che il 28 a sera l'Imperatore è partite pei Pirenei. Se mai si verificasse quel tale colloquio colla regina Isabella che vuolsi dover aver luogo a Bajonna, speriamo che riesca a convertirla a migliori sensi. Sarebbe veramente una conversione miracolosa.

A Cracovia molti preti sono stati arbitrariamente depor tati dall'autorità militare. Un vescovo protesta contro un tale abuso. I preti nostri potrebbero seguire l'esempio.

LA FINE DEI BRIGANTAGGIO

Tutte le corrispondenze delle Provincie sono concordi nell'affermare che la condizione della sicurezza è grandemente migliorata e che i briganti parte si presentano, parte son fugati o uccisi dalla truppa o dalla Guardia Nazionale mobile. Le autorità hanno incominciato a spiegare una grande energia, cercando scovrire i ricettatori del malandrini, e parecchi di essi già sono stati puniti.

L'organizzazione della G. N. mobile procede benissimo, ed oramai si può affermare che 110 compagnie si sono formate. Il brigantaggio resterà ancora ma non avrà importanza di sorte, saranno pochi ladri che percorreranno le campagne, e che verranno poi a capitare nelle mani della giustizia.

Intanto col finire del brigantaggio conviene porre pensiero perché non si rinnovelli, e adoperare tutti i mezzi a far raggiungere lo scopo, Non bisognerà mai obliare che il Borbone è in Roma, e che di là manda ogni giorno proclami, uomini è danaro, né manca di mandar fuori decreti co' quali fa nomina d'impiegati che andrebbero in carica non appena S. M. brigantesca sarebbe tornata fra suoi fedelissimi servitori.

Conviene pensar seriamente ad organizzar Carabinieri e non lasciar di nuovo sguernite le province. Questi popoli meridionali col tempo non avranno bisogno di truppa, ma è utile ricordarsi che l'anno trascorso oltre a 80 mila soldati, vi avea 12 mila gendarmi soldati. E’ necessario dunque che il governo comprenda che in queste province non vi sarà mai sicurezza se prima non vi saranno almeno 7 mila carabinieri, i quali perlustrino le vie, ed abbiano stanza ne' piccoli paesi, siccome si faceva per lo passato. Il governo nell'organizzare questi valorosi militi, va molto a rilento. E’ oramai trascorso un anno, ed in queste province non ne sono venute che 2 mila.

Secondo il nostro concetto ve ne ha bisogno di altri 5 mila. Sarebbe bene che il governo pensasse ad introdurre fra carabinieri molti delle provincie meridionali come conoscitori de’ luoghi, degli abitanti, del dialetto.

È necessario che il governo pensi seriamente a far la leva. Ma qui è utile ricordare due cose: La legge votata nel Parlamento dice che queste province daranno un contingente di 36 mila uomini da chiamarsi sotto le armi in due volte. Or noi crediamo che come son ridotte le cose, questo sistema non potrebbe seguirsi senza correre il pericolo di vedere i 18 mila uomini che restano in casa aspettando la nuova chiamata, di vederli addivenire briganti. Util cosa è adunque chiamarli in una sola volta, non mescolarli con gli antichi soldati borbonici, lasciarne molti ad organizzarsi in queste province, altri inviarli in Sicilia ed in questa guisa accorreranno più facilmente sotto le bandiere.

È utile porre anche mente al modo onde conviene attuare la leva. Certo è che i coscritti non mai volentieri sono accorsi sotto le armi. Ci ricordiamo troppo bene i lamenti e i gridi che avevan luogo nei piccoli paesi, quando giungeva il tempo della coscrizione. Nell'esercito borbonico vi eran circa 30 mila cambii, e la maggior parte di questi venivan fatti dalla gente più corrotta e vagabonda del paese. Se condo noi perché il governo possa venire a capo di questo importante affare, è necessario che la leva non si facci simultaneamente in tutte le province; ma prima in una e poi in un'altra, raccogliendo nella provincia ove avviene il sorteggio un gran nerbo di forze.

Così posto fine al brigantaggio e fatta la nuova leva, il governo deve porre una volta per sempre rimedio a mali delle diverse amministrazioni. Noi lo abbiamo detto altra volta e lo ripetiamo fermamente convinti della verità: che il governo mandi via una volta per sempre tutto quello che crede vi sia di guasto e corrotto negl'impiegati nuovi o vecchi che sieno. che vi provveda coscenziosamente con uomini onesti ed intelligenti, e che poi adotti senza farsi scuotere più da partiti o dalla piazza il principio che noi enunciammo or sono parecchi giorni che vediamo con piacere ora riprodotto da un pregevole giornale: da oggi in poi nessuno sarà rimosso dal suo posto, se non avrà mancato a suoi doveri.

UNA NOTA DEL GOVERNO PAPALE

Sotto questo titolo il Siècle pubblica il seguente articolo, di cui ci fece cenno un dispaccio telegrafico: La Francia, riconoscendo il regno d'Italia, fece fare alla quistione romana un passo decisivo. I giornali legittimisti e clericali non s'ingannano punto. Sin dal primo momento emisero un grido di dolore e di indignazione che fece abba stanza comprendere la grandezza dell'atto, che potevasi considerare come l'agonia del potere temporale.

Sino al giorno in cui venne officialmente annunciato, il governo papale aveva rifiutato di prestarvi credenza; il partito anti-rivoluzionario ama pascersi di illusioni. Non si cura né degli avvenimenti, né delle cause di essi; avviticchia to a viete superstizioni, non ha che una credenza, che nna speranza, il ritorno al passato, a ristaurazioni impossibili.

Il suo scompiglio fu dunque grande, allorché vidde l'imperatore sacrificare i veri interessi della Francia a non sappiamo quali considerazioni di diritto divino. Ma, passata la prima sorpresa, la camarilla romana, la cui cocciutaggine è proverbiale, cercò di paralizzare gli effetti del colpo che aveva ricevuto, ed oggi, se siamo bene informati, vuol tentare un nuovo sforzo e supremo. Tratterebbesi nientemeno che spingere ad una coalizione i governi grandi e piccoli che non riconobbero peranco il regno d'Italia.

A questo scopo scrisse un manifesto secreto che deve es sere rimesso soltanto ai ministri di Russia, di Prussia, di Spagna, del Belgio, della Baviera e dell'Austria. In questo manifesto, nel quale riunì come per un'ultima battaglia tutte le sue forze e tutte le sue accuse, il governo pontificio palesa chiaramente il fondo del suo pensiero.

Secondo lui la Francia non sarebbe venuta a Roma per proteggere il trono di S. Pietro, ma per consegnarlo a suoi nemici. La esclusiva protezione dell'imperatore dei francesi avrebbe fatto del papa non un protetto, ma una vittima.

Il papa quindi denuncierebbe codesta protezione che gli lega le mani, protesterebbe contro tutto quello che si è fatto, rimettendosi al braccio di Dio per ricuperare le provincie delle quali venne spogliato. Qualificando poi di effimere le riserve che accompagnarono il riconoscimento del regno d'Italia per parte della Francia, il papa dichiarerebbe di risguardare quest'atto come la sanzione di tutte le spogliazioni, di tutte le ingiuste aggressioni dirette tanto contro il patrimonio inalienabile di S. Pietro che contro la sua i persona. Ci si assicura che il gabinetto di Roma si ripromette un grande successo da questo manifesto, di cui ciascuna frase denuncia la Francia come traditrice e spogliati tre dei successore degli apostoli. Se si riceveranno risposte favorevoli si andrà ancor più lontano. Dopo che si è dichiarato così segretamente farà una dichiarazione pubblica e dirà senza dubbio al mondo che il papa fu tenuto in prigione dodici anni da questa Francia, senza la quale, diciamo noi, il potere temporale non esisterebbe da lunga pezza. Si accuserà la Francia che sarà non soltanto Ponzio Pilato, ma Giuda! Non v'ha che una disgrazia in tutto questo, che ogni tentativo cioè contro la Francia, correrà la stessa sorte dei precedenti, dei massacri di Perugia, delle crociate del signor di Lamoricière e delle campagne delle encicliche. L'Europa sa a meraviglia che noi femmo per la Santa Sede tutto quel lo che umanamente potevamo fare, e che se soccombe lo deve alla sua insistenza nel rifiutare riforme, alla sua testardaggine, a suoi errori costanti, a quella specie di mania con cui si rise di tutti i consigli e resiste ad ogni domanda.

Ma soffriremo noi questa nuova insurrezione, queste nuove accuse, questi nuovi insulti? C'è un termine a tutto, anche alla più grande generosità. Dacché siamo accusati di proteggere il papa solo per farne una vittima; dacché siamo Ponzio Pilato e Giuda, perché non ci allontaniamo da Roma e non rinunciamo ad una protezione che si qualifica tradimento?

Ci si risponde che la nostra presenza in Italia è ancora necessaria. Se è necessaria, restiamo a Civitavecchia, come già lo indicammo, sempre in grado di fortificarci, come un invio di nuovi rinforzi e sempre pronti ad entrare in campagna, se mai l'Austria cercasse di riprendere ciò che ha ceduto.

Lo scioglimento è tanto naturale che anzi facciano le meraviglie, perché non vi si abbia per anco fatto ricorso.

Quando noi saremo a Civitavecchia, si vedrà se la protezione che davamo al papa fosse o no efficace; vedremo infatti quanti giorni di vita resteranno al trono di San Pietro, che si dice aver noi confiscato.

Forse si chiameranno fortunati di conoscere che la Francia era di buona fede quando aiutava l'istituzione pontificia. Ma allora sarà troppo tardi, una volta lasciata Roma, non potremmo che raccogliere gli avanzi di un naufragio, che si poteva evitare se si fossero realizzate quelle riforme, che tutta intera la civiltà tentò strappare alla inaudita ostinazione del papato.

Quanto alla sacra persona del papa ed al suo potere spirituale, nulla avranno a temere; saranno egualmente ed efficacemente protetti dalla nazione italiana, quando i no stri avversari vedono il poter temporale consumarsi in una lunga agonia, e sanno perfettamente che il papato spiri tuale e la religione, collocati nella sfera, donde non dovrebbero mai uscire, potranno essere vieppiù rispettabili perché non confusi ad interessi mondani.

Si facciano pure in nome del papa nuove proteste «contro l'usurpazione di questi dominii che la Chiesa possede in proprietà e dei quali il papa è soltanto depositario e custode;» si dichiari pure «che tutti i riconoscimenti non potrebbero giammai distruggere i suoi diritti incontestabili e legittimi, e che se la forza gli toglie l'esercizio sovrano, Sua Santità intende conservarseli intatti nel proprio cuore (sic), affinché la Santa Sede possa ricuperarli quando piaccia a Dio.» Queste proteste rassomigliano a tutte quelle che i papi fecero segretamente o pubblicamente, quando nei secoli andati viddero scemarsi il loro patrimonio.

Ma in oggi sono di niun valore, perché non sono conquistatori che s'impossessano di qualche provincia, bensì le popolazioni, che stanche di un gioco tirannico, riacquistano la loro indipendenza e la loro libertà. Queste popolazioni calcolano sulla Francia.

Non è un governo, il cui potere si basa sulla sovranità del popolo, che metta ostacolo alla definitiva costituzione di un regno che ha riconosciuto! Questo stesso governo non può, mantenendo a Roma un esercito innanzi a cui si china la gratitudine italiana, vedere realizzarsi tutti i pro getti di guerra civile, di controrivoluzione, che si macchi nano persino nel palazzo del sovrano pontefice!

Si comprende come l'imperatore abbia potuto disprezzare le offese del De Merode; ma se la nota di cui parliamo e di cui abbiamo la copia è opera del governo pontificio, re stare più a lungo a Roma sarebbe un sobbarcarsi alla più grande, alla più grave responsabilità innanzi alla Francia, all'Italia ed ai posteri.

Simile documento non è tale da far nascere quella opportunità, a cui accennava il signor Ricasoli? Non sarebbe giunto il giorno stabilito dalla Provvidenza per finirla colla quistione romana?

IL CAMPO DI S. MAURIZIO (Dall'Opinione)

Nella pianura di S. Maurizio si raccolgono quest'anno gli sbandati ed i refrattari alla leva, i quali vennero arrestati.

Invece di lasciarli a popolar le carceri con danno loro e della società, si è pensato dal ministero della guerra di aprir ad essi una via onorevole di riparazione, radunandoli per le esercitazioni militari, ed inspirando loro quel sentimenti di dignità e di disciplina, di cui purtroppo mancano.

Que' soldati sono ora due mila e quasi tutti delle province meridionali. Altri quattro mila se ne aspettano, che sa ranno pur diretti alla volta di S. Maurizio.

Essi sono ammaestrati con molta solerzia. Per ora non hanno armi, le quali verranno loro distribuite soltanto quando abbiano progredito nell'istruzione e mostrino di aver acquistate le qualità che si richiedono a formare del buoni soldati.

Se riescono, saranno tosto incorporati ne reggimenti, se sia realmente, i suoi capelli ispidi, d'un nero, fosco, la sua fronte poco elevata, quantunque ampia e sviluppata nella xxxxxxno, si manderanno a Fenestrelle, per esservi tenuti sotto più rigida disciplina, finché si correggano e diventino idonei al servizio.

A tutela della sicurezza pubblica, sia dei dintorni, sia del campo, furono inviati a S. Maurizio due battaglioni di fanteria. Questo provvedimento era necessario così per impedire disordini tra soldati, come per la tranquillità di que” proprietari, i quali temevano di essere disturbati e mole stati. Sappiamo che furono dati ordini severi di mantenere la disciplina e vietare a soldati di uscire dal campo.

Prescrizioni non meno rigorose furono stabilite per Fenestrelle, dove pure i proprietari avevano paura che i soldati sbandati o renitenti che vi furono raccolti non fossero abbastanza sorvegliati, ciò che non è. Anzi si ebbe occasione son pochi giorni di riconoscere come la vigilanza fosse attenta ed instancabile, colla scoperta di una cospirazione ordita da soldati borbonici. I promotori ed istigatori furono arrestati; venne sequestrata una bandiera bianca; gli altri mostrarono pentimento della loro colpa.

Con questo regine disciplinare si ha speranza di poter emendare giovani, che sono vittima della mala educazione, dei pregiudizi e delle suggestioni del nemici dello stato, piucché di una resistenza pertinace agli influssi della civiltà. E nulla vi ha diffatti che possa condurre al desiderato intento meglio degli esercizi militari, dell'istruzione e delle abitudini di morigeratezza e di obbedienza che sogliono acquistare i giovani nell'attività instancabile del campo, per correggerli del loro difetti e renderli utili a sé ed alla patria.

FERROVIE NAPOLETANE

Noi non dissimulammo, prima ancora che fosse discussa in Parlamento, la nostra poca simpatia per la convenzione Talabot nei termini in cui essa era presentata. Quantunque raccomandassimo allora che, giunte le cose al punto in cui erano e nulla d'altro ormai potendosi praticamente sostituire per iniziativa parlamentare, le Camere approvassero il progetto governativo, non ci astenemmo per altro dal notare come la convenzione contenesse l'essenziale inconveniente di essere unilaterale, d'impegnare cioè lo Stato definitivamente mentre i concessionari per un anno intero non rimanevano vincolati ad un determinato modo di contratto. Temevamo inoltre che la convenzione, considerata in sé medesima, non fosse atta ad assicurare l'effettiva costruzione delle ferrovie napoletane. Né la bella ed ampiamente sviluppata relazione del deputato Bonghi, né il discorso con cui il Ministro Peruzzi con calore e con molta abilità difese il suo progetto, erano riusciti a dissi pare i nostri dubbii.

Egli è perciò che noi accogliemmo senza sorpresa la notizia che l'aspettiva è rimasta delusa. Le ferro vie napoletane devono essere proseguite a spese dello Stato. Ma se ciò era destinato che avvenisse, stimiamo essere una fortuna per il paese che la Compagnia abbia data la disdetta fino da ora e non abbia aspettato più tardi per es., la liquidazione e gli indennizzi per spese considerevoli incontrate o pretese dalla compagnia poteano sollevare incagli e difficoltà. Ora il terreno è presso a poco vergine. Ad opera appena incominciata; come ora avviene, il governo ha tempo di procedere alla organizzazione del suo personale a misura dello sviluppo progressivo dei lavori. Ad opera più inoltrata invece sarebbe caduta improvvisamente una vasta mole di lavori interrotti sulle braccia del governo senza che egli abbia predi sposta una corrispondente organizzazione di personale e di mezzi onde proseguirli. Il governo ha la mano pienamente libera, ha oggi una posizione netta ed è con molta soddisfazione che vediamo il ministro impegnatissimo a trarne profitto senza perdi tempo. Diremo di più, senza adulazione, che siccome lo vediamo molto impegnato, questo ci basta per nutrire la più perfetta fiducia che la grande attività e perizia che lo distinguono riusciranno perfettamente nello scopo che egli ha annunciato nellaGazzetta Ufficiale.

Le nostre corrispondenze ci hanno riferito come il signor Peruzzi siasi recato a Napoli onde dare impulso di presenza ai lavori abbandonati dal Talabot e che ora verranno ripresi per conto erariale. Venia mo ora a sapere come in pari tempo trovansi già bene avviate trattative con altri capitalisti per una nuova concessione sulle basi già state, ma solo condizionatamente, accettate, nel contratto Talabot, le quali trattative sc si conchiuderanno, come è assai probabile, saranno questa volta incondizionate e definitive. Ad ogni modo l’incidente Talabot non avrà creato alcuno di quei gravi imbarazzi o inconvenienti sul quale calcolavano i nostri nemici, e si continuino i lavori per conto erariale sia che una Compagnia concessionaria li assume per proprio conto immediatamente, sia che ciò avvenga più tardi, la congiunzione ferroviaria fra l'alta e bassa Italia si farà senza indugio.

(Perseveranza)

NOTIZIE STRANIERE

– È smentita la notizia del viaggio di Persigny a Londra.

– Il governo austriaco fece rimostranze presso il gabinetto delle Tuileries per lo sbarco di inglesi sul territorio napoletano.

– Il generale Menabrea, ministro della marina a Tori no, è giunto a Parigi; vi è giunto anche il generale Klapka.

L'illustre ungherese dice a tutti che l'ora dell'azione non è ancor suonata pel risorgimento dell'Ungheria, ed esorta gli emigrati del suo paese alla pazienza.

– Si afferma che la giovine sposa del principe Napoleone è in una posizione interessante, e che è attesa fra breve in Francia, fors'anche prima del suo sposo, che vorrà risparmiarle in questa circostanza i disagi dei viaggi che le sue escursioni nel novo mondo dovranno ancora continuare.

– Così scrivono da Parigi all'Opinione.

Eppure non eravamo apparecchiati alla calma ed ora in vece abbiamo le più fondate probabilità di pace L'Austria è occupata a casa sua e in modo tale da non inquietare né l'Italia, né alcun altro e per molto ancora. Voi avete le vostre provincie napolitane, le quali sino alla completa loro pacificazione, faranno retrocedere lo scioglimento delle questioni più generali. Per cui il campo della politica europea è libero nel vasto suo spazio. Egli è per questo che la situa zione finanziaria si è migliorata e migliorerà ognor più.

– Scrivono l'Espero da Parigi:

Non posso ristarmi dal raccontarvi un aneddoto che corre nel sobborgo di San Germano. Il senatore legittimista, resosi cotanto celebre ultimamente colle sue filippiche contro l'Italia, il marchese Larochejaquelein, recossi il 15 agosto al campo di Chàlons per portare all'imperatore le usate felicitazioni. Dopo alcune parole insignificanti, l'imperatore domandò al marchese:

– Ebbene come finirà cotesta scabrosa quistione di Roma?

– Sire, rispose l'interrogato, voi lo sapete meglio di me. Ho peraltro sentito dire dalle persone che vi stanno sempre più vicine che V. M. erasi già intesa con Vittorio Emauele per darle Roma in concambio dell'isola di Sardegna, che verrebbe offerta a S. S. Siccome poi il santo padre non accetterebbe lo scambio, così Vittorio Emanuele avrebbe Roma e l'isola di Sardegna verrebbe annessa alla Francia.

L'imperatore sorrise, si lisciò i mustacchi, dicendo queste sole parole:

On n'est trahi que par les siens.

Potete immaginare i commenti che si fanno a questo motto; universalmente si crede però che Napoleone siasi voluto argutamente vendicare del marchese, alludendo al disegno di questa cessione inventato e divulgato dal partito ultramontano per cercare nuovi ostacoli alla soluzione della quistione romana.

– Ecco il testo del rescritto imperiale con cui vien chiusa la Dieta ungherese:

Diletti fedeli!

Dacché la Dieta ungherese, dopo una durata di oltre quattro mesi. non ha soddisfatto alle nostre ingiunzioni e dacché, con grave rammarico del nostro cuore, non possiamo aspettarci per il bene d'Ungheria, nessuna ulteriore salutare operosità da una Dieta che in tempi si difficili e con gravissimo danno di tutti gli interessati, disconosce l'alta sua missione in siffatta maniera da dichiarare apertamente rotto il filo d'ogni possibile accordo, perché non potevasi accondiscendere ad esigenze che eccedevano di lunga mano le misura dell'ammissibilità; così ci troviamo indotti a sciogliere l'attuale Dieta stata convocata per il 2 aprile di quest'anno, riservandoci di riconvocare una nuova Dieta nel termine di sei mesi, se è possibile.

Vienna,21 agosto 1861.

FRANCESCO GIUSEPPE

– Leggiamo nel Journal de Costantinople del 13:

S. E il Commendatore Marcello Cerruti, ministro di S. M. il re d'Italia, accompagnato dal personale della sua missione, si è recato oggi alla Sublime Porta per farvi le sue visite ufficiali a S. A. Alì pascià, gran visir, ed a S. E. Mehemet Gemil bey, ministro degli affari esteri ad interim.

In occasione della soscrizione del trattato di commercio recentemente concluso tra la Turchia e l'Italia, S. M. I. il Sultano ha conferito la decorazione dell'Ordine del Megidié a parecchi dignitarii e funzionari italiani. Il barone Rica soli, presidente del Consiglio dei ministri, fu insignito della insegna di 1. classe di detto ordine.

Nello stesso giornale, del 14, si legge:

S. E il comm. Cerruti, dopo aver fatto ieri, come abbiamo annunciato, le sue visite alla Sublime Porta, si è recato in seguito all'Arsenale per fare una visita a S. A. Mehemet Alì pascià, grande ammiraglio, ed al Serraschierato dov'è stato ricevuto colla più grande distinzione da S. E. Namik pascia, ministro della guerra.

– Scrivono da Parigi all'Espero in data del 24:

Oggi dopo pranzo correva voce alla borsa che il principe Napoleone, unitosi all'ambasciatore inglese, era riuscito ad ottenere una tregua tra le due parti belligeranti d'America. Da coscienzioso cronista vi riferisco cotesta diceria, benché dubiti dell'autenticità sua, conoscendo la ripugnanza innata negli americani a comportare che gli stranieri si me scolino nelle cose loro.

NOTIZIE ITALIANE

– Il cavaliere Bombrini, direttore della banca nazionale è partito da Torino alla volta di Napoli per appianare alcune difficoltà insorte per lo installamento di questa banca filiale.

– A quanto si dice, le pratiche fatte presso il generale La Rovere onde indurlo ad accettare il ministero della guerra ottennero felice esito e si crede che il generale anzidetto non tarderà a lasciare la Sicilia.

– Ci viene assicurato che il ministero degli esteri ha fatta compilare un'esposizione minutissima corredata di tutti i documenti che si poterono avere intorno alla chiamata, al soggiorno ed al ritorno del padre Giacomo da Roma... Questa circolare ha per iscopo di porre in chiaro le arti adoperate dalla curia romana per costringere il padre Giacomo a dichiarare che il conte di Cavour erasi ritrattato.

– Si allestirono in tutta fretta i piroscafi Dora, Ville de Lyon ed Ettore Fieramosca per caricar truppe e trasportarle a Napoli, perché Cialdini chiese nuovi rinforzi e il governo glieli accordò. Si temono tentativi di sbarchi in varie parti del littorale: gli apparecchi si fanno nei porti vicini a Trieste. La Costituzione ed il Tripoli andranno ad incrociare in quelle acque (Espero)

– La Sicilia nei momenti di solenne esultanza non dimentica i doveri di riconoscenza che legano l' Italia alla nazione francese. Essa abdica le antipatie di altri tempi volgendo alla Francia moderna le sue voci d'affetto. Nel notturno banchetto che in Messina accolse gli abitanti di quella città e le guardie nazionali di Palermo, il primo brindisi fu indirizzato a nome della Sicilia riconciliata ai nipoti delle antiche vittime del Vespro Siciliano. Quei nobili accenti publicati dalla Politica Italiana, li raccomandiamo all'attenzione dei nostri lettori:

Fra il chiaror dell'auree faci

Di una libera città

Confondiamo i nostri baci

Di concordia e di amistà!

Sacro è il nappo che si tinge

Di bellissimo licor,

Sacro è il labro che non finge,

Quando in lui favella il cor.

Salve, italico drappello

Del paese ove suonò

Dalle torri il fiero appello

Al terribile di Angiò!

Pace e obblio! con lieta guancia

Propiniamo il roseo umor

Al buon popolo di Francia

E al suo prode imperator!

CRONACA INTERNA

Il presidente sig. Tafano è stato destituito come rilevasi dal decreto pubblicato ieri sera dal giornale ufficiale. Il fatto ha arrecato grande surpresa e mera viglia nell'animo di tutti, non potendo intendere co me un uomo reputato liberale e buono magistrato, abbia potuto avere una pena così grave. Com'è naturale molti lamenti si fanno intorno a questa notizia alcuni spiegandola in un modo, ed altri in diversa guisa. Noi vorremmo che il sig. Tofano potesse giustificarsi delle accuse troppo gravi che sono intorno a lui. Vorremmo ancora ch'egli potesse distruggere i documenti che son capitati in mano del governo, ma ci pare un difficile assunto.

Non vogliamo rivelare l'origine della destituzione, diciam solo che à avuto luogo per fatti operati nell'esilio dal Tofano e che oggi solo son venuti a notizia del governo.

Il Generale Cialdini che pare abbia provocata la destituzione del Presidente della G. C. Criminale, ha mostrato anche un'altra volta che in lui non è solo grande l’energia, il valor militare, onde è reputato una delle più belle glorie d'Italia, ma è savio amministratore più di quello che non credevasi, e severo custode dell'onesto e del giusto.

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– E stato arrestato l'arcivescovo di Teramo. Dicesi che egli se la intendesse coi suoi confratelli delle Marche per un piano reazionario tutt'altro che caritatevole e pacifico, qual è la religione di Cristo, di cui eglino sono indegnissimi ministri. Pare certo che il Governo sia risoluto di procedere rigorosamente, contro questi Reverendi apostati del Cristianesimo, per i quali a dire il vero si dovrebbero mettere di banda i procedimenti regolari della legge, ed adottare provvedimenti più efficaci e più persuasivi. Si incomitici, per esempio, dal sequestrare a questi malvagi le pingui prebende, convertendole a benefizio di quei Sacerdoti poveri che vogliono il bene del prossimo, che amano la patria, che sono ubbidienti alle leggi dello Stato, che sono insomma i veri ministri, di Dio; e non si dubiti degli ottimi risultati di cosiffatti espedienti:

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– Un corrispondente del Popolo d'Italia scrive da Piedimonte, per farlo annunciare al pubblico, che la caccia data ai briganti del Matese il 23 e 24 agosto non riuscì ad altro che ad irritare maggiormente le eroiche masnade, le quali attaccate, tosto ripiegarono (sic) verso Lentino – I briganti fuggono non ripiegano – I bersaglieri inseguirono i ripiegati fino a Letino, e là ne uccisero appena 4; ma oh Dio! essi uccisero pure 7 vittime innocenti, 7 carbonieri che furon creduti briganti. Il corrispondente del Popolo, d'Italia, che potrebb’essere anche dell'Armonia e dello Stendardo cattolico, dicendo che le poderose schiere dei briganti occuparono la masseria del signor Del Giudice, che ora minacciano i beni del signor Del Giudice, che predarono due cavalli del deputato Del Giudice, ci fa meraviglia che a questo nome non abbiasi fatto venire a mente, per deplorarle, certe altre innocenti vittime, che pur si dissero ingiustamente fucilate in Capitanata al tempo della Dittatura. Noi però ai lamenti che il corrispondente del Popolo d'Italia esala per le innocenti vittime fucilate dai bersaglieri nel piano di Letino ci siamo ricordati di quel che dicesi di un altra cima di liberale: costui, ricorrendo in Salerno l'ultimo ballottaggio elettorale, tutto commosso del sacro amor di patria esclamava: elettori non date il vostro voto a chi uccideva i nostri fratelli degli Abruzzi – I fratelli di quel liberalone salernitano erano i reazionarii abruzzesi, e chi li avea uccisi era il generale Pinelli, il quale non riuscì deputato!

E’ notevole sopratutto la compiacenza con cui il corrispondente di Piedimonte termina la sua relazione – E così tutto questo gigantesco movimento di truppa non ha prodotto niente di buono né di bello – Questa austriaca compiacenza però non ha dovuto durare lungo tempo nel cuore di chi esulta quando i gloriosi soldati di S. Martino falliscono in qualche loro impresa. I briganti del Matese all'ora che scriviamo sono per gran parte raggiunti dalla forza dei soldati e delle guardie mobili; e ci gode l'animo nell'annunciare che il brigantaggio è dovunque presso al suo termine.

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– Leggesi nel Monitore della Guardia Nazionale di Teramo del 26 agosto:

Non ha molto si faceva sotto gli ordini del cav. Testa comandante il 19, una spedizione nelle vicinanze del gran sasso d'Italia ove s'erano radunati molti briganti e da là, a loro voglia, muovevano per depredare i circostanti paesi. Varie compagnie del 49, tre del 35, mandate d'Aquila e gran parte della guardia nazionale mobile Teramana costituivano la forza, che vi si spediva. La sesta compagnia del 49 comandato dal bravo capitano signor Moreschi, mentre stava per prendere la posizione, che le era stata assegnata, il paese cioè denominato Castelli, si abbatté in una banda forte di duecento circa di quegli assassini, quali armati di fucili di diverse specie e grandezze, quali di mazze noderose e pesanti, quali di sacchi di svariate torme. Fieri questi in sulle prime e baldanzosi, siccome quelli che tenevano elevatissime e sicure posizioni, raggiunti poco poi dalla compagnia che su s'arrampicava per quell'erte ed aspre salite, e, dopo qualche ora di vivissimo fuoco, caricati alla bajonetta, pieni di spavento fuggirono e si dispersero. Sei furono i briganti morti sul fatto e parecchi i feriti che si trovarono cadaveri il dI seguente. La compagnia, che propriamente soli cinquanta de’ suoi contava, nell'atto del combattimento, dappoicché gli altri ad altra parte guardavano, per dette il solo Vanni, soldato pieno di coraggio, il quale fu da una palla mortalmente ferito. Ai briganti, circondati allora da ogni dove, altra via di scampo non rimaneva che quella di Pietracamela, e l'accorto sig. Colonnello aveva a questo già provveduto, e a quella volta marciava una compagnia di quelle d'Aquila partite. Se non che per le grandi difficoltà incontrate a cagione della cattiva strada che dovea percorrere non potè dessa giungere a tempo da impedirne l'escita. Però adocchiati, e ben presto raggiunti gli attaccò con ardire e desistette solamente quando dopo due ore di fuoco vide quella canaglia affatto disperdersi, lasciando più morti e feriti.

Ora si sta attendendo il momento opportuno per annientarli.

Giunse qui questa mane proveniente di Ascoli il 9° Battaglione Bersaglieri. Il risultato di questa spedizione fatta sotto il comando del sullodato Colonnello si fu: quaranta pressoché di questi malandrini fra morti e feriti, e ciò che più monta lo sgomento destato ne' vili animi loro, onde parecchi se ne presentarono chiedendo misericordia e perdono. Degli sbandati poi più di ottanta da un mese furono arrestati.

Sono grandi egli è vero le fatiche e i disagi provati dai valorosi soldati nel dar la caccia a questi ladroni su per elevatissimi monti, e ne’ fitti ed esterminati boschi, ma tuttoché estenuati essi sieno tal fiata ed affranti sofferti, neppure un lamento non esce di lor bocche, essendo altamente compresi della grande necessità di togliere ben tosto pel bene dell'Italia intera, da queste provincie, una genìa sì de testabile che le infesta e continuamente le molesta. Sì: con siffatti soldati, animati all'esempio del loro superiori d'ogni grado, sempre primi ne' pericoli e pronti a sofferire ogni qualunque sorta di privazione e fatica, gli uomini di provato senno e valore a quali fu l'alta missione commessa di estirpare questa masnada e di donare pure a questa bella parte d'Italia pace e prosperità, non andrà guari che avran fornito felicemente il compito loro e della Patria che a più gravi cure verranno chiamati.

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– Nostra corrispondenza:

Sepino 27 agosto 1861.

Pregiatissimo sig. Direttore

Mi onoro trasmetterle le seguenti notizie intorno a briganti che infestano i nostri monti, pel suo bene accolto giornale, ed ella, ne son certo, mi farà la cortesia di pubblicar le nelle colonne di esso.

Grazie agli energici provvedimenti adottati dall'impareggiabile generale Cialdini, la numerosa banda capitanata dal voluto colonnello Bernardi, ma effettivamente dall'ex caporale borbonico Gabriele Varrone di Pietraroja, è ridotta a ben pochi miserabili disperati, che questa mattina hanno catturato un povero vetturale di qui, ricattandolo per pochi sigari e foraggi.

Quest'oggi poi alle 11 a. m. rientrava tra gli evviva al'Italia ed al glorioso suo Re il distaccamento delle Guardie nazionali mobilsepinesi, che partite cinque giorni fa con le due compagnia del 36º e del 39° di linea qui distaccate, restava con l'ultima a prestar servizio sul Matese per la persecuzione del riganti. Questo distaccamento composto di coraggiosi militi, e comandato dal sottotenente Gaetano Mucci, ima fatto il suo dovere con solerzia e coraggio, da meritare gli elogi dell'ottimo colonnello Masè del 36.º Anche il resto della Guardia nazionale di Sepino ha prestato e presta con entusiasmo non lievi servigi alla patria. In tutte le sortite fatte dalla 11° e 12 compagnia del 1° di linea, dal 39° e dalla 12 del 36° delle quali non saprei chi più lodare, se gli uffiziali, tipi di educazione squisita, di coltura, d'intelligenza, di abnegazione, di coraggio, o i soldati tutti coraggiosissimi, infaticabili, educati ad ogni maniera di vivere civile, sono stati sempre i primi ad indi care alla truppa regolare le difficili e scabrose vie che menano al Matese.

Il Luogotenente della 1° compagnia Orazio Maglieri, e' suo germano Giacomo, perlustrando il tenimento dell'antica Sepino, jeri l'altro 25 agosto, avevano la fortuna di arrestare un brigante carico di bottino fatto nel saccheggi di Guardiaregia e Campochiaro, nativo di quell'esecrato Pontelandolfi, che col più infame tradimento massacrava i prodi soldati del 39° colà spediti ad esplorare il paese. Cousegnato all'autorità militare, era subito spedito in Campobasso, ma ad un miglio dal paese, essendosi messo a fuggire, è stato raggiunto da una palla di uno de'  soldati, che lo scortavano al suo destino, Questo paese è edificato della lodevole condotta delle truppe regolari, e della Guardia mobilizzata provinciale, comandata dal bravo Luogotenente Paolo Mastracchio, che stanziano qui dal giorno 16 del corrente. La banda musicale della Guardia nazionale Sepinese per dare un attestato di sentito affetto agli uffiziali e soldati qui distaccati, la sera di Domenica 18 andante si raccolse in piazza a salutare con le sue armonie i buoni militari, che abbiano il piacere di ospitare.

Come si udirono le prime note dell'inno di guerra del l'Eroe di Varese e di Calatafimi, scoppiarono fragorosi gli evviva delle Guardie nazionali e del soldati al Re Galantuomo, al Garibaldi, all'Italia, e ricambiaronsi con entusiasmo quelli alla valorosa truppa italiana, alla Guardia nazionale, dalla ospitale Sepino. Elevossi poscia altissimo un grido di forte a briganti, che rimbombò su circostanti monti.

Allora la nostra piccola piazza diventò quasi una sala da festa illuminata da un fuoco di gioia. Soldati e Guardie nazionali stretti da fraterno affetto divertirono il numeroso pubblico con belle danze, che erano tanto più ammirate, perché condotte da coloro, che portavano sul petto i segni del valore mostrato in Crimea, a Magenta e S. Martino. Fu la più bella serata, che siesi goduta in questo paese, la più bella festa popolare, che poteva celebrarsi in un momento di pericolo.

La sera seguente mentre si pensava di fare altrettanto, un ordine superiore chiamava le truppe qui stanziate a punire gli schifosi briganti, che avevano invaso il vicino comune di Guardiaregia; ed esse lasciavano tosto il cominciato divertimento, e muovevano con alcune nostre Guardie Nazionali, tra i nostri patriottici applausi per Vinchiaturo, d'onde l'indomani muovevano per dare quella lezione, che tutti sanno, ai Saccheggiatori in Campochiaro, dove si distinsero per coraggio il Sergente Caligo, e 'l soldato Veronelli del 39.°

Vorrà ella, Sig. Direttore, farmi il piacere d'inserire la presente nel suo giornale, e ciò unicamente per offerire a prodi Soldati d'Italia e di Vittorio Emmanuele un attestato di vera affezione della riconoscente Sepino.

Io avevo dimenticato di notarvi un incidente, che mostra anche più visibilmente come la mano di Dio protegga l'Italia e punisca i suoi nemici, L'indomani de’ fatti operati dalla truppa in Campochiaro, il cielo si abbujava, ed un temporale insieme a dirotta piova mandava già due fulmini sopra due case di reazionari, che per obblio, o per generosità erano rimasti impuniti il giorno innanzi: non potete credere quanto questo fatto abbia influito sulla religiosa fantasia delle nostre popolazioni, le quali ci han vista la mano di Dio, pronta a punire i nemici d'Italia.

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– Da persona degna di fede ci perviene la seguente lettera, che noi non esitiamo a pubblicare:

Signor Direttore.

Nelle interesse del paese, e per puro amore alla verità piacciale inserire nel suo pregevole giornale la seguente lettera.

Il giornale la Democrazia nel N.° 107, 26 del corrente Agosto, nel gazzettino della città dice che le assertive del Sole, contenute nel n.° 20, relative ai furti che tuttora si commettono nella fabbrica dei tabacchi, sono del tutto erronee, poiché il furto che altra volta consumavasi in quello stabilimento è del tutto cessato, grazie alle misure che sono state adottate. Non è la prima volta che da quel giornale viene assunta la difesa di persone che a giusto titolo dovrebbero meritare il disprezzo dei buoni, e se in tutte cose egli è cosi bene informato come nel fatto in parola, non sapremmo se dargli l'epiteto di basso e vile calunniatore, o pure, di foglio prezzolato. Ma veniamo a noi.

Da lungo tempo Napoli è stata ed e tuttora spettatrice dell'immenso sciopero di tabacchi, e degl'inverecondi abusi e ladronecci commessi dagl'impiegati del suddetto stabili mento. Io non calunnio chicchessia, cito fatti, ed a convalidarli invito la Questura a recarsi al domicilio dei Signori Impiegati, ed ivi troverà senza dubbio argomenti concludentissimi. Vero è che dal giorno in cui furono trovate le due casse quei Signori furono presi da forte paura, e temendo visite domiciliari, nascosero la maggior parte di tabacco, e sigari che si trovarono in casa. Io non conosco com'essi rubano questi oggetti, conosco però che essi portano nelle loro case dai 600 ai 1000 sigari al giorno così bene acconciati in certi sacchetti di pelle sospesi al collo, i quali pendono sul petto, in certa specie di monichetti che si legano alle braccia, ed in un cinto intorno intorno ai fianchi.

Son fatti curiosi questi, ma verissimi, né giova il dire che ivi si usa vigilanza quando gli effetti non corrispondono.

Io potrei citare fatti moltissimi, basta solo il dirvi che alcuni di questi impiegati, qualche mese addietro, furono traslocati a Torre Annunziata coll'aumento di circa il doppio del soldo, eppure dopo breve tempo tanto brigarono adducendo mille scuse, che in breve ritornarono nello stabilimento di Napoli. Quale fu il motivo? perché da Torre Annunziata venivano asciutti asciutti.

Ho citati questi soli fattarelli, acciocché il governo locale, e la Questura conoscendo il fatto ne prendono le opportune disposizioni, invigilando tutti, particolarmente quelli che nell'uscire si accompagnano cogli alti funzionari dello stabilimento.

Che scrive queste case è a giorno di tutto, e più di una volta gli era venuto il desiderio di farle note al pubblico, poiché è indecoroso che questa vile canaglia continui più a lungo questo traffico infame con grave danno del paese e del governo, contro cui spesso lanciano maledizioni, e vituperii, implorando al ritorno del paterno governo Borbonico.

Napoli 27 Agosto 1861.




Anno I – N° 29 Napoli — Sabato 31 Agosto 1861

IL SOLE
GIORNALE POLITICO-LETTERARIO DELLA SERA
SI PUBBLICA TUTTI I GIORNI
DIARIO POLITICO

Alle nomine da noi annunziate ieri nell'ordine de'  SS. Maurizio e Lazzaro si vuole aggiungere quelle del maggior generale Francesco Sponzilli ad uffiziale, e quella del maggior generale Mariano d'Ayala, di Vincenzo Orsini, di Alessandro conte di Milbitz, di Luigi Carrano, di Federico Verdinois a cavalieri.

La principessa di Montleard, di cui tutti i giornali hanno annunziato la morte dicendola avola del nostro re e moglie in seconde nozze del principe di Montleard, era sì un inglese seconda moglie di quel principe, che l'aveva sposata l'anno passato. L'avola di Vittorio Emmanuele II, che rimasta vedova fu la prima moglie di quel principe, è già da molti anni passata agli eterni riposi.

Abbiamo accennato ieri ai briganti che infestano alcuni paesi dell'Italia ancora soggetta all'Austria; eccone la spiegazione che dà la Sentinella Bresciana in una sua corrispondenza da Mantova. Stancovic, governatore di quella piazza fa rimettere alla polizia, appena giungono, i disertori napoletani, i quali trovandosi così disingannati dalle promesse di paghe vistose, e disprezzati finanche dagli stessi Austriaci, né volendo partir per Roma dove la polizia vorrebbe inviarli, si danno ad imitare quel che fanno i loro confratelli al di qua del Tronto. Sarebbe anche questo brigantaggio mosso da un motivo politico? Lo domandiamo ai signor d'Azeglio.

A costui ha dato una bellissima lezione di senno politico, il credereste? una donna, la Cristina Trivulzio di Belgiojoso, con un bell'articolo che si legge nell'Italie intorno alle cose di Napoli, riguardando il brigantaggio (che grazie al cielo sta mettendo gli ultimi aneliti) sotto il suo vero dispetto.

Occupiamoci ora un poco di convegni, che sono oggidI uno dei mezzi più sbrigativi per conchiudere gli affari, senza far molto sciupo di note e di agenti diplomatici. E già si comincia a dire qualche cosa di quello del ministro inglese a Parigi col ministro degli affari esteri di Francia. Visi che in tal conversazione siasi parlato di trattative per la cessione del Veneziano. Più si estende il corrispondente parigino dell'Italie su questa conversazione. Ei vuole che l'argomento ne fosse lo sbarco delle truppe inglesi a Castellammare, senza che ciò desse luogo al menomo disaccordo.

Cowley ha fatto osservare a Thouvenel che si trattava di una semplice passeggiata militare, e che l'Inghilterra rinforzava la sua flotta nelle acque di Napoli unicamente per salvare nell'Italia meridionale l'influenza inglese, che potrebbe a lungo andare essere compromessa per l'occupazione indefinita di Roma e degli stati pontificali. Abbiamo tradotto letteralmente le parole di quel corrispondente.

L'imperatore dei Francesi come già annunziammo, è partito per Biarritz. Questa partenza accredita la voce di un colloquio colla regina di Spagna, che giornali ben informati dicevano dover aver luogo il 2 settembre. Non sappiamo se suor Patrocinio avrà permesso ad Isabella il di aver questo abboccamento: è tale il predominio che quella pinzocchera ha preso sull'animo della regina, che questa non muove un passo senza il suo consenso. Forse a Biarritz andrà a raggiungere l'imperatore Farini.

Si riparla con asseveranza del convegno fra l'imperatore dei Francesi ed il re di Prussia, che dovrebbe avere effetto in occasione delle manovre delle truppe di Prussia nelle provincie renane. Vuolsi però che esso non seguirà se non che dopo un simile fra l'imperatore d'Austria e il monarca prussiano.

E l'imperatore d'Austria va in cerca di alleati e di denaro, non pare che riesca a trovare né gli uni né l'altre. L'appoggio che un'alleanza coll'Inghilterra ha trovato nel sig. Roebuck forma il soggetto delle belle di tutta la stampa inglese non solo, ma anche qualche giornale austriaco devoto al governo ne dichiara l’impossibilità almeno per ora. Un qualche ravvicinamento sembra soltanto che abbia avuto luogo colla Russia, il che ha fatto sì che la Francia sia uscita un poco dalla riserbatezza, che s'era imposta per riguardo alla Polonia. Infatti una corrispondenza della Polonia al J. Des Débats narra che una deputazione rappresentante tutte le classi della popolazione di Varsavia ha espresso al console francese, il sig. Segur de Peyron, i voti in favore «del sovrano che aveva umiliato Russia ed Austria, aveva preso nelle mani il vessillo della libertà italiana, e assumeva il nome di sostegno e scudo delle nazionalità oppresse.» Al che il console generale di Francia rispose che si stimava fortunato di render conto al suo sovrano di simili attestati di simpatia del popolo polacco pel popolo francese, ed aggiunse che i vincoli che univano i due popoli, pel sangue versato in comune sui campi di battaglia, erano indissolubili.

Nel diario di ieri facemmo cenno di preti deportati e di un vescovo che ne prende le difese a Cracovia. Temendo di non esserci spiegati con chiarezza, diciamo che quei preti furono deportati per essere liberali e patriotici, e che per questo stesso il vescovo protestò contro l'autorità militare, In Polonia il clero ama la Patria, e Cracovia è polacca, sebbene le si aggravi sul collo il gioco dell'Austria. Non così il nostro clero si comporta; ma verrà il tempo che anch'esso ritornerà a migliori sentimenti. Anche il clero francese è duro ai sensi di amor patrio, di libertà, di dignità nazionale, e quel che è peggio, cogli scandalosi fatti che a quando a quando in mezzo ad esso si rilevano, dà argomento a credere che veglia l'assolutismo e il potere clericale non per altro che per debaccare nelle più infami sozzure. Nel mese di marzo la corte di assise dell'Indre condannò ai lavori forzati a vita un frate Antonio direttore dei Fratelli della scuola cristiana. La Chatre per violenta e ripetuta pederastia. Ora la stessa corte ha spedito man dato di arresto contro l'abbate Errico Tissier curato di Saint-Maur, che dopo violento stupro della figlia di un guardiano compestre a dieci anni e mezzo nel presbiterio, dopo aver seguito nelle sue oscene relazioni con quell'infelice per sette anni, l’ha ora indotta ad un infanticidio.

Omettiamo altri particolari che dà su di ciò la Gazette des Tribunaux. Or questi fatti sotto l'assolutismo per lo più si coprono e si nascondono per non dare scandalo e per deferenza al carattere sacerdotale sotto un governo libero non isfuggono al dovuto castigo, che anzi dovrebbe esser maggiore per chi ha l'obbligo di dare esempio di morale e di buon costume.

Annunziamo con grave rammarico la morte della moglie di Alessandro Manzoni, avvenuta il 23 in Milano. Era nata contessa Borri, ed era vedova in prime nozze del conte Stampa.

LE AMMINISTRAZIONI DI BENEFICENZA

Lo scopo principale di ogni buona economia è quello di conservare, ed accrescere le ricchezze, e di farne l'uso migliore. Per ricchezze vuolsi intendere non solo l'abbondanza delle cose necessarie, ma anche delle comode ed aggradevoli. Di qui si scorge di leggieri l'obbligo gravissimo, che pesa su coloro i quali sono preposti alle pubbliche amministrazioni, che hanno per fine un atto di beneficenza. Essi debbono attentamente studiare come possano conservare, ed accrescere le ricchezze loro affidate, e come debbano farne l'uso migliore.

Fin'ora le amministrazioni di pubblica beneficenza sono state sì malamente governate, che non solo non hanno saputo far crescere le loro ricchezze, ma non l'hanno neppure saputo conservare. Che poi non ne abbiano fatto l'uso migliore, non deve pulito mettersi in dubbio, giacché vediamo tuttavia i gravi disordini morali causati solo dalla cattiva amministrazione di tal rendita. Gli amministratori che di tempo in tempo si sono succeduti gli uni agli altri o non hanno saputo, o per la malignità dei tempi, e degli uomini in mezzo ai quali si sono aggirati non hanno potuto soddisfare degnamente al loro compito.

Però il mezzo di semplificare queste amministrazioni vendendone i beni rustici ed urbani per comprarne rendita sul gran Libro del debito pubblico sembra a noi il più conducente allo scopo. Questo provvedimento mentre farà il bene massimo di que ste amministrazioni rimuoverà un grande ostacolo che si oppone al migliore sviluppo dell'economia pubblica del nostro paese.

Fra i gravi ostacoli riconosciuti da tutti gli economisti opponentisi allo sviluppo delle ricchezze quello è gravissimo, che restringe in troppo poche mani le terre ed i beni urbani di uno stato. Giacché le proprietà troppo unite presso pochi sono ordinariamente negligentate, e quella ricchezza che dovrebbe essere costantemente consecrata per conservarne la riproduzione, ed accrescerla sempre più, è spessissimo ri volta a soddisfare i capricci o le male voglie dei molteplici agenti destinati a condurne l'amministrazione. Che se queste rendite fossero destinate a sollevare con atti di beneficenza un popolo intiero, o educandone i più poveri, acciò si avvezzassero ad amare il lavoro, o prendendone cura degl'infermi bisognosi; col distrarne l'introito a pagar soldi moltiplicati senza necessità, o senza equità alcuna, mancheranno allora i mezzi per soddisfare i veri bisogni, che sono i morali per cui quella istituzione fu impiantata.

Di qui nasce un danno maggiore, che ne viene al l'economia pubblica, qual è il sottrarre dalla circolazione, e dalla speranza dell'industrioso quelle proprietà legate perpetuamente presso le immortali manimorte. Quando i beni stabili vengono ad essere o coltivati o mantenuti in modo, che vada sempre di minuendosi il prodotto netto di quelli, non v' ha alcun dubbio al mondo, che sarebbe utile, che tali beni potessero essere venduti a chi fosse in grado di rifondere sopra di essi un nuovo capitale di ricchezza per ritornarli al primo stato di florida riproduzione. Dunque la libertà di commercio in tal caso accrescerà eminentemente la prosperità sociale.

Era qui invalso un pregiudizio, che non si sarebbero trovati compratori, i quali avessero voluto acquistare beni siffatti. Questa supposizione può solo albergare in petto a quei tristi, i quali sconoscendo ogni possibile sociale progresso morale, o materiale che esso fosse, tentano tutte le vie, adoperano ogni mezzo e lecito ed illecito, perché nelle nostre amministrazioni, nel nostro paese si perpetuasse il disordine, l'ozio, il beatissimo far niente, e l'immoralità.

La pubblica opinione però li ha definitivamente con dannati, e tutto dI si presentano moltiplici dimande, acciò si mettessero presto in vendita i beni delle amministrazioni di pubblica beneficenza.

Ci fa veramente meraviglia il vedere come da tanto tempo i nostri governanti non si dànno pensiere alcuno di un provvedimento tanto utile non solo alle singole amministrazioni, le quale si libererebbero alla fine d'un peso insopportabile ai loro omeri, della miriade cioè degl'impiegati, ma utilissimo ancora all'economia pubblica dello Stato.

Queste son verità svolte ampiamente da opere tanto eccellenti scritte sopra di un soggetto sì delicato ed importante, che noi crediamo superfluo il farne più parola. Una verità proclamata da tutti gli cconomisti, disaminata in mille guise, e sempre favorevolmente applicata al bene sociale, ovunque è stata tra dotta in pratica, ha dati ottimi risultati. Ci duole davvero non vederla fin'ora attuata nel nostro paese, ove specialmente abbiamo provati si amari disinganni per la malignità dei tempi trascorsi, e per l'ingordigia degli uomini, dei quali noi a buon diritto possiamo dire e dopo il pasto hai più fame di pria.

DOCUMENTO REAZIONARIO BORBONICO

Ci è pervenuto nelle mani il seguente documento reazionario borbonico, che pubblichiamo ben volentieri, acciò tutti seggano l'acciecamento di un partito, che non ha altro sostegno, che la bugia e l'inganno. Di molti anni i borbonici ci anno assordato con gli aiuti dei bavaresi, Spagnuoli, Russi, Austriaci, che tuttodi aspettano, e l’aspetteranno sino al giorno del giudizio. Speriamo che i semplici, i quali sono stati tratti in inganno, si ricredano pur una volta.

Mio Caro Filippo – Tu credevi che io mi fossi addormentato, ma io ho vegliato e molto. ed eccone il risultato.

Sua Altezza il Conte di Trapani dopo le mie più vantaggiose informazioni relativamente te, e per l'attaccamento che porti alla S. Persona di Francesco II ed alla santa Causa, s'è degnato destinarti, e sin dal momento riconoscerti per suo Delegato, dandoti piena facoltà, onde stabilire un Comitato in cotesta Città a norma dell'istruzioni, che quivi appresso troverai segnate. lo compiaccioni con te per l'attività che spieghi a pro di una Causa giusta e Santa, e te ne prometto anche la mia gratitudine. Per ora ti trasmetto copia conforme del decreto di nomina giunto in questo Comitato, mentre lo stampato te lo rimetterò unitamente agli altri diplomi, e Patentiglie riguardanti il Presidente, e gli altri membri del Comitato.

«Noi Emilio Foscari, e membri tutti di questo Comitato «centrale di Roma, sotto il nome – Associazione Religiosa – Presieduti da Sua Altezza il Conte di Trapani, abbiano disposto, e disponghiamo, quanto siegue: Udito per mezzo del nostro Segretario Generale il parere del R.mo P. Ministro, Presidente, e Capo del Comitato Centrale di Napoli. Udito oralmente il parere del nostro Ministro di guerra il Conte di Trani, istituiamo formalmente e legalmente il nostro amatissimo fratello Filippo Sette di Giovanni, nativo della terra di Gioia, Provincia di Bari, nostro delegato, e diamo al medesimo pieni poteri per la formazione d'un Comitato nel suo territorio, o dove meglio crederà. Questo Comitato lo saluta e lo avverte trovarsi pronto insieme coi suoi per la prima quindicina del prossimo luglio. Roma li 6 giugno 1861 – Il Generale Clary Segretario Generale. Num.102 Reg.º a Roma, fogl. 3. vol.2. Ordine del giorno 4 giugno 1861.»

ISTRUZIONE

1.° Un Delegato con un Segretario di sua fiducia – Un Presidente che abbia abilità, ed intendimento, onde adempiere gelosamente gli alti poteri che a lui si affideranno, e che saranno segnati nel diploma stampato che gli si spedirà appena arrivato lo stato–Un Segretario di sua fiducia, e del quale potrà servirsi, onde mantenere attive le relazioni cogli altri Comitati, o Paesi da lui dipendenti – Un Segretario a scelta di Decurione, che vidimerà di sua firma tutti gli Atti del Comitato – Otto Decurioni, i migliori che potessero esservi nell'Assemblea di Associazione Religiosa, e che avessero influenza presso i Popolani, e specialmente per la parte Religiosa. – Un Cassiere che fosse onesto e probo, il quale raccoglierà quello che ciascuno potrà dare, oppure quello che verrà dalla Cassa Generale per far argine alle spese necessarie per la S. Causa. Se questi puol essere Ecclesiastico assai meglio. Quattro Censori, e questi assolutamente Ecclesiastici, i quali sorveglieranno sulla condotta de'  membri dell'Assemblea, e sulla esatta Amministrazione della Cassa. Otto Deputati i quali avranno l'incarico di guardare i bisogni degli affiliati poveri, e quindi per mezzo del Delegato, e del Presidente del Comitato faranno le loro rappresentanze a questo, onde averne le necessarie provvidenze.

2.° Una riunione per quanto più è possibile di persone atte a marciare, oppure provocare la insurrezione nel proprio, o prossimi Paesi. Quelli che debbono marciare avran no un Comandante Generale a scelta del Comitato, Capitani, ed altri uffiziali, secondoché il Comitato crederà necessario. Si avverte che tutti gli uffiziali destinati dal Comitato dovranno segnarsi nello statino, come i membri del Comitato per quindi avere i loro Brevetti per essere riconosciuti dagli altri Capi del Corpo d'Armata, e per aver dritto alla gratitudine del Governo, ed alle cariche.

3.° Una Carpetta in dove sia segnato il numero preciso de pronti a partire, e di tutti i rispettivi loro Capi. Le armi che vi sono di ogni specie, e quelle di cui si abbisogna, non che tutt'altro che necessita, onde avere un numero di persone ben armate. La carpetta sarà firmata in margine da tutti i membri del Comitato, e vistata per la sua legalità da Delegato: indicandosi nomi, cognomi, e paternità di tutti a scanso di ogni equivoco.

Formula del Giuramento.

Noi qui sottoscritti, membri del Comitato di questo Comune di Gioia, che fa parte, ed è dipendente dal Comitato Generale, residente in Roma, sotto la denominazione di associazione Religiosa, colla direzione Generale di Comitato Borbonico, e presieduto da Sua Altezza Reale il Conte di Trapani, giuriamo innanzi a Dio, e a tutto il Mondo di essere fedeli al nostro augustissimo e Religiosissimo Sovrano Francesco II (che Dio sempre guardi) e promettiamo di concorrere con tutto il nostro animo, e con tutte le nostre forze per il ritorno dello stesso nel nostro Regno non che di obbedire ciecamente a tutti gli ordini, e comandamenti che perverranno o direttamente, o per mezzo de’ suoi Delegati del Comitato Centrale residente in Roma Giuriamo di mantenere il segreto, onde la giusta voluta da Dio, che è il Reggitore de'  Sovrani, abbia il suo trionfo col ritorno al suo Regno di Francesco II, Re per la grazia di Dio, difensore della Religione, e figlio dilettissimo del nostro Santo Padre Pio IX, il quale lo conserva nelle sue braccia per non farlo inciampare nelle mani degli increduli, e per versi sedicenti Liberali, i quali hanno per principio la di struzione della Religione, dopo aver scacciato il nostro amatissimo Sovrano dalla sede dei suoi Avi: promettendo pure coll'aiuto di Dio di rivendicare tutt'i dritti della S. Sede, e di abbattere il Lucifero infernale di Vittorio Emmanuele, e suoi seguaci – Tanto promettiamo e giuriamo.

Fatto a Gioia li...…

Seguono le firme con i titoli rispettivi, e col visto del Delegato al margine.......

Animatevi quindi, e siate certi che il nostro augustissimo Sovrano Francesco II sta alle porte del Regno, giacché voi sapete l'Austria, la Spagna, e la Baviera son con noi, e sappiate che l'Armata Austriaca con i materiali da guerra si sono aumentati sul Pò per buttarsi sulle Province Romane oppresse dalle truppe Piemontesi. La Russia è già spedito i suoi primi legni in nostra difesa; il partito Clericale di Francia dietro la morte di quel malvagio à preso il di sopra e già l'Imperatore Napoleone si puol dire anche con noi per sostenersi sul trono. Che dunque manca? A che più temere? Coraggio, Unione, e la Vittoria è nostra, e quand'anche qualche malvivente vi scovrisse non vi sbalordite, e non lo temete. Intanto mi attendo al più presto possibile lo sta tino che farete in triplice originale, cioè uno che sarà l'originale lo spedirete a me, gli altri due in copia uno presso il Presidente, e l'altro presso del Delegato. Viva la Religione, Viva Francesco II.

AVVERTIMENTO

È proibito al Delegato promulgare i nomi del Comitato Centrale di questa Capitale. Non si ricevono plichi, o lettere, che dalle mani del Delegato, o da chi meglio le piacerà, e sempre affrancati ed assicurati. Cercate sempre più sparger voci di scoverta di congiure Borboniche per deludere i Liberali.

NOTIZIE STRANIERE

– Leggesi nel Moniteur universel del 25:

S. M. l'imperatore, accompagnato dal generale Fleury, suo primo scudiere, aiutante di campo, ha abbandonato il campo di Chàlons ieri a mezzogiorno per recarsi incognito a Plombières.

S. M. voleva giudicare da sé stessa dell'esecuzione dei varii lavori ch'ella aveva, or son 3 anni, ordinali: una bella chiesa, della cui costruzione la munificenza dell'imperatore ha pagate le spese, si innalza sopra una vasta piazza. Tutto un nuovo quartiere fiancheggiato da case sontuose, surroga le presenti casupole inalsane e inabitabili. Strade eccellenti, in seguito a gravi difficoltà superate, danno ora libero e co modo accesso a Plombières, e aprono una via agevole dalla parte di Remiremont e dello scalo d'Aillevillers.

Finalmente nelle vicinanze della passeggiata, uno stabili mento di bagni monumentale e due sontuosi alberghi vi furono costruiti come per prodigio.

L'imperatore, dopo di aver tutto visitato minutamente, attestò il proprio soddisfacimento al signor de la Guerronière, prefetto dei Vosges, agli ingegneri, agli architetti e al direttore dello stabilimento termale che hanno diretto e compiuto questi importanti lavori.

S. M. partita a mezzodI da Plombières è giunta questa sera alle 8 ½ a Saint-Cloud.

La salute di S. M. è eccellente.

– Scrivono da Parigi che il nuovo opuscolo di Laguerronière propone il ritiro delle truppe francesi a Civitavecchia, se la S. Sede non accetta l'offerta già fatta del licenziamento dei mercenari pontifici, e d'un presidio misto italiano e francese.

– Scrivono dall'Aia 21 agosto all'Independance Belge che il governo neerlandese, come prima conseguenza del riconoscimento del regno d'Italia, ha ritirato l'exequatur ai consoli delle Due Sicilie, di Parma, di Modena e di Toscana.

– Il Morning Post annunzia colla maggiore soddisfazione, che il governo italiano ha determinato di seguire l'esempio dato dall'Imperatore dei Francesi, e non chiederà più passaporti a sudditi inglesi che viaggiano ne' domini del Re Vittorio Emanuele; per tutta l'Italia settentrionale e centrale basterà che essi presentino la loro carta e dichiarino la loro nazionalità. Lo stato delle provincie napoletane ha reso necessario per ora di fare eccezione, relativamente ad esse, a questa regola. Il Morning Post riconosce la giustizia di questa temporanea eccezione.

– Corrispondenza della Gazzetta di Torino da Trieste 23:

L'andata dell'arciduca Massimiliano in Inghilterra, ed il discorso da esso tenuto al maire di Southampton, al quale Palmerston e Granville rifiutarono d'intervenire, va annoverato fra i tanti tentativi che l'Austria in generale e l'arciduca in particolare vanno facendo da 10 anni inutilmente.

Tutte le persone di buon senso non vedono in quella gita che un misero espediente, suggerito da quelle buone teste che governano a Vienna, per conseguire due scopi, l'uno l'alleanza dell'Austria coll'Inghilterra, l'altro di fare da battistrada e predisporre il terreno a Brentano, che deve recarsi in Inghilterra, per contrarre un prestito di 5 milioni di lire sterline. Se mai vi fosse fuggito dalla mente. vi ricorderò che questo signor Brentano è quello stesso che fece in Inghilterra circa 5 anni or sono un inutile tentativo per altro prestito, anche di sei milioni, e dopo avere pro rogato il termine della sottoscrizione per due volte se ne tornò a Vienna. Il governo austriaco, al quale l'esperienza non ha mai insegnato nulla, vuol oggi ritentare la stessa cosa, per ottenere lo stesso risultato.

Vi ricorderete che Massimiliano al maire di Southampton, fra le altre cose disse che l'Austria ha tutti i requisiti per essere una potenza marittima. Eccovi un fatto, che vi darà il valore di questa potenza. Al 21 del corrente è stata varata da questo scalo la fregata corazzata Salamandra; la manovra è stata così bene eseguita, che la fregata in luogo di venire lanciata nel mare, si fermò a mezza strada, e si arenò. Quivi rimase fino al giorno seguente alle ore 6 di sera. I danni si nascondono gelosamente, ma vi so dire con certezza che il legno ha sofferto alla colomba, Lo stesso caso avvenne al vascello Kaiser; giacché nel loro nascere i legni da guerra austriaci provano tutti la stessa disgrazia: quando poi li consegnano ai loro ufficiali tedeschi, questi, senza perdere tempo, gl'investono 3 o 4 volte come vº, e finiscono di rovinarli completamente prima ancora che abbiano tirato un sol colpo di cannone.

– Il Morning Post disapprova la condotta tenuta dal governo austriaco nello sciogliere la Dieta ungherese. Mentre riconosce nell'imperatore re di Ungheria il diritto, che ha ogni sovrano costituzionale, di sciogliere il Parlamento, il foglio inglese dice che Francesco Giuseppe ha seguito una via contradittoria di fronte a sé stesso, ed ingiustificabile verso gli Ungheresi; poiché aveva dapprima professato di far risuscitare la costituzione ungarica e poi l'annullò, edificandovi sopra un'altra Costituzione. Tutto ciò che vi fu di guadagnato nelle deliberazioni della Dieta fu il riconoscimento di Francesco Giuseppe come imperatore re; ma una gran questione ancora rimane, e questa è, secondo il Post, se la Dieta dipenderà immediatamente dal sovrano o se riconoscerà l'intervento del Reichsrath fra lei ed il trono.

Questa sarà la gran quistione che l' imperatore dovrà studiare prima della convocazione della nuova Dieta; e se egli, dice il foglio citato, ha guadagnato saviezza da una buona dose di avversità, radunerà la Dieta con spirito di conciliazione; e noi crediamo che se quello spirito sarà manifestato dal sovrano, troverà reciprocanza nei rappresentanti dell'Ungheria.

– Carteggio della Gazzetta di Colonia. Pest, 18 agosto.

Jeri gli annunzi teatrali ebbero una dura prova da sostene re. Nell'occasione dell'avviso solito in quel giorno, giusta il quale, per la vigilia del dI natalizio di S. M. I. R. Ap., si sarebbe cantato l'inno nazionale, e si sarebbe illuminato il teatro, si strapparono gli annunzii dalle cantonate. Vi diedero mano anche distinti cittadini. Fu d'uopo che la luogotenenza costringesse il Teatro Nazionale ungherese al solenne annunzio; ma da prima bisognò rifarlo tre volte.

La prima volta, le parole che accennavano l'inno e l'illuminazione erano in caratteri piccoli dopo l'elenco delle persone. Finalmente alle 10 si poterono affiggere gli annunzii in discorso. Del resto alla sera vi fu gran concorso di gente nella platea e nella galleria – malgrado le molte voci di dimostrazioni, o appunto per motivo di esse. – Però il teatro si empì soltanto dopo le ultime note dell'inno, quando uno studente, uscito in fretta di teatro, comunicò al pubblico ivi in aspettazione, che lo spettacolo era per cominciarc.

Prima di quell'istante non vedevasi in teatro che una settantina di persone, oltre una grande quantità di militari d'ogni grado. Un giovine venne arrestato per aver tenuto il cappello in testa, mentre si cantava l'inno. Il comandante di città Thaiss avea prese ampie misure di precauzione.

Stri palcoscenico stesso trovavansi trenta soldati coi fucili carichi. Erano occupati due soli palchi: le sedie chiuse rimasero vuote per la maggior parte.

Tutto ciò si accorda assai poco con quello spirito di legalità di cui volontieri si fa pompa a Pest.

– I giornali americani pubblicano il rapporto del generale Mac-Dowel sulla battaglia di Manassas e di Bull-Run.

Dopo questa disfatta, il Nord, come fu annunziato, ne toccò un'altra a Sping Field, meno grave invero di quella di Bull-Run, e meno disastrosa, perché non vi fu dirotta e perché il nemico aveva una inferiorità ragguardevole di forze. Queste sconfitte però demoralizzano la truppa e stancano la pubblica opinione.

ROMA

– Corrispondenza della Nazione.

Si fanno commenti sulla morte del cardinal Santucci. Vi riferirò quello che trova più credito nell'opinione pubblica.

Il cardinale aveva ricevuto una lettera del conte di Cavour che lo invitava ad assicurare il papa della ferma intenzione del governo del Re di offrirgli ogni più formale garanzia per la libertà dell'esercizio del suo potere spirituale, ed abbozzava un progetto pel quale si potesse con dignità di lui, del sacro collegio e della Chiesa venire alla soluzione della questione romana. Questa lettera fu dal cardinale mostrata al papa che lo invitò a parlarne col cardinale Antonelli. Questi fece le viste di non escludere perentoriamente il pro getto, e domandò al cardinal Santucci se credeva egli di rispondere. Al che essendo risposto affermativamente, il card. Antonelli si offri ad inviare egli stesso la lettera per mezzo della corrispondenza di Stato. Santucci ebbe la bonomia di credere leale l'offerta. Ma la lettera rimase presso il ministro, ed a suo tempo se n'è giovato per provare al papa come il suo collega tradisse i veri interessi della Chiesa, inchinandosi quasi ad accettare le proposte del conte di Cavour in corrispettivo della rinunzia al poter temporale. Si vuole che il papa, in uno de'  suoi frequentissimi momenti di mal umore, rabbuffasse acerbamente il cardinal Santucci, e che questi sdegnato del tiro fattogli ne ammalasse di quel male che lo ha morto. Certo è che dopo la sua morte le sue carte sono state sequestrate dalla segreteria di Stato, sotto colore di ricuperar quelle relative alla Congregazione degli studi cui il Santucci presiedeva: si crede però che la vera ragione del sequestro stia nella intenzione d'impossessarsi e far sparire la lettera del conte di Cavour.

Mentre il brigantaggio è battuto nelle provincie napolitane, qui il sanfedismo si agita più che mai. Si proseguono gli arruolamenti e si gittano nel pubblico le voci più strane per incoraggire gli arruolati a nuove prove. Tre sere fa Francesco Borbone si recava alla villa Patrizi dove erano assembrati il Lagrange ed altri destinati a capitanare le nuove spedizioni. Egli li arringò dicendo che l'imperatore Napoleone gli aveva fatto sapere che tentasse pure qualunque sforzo per ricuperare il regno, che, per parte sua, non ne sarebbe disturbato. Questo va pur spargendo il general Bosco e i suoi aderenti, tra i quali certo Amato di Civitavecchia.

Quanta buona fede sia nel divulgar queste voci, lo pro vano le truppe francesi che l'altro di a Ceprano hanno respinto colla forza 150 briganti, i quali comandati da certo Bolzillo e inseguiti dalle truppe italiane, volevano penetrare in quel territorio. E sapendo come vi fossero poi realmente penetrati e si tenesser celati nella selva di Pofi, una compagnia andò a sorprenderli, ne fece prigionieri 60 col lor capo, e prese varii cavalli, 40 fucili e 600 scudi. Però mentre ciò accadeva a Pofi, da Roma partivano circa 500 per varie direzioni. Una banda prendeva la via di Tivoli dirigendosi a Vallinfreda; un'altra quella della macchia di Piombino per superare il confine di Correse, e avviarsi a Civita Ducale e Antrodoco, un'altra si dirigeva ad Acqua pendente. Un tal Giraffa era spedito in quel di Velletri e di Frosinone a reclutare gli uomini sparsi pei diversi paesi di quelle provincie e avviarli a Serre. Tutte queste bande furono seguite da carri di armi e di vestiario militare, acquistato nei dI innanzi in Ghetto da due agenti borbonici guidati da certo Giuseppe Buschi, zappatore palatino: il che farebbe pensare che vogliasi a questo nuovo tentativo di spedizione dare un'apparenza militare. In ciascuna delle bande vi sono de'  Zuavi e de'  Gendarmi pontifici destinati a guidarle.

Tutto ciò è accaduto sotto gli occhi del General Goyon; il quale se è obbligato a trasmettere gli ordini alle sue truppe che sono al confine di perseguitare i briganti, non si crede autorizzato ad impedire le loro partenze da Roma perché partono disarmati. Voi vedete che il Generale non fa prova di buona logica. Ma che volete? è la logica sua.

L'altra sera vi è stata congregazione di Cardinali, pare in seguito di un telegramma spedito al cardinale Antonelli da monsignor Nardi. Sembra, per quanto siasi tenuto il se greto, che in Corte non siasi molto contenti delle notizie contenute nel dispaccio di Monsignore.

Il Papa andrà presto a Tivoli, dove pure lo accompagnerà il Borbone. Si crede ch'essi faranno una corsa a Subiaco. Forse colà pensano che loro giunga qualche buona novella delle nuove spedizioni brigantesche.

Posso assicurarvi che nel piano di questi signori entrano l'Umbria e le Marche: poiché, in un congresso tenuto alla Farnesina tre giorni fa, si decise d'inviar genti alla spicciolata in quelle provincie. Evitando le città principali dovrebbero gl'inviati far testa in dati luoghi, raccogliere i refrattari alla leva, e tentare di sommuovere le popolazioni delle campagne, le quali alcuni buoni parrochi vanno scrivendo essere avvezze al regime dell'usurpatore.

Vi dirò ora una notizia che ha qualche cosa del comico. Un certo Borsa speziale ha fatto un progetto al general Cordova amministratore della Società delle strade ferrate. Questo progetto consiste nel ritenere a tutti gl'impiegati un soldo per ogni franco del loro onorario a vantaggio dell'Obolo di San Pietro. In correspettività della sottrazione pecuniaria, seguiva lo speziale, gl'impiegati avrebbero l'onore di veder pubblicati i loro nomi nel grande giornale di Roma!!

Il generale ha scritto sul progetto – approvato – e lo ha rimesso al Consiglio. Ignoro qual sia la decisione di questo.

Ma quanto al generale voi vedete che egli ha concorso per quel che può a provare che le offerte per l'obolo di San Pietro son veramente spontanee.

Sessanta bavaresi giunti da Civitavecchia sono partiti que sta mattina per la macchia di Piombino.

NOTIZIE ITALIANE

– I giornali milanesi annunciano che il giorno 28 su quella piazza d'Armi, alle 6 del mattino, avrebbe avuto luogo una rivista dell'intera Guardia Nazionale in Milano, in onore dei Principi reali.

– Si scrive da Torino alla Nazione:

La nomina del cavalier Visone all'ufficio lasciato vacante per la accettata rinuncia del conte Cantelli fu bene accolta dal pubblico. Il cavalier Visone ha dato prova di energia, di risolutezza e nel tempo stesso di spirito conciliativo, quando fu inviato, anni sono, a Genova ad appianarvi le difficoltà sorte in conseguenza del canone gabellario. Ricorderete forse come quelle difficoltà siano state d'indole al quanto grave, e non fu certamente piccolo merito quello del cavalier Visone di aver saputo comporre le cose in una città difficile a governare quale è, e molto più quale era in passato, Genova, in maniera da non aver lasciato cattiva memoria di sé. Pronto nelle sue decisioni, energico ed abile amministratore, il cavalier Visone potrà facilmente andare d'accordo col generale Cialdini, ed è mio debito il dirvi che questa volta, quelli che lo conoscono partecipano alla fiducia del governo e ne lodano la scelta.

– La sera del 27 arrivava a Torino prendendo alloggio all'albergo della Gran Bretagna l'ambasciatore di Francia presso il Re d'Italia, signor Benedetti.

– La Legazione francese a Torino sarà, secondo l'Italie, composta dei signori Benedetti, ministro; conte De Rayneval e barone d'Ideville, segretari; barone De Bourgoing e visconte De Courval addetti; barone Ducasse cancelliere.

– Fra poco verrà conchiuso fra noi e la Francia un trattato di commercio. Se ne stanno elaborando le basi nel Ministero di agricoltura, commercio ed industria.

– Con Reale Decreto in data degli 11 andante S. M., ha nominato luogotenente generale nell'esercito regolare il marchese Ottavio Tupputi ora luogotenente generale nel Corpo dei Volontari dell'Italia meridionale, conservando gli l'attuale sua carica di comandante generale della Guardia Nazionale di Napoli.

– Leggiamo nell'Italie del 27 agosto:

Le leggi sull'organamento amministrativo saranno sottoposte al Consiglio di Stato domani o dopo domani. Il Ministyro dell’interno sarà presente alla seduta per dare le spiegazioni le potrebbero essere chieste.

Si assicura che quando queste leggi saranno approvate verranno testé promulgate

si deve pure presentare un progetto per aumentare le indennità di spese di rappresentanza ed altro accordate ai governativi.

– Leggiamo nel Corriere Mercantile del 28:

Ieri il 12.º reggimento fanteria brigata Casale si è imbarcato per Napoli sul piroscafo Ville de Lion nel quale prese imbarco il generale Franzini che la comanda.

Ieri è arrivato da Piacenza il 17.º reggimento fanteria brigata Acqui che prese alloggio nell'ex convento del Turchine e stamane verso le 12 s’imbarcò sul piroscafo Bresil testé da Marsiglia ove era andato a ripararsi.

Oggi è arrivato il 18.° reggimento:

S'attende anche per quest'oggi un numeroso convoglio del Treno di provianda con carriaggi e 120 cavalli diretti esso pure a Napoli.

I reggimenti 41 e 42 brigata Modena comandata la prode generale Longoni parte da Reggio ove è di presidio, per mezzo della ferrovia di Bologna si reca a Forlì, di quivi per tappe fino ad Ancona ove si imbarcherà per l'Abruzzo, essendo destinato a Teramo.

Quest'invio di cinque reggimenti nell’ex-reame accenna al gran colpo ideato da Cialdini di cui parlano i giornali, per farla finita col brigantaggio.

Il mare è tranquillissimo il vento propizio per cui viaggio sarà breve e non molesto a’ nostri soldati.

– Secondo un dispaccio del Lombardo, il luogotenente Della Rovere sarebbe atteso a Torino nella corrente settimana, ed assumerebbe il portafoglio della guerra.

– Scrivono da Palermo:

Veniamo assicurati che il governo accogliendo le istanze dei mobilizzerà tre battaglioni di guardia nazionale nell’isola. Due di questi sarebbero destinati a Firenze il terzo a Torino.

– I fogli siciliani recano che era giunto a Palermo il cav. Marsano, ispettore generale delle strade per gli studi delle ferrovie da costruirsi in quell’isola delle quali egli è il direttore generale.

– Dietro inchiesta fatta al luogotenente di S. M. in Sicilia dal municipio di Messina, il governo avrebbe deliberato di provvedere a proprie spese di cappotto e di kepì quella guardia razionale.

– Scrivesi alla Perseveranza da Perugia 27 agosto.9

I zuavi e i Bavari spediti da Roma da brigantaggio ai confini dell’Umbria non passarono la frontiera. Sembra che gli sbandati saccheggino il territorio del papa; però i Francesi si sono opposti alle loro mosse miss e ne arrestarono 50!

Nell’Umbria regnano piena tranquillità e confidenza. Furono arrestati due preti, agenti del cardinale Antonelli.

– Scrivono da Roma all’agenzia Havas che Francesco II vive sempre ritirato nel suo palazzo, perché ogni volta che si mostra in pubblico è accolto a fischiate.

CRONACA INTERNA

– Dopo gli ottimi risultati delle scuole magistrali in Napoli, e nelle provincie siamo stati presi la loro forte meraviglia nel vedere spediti quattro Delegati accompagnati da quattro vice Delegati in queste provincie meridionali. Delegati sono gli oner. sig. Settembrini, Racheli, Carbone, Menechino, i vice-delegati, poi i sig Muffone, Nisio, De Lollis, Parato. L’istruzione ha bisogno di unità, perché potesse intere gli antichi pregiudizio i metodi cattivi invalsi nelle nostre provincie con creare questi nuovi organizzatori pare si volesse abortire il risultato delle scuole magistrali, certo porre in mezzo grave impaccio. I signori Delegati sono persone onestissime, e ben note il paese noi auguriamo loro un ottimo risultato all’opera, cui si accingono allora faranno veder chiaramente che se per lo passato non hanno avuto ba state di pratica in opera siffatta pure il loro ingegno ed il loro buon senso pratico farà vincere ogni ostacolo. Si sarebbe però desiderato che alcuni dei vice delegati fossero stati almeno destinati a provincie, ove la loro fama precedente non avrebbe incontrata una opinione pubblica poco ad essi favorevole in ogni pubblico incarico bisogna la integrità della vita, e l'attitudine a poter ben soddisfare al proprio dovere, altrimenti il paese tutto quanto si allontana da coloro, che moralmente non godono la stima universale. Anche un’altra volta lo vogliano ripetere: un metodo di studi sbagliato mutando il professore o modificando come che sia l'istituto può raddrizzarsi, ma il concetto della moralità offuscato è impossibile che si riacquisti una seconda volta.

Ci piace eziandio sottoporre un altra osservazione il Ministro dell'istruzione pubblica, che si è presentata alla nostra mente quando abbiamo conosciuto le idee dei Delegati e vice delegati in riguardo ai Seminari. È vero che molti seminari non hanno punto curata l'istruzione, ma ve ne sono alcuni però che hanno solo mantenuta accesa la fiaccola della scienza nel totale abbandono, in cui eravamo sotto il passato governo: questi meriterebbero un’onorata eccezione, giacché noi accettiamo il bene dovunque lo troviamo.

Così i seminarii di Molfetta, e Conversano educano i giovanetti ai buoni studii, ed istillano in quei petti il più nobile sentimento civile e morale.

– Continuano dalle provincie le lagnanze dei professori delle Scuole magistrali, ai quali non è pagato lo stipendio: noi vituperiamo la condotta di chi ne ha colpa. Perciò riproduciamo dall'Amico delle Scuole Popolari siffatti reclami, acciò il Governo provvegga efficacemente, che i poveri Professori non sieno umiliati di vantaggio. Questo giornale nel num.11 dice:

«E nuove lagnanze per ritardate indennità! L’ispettore di Sansevero dal 6 marzo a questa parte non ebbe ancora un solo tornese dell'indennità che gli compete! E i burocratici che ne dicono? Forse non possono occuparsi di queste noie perché stanno troppo oberati dalla fatica di fumar sigari. Dio li conservi alla memoria dei posteri.

«Anche i giornali dell'alta Italia riferiscono gli sconci che hanno luogo nelle nostre amministrazioni in ordine al pagamento degli stipendi agl'Insegnanti. L’Istitutore di Torino dice: Udiamo che nelle provincie napolitane le scuole magistrali procedono assai bene e sono frequentate da buon numero, di allievi e che ai Professori si fa sospirare la non grassa mesata.

«Da Sulmona ci scrivono ottime notizie di quella Scuola Magistrale, e vive lagnanze contro l’immeritato ed ingiusto ritardo del soldo ai professori. Se i signori della burocrazia ricorrono a questi mezzi per mandare a male le Scuole Magistrali del napoletano, abbiano almeno il coraggio civile di dirlo, perché il se sappia rimeritarli.

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– Ieri girava in Napoli un drappello di bersaglieri conducendo prigionieri una quarantina di briganti del Matese. Vogliamo sperare che fra essi non vi sieno vittime innocenti, per non sentire le lamentazioni del corrispondente del Popolo di Italia il quale pare che abbia preso un grosso granchio quando scrisse che soli 4 furono i briganti raggiunti dalla truppa. Da un lettera venuta ad un deputato da Boiano, le pure sta alle falde del Matese rilevasi che la mattina del 26 quella numerosa Guardia Nazionale accompagnata dalla truppa riuscì a circondare una compagnia di circa 100 briganti, che arrestati furon condotti in Boiano, ove la popolazione ammutinatasi volea strappare quei prigionieri dalle mani della forza per trucidarli tutti e vendicare cosi il saccheggio e gli assassinii da essi commessi nei vicini paesi. Ci vollero tutte le buone persuasioni del colonnello La Roche per ammanzire quel popolo irritato. Il colonnello promise che dei 100 briganti prigionieri sarebbero stati fucilati solamente quelli che avessero avuto parte agli eccidi di Pontelandolfi e di Casalduni, credesi che la meritata condanna di fucilazione cadrà sopra 40 di quei malfattori.

– Il Generale Pinelli, come scrivono da Manfredonia in data del 13 volgente al Corriere Lucano, ha fatto fucilare in Vieste un Arcidiacono e quattro Canonici. Lo stesso faceva fare a 21 militi nazionali e loro Capitano, che sotto tale divisa avevano favoreggiato i briganti fin dal bel loro primo apparire nei Gargano, e che nelle reazioni di S. Marco in Lamis vi aveva fatto la loro parte. Il Generale Pinelli mena seco molta artiglieria ed è uomo che se dall'un canto sa far tanto bene il suo dovere verso i briganti, non la cede dall'altro a chicchesia ingiustizia, bontà, e cortesia. Un Arcidiacono e quattro Canonici fucilati! Ecco una mossa ben servita e degna di preti e frati briganti.

DISPACCI TELEGRAFICI

Agenzia Stefani

– Napoli 30 (notte) – Torino 30 (9.55 pom.)

9Parigi 29 le corrispondenze Reuter e Bullier pubblicano la Nota Circolare di Ricasoli del 24 agosto agli agenti diplomatici.

Espone la situazione delle provincie napolitane rispondendo a coloro che consigliano di rinunziare alla Unione: che la Nazione Italiana è costituita, e tutto che è Italia appartiene al Re. Spiega gli ultimi avvenimenti del Napoletano cli paragona a quelli ch'ebbero luogo in Francia, in Inghilterra, in Spagna nelle diverse epoche di politiche trasformazioni. Il movimento napoletano non è politico, ma è questione di brigantaggio e saccheggio. Delle 15 provincie napoletane solo cinque sono travagliate dal brigantaggio, quelle vicine ai confini pontifici. Ricasoli traccia la storia del brigantaggio che in varie epoche desolò il regno di Napoli. Giudica severamente l'antica armata napoletana composta di 180.000 uomini bene armati ed equipaggiati che indietreggiarono dinanzi ad un pugno di eroi; e poscia gettaronsi in parte al brigantaggio facendosi precedere talora dalla bandiera borbonica che disonorarono, adesso rendendola emblema di assassini e di rapina. Spiace a Ricasoli dover constatare il brigantaggio napoletano essere la speranze della reazione Europa e questa essersi formata una cittadella in Roma. Il re di Napoli batte moneta in Roma con cui mantiene i briganti. Il denaro di S. Pietro serve ad arruolare i briganti in ogni parte di Europa. Munizioni ed armi partono da Roma, le perquisizioni e gli arresti operati ultimamente dalla truppe francesi non lasciano dubbio su questo punto. La connivenza della Corte Romana col brigantaggio napolitano è evidente. Ricasoli spera che ciò fornirà un potente argomento per dimostrare che il potere temporale non solo è respinto dalla logica irresistibile dell'Unità nazionale, ma inoltre esser diventato incompatibile colla civiltà umana, che non può tollerare le male opere che si tramano contro la cattolicità colla connivenza e con l'incoraggiamento dei ministri dell'altare, e di Colui che rappresenta sulla terra il Dio di pace e di mansuetudine. Roma andando per questa via compromette gl'interessi religiosi senza salvare i mondani. Codesta universale convinzione faciliterà molto al Governo d'Italia il compito che non potrebbe declinare di rendere Roma all'Italia, e di restituire nel tempo stesso alla Chiesa la sua dignità.










































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